25 ottobre 2011

Parabola del banchiere con cuore a sinistra





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Un profilo dell' ex a.d. di Unicredit, indagato per frode fiscale. Amico di Prodi, siglò l'accordo con Geronzi per l'ingresso in Unicredit della romana Capitalia. Fu poi esautorato con l'intervento attivo di Bisignani: un addio addolcito da una buonuscita milionaria


E' l'ex banchiere che nel 2006 ha votato per Romano Prodi alle primarie dell'Ulivo, come il suo ex diretto concorrente, Corrado Passera di Banca Intesa, il quale però si è avvicinato al governo Berlusconi (e anche per questo, dicono in molti, è ancora al suo posto). Genovese, classe 1957, l'infanzia trascorsa a Palermo e poi, dall'età di 13 anni, a Milano, Alessandro Profumo è l'ex amministratore delegato di Unicredit coinvolto nell'indagine giudiziaria per frode fiscale, nella quale la Procura di Milano il 18 ottobre fa ha fatto sequestrare 245 milioni di euro alla banca.

Profumo sembra un predestinato alla carriera in banca. A vent'anni viene assunto al Banco Lariano e ci resta dieci anni, dopo un po' si iscrive all'università, fa la vita dello studente lavoratore, a 30 anni si laurea in economia alla Bocconi. Poi lavora alla McKinsey, la società di consulenza aziendale nella quale si formano molti manager di successo, li chiamano i Mc Kinsey-boy, una categoria (o una lobby) che non piace a tutti ma che nelle aziende riesce a fare molta strada. Profumo arriva al Credito Italiano nel 1994, un anno dopo la sua privatizzazione e quattro anni dopo, con la nascita del gruppo Unicredit, ne diventa amministratore delegato. Comincia una fase di acquisizioni di istituti minori e di espansione all'estero, culminata nell'acquisizione del gruppo tedesco Hvb nel 2005. L'operazione fa aumentare le dimensioni della banca ma non fa bene al conto economico, perché nelle filiali "austroungariche" si annidano dei problemi.

L'altra grande operazione è nel 2007, l'accordo con Cesare Geronzi per la fusione in Unicredit della romana Capitalia, una banca con molte sofferenze in bilancio ma con forti agganci nei palazzi della politica (da Berlusconi a D'Alema). Rientra nell'accordo con Profumo anche la nomina di Geronzi alla presidenza di Mediobanca, ma con la crisi finanziaria che esplode nel settembre 2008 i conti di Unicredit cominciano a soffrire pesantemente. Comincia la discesa che porterà all'esautoramento di Profumo dopo 13 anni, il 21 settembre 2010.
"Mi mandano via", dice lui stesso due giorni prima del consiglio di amministrazione che lo esautora. Il motivo non è mai stato spiegato, tuttavia negli ultimi anni i conti della banca non andavano più bene come prima e Profumo, avendo bisogno di fare due aumenti di capitale ravvicinati, aveva trovato l'aiuto della Libia ( http://www.ilpost.it/2010/09/20/unicredit-libia-profumo/ ) , entrata nel capitale con una quota complessiva del 7,5 per cento. Un'avanzata che ha irritato le fondazioni bancarie principali azioniste di Unicredit, soprattutto la Cariverona e la Crt di Torino, guidate dai potenti Paolo Biasi e Fabrizio Palenzona, decisivi per l'allontanamento di Profumo.

Chi si è dato molto da fare per disarcionare il banchiere vicino all'Ulivo è anche uno dei più potenti lobbisti italiani, Luigi Bisignani ( http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/30/p4-bisignani-brigava-per-cacciare-profumo-da-unicredit-lo-sbattiamo-fuori/132806/ ) , già iscritto alla loggia massonica segreta P2 e condannato per la tangente Enimont, dal 15 giugno scorso agli arresti domiciliari nell'indagine sulla P4, una rete di dossier, ricatti, potere. "Lo cacciamo!", confidava Bisignani al telefono a un dirigente dell'Unicredit, Luca De Dominicis, 11 giorni prima delle dimissioni ufficiali.

Profumo viene ricordato come un dirigente che ha tenuto la banca lontano da operazioni politiche, come l'ingresso nel capitale di Telecom Italia e il controverso progetto della nuova Alitalia, operazioni condotte invece dalla Banca Intesa di Passera. L'altra caratteristica del banchiere con il cuore a sinistra è quella di essere stato molto ben pagato, con lo stipendio più alto in Italia: poco più di nove milioni euro lordi nel 2007, l'anno record. Un primato che ha confermato al momento dell'addio, addolcito da una buonuscita di circa 40 milioni di euro al lordo delle tasse, più un'erogazione in beneficenza di due milioni fatta dalla banca, su sua indicazione, alla Casa della carità di don Colmegna. Attualmente l'ex banchiere è nel consiglio di sorveglianza di una banca russa, la Sberbank e in maggio è entrato nel consiglio di amministrazione dell'Eni. Nel gruppo pubblico del petrolio e del gas, guidato da un altro ex McKinsey, Paolo Scaroni, lavora come dirigente la moglie di Profumo, Sabina Ratti.
di Gianni Dragoni

24 ottobre 2011

Condividi: Panico Usa: è Wall Street a detenere il nostro debito

Gli Usa sono letteralmente terrorizzati: se crolla uno Stato europeo, uno qualsiasi, vanno in crisi le grandi banchefrancesi e tedesche sorrette da Wall Street. Ecco perché Washington è così attenta alla crisi europea e raccomanda a Bruxelles di scongiurare il rischio di default, a cominciare da quello della Grecia: il collasso a catena porterebbe alla bancarotta delle centrali finanziarie statunitensi. Lo afferma Robert Reich, docente di politiche pubbliche all’università californiana di Berkeley, già ministro del lavoro del presidente Clinton nonché autore di tredici libri. «Perché l’America dovrebbe essere così preoccupata? Se volete sapere la vera ragione, seguite i soldi. Un default greco (o irlandese, spagnolo, italiano o portoghese) avrebbe sul nostro sistema finanziario lo stesso effetto dell’implosione della Lehman Brothers nel 2008. Il caos finanziario».

E’ l’analista Debora Billi a sottolineare l’intervento di Reich affidato al web: «Sì, esportiamo in Europa – ammette il professore – ma le esportazioni non Timothy Geithnerfiniranno e, in ogni caso, sono una goccia nel mare dell’economia statunitense». Se il presidente della Fed, Ben Bernanke, ha «unito la sua voce a quella di coloro che sono preoccupati per la crisi del debito europea», la vera ragione risiede nella drammatica fragilità del sistema finanziario creato da Wall Street ed esteso all’Europa: «Un default della Grecia o di qualsiasi altra nazione europea affogata nei debiti – scrive Reich – può facilmente colpire lebanche tedesche o francesi, che hanno prestato molto alla Grecia». E qui «entra in ballo Wall Street», che «ha prestato una montagna di soldi allebanche tedesche e francesi».

La totale esposizione all’eurozona, continua Reich, è pari a 2700 miliardi di dollari, e quella verso Francia e Germania rappresenta circa la metà del totale. E non sono solo i prestiti alle banche tedesche e francesi ad essere preoccupanti: «Wall Street è anche coinvolta in ogni sorta di derivati emessi dall’Europa – sull’energia, la moneta, i tassi di interesse e di cambio. Se una banca tedesca o francese fallisce, l’effetto domino è incalcolabile». Capito? Seguite i soldi, raccomanda Reich: «Se la Grecia crolla, gli investitori cominceranno a fuggire da Irlanda, Spagna, Italia e Portogallo. Tutto ciò farà annaspare le banchetedesche e francesi. Se una di queste banche collassa, o mostra gravi segni di stress, Wall Street è in guai seri. Persino in guai più seri che dopo la Lehman Brothers».

Ecco perché le azioni delle principali banche Usa sono scese così tanto nel mese scorso, osserva l’economista californiano, fiutando il peggio: Morgan Stanley ha chiuso al punto più basso dal dicembre 2008. La gigantesca banca d’affari mondiale è in pericolo, sottolinea Debora Billi nel suo blog “Crisis.blogosfere“: «Reich sostiene che, se le banche europee falliscono, la Morgan può perdere 30 miliardi di dollari», ovvero «2 miliardi in più del totale dei suoi assets», pur sostenendo di non avere alcuna esposizione Robert Reichverso lebanche francesi: «In realtà, l’esposizione deriva da assicurazioni, derivati e swaps. Ecco perché a Washington sono terrorizzati – e perché il segretario al Tesoro Tim Geithner continua a supplicare gli europei di salvare la Grecia e le altre nazioni indebitate».

«Non vi confondete», avverte la Billi: «Gli Usa vogliono che l’Europa salvi le nazioni indebitate così che esse possano ripagare le banche europee. Altrimenti, le banche potrebbero implodere – portando Wall Street con loro. E una delle tante ironie è che alcune delle nazioni indebitate (l’Irlanda è l’esempio migliore), si trovano in tale situazione proprio perché hanno fatto un bailout alle loro banche nella crisi che è cominciata a Wall Street. Chiuso il cerchio». In altre parole, conclude Debora Billi, non è la Grecia il problema. Né l’Italia, il Portogallo, o la Spagna. «Il vero problema è il sistema finanziario – centrato a Wall Street. E noi non l’abbiamo ancora risolto».

di Giorgio Cattaneo

23 ottobre 2011

Capitalismo produttivo, finanziario, di Stato & sociale



Si fa presto a dire capitalismo. Fa presto sia chi ne elogia le infallibili virtù, tanto chi se ne dichiara “anti” o “contro”. Ma di quale capitalismo si tessono gli elogi e di quale, invece, ci si dichiara fieri avversori? Perché di capitalismi ce ne sono molti. Perfino il comunismo, che dai più è considerato il suo esatto opposto, può essere definito come tipologia di capitalismo: di stato – certo – ma pur sempre capitalismo. Se per capitale, infatti, si intende la quantità di moneta e altri beni monetizzabili, come i mezzi di produzione, posseduti da uno o più individui, trasferire il capitale dall’individuo allo stato, dal privato al pubblico, non cambia poi di molto la questione. Semmai, la distinzione fra capitalismo e comunismo si pone sugli effetti prodotti da questa ideologia della proprietà, a partire dal profitto, dal superprofitto e, soprattutto, dalla loro destinazione d’uso. Ma qui siamo già a valle del processo capitalistico: quando, cioè, il capitale inizialmente investito produce il suo frutto. A monte, invece, la distinzione va fatta proprio sul tipo di investimento scelto ed operato dal capitalista. E qui le opzioni sono due: capitalismo produttivo e capitalismo finanziario. Almeno inizialmente, la differenza era netta: il primo investiva in attività produttive di imprese e servizi, ne assumeva il rischio e offriva lavoro. Il secondo si limitava a prestare capitale a chi non ne possedeva, con poco o nessun rischio (sin dall’antichità l’insolvenza del debitore era punita drasticamente fino al massimo della pena: la schiavitù dell’insolvente che diventava, così, “proprietà” del creditore) e, soprattutto, senza produrre altro che denaro dal denaro. Per sé e solo per sé. Tanto era chiara la distinzione che i redditi del capitalismo produttivo si chiamavano “guadagni” (poi, “profitti”) e quelli del capitalismo finanziario, “interessi” o, in caso di eccesso della domanda di restituzione del prestito originario, “usura”.

La distinzione rimase evidente per secoli: difficilmente il finanziere diventava produttore o il produttore, finanziere. I ruoli cominciarono a diventare meno nitidi sul finire del Medio Evo, quando a Genova, nel 1406, nacque la prima banca moderna: il Banco di San Giorgio. Oh, la banca! questa sovrana istituzione privata che è diventata l’incubo dei giorni nostri. Va detto che all’inizio non fu neanche una cattiva idea, offrendosi, la banca, come mediatrice riconosciuta e garante del passaggio di denaro fra risparmiatori e imprenditori. Lo scambio aveva dei costi (differenza fra interesse dato a chi depositava i suoi risparmi e quello chiesto all’imprenditore che fruiva del prestito) ma i vantaggi dovuti dal vertiginoso aumento dalla circolazione del denaro e dai suoi investimenti produttivi furono enormi. Tanto che, con un’accelerazione incredibile a quei tempi, Genova divenne la potenza economica ricordata dalla storia. Gli svantaggi? Uno e originario, ma non immediatamente percepito nella sua portata negativa: l’immenso potere della banca di Genova divenne in breve tempo superiore a quello del governo politico. Con quali effetti? Innanzi tutto, con quello di dettare le sue leggi di primato all’intera economia dello stato. A quel punto, appare ovvio, i confini fra capitalismo produttivo e capitalismo finanziario cominciarono ad assottigliarsi fino quasi a non poter distinguere dove comincia l’uno e dove finisce l’altro.

Ma ci vollero altri secoli per poter prendere atto del fenomeno con analisi lucide tipo quella di Vladimir Il’ič Ul’janov, in arte rivoluzionaria e per fama al mondo semplicemente Lenin: «Il vecchio capitalismo, il capitalismo della libera concorrenza, con la borsa suo regolatore indispensabile, se ne va a gambe all’aria, soppiantato da un nuovo capitalismo, nel suo stadio imperialistico, che presenta tutti i segni di un fenomeno di transizione, una miscela di libera concorrenza e di monopolio. L’ultima parola dello sviluppo del sistema bancario è sempre il monopolio. Nell’intimo nesso tra le banche e l’industria appare, nel modo più evidente, la nuova funzione delle banche. Allo stesso tempo si sviluppa, per così dire, un’unione personale della banca con le maggiori imprese industriali e commerciali, una loro fusione mediante il possesso di azioni o l’entrata dei direttori di banche nei consigli d’amministrazione delle imprese e viceversa. Pertanto si giunge a una sempre maggior fusione, a una simbiosi (Bukharin), del capitale bancario col capitale industriale. L’imperialismo è l’epoca del capitale finanziario e dei monopoli, che sviluppano dappertutto la tendenza al dominio, anziché alla libertà».

Destrutturiamo il suo detto. Il “capitalismo industriale” (o produttivo) si connota con le parole chiave: “libera concorrenza” (di mercato) e “regole” (ce ne sono o potrebbero essercene altre di regole oltre alla “borsa” che, anzi, oggi appare terreno di pertinenza finanziaria ma, per quel che serve, atteniamoci al principio della “regola”). Il capitalismo finanziario (quello delle banche e altri noti istituti) invece, si distingue con i termini: “imperialismo” (oggi, forse, Lenin direbbe globalizzazione), “monopolio” (ma monopolistica, in quanto statale, lo fu anche l’economia sovietica) e “dominio” (in antitesi alla libertà). L’altra parola chiave è “fusione” fra capitalismo produttivo e capitalismo finanziario «mediante – osservava giustamente Lenin – il possesso di azioni o l’entrata dei direttori di banche nei consigli d’amministrazione delle imprese e viceversa».

Ed è esattamente quello che è avvenuto e continua ad avvenire sotto i nostri occhi, anche in Italia. Il vecchio capitalismo produttivo è ormai alla mercé delle banche e delle speculazioni di borsa. Antiche aziende produttive, come la Fiat, vanno trasformandosi in holding finanziarie. Altre, come la Fincantieri, in crisi di commesse, non ottengono credito per riconvertirsi. Le uniche attività di rilievo economico registrabili sono le scalate dei finanzieri nei consigli di amministrazione delle società esposte al debito. Il solo sviluppo accertato è quello della moneta in mano agli squali che cannibalizzano tutto il cannibalizzabile, senza produrre un solo posto di lavoro in più. Gli stati politici, privi di mandato per regolare i mercati finanziari nei superiori casi del bene comune, subiscono gli stessi identici processi delle imprese, aggrediti come sono da chi possiede i suoi titoli e spinge al rialzo l’offerta degli interessi.

Torneranno tempi più normali per questa “povera patria”, come auspicava Franco Battiato nell’omonima canzone? Bisognerebbe, innanzi tutto, mettere una bella capezza (penso ad una robin-tax planetaria, per esempio) al collo dell’usorocrazia mondiale. Poi, a me personalmente, basterebbe entrasse in auge il capitalismo sociale di Adriano Olivetti, l’imprenditore industriale che a Ivrea reinvestiva il superprofitto della sua azienda in beni e servizi socialmente utili per la comunità dei lavoratori. A questo, magari, aggiungerei la richiesta di rendere finalmente esecutivo l’articolo 46 della Costituzione italiana che testualmente recita: «Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende». Niente di più.

di Miro Renzaglia

22 ottobre 2011

Ma la Casta non si indigna di se stessa

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Il ministero dell’Economia, sempre così lento quando si tratta di trovare fondi per lo sviluppo, ha deliberato con lestezza da furetto che il taglio degli stipendi si applica a tutti i dirigenti pubblici tranne che a ministri e sottosegretari. Non solo a lorsignori non verrà più trattenuto neppure un euro, ma con la busta paga di novembre si vedranno restituire con tante scuse le decurtazioni dei mesi scorsi.

