02 agosto 2008

Risparmiare energia, unico rimedio all’inflazione




«Tutti parlano del tempo, ma nessuno fa qualcosa». La battuta anglosassone, sorta nella piovosa Inghilterra, potrebbe prestarsi a simili lamentazioni sui prezzi del 2008: «Tutti parlano di inflazione, ma nessuno fa qualcosa». Per la verità, qualcuno ha fatto qualcosa: per esempio, la Bce ha innalzato i tassi, per scongiurare gli aumenti dei prezzi di seconda battuta (di cui non vi è traccia, ma i banchieri centrali non sono pagati per non far niente); altri hanno investito del problema Mister Prezzi (che, se serve a qualcosa, serve a duplicare il lavoro che dovrebbe fare l’Autorità garante delle concorrenza); altri ancora lanciano invettive contro la speculazione (dimenticando che, se l’inflazione è l’onda, la speculazione è solo la spuma sulla cresta dell’onda).



L’inflazione da costi, in special modo quando i costi riguardano beni importati, è una camicia di forza per chi ne soffre. Non c’è molto che si possa fare per scrollarsi di dosso questo fardello. Ma non è detto che questa condanna all’impotenza sia totale. E’ possibile ragionare su quel molto che non si deve fare e su quel poco che si può fare. E tenendo presente che l’emergenza prezzi è uno degli aspetti di una crisi globale di cui ancora «non si vede la fine», come ha avvertito ieri il Fondo monetario.



Fra le cose da non fare, due sono le più importanti. Cerchiamo allora di capire le ragioni di fondo di questi aumenti delle materie prime energetiche e alimentari. Queste ragioni stanno in un accadimento epocale: molti Paesi emergenti avanzano a lunghi passi sulla via dello sviluppo e ripercorrono le strade che già i Paesi ricchi calcarono quando iniziò la loro lunga e industriosa avventura: industrie pesanti, infrastrutture, produzioni energivore. Miliardi e miliardi di esseri umani sono in corsa per migliorare il loro tenore di vita: cambiano i modelli nutrizionali, vogliono cemento ed elettricità, e premono sulla domanda di materie prime. Un assetto produttivo, quello delle materie prime, da sempre dominato dal cosiddetto "hog cycle", da investimenti che richiedono tempi lunghi e condannano a periodiche crisi di sovraproduzione e sottoproduzione. Si, l’Opec è un oligopolio, ma un oligopolio singolarmente inefficiente, che non ha saputo impedire, a metà degli anni 8o, un crollo del prezzo del greggio sotto i io dollari al barile. Ma su questo "hog cycle" si innesta oggi il fattore strutturale di una domanda di petrolio che ha salito un gradino, con l’impetuoso sviluppo di "Cindia" e non solo. La speculazione non fa altro che riconoscere una verità di fondo: con un’offerta fisiologicamente lenta a rispondere a una domanda crescente, il prezzo dell’oro nero salirà. È probabile che la speculazione abbia anticipato questi rincari, e questi anticipi siano stati precipitosi. Ma non vi è dubbio che il prezzo del petrolio rimarrà relativamente elevato. «Tagliare le ali alla speculazione» è dunque un’espressione vuota, sia che risuoni nelle stanze dei bottoni italiane che nei corridoi degli Ecofm che nelle aule del Congresso americano. La prima conclusione è allora questa: abbandonare la ricerca di capri espiatori, accettare che l’equilibrio di fondo fra domanda e offerta di materie prime è cambiato, e attendere un riequilibrio che certamente verrà ma che ha bisogno di tempo per manifestarsi.



