03 marzo 2008

Fondo Monetario Internazionale: la vera Mission



Il Fondo Monetario Internazionale (International Monetary Fund, di solito abbreviato in FMI in italiano e in IMF in inglese) è, insieme al Gruppo della Banca Mondiale, una delle organizzazioni internazionali dette di Bretton Woods, dalla sede della Conferenza che ne sancì la creazione.
L'Accordo Istitutivo acquisì efficacia nel 1945 e l'organizzazione nacque nel maggio 1946. L 'FMI si configura anche come un Istituto specializzato delle Nazioni Unite (ONU).

I suoi obiettivi sono (dovrebbero essere):
- Promuovere la cooperazione monetaria internazionale
- Facilitare l'espansione del commercio internazionale
- Promuovere la stabilità e l'ordine dei rapporti di cambio, evitando svalutazioni competitive
- Dare fiducia agli Stati membri rendendo disponibili, con adeguate garanzie, le risorse del Fondo per affrontare difficoltà della bilancia dei pagamenti
- In relazione con i fini di cui sopra, abbreviare la durata e ridurre la misura degli squilibri delle bilance dei pagamenti degli Stati membri.

Ogni membro (attualmente 185 paesi) può accedere al credito del fondo (SBA ed EFF), in un anno, fino al massimo del 100% delle quote sottoscritte e, cumulativamente, fino al massimo del 300%; l'ammontare dei prestiti può essere elevato in casi eccezionali.
Il Fondo Monetario Internazionale è fortemente criticato dal movimento no-global e da alcuni illustri economisti, come il Premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, che lo accusano di essere un'istituzione manovrata dai poteri economici e politici del cosiddetto Nord del mondo e di peggiorare le condizioni dei paesi poveri anziché adoperarsi per l'interesse generale.
Il sistema di voto, che chiaramente privilegia i paesi "occidentali", è considerato da molti iniquo e non democratico. Il FMI è accusato di prendere le sue decisioni in maniera poco trasparente e di imporle ai governi democraticamente eletti che si trovano così a perdere la sovranità sulle loro politiche economiche.

Il board esecutivo e il board dei governatori del FMI non danno a tutti i Paesi la stessa possibilità di essere rappresentati.
L’assegnazione del numero dei voti è basata sul sistema “un dollaro un voto”, che quindi antepone la ricchezza alla democrazia. I paesi più ricchi controllano il board esecutivo sia in termini di seggi che di voti, nonostante il Fondo sia quasi completamente impegnato in Paesi a basso e medio reddito. Questo sistema, creato durante il periodo coloniale e controllato dai governi dei Paesi sviluppati, è inadeguato e necessita di essere radicalmente modificato.
Perciò molti economisti, rappresentati del governo e associazioni chiedono una struttura del Fondo che sia realmente democratica, che abbia gli stessi standard di democrazia richiesti a livello nazionale. Per raggiungere questo obiettivo, si auspica l’adozione immediata di un sistema di voto a doppia maggioranza. Le decisioni dei board dovrebbero essere prese solo con il consenso della maggioranza dei governi membri e con la maggioranza dei voti a favore. Il sistema “un Paese, un voto” contro-bilancerebbe il sistema “un dollaro, un voto”. La combinazione dell’attuale sistema di voto con la richiesta di un accordo della maggioranza dei governi membri contribuirebbe a superare l’ineguaglianza che caratterizza il meccanismo decisionale del FMI.

Come espresso prima Joseph Stiglitz ha apertamente criticato l’operato del Fondo Monetario Internazionale.
Stiglitz ha rivestito ruoli rilevanti nella politica economica. Ha lavorato nell'amministrazione Clinton come Presidente dei consiglieri economici (1995 –1997); alla Banca Mondiale ha assunto la posizione di Senior Vice President e Chief Economist (1997 – 2000), prima di essere costretto alle dimissioni dal Segretario del Tesoro Lawrence Summers.
Stiglitz esprime il suo disappunto per la politica del FMI nel suo libro intitolato "Globalization and Its Discontents" 92 ("La globalizzazione e i suoi oppositori"), dove analizza gli errori del FMI e della gestione delle crisi finanziarie che si sono susseguite negli anni novanta, dalla Russia ai paesi del sud est asiatico all'Argentina. Stiglitz illustra come la risposta del FMI a queste situazioni di crisi sia stata sempre la stessa, basandosi sulla riduzione delle spese dello Stato, una politica monetaria deflazionista e l'apertura dei mercati locali agli investimenti esteri. Tali scelte politiche venivano di fatto imposte ai paesi in crisi ma non rispondevano alle esigenze delle singole economie, e si rivelavano inefficaci o addirittura di ostacolo per il superamento delle crisi.

Stiglitz critica il FMI su diversi punti.
Analizzando la crisi dell’Est asiatico, Stiglitz ricorda che il 2 luglio 1997 crollò il baht tailandese che segnò l’inizio della più grande crisi economica dai tempi della Grande depressione, una crisi che partendo dall’Asia sarebbe andata a colpire anche Russia e America Latina.
Il baht, che per dieci anni era stato scambiato con un rapporto di 25:1 rispetto al dollaro, dalla sera alla mattina subì una svalutazione di circa il 25 per cento.

Ormai la crisi è passata ma sfortunatamente le politiche imposte dal FMI durante quel periodo tumultuoso hanno peggiorato la situazione, e in molti casi hanno provocato addirittura l’inizio di una crisi: secondo Stiglitz una liberalizzazione eccessivamente rapida dei mercati finanziari e dei capitali è stata probabilmente la causa principale della crisi, sebbene vi abbiano condotto anche alcune politiche sbagliate condotto dai singoli paesi.
Oggi gli esperti del FMI hanno riconosciuto molti errori, ma non tutti.
Si sono resi conto, per esempio, di quanto possa essere pericolosa una liberalizzazione troppo rapida del mercato dei capitali, ma è un cambiamento di opinione che arriva quando ormai è troppo tardi per aiutare i paesi in difficoltà.

Nei tre decenni precedenti alla crisi, l’Est asiatico non era soltanto cresciuto più velocemente di qualsiasi altra regione del mondo, più o meno sviluppata, riuscendo addirittura a ridurre la povertà, ma aveva anche acquisto stabilità e si era salvato dagli alti e bassi che caratterizzavano tutte le economie di mercato.
Tanto che quei risultati positivi vennero descritti come “il miracolo asiatico”.
Quando scoppiò la crisi però il FMI e il Tesoro degli Stati Uniti fecero aspre critiche contro questi paesi, incolpandoli di avere dei governi corrotti e urgeva una riforma radicale.
Stiglitz però si interroga: “come è possibile che le istituzioni di questi paesi abbiano funzionato così bene per tanto tempo se sono marce e corrotte?” . La risposta si evinse chiaramente dalla relazione intitolata “The East Asian Miracle” realizzata dalla Banca Mondiale su pressione dei giapponesi: quei paesi asiatici avevano avuto successo non solo malgrado il fatto di non aver seguito il diktat del Washington Consensus, ma proprio perché non li avevano seguiti; fu così evidenziato l’importante ruolo svolto dai governi.