Da tempo attendiamo dalla Casta un segnale di rinsavimento, un gesto minimo di coerenza che inauguri qualche cambio d’abitudini. Per far digerire i sacrifici di Ferragosto ci avevano promesso la riduzione dei parlamentari, l’abolizione delle Province e altre prelibatezze. Ma che fine ha riservato l’autunno alle parole fiorite davanti ai microfoni estivi? La riduzione dei parlamentari è appassita all’interno dell’ennesimo progetto di riforma universale delle istituzioni, il Calderolone, che come tutti i suoi predecessori non verrà mai approvato.

L’ abolizione di alcune Province, già annunciata in pompa magna dal governo, è attualmente stipata nell’ultimo ripiano del freezer, in attesa che qualcuno si ricordi di scongelarla, ma vedrete che resterà lì. E il ridimensionamento delle retribuzioni? Per essere sicuri che non si facesse, è stata istituita una commissione apposita che avrebbe dovuto decidere entro il 31 dicembre, se non fosse già nata con la deroga incorporata: fino al 31 marzo, quando si andrà a votare oppure si ricomincerà a prorogare. Ah, ma almeno per i vitalizi nessuna pietà. A-bo-li-ti. Dalla prossima legislatura, naturalmente. E solo dopo la creazione di un nuovo sistema previdenziale. Chi lo indicherà? Ma una commissione. Prorogabile. Prorogabilissima.

Il sondaggio mostrato l’altra sera a Ballarò da Pagnoncelli era piuttosto sconvolgente: il 61% dei cittadini italiani ritiene seriamente che l’intervento prioritario contro la crisi non sia la detassazione del lavoro, la patrimoniale o un piano robusto di lavori pubblici, ma la riduzione del numero dei parlamentari. Con il collega Carlo Bertini, nostro esperto in Casta e dintorni, abbiamo fatto i conti della serva. Gli stipendi e i rimborsi spese di senatori e deputati ci costano 200 milioni di euro l’anno. Dimezzandoli ne risparmieremmo 100. Una benedizione, ma pur sempre una goccia nell’oceano del debito pubblico, ormai prossimo alla soglia psicologica dei duemila miliardi.

Eppure, nell’esprimere la loro opinione economicamente assurda, gli italiani non sono stati affatto stupidi o qualunquisti. Hanno mandato un messaggio politico. Dai loro rappresentanti pretendono qualcosa di cui sentono d’avere terribilmente bisogno: il buon esempio. Provate a immaginare se domattina i leader di destra e di sinistra, smettendo per un giorno di delegittimarsi a vicenda, si presentassero insieme in conferenza stampa per annunciare la volontà di lavorare gratis fino al termine della legislatura. Sarebbe un gesto populista? Può darsi. Ma li renderebbe più autorevoli nel momento in cui si accingessero a chiedere sforzi ulteriori ai contribuenti. Durante la tempesta i capitani che vogliono essere obbediti non si barricano nei propri appartamenti con le scorte di caviale, ma stanno in mezzo alla ciurma condividendone i rischi e i disagi.

Qualcuno mi ha suggerito di scrivere questo stesso articolo tutti i giorni, «finché non si arrendono», ma temo che i lettori si stuferebbero molto prima degli onorevoli. La Casta è totalmente sganciata dal mondo reale. Altrimenti si sarebbe accorta che nel disprezzo che gli italiani manifestano per i suoi stipendi si cela un giudizio più profondo: il disprezzo per l’inutilità del suo lavoro e per l’incompetenza di una parte consistente dei suoi esponenti. Il problema vero non è che guadagnano troppo. E’ che fanno ben poco per meritarsi quel che guadagnano.

Rusconi e Galli della Loggia hanno scritto che l’unica via di uscita dalla sterilità dell’indignazione è il ritorno alla politica. Non però alla delega politica. Se intende sopravvivere, la democrazia non potrà più esaurirsi in una crocetta da apporre su una scheda ogni cinque anni. Quel 61% che considera i politici la rovina del nostro Paese trovi qualche ora del proprio tempo da dedicare alla comunità. Solo ripartendo dal basso si potrà selezionare una classe dirigente nuova, alla quale auguro di guadagnare tantissimo, ma soltanto sulla base dei risultati.

di Massimo Gramellini

21 ottobre 2011

Il modello argentino funziona: c'è vita dopo il default e dopo il FMI


L'esempio argentino di dire no al Fondo Monetario ed ai suoi creditori viene discusso nei paesi europei, in particolare in Grecia, Portogallo e Irlanda, come alternativa alla brutale austerità dettata da Bruxelles e dal Fondo Monetario. Per tutta risposta, l'FMI e l'amministrazione Obama hanno rinnovato i loro attacchi contro l'Argentina, annunciando che avrebbero votato contro nuovi prestiti al paese da parte della Banca Mondiale. Poco prima, a metà settembre, la direttrice dell'FMI Christine Lagarde ha dichiarato che il Fondo non avrebbe usato i dati dell'ente di statistica ufficiale argentino per valutare il PIL ed il tasso di inflazione del paese, perché tali dati sarebbero "troppo inattendibili". Invece, l'FMI raccoglierà dati tramite "consulenti privati".

Le ha risposto la Presidente argentina Cristina Fernandez de Kirchner, in un discorso nella provincia di Mendoza il 26 settembre. Non solo fu il FMI a causare la crisi del 2001 e l'insolvenza dell'Argentina, ha accusato la Fernandez, ma oggi "nel mezzo del più grave fallimento nella storia recente…coloro che furono direttamente responsabili del fallimento dell'Argentina nel 2001, e di quello dell'Europa e degli Stati Uniti oggi, stanno ancora cercando di costringere il mondo ad inghiottire la stessa medicina che diedero a noi per dieci anni e che ci portò alla rovina! Tanta idiozia, tanta testardaggine è inconcepibile. Come possono dire che l'economia verrà riattivata e crescerà con l'austerità? Non ha alcun senso!"

Si sappia, prosegue la Presidente argentina, che "da noi le decisioni sulla politica economica vengono prese nella Casa Rosada (il palazzo presidenziale) ed al Congresso nazionale, all'interno delle nostre istituzioni nazionali" e non in enti di consulenza privata o dettati da enti finanziari stranieri. Negli anni Ottanta e negli anni Novanta, ha ricordato la Presidente, il Congresso argentino si fece in quattro per attuare il diktat straniero "eppure il mondo continuò a crollare, e l'Argentina continuò a crollarci addosso".

La Kirchner era a Mendoza per inaugurare l'espansione della rete elettrica, e nel farlo ha ricordato che il suo defunto marito, il Presidente Nestor Kirchner, amava costruire infrastrutture "perché sosteneva che questo era il progresso". Quando si porta l'energia e l'elettricità a regioni che non ce l'hanno "si porta l'eguaglianza, la sovranità e il federalismo in posti che erano stati ignorati storicamente". Ha ricordato il primo discorso di Nestor all'Assemblea Generale dell'ONU nel 2003, in cui disse che all'Argentina bisogna permettere di crescere, perché non aveva mai sentito di morti che possono pagare i loro debiti.

Ha citato quello stesso discorso all'Assemblea Generale dell'ONU il 21 settembre scorso. Allora, quasi un quarto della popolazione argentina era senza lavoro, e i livelli di indigenza e povertà superavano il 50%, dopo il default del paese nel 2001. Negli 8 anni successivi, ha detto la Kirchner, "l'Argentina ristrutturò il suo debito, riducendolo dal 160% a meno del 30% del PIL. I livelli di povertà e indigenza scesero a una cifra, e stiamo ancora continuando questa battaglia. Abbiamo un tasso di disoccupazione che è il più basso mai avuto".

"Nel 2003 destinavamo il 2% del PIL all'istruzione ed il 5% a pagare il debito. Oggi l'Argentina destina il 6,47% del PIL all'istruzione e il 2% del PIL a pagare il debito...

A Mendoza la Presidente argentina ha sottolineato il fatto che tutto ciò che hanno fatto lei e suo marito mirava a "liberare" il popolo argentino, e particolarmente i giovani, lasciando loro "un paese migliore, liberandoli dalla miseria, dal fallimento, dalla frustrazione e dalla povertà".

by MoviSol

20 ottobre 2011

Italia: un Paese di cittadini ipnotizzati





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Il Presidente del Consiglio dichiara che "non ci sono soldi per lo sviluppo" - e gli imprenditori gli rispondono che "il tempo è scaduto. Ora bisogna fare", come se si potesse davvero fare qualcosa nel senso che vorrebbero, in una crisi "di crescita" dalla quale si pretende di uscire con ulteriore crescita. La Fiat perde quasi un altro 8% nelle vendite rispetto a un anno addietro, Standard & Poor's taglia il rating a ventiquattro Banche italiane e il nostro spread con i Titoli di Stato tedeschi ritorna alla soglia dei 380 punti.
Nel frattempo l'inflazione torna a salire grazie ai prezzi al consumo dei prodotti che, nel nostro mondo, non è possibile evitare di comperare: carburanti in primo luogo, e presto, vedremo, gas e combustibile per il riscaldamento, dunque energia elettrica e insomma ciò che, in un Paese come il nostro, che insieme a tanti altri dipende fortemente dalle energie non rinnovabili, serve semplicemente per vivere. Ovvero per non rimanere al buio e al freddo, oltre che per mangiare, visto che la maggior parte della nostra merce, cibo in primo luogo, viaggia ancora migliaia di kilometri prima di raggiungere le nostre tavole.
Siamo un Paese che - salvo rarissime sacche di resistenza, anzi di rinascita, ovvero decrescita - non consuma cibo locale, non usa mezzi alternativi di trasporto (complice il sistema fatiscente del nostro servizio pubblico e la pigrizia, in molti casi) e non ha in larghissima maggioranza neanche il pensiero culturale per decidersi a investire, anche in proprio, in fonti di energia alternativa.
Un esempio su tutti: Luca Mercalli, autore di un semplice e rapido libro edito da Chiarelettere, "Prepariamoci" (in vendita anche nella nostra Biblioteca Ribelle) scrive senza mezzi termini che la maggior parte degli italiani sono pronti a trovare mille giustificazioni per non tentare l'investimento di un impianto fotovoltaico ma sono pronti senza battere ciglio (anche se non è più come prima) a sottoscrivere cambiali per 60 mesi investendo in una nuova autovettura.
Ma la cosa più imbarazzante è un'altra: non si tratta di Berlusconi e delle sue dichiarazioni senili, non si tratta dei media di massa che vanno dietro al teatrino e non si tratta neanche di una opposizione che non è affatto alternativa al governo in carica. Cioè, più precisamente, non si tratta della situazione in sé che è evidentemente disastrosa e senza via di ripresa: si tratta della assoluta ipnosi della maggior parte dei cittadini di fronte alla realtà.
I dati oramai ci sono, e con un minimo di curiosità, consapevolezza e voglia - soprattutto grazie a internet, bisogna pur dirlo - sono a disposizione di tutti. Di tutti quelli che vogliano prendere coscienza delle situazione e iniziare sul serio a pensare a "come cavarsela" in questo mondo in disfacimento. Ecco, di questi nel nostro Paese vi è rara traccia.
Il discorso non è ovviamente rivolto agli abbonati a questo giornale - che sono in aumento giorno per giorno: grazie! - e che sanno da anni, ormai, visto che lo scriviamo da tanto tempo, dove saremmo arrivati e con molta probabilità a dove fatalmente arriveremo. Il discorso è diretto agli altri, a quelli che vanno in piazza senza capire chi è il vero nemico, a quelli che continuano a votare da una parte o dall'altra (ma il partito degli astensionisti diventa sempre più quello maggioritario in Italia) a chi sul serio pensa che il problema sia malgoverno & affini.
A chi, insomma, non ha voglia di prendere di petto la situazione, capire che si è vissuto in un modo sbagliato, in un sistema di sviluppo destinato alla fine, e che dunque è davvero il caso di caricarsi il peso che ci spetta: il nostro tempo, che è un tempo di transizione verso un nuovo paradigma, per quello che questo voglia dire - ed è tutto da scrivere e da vedere - ma non abbiamo scelta. Insomma a chi abbia il coraggio di voler vivere la propria storia sino in fondo.

di Valerio Lo Monaco

La decimazione delle banche occidentali




bank-ruptureGli analisti economici del Global Europe Anticipation Bulletin (GEAB) producono collegamenti originali che uniscono in modi inaspettati i puntini della Grande Crisi. Abbiamo tradotto per voi la presentazione redatta da GEAB del Bollettino n. 58, incentrato sul tema della"decimazione delle banche occidentali". Al di là dell'effettiva capacità di predizione, sono interessanti le fonti e i collegamenti utilizzati, specie nelle note in coda all'articolo. Il tema richiamato ci spinge a rilanciare anche un recente commento di Giulietto Chiesa: «Deve essere chiaro che non accetteremo che altri denari siano regalati alle banche che sono già fallite. Se il mercato vale, allora devono fallire. Se non le lasciate fallire è perché il mercato non vale. Se il mercato non vale, non potete chiederci di pagare il debito.»

Come anticipato da LEAP/E2020, la seconda metà del 2011 vede il mondo continuare la sua inarrestabile discesa verso lo smembramento geopolitico globale caratterizzato dalla convergenza di crisi monetarie, finanziarie, economiche, sociali, politiche e strategiche.

Dopo il 2010 e l'inizio del 2011, che ha visto i miti di una possibile ripresa e dell'uscita dalla crisi crollare miseramente, è ora l'incertezza a dominare i processi decisionali degli Stati, proprio come le aziende e gli individui, generando inevitabilmente crescente apprensione per il futuro.

Il contesto si presta di per sé in modo singolare: esplosioni sociali, paralisi politica e/o instabilità, ritorno alla recessione globale, la paura sulla sorte delle banche, la guerra delle valute, la scomparsa di oltre 10mila miliardi di dollari in asset fantasma nel giro di tre mesi, la diffusa e crescente disoccupazione di lungo termine...

Oltretutto, è proprio questo mondo finanziario malato che sarà la causa della «decimazione (1) delle banche occidentali» nella prima metà del 2012: con la loro redditività in caduta libera, i bilanci in disordine, con la scomparsa di asset per trilioni di dollari, con gli Stati che spingono sempre più in direzione di una rigorosa regolamentazione delle loro attività (2), fino ad assoggettarle al controllo pubblico, e scontrandosi con una opinione pubblica sempre più ostile: ora il patibolo è stato eretto e almeno il 10% delle banche occidentali (3) dovranno transitare per questo passaggio nei prossimi trimestri.

Tuttavia, in questo ambiente, in apparenza sempre più caotico, emergono delle tendenze, le prospettive a volte appaiono positive ... e, cosa più importante, l'incertezza sarebbe molto inferiore a quanto si possa pensare, se solo si analizzassero i cambiamenti nel mondo per come si è strutturato dopo la crisi, anziché con i criteri del mondo prima della crisi.

In questo bollettino del GEAB, il nostro team presenta anche le sue previsioni sul "Rischio Paese" 2012-2016 per oltre 40 Stati, dimostrando che si possono illustrare le situazioni e individuare forti tendenze perfino in mezzo all'odierna "nebbia di guerra" (4).

In un tale contesto, questo strumento decisionale si sta rivelando assai utile tanto per il singolo investitore quanto per coloro che prendono decisioni nell’ambito dell’economia e della politica. Il nostro team presenta anche i cambiamenti nell’indice GEAB $ e le sue raccomandazioni (oro-valute-immobiliare), inclusi naturalmente gli strumenti atti a proteggersi dalle conseguenze dell’arrivo della "decimazione delle banche occidentali".

Per questo numero del GEAB, il nostro team ha scelto di presentare un estratto dal capitolo sulla decimazione delle banche occidentali nella prima metà del 2012.

Prima metà del 2012: decimazione delle banche occidentali

In realtà, sarà una decimazione tripla (5) che si concluderà con la scomparsa di una percentuale tra il 10 e il 20 per cento delle banche occidentali nel prossimo anno:

- una decimazione del loro personale;

- una decimazione dei loro profitti

- e infine, una decimazione del numero delle banche.

Sarà accompagnata, naturalmente, da una drastica riduzione del loro ruolo e importanza nell'economia globale e influirà direttamente sugli istituti bancari in altre regioni del mondo e su altri operatori finanziari (assicurazioni, fondi pensione ...).

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Un esempio di dati bancari al momento di una crisi sistemica globale: i risultati dello stress test a Intesa San Paolo rispetto ai suoi concorrenti europei (e rispetto al primo caduto: Dexia) (6)

Il nostro team potrebbe impostare questo argomento esattamente come di recente hanno fatto i media anglosassoni, il presidente degli Stati Uniti e i suoi ministri (7), gli esperti di Washington e Wall Street e, in generale, tutti i media mainstream (8), su tutti gli aspetti della crisi sistemica globale, vale a dire dicendo: «È colpa della Grecia e dell'Euro!».

