15 febbraio 2009

Chiedete scusa a Beppino Englaro

beppino-englaro

DA ITALIANO sento solo la necessità di sperare che il mio paese chieda scusa a Beppino Englaro. Scusa perché si è dimostrato, agli occhi del mondo, un paese crudele, incapace di capire la sofferenza di un uomo e di una donna malata. Scusa perché si è messo a urlare, e accusare, facendo il tifo per una parte e per l'altra, senza che vi fossero parti da difendere.

Qui non si tratta di essere per la vita o per la morte. Non è così. Beppino Englaro non certo tifava per la morte di Eluana, persino il suo sguardo porta i tratti del dolore di un padre che ha perso ogni speranza di felicità - e persino di bellezza - attraverso la sofferenza di sua figlia. Beppino andava e va assolutamente rispettato come uomo e come cittadino anche e soprattutto se non si condividono le sue idee. Perché si è rivolto alle istituzioni e combattendo all'interno delle istituzioni e con le istituzioni, ha solo chiesto che la sentenza della Suprema Corte venisse rispettata.

Senza dubbio chi non condivide la posizione di Beppino (e quella che Eluana innegabilmente aveva espresso in vita) aveva il diritto e, imposto dalla propria coscienza, il dovere di manifestare la contrarietà a interrompere un'alimentazione e un'idratazione che per anni sono avvenute attraverso un sondino. Ma la battaglia doveva essere fatta sulla coscienza e non cercando in ogni modo di interferire con una decisione sulla quale la magistratura si stava interrogando da tempo.

Beppino ha chiesto alla legge e la legge, dopo anni di appelli e ricorsi, gli ha confermato che ciò che chiedeva era un suo diritto. È bastato questo per innescare rabbia e odio nei suoi confronti? Ma la carità cristiana è quella che lo fa chiamare assassino? Dalla storia cristiana ho imparato a riconoscere il dolore altrui prima d'ogni cosa. E a capirlo e sentirlo nella propria carne. E invece qualcuno che nulla sa del dolore per una figlia immobile in un letto, paragona Beppino al "Conte Ugolino" che per fame divora i propri figli? E osano dire queste porcherie in nome di un credo religioso. Ma non è così. Io conosco una chiesa che è l'unica a operare nei territori più difficili, vicina alle situazioni più disperate, unica che dà dignità di vita ai migranti, a chi è ignorato dalle istituzioni, a chi non riesce a galleggiare in questa crisi. Unica nel dare cibo e nell'essere presente verso chi da nessuno troverebbe ascolto. I padri comboniani e la comunità di sant'Egidio, il cardinale Crescenzio Sepe e il cardinale Carlo Maria Martini, sono ordini, associazioni, personalità cristiane fondamentali per la sopravvivenza della dignità del nostro Paese.




Conosco questa storia cristiana. Non quella dell'accusa a un padre inerme che dalla sua ha solo l'arma del diritto. Beppino per rispetto a sua figlia ha diffuso foto di Eluana sorridente e bellissima, proprio per ricordarla in vita, ma poteva mostrare il viso deformato - smunto? Gonfio? - le orecchie divenute callose e la bava che cola, un corpo senza espressione e senza capelli. Ma non voleva vincere con la forza del ricatto dell'immagine, gli bastava la forza di quel diritto che permette all'essere umano, in quanto tale, di poter decidere del proprio destino. A chi pretende di crearsi credito con la chiesa ostentando vicinanza a Eluana chiedo, dov'era quando la chiesa tuonava contro la guerra in Iraq? E dov'è quando la chiesa chiede umanità e rispetto per i migranti stipati tra Lampedusa e gli abissi del Mediterraneo. Dove, quando la chiesa in certi territori, unica voce di resistenza, pretende un intervento decisivo per il Sud e contro le mafie.

Sarebbe bello poter chiedere ai cristiani di tutta Italia di non credere a chi soltanto si sente di speculare su dibattiti dove non si deve dimostrare nulla nei fatti, ma solo parteggiare. Quello che in questi giorni è mancato, come sempre, è stata la capacità di percepire il dolore. Il dolore di un padre. Il dolore di una famiglia. Il "dolore" di una donna immobile da anni e in una condizione irreversibile, che aveva lasciato a suo padre una volontà. E persone che neanche la conoscevano e che non conoscono Beppino, ora, quella volontà mettono in dubbio. E poco o nullo rispetto del diritto. Anche quando questo diritto non lo si considera condiviso dalla propria morale, e proprio perché è un diritto lo si può esercitare o meno. È questa la meraviglia della democrazia. Capisco la volontà di spingere le persone o di cercare di convincerle a non usufruire di quel diritto, ma non a negare il diritto stesso. Lo spettacolo che di sé ha dato l'Italia nel mondo è quello di un paese che ha speculato sull'ennesima vicenda.