Mentre le politiche del Washington Consensus mettevano in risalto la privatizzazione, i governi asiatici a livello nazionale e locale davano contributi per la creazione di imprese efficienti che hanno svolto un ruolo decisivo nel successo di alcuni di questi paesi.
Quando cominciò la crisi, l’Occidente non ne colse la gravità.
Il FMI per risolvere la crisi impose un’impennata dei tassi d’interesse e tagli alle spese, nonché di introdurre nei paesi cambiamenti sia economici che politici.
Il FMI stava fornendo miliardi di dollari a questi paesi, ma a condizioni di così ampia portata che i paesi che accettavano i finanziamenti finivano per rinunciare a gran parte della loro sovranità economica.

Nonostante ciò, i programmi del FMI sono falliti: avrebbero dovuto arrestare la caduta dei tassi di interesse, che invece si sono mantenuti in discesa, senza che il mercato abbia minimamente dimostrato di aver preso atto che fosse arrivato il FMI a “salvare la situazione”. Imbarazzato dal fallimento della sua ricetta il FMI ha puntualmente incolpato il paese di turno di non aver attuato sul serio le riforme necessarie.
Con l’aggravarsi della crisi aumentò la disoccupazione: la percentuale di disoccupati era quadruplicata in Corea, triplicata in Thailandia e decuplicata in Indonesia.
Il rallentamento nella regione ha avuto ripercussioni globali:la crescita economica complessiva fu rallentata e, con questo rallentamento, sono crollati i prezzi delle materie prime.

Secondo il premio Nobel americano, a generare le crisi economiche dall’Est asiatico all’America Latina, dalla Russia all’India, ritiene che la colpa vada imputata alla liberalizzazione dei movimenti di capitali. Secondo Stiglitz essa può creare rischi enormi persino in quei paesi che hanno banche forti, borse valori mature e altre istituzioni che molti di quei paesi in crisi non possedevano. Nonostante egli esempi del passato, il FMI ripropone la sua ricetta di liberalizzazione dei capitali, nella bizzarra ipotesi che questa migliorerebbe la stabilità economica attraverso una maggior diversificazione delle fonti di finanziamento. Basterebbe però analizzare i dati relativi ai flussi di capitali per rendersi conto che essi hanno un andamento prociclico, cioè defluiscono da un determinato paese in tempi di recessione, proprio quando il paese ne ha più bisogno, e affluiscono verso il paese nel periodi di rapida espansione, esasperando le pressioni inflazionistiche.

Analizziamo due casi: la Corea del Sud dove è intervenuto il FMI e la Cina che scelse di non seguire le politiche del Fondo.

1. In Corea il FMI, nonostante conoscesse l’eccessivo indebitamento delle aziende, insistette che fossero aumentati i tassi di interesse e ciò aumentò il numero delle aziende in crisi e, di conseguenza, il numero delle banche che si trovarono a gestire “crediti in sofferenza”. In pratica il FMI era riuscito a congegnare una contrazione simultanea tanto della domanda quanto dell’offerta.
Il FMI si giustificava dicendo che le sue politiche avrebbero aiutato a riportare la fiducia nei mercati dei paesi colpiti. Ma chiaramente un paese in piena recessione non ispira alcuna fiducia.

2. Confrontando quello che è successo in Cina invece, che come la Malesia scelse di non seguire i programmi del FMI, vediamo chiaramente gli effetti negativi delle politiche del FMI.
La Cina , del resto come l’India, fu uno dei grani paesi in via di sviluppo che è riuscita ad evitare la devastazione della crisi economica mondiale introducendo dei controlli sui movimenti dei capitali.

Mentre i paesi in via di sviluppo con mercati dei capitali liberalizzati hanno registrato un declino dei redditi, l’India è cresciuta di oltre il 5% e la Cina quasi dell’8%. Questi risultati notevoli sono stati seguiti non certo seguendo le ricette del FMI, bensì quelle dell’ortodossia economica che gli economisti insegnano da più di mezzo secolo. La Cina ha colto l’occasione di associare ai suoi obiettivi a breve termine quelli di una crescita di lungo periodo, stimolando una domanda enorme di infrastrutture.
Conn Hallinan è analista in politica estera al Foreign Policy, ed insegnante di giornalismo all’Università della California a Santa Cruz. Hallinan scrive che l’ultima vittima in ordine di tempo del FMI sia stata appunto l’Argentina: la terza economia, per importanza, dell'America Latina è stata fatta deragliare dalle politiche del Fondo Monetario Internazionale che hanno già devastato popolazioni ed economie da Mosca a JaKarta riempiendo al contempo i forzieri delle banche e delle organizzazioni finanziarie.

Secondo Hallinan il mito più diffuso riguardo al FMI è che si tratti di un organismo “internazionale". Infatti, ha molti membri ma gli Stati Uniti ed i suoi alleati prendono tutte le decisioni. L'Olanda, ad esempio, ha più potere di voto della Cina e dell'India. "Internazionale" sarebbe quindi una comoda finzione che permette all'organizzazione di evitare il controllo del Congresso. Quello che il FMI fa è di fare un'offerta che non è possibile rifiutare.
Quando L’Argentina attraversò un periodo economico burrascoso all’inizio degli anni ’90, il Presidente Bush (senior) e il Fondo offrirono un prestito condizionato all’ancoraggio del Peso Argentino al Dollaro, alla totale privatizzazione di banche e servizi, alla rimozione di dazi doganali ed alla liberalizzazione della circolazione dei capitali.

L’Argentina ha abboccato e i capitali stranieri sono affluiti. Per alcuni (i benestanti) l’economia decollò, ma legare il peso al dollaro ha reso le esportazioni argentine proibitive mentre l’inondazione di importazioni estere a basso costo ha minato la base industriale del paese: chiusura di fabbriche, diffusione della disoccupazione ed implosione del debito. La libera circolazione dei capitali ha permesso a compagnie straniere di spillare profitti all’estero ed ha aperto le porte ai “vulture funds”, che hanno acquistato gran parte del debito per fare il colpo grosso con gli elevati tassi d’interesse.
Il fondo Toronto Trust Argentina98 ha avuto un ritorno del 79,25% sui debiti acquistati pari a trenta volte quello che avrebbe realizzato con i Bonds del tesoro statunitensi.

L’effetto delle privatizzazioni proposte dal FMI portarono una compagnia francese ad acquistare gli acquedotti del paese e aumentare le tariffe del 400%.
L'Argentina era guardata dal mondo come il paese dove il pensiero unico del F.M.I. e della Banca Mondiale aveva vinto. Un miracolo economico! Ma le privatizzazioni prima o poi finiscono, lo squilibrio commerciale resta, lo Stato deve drenare denaro sui mercati internazionali attraverso prestiti internazionali in valuta, ad ogni giro i tassi salgono e il rating diminuisce. I tassi alti scoraggiano l'economia e per tre anni l'Argentina va in recessione. Le Grandi Famiglie (3% della popolazione) incominciano a cambiare i pesos in dollari. Servono altri prestiti, sempre più cari.

