18 agosto 2008

La cupola scoperta da De Magistris



l pm di Catanzaro Luigi De Magistris, punito e trasferito dal Csm, chiude l’inchiesta «Toghe Lucane» con un lungo elenco di indagati – ben 33 – e pesanti accuse alla magistratura. E’ il suo ultimo atto da pubblico ministero prima di trasferirsi a Napoli con funzioni di giudice.

Tra gli indagati figurano 8 magistrati, quattro ufficiali dei carabinieri, un senatore, un presidente di Regione e tre sindaci. Indagati anche l’ex questore, Vincenzo Mauro, e l’ex capo della squadra mobile, Luisa Fasano. Nelle aule di giustizia, a Potenza, si oscilla tra la corruzione e la «cartomanzia giudiziaria» (la pm Claudia De Luca, per 65 volte, chiama l’899 di un cartomante con il telefono di servizio). Spuntano complotti tra vertici dei carabinieri (i generali Cetola e Garelli, comandante interregionale e comandante della Basilicata) e toghe (il sostituto pg Bonomi) per...

danneggiare altri magistrati (i pm Woodcock e Montemurro, i gip Iannuzzi e Pavese).

Il «sodalizio», scrive De Magistris, era «composto da politici, avvocati, imprenditori e faccendieri che avevano necessità di interventi illeciti per il condizionamento dell’attività giudiziaria. I pubblici ufficiali asservivano la loro funzione, ricevendo utilità varie, inclusi incarichi in ruoli di vertice all’interno dell’ordine giudiziario o nella commissione antimafia».

Al centro delle vicende un vorticoso giro di soldi.
Milioni di finanziamenti pubblici vengono dirottati sul complesso turistico Marinagri. Ubicato in una zona ad alto rischio idrogeologico, potrebbe essere spazzato via da un’alluvione. Ma non importa: i finanziamenti devono passare ugualmente. La magistratura lucana, allertata sull’operazione archivia. Le indagini sono condotte dalla pm di Matera, Claudia Morelli (indagata).

Intanto, il pm napoletano, scopre che Giuseppe Chieco, capo della procura di Matera, era interessato all’acquisto d’un appartamento nel villaggio turistico.
Scopre che il senatore Filippo Bubbico (Pd), ex governatore lucano, spinge perché il progetto passi.
Indaga anche sul Presidente della Regione, Vito De Filippo (Pd), su un alto funzionario del ministero (Massimo Goti), sull’ex moglie di Marco Follini, Elisabetta Spitz, e sui passaggi che portano all’approvazione di progetto e finanziamento.

Altri esempi. Iside Granese, Presidente del Tribunale di Matera, ottiene dalla banca Popolare del materano un mutuo di 620 mila euro al tre per cento d’interessi. Per la banca sembra un’operazione in perdita. Ma la Granese firma una sentenza di fallimento che avvantaggerebbe due esponenti della banca.

In queste 516 pagine scorre una storia ultraventennale: indagando sulla magistratura lucana, de Magistris, scopre novità su tre casi irrisolti: la scomparsa di Elisa Claps e due duplici omicidi.
Novità trasmesse alla procura di Salerno.

Quest'articolo dice quello che i tg non vogliono dire. La situazione in Georgia, per chi non conosce la storia è facile da interpretare male, ma per chi sa, e vuol far capire è un articolo da tenere bene in mente. Potrebbe ripetersi, e, la storia si ripete... spesso.



Quando si distruggono gli imperi - anche cattivi - quel che riempie il loro vuoto è sempre peggio. La scomparsa di un impero lascia sempre una zona di instabilità, a volte per secoli (il Medio Oriente in fiamme è un esito della scomparsa dell’impero ottomano) e il motivo è ovvio. Al posto del «comando» imperiale, che è sempre in qualche misura responsabile, pretendono di «comandare» capi locali, provinciali o addirittura tribali, retrogradi, avventuristi e irresponsabili fino all’infantilismo. I nuovi «comandanti» salgono in cattedra di fronte al mondo, fanno la voce grossa, si sentono finalmente «liberi» e «sovrani». In realtà, sono solo vermi che pullulano dentro la grande carcassa dell’impero morto.

Mikhail Saakashvili, portato al potere da una «rivoluzione delle rose» interamente pagata dalla CIA (il fatto è ampiamente documentato) è stato votato dai georgiani - cinque milioni in tutto, una provincia - perchè era il più nazionalista di tutti loro. Immediatamente, aizzato da Washington, costui ha chiesto l’adesione alla NATO. Altrettanto immediatamente, ha vietato la lingua russa ed ha abolito da tutte la scritture pubbliche e private i caratteri cirillici; ma non per sostituirli coi caratteri latini che si usano alla NATO, bensì con un alfabeto georgiano arcaico, prima reperibile solo in qualche antica lapide e decifrabile solo da qualche archeologo specializzato, e quasi certamente sconosciuto alla maggioranza assoluta dei georgiani stessi.

Dunque, se il mondo deve occuparsi della Georgia, che impari la lingua e l’alfabeto kartuli (si chiama così, dal nome di un eroe mitico-capostipite). Saakashvili è riuscito a dare realizzazione al sogno o delirio che Bossi si limita covare, restituire i lombardi all’alfabeto celtico, un alfabeto magari di sua invenzione durante una notte di sbornie? I secessionismi e i particolarismi si nutrono sempre di qualche delirio arcaico.

Siccome quello di Saakashvili è un secessionismo compiuto - un modello - sarà dunque istruttivo anche per i lombardi studiarne l’esito.

A pochi mesi dalla sua elezione trionfale, Saakashvili ha trasformato la «democrazia» pagatagli dalla CIA in una dittatura personale; più precisamente, nella dittatura della sua tribù materna - letteralmente, il clan tribale di sua madre - ai cui membri ha distribuito cariche, favoritismi e mazzette della corruzione dilagante.