Molti politici hanno, ancora una volta, usato il caso Englaro per cercare di aggregare consenso e distrarre l'opinione pubblica, in un paese che è messo in ginocchio dalla crisi, e dove la crisi sta permettendo ai capitali criminali di divorare le banche, dove gli stipendi sono bloccati e non sembra esserci soluzione. Ma questa è un'altra storia. E proprio in un momento di crisi, di frasi scontate, di poco rispetto, Beppino Englaro ha dato forza e senso alle istituzioni italiane e alla possibilità che un cittadino del nostro Paese, nonostante tutto, possa ancora sperare nelle leggi e nella giustizia. Sarebbe bello se l'epilogo di questa storia dolorosa potesse essere che in Italia, domani, grazie alla battaglia pacifica di Beppino Englaro, ciascuno potesse decidere se, in caso di stato neurovegetativo, farsi tenere in vita per decenni dalle macchine o scegliere la propria fine senza emigrare. È questa l'Italia del diritto e dell'empatia - di cui si è già parlato - che permette di rispettare e comprendere anche scelte diverse dalle proprie, un'Italia in cui sarebbe bellissimo riconoscersi.

© 2009 by Roberto Saviano

NON SI PUO' PARLARE DELLA REALTA' DI ISRAELE

OMID MEMARIAN INTERVISTA L'EX AGENTE CIA ROBERT BAER
IPS

In un’intervista a “IPS” Baer ha parlato delle implicazioni regionali del conflitto di Gaza e delle sue opinioni sulla Guardia Rivoluzionaria Iraniana, su Hamas e sugli Hezbollah, i tre gruppi principali del Medio Oriente che sono annoverati tra i terroristi.

A seguire estratti dall'intervista.


IPS: Alcuni analisti ritengono che gli attacchi ad Hamas a Gaza, due anni dopo la guerra dei 34 giorni fra Israele e gli Hezbollah, facciano parte di un più vasto piano che si concluderà con l’attacco agli stabilimenti nucleari dell’Iran. Israele sta davvero seguendo questa strada?

Robert Baer: No. Penso che esista un veto militare per gli attacchi all’Iran. Non è proprio possibile.

IPS: Perché è impossibile?

RB: Beh, per un motivo: sappiamo che ci sarebbe una reazione iraniana nel Golfo. L’Iran non risponderebbe ad un attacco, come quello fatto ad Hamas, solo localmente. La sua sarebbe una reazione di portata internazionale. Non c’è scampo. E’ questa la loro forza di deterrenza. In Iran è molto importante capire molte lezioni.

Se andate a vedere il sito del Corpo della Guardia Rivoluzionaria Iraniana (IRGC), potrete vedere ciò che hanno imparato dalla guerra Iran-Iraq. Queste sono guerre d’attrito; vanno avanti per sempre. Non potete vincerle, soprattutto contro gli Stati Uniti. Perciò essi hanno sviluppato un’abilità bellica secondaria e asimmetrica, la guerriglia, che è molto efficace.

Sapete già che alcune delle migliori menti dell’Iran sono entrate fra i Pasdaran (La Guardia Rivoluzionaria), e non è detto che essi siano fanatici. In un certo senso erano solo persone più nazionaliste di altre. E so, per esperienza diretta, che queste persone fra i Pasdaran, che agiscono a livello operativo, sono probabilmente i più capaci, intelligenti guerriglieri e strateghi politici di tutto il medio oriente, compresi Israele e Giordania. Sanno molto bene ciò che stanno facendo. E non sono chiaramente inseriti in alcuno schieramento politico dell’Iran.

[La Guardia Rivoluzionaria Iraniana]

IPS: E’ fuori questione anche un possibile attacco di Israele, limitato alle basi nucleari Iraniane? Dato ciò che abbiamo letto in un recente articolo del New York Times, secondo cui lo scorso anno i leader israeliani avevano chiesto al presidente Bush di avviare un attacco di questo genere, ma il presidente non aveva accettato.

RB. E’ totalmente fuori questione. Anche Bush lo ha capito. Il New York Times ha detto bene quando ha scritto che Bush aveva posto il veto ad un attacco di Israele, semplicemente perché esiste un equilibrio di forze nel Medio Oriente tra gli Usa e l’Iran ed è un equilibrio piuttosto alla pari. Non intendo per quanto riguarda forze come aerei, carri armati e sottomarini, ma per quel che riguarda il monopolio della violenza, in cui c’è eguaglianza. Non c’è dubbio su questa eguaglianza. Potreste bombardare Teheran, ma cosa ne ricavereste? Nulla. Sarebbe come il bombardamento della sede delle Nazioni Unite a Gaza da parte di Israele. Che cosa ne ha guadagnato Israele? Nulla. Certo loro possono distruggere quella sede, ma che cosa ne ricaveranno? Hamas continuerà ad esistere.