A questo punto scoppia la crisi finanziaria.
Nessuno presta più soldi all'Argentina che è costretta a tagliare del 13% i salari pubblici e a bloccare totalmente la spesa pubblica. Neanche questo basta, ed ecco l'F.M.I., caritatevole, giungere in soccorso, prestando 8 miliardi di dollari . con una clausola, però, che l'Argentina aderisca al F.T.A.A. (Free Trade Area of the Americas) cioè si apra al libero scambio con gli USA.

Doppia trappola: il deflusso di dollari non potrà che aumentare, per il libero scambio e in più si mette in ginocchio il Brasile e si fa saltare il Mercosur (il Mercato dell'America del sud).
La crisi finanziaria argentina è solo rimandata di qualche mese: una boccata d'ossigeno per l'UBS, Citygroup e Chase Manhattan e altre grandi banche che hanno ancora qualche mese per “securizzare” i propri crediti, cioè farli scomparire nel risparmio gestito di fondi pensione. Quando la stessa cosa avvenne in Messico nel 1995 a rimetterci fu il Fondo Pensione degli Insegnanti della California! Ma ormai è fin troppo chiaro: le ricette virtuose del F.M.I. sono catastrofiche.
Dopo il Sud Est asiatico e la Russia hanno rovinato il Sudamerica. Ma la grande fornace di Wall Street ha bisogno di capitali esteri che tengano su i corsi azionari e quindi `mors tua vita mea'!

Meraviglie della globalizzazione dei mercati finanziari!
Ma a dicembre del 2001 la crisi esplode senza remissione. Prima l'annuncio del default sul debito, bonds sovereign e local market instruments collocati compiacentemente sui mercati internazionali per un valore di oltre 58 miliardi di dollari vanno in default. Il Ministro dell'Economia Domingo Cavallo tentò un ultimo colpo da presitigiatore finanziario: lo Swap del debito.
Tassi al 7% invece del 30% e più e allungamento delle scadenze. I mercati non accettano. Gli argentini così incominciano a dubitare che un dollaro valga un peso. Le banche sono prese d'assalto per cambiare pesos in dollari. I capitali defluiscono e con essi la possibilità di far fede agli impegni assunti con il F.M.I. In più la crisi riduce i profitti e i consumi. Crollano dunque anche le entrate fiscali e l'obiettivo del `deficit di bilancio zero torna ad essere quello che era sempre stato: una pura utopia. Si limita la possibilità di ritirare denaro a 1.000 dollari mese. I bancomat vengono presi d'assalto e presto vanno in Tilt. Ormai è crisi di liquidità. Il F.M.I. nega la `tranche' di oltre 1 miliardo di dollari dell'ultimo accordo di sostegno.

Anche loro sanno che sarebbe ormai solo una goccia in un mare di debiti. Iniziano gli assalti ai supermercati e la crisi che tutti conosciamo.
Il crac in Argentina non può essere imputato semplicemente alla corruzione nazionale ma al sistema “politico” del FMI che, invece di sostenere una partecipazione vera nello sviluppo della nazione, ha introdotto meccanismi monetaristici che hanno portato alla rovina economica il paese.
Tra Paesi che soccombono in crisi finanziarie, c’è invece un paese che si libera dal debito nei confronti del FMI e Banca Mondiale, ovvero il Venezuela del Presidente Hugo Chàvez.
Il paese sudamericano ha estinto il debito con il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale e adesso nutre come secondo obiettivo la costituzione del Banco del Sur.
Il Venezuela ha recuperato interamente la sua sovranità; le sue orme potrebbero essere seguite da tanti altri paesi sudamericani od europei. Naturalmente tutto dipende se al tavolo delle trattative si indossi la veste del finanziatore pro-lobby o del debitore.
Salvatore Tamburo

02 marzo 2008

La striscia di Gaza: Olocausto in atto



Mentre i nostri Tg danno informazioni frammentarie e sempre discordanti (te pareva), a Gaza si sta verificando qualcosa che va oltre la guerra preventiva, usando le parole di un indigeno :"OLOCAUSTO".


Il viceministro della Difesa israeliana Matan Vilnai ha minacciato gli abitanti di Gaza con queste parole: «Più intensificano i tiri di Kassam, più attirano su se stessi un olocausto, perché useremo tutta la nostra potenza di fuoco per difenderci».
Testuale.
Vilnai ha usato proprio la parola «olocausto» in relazione ai palestinesi.
Novità assoluta.
A noi goym è vietato usare la parola «olocausto» se non per lo sterminio degli ebrei sotto il nazismo.

La comunità si offende se si usa «olocausto» in altri contesti.
Parlare ad esempio di «olocausto armeno» o di «olocausto dei credenti» sotto Stalin, è sospetto di antisemitismo, perché relativizza l’unico, inconfrontabile olocausto con i fatti di cronaca che hanno colpito i popoli qualunque.
Ora almeno si potrà dire che anche i palestinesi subiscono un olocausto, senza incorrere nelle leggi Mancino-Mastella?
Citare la fonte ebraica, in ogni caso.

Meglio se in giudaico: «Yamitu al azmam shoah gdolah yoter».
Come vedete, si nota la parola «shoah».
Magra consolazione per il milione e mezzo di reclusi di Gaza: in due giorni, le incursioni aeree corazzate israeliane hanno massacrato 32 palestinesi, fra cui quattro ragazzini e un neonato di sei mesi.
E’ la rappresaglia israeliana contro i continui lanci di razzi Kassam, a cui pare si siano aggiunti ora dei «Grad», che sono katiushe da 122 millimetri di vecchia concezione sovietica.
Naturalmente, Sion sostiene che è stato l’Iran a fornire i Grad ad Hamas.
Quindi, bisogna distruggere Hamas.
Reinvadendo Gaza.

Ehud Barak ha mandato messaggi a tutti i leader del mondo annunciando l’invasione, perché i lanci di razzi «di Hamas non lasciano altra scelta ad Israele».
Effettivamente, qualche Grad ha colpito non solo il sobborgo di Sderot, addossato al Muro del lager di Gaza, ma anche la cittadina israeliana di Ashkelon, a 11 miglia di distanza.
E’ rimasto ucciso uno studente universitario del campus, una ragazza è stata ferita, appartamento sono stati danneggiati.
E’ molto strano che le forze armate israeliane – i cui satelliti scrutano ogni metro quadro di Gaza, e che sono in grado di identificare e uccidere dalla stratosfera ogni singolo militante palestinese da loro giudicato sospetto – non riescano a far cessare i lanci.

