03 gennaio 2008

Le banche mondiali aspirate dal "BUCO NERO" del crack finanziario


LEAP/E2020 ritiene ormai che almeno un grande istituto finanziario americano (banca, assicurazione, fondo d'investimento) farà fallimento da qui a febbraio 2008 causando a sua volta la bancarotta di molti altri istituti finanziari e banche in Europa (in particolare nel Regno Unito), in Asia e nei paesi emergenti. Si tratta di un "buco nero" finanziario, secondo l'espressione usata da Tony James (1), presidente della Blackstone, che si è formato a partire dalla crisi "subprimes" americana.

I fattori scatenanti di tale evento sono ormai così potenti ed i segnali precorritori così numerosi, che, secondo i nostri ricercatori, la sua probabilità, di qui a tre mesi, raggiunge ormai quasi il 100%. È altrettanto certo per il nostro gruppo che le autorità finanziarie americane tenteranno di realizzare una rete protettiva di rimborso per evitare il contagio del panico all'insieme del sistema finanziario americano (2); ma l'ampiezza del fallimento toccherà immediatamente le istituzioni finanziarie più esposte negli Stati Uniti e nel resto del mondo. I paesi dove gli operatori finanziari sono i più legati agli operatori finanziari americani saranno dunque in prima linea: Regno Unito, Giappone, Cina in particolare (3).

I principali fattori scatenanti sono, secondo il nostro gruppo, quattro:
1. Riduzione drastica dei redditi delle banche che operano negli Stati Uniti
2. Crollo accelerato del valore degli attivi detenuti da queste stesse banche sotto l'effetto della nuova regolamentazione bancaria US (FASB regulation 157)
3. Fragilità crescente degli assicuratori obbligazionari
4. Recessione economica negli Stati Uniti.

Questi fattori sono naturalmente da rimettere nel contesto generale che descrive LEAP/E2020 dall'inizio dell'anno 2006, cioè la crisi sistemica globale, che ovviamente i dirigenti politici, finanziari ed economici mondiali iniziano a temere (4). Il fatto che quasi da due anni le banche centrali, in particolare la Federal Reserve US e la Banca d'Inghilterra, come i principali operatori finanziari, siano stati sistematicamente in ritardo sugli eventi, lascia pensare che questa volta non adotteranno la misura giusta per la crisi bancaria se non solo dopo che si sarà consumato un evento ancora più drastico. È, in generale, il momento in cui è troppo tardi per impedire efficacemente il contagio della crisi a tutto il sistema.



Indice d'evoluzione del "morale del consumatore" dell'Università del Michigan (che include novembre 2007) - fonte Fed di Saint Louis /LEAP/E2020
In questo comunicato pubblico del GEAB N°19, LEAP/E2020 ha scelto di sviluppare la sua analisi della riduzione drastica dei redditi delle banche che operano negli Stati Uniti. Fattore N°1 - riduzione drastica dei redditi delle banche che operano negli Stati Uniti
Così analizzata in dettaglio nella GEAB N°19, l'applicazione della norma FASB 157 fin dal 15 novembre 2007 esporrà direttamente il bilancio degli istituti finanziari che operano negli Stati Uniti alle conseguenze del crollo del valore di una parte importante dei loro attivi. E questa parte è in aumento costante, poiché la crisi dei "subprimes" è in realtà soltanto il catalizzatore di una crisi finanziaria più vasta che influisce ormai su tutti gli attivi finanziari americani (5). I Vari CDOs saranno d'ora in poi trascinati in questa crisi di fiducia generalizzata, mentre costituiscono una parte importante degli attivi bancari, poiché in questi ultimi anni le grandi banche sono uscite dal loro ruolo di prestatore per lanciarsi nell'investimento e nella speculazione, nel modo degli "hedge funds". Quest'ultimi hanno del resto rappresentato per più di un decennio una fonte crescente di redditi per le grandi banche internazionali. Ci si ricorda ancora degli onorari faraonici che gli "hedge-funds" ed i fondi per gli investimenti versavano alle banche(!) nel quadro delle loro operazioni multiple, fra cui i riacquisti in LBO ("Leverage Buy-Out", o riacquisto con effetto di leva finanziaria), fusione-acquisizioni (o M&A, "Merger and Acquisition") ed altre quotazioni in borsa (IPO, o "Initial Public Offering ")." Quest'epoca, tuttavia non così lontana (poiché si è conclusa quest'estate), è ora passata. Ormai gli "hedge-funds" si battono per non andare in fallimento. I fondi per gli investimenti scavano le loro perdite tentando di evitare di essere aspirati nel "buco nero finanziario" di cui parla il proprietario della Blackwater (già citato). I progetti di fusione-acquisizione sono ad un punto morto. Così, nel settore tecnologico (mercato per eccellenza delle fusioni-acquisizioni), Wall Street ha visto l'importo delle transazioni passare da 99 miliardi USD nel terzo trimestre 2006 a 52 miliardi USD nel terzo trimestre 2007 (cioè un ribasso di circa il 50%) mentre la crisi del credito era ancora soltanto ai suoi inizi. Tuttavia la debolezza del dollaro US ha causato nel terzo trimestre 2007 una frenesia di acquisti europei negli Stati Uniti poiché i primi, per la prima volta, hanno speso quanto i loro omologhi nordamericani (6).