Nel novembre scorso, ci sono state dimostrazioni di piazza contro il dittatore tribale; i neo-cittadini già ne hanno abbastanza del Gran Kartulo; ma Saakashvili ha scatenato contro i concittadini kartvelebi (così d’ora in poi si devono chiamare) le sue guardie pretoriane, dotate di inusitata ferocia e di armamento e addestramento pagato da Washington. Tipico dei vermi che pretendono di «comandare» agitandosi nella carcassa di un impero putrefatto è dichiararsi vittime storiche dell’impero defunto: benchè abbia dato la nascita a Stalin, ed abbia sempre avuto georgiani nel CC del PCUS, la nuova Georgia si dichiara innocente del sovietismo. Non c’entra, non c’è mai entrata, l’ha sempre combattuto scrivendo di nascosto in kartuli.

Naturalmente, i vermi prediligono la storia antica (specie quella così antica da non aver lasciato tracce, come i Celti in Lombardia) rispetto a quella recente. Così, la Georgia nuova ha deciso di ignorare il fatto che 70 anni di unità sovietica hanno mescolato popolazioni e ha creato - soprattutto - una essenziale dipendenza economica delle piccole regioni dell’impero dalle più grandi.

La Georgia contribuiva all’impero sovietico con due prodotti di cui non sfuggirà l’importanza strategica: una produzione di vini di seconda qualità che solo il cittadino sovietico trovava bevibili (sempre meglio dell’antigelo per motori), e una certa acqua minerale Borzhomi. Saakashvili ha preteso che Mosca continuasse a importare i suoi vini e la sua acqua minerale, allo stesso tempo dichiarandosi indipendente dalla Russia da cui importava tutto il resto, a cominciare dal petrolio con cui riscalda le case georgiane nei rigidi inverni. E pretendeva che i cittadini di lingua russa, messi in Abkhazia e in Ossezia nel grande tragico rimescolamento di popoli staliniano, imparassero il kartuli e inneggiassero al clan di sua mamma.

Su un altro punto il Bossi kartuli è molto più concreto del nostro Saakashvili «padano»: il nostro straparla di «fucili» e «proiettili», il georgiano ha speso il 70% del prodotto interno lordo del suo Paese di 5 milioni di abitanti in miseria, in armamento pesante (1). Si è fatto un esercito di 17 mila uomini; ne ha mandati 2 mila in Iraq a fianco dell’Alleato Americano; ciò allo scopo di trascinare, poi, l’Alleato Americano nella guerra che intende sferrare contro la Russia, perchè questo è il suo scopo ultimo.

Giudicate voi: è o non è una Grande Politica Mondiale? Il particolarista perfetto, per quanto provinciale e tribale sia, ha infatti ambizioni mondiali. Nel caso, scatenare la guerra atomica fra due superpotenze. E’ così che i vermi secessionisti si sentono grandi; provocando grandi disastri.

Il guaio è che Saakashvili ha trovato l’appoggio dell’altra demenza, quella che impera a Washington. La quale ha usato la Georgia come zona di transito del petrolio del Caspio, che non vuol far passare dalla Russia: le condutture della pipeline Baku-Tbilisi-Ceyhan, finanziate da BP, Total ed Eni, servono allo scopo, e dovevano fornire al capo kartuli un flusso di royalty un po' più sostenuto dell’export di vinello e acqua minerale, da distribuire alla tribù materna.

Washington preme per far entrare la Kartulia nella NATO; l’Europa non dice di no, ma nicchia, e trascina i piedi; Washington brucia le tappe e organizza una esercitazione militare congiunta con truppe americane e truppe kartuli in territorio kartuli, a ridosso della Russia; questa esercitazione è avvenuta ed è finita solo il 31 luglio, dunque pochi giorni fa (2) e si è chiamata, per volontà del Pentagono, «Immediate Response» (vedi «Provocazioni contro Mosca», EFFEDIEFFE.com, 21 luglio). Una chiara provocazione ai russi, dopo il piazzamento dei missili in Polonia e la minaccia di espellere la Russia dal G-8.

Ciò ha chiaramente incoraggiato nei suoi progetti il Gran Kartuli. Saakashvili ha preso l’iniziativa dell’aggressione: ha mandato le sue truppe a bombardare l’Ossetia russofona, ed è apparso in TV tenendo dietro le spalle la bandiera stellata dell’Unione Europea di cui non fa parte, con accanto il vessilo della NATO di cui non è membro. Ha fatto tappezzare Tbilisi, la sua capitale, di manifesti dove appare a fianco di George W. Bush.

Come tutti i Bossi, anche lui vive in un mondo di fantasia, di ampolle sacre su sacri fiumi, di antichi eroi kartuli del 12mo secolo o dell’età della pietra. Saakashvili si frega le mani: adesso gli americani interverranno a fianco del loro più forte alleato, Mosca ha i giorni contati. Ordina a Washington: rimandatemi i 2.000 uomini che vi ho spedito in Iraq, ora mi servono per marciare su Mosca.

Probabilmente nessuno ha tradotto in caratteri kartuli una frase di Kissinger, che dovrebbe essere invece scolpita molto in grande a Tbilisi: «Nessuna grande potenza si suicida per un alleato minore» (a meno che non si chiami Katz). Anzi, due frasi di Kissinger. La seconda è: «Nessuna grande potenza si ritira per sempre». Parecchie decine di carri armati russi occupano la Sud Ossezia. Navi russe nel Mar Nero si predispongono a chiudere Kartulia in un blocco navale (3).

Saakashvili è scomparso in un bunker. L’aiuto che riceve è un po' di propaganda: ecco, vedete com'è cattivo Putin, dice Bush, e ripetono i Frattini europoidi, e tutti i media coi loro camerieri e ragazzi-spazzola.

Devo dire che la propaganda non resta senza effetto sulla stupidità egemone. Una mia amica altolocata, che lavora per l’ONU, mi telefona tutta indignata: Putin ha bombardato Tbilisi, una capitale straniera di uno Stato sovrano, violando il diritto internazionale; mentre Saakashvili, facendo strage in Sud-Ossezia, ha agito nel suo diritto, perchè il Sud-Ossezia è territorio georgiano, un «affare interno».