Dopotutto, nei due giorni scorsi, dei 32 uccisi, diciassette erano – secondo Israele – guerriglieri attivi trucidati con assassinii mirati.
Anche se l’armamento usato, missili ed obici, produce qualche effetto collaterale, su nonne con i loro nipotini e ragazzini che giocavano al calcio.
E’ colpa «di Hamas», ha detto il glorioso Tsahal, che tira i suoi razzi da zone molto popolate (a Gaza non ci sono zone poco abitate, essendo la densità del lager superiore a quella di Hong Kong). Oltretutto, assicura il sito religioso ebraico Arutz Sheva, i quattro ragazzini uccisi, anzitutto erano adolescenti, e poi mica stavano giocando a calcio, questa è propaganda antisemita: invece, spostavano i lanciarazzi quando sono stati colpiti.

E’ vero.
Gli israeliani sanno tutto di quel che si muove a Gaza.
Sanno – come risulta da un comunicato del loro ministero degli Esteri – che «i razzi Grad sono stati contrabbandati in Gaza dall’Iran attraverso l’Egitto, lungo tunnel e le brecce del muro di confine di Rafah» sul lato egiziano.
Eppure non sanno chi spara e come.
Ha proprio ragione McCain: «Bomb, bomb, bomb Iran».
Nel frattempo però, bisogna proprio invadere di nuovo Gaza.

La difesa israeliana fa sapere che tutto è pronto per una «massiccia offensiva terrestre» nel loro campo di concentramento, onde far cadere il governo di Hamas, che non è ancora caduto da sé.
I generali attendono solo che il tempo migliori, poi comincerà l’olocausto dei palestinesi (fonte: Vilnai) nelle strade sovraffollate e nei campi-profughi brulicanti.
Non che finora la vita sia una gioia, nel lager.
Gli attacchi aerei israeliani sono di un’intensità e violenza senza precedenti, secondo lo stesso Arutz Sheva.

Un medico locale, il dottor Mona El Farra, spiega in una mail com’è la vita sotto Sion:
«Il mio sonno è stato per lo più interrotto la notte scorsa, e così quello di mia figlia. Pesantissime mitragliate contro diverse parti della città, e varie parti di Gaza; il suono dei caccia era spaventoso, e anche quello degli elicotteri. Questa mattina, 28 febbraio, è una guerra aperta senza proporzioni; i civili ne pagano il prezzo. 15 persone sono state uccise negli attacchi della notte, anche un bambino di 3 mesi!!!! (mille i bambini uccisi in cinque anni). Mentre camminavo verso il mio posto di lavoro, la Mezzaluna Rossa (non ho carburante nella mia auto, ma sono solo 25 minuti), ho sentito moltissime esplosioni successive, in varie zone della città; ho visto i soldati delle forze di sicurezza star fuori dalle loro caserme, perché sotto minaccia di bombardamento; ho accelerato il passo, temendo il peggio.
Arrivato al posto di lavoro scopro che non abbiamo carburante per l’ambulanza e gli altri veicoli. Non è entrata una goccia di diesel, a Gaza, da 17 giorni. Tutte le nostre riserve mediche sono finite, mio Dio, questo avrà un effetto disastroso…»

«Medici e infermieri lavorano come sempre sotto pressione; e mentre cerco di organizzare un passaggio di materiale sanitario entro Gaza (è una donazione MECA), non so come faccio a vivere in una così pericolosa situazione; e manca l’elettricità, adesso abbiamo 6-8 ore di elettricità al giorno; l’acqua pulita è un grosso problema per quasi tutti gli abitanti di Gaza.
Non ne posso più, sono esausto, svuotato dal dire e ripetervi sempre le stesse cose, e le cose che vanno di peggio in peggio. Perciò cercate di capirmi se non vi scrivo. Ora sono preoccupato soprattutto della mia vita; e di fare fronte alle necessità di forniture mediche. Il mio fine è giustizia e pace. Passate parola».

M. Blondet

01 marzo 2008

In-formazione


L'equazione media uguale informazione è una ipotesi assurda specialmente dell'Italia agli inizi del XXI secolo. E' possibile che l'informazione si diffonda secondi imperi e non nazioni? Zret va oltre, l'informazione è dove i nostri sensi non arrivano, e, anche i media.
Che cos'è l'informazione? L'informazione, pur essendo trasmessa attraverso un medium materiale, tende a sconfinare in una dimensione quasi immateriale. Moltissimi testi spiegano che il segno è composto da due parti inscindibili, ossia il significato ed il significante. Quest'ultimo è definito generalmente come la parte materiale del segno, ma tale interpretazione è, a mio parere, errata poiché sebbene il significante (la forma del segno) sia veicolato da un substrato materiale, esso è, però, un'immagine acustica, grafica, olfattiva del segno, una sorta di eco della materia.

Si aggiunga che il significato è immateriale, coincidendo con il concetto, con l'idea e si capirà per quale motivo il messaggio all'interno di un sistema comunicativo sia qualcosa di quasi-incorporeo. A rendere l'informazione una realtà molto labile, contribuiscono fattori spaziali e temporali: si pensi ai segnali luminosi cosmici che percepiamo o con gli occhi o con strumenti tecnologici. Sono segnali che, viaggiando alla velocità della luce, ci raggiungono dopo un tempo lunghissimo in relazione alle distanze siderali: talora sono "informazioni" di astri che non esistono più. E' quindi un messaggio inattuale. Si aggiunga all'interno del sistema della comunicazione il ruolo del rumore, ossia il disturbo sulla trasmissione del messaggio. Si consideri pure la difficoltà di connettere il pensiero alle leggi di natura, giacché l'attività ideativa è manifestata per mezzo di mezzi fisici, ma non può essere spiegata in toto in termini di reazioni chimiche e di dinamiche biologiche. Ancora una volta, siamo in presenza di uno iato tra sfera noetica (pensiero, idee, coscienza) e sfera materiale.

In un interessante articolo intitolato Il tempo, l'infinito, l'anima, Alex Torinesi congettura che l'anima sia il principio generatore dello spazio-tempo: l'autore concepisce l'anima come "pura informazione", nel senso, però, non tanto di trasmissione di un messaggio, ma di formazione delle coordinate spazio-temporali e della materia che ad esse soggiace. L'informazione è quindi, quasi aristotelicamente, forma. Tale forma genera la materia per evolvere nello spazio-tempo. La tesi dello studioso si può condividere o rifiutare in parte o del tutto, ma è degno di nota che l'autore colga il lato produttivo dell'informazione, non semplice segnale diffuso nello spazio-tempo, grazie ad un medium energetico (onde elettromagnetiche in primis). Forse potremmo accostare, consapevoli che è una metafora, ma la metafora non è solo una figura retorica, piuttosto il cuore del linguaggio, il concetto all'anima ed il significante (suono, lettere del segno) alla mente che, per esprimere idee, ha bisogno di un quid energetico (segnali bio-chimici). Tale modello interpretativo rispecchia la teoria di Torinesi sulla genesi della dimensione cronotopica per opera dell'anima.