Il gelo delle LBO - fonte Dealogic

Le quotazioni in borsa a Wall Street, che aveva meglio resistito alla crisi estiva, ormai sono rimandate "alle calende greche" in attesa di giorni migliori. Così il numero di quotazioni in borsa di più di 1 miliardo USD è passato da 8 nel trimestre (nel terzo trimestre 2006) a 2 (nel terzo trimestre 2007). Questo fenomeno si rafforza come è stato illustrato da RWE, il produttore d'energia tedesco che ha deciso di rifiutare la quotazione in borsa della sua filiale American Water a causa della crisi del credito negli Stati Uniti (7); come Rusal, il gigante russo dell'alluminio che ha rimandato a data da definirsi la sua quotazione in borsa mentre prometteva di essere la più importante del 2007 con gli advisors che erano stati già scelti (cioè Morgan Stanley, JP. Morgan e Deutsche Bank) (8)
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Quanto alle LBO (quest'assemblaggi finanziari che permettono di comperare un'impresa utilizzando la ricchezza potenziale che essa nasconde (9), non soltanto il loro mercato si è praticamente estinto, ma le transazioni non hanno potuto essere congelate o annullate e così finiscono in tribunale come dimostra il caso emblematico di SallieMae, la società di prestiti agli studenti, e JC. Flowers (un fondo per gli investimenti molto attivo, ma che, paradossalmente, non ha siti web (10)). Del resto in ottobre, LBOs ha rappresentato soltanto il 5% delle transazioni di fusione-acquisizione contro il 31% del giugno 2007.

Grado d'esposizione delle banche US ai rischi legati ai prodotti finanziari derivati - fonte Contraryinvestor

Tutte quest'evoluzioni convergono nella stessa direzione, cioè la perdita di una fonte importante di redditi delle banche che operano negli Stati Uniti, che dunque si accumulerà alle conseguenze dell'applicazione della norma FASB 157 e della crisi dello CDOs, cioè la perdita di valore di una parte importante dell'attivo di queste stesse banche. Nel 2006 infatti, i redditi, provenendo per lo più dai loro onorari di advisors e dalle attività d’intermediazione per questi riacquisti, fusioni, acquisizioni, ecc.... hanno costituito il 27% del totale, con la più forte progressione registrata da sette anni (sette anni prima, nel 1999, eravamo alla vigilia dell'esplosione della bolla Internet!). D'altra parte, già nel 2006, questi redditi avevano dovuto compensare le perdite generate dai primi effetti della crisi dei "subprimes". Nel 2007, le perdite legate al mercato ipotecario sono letteralmente esplose rispetto al 2006, e, come si può constatare, i redditi degli advisors e degli intermediari nelle grandi transazioni finanziarie si sono prosciugati (11).
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Non c’è bisogno di essere un esperto per concludere che queste banche conosceranno tra la fine del 2007 e l'inizio 2008 una crisi molto grave che determinerà perdite che non si potranno affrontare. Ciò che si vede oggi, secondo LEAP/E2020, sono soltanto i segnali precursori di una crisi bancaria totale i cui fattori e le cui conseguenze per gli investitori ed i risparmiatori sono stati dettagliati nella GEAB N°19.