Potete bombardare tutte le basi militari dell’Iran per due settimane filate, ma l’Iran resta ancora lì – ha ancora la capacità di proiettare la sua forza, di proiettare la sua volontà e può darsi anche che esca da questo tipo di conflitto ancora più forte. La forza dell’Iran è basata sull’economia, il prezzo del petrolio non vi incide un granché, semplicemente perché l’idea di armare gli Hezbollah o di sostenere Hamas a Damasco, in termini monetari non significa nulla. Voglio dire che anche se il petrolio scendesse sino a 10 dollari al barile esso costituirebbe comunque ancora una difesa sufficiente per l’Iran.

IPS: Obama ha ripetutamente detto di voler parlare con i leaders iraniani e di voler portare cambiamenti nella politica estera americana. In che modo Dennis Ross, incaricato come consulente-chiave per l’Iran potrà contribuire al mantenimento delle sue promesse?

RB: Dennis Ross –la cosa importante è che piace a Israele. Se vi sarà un dialogo con l’Iran, gli israeliani sanno che lui non li tradirà. Voglio dire che per anni e anni loro lo hanno messo alla prova. E’ un ebreo, è stato onesto nei confronti degli israeliani; li ha seguiti nei loro progetti, anche in quelli più pazzi. Se vi sarà un dialogo gli israeliani sanno che non avranno sorprese. Se Obama avesse affidato l’incarico a qualcuno di nuovo, qualche professore di Harvard che gli israeliani non conoscevano, lo avrebbero immediatamente tagliato fuori e ci sarebbe stato un’enorme contraccolpo politica.

IPS: Date le posizioni di Ross su certe questioni del Medio oriente ed in particolare sull’Iran, nel corso degli ultimi dieci anni, come farà Obama ad essere in grado di adottare una nuova politica estera in quella regione?

RB: Beh, lui (Obama) ha bisogno del sostegno del Partito Democratico per portare avanti queste politiche ed è per questo che ha introdotto nel suo governo persone come Dennis Ross e Denny Blair, il direttore della National Intelligence, semplicemente perché ha bisogno di questo appoggio politico. Non può portarsi nel governo persone non esperte e contrapporle al Partito Democratico perché se esiste una possibile apertura con l’Iran, sarà in accordo con Israele, può darsi un accordo implicito, non espresso, semplicemente perché gli israeliani devono essere d’accordo.

Nelle politiche americane non è possibile fare alcuna cosa in Medio Oriente senza l’approvazione di Tel Aviv, almeno a certi livelli. E’ impossibile. Voglio dire che non mi viene in mente un’altra nazione, tantomeno una superpotenza, in tutta la storia, che sia così obbligata verso un paese così piccolo. Non posso neppure immaginarlo.

IPS E perché è così?

RB: Guardate New York. Guardate i suoi quotidiani principali. Danno la priorità all'agenda sionista. Lo fanno. Io non sono ebreo. Non sono niente. Non m’importa degli israeliani. E non sono un antisemita. Dico solo quel che è. Ho suggerito al mio editore di scrivere un libro su Israele, e lui mi ha risposto: scordatelo! Non puoi parlare della realtà di Israele. L’unico posto in cui puoi parlare di questo è in Israele. Loro ti dicono cose che non sentirai mai negli Stati Uniti.

IPS: Che cosa ?

RB: Ad esempio, perché a Gaza ci sono persone così infelici? Beh, se doveste vivere in prigione, non sareste infelici? Non troverete mai queste cose sul New York Times; guardate il New York Times: è quasi un’estensione israeliana.

IPS: Che impatto avrà il conflitto di Gaza sui futuri rapporti fra Israele, Iran e Stati Uniti? I recenti attacchi hanno distrutto completamente Hamas?

RB: No, è impossibile. Hamas è un’idea. Hamas non è un’organizzazione. E’ un’idea e, a meno che Israele non proceda spingendo un milione e mezzo di persone in Egitto, non sottometterà mai Gaza. Possono continuare e far valere la loro leadership e mettere in prigione diecimila persone, ma Hamas ne verrà fuori più forte. Chi perderà in questa guerra sarà Fatah.

[Hassan Nasrallah con Michel Aoun]

IPS Quali sono le principali caratteristiche di Hamas e degli Hezbollah sotto il profilo politico e militare?