E durante questo tempo cosa si fa? Ecco la seconda cosa da non fare: tornare alle indicizzazioni. Il rifiuto di meccanismi di scala mobile non è un bieco tentativo di "far pagare ai lavoratori" il prezzo della crisi, ma è la semplice constatazione di una verità di base: quando aumenta il prezzo di un bene importato, e quando questo aumento non è compensato da un aumento del prezzo dei beni che esportiamo (in termini tecnici, peggiorano le ragioni di scambio), non c’è niente da fare, bisogna stringere la cinghia. Cercare di sottrarsi a questo oggettivo impoverimento del Paese con la deriva salariale è impossibile: l’illusione monetaria di un salario più alto sarà vanificata da maggiore inflazione, e l’inevitabile impoverimento sarà realizzato in un altro modo, con l’aggravante di una perdita di competitività-prezzo rispetto a quei Paesi che hanno risposto alla perdita di ragioni di scambio in modo meno scomposto.



Ma c’è qualcosa di positivo che si può fare per rispondere alla perdita di potere d’acquisto, ed è qualcosa per la quale esistono, a livello individuale, gli stimoli e la capacità. Si tratta di risparmiare nell’uso dell’energia. Il prezzo elevato è l’arma più efficace per generare i risparmi, e le "best practices" esistono per portare a significative riduzioni. Riduzioni che generano un circolo virtuoso, perché, oltre a far risparmiare nell’immediato a livello micro, portano a livello macro a cali della domanda che smussano i prezzi. Perché la virtù dei singoli diventi beneficio collettivo c’è però bisogno che il risparmio di energia diventi un manifesto nazionale, promosso e pungolato dall’azione pubblica. Da questo punto di vista le riduzioni dell’imposta sui prodotti energetici non sono la via migliore; la soluzione preferibile è destinare il gettito extra da caro-energia a interventi mirati di sollievo alle categorie disagiate e a programmi che incentivino il risparmio energetico.


di Fabrizio Galimberti



LE METAMORFOSI DEL TEMPO

Con questo articolo viene superato il muro dei 500 articoli raccolti nel blog.


Una buona lettura a chi avrà tempo e voglia di leggere fra le righe.







Il primo tempo che l'uomo percepisce è quello scandito dal giorno e dalla notte e poi dalle stagioni, il tempo circolare del contadino che si ripete sempre uguale. Sul tempo circolare del contadino si innesta il tempo liturgico, quello dei riti religiosi, anch'esso ripetitivo.

Gli inizi

I primi riferimenti temporali vengono dal ciclo giorno/notte e subito dopo dalle fasi lunari e dal ciclo delle stagioni. Dall'osservazione dei corpi celesti si costruiscono poi i primi calendari.

Cerimonie e rituali rendono ripetibile l'esperienza del mondo, soddisfacendo così una delle esigenze primarie dell'individuo, quella di controllare la propria esperienza, di rendere la propria vita prevedibile senza il bisogno di interrogarsi in continuazione.

I colori liturgici fanno parte del rito e scandiscono un tempo che si ripete in modo circolare. In questo modo l'esperienza non solo è ripetibile, ma lo è anche in modo regolare.

Il tempo del contadino

E’ un tempo che si articola in stagioni e generazioni, scandito da nascite, matrimoni, funerali. Il contadino misura il suo tempo ciclico con le stagioni. Gli anni vengono ricordati con eventi: l'anno della grande nevicata, l'anno in cui morì una persona cara.
Il tempo del contadino è normalmente basato sul ritmo delle stagioni, ma si stende su un periodo ben più lungo quando pianifica acquisti e nuove attività. Se il contadino mette qualcosa da parte e decide di acquistare una vigna deve prevedere un notevole impegno di lavoro, ma anche una probabile rendita abbastanza regolare.
Gli investimenti vengono pianificati anche in base alla famiglia che cresce ed alle braccia disponibili, sono spesso legati alla costruzione di nuove abitazioni.
Il contadino tende a pianificare la sua vita e quella delle generazioni successive. Per esempio nell'acquisto di terre vengono privilegiate le terre confinanti.
Nel mondo del contadino lo sviluppo del singolo è dato dall'accumulo di proprietà (come evidenziato nella "roba" di Verga). In questo caso esso segue logiche lineari.
Egli controlla il suo mondo molto meglio di ciò che può fare oggi un lavoratore medio, che dipende da moltissime altre persone e conosce il mondo attraverso la TV, con poca esperienza diretta della realtà sensibile. Così il contadino conosce la realtà molto meglio di un intellettuale. Per questo i maggiori no-global sono contadini, almeno come origine.