Provo a rinfrescarle la memoria: ha presente che gli USA hanno invaso e stanno occupando due Paesi che non gli hanno mai dichiarato guerra nè mai costituito una minaccia per Washington? Riesce, con uno sforzo, a ricordare che solo due anni fa, Israele ha bombardato la capitale di un Paese sovrano che pare chiamarsi Libano, devastandolo dalle fondamenta, con la scusa che doveva liberare quattro (dicesi quattro) soldatini israeliani catturati mentre penetravano in territorio libanese? E’ in grado di ricordare che un Paese che non ha mai aggredito nessuno, di nome Iran, è perennemente minacciato di attacco preventivo perchè sta sviluppando un’industria nucleare civile, cui ha diritto come firmatario dei Trattati di Non-Proliferazione? Viene forse invocato in questi casi il diritto internazionale?

La risposta è: «Scusa, devo lasciarti perchè ho ospiti». Le signore dell’ONU hanno sempre ospiti nelle loro ville con piscina. Aperitivi, rinfreschi, alta società.

Così, non riesco a cominicarle la mia ultima frase: dall’11 settembre 2001, la società Bush & Katz ha inaugurato una nuova fase storica globale. La fase in cui la violenza «è» il nuovo diritto internazionale. E' una fase nuova ma anche un grande ritorno dell’arcaico, la forza che crea il diritto.

L’invasione non provocata e non motivata legalmente di Afghanistan (occupato da sette anni) e Iraq (occupato da quattro), come il bombardamento del Libano hanno creato un precedente giuridico internazionale. Di cui anche all’ONU si dovrebbero soppesare tutte le conseguenze.

Naturalmente, la risposta di Mosca al Gran Kartuli - risposta adeguata nel quadro della nuova legalità internazionale - apre una fase pericolosa.
Per noi europidi, che riceviamo dalla Russia il 25% del nostro fabbisogno energetico, per i nostri serbatoi e per i nostri riscaldamenti invernali: perchè noi europei abbiamo lasciato che la ditta Bush & Katz ci separassero fisicamente dal fornitore russo, lasciando che costituissero Stati-cuscinetto come l’Ucraina, la Polonia, e la Kartulia.

Pericoloso per l’Iran (e dunque ancora per i nostri serbatoi e caloriferi), visto che la confusione nell’area di instabilità avvicina la tentazione di Katz di attaccare Teheran approfittando della confusione stessa. Negli scorsi giorni, due nuove portaerei USA, e un altro cacciatorpediniere americano «accompagnato da due navi israeliane» (4) non identificate sono entrati nel Golfo Persico, ad aggiungersi alla densa zuppa di flotte da guerra che Bush & Katz mantengono da mesi davanti alle coste iraniane; c’è da chiedersi come riescano a manovrare nello stretto di Ormuz.

Mai siamo stati così vicini ad un gravissimo conflitto. Di cui non dobbiamo dimenticare di ringraziare i Solana, i Barroso, i Frattini, che si tengono stretti all’«alleato» che congiura alla nostra rovina come europei, anzichè formare una solida partnership europea con Mosca, dettata dal nostro reciproco destino manifesto. La guerra fredda non è stata mai così vicina a diventare rovente dai tempi della crisi di Cuba; allora l’impero sovietico si mostrò responsabile; oggi l’impero non c’è più, e nemmeno lo stesso grado di responsabilità. E' questo il vuoto che lasciano gli imperi spaccati.

Di una sola cosa siamo (quasi) certi: la guerra non si espanderà partendo dalla Georgia. Lì, ha ragione Lavrov, il conflitto è e resta «limitato». Bush & Katz non alzeranno un dito per il loro servo Saakashvili. E' limitato in tutto e per tutto (5).

Almeno una consolazione ci resta: quest’inverno, nel gelo del razionamento, non dovremo studiare al lume di candela l’alfabeto kartuli. Forse gli stessi georgiani tornerannno ai caratteri cirillici.


M. Blondet

Il bavaglio su Internet aspetta solo un grande pretesto

Sono emerse delle rivelazioni stupefacenti in relazione ad alcuni attuali piani governativi che intendono mettere mano al funzionamento di internet per applicare restrizioni e controlli molto più estesi sul web.

Il professor Lawrence Lessig, un autorevole giurista della Stanford University, nel rivolgersi al pubblico che quest’anno presenziava alla conferenza Brainstorm Tech - organizzata da Fortune a Half Moon Bay, in California – ha dichiarato che «sta per accadere una specie di ‘11 settembre di internet’», un evento che catalizzerà una radicale modifica delle norme che regolano la Rete.
Lessig ha anche rivelato di aver appreso nel corso di un pranzo con l’ex “Zar” governativo del controterrorismo, Richard Clarke, che c’è già un 'cyber-equivalente' del Patriot Act, una sorta di ‘Patriot Act per la Rete’, mentre il Dipartimento della Giustizia è in attesa di un evento cyber-terroristico per poterne applicare le norme.

Durante una sessione di un gruppo di discussione...
intitolata “2018: Vita sulla Rete”, Lessig ha dichiarato:

«Sta per accadere una specie di ‘11 settembre di internet’ (“an i-9/11 event” nell’originale, NdT). Il che non significa necessariamente un attacco di al-Qā‘ida, bensì un evento in cui l’instabilità o l’insicurezza di internet diventi manifesta durante un fatto doloso che poi ispira al governo una reazione. Dovete ricordarvi che dopo l’11 settembre il governo ha predisposto il Patriot Act in appena 20 giorni e lo ha fatto approvare».