Sarebbe ovviamente bello ridurre questa parte del GEAB a poche righe e trattenersi dal fare alcun accenno alle analisi sulle possibili cause riconducibili agli Stati Uniti, al Regno Unito o al Giappone. Ma, non certo a sorpresa dei nostri lettori, non sarà questa la scelta di LEAP/E2020 (9).

In veste di unico think tank che ha anticipato la crisi e previsto abbastanza precisamente le sue varie fasi, non rinunceremo di certo ad un modello di previsione che funziona bene, immune dai pregiudizi sebbene privo della possibilità di indovinare gli eventi [Non dimentichiamo che l'euro è ancora vivo e vegeto (10) e che Eurolandia ha appena completato la piccola impresa, in sei settimane, di mettere insieme i 17 voti parlamentari necessari a rafforzare il proprio fondo di stabilizzazione finanziaria (11)].

Così, anziché fare l’eco alla propaganda o al "pensiero prefabbricato" restiamo fedeli al metodo di anticipazione e aderenti ad una realtà che dobbiamo dapprima scoprire per poterla comprendere (12).

In questo caso, per secoli, quando si è pensato alle "banche" si è sempre pensato prima di tutto alla City di Londra e a Wall Street (13).

Et pour cause: Londra per oltre due secoli e New York per quasi un secolo sono state entrambe i due cuori del sistema finanziario internazionale e il covo per eccellenza dei banchieri più importanti del mondo. Ogni crisi bancaria globale (così come qualsiasi grande evento bancario), quindi, inizia e finisce in queste due città fin dai tempi in cui il moderno sistema finanziario globale è diventato un vasto processo di incessante riciclaggio della ricchezza (virtuale o reale) sviluppato da e per queste due città (14).

La decimazione delle banche occidentali che inizia e continuerà nei prossimi trimestri, un evento di proporzioni storiche, non può quindi essere compresa senza prima di tutto misurare e analizzare il ruolo di Wall Street e Londra in questa débâcle finanziaria. La Grecia e l'euro qui avranno senza dubbio un ruolo come abbiamo discusso nei precedenti bollettini del GEAB, ma essi costituiscono la miccia: il debito greco è l’avidità delle banche di ieri che sta esplodendo nell’arena pubblica di oggi, l'euro è la freccia del futuro che sta bucando il palloncino finanziario attuale. Queste sono le due “dita” che indicano il problema, ma non sono il problema. Questo è ciò che l'uomo saggio sa mentre lo stolto non lo sa, parafrasando il proverbio cinese (15).

In realtà, bisogna solo guardare a Londra e Wall Street per prevedere il futuro delle banche occidentali, dal momento che è solamente lì che il gregge bancario si riunisce ogni sera per venire ad abbeverarsi alla sua dose di dollari.

E la condizione del sistema bancario occidentale può essere misurata attraverso la variazione del numero di dipendenti delle banche, la loro redditività e quella dei loro azionisti. Da questi tre fattori si può direttamente dedurre la loro capacità di sopravvivere o di scomparire.

La decimazione del numero degli occupati in banca

Cominciamo con i numeri, allora! Qui il quadro è desolante per i lavoratori dipendenti del settore bancario (e ora anche per le "star del sistema bancario"): a partire dalla metà del 2011 Wall Street e Londra hanno costantemente annunciato licenziamenti in massa, diffusi nei centri finanziari secondari come la Svizzera e Eurolandia e nelle banche giapponesi. Un totale di diverse centinaia di migliaia di posti di lavoro bancari sono scomparsi in due ondate: prima di tutto nel 2008-2009, poi fino alla tarda primavera di quest'anno. E questa seconda ondata sta gradualmente acquistando slancio con il passare dei mesi. Con la recessione globale in corso, il prosciugarsi dei flussi di capitale verso gli Stati Uniti e nel Regno Unito, a seguito dei cambiamenti geopolitici ed economici in corso (16), le enormi perdite finanziarie negli ultimi mesi e tutti i tipi di regolamenti che gradualmente "spezzano" il super-redditizio modello bancario e finanziario degli anni 2000, i capi delle grandi banche occidentali non hanno scelta: devono, a tutti i costi, tagliare i costi il più rapidamente e profondamente possibile.

Pertanto, la soluzione più semplice (dopo quella di sovraccaricare i clienti) è quella di licenziare decine di migliaia di dipendenti. Ed è quello che sta accadendo. Ma lungi dall'essere un processo controllato, vediamo che più o meno ogni sei mesi i dirigenti delle banche occidentali scoprono di aver sottovalutato la portata dei problemi e sono quindi obbligati ad annunciare ulteriori licenziamenti di massa.

Con la "tempesta perfetta" politica e finanziaria che si profila negli Stati Uniti per il prossimo novembre e dicembre (17), LEAP/E2020 anticipa una nuova serie di annunci di questo tipo ad iniziare dai primi mesi del 2012.

Gli “ammazza-costi” del settore bancario hanno alcuni buoni trimestri di fronte, quando vediamo la Goldman Sachs, anch’essa colpita direttamente da questa situazione, costretta a limitare il numero di piante verdi nei suoi uffici per risparmiare denaro (18). Anche se, dopo aver sradicato le piante verdi, sono di solito "gli scivoli rosa (pink slip)" (19) a fiorire.

La decimazione del numero di banche

In un certo senso, il sistema bancario occidentale sembra assomigliare sempre più all'industria siderurgica occidentale del 1970. Così i " padroni delle ferriere; pensando di essere i padroni del mondo (tra l'altro contribuendo attivamente allo scoppio delle guerre mondiali), proprio come i nostri "banchieri d'affari più importanti" pensavano di essere Dio (come l’amministratore delegato di Goldman Sachs), o come minimo i padroni dell'universo . E l'industria siderurgica è stata la "punta di diamante", l’«esempio economico assoluto» del potere per decenni. Il suo potere è stato misurato in decine di milioni di tonnellate di acciaio, proprio come il potere in miliardi di bonus per i dirigenti delle banche d'affari e dei commercianti negli ultimi decenni. E poi, in due decenni per l'industria dell'acciaio, in due/tre anni per le banche (20), l'aria è cambiata: l'aumento della concorrenza, il crollo dei profitti, i licenziamenti di massa, la perdita di influenza politica, la fine dei sussidi di massa e in ultima analisi, le nazionalizzazioni e/o ristrutturazioni che hanno dato vita ad un settore ridimensionato rispetto a quello che era al suo apogeo (21). In un certo senso, dunque, l'analogia si applica a ciò che si attende per il settore bancario occidentale per il 2012/2013.

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Variazioni di prezzo delle azioni (e, quindi, perdite) per i contribuenti britannici dopo l'acquisizione parziale di RBS e Lloyds da parte del Governo - Fonte: Guardian, 10/2011

Già a Wall Street nel 2008, Goldman Sachs, Morgan Stanley e JP Morgan hanno dovuto improvvisamente trasformarsi in "holding bancarie" per essere salvate. Nella City, il governo britannico ha dovuto nazionalizzare una grande fetta del sistema bancario del paese e in questi giorni il contribuente britannico continua a sostenerne i costi, perché i prezzi delle azioni delle banche sono di nuovo crollati nel corso del 2011 (22). Questa è anche una delle caratteristiche del sistema bancario occidentale nel suo complesso: questi operatori finanziari privati (o società quotate) non valgono praticamente nulla. La loro capitalizzazione in borsa è andata in fumo. Naturalmente questo crea un'opportunità per il contribuente per una nazionalizzazione a basso costo a partire dal 2012 perché è la scelta che sarà imposta agli Stati, negli Stati Uniti come in Europa o in Giappone.

Che si tratti, ad esempio, di Bank of America (23), Citigroup o Morgan Stanley (24) negli Stati Uniti, di RBS (25) o Lloyds nel Regno Unito (26), Société Générale in Francia, Deutsche Bank (27) in Germania, o UBS (28) in Svizzera (29), istituti fra i più importanti "too big to fail” (troppo grandi per fallire) falliranno. Saranno accompagnati da una fascia intera di banche medie o piccole come Max Bank che ha appena presentato istanza di fallimento in Danimarca (30).

Di fronte a questa "decimazione", le risorse degli Stati saranno presto insufficienti, soprattutto in questi tempi di austerità, di entrate fiscali basse e di impopolarità politica del salvataggio delle banche (31). I leader politici, quindi, devono concentrarsi sulla tutela degli interessi dei risparmiatori (32) e dei lavoratori (due settori che hanno ricevuto grandi promesse elettorali) invece di tutelare gli interessi dei dirigenti di banca e degli azionisti [due settori pieni di insidie elettorali, i cui precedenti nel 2008 ne dimostrano l’assoluta inutilità economica (33)]. Questo si tradurrà in un nuovo crollo dei prezzi delle azioni finanziarie (comprese le assicurazioni, considerate molto "vicine" alla situazione bancaria) e in un aumento delle turbolenze degli hedge fund, dei fondi pensione (34) e altri operatori tradizionalmente intrecciatissimi con il settore bancario occidentale. Non c'è dubbio che questo non farà che rafforzare la situazione recessiva generale, limitando il più possibile i prestiti all'economia (35).

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Il debito pubblico globale (1990-2010) (in% sul PIL, i tassi di cambio costanti 2010) - Fonti: BRI / McKinsey, 08/2011

Per semplificare la visualizzazione di questo grafico, si può dire che il mercato bancario occidentale, riducendo in modo significativo la portata e il numero di operatori in questo mercato, deve ridimensionarsi in modo proporzionale. In alcuni paesi, specialmente quelli in cui le grandi banche contano per il 70% o più del mercato bancario, ciò porterà inevitabilmente alla scomparsa di uno o l'altro di questi operatori molto grandi... checché ne possano dire i loro leader, gli stress test o le agenzie di rating (36). Se sei un azionista (37) o cliente di una banca che potrebbe crollare nella prima metà del 2012 ci sono, ovviamente, delle precauzioni da prendere. Offriamo una serie di raccomandazioni in questo bollettino. Se si è funzionari o dipendenti di un tale tipo di istituto, le cose sono più complicate perché ora pensiamo che sia troppo tardi per poter evitare i fallimenti in serie, e il mercato del lavoro bancario è saturo a causa dei licenziamenti di massa. Tuttavia, ecco un consiglio del nostro team se siete un dipendente in uno di questi istituti, se vi è stata fatta un'offerta interessante di dimissioni volontarie, fino ai prossimi pochi mesi accettatela, gli esuberi non saranno su base volontaria e saranno a condizioni molto meno favorevoli.

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Note:

(1) La decimazione è stata una pena capitale militare romana che comportava la morte di un legionario su dieci quando l'esercito aveva mostrato codardia in battaglia, disobbedienza o comportamenti inappropriati. Il sistema romano di decimazione veniva effettuato tramite sorteggio.

(2) Regolamenti che tassano severamente le attività bancarie più redditizie. Fonte: The Independent , 2011/12/10

(3) Il nostro team crede che la percentuale si collocherà tra il 10% e il 20%.

(4) Nebbia di guerra a cui i media mainstream incidentalmente contribuiscono in larga misura invece di cercare di chiarire la situazione.

(5) Considerando la decimazione in senso lato, vale a dire un netto calo che può essere molto maggiore di quello dell’epoca romana del 10%.

(6) Per quanto riguarda LEAP/E2020, questo tipo di classificazione non prevede nulla giacché l’attuale shock ha intensità più alta e durevole delle ipotesi degli stress test. E questo vale anche per le banche degli Stati Uniti, naturalmente.

(7) Tutto considerato per quanto riguarda Barack Obama, in posizione difficile per le prossime elezioni presidenziali a causa dei suoi risultati economici disastrosi e la profonda delusione della maggior parte di coloro che hanno votato per lui nel 2007 a causa delle sue molte promesse non mantenute, deve a tutti i costi cercare di incolpare qualcuno o qualcosa per lo stato disastroso dell'economia e della società americana. Allora perché non la Grecia e l'euro? Quando questo non funziona più (in un paio di mesi), sarà necessario trovare qualcos'altro, ma la gestione miope è una specialità dell’amministrazione Obama; senza dubbio il suo segretario al Tesoro Timothy Geithner, fedelmente legato a Wall Street, troverà un'altra spiegazione. In ogni caso, non è colpa di Wall Street, possiamo almeno essere certi di questo. Altrimenti, l'amministrazione Obama tirerà sempre fuori il "fantasma dell'Iran" per cercare di distogliere l'attenzione dai problemi interni degli Stati Uniti. Per inciso, questa sembra essere la situazione attuale con la storia farlocca del tentato assassinio dell'ambasciatore saudita a Washington a opera di trafficanti di droga messicani pagati dai servizi segreti iraniani. Anche Hollywood si sarebbe fermata di fronte all'improbabilità di un tale scenario, tranne che per “salvare il soldato "Wall Street" e cercare di essere rieletto, non vale la pena di provare? Fonti: Huffington Post , 26/07/2011, NBC , 13/10/2011

(8) Questi “media mainstream” (finanziari o generalisti) hanno, infatti, una storia brillante nella previsione delle crisi. Vi ricordate li loro titoli nel 2006 che mettevano in guardia sulla crisi dei subprime nel 2007, annunciando l’”implosione” di Wall Street del 2008 e, ovviamente, all'inizio del 2011 parlando di un ritorno importante della crisi nell'estate 2011! Non vi ricordate? Non preoccupatevi, la vostra memoria è buona ... perché non hanno mai fatto dei titoloni nei giornali, non ci hanno mai avvertito di questi grandi eventi e delle loro cause. Quindi, se si continua a pensare che, come ripetono tutti i giorni, i problemi attuali sono causati “dalla Grecia e dall'euro", vuol dire che si pensa che siano improvvisamente diventati tutti onesti, intelligenti e perspicaci ... e che si deve quindi anche credere alla stessa maniera a Babbo Natale. È accattivante, ma non molto efficace per affrontare il mondo reale.

(9) Per lungo tempo, il nostro team ha continuato a sottolineare le difficoltà europee, anticipando piuttosto correttamente l'evoluzione della crisi nel «Vecchio Continente». Ma cerchiamo di non cadere vittima della sindrome dell’”albero europeo” che nasconde la foresta dei grandi problemi degli Stati Uniti e del Regno Unito.

(10) Un cenno di formazione: coloro che hanno scommesso sul collasso dell’euro un mese fa hanno di nuovo perso del denaro. Seguendo il ritornello della "fine della crisi dell'euro" che arriva circa ogni 4 mesi, non avranno più molto nelle loro tasche nel 2012. Mentre gli Stati Uniti per esempio non sono stati in grado di dimostrare la loro capacità di superare la contrapposizione tra repubblicani e democratici sul controllo del loro deficit.

(11) Mentre gli Stati Uniti, per esempio, non sono stati in grado di dimostrare la loro capacità di superare l'opposizione repubblicana e democratica sul controllo dei loro deficit.

(12) È spaventoso vedere la preoccupazione del G20 per l'euro, mentre la questione centrale del futuro è il dollaro. Ovviamente, l'enorme operazione di manipolazione dei media lanciata da Washington e Londra sarà riuscita ancora una volta a rinviare, per un certo tempo, la messa in discussione inevitabile dello stato centrale della valuta statunitense. Come anticipato dal nostro team, non ci si può aspettare nulla dal G20 fino alla fine del 2012. Si continuerà a parlare, far finta di agire e di ignorare di fatto le questioni chiave, quelle che sono le più difficili da mettere sul tavolo. I recenti annunci di un aumento delle risorse per il Fondo monetario internazionale sono parte di questo parlare a vuoto che non avrà un seguito perché i BRICS (gli unici in grado di aumentare i fondi del FMI) non finanzieranno un istituto in cui essi continuano ad avere solo un’influenza marginale. Nel frattempo, questi annunci fanno credere che c'è ancora un impegno comune per l'azione internazionale. L'allarme sarà tanto più doloroso nei mesi a venire.

(13) Se pensate alla Grecia è perché siete greci o siete un dirigente azionista di una banca che ha prestato troppo al paese negli ultimi dieci anni

(14) E in un certo senso anche per i due Stati interessati. Ma questo è già un punto controverso, e ampiamente discusso per quella materia, sapere se tali mercati finanziari sono una benedizione o una maledizione per gli Stati e le persone che li ospitano.

(15) "Quando un dito indica la luna, lo sciocco guarda il dito"

(16) Tra la crescente integrazione di Eurolandia, che priva la città di mercati redditizi e più stretti legami economici, finanziari e monetari con il BRICS, bypassando Wall Street e la City, sono sempre più le quote di mercato finanziario globale in fuga da Londra e dalle banche di New York.

(17) Cfr. GEAB N ° 57

(18) Fonte: Telegraph , 19/08/2011

(19) Negli Stati Uniti lo «scivolo rosa» è un modo di dire che indica il licenziamento. Fonte: Wikipedia

(20) Ci vuole più tempo per riposizionare l'industria pesante che la scrivania di un venditore.