RB: Essi ridefiniscono l’idea bellica geograficamente. Il fatto che gli Hezbollah si nascondano nelle grotte e che usino fibre ottiche per comunicare dimostra una combinazione di grandi tecnologie abbinate a un modo di combattere primitivo. Voglio dire: quale esercito nel mondo, ad eccezione degli Hezbollah, usa fibre ottiche per comunicare? Non si possono intercettare le fibre ottiche. Non c’è nulla che si possa fare.

Guardate il leader Hezbollah Nasrallah. Ha ridisegnato la politica islamica perché si è alleato con un Cristiano [Michel Aoun del Movimento Patriottico Libero]. Bin Laden vuole uccidere i Cristiani; semplifico le cose in questo modo. Nasrallah li vede come degli alleati.

Robert "Bob" B. Baer (1 luglio 1952) è uno scrittore ed ex ufficiale della CIA dal 1976 al 1997. Nel 2003 pubblica "La disfatta della CIA" e l'anno successivo "Dormire con il diavolo"

I giovani che si autorecludono

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Alex ha messo un chiavistello alla porta della sua stanza e per oltre sei mesi ha chiuso il mondo fuori. Andrea da nove passa le sue notti su Internet perché la vita vera, dice, è lì. Anna esce dalla camera solo di notte per assaltare il frigorifero. Luca risponde esclusivamente a chi lo chiama con il «nick» perché il suo nome gli suona vuoto come la sua esistenza. Confondono il giorno con la notte, parlano con gli sconosciuti e sono sconosciuti in casa loro. Sono le esistenze rovesciate degli "hikikomori", i giovani autoreclusi, non più solo giapponesi.
Per conoscere le loro storie devi parlare con le sentinelle impotenti del loro ritiro. Genitori, fratelli, amici: «Mio figlio per oltre sei mesi mi ha parlato solo attraverso la porta e solo per urlarmi "lasciami in pace"»; «Mia sorella esce quando tutti dormono: mi ruba le sigarette dallo zaino e torna a rinchiudersi ». Ma per incontrarli non puoi che andarli a cercare nel loro regno: Internet. Ecco Chaoszilla, dà un nome agli autoreclusi come lui: «Io sono un hikikomori »; Pavély spiega cos'è, un hikikomori: «È una parola giapponese. Indica il comportamento di quei ragazzi che per anni vivono in casa, senza affrontare la vita e l'amore. Solo Internet e fumetti. Cosa importante: io sono uno di loro»; Miki s'identifica, quindi quantifica il fenomeno: «Ve lo dico: hikikomori è un traguardo, è la frontiera. In Giappone sono circa un milione. In Italia siamo mostruosamente indietro ma la necessità di isolarsi dall'orribile mondo esterno vedo che si diffonde sempre di più».


Su una cosa Miki e il mondo fuori dalla sua stanza sono d'accordo: gli hikikomori, anche in Italia, sono sempre di più. Non esistono statistiche sulla «lost generation » nostrana. Solo le testimonianze di psicologi: oltre 50 i casi che abbiamo registrato. E le storie (nascoste dietro nomi di fantasia) di Alex: 16 anni e una vita in 20 mq scandita dal rombo degli aerei di Malpensa; Andrea: un anno in più di Alex e una «cella » alle porte di Brescia; Valentina: rinchiusa in un appartamento sull'Adriatico; Luca: solo di recente uscito dal suo «guscio» in Gallura. Più maschi che femmine. Quasi sempre «under 18», almeno in Italia. Molto intelligenti, creativi, ma introversi. Letteralmente giovani «in ritiro», ragazzi che senza un apparente motivo si chiudono nella loro stanza. Chi (come Oblomov di Goncarov) per incapacità di affrontare il mondo, chi (è il caso di Miki) per esprimere la sua rabbia. E ancora: chi per mesi, chi per anni. Il record nostrano: tre-quattro anni. Quello nipponico: 15 e più. Per alcuni la clausura è totale, per altri parziale: qualcuno esce dalla propria stanza per cenare con i genitori, per andare in vacanza, chi vive solo è obbligato a farlo per comprare del cibo nel supermercato più vicino.