«Il Patriot Act è bel mattone e ricordo qualcuno che chiedeva a un funzionario del Dipartimento della Giustizia come avessero fatto a scrivere un cosi vasto corpus giuridico in così poco tempo, e ovviamente la risposta fu che esso se ne era stato buono buono dentro i cassetti ministeriali per tutti gli ultimi 20 anni, in attesa di un evento che lo avrebbe fatto tirar fuori di lì.»

«Naturalmente il Patriot Act è pieno di ogni sorta di follia su come i diritti civili vengono protetti, o non protetti in questo caso. Perciò mentre pranzavo assieme a Richard Clarke gli ho chiesto se ci fosse un equivalente, se c’era per caso un ‘Patriot Act per la Rete’ dentro qualche cassetto, in attesa di un qualunque considerevole evento da usare come pretesto per cambiare radicalmente il modo in cui funziona internet. Disse: “Naturalmente sì”».


Lessig è il fondatore del Center for Internet and Society alla Stanford Law School. È membro fondatore di Creative Commons, fa parte del consiglio di amministrazione della Electronic Frontier Foundation nonché del Software Freedom Law Center.
È ancora più noto quale proponente di riduzioni nelle restrizioni legali nei confronti dei diritti d’autore, dei marchi e dello spettro delle frequenze radio, specie nelle applicazioni tecnologiche.

Questi non sono dunque i vaneggiamenti di un qualche smanettone paranoico.

Il Patriot Act, così come il meno conosciuto provvedimento denominato Domestic Security Enhancement Act 2003 (altrimenti noto come Patriot Act II), sono stati universalmente condannati dai difensori dei diritti civili e dai costituzionalisti collocati lungo tutto l’arco delle posizioni politiche. Queste leggi hanno sguarnito i diritti fondamentali e modellato quel che perfino i critici più moderati hanno definito come un “controllo dittatoriale” ceduto al presidente e al governo federale.

Molti credono che la legge fosse una risposta agli attentati dell’11/9, ma la realtà è che il Patriot Act è stato preparato ben prima dell’11/9 e se ne stava in sospeso, pronto per un evento che ne giustificasse l’applicazione.

Nei giorni successivi agli attentati, la legge fu approvata dalla Camera dei Rappresentanti con una maggioranza di 357 a 66. Al Senato fu approvata con 98 voti a favore e un solo voto contrario. Il parlamentare repubblicano texano Ron Paul dichiarò al «Washington Times» che a nessun membro del Congresso fu nemmeno consentito di leggere il provvedimento.
Ora scopriamo che quasi la stessa normativa restrittiva per le libertà è stata già preparata per il cyberspazio.

Un “11 settembre di internet”, così come descritto da Lawrence Lessig, offrirebbe il pretesto perfetto per applicare simili restrizioni in un solo colpo, nonché di offrire la giustificazione per emarginare ed eliminare specifici contenuti e informazioni presenti nel web.

Un tale evento potrebbe presentarsi nella forma di un grande attacco virale, un hacking dei sistemi di sicurezza o dei trasporti ovvero di altri sistemi vitali di una metropoli, o una combinazione di tutte queste cose. Considerando la quantità di domande senza risposta riguardanti l’11/9 e tutti gli indizi sul fatto che fosse un’operazione deviata sotto copertura, non è difficile immaginare un evento simile dispiegarsi nel cyberspazio.

Tuttavia, anche lasciando perdere qualsiasi “11 settembre di internet” o “Patriot Act per la Rete”, c’è già uno sforzo coordinato mirante a circoscrivere il raggio d’azione e l’influenza di internet.

Abbiamo instancabilmente lanciato l’allarme su questo movimento generale teso a restringere, censurare, controllare a alla fine bloccare del tutto internet così come oggi la conosciamo, uccidendo in quel modo le ultime vere vestigia della libertà di parola oggi nel mondo ed eliminando il più grande strumento di comunicazione e informazione mai concepito.
I nostri governi hanno pagine e pagine di norme compilate per mettere le ganasce all’attuale Rete. provvedimenti quali il PRO-IP Act del 2007 /H.R. 4279, inteso a creare uno ‘zar degli IP’ presso il Dipartimento della Giustizia, oppure l’Intellectual Property Enforcement Act of 2007/S. 522, mirante a creare un intera “rete di rafforzamento della proprietà intellettuale”. Non sono che due esempi.

Inoltre, abbiamo già visto in che modo i più grandi siti web privati e i social network si stiano concentrando e convergano per realizzare sistemi onnicomprensivi di identificazione, verifica e accesso che sono stati descritti dal fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, come «l’inizio di un movimento e l’inizio di un’industria.»

Alcune di queste grandi società tecnologiche hanno già unito gli sforzi su progetti quali la Information Card Foundation, che ha proposto la creazione di un sistema di carte d’identità per internet che saranno richieste per entrare in Rete. Naturalmente un tale sistema darebbe a chi lo gestisse la capacità di rintracciare e controllare l’attività degli utenti con molta più efficacia. Questo è solo un esempio.

Non basta. Come abbiamo già raccontato, i più grandi hub dei trasporti, come St. Pancras International, o anche le biblioteche, le grandi imprese, gli ospedali e altre grandi strutture aperte al pubblico che offrono internet wi-fi, stanno mettendo in lista nera i siti web di informazione alternativa rendendoli del tutto inaccessibili ai loro utenti.

Questi precedenti sono semplicemente il primo indicatore di quanto viene pianificato per internet nei prossimi 5-10 anni, con il web ‘tradizionale’ in via di divenire poco più che una vasta banca dati spionistica che cataloga ogni attività delle persone e le bombarda di pubblicità, mentre coloro che si conformano al controllo e alle regole centralizzate saranno liberi di godere del nuovo e velocissimo Internet 2.

Dobbiamo parlar chiaro riguardo a questa spinta irruente che mira ad applicare meccanismi di stretto controllo sul web, e farlo ADESSO prima che sia troppo tardi, prima che la spina dorsale di un internet libero si rompa e il suo corpo diventi in sostanza paralizzato senza rimedio.