(21) Questa è, più o meno, la procedura seguita negli Stati Uniti e in Europa.

(22) Cfr. tabella qui sopra.

(23) Bank of America si trova sicuramente nel bel mezzo di una confluenza di grandi e crescenti problemi: ha subito una causa legale da 50 miliardi dollari per aver occultato le perdite per l'acquisizione di Merrill Lynch a fine 2008, una chiusura dei conti in massa da parte dei clienti a seguito della decisione unilaterale di imporre 5 dollari di costo aggiuntivo mensile per le carte bancomat, un guasto lungo e inspiegabile del suo sito web; una serie di processi che coinvolgono oltre ai subprime singoli proprietari ed enti locali, e la minaccia di mandare la Countrywide (che concede i mutui immobiliari ndr) in fallimento, un’altra delle sue acquisizioni nel 2008, per limitarne le perdite. Secondo LEAP/E2020, incarna la banca ideale degli Stati Uniti per uno scenario di crack tra novembre 2011 e giugno 2012. Fonti: New York Times, 27/09/2011; ABC, 30/09/2011; Figaro, 29/06/2011, CNBC, 30/09/2011, Bloomberg, 16/09/2011

(24) La banca statunitense che, nel 2008, ha ricevuto la più grande fetta di finanziamenti pubblici e che, ancora una volta, sta mettendo nel panico i mercati. Fonti: Bloomberg, 30/09/2011; Zerohedge, 2011/04/10

(25) Una delle banche più vulnerabili in Europa. Fonte: Telegraph, 14/10/2011

(26) che è essa stessa a non veder l'ora che le applichino un taglio nel suo rating. Fonte: Telegraph, 2011/12/10

(27) La banca tedesca leader, che è già esposta a un taglio del rating di credito. Fonte: Spiegel, 14/10/2011

(28) Anche UBS va verso un taglio del rating di credito. Fonte: Tribune de Genève, 15/10/2011

(29) Société Générale, Deutsche Bank e UBS hanno un punto in comune di particolare interesse: tutte e tre si precipitarono negli Stati Uniti "El Dorado" negli ultimi dieci anni, investendo come marinai ubriachi nella bolla finanziaria Usa (Deutsche Bank in subprime, mentre Société Générale in CDS e UBS in evasione fiscale). Oggi, non sanno come uscire da questo vortice che le spinge sempre più a fondo ogni giorno. En passant, ricordiamo che nel 2006, avevamo raccomandato che le istituzioni finanziarie europee si liberassero dai mercati statunitensi nel più breve tempo possibile, che ci apparivano alquanto pericolosi.

(30) Fonte: Copenhagen Post, 2011/10/10

(31) Anche la BBC, certamente segnata da tumulti nel Regno Unito nell'estate 2011, si pone una domanda, "impensabile" appena un anno fa, per il tipo di media che rappresenta: gli Stati Uniti si possono aspettare dei disordini sociali? Porre la domanda obbliga a una risposta. E in Europa, un paese come l'Ungheria, con un governo Social-nazionalista, ha accusato direttamente le banche, soprattutto quelle straniere, di essere responsabili della crisi di fronte al paese. Fonte: BBC , 20/09/2011; New York Times, 29/10/2011

(32) Di cui un numero sempre maggiore hanno cominciano a ribellarsi contro le pratiche del sistema bancario, soprattutto negli Stati Uniti dove le proteste contro Wall Street sono in crescita esponenziale, indebolendo le principali banche degli Stati Uniti giorno dopo giorno. Fonti: CNNMoney, 2011/11/10, MSNBC, 2011/10/11

(33) Ed è ancora peggio dell’inutilità economica dal momento che un recente studio ha dimostrato che le banche che hanno ricevuto dei finanziamenti pubblici hanno successivamente dimostrato di essere più inclini a fare investimenti rischiosi. Fonte: Huffington Post, 16/09/2011

(34) I fondi pensione pubblici degli Stati Uniti sono ora di fronte ad una voragine finanziaria stimata tra uno e tre trilioni di dollari. Saranno le autorità pubbliche degli Stati Uniti a scegliere se salvare le banche o i loro pensionati? Perché si stanno apprestando a fare questa scelta. Fonte: MSNBC, 23/09/2011

(35) Fonte: Telegraph, 2011/02/10

(36) Nessuna di queste banche sono in grado di resistere alla recessione globale e l’implosiva fusione di asset finanziari che saranno prevalenti nei prossimi mesi.

(37) Avremmo potuto anche sviluppare il punto sulla situazione a cui stiamo assistendo cioè al processo di «decimazione degli azionisti della banca».

di GEAB

19 ottobre 2011

Il modello argentino funziona: c'è vita dopo il default e dopo il FMI


L'esempio argentino di dire no al Fondo Monetario ed ai suoi creditori viene discusso nei paesi europei, in particolare in Grecia, Portogallo e Irlanda, come alternativa alla brutale austerità dettata da Bruxelles e dal Fondo Monetario. Per tutta risposta, l'FMI e l'amministrazione Obama hanno rinnovato i loro attacchi contro l'Argentina, annunciando che avrebbero votato contro nuovi prestiti al paese da parte della Banca Mondiale. Poco prima, a metà settembre, la direttrice dell'FMI Christine Lagarde ha dichiarato che il Fondo non avrebbe usato i dati dell'ente di statistica ufficiale argentino per valutare il PIL ed il tasso di inflazione del paese, perché tali dati sarebbero "troppo inattendibili". Invece, l'FMI raccoglierà dati tramite "consulenti privati".

Le ha risposto la Presidente argentina Cristina Fernandez de Kirchner, in un discorso nella provincia di Mendoza il 26 settembre. Non solo fu il FMI a causare la crisi del 2001 e l'insolvenza dell'Argentina, ha accusato la Fernandez, ma oggi "nel mezzo del più grave fallimento nella storia recente…coloro che furono direttamente responsabili del fallimento dell'Argentina nel 2001, e di quello dell'Europa e degli Stati Uniti oggi, stanno ancora cercando di costringere il mondo ad inghiottire la stessa medicina che diedero a noi per dieci anni e che ci portò alla rovina! Tanta idiozia, tanta testardaggine è inconcepibile. Come possono dire che l'economia verrà riattivata e crescerà con l'austerità? Non ha alcun senso!"

Si sappia, prosegue la Presidente argentina, che "da noi le decisioni sulla politica economica vengono prese nella Casa Rosada (il palazzo presidenziale) ed al Congresso nazionale, all'interno delle nostre istituzioni nazionali" e non in enti di consulenza privata o dettati da enti finanziari stranieri. Negli anni Ottanta e negli anni Novanta, ha ricordato la Presidente, il Congresso argentino si fece in quattro per attuare il diktat straniero "eppure il mondo continuò a crollare, e l'Argentina continuò a crollarci addosso".

La Kirchner era a Mendoza per inaugurare l'espansione della rete elettrica, e nel farlo ha ricordato che il suo defunto marito, il Presidente Nestor Kirchner, amava costruire infrastrutture "perché sosteneva che questo era il progresso". Quando si porta l'energia e l'elettricità a regioni che non ce l'hanno "si porta l'eguaglianza, la sovranità e il federalismo in posti che erano stati ignorati storicamente". Ha ricordato il primo discorso di Nestor all'Assemblea Generale dell'ONU nel 2003, in cui disse che all'Argentina bisogna permettere di crescere, perché non aveva mai sentito di morti che possono pagare i loro debiti.

Ha citato quello stesso discorso all'Assemblea Generale dell'ONU il 21 settembre scorso. Allora, quasi un quarto della popolazione argentina era senza lavoro, e i livelli di indigenza e povertà superavano il 50%, dopo il default del paese nel 2001. Negli 8 anni successivi, ha detto la Kirchner, "l'Argentina ristrutturò il suo debito, riducendolo dal 160% a meno del 30% del PIL. I livelli di povertà e indigenza scesero a una cifra, e stiamo ancora continuando questa battaglia. Abbiamo un tasso di disoccupazione che è il più basso mai avuto".

"Nel 2003 destinavamo il 2% del PIL all'istruzione ed il 5% a pagare il debito. Oggi l'Argentina destina il 6,47% del PIL all'istruzione e il 2% del PIL a pagare il debito...

A Mendoza la Presidente argentina ha sottolineato il fatto che tutto ciò che hanno fatto lei e suo marito mirava a "liberare" il popolo argentino, e particolarmente i giovani, lasciando loro "un paese migliore, liberandoli dalla miseria, dal fallimento, dalla frustrazione e dalla povertà".

by (MoviSol)

18 ottobre 2011

La Russia si offre di contribuire a rimettere in sesto l'economia greca


Parlando al Forum di Rodi sul Dialogo tra le Civiltà, che si è tenuto sull'isola greca di Rodi dal 6 al 10 ottobre, il co-fondatore dell'evento Vladimir Yakunin ha denunciato la globalizzazione ed il "capitalismo da bisca". Stando al Bollettino del Patriarcato di Mosca della Chiesa Ortodossa Russa, ha sottolineato che la crisi attuale è il risultato della globalizzazione, il cui risultato principale è la "creazione di un'economia finanziaria virtuale, completamente libera, e completamente divorziata dall'economia reale. Tale libertà, che è più simile alla licenza, è diventata mortale per lo sviluppo della società".

Yakunin, che è anche amministratore delegato delle Ferrovie Russe, è uno dei principali promotori di grandi progetti ferroviari, incluso il tunnel sotto lo stretto di Bering, così come della crescente alleanza trans-pacifica per lo sviluppo globale.

Solo una settimana prima si era tenuta a Rodi un'altra conferenza sui "nuovi orizzonti dei rapporti economici nella politica di investimenti, il commercio e il turismo", dove è intervenuto Mikhail Dmitriev, presidente del Centro per la Ricerca Strategica di Mosca. Nel corso di un intervento ad ampio raggio su come la Russia potrebbe contribuire alla ripresa dell'economia greca, Dmitriev ha sottolineato l'"esperienza del suo paese nel traffico merci e passeggeri" ed ha offerto alla Grecia di unirsi alla Russia in progetti chiave per la Ferrovia Transiberiana. In effetti, la Russia intende estendere il proprio scartamento ferroviario (1.520 metri) a Bratislava e Vienna, in modo da poter generare un transito di massa di container dall'Asia orientale al cuore dell'Europa tramite la Transiberiana, aprendo enormi opportunità nuove di traffico merci anche per la Grecia.

Dmitriev ha sottolineato anche "le enormi opportunità di costruirà un'alleanza nei trasporti e nelle spedizioni" tra i due paesi, che potrebbero includere anche investimenti nei porti della Grecia ed un miglioramento dei rapporti con i porti del Mar Nero in Russia, così come nell'agricoltura, giacché la Russia "resta un mercato di esportazione quasi intoccato" per certi prodotti agricoli greci che non vengono prodotti in Russia.

Commentando questa offerta, una fonte greca coinvolta nel miglioramento dei rapporti economici con la Russia ha dichiarato all'EIR che con i russi ed i cinesi che vogliono sviluppare collegamenti ferroviari a partire da Shanghai, attraversando la Russia e l'Europa, la Grecia potrebbe diventare parte di questo raccordo euroasiatico dei trasporti. Disgraziatamente, ha aggiunto, l'attuale governo greco ha respinto l'offerta, ovviamente su ordini dell'UE e dei suoi creditori, agendo quindi come dei "traditori".

In effetti circola voce che il governo greco voglia letteralmente regalare le sue ferrovie ai francesi, per pagare il debito estero impagabile della Grecia, ha commentato la forte, invece di accettare crediti reali per gli investimenti dalla Russia.

by (MoviSol)

17 ottobre 2011

Sognare è la sorte dei deboli: attenti ai cialtroni






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Ogni epoca è vissuta da uomini che si lamentano della decadenza e della corruzione del proprio tempo. A volte si tratta di una mera attitudine caratteriale (certa gente deplorerebbe gli sbalzi della vita in qualsiasi caso), ma più spesso si tratta di una percezione psicologica inevitabile allorché il soggetto si smarrisce al cospetto di eventi che non stanno mai fermi e trasfigurano il mondo davanti ai suoi occhi. La caduta delle precedenti convinzioni e la perdita di stabilità nei diversi ambiti sociali (politici, economici culturali), soprattutto nelle fasi di immensi cambiamenti, ingenerano nell’individuo la paura di quello che si manifesterà innanzi, il timore di non riuscire a comprendere la direzione in cui evolveranno gli avvenimenti, la propria collocazione rispetto alle novità ed il proprio ruolo nella Storia. Tuttavia, c’è da distinguere tra una “degenerazione” relativa che è sempre possibile correggere in quanto è solo spaesamento soggettivo di fronte ad una oggettività in mutamento, da una degenerazione assoluta che è peggioramento complessivo della situazione senza movimento mentale da parte di chi, per inedia e mancanza di strumenti di discernimento, subisce le metamorfosi sociali senza nemmeno tentare di comprendere e direzionare i processi in atto nelle diverse sfere dell’esistenza associata. L’oscuramento intellettuale di chi dovrebbe fornire risposte meno estemporanee e banali sulla crisi in gestazione (perchè siamo ancora agli inizi), dicendosi dalla parte degli esclusi dai percorsi decisionali, è la prova lampante che il sistema dei capitalismi sta già incedendo indisturbato a riconfigurarsi secondo le sue logiche e dinamiche(sempre conflittuali) intrinseche che condurranno ad una ridefinizione dei rapporti di forza tra le formazioni nazionali all’interno della formazione capitalistica globale. I poveri in saccoccia si troveranno ancora in mezzo a questi fenomeni restandone stritolati, mentre i poveri di zucca, ma bravi a parole, si ricicleranno facendo carriera e servendo altri padroni. Oggi mi pare che siamo in questa condizione e troppi dati lo confermano. Appena ieri leggendo Schopenhauer e il suo “Il mondo come volontà e rappresentazione” coglievo tali aspetti, laddove nell’introduzione alla seconda edizione del 1844, egli registrava l’involuzione morale dei suoi contemporanei e la perdita di spirito dei suoi anni. Ma erano appunto in procinto di scoppiare grandi accadimenti a sostegno del fatto che quella società era in ebollizione, in essa brulicavano corpi collettivi in cerca di vie alternative e innovative per costruire un altro futuro. Non c’era ristagno ideologico e alterazione etica perché non si aveva lo sguardo rivolto ad un passato fuori dal periodo storico come avviene per i nostri tempi in cui si conciona a vanvera di edificazione dell’avvenire con materiali di vecchie e sepolte generazioni. Inoltre, lui aveva come interlocutori quelli che spesso definiva, un po’ ingiustamente, vacui (Fichte e Schelling) e ciarlatani (Hegel) ma che erano pur sempre eccelsi pensatori e non improvvisatori di narrazioni per masse di studenti sciocchi e incolti, pronte ad essere mandate al macello o a trasformarsi in squadracce. Giganti che fanno rimpicciolire a formichine gli pseudo-intellettualini di oggi i quali arringano le moltitudini al fine di vendere i loro squallidi e inutili libri o occupare posticini nell’accademia. Non voglio annoiarvi con la filosofia di cui per altro non sono esperto, ma dopo aver letto il discorso di Slavoj Zizek tenuto ai manifestanti del movimento “Occupy Wall street” a New York, apparso su Liberazione, e l’intervista all’ex pot-op Franco Berardi Bifo, pubblicata sulla Stampa, mi sono caduti i coglioni per terra. Mentre Bifo ha dichiarato che non siamo mai stati così vicini al comunismo come in questo momento (facile sperare e sparare siffatte cazzate quando si hanno nel cervello i chip resettati) Zizek offriva, sotto il tempio della finanza Usa, a giovani affamati di stupidaggini, le sue croste teoriche sulla nonviolenza e la fine del capitalismo. Costoro sono sempre i primi a blaterare di rivolgimenti inevitabili che conducono all’eden degli sfruttati, ma lo fanno per meglio obnubilare le traiettorie evenemenziali ed impedire che qualcosa cambi davvero. In momenti incasinati come questi, gli imbonitori e i depistatori spuntano come funghi perchè sono gli anticorpi che il sistema libera nell’organismo sociale per attaccare le idee non conformi che possono mettere a rischio la sua tenuta. Questa frotta di stregoni è pericolosa e va isolata senza tentennamenti. Tali truffatori vi parleranno sempre di un mondo migliore e di sogni rivoluzionari perché il loro mestiere è proprio quello di far affaticare il pensiero critico dietro alla processione utopie irrealizzabili, per dare il colpo di grazia a chi si lascierà disorientare e stremare dalle chimere irraggiungibili. Ricordatevi delle parole di Pasolini (oh generazione sfortunata… tu obbedisti disobbedendo), di Brecht (al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico. La voce che li comanda è la voce del loro nemico. E chi parla del nemico è lui stesso il nemico) e di quelle di Lenin (sognare è la sorte dei deboli).

di Gianni Petrosillo

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=9141


25 ottobre 2011

Parabola del banchiere con cuore a sinistra





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Un profilo dell' ex a.d. di Unicredit, indagato per frode fiscale. Amico di Prodi, siglò l'accordo con Geronzi per l'ingresso in Unicredit della romana Capitalia. Fu poi esautorato con l'intervento attivo di Bisignani: un addio addolcito da una buonuscita milionaria


E' l'ex banchiere che nel 2006 ha votato per Romano Prodi alle primarie dell'Ulivo, come il suo ex diretto concorrente, Corrado Passera di Banca Intesa, il quale però si è avvicinato al governo Berlusconi (e anche per questo, dicono in molti, è ancora al suo posto). Genovese, classe 1957, l'infanzia trascorsa a Palermo e poi, dall'età di 13 anni, a Milano, Alessandro Profumo è l'ex amministratore delegato di Unicredit coinvolto nell'indagine giudiziaria per frode fiscale, nella quale la Procura di Milano il 18 ottobre fa ha fatto sequestrare 245 milioni di euro alla banca.