Il tempo industriale

Il tempo contadino viene scalzato gradualmente dal tempo industriale, che introduce quella freccia unidirezionale solitamente chiamata progresso. Il tempo assume un aspetto di movimento da un passato verso un futuro.

Ancora fino a Machiavelli "tutti li tempi tornano e li uomini restano sempre li medesimi".
Con L'Illuminismo (XVIII secolo, fino al 1789) appare un'elite convinta che l'uomo possa prendere la propria vita nelle sue mani e decidere il proprio futuro.
Si spezza così la simmetria tra passato e futuro che era stata assunta implicitamente come valida per millenni. Appare una visione finalistica della storia, presumibilmente influenzata dall'escatologia cristiana. Compare il mito del progresso.
Ma perchè questa visione si propaghi alle masse serve la rivoluzione industriale (fine del XVIII secolo), la quale si propaga a macchie di leopardo nei diversi paesi. Nel XX secolo tutti condividono il tempo unidirezionale basato sull'idea di progresso.
A questa tipologia di tempo si associano le grandi ideologie (l'Illuminismo, il marxismo, lo scientismo). Ma l’ideologia vincente è il capitalismo.
L'eccesso di merce tipico del capitalismo porta gradualmente alla società dei consumi.

Il tempo dello spettacolo

L’eccesso di merci provoca la necessità di distruggerle con regolarità, non c’è più accumulo ma un ciclo frenetico di produzione, consumo e distruzione.

L’accelerazione dei processi sociali è [...] ormai un processo inarrestabile, ingovernabile, fatale. Alimentata dai meccanismi del desiderio, della seduzione e del consumo, in cui i soggetti diventano pedine impotenti di un gioco sistemico che non solo non riescono più a governare, ma da cui sono inesorabilmente governati, l'irrealtà, cioè la virtualità, dilaga in modo incontenibile e incontrollabile. Senza la possibilità di congetturare né un happy end né qualcosa come un buco nero sociale in cui l'ordine attuale imploda. (Baudrillard)

Nella società dei consumatori, quella che per Debord è la società dello spettacolo, il tempo si congela e si ferma. Resta solo la rappresentazione di un eterno presente, senza passato, senza futuro, senza storia. Tutte le ideologie evaporano e resta solo la religione del consumo.

Il tempo consumistico/terroristico è analogo a quello della fiaba: tutti i giorni sarebbero perfetti per divertirsi all'infinito (come nel paese dei balocchi) se non ci fosse il cattivo di turno a spezzare l'armonia: Satana, Hitler, Saddam Hussein, Bin Laden ...

E' opportuno precisare che il congelamento del tempo non è la Fine della storia preconizzata da Francis Fukuyama; anzi la storia avanza oggi furiosamente mentre le masse non sono più in grado di vederla.

Sempre di più

Man mano che avanza la religione consumistica le giornate più pesanti, quelle più faticose, diventano quelle del fine settimana.
La religione consumistica pretende ormai due giorni riservati (il sabato e la domenica) per i suoi riti, al posto del singolo giorno (sabato o domenica) delle religioni precedenti.



Nella società dello spettacolo tutte le ore di vita sono ore lavorative (il consumatore lavora e non lo sa, diceva Baudrillard). Va notato che le ore del sonno sono tra le più importanti per il lavoro/consumo. Durante il sonno si rielaborano gli spettacoli quotidiani e ci si prepara ai successivi spettacoli sempre più surreali.