DIARIO DELLA CRISI FINANZIARIA

Continua, almeno apparentemente senza soste, la guerra per banche negli Stati Uniti d’America, ma non si scherza neanche in Europa e in Italia, e l’ultima battaglia è condotta a suon di dossier di valutazione dei concorrenti, un gioco nel quale il ruolo di assoluta protagonista è interpretato dall’ineffabile, potente e preveggente Goldman Sachs, che, giovedì, in un colpo solo ha gettato nel panico i vertici di Citigroup, Bank of America e J.P. Morgan-Chase con valutazioni sui conti delle tre banche USA nel quarto trimestre tali da farle stramazzare al suolo. Sarà un caso, ma colpisce che gli strali degli attenti e preparati analisti di Goldman si siano diretti contro le tre sole entità del vasto panorama finanziario che avevano, seppur obtorto collo, accettato di accogliere l’imperativo suggerimento dell’ex numero uno di Goldman e attualmente, non si sa per quanto viste le performance recenti, ministro del Tesoro di Gorge W. Bush junior, e si erano imbarcati nella ormai defunta avventura della realizzazione di quel MLEC che tanto ha contribuito ad aumentare il panico degli operatori e le perplessità di commentatori e analisti. Secondo i tre analisti un po’ teleguidati di Goldman, le tre banche USA dovranno spesare nel quarto trimestre dell’anno perdite complessive per la bellezza di 33,6 miliardi di dollari, così ripartite: 18,7 miliardi per Citigroup, 11,5 per Merrill Lynch e solo 3,4 miliardi (ma il dato rappresenta il doppio delle precedenti previsioni dei tre maliziosi analisti) per la più solida ed avveduta del trio che è rappresentata da J.P. Morgan-Chase. Ma la vera perfidia degli analisti di Goldman riguarda la povera Citigroup, che non solo è chiamata ad operare svalutazioni mostre dei titoli della finanza strutturata (in gran parte i micidiali collateralized debt obligations), ma si prevede che dovrà tagliare di ben il 40 per cento quel livello elevatissimo di dividendi che rappresenta l’unico motivo degli attuali e dei futuri azionisti di Citi per non seguire il perentorio sell emesso dai nostri tre analisti coraggiosi di Goldman a conclusione del loro rapporto. Pur a fronte delle mega svalutazioni previste per Merrill Lynch ed alla crescita esponenziale di quelle che toccheranno a J.P. Morgan-Chase, i nostri mantengono un giudizio tutto sommato lusinghiero di neutral, ma è evidente ai più che si tratta soltanto di una fase nell’escalation del processo di downgrade, ma anche del timore del committente dei giudizi dele possibili contromosse delle tre banche che hanno certamente messo all’opera i loro altrettanto numerosi ed agguerriti analisti con l’esplicita mission di fare e senza pietà le pulci ai già noti conti trimestrali ed annuali di Goldman. In attesa di assistere alle future puntate di questa guerra per banche, mi limito a segnalare che anche l’entità semi pubblica che si occupa di finanziare i genitori che vogliono assicurare un livello adeguato di studi ai propri figli, un’entità affettuosamente chiamata Sallie Mae, sta battendo cassa presso il mercato per un ammontare che dagli iniziali 1,5 miliardi di dollari è presto passato, vista l’aria sempre più brutta che tira, a 2,5 miliardi, anche se deve farsi largo tra le ben più grosse Fannie Mae e Freddie Mac che le loro massicce e pressanti richieste al mecato le hanno fatte già da qualche tempo. Ma quello che non ha giovato agli umori del mercato è stato il flop dell’attesissimo rimbalzo degli ordini di beni durevoli dopo il vero e proprio tonfo di ottobre e che si è invece tradotto in un miserrimo incremento dello 0,1 per cento (contro il +2,2 per cento atteso) ed un lieve recupero della fiducia dei consumatori per il futuro più o meno remoto, mentre il giudizio degli intervistati sul presente ha continuato a scendere precipitosamente verso livelli più bassi di quelli registrati solo un mese prima. Ma la vera campana a morto è suonata poco prima con il calo del 7,6 per cento delle richieste di nuovi mutui, una flessione che si è rivelata ancora più consistente nella componente del rifinanziamento degli stessi mutui, calato dell’8,5 per cento, mentre quella relativa ai nuovi mutui è scesa solo del 6,6 per cento,, con l’indice complessivo che si è portato a 603,8 dal massimo di 1.856,7 toccato nell’ormai lontanissimo, e non solo in termini temporali, maggio del 2003.; non è quindi del tutto casuale se i listini americani prima, quelli asiatici poi, per finire in modo leggermente più dolce nella conservatrice Europa, hanno accusato il colpo e, anche se ancora una volta al netto delle mani forti che da tempo si vedono sul mercato finanziario globale, hanno segnato ribassi di tutto rispetto. Nonostante abbia retto molto meglio del previsto e del prevedibile agli effetti della crisi finanziaria in corso, il comparto degli hedge fund inizia a sempre di più a fare i conti con gli effetti del credit crunch e non si contano più le chiusure o le limitazioni degli affidamenti facenti capo a banche sempre più nervose ed attente al rischio di controparte, mentre, per i finanziamenti e i committments residui sta salendo ogni giorno che passa il costo che i banchieri richiedono per la loro merce sempre più rara. Venendo all’Italia, non stupisce la notizia che racconta che Mediobanca, advisor sia della Banca Popolare di Vicenza che del Banco Popolare, ha chiesto alle due banche di cedere a sé stessa, con una spesa di 400 milioni di euro, le partecipazioni in una società di credito al consumo, denominata Linea, portandosi così al terzo posto tra le entità operanti nel lucroso mercato del credito al consumo e nel quale aveva già un posto di rilievo mediante la controllata Compass, ponendosi immediatamente alle spalle del gigante Findomestic contesa tra BNP Paribas e Intesa-San Paolo e della Prestitempo controllata da Deutsche Bank. Con questa operazione si semplifica ulteriormente il quadro dei soggetti dominanti questo importante segmento del mercato finanziario italiano, che, a parte le società controllate dai gruppi industriali e finalizzate all’acquisto a rate dei propri prodotti, vede l’assoluta prevalenza dei soggetti interamente controllati dalle banche a fronte di una pletora, ma dalle quote di mercato ridottissime, di società finanziarie. A costo di essere monotono e alla luce delle forti implicazioni sociali del crescente ricorso all’indebitamento da parte delle famiglie, ripropongo un mantra che sembra lasciare completamente indifferenti il Governatore Draghi ed il Governo, un mantra che può sintetizzarsi nella intollerabilità di un tasso di riferimento per il calcolo del tasso usurario valido per le banche e di uno, ben più elevato, applicabile alle società finanziarie. Ricordo che il diario della crisi è disponibile anche su www.diariodellacrisi.blogspot.com .
Marco Sarli Responsabile Ufficio Studi UILCA