La psicologia, le neuroscienze, la filosofia, la fisica quantistica... nei prossimi anni potranno forse riempire il vuoto concettuale che divide mente e materia, se si supereranno banali e riduttivi approcci scientisti.
by zret

03 marzo 2008

Fondo Monetario Internazionale: la vera Mission



Il Fondo Monetario Internazionale (International Monetary Fund, di solito abbreviato in FMI in italiano e in IMF in inglese) è, insieme al Gruppo della Banca Mondiale, una delle organizzazioni internazionali dette di Bretton Woods, dalla sede della Conferenza che ne sancì la creazione.
L'Accordo Istitutivo acquisì efficacia nel 1945 e l'organizzazione nacque nel maggio 1946. L 'FMI si configura anche come un Istituto specializzato delle Nazioni Unite (ONU).

I suoi obiettivi sono (dovrebbero essere):
- Promuovere la cooperazione monetaria internazionale
- Facilitare l'espansione del commercio internazionale
- Promuovere la stabilità e l'ordine dei rapporti di cambio, evitando svalutazioni competitive
- Dare fiducia agli Stati membri rendendo disponibili, con adeguate garanzie, le risorse del Fondo per affrontare difficoltà della bilancia dei pagamenti
- In relazione con i fini di cui sopra, abbreviare la durata e ridurre la misura degli squilibri delle bilance dei pagamenti degli Stati membri.

Ogni membro (attualmente 185 paesi) può accedere al credito del fondo (SBA ed EFF), in un anno, fino al massimo del 100% delle quote sottoscritte e, cumulativamente, fino al massimo del 300%; l'ammontare dei prestiti può essere elevato in casi eccezionali.
Il Fondo Monetario Internazionale è fortemente criticato dal movimento no-global e da alcuni illustri economisti, come il Premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, che lo accusano di essere un'istituzione manovrata dai poteri economici e politici del cosiddetto Nord del mondo e di peggiorare le condizioni dei paesi poveri anziché adoperarsi per l'interesse generale.
Il sistema di voto, che chiaramente privilegia i paesi "occidentali", è considerato da molti iniquo e non democratico. Il FMI è accusato di prendere le sue decisioni in maniera poco trasparente e di imporle ai governi democraticamente eletti che si trovano così a perdere la sovranità sulle loro politiche economiche.

Il board esecutivo e il board dei governatori del FMI non danno a tutti i Paesi la stessa possibilità di essere rappresentati.
L’assegnazione del numero dei voti è basata sul sistema “un dollaro un voto”, che quindi antepone la ricchezza alla democrazia. I paesi più ricchi controllano il board esecutivo sia in termini di seggi che di voti, nonostante il Fondo sia quasi completamente impegnato in Paesi a basso e medio reddito. Questo sistema, creato durante il periodo coloniale e controllato dai governi dei Paesi sviluppati, è inadeguato e necessita di essere radicalmente modificato.
Perciò molti economisti, rappresentati del governo e associazioni chiedono una struttura del Fondo che sia realmente democratica, che abbia gli stessi standard di democrazia richiesti a livello nazionale. Per raggiungere questo obiettivo, si auspica l’adozione immediata di un sistema di voto a doppia maggioranza. Le decisioni dei board dovrebbero essere prese solo con il consenso della maggioranza dei governi membri e con la maggioranza dei voti a favore. Il sistema “un Paese, un voto” contro-bilancerebbe il sistema “un dollaro, un voto”. La combinazione dell’attuale sistema di voto con la richiesta di un accordo della maggioranza dei governi membri contribuirebbe a superare l’ineguaglianza che caratterizza il meccanismo decisionale del FMI.

Come espresso prima Joseph Stiglitz ha apertamente criticato l’operato del Fondo Monetario Internazionale.
Stiglitz ha rivestito ruoli rilevanti nella politica economica. Ha lavorato nell'amministrazione Clinton come Presidente dei consiglieri economici (1995 –1997); alla Banca Mondiale ha assunto la posizione di Senior Vice President e Chief Economist (1997 – 2000), prima di essere costretto alle dimissioni dal Segretario del Tesoro Lawrence Summers.
Stiglitz esprime il suo disappunto per la politica del FMI nel suo libro intitolato "Globalization and Its Discontents" 92 ("La globalizzazione e i suoi oppositori"), dove analizza gli errori del FMI e della gestione delle crisi finanziarie che si sono susseguite negli anni novanta, dalla Russia ai paesi del sud est asiatico all'Argentina. Stiglitz illustra come la risposta del FMI a queste situazioni di crisi sia stata sempre la stessa, basandosi sulla riduzione delle spese dello Stato, una politica monetaria deflazionista e l'apertura dei mercati locali agli investimenti esteri. Tali scelte politiche venivano di fatto imposte ai paesi in crisi ma non rispondevano alle esigenze delle singole economie, e si rivelavano inefficaci o addirittura di ostacolo per il superamento delle crisi.

Stiglitz critica il FMI su diversi punti.
Analizzando la crisi dell’Est asiatico, Stiglitz ricorda che il 2 luglio 1997 crollò il baht tailandese che segnò l’inizio della più grande crisi economica dai tempi della Grande depressione, una crisi che partendo dall’Asia sarebbe andata a colpire anche Russia e America Latina.
Il baht, che per dieci anni era stato scambiato con un rapporto di 25:1 rispetto al dollaro, dalla sera alla mattina subì una svalutazione di circa il 25 per cento.

Ormai la crisi è passata ma sfortunatamente le politiche imposte dal FMI durante quel periodo tumultuoso hanno peggiorato la situazione, e in molti casi hanno provocato addirittura l’inizio di una crisi: secondo Stiglitz una liberalizzazione eccessivamente rapida dei mercati finanziari e dei capitali è stata probabilmente la causa principale della crisi, sebbene vi abbiano condotto anche alcune politiche sbagliate condotto dai singoli paesi.
Oggi gli esperti del FMI hanno riconosciuto molti errori, ma non tutti.
Si sono resi conto, per esempio, di quanto possa essere pericolosa una liberalizzazione troppo rapida del mercato dei capitali, ma è un cambiamento di opinione che arriva quando ormai è troppo tardi per aiutare i paesi in difficoltà.

Nei tre decenni precedenti alla crisi, l’Est asiatico non era soltanto cresciuto più velocemente di qualsiasi altra regione del mondo, più o meno sviluppata, riuscendo addirittura a ridurre la povertà, ma aveva anche acquisto stabilità e si era salvato dagli alti e bassi che caratterizzavano tutte le economie di mercato.
Tanto che quei risultati positivi vennero descritti come “il miracolo asiatico”.
Quando scoppiò la crisi però il FMI e il Tesoro degli Stati Uniti fecero aspre critiche contro questi paesi, incolpandoli di avere dei governi corrotti e urgeva una riforma radicale.
Stiglitz però si interroga: “come è possibile che le istituzioni di questi paesi abbiano funzionato così bene per tanto tempo se sono marce e corrotte?” . La risposta si evinse chiaramente dalla relazione intitolata “The East Asian Miracle” realizzata dalla Banca Mondiale su pressione dei giapponesi: quei paesi asiatici avevano avuto successo non solo malgrado il fatto di non aver seguito il diktat del Washington Consensus, ma proprio perché non li avevano seguiti; fu così evidenziato l’importante ruolo svolto dai governi.