Ma chi sfugge a questo meccanismo infernale recupera molto tempo per fare i propri interessi. Qui ci si rende conto che la quantità di lavoro necessaria per vivere è calata nel corso del tempo. Si riesce così a recuperare il tempo dell’ozio, quel tempo necessario per vivere la propria vita e riflettere sui suoi valori.

Truman Burbank

Il dilemma agricolo: cibo e popolazione



L´agricoltura mondiale è davanti ad un dilemma che sembra irrisolvibile: come alimentare una popolazione mondiale in rapida crescita demografica (e di consumi) e come conservare la biodiversità e gestire le risorse naturali di un pianeta sempre più povero di materie prime. "Agricultural Ecosystems: Facts & Trends", una recente pubblicazione di World business council for sustainable development (Wbcsd) e dell´International union for conservation of nature (Iucn), affronta proprio i temi cruciali della crisi alimentare globale, dell´aumento dei prezzi in molti Paesi, presentando fatti, cifre per aiutare governi, agricoltori, consumatori ed industrie a capire meglio come imboccare quella che sembra l´unica via di uscita praticabile: la gestione sostenibile degli ecosistemi agricoli.

La pubblicazione si basa su fatti e cifre che spiegano fino a quale punto preoccupante ci siamo spinti: negli ultimi 20 anni il consumo di carne in Cina è più che raddoppiato ed entro il 2030 raddoppierà ancora; la produzione di carne, latte, zucchero, olii vegetali in genere richiede più acqua che la produzione di cereali; la produzione di alimenti per soddisfare il bisogno giornaliero di una persona necessita di 3.000 litri d´acqua, più di un litro per ogni caloria; l´agricoltura è responsabile del 14% delle emissioni globali di gas serra; i suoli del pianeta contengono più carbonio di quanto complessivamente ne venga assorbito dalla vegetazione e ce ne sia in atmosfera; l´agricoltura utilizza il 70% del totale globale dei prelievi idrici (la cosiddetta "Blue water") da fiumi, laghi e falde sotterranee, la maggior parte della quale viene utilizzata per l´irrigazione; solo il 17% di tutti i campi coltivati è irrigato, ma da qui viene il 30 – 40% dell´intera produzione alimentare del pianeta; il 60% della superficie irrigata a livello mondiale è in Asia, la maggior parte è destinata alla produzione di riso; negli ultimi 40 anni la superficie dei terreni agricoli è cresciuta del 10% a livello mondiale, ma la superficie agricola pro-capite è diminuita, una tendenza che sembra destinata a continuare per ancora molto tempo, con terra disponibile (e coltivabile) sempre più limitata e popolazione mondiale in crescita.

Il genere umano rischia di trovarsi davanti (e probabilmente già c´è) ad un problema inestricabile: occupare tutta la terra disponibile per mangiare o intaccare drammaticamente, fino a perderli, la biodiversità e i servizi eco-sistemici che permettono all´intera catena del vivente (esseri umani compresi) di sopravvivere? Secondo Björn Stigson, presidente del Wbcsd, «E´ fondamentale lavorare su tutta la catena del valore agricolo per raggiungere l´obiettivo di fornire prodotti alimentari sani e accessibili a tutti, tutelando l´ambiente. Questo significa che sono essenziali la cooperazione il coordinamento tra tutti i soggetti interessati».

E il direttore dell´Iucn, Juilia Marton-Lefevre, entra più nei particolari di quello che sembra un necessario nuovo approccio alla produzione agricola (che non è esattamente ciò di cui si è parlato ai Doha round dell´Organizzazione mondiale del commercio) «La conservazione degli ecosistemi e della loro biodiversità deve essere un obiettivo condiviso dal settore produttivo, dalla comunità della conservazione ambientale e dai consumatori. Niente è più importante quanto il fatto che l´agricoltura dipende direttamente dalla natura. I tempi stretti dei mercati agricoli rendono ancora più urgente comprenderlo».