In Giappone gli hikikomori sono un fenomeno culturale e sociale: sono oltre un milione, l'1% della popolazione, il 2% degli adolescenti. Alcuni ricercatori, tra cui Michael Zielenziger (suo il saggio Non voglio più vivere alla luce del sole), hanno avanzato l'ipotesi che anche la principessa Masako Owada, ne sia affetta. La colpa della loro autoreclusione è stata data alle pressioni sociali, alla severità del sistema scolastico, alla spinta verso l'omologazione, alle madri oppressive, ai padri assenti, al bullismo. Tamaki Saito è stato il primo psicoterapeuta a studiare quello che viene definito un disturbo («non una patologia»). Ma è stato anche il primo a evidenziare alcuni punti di contatto tra i ragazzi giapponesi e i «mammoni italiani». A ricordarlo è Carla Ricci, antropologa con una vita a Tokyo e autrice del libro Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione.
«Il fenomeno è tipicamente giapponese. Ma da lì si sta allargando in Corea, Usa, Nord Europa, Italia». La prima analogia: «Lo stretto rapporto con la madre. Proprio il suo essere iperprotettiva, spesso entrambi i genitori lo sono, può rendere il figlio narcisista e fragile. E alla prima difficoltà si ritira». Inizia col passare sempre più ore nella sua camera, col disertare le cene in famiglia, niente amici, sport, cinema. «Finché un mattino dice di non voler più andare a scuola perché ha bisogno di riposarsi».

Nell'ultimo anno all'Istituto «Minotauro» di Milano, dove lavorano Gustavo Pietropolli Charmet e Antonio Piotti, si sono rivolti i genitori di oltre 20 ragazzi. Le loro storie sono coperte dal più stretto riserbo. «Cinque i più gravi: vivono chiusi nelle loro stanze da ormai tre anni». Spiega Pietropolli Charmet: «In ogni momento storico e in ogni Paese i giovani hanno dato sfogo al loro malessere: le isteriche di Freud, i tossicodipendenti anni '60-'70, le nostre anoressiche. Gli hikikomori sono figli della cultura giapponese, ma i nostri "autoreclusi" condividono con loro più di un aspetto». Continua Piotti: «Innanzitutto la vergogna narcisistica. Lo scarto tra il loro desiderato e il reale è troppo forte. Colpa anche delle eccessive aspettative dei genitori ». All'origine c'è poi spesso una fobia scolastica. «Ma mentre i ragazzi giapponesi fuggono da regole troppo severe, i nostri scappano dall'incapacità di gestire relazioni di gruppo». Identico il risultato: «Si chiudono in una stanza. Sostituiscono la vita reale con quella virtuale. Ma Internet e i giochi di ruolo sono solo una conseguenza, non una causa», afferma Giuseppe Lavenia, del Centro Nostos di Senigallia, una decina di casi trattati. Spesso, come le anoressiche, negano il proprio corpo. Ultimo passo: l'inversione del ritmo circadiano, vivono di notte e dormono di giorno.
Più il ragazzo vive nel suo guscio, e per questo soffre, più è difficile farlo uscire. «Il problema è entrare in contatto con loro», dice Giovanna Montinari, psicoterapeuta della cooperativa romana «Rifornimento in volo», altri due casi allo studio. Non resta che parlare con i genitori, con gli amici. «Ma a volte il contatto arriva solo grazie a quello che chiamiamo "compagno o fratello maggiore", un giovane psicoterapeuta». È il caso di Alex: la prima persona a cui ha aperto la porta, dopo oltre sei mesi di autoreclusione, è stata la «sorella maggiore» che ha bussato alla sua chat.

Alessandra Mangiarotti

15 febbraio 2009

Chiedete scusa a Beppino Englaro

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DA ITALIANO sento solo la necessità di sperare che il mio paese chieda scusa a Beppino Englaro. Scusa perché si è dimostrato, agli occhi del mondo, un paese crudele, incapace di capire la sofferenza di un uomo e di una donna malata. Scusa perché si è messo a urlare, e accusare, facendo il tifo per una parte e per l'altra, senza che vi fossero parti da difendere.

Qui non si tratta di essere per la vita o per la morte. Non è così. Beppino Englaro non certo tifava per la morte di Eluana, persino il suo sguardo porta i tratti del dolore di un padre che ha perso ogni speranza di felicità - e persino di bellezza - attraverso la sofferenza di sua figlia. Beppino andava e va assolutamente rispettato come uomo e come cittadino anche e soprattutto se non si condividono le sue idee. Perché si è rivolto alle istituzioni e combattendo all'interno delle istituzioni e con le istituzioni, ha solo chiesto che la sentenza della Suprema Corte venisse rispettata.

Senza dubbio chi non condivide la posizione di Beppino (e quella che Eluana innegabilmente aveva espresso in vita) aveva il diritto e, imposto dalla propria coscienza, il dovere di manifestare la contrarietà a interrompere un'alimentazione e un'idratazione che per anni sono avvenute attraverso un sondino. Ma la battaglia doveva essere fatta sulla coscienza e non cercando in ogni modo di interferire con una decisione sulla quale la magistratura si stava interrogando da tempo.