Mentre le politiche del Washington Consensus mettevano in risalto la privatizzazione, i governi asiatici a livello nazionale e locale davano contributi per la creazione di imprese efficienti che hanno svolto un ruolo decisivo nel successo di alcuni di questi paesi.
Quando cominciò la crisi, l’Occidente non ne colse la gravità.
Il FMI per risolvere la crisi impose un’impennata dei tassi d’interesse e tagli alle spese, nonché di introdurre nei paesi cambiamenti sia economici che politici.
Il FMI stava fornendo miliardi di dollari a questi paesi, ma a condizioni di così ampia portata che i paesi che accettavano i finanziamenti finivano per rinunciare a gran parte della loro sovranità economica.

Nonostante ciò, i programmi del FMI sono falliti: avrebbero dovuto arrestare la caduta dei tassi di interesse, che invece si sono mantenuti in discesa, senza che il mercato abbia minimamente dimostrato di aver preso atto che fosse arrivato il FMI a “salvare la situazione”. Imbarazzato dal fallimento della sua ricetta il FMI ha puntualmente incolpato il paese di turno di non aver attuato sul serio le riforme necessarie.
Con l’aggravarsi della crisi aumentò la disoccupazione: la percentuale di disoccupati era quadruplicata in Corea, triplicata in Thailandia e decuplicata in Indonesia.
Il rallentamento nella regione ha avuto ripercussioni globali:la crescita economica complessiva fu rallentata e, con questo rallentamento, sono crollati i prezzi delle materie prime.

Secondo il premio Nobel americano, a generare le crisi economiche dall’Est asiatico all’America Latina, dalla Russia all’India, ritiene che la colpa vada imputata alla liberalizzazione dei movimenti di capitali. Secondo Stiglitz essa può creare rischi enormi persino in quei paesi che hanno banche forti, borse valori mature e altre istituzioni che molti di quei paesi in crisi non possedevano. Nonostante egli esempi del passato, il FMI ripropone la sua ricetta di liberalizzazione dei capitali, nella bizzarra ipotesi che questa migliorerebbe la stabilità economica attraverso una maggior diversificazione delle fonti di finanziamento. Basterebbe però analizzare i dati relativi ai flussi di capitali per rendersi conto che essi hanno un andamento prociclico, cioè defluiscono da un determinato paese in tempi di recessione, proprio quando il paese ne ha più bisogno, e affluiscono verso il paese nel periodi di rapida espansione, esasperando le pressioni inflazionistiche.

Analizziamo due casi: la Corea del Sud dove è intervenuto il FMI e la Cina che scelse di non seguire le politiche del Fondo.

1. In Corea il FMI, nonostante conoscesse l’eccessivo indebitamento delle aziende, insistette che fossero aumentati i tassi di interesse e ciò aumentò il numero delle aziende in crisi e, di conseguenza, il numero delle banche che si trovarono a gestire “crediti in sofferenza”. In pratica il FMI era riuscito a congegnare una contrazione simultanea tanto della domanda quanto dell’offerta.
Il FMI si giustificava dicendo che le sue politiche avrebbero aiutato a riportare la fiducia nei mercati dei paesi colpiti. Ma chiaramente un paese in piena recessione non ispira alcuna fiducia.

2. Confrontando quello che è successo in Cina invece, che come la Malesia scelse di non seguire i programmi del FMI, vediamo chiaramente gli effetti negativi delle politiche del FMI.
La Cina , del resto come l’India, fu uno dei grani paesi in via di sviluppo che è riuscita ad evitare la devastazione della crisi economica mondiale introducendo dei controlli sui movimenti dei capitali.

Mentre i paesi in via di sviluppo con mercati dei capitali liberalizzati hanno registrato un declino dei redditi, l’India è cresciuta di oltre il 5% e la Cina quasi dell’8%. Questi risultati notevoli sono stati seguiti non certo seguendo le ricette del FMI, bensì quelle dell’ortodossia economica che gli economisti insegnano da più di mezzo secolo. La Cina ha colto l’occasione di associare ai suoi obiettivi a breve termine quelli di una crescita di lungo periodo, stimolando una domanda enorme di infrastrutture.
Conn Hallinan è analista in politica estera al Foreign Policy, ed insegnante di giornalismo all’Università della California a Santa Cruz. Hallinan scrive che l’ultima vittima in ordine di tempo del FMI sia stata appunto l’Argentina: la terza economia, per importanza, dell'America Latina è stata fatta deragliare dalle politiche del Fondo Monetario Internazionale che hanno già devastato popolazioni ed economie da Mosca a JaKarta riempiendo al contempo i forzieri delle banche e delle organizzazioni finanziarie.

Secondo Hallinan il mito più diffuso riguardo al FMI è che si tratti di un organismo “internazionale". Infatti, ha molti membri ma gli Stati Uniti ed i suoi alleati prendono tutte le decisioni. L'Olanda, ad esempio, ha più potere di voto della Cina e dell'India. "Internazionale" sarebbe quindi una comoda finzione che permette all'organizzazione di evitare il controllo del Congresso. Quello che il FMI fa è di fare un'offerta che non è possibile rifiutare.
Quando L’Argentina attraversò un periodo economico burrascoso all’inizio degli anni ’90, il Presidente Bush (senior) e il Fondo offrirono un prestito condizionato all’ancoraggio del Peso Argentino al Dollaro, alla totale privatizzazione di banche e servizi, alla rimozione di dazi doganali ed alla liberalizzazione della circolazione dei capitali.

L’Argentina ha abboccato e i capitali stranieri sono affluiti. Per alcuni (i benestanti) l’economia decollò, ma legare il peso al dollaro ha reso le esportazioni argentine proibitive mentre l’inondazione di importazioni estere a basso costo ha minato la base industriale del paese: chiusura di fabbriche, diffusione della disoccupazione ed implosione del debito. La libera circolazione dei capitali ha permesso a compagnie straniere di spillare profitti all’estero ed ha aperto le porte ai “vulture funds”, che hanno acquistato gran parte del debito per fare il colpo grosso con gli elevati tassi d’interesse.
Il fondo Toronto Trust Argentina98 ha avuto un ritorno del 79,25% sui debiti acquistati pari a trenta volte quello che avrebbe realizzato con i Bonds del tesoro statunitensi.

L’effetto delle privatizzazioni proposte dal FMI portarono una compagnia francese ad acquistare gli acquedotti del paese e aumentare le tariffe del 400%.
L'Argentina era guardata dal mondo come il paese dove il pensiero unico del F.M.I. e della Banca Mondiale aveva vinto. Un miracolo economico! Ma le privatizzazioni prima o poi finiscono, lo squilibrio commerciale resta, lo Stato deve drenare denaro sui mercati internazionali attraverso prestiti internazionali in valuta, ad ogni giro i tassi salgono e il rating diminuisce. I tassi alti scoraggiano l'economia e per tre anni l'Argentina va in recessione. Le Grandi Famiglie (3% della popolazione) incominciano a cambiare i pesos in dollari. Servono altri prestiti, sempre più cari.