Il nuovo anno all'insegna del crac finanziario


Quando i nostri lettori leggeranno il primo numero dello Strategic Alert del nuovo anno, le misure prese dai banchieri centrali per prolungare l'agonia del sistema finanziario con illimitate iniezioni di liquidità staranno per scadere, e inizierà una fase totalmente imprevedibile, in cui continuerà la disintegrazione del sistema con un altro grande tracollo tra gennaio e febbraio.
Le iniezioni di liquidità di Natale e Capodanno devono essere rifinanziate dopo il 3 gennaio, ma nelle ultime due settimane sono aumentate le perdite del sistema. Tali perdite richiedono ulteriori iniezioni di liquidità, che possono rapidamente giungere a ordini di grandezza superiori a quelle già effettuate, alimentando la spirale iperinflazionistica della speculazione sulle materie prime e sui generi alimentari basata sull'effetto leva. Al contempo, col nuovo anno, le misure previste da Basilea 2 entreranno in vigore anche negli Stati Uniti, conferendo alla situazione maggiore imprevedibilità: i crediti non verranno più elargiti sulla base dei criteri di capitalizzazione, ma sulla base dei rating, in una situazione in cui il rating AAA non vale più niente.
Come ha ribadito più volte l'economista e leader democratico Lyndon LaRouche, se i governi continueranno a tollerare questa politica, saranno destinati a cadere per aver ceduto la sovranità ai predatori finanziari. I predatori stanno già studiando gli statuti delle banche centrali per trovare il sistema di giustificare un rifinanziamento generalizzato. Stando al Daily Telegraph del 27 dicembre, gli insider stanno studiando un memorandum preparato da membri dello staff della Federal Reserve, in cui si esamina “che cosa si possa fare secondo lo statuto della Federal Reserve nel caso in cui fallisca tutto il resto.” Stando alla sezione 13 dello statuto, la Fed può prendere misure di emergenza nel caso in cui le banche diventino “riluttanti o non disponibili” a concedere crediti. In tal caso, può autorizzare la banca a “concedere il prestito a chiunque assumendosene ella stessa il rischio” e questo aprirebbe tutti i boccaporti senza ritegno, conducendoci “tra la Scilla della stretta creditizia e i Cariddi dell'inflazione”.
In un briefing allo staff dell'EIR il 28 dicembre, la presidente del Movimento Solidarietà tedesco Helga Zepp LaRouche ha sottolineato che in Europa, col sistema dell'Euro e della banca centrale europea, non esiste un provvedimento paragonabile a quello previsto dalla Fed. Questo significa che il patto di stabilità previsto dal trattato di Maastricht potrebbe costringere i governi ad aumentare le tasse e ridurre drasticamente la spesa in fase di recessione, pur di rifinanziare gli hedge funds.
fonte: movisol

03 gennaio 2008

Le banche mondiali aspirate dal "BUCO NERO" del crack finanziario


LEAP/E2020 ritiene ormai che almeno un grande istituto finanziario americano (banca, assicurazione, fondo d'investimento) farà fallimento da qui a febbraio 2008 causando a sua volta la bancarotta di molti altri istituti finanziari e banche in Europa (in particolare nel Regno Unito), in Asia e nei paesi emergenti. Si tratta di un "buco nero" finanziario, secondo l'espressione usata da Tony James (1), presidente della Blackstone, che si è formato a partire dalla crisi "subprimes" americana.