Steve Watson

PrisonPlanet , traduzione di Pino Cabras

18 agosto 2008

La cupola scoperta da De Magistris



l pm di Catanzaro Luigi De Magistris, punito e trasferito dal Csm, chiude l’inchiesta «Toghe Lucane» con un lungo elenco di indagati – ben 33 – e pesanti accuse alla magistratura. E’ il suo ultimo atto da pubblico ministero prima di trasferirsi a Napoli con funzioni di giudice.

Tra gli indagati figurano 8 magistrati, quattro ufficiali dei carabinieri, un senatore, un presidente di Regione e tre sindaci. Indagati anche l’ex questore, Vincenzo Mauro, e l’ex capo della squadra mobile, Luisa Fasano. Nelle aule di giustizia, a Potenza, si oscilla tra la corruzione e la «cartomanzia giudiziaria» (la pm Claudia De Luca, per 65 volte, chiama l’899 di un cartomante con il telefono di servizio). Spuntano complotti tra vertici dei carabinieri (i generali Cetola e Garelli, comandante interregionale e comandante della Basilicata) e toghe (il sostituto pg Bonomi) per...

danneggiare altri magistrati (i pm Woodcock e Montemurro, i gip Iannuzzi e Pavese).

Il «sodalizio», scrive De Magistris, era «composto da politici, avvocati, imprenditori e faccendieri che avevano necessità di interventi illeciti per il condizionamento dell’attività giudiziaria. I pubblici ufficiali asservivano la loro funzione, ricevendo utilità varie, inclusi incarichi in ruoli di vertice all’interno dell’ordine giudiziario o nella commissione antimafia».

Al centro delle vicende un vorticoso giro di soldi.
Milioni di finanziamenti pubblici vengono dirottati sul complesso turistico Marinagri. Ubicato in una zona ad alto rischio idrogeologico, potrebbe essere spazzato via da un’alluvione. Ma non importa: i finanziamenti devono passare ugualmente. La magistratura lucana, allertata sull’operazione archivia. Le indagini sono condotte dalla pm di Matera, Claudia Morelli (indagata).

Intanto, il pm napoletano, scopre che Giuseppe Chieco, capo della procura di Matera, era interessato all’acquisto d’un appartamento nel villaggio turistico.
Scopre che il senatore Filippo Bubbico (Pd), ex governatore lucano, spinge perché il progetto passi.
Indaga anche sul Presidente della Regione, Vito De Filippo (Pd), su un alto funzionario del ministero (Massimo Goti), sull’ex moglie di Marco Follini, Elisabetta Spitz, e sui passaggi che portano all’approvazione di progetto e finanziamento.

Altri esempi. Iside Granese, Presidente del Tribunale di Matera, ottiene dalla banca Popolare del materano un mutuo di 620 mila euro al tre per cento d’interessi. Per la banca sembra un’operazione in perdita. Ma la Granese firma una sentenza di fallimento che avvantaggerebbe due esponenti della banca.

In queste 516 pagine scorre una storia ultraventennale: indagando sulla magistratura lucana, de Magistris, scopre novità su tre casi irrisolti: la scomparsa di Elisa Claps e due duplici omicidi.
Novità trasmesse alla procura di Salerno.

Quest'articolo dice quello che i tg non vogliono dire. La situazione in Georgia, per chi non conosce la storia è facile da interpretare male, ma per chi sa, e vuol far capire è un articolo da tenere bene in mente. Potrebbe ripetersi, e, la storia si ripete... spesso.



Quando si distruggono gli imperi - anche cattivi - quel che riempie il loro vuoto è sempre peggio. La scomparsa di un impero lascia sempre una zona di instabilità, a volte per secoli (il Medio Oriente in fiamme è un esito della scomparsa dell’impero ottomano) e il motivo è ovvio. Al posto del «comando» imperiale, che è sempre in qualche misura responsabile, pretendono di «comandare» capi locali, provinciali o addirittura tribali, retrogradi, avventuristi e irresponsabili fino all’infantilismo. I nuovi «comandanti» salgono in cattedra di fronte al mondo, fanno la voce grossa, si sentono finalmente «liberi» e «sovrani». In realtà, sono solo vermi che pullulano dentro la grande carcassa dell’impero morto.

Mikhail Saakashvili, portato al potere da una «rivoluzione delle rose» interamente pagata dalla CIA (il fatto è ampiamente documentato) è stato votato dai georgiani - cinque milioni in tutto, una provincia - perchè era il più nazionalista di tutti loro. Immediatamente, aizzato da Washington, costui ha chiesto l’adesione alla NATO. Altrettanto immediatamente, ha vietato la lingua russa ed ha abolito da tutte la scritture pubbliche e private i caratteri cirillici; ma non per sostituirli coi caratteri latini che si usano alla NATO, bensì con un alfabeto georgiano arcaico, prima reperibile solo in qualche antica lapide e decifrabile solo da qualche archeologo specializzato, e quasi certamente sconosciuto alla maggioranza assoluta dei georgiani stessi.

Dunque, se il mondo deve occuparsi della Georgia, che impari la lingua e l’alfabeto kartuli (si chiama così, dal nome di un eroe mitico-capostipite). Saakashvili è riuscito a dare realizzazione al sogno o delirio che Bossi si limita covare, restituire i lombardi all’alfabeto celtico, un alfabeto magari di sua invenzione durante una notte di sbornie? I secessionismi e i particolarismi si nutrono sempre di qualche delirio arcaico.

Siccome quello di Saakashvili è un secessionismo compiuto - un modello - sarà dunque istruttivo anche per i lombardi studiarne l’esito.

A pochi mesi dalla sua elezione trionfale, Saakashvili ha trasformato la «democrazia» pagatagli dalla CIA in una dittatura personale; più precisamente, nella dittatura della sua tribù materna - letteralmente, il clan tribale di sua madre - ai cui membri ha distribuito cariche, favoritismi e mazzette della corruzione dilagante.