Profumo sembra un predestinato alla carriera in banca. A vent'anni viene assunto al Banco Lariano e ci resta dieci anni, dopo un po' si iscrive all'università, fa la vita dello studente lavoratore, a 30 anni si laurea in economia alla Bocconi. Poi lavora alla McKinsey, la società di consulenza aziendale nella quale si formano molti manager di successo, li chiamano i Mc Kinsey-boy, una categoria (o una lobby) che non piace a tutti ma che nelle aziende riesce a fare molta strada. Profumo arriva al Credito Italiano nel 1994, un anno dopo la sua privatizzazione e quattro anni dopo, con la nascita del gruppo Unicredit, ne diventa amministratore delegato. Comincia una fase di acquisizioni di istituti minori e di espansione all'estero, culminata nell'acquisizione del gruppo tedesco Hvb nel 2005. L'operazione fa aumentare le dimensioni della banca ma non fa bene al conto economico, perché nelle filiali "austroungariche" si annidano dei problemi.

L'altra grande operazione è nel 2007, l'accordo con Cesare Geronzi per la fusione in Unicredit della romana Capitalia, una banca con molte sofferenze in bilancio ma con forti agganci nei palazzi della politica (da Berlusconi a D'Alema). Rientra nell'accordo con Profumo anche la nomina di Geronzi alla presidenza di Mediobanca, ma con la crisi finanziaria che esplode nel settembre 2008 i conti di Unicredit cominciano a soffrire pesantemente. Comincia la discesa che porterà all'esautoramento di Profumo dopo 13 anni, il 21 settembre 2010.
"Mi mandano via", dice lui stesso due giorni prima del consiglio di amministrazione che lo esautora. Il motivo non è mai stato spiegato, tuttavia negli ultimi anni i conti della banca non andavano più bene come prima e Profumo, avendo bisogno di fare due aumenti di capitale ravvicinati, aveva trovato l'aiuto della Libia ( http://www.ilpost.it/2010/09/20/unicredit-libia-profumo/ ) , entrata nel capitale con una quota complessiva del 7,5 per cento. Un'avanzata che ha irritato le fondazioni bancarie principali azioniste di Unicredit, soprattutto la Cariverona e la Crt di Torino, guidate dai potenti Paolo Biasi e Fabrizio Palenzona, decisivi per l'allontanamento di Profumo.

Chi si è dato molto da fare per disarcionare il banchiere vicino all'Ulivo è anche uno dei più potenti lobbisti italiani, Luigi Bisignani ( http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/30/p4-bisignani-brigava-per-cacciare-profumo-da-unicredit-lo-sbattiamo-fuori/132806/ ) , già iscritto alla loggia massonica segreta P2 e condannato per la tangente Enimont, dal 15 giugno scorso agli arresti domiciliari nell'indagine sulla P4, una rete di dossier, ricatti, potere. "Lo cacciamo!", confidava Bisignani al telefono a un dirigente dell'Unicredit, Luca De Dominicis, 11 giorni prima delle dimissioni ufficiali.

Profumo viene ricordato come un dirigente che ha tenuto la banca lontano da operazioni politiche, come l'ingresso nel capitale di Telecom Italia e il controverso progetto della nuova Alitalia, operazioni condotte invece dalla Banca Intesa di Passera. L'altra caratteristica del banchiere con il cuore a sinistra è quella di essere stato molto ben pagato, con lo stipendio più alto in Italia: poco più di nove milioni euro lordi nel 2007, l'anno record. Un primato che ha confermato al momento dell'addio, addolcito da una buonuscita di circa 40 milioni di euro al lordo delle tasse, più un'erogazione in beneficenza di due milioni fatta dalla banca, su sua indicazione, alla Casa della carità di don Colmegna. Attualmente l'ex banchiere è nel consiglio di sorveglianza di una banca russa, la Sberbank e in maggio è entrato nel consiglio di amministrazione dell'Eni. Nel gruppo pubblico del petrolio e del gas, guidato da un altro ex McKinsey, Paolo Scaroni, lavora come dirigente la moglie di Profumo, Sabina Ratti.
di Gianni Dragoni

24 ottobre 2011

Condividi: Panico Usa: è Wall Street a detenere il nostro debito

Gli Usa sono letteralmente terrorizzati: se crolla uno Stato europeo, uno qualsiasi, vanno in crisi le grandi banchefrancesi e tedesche sorrette da Wall Street. Ecco perché Washington è così attenta alla crisi europea e raccomanda a Bruxelles di scongiurare il rischio di default, a cominciare da quello della Grecia: il collasso a catena porterebbe alla bancarotta delle centrali finanziarie statunitensi. Lo afferma Robert Reich, docente di politiche pubbliche all’università californiana di Berkeley, già ministro del lavoro del presidente Clinton nonché autore di tredici libri. «Perché l’America dovrebbe essere così preoccupata? Se volete sapere la vera ragione, seguite i soldi. Un default greco (o irlandese, spagnolo, italiano o portoghese) avrebbe sul nostro sistema finanziario lo stesso effetto dell’implosione della Lehman Brothers nel 2008. Il caos finanziario».

E’ l’analista Debora Billi a sottolineare l’intervento di Reich affidato al web: «Sì, esportiamo in Europa – ammette il professore – ma le esportazioni non Timothy Geithnerfiniranno e, in ogni caso, sono una goccia nel mare dell’economia statunitense». Se il presidente della Fed, Ben Bernanke, ha «unito la sua voce a quella di coloro che sono preoccupati per la crisi del debito europea», la vera ragione risiede nella drammatica fragilità del sistema finanziario creato da Wall Street ed esteso all’Europa: «Un default della Grecia o di qualsiasi altra nazione europea affogata nei debiti – scrive Reich – può facilmente colpire lebanche tedesche o francesi, che hanno prestato molto alla Grecia». E qui «entra in ballo Wall Street», che «ha prestato una montagna di soldi allebanche tedesche e francesi».

La totale esposizione all’eurozona, continua Reich, è pari a 2700 miliardi di dollari, e quella verso Francia e Germania rappresenta circa la metà del totale. E non sono solo i prestiti alle banche tedesche e francesi ad essere preoccupanti: «Wall Street è anche coinvolta in ogni sorta di derivati emessi dall’Europa – sull’energia, la moneta, i tassi di interesse e di cambio. Se una banca tedesca o francese fallisce, l’effetto domino è incalcolabile». Capito? Seguite i soldi, raccomanda Reich: «Se la Grecia crolla, gli investitori cominceranno a fuggire da Irlanda, Spagna, Italia e Portogallo. Tutto ciò farà annaspare le banchetedesche e francesi. Se una di queste banche collassa, o mostra gravi segni di stress, Wall Street è in guai seri. Persino in guai più seri che dopo la Lehman Brothers».

Ecco perché le azioni delle principali banche Usa sono scese così tanto nel mese scorso, osserva l’economista californiano, fiutando il peggio: Morgan Stanley ha chiuso al punto più basso dal dicembre 2008. La gigantesca banca d’affari mondiale è in pericolo, sottolinea Debora Billi nel suo blog “Crisis.blogosfere“: «Reich sostiene che, se le banche europee falliscono, la Morgan può perdere 30 miliardi di dollari», ovvero «2 miliardi in più del totale dei suoi assets», pur sostenendo di non avere alcuna esposizione Robert Reichverso lebanche francesi: «In realtà, l’esposizione deriva da assicurazioni, derivati e swaps. Ecco perché a Washington sono terrorizzati – e perché il segretario al Tesoro Tim Geithner continua a supplicare gli europei di salvare la Grecia e le altre nazioni indebitate».

«Non vi confondete», avverte la Billi: «Gli Usa vogliono che l’Europa salvi le nazioni indebitate così che esse possano ripagare le banche europee. Altrimenti, le banche potrebbero implodere – portando Wall Street con loro. E una delle tante ironie è che alcune delle nazioni indebitate (l’Irlanda è l’esempio migliore), si trovano in tale situazione proprio perché hanno fatto un bailout alle loro banche nella crisi che è cominciata a Wall Street. Chiuso il cerchio». In altre parole, conclude Debora Billi, non è la Grecia il problema. Né l’Italia, il Portogallo, o la Spagna. «Il vero problema è il sistema finanziario – centrato a Wall Street. E noi non l’abbiamo ancora risolto».

di Giorgio Cattaneo

23 ottobre 2011

Capitalismo produttivo, finanziario, di Stato & sociale



Si fa presto a dire capitalismo. Fa presto sia chi ne elogia le infallibili virtù, tanto chi se ne dichiara “anti” o “contro”. Ma di quale capitalismo si tessono gli elogi e di quale, invece, ci si dichiara fieri avversori? Perché di capitalismi ce ne sono molti. Perfino il comunismo, che dai più è considerato il suo esatto opposto, può essere definito come tipologia di capitalismo: di stato – certo – ma pur sempre capitalismo. Se per capitale, infatti, si intende la quantità di moneta e altri beni monetizzabili, come i mezzi di produzione, posseduti da uno o più individui, trasferire il capitale dall’individuo allo stato, dal privato al pubblico, non cambia poi di molto la questione. Semmai, la distinzione fra capitalismo e comunismo si pone sugli effetti prodotti da questa ideologia della proprietà, a partire dal profitto, dal superprofitto e, soprattutto, dalla loro destinazione d’uso. Ma qui siamo già a valle del processo capitalistico: quando, cioè, il capitale inizialmente investito produce il suo frutto. A monte, invece, la distinzione va fatta proprio sul tipo di investimento scelto ed operato dal capitalista. E qui le opzioni sono due: capitalismo produttivo e capitalismo finanziario. Almeno inizialmente, la differenza era netta: il primo investiva in attività produttive di imprese e servizi, ne assumeva il rischio e offriva lavoro. Il secondo si limitava a prestare capitale a chi non ne possedeva, con poco o nessun rischio (sin dall’antichità l’insolvenza del debitore era punita drasticamente fino al massimo della pena: la schiavitù dell’insolvente che diventava, così, “proprietà” del creditore) e, soprattutto, senza produrre altro che denaro dal denaro. Per sé e solo per sé. Tanto era chiara la distinzione che i redditi del capitalismo produttivo si chiamavano “guadagni” (poi, “profitti”) e quelli del capitalismo finanziario, “interessi” o, in caso di eccesso della domanda di restituzione del prestito originario, “usura”.

La distinzione rimase evidente per secoli: difficilmente il finanziere diventava produttore o il produttore, finanziere. I ruoli cominciarono a diventare meno nitidi sul finire del Medio Evo, quando a Genova, nel 1406, nacque la prima banca moderna: il Banco di San Giorgio. Oh, la banca! questa sovrana istituzione privata che è diventata l’incubo dei giorni nostri. Va detto che all’inizio non fu neanche una cattiva idea, offrendosi, la banca, come mediatrice riconosciuta e garante del passaggio di denaro fra risparmiatori e imprenditori. Lo scambio aveva dei costi (differenza fra interesse dato a chi depositava i suoi risparmi e quello chiesto all’imprenditore che fruiva del prestito) ma i vantaggi dovuti dal vertiginoso aumento dalla circolazione del denaro e dai suoi investimenti produttivi furono enormi. Tanto che, con un’accelerazione incredibile a quei tempi, Genova divenne la potenza economica ricordata dalla storia. Gli svantaggi? Uno e originario, ma non immediatamente percepito nella sua portata negativa: l’immenso potere della banca di Genova divenne in breve tempo superiore a quello del governo politico. Con quali effetti? Innanzi tutto, con quello di dettare le sue leggi di primato all’intera economia dello stato. A quel punto, appare ovvio, i confini fra capitalismo produttivo e capitalismo finanziario cominciarono ad assottigliarsi fino quasi a non poter distinguere dove comincia l’uno e dove finisce l’altro.

Ma ci vollero altri secoli per poter prendere atto del fenomeno con analisi lucide tipo quella di Vladimir Il’ič Ul’janov, in arte rivoluzionaria e per fama al mondo semplicemente Lenin: «Il vecchio capitalismo, il capitalismo della libera concorrenza, con la borsa suo regolatore indispensabile, se ne va a gambe all’aria, soppiantato da un nuovo capitalismo, nel suo stadio imperialistico, che presenta tutti i segni di un fenomeno di transizione, una miscela di libera concorrenza e di monopolio. L’ultima parola dello sviluppo del sistema bancario è sempre il monopolio. Nell’intimo nesso tra le banche e l’industria appare, nel modo più evidente, la nuova funzione delle banche. Allo stesso tempo si sviluppa, per così dire, un’unione personale della banca con le maggiori imprese industriali e commerciali, una loro fusione mediante il possesso di azioni o l’entrata dei direttori di banche nei consigli d’amministrazione delle imprese e viceversa. Pertanto si giunge a una sempre maggior fusione, a una simbiosi (Bukharin), del capitale bancario col capitale industriale. L’imperialismo è l’epoca del capitale finanziario e dei monopoli, che sviluppano dappertutto la tendenza al dominio, anziché alla libertà».

Destrutturiamo il suo detto. Il “capitalismo industriale” (o produttivo) si connota con le parole chiave: “libera concorrenza” (di mercato) e “regole” (ce ne sono o potrebbero essercene altre di regole oltre alla “borsa” che, anzi, oggi appare terreno di pertinenza finanziaria ma, per quel che serve, atteniamoci al principio della “regola”). Il capitalismo finanziario (quello delle banche e altri noti istituti) invece, si distingue con i termini: “imperialismo” (oggi, forse, Lenin direbbe globalizzazione), “monopolio” (ma monopolistica, in quanto statale, lo fu anche l’economia sovietica) e “dominio” (in antitesi alla libertà). L’altra parola chiave è “fusione” fra capitalismo produttivo e capitalismo finanziario «mediante – osservava giustamente Lenin – il possesso di azioni o l’entrata dei direttori di banche nei consigli d’amministrazione delle imprese e viceversa».

Ed è esattamente quello che è avvenuto e continua ad avvenire sotto i nostri occhi, anche in Italia. Il vecchio capitalismo produttivo è ormai alla mercé delle banche e delle speculazioni di borsa. Antiche aziende produttive, come la Fiat, vanno trasformandosi in holding finanziarie. Altre, come la Fincantieri, in crisi di commesse, non ottengono credito per riconvertirsi. Le uniche attività di rilievo economico registrabili sono le scalate dei finanzieri nei consigli di amministrazione delle società esposte al debito. Il solo sviluppo accertato è quello della moneta in mano agli squali che cannibalizzano tutto il cannibalizzabile, senza produrre un solo posto di lavoro in più. Gli stati politici, privi di mandato per regolare i mercati finanziari nei superiori casi del bene comune, subiscono gli stessi identici processi delle imprese, aggrediti come sono da chi possiede i suoi titoli e spinge al rialzo l’offerta degli interessi.

Torneranno tempi più normali per questa “povera patria”, come auspicava Franco Battiato nell’omonima canzone? Bisognerebbe, innanzi tutto, mettere una bella capezza (penso ad una robin-tax planetaria, per esempio) al collo dell’usorocrazia mondiale. Poi, a me personalmente, basterebbe entrasse in auge il capitalismo sociale di Adriano Olivetti, l’imprenditore industriale che a Ivrea reinvestiva il superprofitto della sua azienda in beni e servizi socialmente utili per la comunità dei lavoratori. A questo, magari, aggiungerei la richiesta di rendere finalmente esecutivo l’articolo 46 della Costituzione italiana che testualmente recita: «Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende». Niente di più.

di Miro Renzaglia

22 ottobre 2011

Ma la Casta non si indigna di se stessa

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Il ministero dell’Economia, sempre così lento quando si tratta di trovare fondi per lo sviluppo, ha deliberato con lestezza da furetto che il taglio degli stipendi si applica a tutti i dirigenti pubblici tranne che a ministri e sottosegretari. Non solo a lorsignori non verrà più trattenuto neppure un euro, ma con la busta paga di novembre si vedranno restituire con tante scuse le decurtazioni dei mesi scorsi.