Beppino ha chiesto alla legge e la legge, dopo anni di appelli e ricorsi, gli ha confermato che ciò che chiedeva era un suo diritto. È bastato questo per innescare rabbia e odio nei suoi confronti? Ma la carità cristiana è quella che lo fa chiamare assassino? Dalla storia cristiana ho imparato a riconoscere il dolore altrui prima d'ogni cosa. E a capirlo e sentirlo nella propria carne. E invece qualcuno che nulla sa del dolore per una figlia immobile in un letto, paragona Beppino al "Conte Ugolino" che per fame divora i propri figli? E osano dire queste porcherie in nome di un credo religioso. Ma non è così. Io conosco una chiesa che è l'unica a operare nei territori più difficili, vicina alle situazioni più disperate, unica che dà dignità di vita ai migranti, a chi è ignorato dalle istituzioni, a chi non riesce a galleggiare in questa crisi. Unica nel dare cibo e nell'essere presente verso chi da nessuno troverebbe ascolto. I padri comboniani e la comunità di sant'Egidio, il cardinale Crescenzio Sepe e il cardinale Carlo Maria Martini, sono ordini, associazioni, personalità cristiane fondamentali per la sopravvivenza della dignità del nostro Paese.




Conosco questa storia cristiana. Non quella dell'accusa a un padre inerme che dalla sua ha solo l'arma del diritto. Beppino per rispetto a sua figlia ha diffuso foto di Eluana sorridente e bellissima, proprio per ricordarla in vita, ma poteva mostrare il viso deformato - smunto? Gonfio? - le orecchie divenute callose e la bava che cola, un corpo senza espressione e senza capelli. Ma non voleva vincere con la forza del ricatto dell'immagine, gli bastava la forza di quel diritto che permette all'essere umano, in quanto tale, di poter decidere del proprio destino. A chi pretende di crearsi credito con la chiesa ostentando vicinanza a Eluana chiedo, dov'era quando la chiesa tuonava contro la guerra in Iraq? E dov'è quando la chiesa chiede umanità e rispetto per i migranti stipati tra Lampedusa e gli abissi del Mediterraneo. Dove, quando la chiesa in certi territori, unica voce di resistenza, pretende un intervento decisivo per il Sud e contro le mafie.

Sarebbe bello poter chiedere ai cristiani di tutta Italia di non credere a chi soltanto si sente di speculare su dibattiti dove non si deve dimostrare nulla nei fatti, ma solo parteggiare. Quello che in questi giorni è mancato, come sempre, è stata la capacità di percepire il dolore. Il dolore di un padre. Il dolore di una famiglia. Il "dolore" di una donna immobile da anni e in una condizione irreversibile, che aveva lasciato a suo padre una volontà. E persone che neanche la conoscevano e che non conoscono Beppino, ora, quella volontà mettono in dubbio. E poco o nullo rispetto del diritto. Anche quando questo diritto non lo si considera condiviso dalla propria morale, e proprio perché è un diritto lo si può esercitare o meno. È questa la meraviglia della democrazia. Capisco la volontà di spingere le persone o di cercare di convincerle a non usufruire di quel diritto, ma non a negare il diritto stesso. Lo spettacolo che di sé ha dato l'Italia nel mondo è quello di un paese che ha speculato sull'ennesima vicenda.

Molti politici hanno, ancora una volta, usato il caso Englaro per cercare di aggregare consenso e distrarre l'opinione pubblica, in un paese che è messo in ginocchio dalla crisi, e dove la crisi sta permettendo ai capitali criminali di divorare le banche, dove gli stipendi sono bloccati e non sembra esserci soluzione. Ma questa è un'altra storia. E proprio in un momento di crisi, di frasi scontate, di poco rispetto, Beppino Englaro ha dato forza e senso alle istituzioni italiane e alla possibilità che un cittadino del nostro Paese, nonostante tutto, possa ancora sperare nelle leggi e nella giustizia. Sarebbe bello se l'epilogo di questa storia dolorosa potesse essere che in Italia, domani, grazie alla battaglia pacifica di Beppino Englaro, ciascuno potesse decidere se, in caso di stato neurovegetativo, farsi tenere in vita per decenni dalle macchine o scegliere la propria fine senza emigrare. È questa l'Italia del diritto e dell'empatia - di cui si è già parlato - che permette di rispettare e comprendere anche scelte diverse dalle proprie, un'Italia in cui sarebbe bellissimo riconoscersi.

© 2009 by Roberto Saviano

NON SI PUO' PARLARE DELLA REALTA' DI ISRAELE

OMID MEMARIAN INTERVISTA L'EX AGENTE CIA ROBERT BAER
IPS

In un’intervista a “IPS” Baer ha parlato delle implicazioni regionali del conflitto di Gaza e delle sue opinioni sulla Guardia Rivoluzionaria Iraniana, su Hamas e sugli Hezbollah, i tre gruppi principali del Medio Oriente che sono annoverati tra i terroristi.