I fattori scatenanti di tale evento sono ormai così potenti ed i segnali precorritori così numerosi, che, secondo i nostri ricercatori, la sua probabilità, di qui a tre mesi, raggiunge ormai quasi il 100%. È altrettanto certo per il nostro gruppo che le autorità finanziarie americane tenteranno di realizzare una rete protettiva di rimborso per evitare il contagio del panico all'insieme del sistema finanziario americano (2); ma l'ampiezza del fallimento toccherà immediatamente le istituzioni finanziarie più esposte negli Stati Uniti e nel resto del mondo. I paesi dove gli operatori finanziari sono i più legati agli operatori finanziari americani saranno dunque in prima linea: Regno Unito, Giappone, Cina in particolare (3).

I principali fattori scatenanti sono, secondo il nostro gruppo, quattro:
1. Riduzione drastica dei redditi delle banche che operano negli Stati Uniti
2. Crollo accelerato del valore degli attivi detenuti da queste stesse banche sotto l'effetto della nuova regolamentazione bancaria US (FASB regulation 157)
3. Fragilità crescente degli assicuratori obbligazionari
4. Recessione economica negli Stati Uniti.

Questi fattori sono naturalmente da rimettere nel contesto generale che descrive LEAP/E2020 dall'inizio dell'anno 2006, cioè la crisi sistemica globale, che ovviamente i dirigenti politici, finanziari ed economici mondiali iniziano a temere (4). Il fatto che quasi da due anni le banche centrali, in particolare la Federal Reserve US e la Banca d'Inghilterra, come i principali operatori finanziari, siano stati sistematicamente in ritardo sugli eventi, lascia pensare che questa volta non adotteranno la misura giusta per la crisi bancaria se non solo dopo che si sarà consumato un evento ancora più drastico. È, in generale, il momento in cui è troppo tardi per impedire efficacemente il contagio della crisi a tutto il sistema.



Indice d'evoluzione del "morale del consumatore" dell'Università del Michigan (che include novembre 2007) - fonte Fed di Saint Louis /LEAP/E2020
In questo comunicato pubblico del GEAB N°19, LEAP/E2020 ha scelto di sviluppare la sua analisi della riduzione drastica dei redditi delle banche che operano negli Stati Uniti. Fattore N°1 - riduzione drastica dei redditi delle banche che operano negli Stati Uniti
Così analizzata in dettaglio nella GEAB N°19, l'applicazione della norma FASB 157 fin dal 15 novembre 2007 esporrà direttamente il bilancio degli istituti finanziari che operano negli Stati Uniti alle conseguenze del crollo del valore di una parte importante dei loro attivi. E questa parte è in aumento costante, poiché la crisi dei "subprimes" è in realtà soltanto il catalizzatore di una crisi finanziaria più vasta che influisce ormai su tutti gli attivi finanziari americani (5). I Vari CDOs saranno d'ora in poi trascinati in questa crisi di fiducia generalizzata, mentre costituiscono una parte importante degli attivi bancari, poiché in questi ultimi anni le grandi banche sono uscite dal loro ruolo di prestatore per lanciarsi nell'investimento e nella speculazione, nel modo degli "hedge funds". Quest'ultimi hanno del resto rappresentato per più di un decennio una fonte crescente di redditi per le grandi banche internazionali. Ci si ricorda ancora degli onorari faraonici che gli "hedge-funds" ed i fondi per gli investimenti versavano alle banche(!) nel quadro delle loro operazioni multiple, fra cui i riacquisti in LBO ("Leverage Buy-Out", o riacquisto con effetto di leva finanziaria), fusione-acquisizioni (o M&A, "Merger and Acquisition") ed altre quotazioni in borsa (IPO, o "Initial Public Offering ")." Quest'epoca, tuttavia non così lontana (poiché si è conclusa quest'estate), è ora passata. Ormai gli "hedge-funds" si battono per non andare in fallimento. I fondi per gli investimenti scavano le loro perdite tentando di evitare di essere aspirati nel "buco nero finanziario" di cui parla il proprietario della Blackwater (già citato). I progetti di fusione-acquisizione sono ad un punto morto. Così, nel settore tecnologico (mercato per eccellenza delle fusioni-acquisizioni), Wall Street ha visto l'importo delle transazioni passare da 99 miliardi USD nel terzo trimestre 2006 a 52 miliardi USD nel terzo trimestre 2007 (cioè un ribasso di circa il 50%) mentre la crisi del credito era ancora soltanto ai suoi inizi. Tuttavia la debolezza del dollaro US ha causato nel terzo trimestre 2007 una frenesia di acquisti europei negli Stati Uniti poiché i primi, per la prima volta, hanno speso quanto i loro omologhi nordamericani (6).