Da tempo attendiamo dalla Casta un segnale di rinsavimento, un gesto minimo di coerenza che inauguri qualche cambio d’abitudini. Per far digerire i sacrifici di Ferragosto ci avevano promesso la riduzione dei parlamentari, l’abolizione delle Province e altre prelibatezze. Ma che fine ha riservato l’autunno alle parole fiorite davanti ai microfoni estivi? La riduzione dei parlamentari è appassita all’interno dell’ennesimo progetto di riforma universale delle istituzioni, il Calderolone, che come tutti i suoi predecessori non verrà mai approvato.

L’ abolizione di alcune Province, già annunciata in pompa magna dal governo, è attualmente stipata nell’ultimo ripiano del freezer, in attesa che qualcuno si ricordi di scongelarla, ma vedrete che resterà lì. E il ridimensionamento delle retribuzioni? Per essere sicuri che non si facesse, è stata istituita una commissione apposita che avrebbe dovuto decidere entro il 31 dicembre, se non fosse già nata con la deroga incorporata: fino al 31 marzo, quando si andrà a votare oppure si ricomincerà a prorogare. Ah, ma almeno per i vitalizi nessuna pietà. A-bo-li-ti. Dalla prossima legislatura, naturalmente. E solo dopo la creazione di un nuovo sistema previdenziale. Chi lo indicherà? Ma una commissione. Prorogabile. Prorogabilissima.

Il sondaggio mostrato l’altra sera a Ballarò da Pagnoncelli era piuttosto sconvolgente: il 61% dei cittadini italiani ritiene seriamente che l’intervento prioritario contro la crisi non sia la detassazione del lavoro, la patrimoniale o un piano robusto di lavori pubblici, ma la riduzione del numero dei parlamentari. Con il collega Carlo Bertini, nostro esperto in Casta e dintorni, abbiamo fatto i conti della serva. Gli stipendi e i rimborsi spese di senatori e deputati ci costano 200 milioni di euro l’anno. Dimezzandoli ne risparmieremmo 100. Una benedizione, ma pur sempre una goccia nell’oceano del debito pubblico, ormai prossimo alla soglia psicologica dei duemila miliardi.

Eppure, nell’esprimere la loro opinione economicamente assurda, gli italiani non sono stati affatto stupidi o qualunquisti. Hanno mandato un messaggio politico. Dai loro rappresentanti pretendono qualcosa di cui sentono d’avere terribilmente bisogno: il buon esempio. Provate a immaginare se domattina i leader di destra e di sinistra, smettendo per un giorno di delegittimarsi a vicenda, si presentassero insieme in conferenza stampa per annunciare la volontà di lavorare gratis fino al termine della legislatura. Sarebbe un gesto populista? Può darsi. Ma li renderebbe più autorevoli nel momento in cui si accingessero a chiedere sforzi ulteriori ai contribuenti. Durante la tempesta i capitani che vogliono essere obbediti non si barricano nei propri appartamenti con le scorte di caviale, ma stanno in mezzo alla ciurma condividendone i rischi e i disagi.

Qualcuno mi ha suggerito di scrivere questo stesso articolo tutti i giorni, «finché non si arrendono», ma temo che i lettori si stuferebbero molto prima degli onorevoli. La Casta è totalmente sganciata dal mondo reale. Altrimenti si sarebbe accorta che nel disprezzo che gli italiani manifestano per i suoi stipendi si cela un giudizio più profondo: il disprezzo per l’inutilità del suo lavoro e per l’incompetenza di una parte consistente dei suoi esponenti. Il problema vero non è che guadagnano troppo. E’ che fanno ben poco per meritarsi quel che guadagnano.

Rusconi e Galli della Loggia hanno scritto che l’unica via di uscita dalla sterilità dell’indignazione è il ritorno alla politica. Non però alla delega politica. Se intende sopravvivere, la democrazia non potrà più esaurirsi in una crocetta da apporre su una scheda ogni cinque anni. Quel 61% che considera i politici la rovina del nostro Paese trovi qualche ora del proprio tempo da dedicare alla comunità. Solo ripartendo dal basso si potrà selezionare una classe dirigente nuova, alla quale auguro di guadagnare tantissimo, ma soltanto sulla base dei risultati.

di Massimo Gramellini

21 ottobre 2011

Il modello argentino funziona: c'è vita dopo il default e dopo il FMI


L'esempio argentino di dire no al Fondo Monetario ed ai suoi creditori viene discusso nei paesi europei, in particolare in Grecia, Portogallo e Irlanda, come alternativa alla brutale austerità dettata da Bruxelles e dal Fondo Monetario. Per tutta risposta, l'FMI e l'amministrazione Obama hanno rinnovato i loro attacchi contro l'Argentina, annunciando che avrebbero votato contro nuovi prestiti al paese da parte della Banca Mondiale. Poco prima, a metà settembre, la direttrice dell'FMI Christine Lagarde ha dichiarato che il Fondo non avrebbe usato i dati dell'ente di statistica ufficiale argentino per valutare il PIL ed il tasso di inflazione del paese, perché tali dati sarebbero "troppo inattendibili". Invece, l'FMI raccoglierà dati tramite "consulenti privati".

Le ha risposto la Presidente argentina Cristina Fernandez de Kirchner, in un discorso nella provincia di Mendoza il 26 settembre. Non solo fu il FMI a causare la crisi del 2001 e l'insolvenza dell'Argentina, ha accusato la Fernandez, ma oggi "nel mezzo del più grave fallimento nella storia recente…coloro che furono direttamente responsabili del fallimento dell'Argentina nel 2001, e di quello dell'Europa e degli Stati Uniti oggi, stanno ancora cercando di costringere il mondo ad inghiottire la stessa medicina che diedero a noi per dieci anni e che ci portò alla rovina! Tanta idiozia, tanta testardaggine è inconcepibile. Come possono dire che l'economia verrà riattivata e crescerà con l'austerità? Non ha alcun senso!"

Si sappia, prosegue la Presidente argentina, che "da noi le decisioni sulla politica economica vengono prese nella Casa Rosada (il palazzo presidenziale) ed al Congresso nazionale, all'interno delle nostre istituzioni nazionali" e non in enti di consulenza privata o dettati da enti finanziari stranieri. Negli anni Ottanta e negli anni Novanta, ha ricordato la Presidente, il Congresso argentino si fece in quattro per attuare il diktat straniero "eppure il mondo continuò a crollare, e l'Argentina continuò a crollarci addosso".

La Kirchner era a Mendoza per inaugurare l'espansione della rete elettrica, e nel farlo ha ricordato che il suo defunto marito, il Presidente Nestor Kirchner, amava costruire infrastrutture "perché sosteneva che questo era il progresso". Quando si porta l'energia e l'elettricità a regioni che non ce l'hanno "si porta l'eguaglianza, la sovranità e il federalismo in posti che erano stati ignorati storicamente". Ha ricordato il primo discorso di Nestor all'Assemblea Generale dell'ONU nel 2003, in cui disse che all'Argentina bisogna permettere di crescere, perché non aveva mai sentito di morti che possono pagare i loro debiti.

Ha citato quello stesso discorso all'Assemblea Generale dell'ONU il 21 settembre scorso. Allora, quasi un quarto della popolazione argentina era senza lavoro, e i livelli di indigenza e povertà superavano il 50%, dopo il default del paese nel 2001. Negli 8 anni successivi, ha detto la Kirchner, "l'Argentina ristrutturò il suo debito, riducendolo dal 160% a meno del 30% del PIL. I livelli di povertà e indigenza scesero a una cifra, e stiamo ancora continuando questa battaglia. Abbiamo un tasso di disoccupazione che è il più basso mai avuto".

"Nel 2003 destinavamo il 2% del PIL all'istruzione ed il 5% a pagare il debito. Oggi l'Argentina destina il 6,47% del PIL all'istruzione e il 2% del PIL a pagare il debito...

A Mendoza la Presidente argentina ha sottolineato il fatto che tutto ciò che hanno fatto lei e suo marito mirava a "liberare" il popolo argentino, e particolarmente i giovani, lasciando loro "un paese migliore, liberandoli dalla miseria, dal fallimento, dalla frustrazione e dalla povertà".

by MoviSol

20 ottobre 2011

Italia: un Paese di cittadini ipnotizzati





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Il Presidente del Consiglio dichiara che "non ci sono soldi per lo sviluppo" - e gli imprenditori gli rispondono che "il tempo è scaduto. Ora bisogna fare", come se si potesse davvero fare qualcosa nel senso che vorrebbero, in una crisi "di crescita" dalla quale si pretende di uscire con ulteriore crescita. La Fiat perde quasi un altro 8% nelle vendite rispetto a un anno addietro, Standard & Poor's taglia il rating a ventiquattro Banche italiane e il nostro spread con i Titoli di Stato tedeschi ritorna alla soglia dei 380 punti.
Nel frattempo l'inflazione torna a salire grazie ai prezzi al consumo dei prodotti che, nel nostro mondo, non è possibile evitare di comperare: carburanti in primo luogo, e presto, vedremo, gas e combustibile per il riscaldamento, dunque energia elettrica e insomma ciò che, in un Paese come il nostro, che insieme a tanti altri dipende fortemente dalle energie non rinnovabili, serve semplicemente per vivere. Ovvero per non rimanere al buio e al freddo, oltre che per mangiare, visto che la maggior parte della nostra merce, cibo in primo luogo, viaggia ancora migliaia di kilometri prima di raggiungere le nostre tavole.
Siamo un Paese che - salvo rarissime sacche di resistenza, anzi di rinascita, ovvero decrescita - non consuma cibo locale, non usa mezzi alternativi di trasporto (complice il sistema fatiscente del nostro servizio pubblico e la pigrizia, in molti casi) e non ha in larghissima maggioranza neanche il pensiero culturale per decidersi a investire, anche in proprio, in fonti di energia alternativa.
Un esempio su tutti: Luca Mercalli, autore di un semplice e rapido libro edito da Chiarelettere, "Prepariamoci" (in vendita anche nella nostra Biblioteca Ribelle) scrive senza mezzi termini che la maggior parte degli italiani sono pronti a trovare mille giustificazioni per non tentare l'investimento di un impianto fotovoltaico ma sono pronti senza battere ciglio (anche se non è più come prima) a sottoscrivere cambiali per 60 mesi investendo in una nuova autovettura.
Ma la cosa più imbarazzante è un'altra: non si tratta di Berlusconi e delle sue dichiarazioni senili, non si tratta dei media di massa che vanno dietro al teatrino e non si tratta neanche di una opposizione che non è affatto alternativa al governo in carica. Cioè, più precisamente, non si tratta della situazione in sé che è evidentemente disastrosa e senza via di ripresa: si tratta della assoluta ipnosi della maggior parte dei cittadini di fronte alla realtà.
I dati oramai ci sono, e con un minimo di curiosità, consapevolezza e voglia - soprattutto grazie a internet, bisogna pur dirlo - sono a disposizione di tutti. Di tutti quelli che vogliano prendere coscienza delle situazione e iniziare sul serio a pensare a "come cavarsela" in questo mondo in disfacimento. Ecco, di questi nel nostro Paese vi è rara traccia.
Il discorso non è ovviamente rivolto agli abbonati a questo giornale - che sono in aumento giorno per giorno: grazie! - e che sanno da anni, ormai, visto che lo scriviamo da tanto tempo, dove saremmo arrivati e con molta probabilità a dove fatalmente arriveremo. Il discorso è diretto agli altri, a quelli che vanno in piazza senza capire chi è il vero nemico, a quelli che continuano a votare da una parte o dall'altra (ma il partito degli astensionisti diventa sempre più quello maggioritario in Italia) a chi sul serio pensa che il problema sia malgoverno & affini.
A chi, insomma, non ha voglia di prendere di petto la situazione, capire che si è vissuto in un modo sbagliato, in un sistema di sviluppo destinato alla fine, e che dunque è davvero il caso di caricarsi il peso che ci spetta: il nostro tempo, che è un tempo di transizione verso un nuovo paradigma, per quello che questo voglia dire - ed è tutto da scrivere e da vedere - ma non abbiamo scelta. Insomma a chi abbia il coraggio di voler vivere la propria storia sino in fondo.

di Valerio Lo Monaco

La decimazione delle banche occidentali




bank-ruptureGli analisti economici del Global Europe Anticipation Bulletin (GEAB) producono collegamenti originali che uniscono in modi inaspettati i puntini della Grande Crisi. Abbiamo tradotto per voi la presentazione redatta da GEAB del Bollettino n. 58, incentrato sul tema della"decimazione delle banche occidentali". Al di là dell'effettiva capacità di predizione, sono interessanti le fonti e i collegamenti utilizzati, specie nelle note in coda all'articolo. Il tema richiamato ci spinge a rilanciare anche un recente commento di Giulietto Chiesa: «Deve essere chiaro che non accetteremo che altri denari siano regalati alle banche che sono già fallite. Se il mercato vale, allora devono fallire. Se non le lasciate fallire è perché il mercato non vale. Se il mercato non vale, non potete chiederci di pagare il debito.»

Come anticipato da LEAP/E2020, la seconda metà del 2011 vede il mondo continuare la sua inarrestabile discesa verso lo smembramento geopolitico globale caratterizzato dalla convergenza di crisi monetarie, finanziarie, economiche, sociali, politiche e strategiche.

Dopo il 2010 e l'inizio del 2011, che ha visto i miti di una possibile ripresa e dell'uscita dalla crisi crollare miseramente, è ora l'incertezza a dominare i processi decisionali degli Stati, proprio come le aziende e gli individui, generando inevitabilmente crescente apprensione per il futuro.

Il contesto si presta di per sé in modo singolare: esplosioni sociali, paralisi politica e/o instabilità, ritorno alla recessione globale, la paura sulla sorte delle banche, la guerra delle valute, la scomparsa di oltre 10mila miliardi di dollari in asset fantasma nel giro di tre mesi, la diffusa e crescente disoccupazione di lungo termine...

Oltretutto, è proprio questo mondo finanziario malato che sarà la causa della «decimazione (1) delle banche occidentali» nella prima metà del 2012: con la loro redditività in caduta libera, i bilanci in disordine, con la scomparsa di asset per trilioni di dollari, con gli Stati che spingono sempre più in direzione di una rigorosa regolamentazione delle loro attività (2), fino ad assoggettarle al controllo pubblico, e scontrandosi con una opinione pubblica sempre più ostile: ora il patibolo è stato eretto e almeno il 10% delle banche occidentali (3) dovranno transitare per questo passaggio nei prossimi trimestri.

Tuttavia, in questo ambiente, in apparenza sempre più caotico, emergono delle tendenze, le prospettive a volte appaiono positive ... e, cosa più importante, l'incertezza sarebbe molto inferiore a quanto si possa pensare, se solo si analizzassero i cambiamenti nel mondo per come si è strutturato dopo la crisi, anziché con i criteri del mondo prima della crisi.

In questo bollettino del GEAB, il nostro team presenta anche le sue previsioni sul "Rischio Paese" 2012-2016 per oltre 40 Stati, dimostrando che si possono illustrare le situazioni e individuare forti tendenze perfino in mezzo all'odierna "nebbia di guerra" (4).

In un tale contesto, questo strumento decisionale si sta rivelando assai utile tanto per il singolo investitore quanto per coloro che prendono decisioni nell’ambito dell’economia e della politica. Il nostro team presenta anche i cambiamenti nell’indice GEAB $ e le sue raccomandazioni (oro-valute-immobiliare), inclusi naturalmente gli strumenti atti a proteggersi dalle conseguenze dell’arrivo della "decimazione delle banche occidentali".

Per questo numero del GEAB, il nostro team ha scelto di presentare un estratto dal capitolo sulla decimazione delle banche occidentali nella prima metà del 2012.

Prima metà del 2012: decimazione delle banche occidentali

In realtà, sarà una decimazione tripla (5) che si concluderà con la scomparsa di una percentuale tra il 10 e il 20 per cento delle banche occidentali nel prossimo anno:

- una decimazione del loro personale;

- una decimazione dei loro profitti

- e infine, una decimazione del numero delle banche.

Sarà accompagnata, naturalmente, da una drastica riduzione del loro ruolo e importanza nell'economia globale e influirà direttamente sugli istituti bancari in altre regioni del mondo e su altri operatori finanziari (assicurazioni, fondi pensione ...).

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Un esempio di dati bancari al momento di una crisi sistemica globale: i risultati dello stress test a Intesa San Paolo rispetto ai suoi concorrenti europei (e rispetto al primo caduto: Dexia) (6)

Il nostro team potrebbe impostare questo argomento esattamente come di recente hanno fatto i media anglosassoni, il presidente degli Stati Uniti e i suoi ministri (7), gli esperti di Washington e Wall Street e, in generale, tutti i media mainstream (8), su tutti gli aspetti della crisi sistemica globale, vale a dire dicendo: «È colpa della Grecia e dell'Euro!».