A seguire estratti dall'intervista.


IPS: Alcuni analisti ritengono che gli attacchi ad Hamas a Gaza, due anni dopo la guerra dei 34 giorni fra Israele e gli Hezbollah, facciano parte di un più vasto piano che si concluderà con l’attacco agli stabilimenti nucleari dell’Iran. Israele sta davvero seguendo questa strada?

Robert Baer: No. Penso che esista un veto militare per gli attacchi all’Iran. Non è proprio possibile.

IPS: Perché è impossibile?

RB: Beh, per un motivo: sappiamo che ci sarebbe una reazione iraniana nel Golfo. L’Iran non risponderebbe ad un attacco, come quello fatto ad Hamas, solo localmente. La sua sarebbe una reazione di portata internazionale. Non c’è scampo. E’ questa la loro forza di deterrenza. In Iran è molto importante capire molte lezioni.

Se andate a vedere il sito del Corpo della Guardia Rivoluzionaria Iraniana (IRGC), potrete vedere ciò che hanno imparato dalla guerra Iran-Iraq. Queste sono guerre d’attrito; vanno avanti per sempre. Non potete vincerle, soprattutto contro gli Stati Uniti. Perciò essi hanno sviluppato un’abilità bellica secondaria e asimmetrica, la guerriglia, che è molto efficace.

Sapete già che alcune delle migliori menti dell’Iran sono entrate fra i Pasdaran (La Guardia Rivoluzionaria), e non è detto che essi siano fanatici. In un certo senso erano solo persone più nazionaliste di altre. E so, per esperienza diretta, che queste persone fra i Pasdaran, che agiscono a livello operativo, sono probabilmente i più capaci, intelligenti guerriglieri e strateghi politici di tutto il medio oriente, compresi Israele e Giordania. Sanno molto bene ciò che stanno facendo. E non sono chiaramente inseriti in alcuno schieramento politico dell’Iran.

[La Guardia Rivoluzionaria Iraniana]

IPS: E’ fuori questione anche un possibile attacco di Israele, limitato alle basi nucleari Iraniane? Dato ciò che abbiamo letto in un recente articolo del New York Times, secondo cui lo scorso anno i leader israeliani avevano chiesto al presidente Bush di avviare un attacco di questo genere, ma il presidente non aveva accettato.

RB. E’ totalmente fuori questione. Anche Bush lo ha capito. Il New York Times ha detto bene quando ha scritto che Bush aveva posto il veto ad un attacco di Israele, semplicemente perché esiste un equilibrio di forze nel Medio Oriente tra gli Usa e l’Iran ed è un equilibrio piuttosto alla pari. Non intendo per quanto riguarda forze come aerei, carri armati e sottomarini, ma per quel che riguarda il monopolio della violenza, in cui c’è eguaglianza. Non c’è dubbio su questa eguaglianza. Potreste bombardare Teheran, ma cosa ne ricavereste? Nulla. Sarebbe come il bombardamento della sede delle Nazioni Unite a Gaza da parte di Israele. Che cosa ne ha guadagnato Israele? Nulla. Certo loro possono distruggere quella sede, ma che cosa ne ricaveranno? Hamas continuerà ad esistere.

Potete bombardare tutte le basi militari dell’Iran per due settimane filate, ma l’Iran resta ancora lì – ha ancora la capacità di proiettare la sua forza, di proiettare la sua volontà e può darsi anche che esca da questo tipo di conflitto ancora più forte. La forza dell’Iran è basata sull’economia, il prezzo del petrolio non vi incide un granché, semplicemente perché l’idea di armare gli Hezbollah o di sostenere Hamas a Damasco, in termini monetari non significa nulla. Voglio dire che anche se il petrolio scendesse sino a 10 dollari al barile esso costituirebbe comunque ancora una difesa sufficiente per l’Iran.

IPS: Obama ha ripetutamente detto di voler parlare con i leaders iraniani e di voler portare cambiamenti nella politica estera americana. In che modo Dennis Ross, incaricato come consulente-chiave per l’Iran potrà contribuire al mantenimento delle sue promesse?

RB: Dennis Ross –la cosa importante è che piace a Israele. Se vi sarà un dialogo con l’Iran, gli israeliani sanno che lui non li tradirà. Voglio dire che per anni e anni loro lo hanno messo alla prova. E’ un ebreo, è stato onesto nei confronti degli israeliani; li ha seguiti nei loro progetti, anche in quelli più pazzi. Se vi sarà un dialogo gli israeliani sanno che non avranno sorprese. Se Obama avesse affidato l’incarico a qualcuno di nuovo, qualche professore di Harvard che gli israeliani non conoscevano, lo avrebbero immediatamente tagliato fuori e ci sarebbe stato un’enorme contraccolpo politica.