Il gelo delle LBO - fonte Dealogic

Le quotazioni in borsa a Wall Street, che aveva meglio resistito alla crisi estiva, ormai sono rimandate "alle calende greche" in attesa di giorni migliori. Così il numero di quotazioni in borsa di più di 1 miliardo USD è passato da 8 nel trimestre (nel terzo trimestre 2006) a 2 (nel terzo trimestre 2007). Questo fenomeno si rafforza come è stato illustrato da RWE, il produttore d'energia tedesco che ha deciso di rifiutare la quotazione in borsa della sua filiale American Water a causa della crisi del credito negli Stati Uniti (7); come Rusal, il gigante russo dell'alluminio che ha rimandato a data da definirsi la sua quotazione in borsa mentre prometteva di essere la più importante del 2007 con gli advisors che erano stati già scelti (cioè Morgan Stanley, JP. Morgan e Deutsche Bank) (8)
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Quanto alle LBO (quest'assemblaggi finanziari che permettono di comperare un'impresa utilizzando la ricchezza potenziale che essa nasconde (9), non soltanto il loro mercato si è praticamente estinto, ma le transazioni non hanno potuto essere congelate o annullate e così finiscono in tribunale come dimostra il caso emblematico di SallieMae, la società di prestiti agli studenti, e JC. Flowers (un fondo per gli investimenti molto attivo, ma che, paradossalmente, non ha siti web (10)). Del resto in ottobre, LBOs ha rappresentato soltanto il 5% delle transazioni di fusione-acquisizione contro il 31% del giugno 2007.

Grado d'esposizione delle banche US ai rischi legati ai prodotti finanziari derivati - fonte Contraryinvestor

Tutte quest'evoluzioni convergono nella stessa direzione, cioè la perdita di una fonte importante di redditi delle banche che operano negli Stati Uniti, che dunque si accumulerà alle conseguenze dell'applicazione della norma FASB 157 e della crisi dello CDOs, cioè la perdita di valore di una parte importante dell'attivo di queste stesse banche. Nel 2006 infatti, i redditi, provenendo per lo più dai loro onorari di advisors e dalle attività d’intermediazione per questi riacquisti, fusioni, acquisizioni, ecc.... hanno costituito il 27% del totale, con la più forte progressione registrata da sette anni (sette anni prima, nel 1999, eravamo alla vigilia dell'esplosione della bolla Internet!). D'altra parte, già nel 2006, questi redditi avevano dovuto compensare le perdite generate dai primi effetti della crisi dei "subprimes". Nel 2007, le perdite legate al mercato ipotecario sono letteralmente esplose rispetto al 2006, e, come si può constatare, i redditi degli advisors e degli intermediari nelle grandi transazioni finanziarie si sono prosciugati (11).
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Non c’è bisogno di essere un esperto per concludere che queste banche conosceranno tra la fine del 2007 e l'inizio 2008 una crisi molto grave che determinerà perdite che non si potranno affrontare. Ciò che si vede oggi, secondo LEAP/E2020, sono soltanto i segnali precursori di una crisi bancaria totale i cui fattori e le cui conseguenze per gli investitori ed i risparmiatori sono stati dettagliati nella GEAB N°19.