Sarebbe ovviamente bello ridurre questa parte del GEAB a poche righe e trattenersi dal fare alcun accenno alle analisi sulle possibili cause riconducibili agli Stati Uniti, al Regno Unito o al Giappone. Ma, non certo a sorpresa dei nostri lettori, non sarà questa la scelta di LEAP/E2020 (9).

In veste di unico think tank che ha anticipato la crisi e previsto abbastanza precisamente le sue varie fasi, non rinunceremo di certo ad un modello di previsione che funziona bene, immune dai pregiudizi sebbene privo della possibilità di indovinare gli eventi [Non dimentichiamo che l'euro è ancora vivo e vegeto (10) e che Eurolandia ha appena completato la piccola impresa, in sei settimane, di mettere insieme i 17 voti parlamentari necessari a rafforzare il proprio fondo di stabilizzazione finanziaria (11)].

Così, anziché fare l’eco alla propaganda o al "pensiero prefabbricato" restiamo fedeli al metodo di anticipazione e aderenti ad una realtà che dobbiamo dapprima scoprire per poterla comprendere (12).

In questo caso, per secoli, quando si è pensato alle "banche" si è sempre pensato prima di tutto alla City di Londra e a Wall Street (13).

Et pour cause: Londra per oltre due secoli e New York per quasi un secolo sono state entrambe i due cuori del sistema finanziario internazionale e il covo per eccellenza dei banchieri più importanti del mondo. Ogni crisi bancaria globale (così come qualsiasi grande evento bancario), quindi, inizia e finisce in queste due città fin dai tempi in cui il moderno sistema finanziario globale è diventato un vasto processo di incessante riciclaggio della ricchezza (virtuale o reale) sviluppato da e per queste due città (14).

La decimazione delle banche occidentali che inizia e continuerà nei prossimi trimestri, un evento di proporzioni storiche, non può quindi essere compresa senza prima di tutto misurare e analizzare il ruolo di Wall Street e Londra in questa débâcle finanziaria. La Grecia e l'euro qui avranno senza dubbio un ruolo come abbiamo discusso nei precedenti bollettini del GEAB, ma essi costituiscono la miccia: il debito greco è l’avidità delle banche di ieri che sta esplodendo nell’arena pubblica di oggi, l'euro è la freccia del futuro che sta bucando il palloncino finanziario attuale. Queste sono le due “dita” che indicano il problema, ma non sono il problema. Questo è ciò che l'uomo saggio sa mentre lo stolto non lo sa, parafrasando il proverbio cinese (15).

In realtà, bisogna solo guardare a Londra e Wall Street per prevedere il futuro delle banche occidentali, dal momento che è solamente lì che il gregge bancario si riunisce ogni sera per venire ad abbeverarsi alla sua dose di dollari.

E la condizione del sistema bancario occidentale può essere misurata attraverso la variazione del numero di dipendenti delle banche, la loro redditività e quella dei loro azionisti. Da questi tre fattori si può direttamente dedurre la loro capacità di sopravvivere o di scomparire.

La decimazione del numero degli occupati in banca

Cominciamo con i numeri, allora! Qui il quadro è desolante per i lavoratori dipendenti del settore bancario (e ora anche per le "star del sistema bancario"): a partire dalla metà del 2011 Wall Street e Londra hanno costantemente annunciato licenziamenti in massa, diffusi nei centri finanziari secondari come la Svizzera e Eurolandia e nelle banche giapponesi. Un totale di diverse centinaia di migliaia di posti di lavoro bancari sono scomparsi in due ondate: prima di tutto nel 2008-2009, poi fino alla tarda primavera di quest'anno. E questa seconda ondata sta gradualmente acquistando slancio con il passare dei mesi. Con la recessione globale in corso, il prosciugarsi dei flussi di capitale verso gli Stati Uniti e nel Regno Unito, a seguito dei cambiamenti geopolitici ed economici in corso (16), le enormi perdite finanziarie negli ultimi mesi e tutti i tipi di regolamenti che gradualmente "spezzano" il super-redditizio modello bancario e finanziario degli anni 2000, i capi delle grandi banche occidentali non hanno scelta: devono, a tutti i costi, tagliare i costi il più rapidamente e profondamente possibile.

Pertanto, la soluzione più semplice (dopo quella di sovraccaricare i clienti) è quella di licenziare decine di migliaia di dipendenti. Ed è quello che sta accadendo. Ma lungi dall'essere un processo controllato, vediamo che più o meno ogni sei mesi i dirigenti delle banche occidentali scoprono di aver sottovalutato la portata dei problemi e sono quindi obbligati ad annunciare ulteriori licenziamenti di massa.

Con la "tempesta perfetta" politica e finanziaria che si profila negli Stati Uniti per il prossimo novembre e dicembre (17), LEAP/E2020 anticipa una nuova serie di annunci di questo tipo ad iniziare dai primi mesi del 2012.

Gli “ammazza-costi” del settore bancario hanno alcuni buoni trimestri di fronte, quando vediamo la Goldman Sachs, anch’essa colpita direttamente da questa situazione, costretta a limitare il numero di piante verdi nei suoi uffici per risparmiare denaro (18). Anche se, dopo aver sradicato le piante verdi, sono di solito "gli scivoli rosa (pink slip)" (19) a fiorire.

La decimazione del numero di banche

In un certo senso, il sistema bancario occidentale sembra assomigliare sempre più all'industria siderurgica occidentale del 1970. Così i " padroni delle ferriere; pensando di essere i padroni del mondo (tra l'altro contribuendo attivamente allo scoppio delle guerre mondiali), proprio come i nostri "banchieri d'affari più importanti" pensavano di essere Dio (come l’amministratore delegato di Goldman Sachs), o come minimo i padroni dell'universo . E l'industria siderurgica è stata la "punta di diamante", l’«esempio economico assoluto» del potere per decenni. Il suo potere è stato misurato in decine di milioni di tonnellate di acciaio, proprio come il potere in miliardi di bonus per i dirigenti delle banche d'affari e dei commercianti negli ultimi decenni. E poi, in due decenni per l'industria dell'acciaio, in due/tre anni per le banche (20), l'aria è cambiata: l'aumento della concorrenza, il crollo dei profitti, i licenziamenti di massa, la perdita di influenza politica, la fine dei sussidi di massa e in ultima analisi, le nazionalizzazioni e/o ristrutturazioni che hanno dato vita ad un settore ridimensionato rispetto a quello che era al suo apogeo (21). In un certo senso, dunque, l'analogia si applica a ciò che si attende per il settore bancario occidentale per il 2012/2013.

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Variazioni di prezzo delle azioni (e, quindi, perdite) per i contribuenti britannici dopo l'acquisizione parziale di RBS e Lloyds da parte del Governo - Fonte: Guardian, 10/2011

Già a Wall Street nel 2008, Goldman Sachs, Morgan Stanley e JP Morgan hanno dovuto improvvisamente trasformarsi in "holding bancarie" per essere salvate. Nella City, il governo britannico ha dovuto nazionalizzare una grande fetta del sistema bancario del paese e in questi giorni il contribuente britannico continua a sostenerne i costi, perché i prezzi delle azioni delle banche sono di nuovo crollati nel corso del 2011 (22). Questa è anche una delle caratteristiche del sistema bancario occidentale nel suo complesso: questi operatori finanziari privati (o società quotate) non valgono praticamente nulla. La loro capitalizzazione in borsa è andata in fumo. Naturalmente questo crea un'opportunità per il contribuente per una nazionalizzazione a basso costo a partire dal 2012 perché è la scelta che sarà imposta agli Stati, negli Stati Uniti come in Europa o in Giappone.

Che si tratti, ad esempio, di Bank of America (23), Citigroup o Morgan Stanley (24) negli Stati Uniti, di RBS (25) o Lloyds nel Regno Unito (26), Société Générale in Francia, Deutsche Bank (27) in Germania, o UBS (28) in Svizzera (29), istituti fra i più importanti "too big to fail” (troppo grandi per fallire) falliranno. Saranno accompagnati da una fascia intera di banche medie o piccole come Max Bank che ha appena presentato istanza di fallimento in Danimarca (30).

Di fronte a questa "decimazione", le risorse degli Stati saranno presto insufficienti, soprattutto in questi tempi di austerità, di entrate fiscali basse e di impopolarità politica del salvataggio delle banche (31). I leader politici, quindi, devono concentrarsi sulla tutela degli interessi dei risparmiatori (32) e dei lavoratori (due settori che hanno ricevuto grandi promesse elettorali) invece di tutelare gli interessi dei dirigenti di banca e degli azionisti [due settori pieni di insidie elettorali, i cui precedenti nel 2008 ne dimostrano l’assoluta inutilità economica (33)]. Questo si tradurrà in un nuovo crollo dei prezzi delle azioni finanziarie (comprese le assicurazioni, considerate molto "vicine" alla situazione bancaria) e in un aumento delle turbolenze degli hedge fund, dei fondi pensione (34) e altri operatori tradizionalmente intrecciatissimi con il settore bancario occidentale. Non c'è dubbio che questo non farà che rafforzare la situazione recessiva generale, limitando il più possibile i prestiti all'economia (35).

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Il debito pubblico globale (1990-2010) (in% sul PIL, i tassi di cambio costanti 2010) - Fonti: BRI / McKinsey, 08/2011

Per semplificare la visualizzazione di questo grafico, si può dire che il mercato bancario occidentale, riducendo in modo significativo la portata e il numero di operatori in questo mercato, deve ridimensionarsi in modo proporzionale. In alcuni paesi, specialmente quelli in cui le grandi banche contano per il 70% o più del mercato bancario, ciò porterà inevitabilmente alla scomparsa di uno o l'altro di questi operatori molto grandi... checché ne possano dire i loro leader, gli stress test o le agenzie di rating (36). Se sei un azionista (37) o cliente di una banca che potrebbe crollare nella prima metà del 2012 ci sono, ovviamente, delle precauzioni da prendere. Offriamo una serie di raccomandazioni in questo bollettino. Se si è funzionari o dipendenti di un tale tipo di istituto, le cose sono più complicate perché ora pensiamo che sia troppo tardi per poter evitare i fallimenti in serie, e il mercato del lavoro bancario è saturo a causa dei licenziamenti di massa. Tuttavia, ecco un consiglio del nostro team se siete un dipendente in uno di questi istituti, se vi è stata fatta un'offerta interessante di dimissioni volontarie, fino ai prossimi pochi mesi accettatela, gli esuberi non saranno su base volontaria e saranno a condizioni molto meno favorevoli.

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Note:

(1) La decimazione è stata una pena capitale militare romana che comportava la morte di un legionario su dieci quando l'esercito aveva mostrato codardia in battaglia, disobbedienza o comportamenti inappropriati. Il sistema romano di decimazione veniva effettuato tramite sorteggio.

(2) Regolamenti che tassano severamente le attività bancarie più redditizie. Fonte: The Independent , 2011/12/10

(3) Il nostro team crede che la percentuale si collocherà tra il 10% e il 20%.

(4) Nebbia di guerra a cui i media mainstream incidentalmente contribuiscono in larga misura invece di cercare di chiarire la situazione.

(5) Considerando la decimazione in senso lato, vale a dire un netto calo che può essere molto maggiore di quello dell’epoca romana del 10%.

(6) Per quanto riguarda LEAP/E2020, questo tipo di classificazione non prevede nulla giacché l’attuale shock ha intensità più alta e durevole delle ipotesi degli stress test. E questo vale anche per le banche degli Stati Uniti, naturalmente.

(7) Tutto considerato per quanto riguarda Barack Obama, in posizione difficile per le prossime elezioni presidenziali a causa dei suoi risultati economici disastrosi e la profonda delusione della maggior parte di coloro che hanno votato per lui nel 2007 a causa delle sue molte promesse non mantenute, deve a tutti i costi cercare di incolpare qualcuno o qualcosa per lo stato disastroso dell'economia e della società americana. Allora perché non la Grecia e l'euro? Quando questo non funziona più (in un paio di mesi), sarà necessario trovare qualcos'altro, ma la gestione miope è una specialità dell’amministrazione Obama; senza dubbio il suo segretario al Tesoro Timothy Geithner, fedelmente legato a Wall Street, troverà un'altra spiegazione. In ogni caso, non è colpa di Wall Street, possiamo almeno essere certi di questo. Altrimenti, l'amministrazione Obama tirerà sempre fuori il "fantasma dell'Iran" per cercare di distogliere l'attenzione dai problemi interni degli Stati Uniti. Per inciso, questa sembra essere la situazione attuale con la storia farlocca del tentato assassinio dell'ambasciatore saudita a Washington a opera di trafficanti di droga messicani pagati dai servizi segreti iraniani. Anche Hollywood si sarebbe fermata di fronte all'improbabilità di un tale scenario, tranne che per “salvare il soldato "Wall Street" e cercare di essere rieletto, non vale la pena di provare? Fonti: Huffington Post , 26/07/2011, NBC , 13/10/2011

(8) Questi “media mainstream” (finanziari o generalisti) hanno, infatti, una storia brillante nella previsione delle crisi. Vi ricordate li loro titoli nel 2006 che mettevano in guardia sulla crisi dei subprime nel 2007, annunciando l’”implosione” di Wall Street del 2008 e, ovviamente, all'inizio del 2011 parlando di un ritorno importante della crisi nell'estate 2011! Non vi ricordate? Non preoccupatevi, la vostra memoria è buona ... perché non hanno mai fatto dei titoloni nei giornali, non ci hanno mai avvertito di questi grandi eventi e delle loro cause. Quindi, se si continua a pensare che, come ripetono tutti i giorni, i problemi attuali sono causati “dalla Grecia e dall'euro", vuol dire che si pensa che siano improvvisamente diventati tutti onesti, intelligenti e perspicaci ... e che si deve quindi anche credere alla stessa maniera a Babbo Natale. È accattivante, ma non molto efficace per affrontare il mondo reale.

(9) Per lungo tempo, il nostro team ha continuato a sottolineare le difficoltà europee, anticipando piuttosto correttamente l'evoluzione della crisi nel «Vecchio Continente». Ma cerchiamo di non cadere vittima della sindrome dell’”albero europeo” che nasconde la foresta dei grandi problemi degli Stati Uniti e del Regno Unito.

(10) Un cenno di formazione: coloro che hanno scommesso sul collasso dell’euro un mese fa hanno di nuovo perso del denaro. Seguendo il ritornello della "fine della crisi dell'euro" che arriva circa ogni 4 mesi, non avranno più molto nelle loro tasche nel 2012. Mentre gli Stati Uniti per esempio non sono stati in grado di dimostrare la loro capacità di superare la contrapposizione tra repubblicani e democratici sul controllo del loro deficit.

(11) Mentre gli Stati Uniti, per esempio, non sono stati in grado di dimostrare la loro capacità di superare l'opposizione repubblicana e democratica sul controllo dei loro deficit.

(12) È spaventoso vedere la preoccupazione del G20 per l'euro, mentre la questione centrale del futuro è il dollaro. Ovviamente, l'enorme operazione di manipolazione dei media lanciata da Washington e Londra sarà riuscita ancora una volta a rinviare, per un certo tempo, la messa in discussione inevitabile dello stato centrale della valuta statunitense. Come anticipato dal nostro team, non ci si può aspettare nulla dal G20 fino alla fine del 2012. Si continuerà a parlare, far finta di agire e di ignorare di fatto le questioni chiave, quelle che sono le più difficili da mettere sul tavolo. I recenti annunci di un aumento delle risorse per il Fondo monetario internazionale sono parte di questo parlare a vuoto che non avrà un seguito perché i BRICS (gli unici in grado di aumentare i fondi del FMI) non finanzieranno un istituto in cui essi continuano ad avere solo un’influenza marginale. Nel frattempo, questi annunci fanno credere che c'è ancora un impegno comune per l'azione internazionale. L'allarme sarà tanto più doloroso nei mesi a venire.

(13) Se pensate alla Grecia è perché siete greci o siete un dirigente azionista di una banca che ha prestato troppo al paese negli ultimi dieci anni

(14) E in un certo senso anche per i due Stati interessati. Ma questo è già un punto controverso, e ampiamente discusso per quella materia, sapere se tali mercati finanziari sono una benedizione o una maledizione per gli Stati e le persone che li ospitano.

(15) "Quando un dito indica la luna, lo sciocco guarda il dito"

(16) Tra la crescente integrazione di Eurolandia, che priva la città di mercati redditizi e più stretti legami economici, finanziari e monetari con il BRICS, bypassando Wall Street e la City, sono sempre più le quote di mercato finanziario globale in fuga da Londra e dalle banche di New York.

(17) Cfr. GEAB N ° 57

(18) Fonte: Telegraph , 19/08/2011

(19) Negli Stati Uniti lo «scivolo rosa» è un modo di dire che indica il licenziamento. Fonte: Wikipedia

(20) Ci vuole più tempo per riposizionare l'industria pesante che la scrivania di un venditore.