Nel novembre scorso, ci sono state dimostrazioni di piazza contro il dittatore tribale; i neo-cittadini già ne hanno abbastanza del Gran Kartulo; ma Saakashvili ha scatenato contro i concittadini kartvelebi (così d’ora in poi si devono chiamare) le sue guardie pretoriane, dotate di inusitata ferocia e di armamento e addestramento pagato da Washington. Tipico dei vermi che pretendono di «comandare» agitandosi nella carcassa di un impero putrefatto è dichiararsi vittime storiche dell’impero defunto: benchè abbia dato la nascita a Stalin, ed abbia sempre avuto georgiani nel CC del PCUS, la nuova Georgia si dichiara innocente del sovietismo. Non c’entra, non c’è mai entrata, l’ha sempre combattuto scrivendo di nascosto in kartuli.

Naturalmente, i vermi prediligono la storia antica (specie quella così antica da non aver lasciato tracce, come i Celti in Lombardia) rispetto a quella recente. Così, la Georgia nuova ha deciso di ignorare il fatto che 70 anni di unità sovietica hanno mescolato popolazioni e ha creato - soprattutto - una essenziale dipendenza economica delle piccole regioni dell’impero dalle più grandi.

La Georgia contribuiva all’impero sovietico con due prodotti di cui non sfuggirà l’importanza strategica: una produzione di vini di seconda qualità che solo il cittadino sovietico trovava bevibili (sempre meglio dell’antigelo per motori), e una certa acqua minerale Borzhomi. Saakashvili ha preteso che Mosca continuasse a importare i suoi vini e la sua acqua minerale, allo stesso tempo dichiarandosi indipendente dalla Russia da cui importava tutto il resto, a cominciare dal petrolio con cui riscalda le case georgiane nei rigidi inverni. E pretendeva che i cittadini di lingua russa, messi in Abkhazia e in Ossezia nel grande tragico rimescolamento di popoli staliniano, imparassero il kartuli e inneggiassero al clan di sua mamma.

Su un altro punto il Bossi kartuli è molto più concreto del nostro Saakashvili «padano»: il nostro straparla di «fucili» e «proiettili», il georgiano ha speso il 70% del prodotto interno lordo del suo Paese di 5 milioni di abitanti in miseria, in armamento pesante (1). Si è fatto un esercito di 17 mila uomini; ne ha mandati 2 mila in Iraq a fianco dell’Alleato Americano; ciò allo scopo di trascinare, poi, l’Alleato Americano nella guerra che intende sferrare contro la Russia, perchè questo è il suo scopo ultimo.

Giudicate voi: è o non è una Grande Politica Mondiale? Il particolarista perfetto, per quanto provinciale e tribale sia, ha infatti ambizioni mondiali. Nel caso, scatenare la guerra atomica fra due superpotenze. E’ così che i vermi secessionisti si sentono grandi; provocando grandi disastri.

Il guaio è che Saakashvili ha trovato l’appoggio dell’altra demenza, quella che impera a Washington. La quale ha usato la Georgia come zona di transito del petrolio del Caspio, che non vuol far passare dalla Russia: le condutture della pipeline Baku-Tbilisi-Ceyhan, finanziate da BP, Total ed Eni, servono allo scopo, e dovevano fornire al capo kartuli un flusso di royalty un po' più sostenuto dell’export di vinello e acqua minerale, da distribuire alla tribù materna.

Washington preme per far entrare la Kartulia nella NATO; l’Europa non dice di no, ma nicchia, e trascina i piedi; Washington brucia le tappe e organizza una esercitazione militare congiunta con truppe americane e truppe kartuli in territorio kartuli, a ridosso della Russia; questa esercitazione è avvenuta ed è finita solo il 31 luglio, dunque pochi giorni fa (2) e si è chiamata, per volontà del Pentagono, «Immediate Response» (vedi «Provocazioni contro Mosca», EFFEDIEFFE.com, 21 luglio). Una chiara provocazione ai russi, dopo il piazzamento dei missili in Polonia e la minaccia di espellere la Russia dal G-8.

Ciò ha chiaramente incoraggiato nei suoi progetti il Gran Kartuli. Saakashvili ha preso l’iniziativa dell’aggressione: ha mandato le sue truppe a bombardare l’Ossetia russofona, ed è apparso in TV tenendo dietro le spalle la bandiera stellata dell’Unione Europea di cui non fa parte, con accanto il vessilo della NATO di cui non è membro. Ha fatto tappezzare Tbilisi, la sua capitale, di manifesti dove appare a fianco di George W. Bush.

Come tutti i Bossi, anche lui vive in un mondo di fantasia, di ampolle sacre su sacri fiumi, di antichi eroi kartuli del 12mo secolo o dell’età della pietra. Saakashvili si frega le mani: adesso gli americani interverranno a fianco del loro più forte alleato, Mosca ha i giorni contati. Ordina a Washington: rimandatemi i 2.000 uomini che vi ho spedito in Iraq, ora mi servono per marciare su Mosca.

Probabilmente nessuno ha tradotto in caratteri kartuli una frase di Kissinger, che dovrebbe essere invece scolpita molto in grande a Tbilisi: «Nessuna grande potenza si suicida per un alleato minore» (a meno che non si chiami Katz). Anzi, due frasi di Kissinger. La seconda è: «Nessuna grande potenza si ritira per sempre». Parecchie decine di carri armati russi occupano la Sud Ossezia. Navi russe nel Mar Nero si predispongono a chiudere Kartulia in un blocco navale (3).

Saakashvili è scomparso in un bunker. L’aiuto che riceve è un po' di propaganda: ecco, vedete com'è cattivo Putin, dice Bush, e ripetono i Frattini europoidi, e tutti i media coi loro camerieri e ragazzi-spazzola.

Devo dire che la propaganda non resta senza effetto sulla stupidità egemone. Una mia amica altolocata, che lavora per l’ONU, mi telefona tutta indignata: Putin ha bombardato Tbilisi, una capitale straniera di uno Stato sovrano, violando il diritto internazionale; mentre Saakashvili, facendo strage in Sud-Ossezia, ha agito nel suo diritto, perchè il Sud-Ossezia è territorio georgiano, un «affare interno».