greenreport.it

02 agosto 2008

Risparmiare energia, unico rimedio all’inflazione




«Tutti parlano del tempo, ma nessuno fa qualcosa». La battuta anglosassone, sorta nella piovosa Inghilterra, potrebbe prestarsi a simili lamentazioni sui prezzi del 2008: «Tutti parlano di inflazione, ma nessuno fa qualcosa». Per la verità, qualcuno ha fatto qualcosa: per esempio, la Bce ha innalzato i tassi, per scongiurare gli aumenti dei prezzi di seconda battuta (di cui non vi è traccia, ma i banchieri centrali non sono pagati per non far niente); altri hanno investito del problema Mister Prezzi (che, se serve a qualcosa, serve a duplicare il lavoro che dovrebbe fare l’Autorità garante delle concorrenza); altri ancora lanciano invettive contro la speculazione (dimenticando che, se l’inflazione è l’onda, la speculazione è solo la spuma sulla cresta dell’onda).



L’inflazione da costi, in special modo quando i costi riguardano beni importati, è una camicia di forza per chi ne soffre. Non c’è molto che si possa fare per scrollarsi di dosso questo fardello. Ma non è detto che questa condanna all’impotenza sia totale. E’ possibile ragionare su quel molto che non si deve fare e su quel poco che si può fare. E tenendo presente che l’emergenza prezzi è uno degli aspetti di una crisi globale di cui ancora «non si vede la fine», come ha avvertito ieri il Fondo monetario.



Fra le cose da non fare, due sono le più importanti. Cerchiamo allora di capire le ragioni di fondo di questi aumenti delle materie prime energetiche e alimentari. Queste ragioni stanno in un accadimento epocale: molti Paesi emergenti avanzano a lunghi passi sulla via dello sviluppo e ripercorrono le strade che già i Paesi ricchi calcarono quando iniziò la loro lunga e industriosa avventura: industrie pesanti, infrastrutture, produzioni energivore. Miliardi e miliardi di esseri umani sono in corsa per migliorare il loro tenore di vita: cambiano i modelli nutrizionali, vogliono cemento ed elettricità, e premono sulla domanda di materie prime. Un assetto produttivo, quello delle materie prime, da sempre dominato dal cosiddetto "hog cycle", da investimenti che richiedono tempi lunghi e condannano a periodiche crisi di sovraproduzione e sottoproduzione. Si, l’Opec è un oligopolio, ma un oligopolio singolarmente inefficiente, che non ha saputo impedire, a metà degli anni 8o, un crollo del prezzo del greggio sotto i io dollari al barile. Ma su questo "hog cycle" si innesta oggi il fattore strutturale di una domanda di petrolio che ha salito un gradino, con l’impetuoso sviluppo di "Cindia" e non solo. La speculazione non fa altro che riconoscere una verità di fondo: con un’offerta fisiologicamente lenta a rispondere a una domanda crescente, il prezzo dell’oro nero salirà. È probabile che la speculazione abbia anticipato questi rincari, e questi anticipi siano stati precipitosi. Ma non vi è dubbio che il prezzo del petrolio rimarrà relativamente elevato. «Tagliare le ali alla speculazione» è dunque un’espressione vuota, sia che risuoni nelle stanze dei bottoni italiane che nei corridoi degli Ecofm che nelle aule del Congresso americano. La prima conclusione è allora questa: abbandonare la ricerca di capri espiatori, accettare che l’equilibrio di fondo fra domanda e offerta di materie prime è cambiato, e attendere un riequilibrio che certamente verrà ma che ha bisogno di tempo per manifestarsi.