DIARIO DELLA CRISI FINANZIARIA

Continua, almeno apparentemente senza soste, la guerra per banche negli Stati Uniti d’America, ma non si scherza neanche in Europa e in Italia, e l’ultima battaglia è condotta a suon di dossier di valutazione dei concorrenti, un gioco nel quale il ruolo di assoluta protagonista è interpretato dall’ineffabile, potente e preveggente Goldman Sachs, che, giovedì, in un colpo solo ha gettato nel panico i vertici di Citigroup, Bank of America e J.P. Morgan-Chase con valutazioni sui conti delle tre banche USA nel quarto trimestre tali da farle stramazzare al suolo. Sarà un caso, ma colpisce che gli strali degli attenti e preparati analisti di Goldman si siano diretti contro le tre sole entità del vasto panorama finanziario che avevano, seppur obtorto collo, accettato di accogliere l’imperativo suggerimento dell’ex numero uno di Goldman e attualmente, non si sa per quanto viste le performance recenti, ministro del Tesoro di Gorge W. Bush junior, e si erano imbarcati nella ormai defunta avventura della realizzazione di quel MLEC che tanto ha contribuito ad aumentare il panico degli operatori e le perplessità di commentatori e analisti. Secondo i tre analisti un po’ teleguidati di Goldman, le tre banche USA dovranno spesare nel quarto trimestre dell’anno perdite complessive per la bellezza di 33,6 miliardi di dollari, così ripartite: 18,7 miliardi per Citigroup, 11,5 per Merrill Lynch e solo 3,4 miliardi (ma il dato rappresenta il doppio delle precedenti previsioni dei tre maliziosi analisti) per la più solida ed avveduta del trio che è rappresentata da J.P. Morgan-Chase. Ma la vera perfidia degli analisti di Goldman riguarda la povera Citigroup, che non solo è chiamata ad operare svalutazioni mostre dei titoli della finanza strutturata (in gran parte i micidiali collateralized debt obligations), ma si prevede che dovrà tagliare di ben il 40 per cento quel livello elevatissimo di dividendi che rappresenta l’unico motivo degli attuali e dei futuri azionisti di Citi per non seguire il perentorio sell emesso dai nostri tre analisti coraggiosi di Goldman a conclusione del loro rapporto. Pur a fronte delle mega svalutazioni previste per Merrill Lynch ed alla crescita esponenziale di quelle che toccheranno a J.P. Morgan-Chase, i nostri mantengono un giudizio tutto sommato lusinghiero di neutral, ma è evidente ai più che si tratta soltanto di una fase nell’escalation del processo di downgrade, ma anche del timore del committente dei giudizi dele possibili contromosse delle tre banche che hanno certamente messo all’opera i loro altrettanto numerosi ed agguerriti analisti con l’esplicita mission di fare e senza pietà le pulci ai già noti conti trimestrali ed annuali di Goldman. In attesa di assistere alle future puntate di questa guerra per banche, mi limito a segnalare che anche l’entità semi pubblica che si occupa di finanziare i genitori che vogliono assicurare un livello adeguato di studi ai propri figli, un’entità affettuosamente chiamata Sallie Mae, sta battendo cassa presso il mercato per un ammontare che dagli iniziali 1,5 miliardi di dollari è presto passato, vista l’aria sempre più brutta che tira, a 2,5 miliardi, anche se deve farsi largo tra le ben più grosse Fannie Mae e Freddie Mac che le loro massicce e pressanti richieste al mecato le hanno fatte già da qualche tempo. Ma quello che non ha giovato agli umori del mercato è stato il flop dell’attesissimo rimbalzo degli ordini di beni durevoli dopo il vero e proprio tonfo di ottobre e che si è invece tradotto in un miserrimo incremento dello 0,1 per cento (contro il +2,2 per cento atteso) ed un lieve recupero della fiducia dei consumatori per il futuro più o meno remoto, mentre il giudizio degli intervistati sul presente ha continuato a scendere precipitosamente verso livelli più bassi di quelli registrati solo un mese prima. Ma la vera campana a morto è suonata poco prima con il calo del 7,6 per cento delle richieste di nuovi mutui, una flessione che si è rivelata ancora più consistente nella componente del rifinanziamento degli stessi mutui, calato dell’8,5 per cento, mentre quella relativa ai nuovi mutui è scesa solo del 6,6 per cento,, con l’indice complessivo che si è portato a 603,8 dal massimo di 1.856,7 toccato nell’ormai lontanissimo, e non solo in termini temporali, maggio del 2003.; non è quindi del tutto casuale se i listini americani prima, quelli asiatici poi, per finire in modo leggermente più dolce nella conservatrice Europa, hanno accusato il colpo e, anche se ancora una volta al netto delle mani forti che da tempo si vedono sul mercato finanziario globale, hanno segnato ribassi di tutto rispetto. Nonostante abbia retto molto meglio del previsto e del prevedibile agli effetti della crisi finanziaria in corso, il comparto degli hedge fund inizia a sempre di più a fare i conti con gli effetti del credit crunch e non si contano più le chiusure o le limitazioni degli affidamenti facenti capo a banche sempre più nervose ed attente al rischio di controparte, mentre, per i finanziamenti e i committments residui sta salendo ogni giorno che passa il costo che i banchieri richiedono per la loro merce sempre più rara. Venendo all’Italia, non stupisce la notizia che racconta che Mediobanca, advisor sia della Banca Popolare di Vicenza che del Banco Popolare, ha chiesto alle due banche di cedere a sé stessa, con una spesa di 400 milioni di euro, le partecipazioni in una società di credito al consumo, denominata Linea, portandosi così al terzo posto tra le entità operanti nel lucroso mercato del credito al consumo e nel quale aveva già un posto di rilievo mediante la controllata Compass, ponendosi immediatamente alle spalle del gigante Findomestic contesa tra BNP Paribas e Intesa-San Paolo e della Prestitempo controllata da Deutsche Bank. Con questa operazione si semplifica ulteriormente il quadro dei soggetti dominanti questo importante segmento del mercato finanziario italiano, che, a parte le società controllate dai gruppi industriali e finalizzate all’acquisto a rate dei propri prodotti, vede l’assoluta prevalenza dei soggetti interamente controllati dalle banche a fronte di una pletora, ma dalle quote di mercato ridottissime, di società finanziarie. A costo di essere monotono e alla luce delle forti implicazioni sociali del crescente ricorso all’indebitamento da parte delle famiglie, ripropongo un mantra che sembra lasciare completamente indifferenti il Governatore Draghi ed il Governo, un mantra che può sintetizzarsi nella intollerabilità di un tasso di riferimento per il calcolo del tasso usurario valido per le banche e di uno, ben più elevato, applicabile alle società finanziarie. Ricordo che il diario della crisi è disponibile anche su www.diariodellacrisi.blogspot.com .
Marco Sarli Responsabile Ufficio Studi UILCA