A questo punto scoppia la crisi finanziaria.
Nessuno presta più soldi all'Argentina che è costretta a tagliare del 13% i salari pubblici e a bloccare totalmente la spesa pubblica. Neanche questo basta, ed ecco l'F.M.I., caritatevole, giungere in soccorso, prestando 8 miliardi di dollari . con una clausola, però, che l'Argentina aderisca al F.T.A.A. (Free Trade Area of the Americas) cioè si apra al libero scambio con gli USA.

Doppia trappola: il deflusso di dollari non potrà che aumentare, per il libero scambio e in più si mette in ginocchio il Brasile e si fa saltare il Mercosur (il Mercato dell'America del sud).
La crisi finanziaria argentina è solo rimandata di qualche mese: una boccata d'ossigeno per l'UBS, Citygroup e Chase Manhattan e altre grandi banche che hanno ancora qualche mese per “securizzare” i propri crediti, cioè farli scomparire nel risparmio gestito di fondi pensione. Quando la stessa cosa avvenne in Messico nel 1995 a rimetterci fu il Fondo Pensione degli Insegnanti della California! Ma ormai è fin troppo chiaro: le ricette virtuose del F.M.I. sono catastrofiche.
Dopo il Sud Est asiatico e la Russia hanno rovinato il Sudamerica. Ma la grande fornace di Wall Street ha bisogno di capitali esteri che tengano su i corsi azionari e quindi `mors tua vita mea'!

Meraviglie della globalizzazione dei mercati finanziari!
Ma a dicembre del 2001 la crisi esplode senza remissione. Prima l'annuncio del default sul debito, bonds sovereign e local market instruments collocati compiacentemente sui mercati internazionali per un valore di oltre 58 miliardi di dollari vanno in default. Il Ministro dell'Economia Domingo Cavallo tentò un ultimo colpo da presitigiatore finanziario: lo Swap del debito.
Tassi al 7% invece del 30% e più e allungamento delle scadenze. I mercati non accettano. Gli argentini così incominciano a dubitare che un dollaro valga un peso. Le banche sono prese d'assalto per cambiare pesos in dollari. I capitali defluiscono e con essi la possibilità di far fede agli impegni assunti con il F.M.I. In più la crisi riduce i profitti e i consumi. Crollano dunque anche le entrate fiscali e l'obiettivo del `deficit di bilancio zero torna ad essere quello che era sempre stato: una pura utopia. Si limita la possibilità di ritirare denaro a 1.000 dollari mese. I bancomat vengono presi d'assalto e presto vanno in Tilt. Ormai è crisi di liquidità. Il F.M.I. nega la `tranche' di oltre 1 miliardo di dollari dell'ultimo accordo di sostegno.

Anche loro sanno che sarebbe ormai solo una goccia in un mare di debiti. Iniziano gli assalti ai supermercati e la crisi che tutti conosciamo.
Il crac in Argentina non può essere imputato semplicemente alla corruzione nazionale ma al sistema “politico” del FMI che, invece di sostenere una partecipazione vera nello sviluppo della nazione, ha introdotto meccanismi monetaristici che hanno portato alla rovina economica il paese.
Tra Paesi che soccombono in crisi finanziarie, c’è invece un paese che si libera dal debito nei confronti del FMI e Banca Mondiale, ovvero il Venezuela del Presidente Hugo Chàvez.
Il paese sudamericano ha estinto il debito con il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale e adesso nutre come secondo obiettivo la costituzione del Banco del Sur.
Il Venezuela ha recuperato interamente la sua sovranità; le sue orme potrebbero essere seguite da tanti altri paesi sudamericani od europei. Naturalmente tutto dipende se al tavolo delle trattative si indossi la veste del finanziatore pro-lobby o del debitore.
Salvatore Tamburo

02 marzo 2008

La striscia di Gaza: Olocausto in atto



Mentre i nostri Tg danno informazioni frammentarie e sempre discordanti (te pareva), a Gaza si sta verificando qualcosa che va oltre la guerra preventiva, usando le parole di un indigeno :"OLOCAUSTO".


Il viceministro della Difesa israeliana Matan Vilnai ha minacciato gli abitanti di Gaza con queste parole: «Più intensificano i tiri di Kassam, più attirano su se stessi un olocausto, perché useremo tutta la nostra potenza di fuoco per difenderci».
Testuale.
Vilnai ha usato proprio la parola «olocausto» in relazione ai palestinesi.
Novità assoluta.
A noi goym è vietato usare la parola «olocausto» se non per lo sterminio degli ebrei sotto il nazismo.

La comunità si offende se si usa «olocausto» in altri contesti.
Parlare ad esempio di «olocausto armeno» o di «olocausto dei credenti» sotto Stalin, è sospetto di antisemitismo, perché relativizza l’unico, inconfrontabile olocausto con i fatti di cronaca che hanno colpito i popoli qualunque.
Ora almeno si potrà dire che anche i palestinesi subiscono un olocausto, senza incorrere nelle leggi Mancino-Mastella?
Citare la fonte ebraica, in ogni caso.

Meglio se in giudaico: «Yamitu al azmam shoah gdolah yoter».
Come vedete, si nota la parola «shoah».
Magra consolazione per il milione e mezzo di reclusi di Gaza: in due giorni, le incursioni aeree corazzate israeliane hanno massacrato 32 palestinesi, fra cui quattro ragazzini e un neonato di sei mesi.
E’ la rappresaglia israeliana contro i continui lanci di razzi Kassam, a cui pare si siano aggiunti ora dei «Grad», che sono katiushe da 122 millimetri di vecchia concezione sovietica.
Naturalmente, Sion sostiene che è stato l’Iran a fornire i Grad ad Hamas.
Quindi, bisogna distruggere Hamas.
Reinvadendo Gaza.

Ehud Barak ha mandato messaggi a tutti i leader del mondo annunciando l’invasione, perché i lanci di razzi «di Hamas non lasciano altra scelta ad Israele».
Effettivamente, qualche Grad ha colpito non solo il sobborgo di Sderot, addossato al Muro del lager di Gaza, ma anche la cittadina israeliana di Ashkelon, a 11 miglia di distanza.
E’ rimasto ucciso uno studente universitario del campus, una ragazza è stata ferita, appartamento sono stati danneggiati.
E’ molto strano che le forze armate israeliane – i cui satelliti scrutano ogni metro quadro di Gaza, e che sono in grado di identificare e uccidere dalla stratosfera ogni singolo militante palestinese da loro giudicato sospetto – non riescano a far cessare i lanci.