E durante questo tempo cosa si fa? Ecco la seconda cosa da non fare: tornare alle indicizzazioni. Il rifiuto di meccanismi di scala mobile non è un bieco tentativo di "far pagare ai lavoratori" il prezzo della crisi, ma è la semplice constatazione di una verità di base: quando aumenta il prezzo di un bene importato, e quando questo aumento non è compensato da un aumento del prezzo dei beni che esportiamo (in termini tecnici, peggiorano le ragioni di scambio), non c’è niente da fare, bisogna stringere la cinghia. Cercare di sottrarsi a questo oggettivo impoverimento del Paese con la deriva salariale è impossibile: l’illusione monetaria di un salario più alto sarà vanificata da maggiore inflazione, e l’inevitabile impoverimento sarà realizzato in un altro modo, con l’aggravante di una perdita di competitività-prezzo rispetto a quei Paesi che hanno risposto alla perdita di ragioni di scambio in modo meno scomposto.



Ma c’è qualcosa di positivo che si può fare per rispondere alla perdita di potere d’acquisto, ed è qualcosa per la quale esistono, a livello individuale, gli stimoli e la capacità. Si tratta di risparmiare nell’uso dell’energia. Il prezzo elevato è l’arma più efficace per generare i risparmi, e le "best practices" esistono per portare a significative riduzioni. Riduzioni che generano un circolo virtuoso, perché, oltre a far risparmiare nell’immediato a livello micro, portano a livello macro a cali della domanda che smussano i prezzi. Perché la virtù dei singoli diventi beneficio collettivo c’è però bisogno che il risparmio di energia diventi un manifesto nazionale, promosso e pungolato dall’azione pubblica. Da questo punto di vista le riduzioni dell’imposta sui prodotti energetici non sono la via migliore; la soluzione preferibile è destinare il gettito extra da caro-energia a interventi mirati di sollievo alle categorie disagiate e a programmi che incentivino il risparmio energetico.


di Fabrizio Galimberti



LE METAMORFOSI DEL TEMPO

Con questo articolo viene superato il muro dei 500 articoli raccolti nel blog.


Una buona lettura a chi avrà tempo e voglia di leggere fra le righe.







Il primo tempo che l'uomo percepisce è quello scandito dal giorno e dalla notte e poi dalle stagioni, il tempo circolare del contadino che si ripete sempre uguale. Sul tempo circolare del contadino si innesta il tempo liturgico, quello dei riti religiosi, anch'esso ripetitivo.

Gli inizi

I primi riferimenti temporali vengono dal ciclo giorno/notte e subito dopo dalle fasi lunari e dal ciclo delle stagioni. Dall'osservazione dei corpi celesti si costruiscono poi i primi calendari.

Cerimonie e rituali rendono ripetibile l'esperienza del mondo, soddisfacendo così una delle esigenze primarie dell'individuo, quella di controllare la propria esperienza, di rendere la propria vita prevedibile senza il bisogno di interrogarsi in continuazione.

I colori liturgici fanno parte del rito e scandiscono un tempo che si ripete in modo circolare. In questo modo l'esperienza non solo è ripetibile, ma lo è anche in modo regolare.

Il tempo del contadino

E’ un tempo che si articola in stagioni e generazioni, scandito da nascite, matrimoni, funerali. Il contadino misura il suo tempo ciclico con le stagioni. Gli anni vengono ricordati con eventi: l'anno della grande nevicata, l'anno in cui morì una persona cara.
Il tempo del contadino è normalmente basato sul ritmo delle stagioni, ma si stende su un periodo ben più lungo quando pianifica acquisti e nuove attività. Se il contadino mette qualcosa da parte e decide di acquistare una vigna deve prevedere un notevole impegno di lavoro, ma anche una probabile rendita abbastanza regolare.
Gli investimenti vengono pianificati anche in base alla famiglia che cresce ed alle braccia disponibili, sono spesso legati alla costruzione di nuove abitazioni.
Il contadino tende a pianificare la sua vita e quella delle generazioni successive. Per esempio nell'acquisto di terre vengono privilegiate le terre confinanti.
Nel mondo del contadino lo sviluppo del singolo è dato dall'accumulo di proprietà (come evidenziato nella "roba" di Verga). In questo caso esso segue logiche lineari.
Egli controlla il suo mondo molto meglio di ciò che può fare oggi un lavoratore medio, che dipende da moltissime altre persone e conosce il mondo attraverso la TV, con poca esperienza diretta della realtà sensibile. Così il contadino conosce la realtà molto meglio di un intellettuale. Per questo i maggiori no-global sono contadini, almeno come origine.