Provo a rinfrescarle la memoria: ha presente che gli USA hanno invaso e stanno occupando due Paesi che non gli hanno mai dichiarato guerra nè mai costituito una minaccia per Washington? Riesce, con uno sforzo, a ricordare che solo due anni fa, Israele ha bombardato la capitale di un Paese sovrano che pare chiamarsi Libano, devastandolo dalle fondamenta, con la scusa che doveva liberare quattro (dicesi quattro) soldatini israeliani catturati mentre penetravano in territorio libanese? E’ in grado di ricordare che un Paese che non ha mai aggredito nessuno, di nome Iran, è perennemente minacciato di attacco preventivo perchè sta sviluppando un’industria nucleare civile, cui ha diritto come firmatario dei Trattati di Non-Proliferazione? Viene forse invocato in questi casi il diritto internazionale?

La risposta è: «Scusa, devo lasciarti perchè ho ospiti». Le signore dell’ONU hanno sempre ospiti nelle loro ville con piscina. Aperitivi, rinfreschi, alta società.

Così, non riesco a cominicarle la mia ultima frase: dall’11 settembre 2001, la società Bush & Katz ha inaugurato una nuova fase storica globale. La fase in cui la violenza «è» il nuovo diritto internazionale. E' una fase nuova ma anche un grande ritorno dell’arcaico, la forza che crea il diritto.

L’invasione non provocata e non motivata legalmente di Afghanistan (occupato da sette anni) e Iraq (occupato da quattro), come il bombardamento del Libano hanno creato un precedente giuridico internazionale. Di cui anche all’ONU si dovrebbero soppesare tutte le conseguenze.

Naturalmente, la risposta di Mosca al Gran Kartuli - risposta adeguata nel quadro della nuova legalità internazionale - apre una fase pericolosa.
Per noi europidi, che riceviamo dalla Russia il 25% del nostro fabbisogno energetico, per i nostri serbatoi e per i nostri riscaldamenti invernali: perchè noi europei abbiamo lasciato che la ditta Bush & Katz ci separassero fisicamente dal fornitore russo, lasciando che costituissero Stati-cuscinetto come l’Ucraina, la Polonia, e la Kartulia.

Pericoloso per l’Iran (e dunque ancora per i nostri serbatoi e caloriferi), visto che la confusione nell’area di instabilità avvicina la tentazione di Katz di attaccare Teheran approfittando della confusione stessa. Negli scorsi giorni, due nuove portaerei USA, e un altro cacciatorpediniere americano «accompagnato da due navi israeliane» (4) non identificate sono entrati nel Golfo Persico, ad aggiungersi alla densa zuppa di flotte da guerra che Bush & Katz mantengono da mesi davanti alle coste iraniane; c’è da chiedersi come riescano a manovrare nello stretto di Ormuz.

Mai siamo stati così vicini ad un gravissimo conflitto. Di cui non dobbiamo dimenticare di ringraziare i Solana, i Barroso, i Frattini, che si tengono stretti all’«alleato» che congiura alla nostra rovina come europei, anzichè formare una solida partnership europea con Mosca, dettata dal nostro reciproco destino manifesto. La guerra fredda non è stata mai così vicina a diventare rovente dai tempi della crisi di Cuba; allora l’impero sovietico si mostrò responsabile; oggi l’impero non c’è più, e nemmeno lo stesso grado di responsabilità. E' questo il vuoto che lasciano gli imperi spaccati.

Di una sola cosa siamo (quasi) certi: la guerra non si espanderà partendo dalla Georgia. Lì, ha ragione Lavrov, il conflitto è e resta «limitato». Bush & Katz non alzeranno un dito per il loro servo Saakashvili. E' limitato in tutto e per tutto (5).

Almeno una consolazione ci resta: quest’inverno, nel gelo del razionamento, non dovremo studiare al lume di candela l’alfabeto kartuli. Forse gli stessi georgiani tornerannno ai caratteri cirillici.


M. Blondet

Il bavaglio su Internet aspetta solo un grande pretesto

Sono emerse delle rivelazioni stupefacenti in relazione ad alcuni attuali piani governativi che intendono mettere mano al funzionamento di internet per applicare restrizioni e controlli molto più estesi sul web.

Il professor Lawrence Lessig, un autorevole giurista della Stanford University, nel rivolgersi al pubblico che quest’anno presenziava alla conferenza Brainstorm Tech - organizzata da Fortune a Half Moon Bay, in California – ha dichiarato che «sta per accadere una specie di ‘11 settembre di internet’», un evento che catalizzerà una radicale modifica delle norme che regolano la Rete.
Lessig ha anche rivelato di aver appreso nel corso di un pranzo con l’ex “Zar” governativo del controterrorismo, Richard Clarke, che c’è già un 'cyber-equivalente' del Patriot Act, una sorta di ‘Patriot Act per la Rete’, mentre il Dipartimento della Giustizia è in attesa di un evento cyber-terroristico per poterne applicare le norme.

Durante una sessione di un gruppo di discussione...
intitolata “2018: Vita sulla Rete”, Lessig ha dichiarato:

«Sta per accadere una specie di ‘11 settembre di internet’ (“an i-9/11 event” nell’originale, NdT). Il che non significa necessariamente un attacco di al-Qā‘ida, bensì un evento in cui l’instabilità o l’insicurezza di internet diventi manifesta durante un fatto doloso che poi ispira al governo una reazione. Dovete ricordarvi che dopo l’11 settembre il governo ha predisposto il Patriot Act in appena 20 giorni e lo ha fatto approvare».