Dopotutto, nei due giorni scorsi, dei 32 uccisi, diciassette erano – secondo Israele – guerriglieri attivi trucidati con assassinii mirati.
Anche se l’armamento usato, missili ed obici, produce qualche effetto collaterale, su nonne con i loro nipotini e ragazzini che giocavano al calcio.
E’ colpa «di Hamas», ha detto il glorioso Tsahal, che tira i suoi razzi da zone molto popolate (a Gaza non ci sono zone poco abitate, essendo la densità del lager superiore a quella di Hong Kong). Oltretutto, assicura il sito religioso ebraico Arutz Sheva, i quattro ragazzini uccisi, anzitutto erano adolescenti, e poi mica stavano giocando a calcio, questa è propaganda antisemita: invece, spostavano i lanciarazzi quando sono stati colpiti.

E’ vero.
Gli israeliani sanno tutto di quel che si muove a Gaza.
Sanno – come risulta da un comunicato del loro ministero degli Esteri – che «i razzi Grad sono stati contrabbandati in Gaza dall’Iran attraverso l’Egitto, lungo tunnel e le brecce del muro di confine di Rafah» sul lato egiziano.
Eppure non sanno chi spara e come.
Ha proprio ragione McCain: «Bomb, bomb, bomb Iran».
Nel frattempo però, bisogna proprio invadere di nuovo Gaza.

La difesa israeliana fa sapere che tutto è pronto per una «massiccia offensiva terrestre» nel loro campo di concentramento, onde far cadere il governo di Hamas, che non è ancora caduto da sé.
I generali attendono solo che il tempo migliori, poi comincerà l’olocausto dei palestinesi (fonte: Vilnai) nelle strade sovraffollate e nei campi-profughi brulicanti.
Non che finora la vita sia una gioia, nel lager.
Gli attacchi aerei israeliani sono di un’intensità e violenza senza precedenti, secondo lo stesso Arutz Sheva.

Un medico locale, il dottor Mona El Farra, spiega in una mail com’è la vita sotto Sion:
«Il mio sonno è stato per lo più interrotto la notte scorsa, e così quello di mia figlia. Pesantissime mitragliate contro diverse parti della città, e varie parti di Gaza; il suono dei caccia era spaventoso, e anche quello degli elicotteri. Questa mattina, 28 febbraio, è una guerra aperta senza proporzioni; i civili ne pagano il prezzo. 15 persone sono state uccise negli attacchi della notte, anche un bambino di 3 mesi!!!! (mille i bambini uccisi in cinque anni). Mentre camminavo verso il mio posto di lavoro, la Mezzaluna Rossa (non ho carburante nella mia auto, ma sono solo 25 minuti), ho sentito moltissime esplosioni successive, in varie zone della città; ho visto i soldati delle forze di sicurezza star fuori dalle loro caserme, perché sotto minaccia di bombardamento; ho accelerato il passo, temendo il peggio.
Arrivato al posto di lavoro scopro che non abbiamo carburante per l’ambulanza e gli altri veicoli. Non è entrata una goccia di diesel, a Gaza, da 17 giorni. Tutte le nostre riserve mediche sono finite, mio Dio, questo avrà un effetto disastroso…»

«Medici e infermieri lavorano come sempre sotto pressione; e mentre cerco di organizzare un passaggio di materiale sanitario entro Gaza (è una donazione MECA), non so come faccio a vivere in una così pericolosa situazione; e manca l’elettricità, adesso abbiamo 6-8 ore di elettricità al giorno; l’acqua pulita è un grosso problema per quasi tutti gli abitanti di Gaza.
Non ne posso più, sono esausto, svuotato dal dire e ripetervi sempre le stesse cose, e le cose che vanno di peggio in peggio. Perciò cercate di capirmi se non vi scrivo. Ora sono preoccupato soprattutto della mia vita; e di fare fronte alle necessità di forniture mediche. Il mio fine è giustizia e pace. Passate parola».

M. Blondet

01 marzo 2008

In-formazione


L'equazione media uguale informazione è una ipotesi assurda specialmente dell'Italia agli inizi del XXI secolo. E' possibile che l'informazione si diffonda secondi imperi e non nazioni? Zret va oltre, l'informazione è dove i nostri sensi non arrivano, e, anche i media.
Che cos'è l'informazione? L'informazione, pur essendo trasmessa attraverso un medium materiale, tende a sconfinare in una dimensione quasi immateriale. Moltissimi testi spiegano che il segno è composto da due parti inscindibili, ossia il significato ed il significante. Quest'ultimo è definito generalmente come la parte materiale del segno, ma tale interpretazione è, a mio parere, errata poiché sebbene il significante (la forma del segno) sia veicolato da un substrato materiale, esso è, però, un'immagine acustica, grafica, olfattiva del segno, una sorta di eco della materia.

Si aggiunga che il significato è immateriale, coincidendo con il concetto, con l'idea e si capirà per quale motivo il messaggio all'interno di un sistema comunicativo sia qualcosa di quasi-incorporeo. A rendere l'informazione una realtà molto labile, contribuiscono fattori spaziali e temporali: si pensi ai segnali luminosi cosmici che percepiamo o con gli occhi o con strumenti tecnologici. Sono segnali che, viaggiando alla velocità della luce, ci raggiungono dopo un tempo lunghissimo in relazione alle distanze siderali: talora sono "informazioni" di astri che non esistono più. E' quindi un messaggio inattuale. Si aggiunga all'interno del sistema della comunicazione il ruolo del rumore, ossia il disturbo sulla trasmissione del messaggio. Si consideri pure la difficoltà di connettere il pensiero alle leggi di natura, giacché l'attività ideativa è manifestata per mezzo di mezzi fisici, ma non può essere spiegata in toto in termini di reazioni chimiche e di dinamiche biologiche. Ancora una volta, siamo in presenza di uno iato tra sfera noetica (pensiero, idee, coscienza) e sfera materiale.

In un interessante articolo intitolato Il tempo, l'infinito, l'anima, Alex Torinesi congettura che l'anima sia il principio generatore dello spazio-tempo: l'autore concepisce l'anima come "pura informazione", nel senso, però, non tanto di trasmissione di un messaggio, ma di formazione delle coordinate spazio-temporali e della materia che ad esse soggiace. L'informazione è quindi, quasi aristotelicamente, forma. Tale forma genera la materia per evolvere nello spazio-tempo. La tesi dello studioso si può condividere o rifiutare in parte o del tutto, ma è degno di nota che l'autore colga il lato produttivo dell'informazione, non semplice segnale diffuso nello spazio-tempo, grazie ad un medium energetico (onde elettromagnetiche in primis). Forse potremmo accostare, consapevoli che è una metafora, ma la metafora non è solo una figura retorica, piuttosto il cuore del linguaggio, il concetto all'anima ed il significante (suono, lettere del segno) alla mente che, per esprimere idee, ha bisogno di un quid energetico (segnali bio-chimici). Tale modello interpretativo rispecchia la teoria di Torinesi sulla genesi della dimensione cronotopica per opera dell'anima.

La psicologia, le neuroscienze, la filosofia, la fisica quantistica... nei prossimi anni potranno forse riempire il vuoto concettuale che divide mente e materia, se si supereranno banali e riduttivi approcci scientisti.
by zret