Il tempo industriale

Il tempo contadino viene scalzato gradualmente dal tempo industriale, che introduce quella freccia unidirezionale solitamente chiamata progresso. Il tempo assume un aspetto di movimento da un passato verso un futuro.

Ancora fino a Machiavelli "tutti li tempi tornano e li uomini restano sempre li medesimi".
Con L'Illuminismo (XVIII secolo, fino al 1789) appare un'elite convinta che l'uomo possa prendere la propria vita nelle sue mani e decidere il proprio futuro.
Si spezza così la simmetria tra passato e futuro che era stata assunta implicitamente come valida per millenni. Appare una visione finalistica della storia, presumibilmente influenzata dall'escatologia cristiana. Compare il mito del progresso.
Ma perchè questa visione si propaghi alle masse serve la rivoluzione industriale (fine del XVIII secolo), la quale si propaga a macchie di leopardo nei diversi paesi. Nel XX secolo tutti condividono il tempo unidirezionale basato sull'idea di progresso.
A questa tipologia di tempo si associano le grandi ideologie (l'Illuminismo, il marxismo, lo scientismo). Ma l’ideologia vincente è il capitalismo.
L'eccesso di merce tipico del capitalismo porta gradualmente alla società dei consumi.

Il tempo dello spettacolo

L’eccesso di merci provoca la necessità di distruggerle con regolarità, non c’è più accumulo ma un ciclo frenetico di produzione, consumo e distruzione.

L’accelerazione dei processi sociali è [...] ormai un processo inarrestabile, ingovernabile, fatale. Alimentata dai meccanismi del desiderio, della seduzione e del consumo, in cui i soggetti diventano pedine impotenti di un gioco sistemico che non solo non riescono più a governare, ma da cui sono inesorabilmente governati, l'irrealtà, cioè la virtualità, dilaga in modo incontenibile e incontrollabile. Senza la possibilità di congetturare né un happy end né qualcosa come un buco nero sociale in cui l'ordine attuale imploda. (Baudrillard)

Nella società dei consumatori, quella che per Debord è la società dello spettacolo, il tempo si congela e si ferma. Resta solo la rappresentazione di un eterno presente, senza passato, senza futuro, senza storia. Tutte le ideologie evaporano e resta solo la religione del consumo.

Il tempo consumistico/terroristico è analogo a quello della fiaba: tutti i giorni sarebbero perfetti per divertirsi all'infinito (come nel paese dei balocchi) se non ci fosse il cattivo di turno a spezzare l'armonia: Satana, Hitler, Saddam Hussein, Bin Laden ...

E' opportuno precisare che il congelamento del tempo non è la Fine della storia preconizzata da Francis Fukuyama; anzi la storia avanza oggi furiosamente mentre le masse non sono più in grado di vederla.

Sempre di più

Man mano che avanza la religione consumistica le giornate più pesanti, quelle più faticose, diventano quelle del fine settimana.
La religione consumistica pretende ormai due giorni riservati (il sabato e la domenica) per i suoi riti, al posto del singolo giorno (sabato o domenica) delle religioni precedenti.



Nella società dello spettacolo tutte le ore di vita sono ore lavorative (il consumatore lavora e non lo sa, diceva Baudrillard). Va notato che le ore del sonno sono tra le più importanti per il lavoro/consumo. Durante il sonno si rielaborano gli spettacoli quotidiani e ci si prepara ai successivi spettacoli sempre più surreali.