(21) Questa è, più o meno, la procedura seguita negli Stati Uniti e in Europa.

(22) Cfr. tabella qui sopra.

(23) Bank of America si trova sicuramente nel bel mezzo di una confluenza di grandi e crescenti problemi: ha subito una causa legale da 50 miliardi dollari per aver occultato le perdite per l'acquisizione di Merrill Lynch a fine 2008, una chiusura dei conti in massa da parte dei clienti a seguito della decisione unilaterale di imporre 5 dollari di costo aggiuntivo mensile per le carte bancomat, un guasto lungo e inspiegabile del suo sito web; una serie di processi che coinvolgono oltre ai subprime singoli proprietari ed enti locali, e la minaccia di mandare la Countrywide (che concede i mutui immobiliari ndr) in fallimento, un’altra delle sue acquisizioni nel 2008, per limitarne le perdite. Secondo LEAP/E2020, incarna la banca ideale degli Stati Uniti per uno scenario di crack tra novembre 2011 e giugno 2012. Fonti: New York Times, 27/09/2011; ABC, 30/09/2011; Figaro, 29/06/2011, CNBC, 30/09/2011, Bloomberg, 16/09/2011

(24) La banca statunitense che, nel 2008, ha ricevuto la più grande fetta di finanziamenti pubblici e che, ancora una volta, sta mettendo nel panico i mercati. Fonti: Bloomberg, 30/09/2011; Zerohedge, 2011/04/10

(25) Una delle banche più vulnerabili in Europa. Fonte: Telegraph, 14/10/2011

(26) che è essa stessa a non veder l'ora che le applichino un taglio nel suo rating. Fonte: Telegraph, 2011/12/10

(27) La banca tedesca leader, che è già esposta a un taglio del rating di credito. Fonte: Spiegel, 14/10/2011

(28) Anche UBS va verso un taglio del rating di credito. Fonte: Tribune de Genève, 15/10/2011

(29) Société Générale, Deutsche Bank e UBS hanno un punto in comune di particolare interesse: tutte e tre si precipitarono negli Stati Uniti "El Dorado" negli ultimi dieci anni, investendo come marinai ubriachi nella bolla finanziaria Usa (Deutsche Bank in subprime, mentre Société Générale in CDS e UBS in evasione fiscale). Oggi, non sanno come uscire da questo vortice che le spinge sempre più a fondo ogni giorno. En passant, ricordiamo che nel 2006, avevamo raccomandato che le istituzioni finanziarie europee si liberassero dai mercati statunitensi nel più breve tempo possibile, che ci apparivano alquanto pericolosi.

(30) Fonte: Copenhagen Post, 2011/10/10

(31) Anche la BBC, certamente segnata da tumulti nel Regno Unito nell'estate 2011, si pone una domanda, "impensabile" appena un anno fa, per il tipo di media che rappresenta: gli Stati Uniti si possono aspettare dei disordini sociali? Porre la domanda obbliga a una risposta. E in Europa, un paese come l'Ungheria, con un governo Social-nazionalista, ha accusato direttamente le banche, soprattutto quelle straniere, di essere responsabili della crisi di fronte al paese. Fonte: BBC , 20/09/2011; New York Times, 29/10/2011

(32) Di cui un numero sempre maggiore hanno cominciano a ribellarsi contro le pratiche del sistema bancario, soprattutto negli Stati Uniti dove le proteste contro Wall Street sono in crescita esponenziale, indebolendo le principali banche degli Stati Uniti giorno dopo giorno. Fonti: CNNMoney, 2011/11/10, MSNBC, 2011/10/11

(33) Ed è ancora peggio dell’inutilità economica dal momento che un recente studio ha dimostrato che le banche che hanno ricevuto dei finanziamenti pubblici hanno successivamente dimostrato di essere più inclini a fare investimenti rischiosi. Fonte: Huffington Post, 16/09/2011

(34) I fondi pensione pubblici degli Stati Uniti sono ora di fronte ad una voragine finanziaria stimata tra uno e tre trilioni di dollari. Saranno le autorità pubbliche degli Stati Uniti a scegliere se salvare le banche o i loro pensionati? Perché si stanno apprestando a fare questa scelta. Fonte: MSNBC, 23/09/2011

(35) Fonte: Telegraph, 2011/02/10

(36) Nessuna di queste banche sono in grado di resistere alla recessione globale e l’implosiva fusione di asset finanziari che saranno prevalenti nei prossimi mesi.

(37) Avremmo potuto anche sviluppare il punto sulla situazione a cui stiamo assistendo cioè al processo di «decimazione degli azionisti della banca».

di GEAB

19 ottobre 2011

Il modello argentino funziona: c'è vita dopo il default e dopo il FMI


L'esempio argentino di dire no al Fondo Monetario ed ai suoi creditori viene discusso nei paesi europei, in particolare in Grecia, Portogallo e Irlanda, come alternativa alla brutale austerità dettata da Bruxelles e dal Fondo Monetario. Per tutta risposta, l'FMI e l'amministrazione Obama hanno rinnovato i loro attacchi contro l'Argentina, annunciando che avrebbero votato contro nuovi prestiti al paese da parte della Banca Mondiale. Poco prima, a metà settembre, la direttrice dell'FMI Christine Lagarde ha dichiarato che il Fondo non avrebbe usato i dati dell'ente di statistica ufficiale argentino per valutare il PIL ed il tasso di inflazione del paese, perché tali dati sarebbero "troppo inattendibili". Invece, l'FMI raccoglierà dati tramite "consulenti privati".

Le ha risposto la Presidente argentina Cristina Fernandez de Kirchner, in un discorso nella provincia di Mendoza il 26 settembre. Non solo fu il FMI a causare la crisi del 2001 e l'insolvenza dell'Argentina, ha accusato la Fernandez, ma oggi "nel mezzo del più grave fallimento nella storia recente…coloro che furono direttamente responsabili del fallimento dell'Argentina nel 2001, e di quello dell'Europa e degli Stati Uniti oggi, stanno ancora cercando di costringere il mondo ad inghiottire la stessa medicina che diedero a noi per dieci anni e che ci portò alla rovina! Tanta idiozia, tanta testardaggine è inconcepibile. Come possono dire che l'economia verrà riattivata e crescerà con l'austerità? Non ha alcun senso!"

Si sappia, prosegue la Presidente argentina, che "da noi le decisioni sulla politica economica vengono prese nella Casa Rosada (il palazzo presidenziale) ed al Congresso nazionale, all'interno delle nostre istituzioni nazionali" e non in enti di consulenza privata o dettati da enti finanziari stranieri. Negli anni Ottanta e negli anni Novanta, ha ricordato la Presidente, il Congresso argentino si fece in quattro per attuare il diktat straniero "eppure il mondo continuò a crollare, e l'Argentina continuò a crollarci addosso".

La Kirchner era a Mendoza per inaugurare l'espansione della rete elettrica, e nel farlo ha ricordato che il suo defunto marito, il Presidente Nestor Kirchner, amava costruire infrastrutture "perché sosteneva che questo era il progresso". Quando si porta l'energia e l'elettricità a regioni che non ce l'hanno "si porta l'eguaglianza, la sovranità e il federalismo in posti che erano stati ignorati storicamente". Ha ricordato il primo discorso di Nestor all'Assemblea Generale dell'ONU nel 2003, in cui disse che all'Argentina bisogna permettere di crescere, perché non aveva mai sentito di morti che possono pagare i loro debiti.

Ha citato quello stesso discorso all'Assemblea Generale dell'ONU il 21 settembre scorso. Allora, quasi un quarto della popolazione argentina era senza lavoro, e i livelli di indigenza e povertà superavano il 50%, dopo il default del paese nel 2001. Negli 8 anni successivi, ha detto la Kirchner, "l'Argentina ristrutturò il suo debito, riducendolo dal 160% a meno del 30% del PIL. I livelli di povertà e indigenza scesero a una cifra, e stiamo ancora continuando questa battaglia. Abbiamo un tasso di disoccupazione che è il più basso mai avuto".

"Nel 2003 destinavamo il 2% del PIL all'istruzione ed il 5% a pagare il debito. Oggi l'Argentina destina il 6,47% del PIL all'istruzione e il 2% del PIL a pagare il debito...

A Mendoza la Presidente argentina ha sottolineato il fatto che tutto ciò che hanno fatto lei e suo marito mirava a "liberare" il popolo argentino, e particolarmente i giovani, lasciando loro "un paese migliore, liberandoli dalla miseria, dal fallimento, dalla frustrazione e dalla povertà".

by (MoviSol)

18 ottobre 2011

La Russia si offre di contribuire a rimettere in sesto l'economia greca


Parlando al Forum di Rodi sul Dialogo tra le Civiltà, che si è tenuto sull'isola greca di Rodi dal 6 al 10 ottobre, il co-fondatore dell'evento Vladimir Yakunin ha denunciato la globalizzazione ed il "capitalismo da bisca". Stando al Bollettino del Patriarcato di Mosca della Chiesa Ortodossa Russa, ha sottolineato che la crisi attuale è il risultato della globalizzazione, il cui risultato principale è la "creazione di un'economia finanziaria virtuale, completamente libera, e completamente divorziata dall'economia reale. Tale libertà, che è più simile alla licenza, è diventata mortale per lo sviluppo della società".

Yakunin, che è anche amministratore delegato delle Ferrovie Russe, è uno dei principali promotori di grandi progetti ferroviari, incluso il tunnel sotto lo stretto di Bering, così come della crescente alleanza trans-pacifica per lo sviluppo globale.

Solo una settimana prima si era tenuta a Rodi un'altra conferenza sui "nuovi orizzonti dei rapporti economici nella politica di investimenti, il commercio e il turismo", dove è intervenuto Mikhail Dmitriev, presidente del Centro per la Ricerca Strategica di Mosca. Nel corso di un intervento ad ampio raggio su come la Russia potrebbe contribuire alla ripresa dell'economia greca, Dmitriev ha sottolineato l'"esperienza del suo paese nel traffico merci e passeggeri" ed ha offerto alla Grecia di unirsi alla Russia in progetti chiave per la Ferrovia Transiberiana. In effetti, la Russia intende estendere il proprio scartamento ferroviario (1.520 metri) a Bratislava e Vienna, in modo da poter generare un transito di massa di container dall'Asia orientale al cuore dell'Europa tramite la Transiberiana, aprendo enormi opportunità nuove di traffico merci anche per la Grecia.

Dmitriev ha sottolineato anche "le enormi opportunità di costruirà un'alleanza nei trasporti e nelle spedizioni" tra i due paesi, che potrebbero includere anche investimenti nei porti della Grecia ed un miglioramento dei rapporti con i porti del Mar Nero in Russia, così come nell'agricoltura, giacché la Russia "resta un mercato di esportazione quasi intoccato" per certi prodotti agricoli greci che non vengono prodotti in Russia.

Commentando questa offerta, una fonte greca coinvolta nel miglioramento dei rapporti economici con la Russia ha dichiarato all'EIR che con i russi ed i cinesi che vogliono sviluppare collegamenti ferroviari a partire da Shanghai, attraversando la Russia e l'Europa, la Grecia potrebbe diventare parte di questo raccordo euroasiatico dei trasporti. Disgraziatamente, ha aggiunto, l'attuale governo greco ha respinto l'offerta, ovviamente su ordini dell'UE e dei suoi creditori, agendo quindi come dei "traditori".

In effetti circola voce che il governo greco voglia letteralmente regalare le sue ferrovie ai francesi, per pagare il debito estero impagabile della Grecia, ha commentato la forte, invece di accettare crediti reali per gli investimenti dalla Russia.

by (MoviSol)

17 ottobre 2011

Sognare è la sorte dei deboli: attenti ai cialtroni






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Ogni epoca è vissuta da uomini che si lamentano della decadenza e della corruzione del proprio tempo. A volte si tratta di una mera attitudine caratteriale (certa gente deplorerebbe gli sbalzi della vita in qualsiasi caso), ma più spesso si tratta di una percezione psicologica inevitabile allorché il soggetto si smarrisce al cospetto di eventi che non stanno mai fermi e trasfigurano il mondo davanti ai suoi occhi. La caduta delle precedenti convinzioni e la perdita di stabilità nei diversi ambiti sociali (politici, economici culturali), soprattutto nelle fasi di immensi cambiamenti, ingenerano nell’individuo la paura di quello che si manifesterà innanzi, il timore di non riuscire a comprendere la direzione in cui evolveranno gli avvenimenti, la propria collocazione rispetto alle novità ed il proprio ruolo nella Storia. Tuttavia, c’è da distinguere tra una “degenerazione” relativa che è sempre possibile correggere in quanto è solo spaesamento soggettivo di fronte ad una oggettività in mutamento, da una degenerazione assoluta che è peggioramento complessivo della situazione senza movimento mentale da parte di chi, per inedia e mancanza di strumenti di discernimento, subisce le metamorfosi sociali senza nemmeno tentare di comprendere e direzionare i processi in atto nelle diverse sfere dell’esistenza associata. L’oscuramento intellettuale di chi dovrebbe fornire risposte meno estemporanee e banali sulla crisi in gestazione (perchè siamo ancora agli inizi), dicendosi dalla parte degli esclusi dai percorsi decisionali, è la prova lampante che il sistema dei capitalismi sta già incedendo indisturbato a riconfigurarsi secondo le sue logiche e dinamiche(sempre conflittuali) intrinseche che condurranno ad una ridefinizione dei rapporti di forza tra le formazioni nazionali all’interno della formazione capitalistica globale. I poveri in saccoccia si troveranno ancora in mezzo a questi fenomeni restandone stritolati, mentre i poveri di zucca, ma bravi a parole, si ricicleranno facendo carriera e servendo altri padroni. Oggi mi pare che siamo in questa condizione e troppi dati lo confermano. Appena ieri leggendo Schopenhauer e il suo “Il mondo come volontà e rappresentazione” coglievo tali aspetti, laddove nell’introduzione alla seconda edizione del 1844, egli registrava l’involuzione morale dei suoi contemporanei e la perdita di spirito dei suoi anni. Ma erano appunto in procinto di scoppiare grandi accadimenti a sostegno del fatto che quella società era in ebollizione, in essa brulicavano corpi collettivi in cerca di vie alternative e innovative per costruire un altro futuro. Non c’era ristagno ideologico e alterazione etica perché non si aveva lo sguardo rivolto ad un passato fuori dal periodo storico come avviene per i nostri tempi in cui si conciona a vanvera di edificazione dell’avvenire con materiali di vecchie e sepolte generazioni. Inoltre, lui aveva come interlocutori quelli che spesso definiva, un po’ ingiustamente, vacui (Fichte e Schelling) e ciarlatani (Hegel) ma che erano pur sempre eccelsi pensatori e non improvvisatori di narrazioni per masse di studenti sciocchi e incolti, pronte ad essere mandate al macello o a trasformarsi in squadracce. Giganti che fanno rimpicciolire a formichine gli pseudo-intellettualini di oggi i quali arringano le moltitudini al fine di vendere i loro squallidi e inutili libri o occupare posticini nell’accademia. Non voglio annoiarvi con la filosofia di cui per altro non sono esperto, ma dopo aver letto il discorso di Slavoj Zizek tenuto ai manifestanti del movimento “Occupy Wall street” a New York, apparso su Liberazione, e l’intervista all’ex pot-op Franco Berardi Bifo, pubblicata sulla Stampa, mi sono caduti i coglioni per terra. Mentre Bifo ha dichiarato che non siamo mai stati così vicini al comunismo come in questo momento (facile sperare e sparare siffatte cazzate quando si hanno nel cervello i chip resettati) Zizek offriva, sotto il tempio della finanza Usa, a giovani affamati di stupidaggini, le sue croste teoriche sulla nonviolenza e la fine del capitalismo. Costoro sono sempre i primi a blaterare di rivolgimenti inevitabili che conducono all’eden degli sfruttati, ma lo fanno per meglio obnubilare le traiettorie evenemenziali ed impedire che qualcosa cambi davvero. In momenti incasinati come questi, gli imbonitori e i depistatori spuntano come funghi perchè sono gli anticorpi che il sistema libera nell’organismo sociale per attaccare le idee non conformi che possono mettere a rischio la sua tenuta. Questa frotta di stregoni è pericolosa e va isolata senza tentennamenti. Tali truffatori vi parleranno sempre di un mondo migliore e di sogni rivoluzionari perché il loro mestiere è proprio quello di far affaticare il pensiero critico dietro alla processione utopie irrealizzabili, per dare il colpo di grazia a chi si lascierà disorientare e stremare dalle chimere irraggiungibili. Ricordatevi delle parole di Pasolini (oh generazione sfortunata… tu obbedisti disobbedendo), di Brecht (al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico. La voce che li comanda è la voce del loro nemico. E chi parla del nemico è lui stesso il nemico) e di quelle di Lenin (sognare è la sorte dei deboli).

di Gianni Petrosillo

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