«Il Patriot Act è bel mattone e ricordo qualcuno che chiedeva a un funzionario del Dipartimento della Giustizia come avessero fatto a scrivere un cosi vasto corpus giuridico in così poco tempo, e ovviamente la risposta fu che esso se ne era stato buono buono dentro i cassetti ministeriali per tutti gli ultimi 20 anni, in attesa di un evento che lo avrebbe fatto tirar fuori di lì.»

«Naturalmente il Patriot Act è pieno di ogni sorta di follia su come i diritti civili vengono protetti, o non protetti in questo caso. Perciò mentre pranzavo assieme a Richard Clarke gli ho chiesto se ci fosse un equivalente, se c’era per caso un ‘Patriot Act per la Rete’ dentro qualche cassetto, in attesa di un qualunque considerevole evento da usare come pretesto per cambiare radicalmente il modo in cui funziona internet. Disse: “Naturalmente sì”».


Lessig è il fondatore del Center for Internet and Society alla Stanford Law School. È membro fondatore di Creative Commons, fa parte del consiglio di amministrazione della Electronic Frontier Foundation nonché del Software Freedom Law Center.
È ancora più noto quale proponente di riduzioni nelle restrizioni legali nei confronti dei diritti d’autore, dei marchi e dello spettro delle frequenze radio, specie nelle applicazioni tecnologiche.

Questi non sono dunque i vaneggiamenti di un qualche smanettone paranoico.

Il Patriot Act, così come il meno conosciuto provvedimento denominato Domestic Security Enhancement Act 2003 (altrimenti noto come Patriot Act II), sono stati universalmente condannati dai difensori dei diritti civili e dai costituzionalisti collocati lungo tutto l’arco delle posizioni politiche. Queste leggi hanno sguarnito i diritti fondamentali e modellato quel che perfino i critici più moderati hanno definito come un “controllo dittatoriale” ceduto al presidente e al governo federale.

Molti credono che la legge fosse una risposta agli attentati dell’11/9, ma la realtà è che il Patriot Act è stato preparato ben prima dell’11/9 e se ne stava in sospeso, pronto per un evento che ne giustificasse l’applicazione.

Nei giorni successivi agli attentati, la legge fu approvata dalla Camera dei Rappresentanti con una maggioranza di 357 a 66. Al Senato fu approvata con 98 voti a favore e un solo voto contrario. Il parlamentare repubblicano texano Ron Paul dichiarò al «Washington Times» che a nessun membro del Congresso fu nemmeno consentito di leggere il provvedimento.
Ora scopriamo che quasi la stessa normativa restrittiva per le libertà è stata già preparata per il cyberspazio.

Un “11 settembre di internet”, così come descritto da Lawrence Lessig, offrirebbe il pretesto perfetto per applicare simili restrizioni in un solo colpo, nonché di offrire la giustificazione per emarginare ed eliminare specifici contenuti e informazioni presenti nel web.

Un tale evento potrebbe presentarsi nella forma di un grande attacco virale, un hacking dei sistemi di sicurezza o dei trasporti ovvero di altri sistemi vitali di una metropoli, o una combinazione di tutte queste cose. Considerando la quantità di domande senza risposta riguardanti l’11/9 e tutti gli indizi sul fatto che fosse un’operazione deviata sotto copertura, non è difficile immaginare un evento simile dispiegarsi nel cyberspazio.

Tuttavia, anche lasciando perdere qualsiasi “11 settembre di internet” o “Patriot Act per la Rete”, c’è già uno sforzo coordinato mirante a circoscrivere il raggio d’azione e l’influenza di internet.

Abbiamo instancabilmente lanciato l’allarme su questo movimento generale teso a restringere, censurare, controllare a alla fine bloccare del tutto internet così come oggi la conosciamo, uccidendo in quel modo le ultime vere vestigia della libertà di parola oggi nel mondo ed eliminando il più grande strumento di comunicazione e informazione mai concepito.
I nostri governi hanno pagine e pagine di norme compilate per mettere le ganasce all’attuale Rete. provvedimenti quali il PRO-IP Act del 2007 /H.R. 4279, inteso a creare uno ‘zar degli IP’ presso il Dipartimento della Giustizia, oppure l’Intellectual Property Enforcement Act of 2007/S. 522, mirante a creare un intera “rete di rafforzamento della proprietà intellettuale”. Non sono che due esempi.

Inoltre, abbiamo già visto in che modo i più grandi siti web privati e i social network si stiano concentrando e convergano per realizzare sistemi onnicomprensivi di identificazione, verifica e accesso che sono stati descritti dal fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, come «l’inizio di un movimento e l’inizio di un’industria.»

Alcune di queste grandi società tecnologiche hanno già unito gli sforzi su progetti quali la Information Card Foundation, che ha proposto la creazione di un sistema di carte d’identità per internet che saranno richieste per entrare in Rete. Naturalmente un tale sistema darebbe a chi lo gestisse la capacità di rintracciare e controllare l’attività degli utenti con molta più efficacia. Questo è solo un esempio.

Non basta. Come abbiamo già raccontato, i più grandi hub dei trasporti, come St. Pancras International, o anche le biblioteche, le grandi imprese, gli ospedali e altre grandi strutture aperte al pubblico che offrono internet wi-fi, stanno mettendo in lista nera i siti web di informazione alternativa rendendoli del tutto inaccessibili ai loro utenti.

Questi precedenti sono semplicemente il primo indicatore di quanto viene pianificato per internet nei prossimi 5-10 anni, con il web ‘tradizionale’ in via di divenire poco più che una vasta banca dati spionistica che cataloga ogni attività delle persone e le bombarda di pubblicità, mentre coloro che si conformano al controllo e alle regole centralizzate saranno liberi di godere del nuovo e velocissimo Internet 2.

Dobbiamo parlar chiaro riguardo a questa spinta irruente che mira ad applicare meccanismi di stretto controllo sul web, e farlo ADESSO prima che sia troppo tardi, prima che la spina dorsale di un internet libero si rompa e il suo corpo diventi in sostanza paralizzato senza rimedio.


Steve Watson

PrisonPlanet , traduzione di Pino Cabras