Il nuovo anno all'insegna del crac finanziario


Quando i nostri lettori leggeranno il primo numero dello Strategic Alert del nuovo anno, le misure prese dai banchieri centrali per prolungare l'agonia del sistema finanziario con illimitate iniezioni di liquidità staranno per scadere, e inizierà una fase totalmente imprevedibile, in cui continuerà la disintegrazione del sistema con un altro grande tracollo tra gennaio e febbraio.
Le iniezioni di liquidità di Natale e Capodanno devono essere rifinanziate dopo il 3 gennaio, ma nelle ultime due settimane sono aumentate le perdite del sistema. Tali perdite richiedono ulteriori iniezioni di liquidità, che possono rapidamente giungere a ordini di grandezza superiori a quelle già effettuate, alimentando la spirale iperinflazionistica della speculazione sulle materie prime e sui generi alimentari basata sull'effetto leva. Al contempo, col nuovo anno, le misure previste da Basilea 2 entreranno in vigore anche negli Stati Uniti, conferendo alla situazione maggiore imprevedibilità: i crediti non verranno più elargiti sulla base dei criteri di capitalizzazione, ma sulla base dei rating, in una situazione in cui il rating AAA non vale più niente.
Come ha ribadito più volte l'economista e leader democratico Lyndon LaRouche, se i governi continueranno a tollerare questa politica, saranno destinati a cadere per aver ceduto la sovranità ai predatori finanziari. I predatori stanno già studiando gli statuti delle banche centrali per trovare il sistema di giustificare un rifinanziamento generalizzato. Stando al Daily Telegraph del 27 dicembre, gli insider stanno studiando un memorandum preparato da membri dello staff della Federal Reserve, in cui si esamina “che cosa si possa fare secondo lo statuto della Federal Reserve nel caso in cui fallisca tutto il resto.” Stando alla sezione 13 dello statuto, la Fed può prendere misure di emergenza nel caso in cui le banche diventino “riluttanti o non disponibili” a concedere crediti. In tal caso, può autorizzare la banca a “concedere il prestito a chiunque assumendosene ella stessa il rischio” e questo aprirebbe tutti i boccaporti senza ritegno, conducendoci “tra la Scilla della stretta creditizia e i Cariddi dell'inflazione”.
In un briefing allo staff dell'EIR il 28 dicembre, la presidente del Movimento Solidarietà tedesco Helga Zepp LaRouche ha sottolineato che in Europa, col sistema dell'Euro e della banca centrale europea, non esiste un provvedimento paragonabile a quello previsto dalla Fed. Questo significa che il patto di stabilità previsto dal trattato di Maastricht potrebbe costringere i governi ad aumentare le tasse e ridurre drasticamente la spesa in fase di recessione, pur di rifinanziare gli hedge funds.
fonte: movisol