Ma chi sfugge a questo meccanismo infernale recupera molto tempo per fare i propri interessi. Qui ci si rende conto che la quantità di lavoro necessaria per vivere è calata nel corso del tempo. Si riesce così a recuperare il tempo dell’ozio, quel tempo necessario per vivere la propria vita e riflettere sui suoi valori.

Truman Burbank

Il dilemma agricolo: cibo e popolazione



L´agricoltura mondiale è davanti ad un dilemma che sembra irrisolvibile: come alimentare una popolazione mondiale in rapida crescita demografica (e di consumi) e come conservare la biodiversità e gestire le risorse naturali di un pianeta sempre più povero di materie prime. "Agricultural Ecosystems: Facts & Trends", una recente pubblicazione di World business council for sustainable development (Wbcsd) e dell´International union for conservation of nature (Iucn), affronta proprio i temi cruciali della crisi alimentare globale, dell´aumento dei prezzi in molti Paesi, presentando fatti, cifre per aiutare governi, agricoltori, consumatori ed industrie a capire meglio come imboccare quella che sembra l´unica via di uscita praticabile: la gestione sostenibile degli ecosistemi agricoli.

La pubblicazione si basa su fatti e cifre che spiegano fino a quale punto preoccupante ci siamo spinti: negli ultimi 20 anni il consumo di carne in Cina è più che raddoppiato ed entro il 2030 raddoppierà ancora; la produzione di carne, latte, zucchero, olii vegetali in genere richiede più acqua che la produzione di cereali; la produzione di alimenti per soddisfare il bisogno giornaliero di una persona necessita di 3.000 litri d´acqua, più di un litro per ogni caloria; l´agricoltura è responsabile del 14% delle emissioni globali di gas serra; i suoli del pianeta contengono più carbonio di quanto complessivamente ne venga assorbito dalla vegetazione e ce ne sia in atmosfera; l´agricoltura utilizza il 70% del totale globale dei prelievi idrici (la cosiddetta "Blue water") da fiumi, laghi e falde sotterranee, la maggior parte della quale viene utilizzata per l´irrigazione; solo il 17% di tutti i campi coltivati è irrigato, ma da qui viene il 30 – 40% dell´intera produzione alimentare del pianeta; il 60% della superficie irrigata a livello mondiale è in Asia, la maggior parte è destinata alla produzione di riso; negli ultimi 40 anni la superficie dei terreni agricoli è cresciuta del 10% a livello mondiale, ma la superficie agricola pro-capite è diminuita, una tendenza che sembra destinata a continuare per ancora molto tempo, con terra disponibile (e coltivabile) sempre più limitata e popolazione mondiale in crescita.

Il genere umano rischia di trovarsi davanti (e probabilmente già c´è) ad un problema inestricabile: occupare tutta la terra disponibile per mangiare o intaccare drammaticamente, fino a perderli, la biodiversità e i servizi eco-sistemici che permettono all´intera catena del vivente (esseri umani compresi) di sopravvivere? Secondo Björn Stigson, presidente del Wbcsd, «E´ fondamentale lavorare su tutta la catena del valore agricolo per raggiungere l´obiettivo di fornire prodotti alimentari sani e accessibili a tutti, tutelando l´ambiente. Questo significa che sono essenziali la cooperazione il coordinamento tra tutti i soggetti interessati».

E il direttore dell´Iucn, Juilia Marton-Lefevre, entra più nei particolari di quello che sembra un necessario nuovo approccio alla produzione agricola (che non è esattamente ciò di cui si è parlato ai Doha round dell´Organizzazione mondiale del commercio) «La conservazione degli ecosistemi e della loro biodiversità deve essere un obiettivo condiviso dal settore produttivo, dalla comunità della conservazione ambientale e dai consumatori. Niente è più importante quanto il fatto che l´agricoltura dipende direttamente dalla natura. I tempi stretti dei mercati agricoli rendono ancora più urgente comprenderlo».

greenreport.it