IPS: Date le posizioni di Ross su certe questioni del Medio oriente ed in particolare sull’Iran, nel corso degli ultimi dieci anni, come farà Obama ad essere in grado di adottare una nuova politica estera in quella regione?

RB: Beh, lui (Obama) ha bisogno del sostegno del Partito Democratico per portare avanti queste politiche ed è per questo che ha introdotto nel suo governo persone come Dennis Ross e Denny Blair, il direttore della National Intelligence, semplicemente perché ha bisogno di questo appoggio politico. Non può portarsi nel governo persone non esperte e contrapporle al Partito Democratico perché se esiste una possibile apertura con l’Iran, sarà in accordo con Israele, può darsi un accordo implicito, non espresso, semplicemente perché gli israeliani devono essere d’accordo.

Nelle politiche americane non è possibile fare alcuna cosa in Medio Oriente senza l’approvazione di Tel Aviv, almeno a certi livelli. E’ impossibile. Voglio dire che non mi viene in mente un’altra nazione, tantomeno una superpotenza, in tutta la storia, che sia così obbligata verso un paese così piccolo. Non posso neppure immaginarlo.

IPS E perché è così?

RB: Guardate New York. Guardate i suoi quotidiani principali. Danno la priorità all'agenda sionista. Lo fanno. Io non sono ebreo. Non sono niente. Non m’importa degli israeliani. E non sono un antisemita. Dico solo quel che è. Ho suggerito al mio editore di scrivere un libro su Israele, e lui mi ha risposto: scordatelo! Non puoi parlare della realtà di Israele. L’unico posto in cui puoi parlare di questo è in Israele. Loro ti dicono cose che non sentirai mai negli Stati Uniti.

IPS: Che cosa ?

RB: Ad esempio, perché a Gaza ci sono persone così infelici? Beh, se doveste vivere in prigione, non sareste infelici? Non troverete mai queste cose sul New York Times; guardate il New York Times: è quasi un’estensione israeliana.

IPS: Che impatto avrà il conflitto di Gaza sui futuri rapporti fra Israele, Iran e Stati Uniti? I recenti attacchi hanno distrutto completamente Hamas?

RB: No, è impossibile. Hamas è un’idea. Hamas non è un’organizzazione. E’ un’idea e, a meno che Israele non proceda spingendo un milione e mezzo di persone in Egitto, non sottometterà mai Gaza. Possono continuare e far valere la loro leadership e mettere in prigione diecimila persone, ma Hamas ne verrà fuori più forte. Chi perderà in questa guerra sarà Fatah.

[Hassan Nasrallah con Michel Aoun]

IPS Quali sono le principali caratteristiche di Hamas e degli Hezbollah sotto il profilo politico e militare?

RB: Essi ridefiniscono l’idea bellica geograficamente. Il fatto che gli Hezbollah si nascondano nelle grotte e che usino fibre ottiche per comunicare dimostra una combinazione di grandi tecnologie abbinate a un modo di combattere primitivo. Voglio dire: quale esercito nel mondo, ad eccezione degli Hezbollah, usa fibre ottiche per comunicare? Non si possono intercettare le fibre ottiche. Non c’è nulla che si possa fare.

Guardate il leader Hezbollah Nasrallah. Ha ridisegnato la politica islamica perché si è alleato con un Cristiano [Michel Aoun del Movimento Patriottico Libero]. Bin Laden vuole uccidere i Cristiani; semplifico le cose in questo modo. Nasrallah li vede come degli alleati.

Robert "Bob" B. Baer (1 luglio 1952) è uno scrittore ed ex ufficiale della CIA dal 1976 al 1997. Nel 2003 pubblica "La disfatta della CIA" e l'anno successivo "Dormire con il diavolo"

I giovani che si autorecludono

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Alex ha messo un chiavistello alla porta della sua stanza e per oltre sei mesi ha chiuso il mondo fuori. Andrea da nove passa le sue notti su Internet perché la vita vera, dice, è lì. Anna esce dalla camera solo di notte per assaltare il frigorifero. Luca risponde esclusivamente a chi lo chiama con il «nick» perché il suo nome gli suona vuoto come la sua esistenza. Confondono il giorno con la notte, parlano con gli sconosciuti e sono sconosciuti in casa loro. Sono le esistenze rovesciate degli "hikikomori", i giovani autoreclusi, non più solo giapponesi.
Per conoscere le loro storie devi parlare con le sentinelle impotenti del loro ritiro. Genitori, fratelli, amici: «Mio figlio per oltre sei mesi mi ha parlato solo attraverso la porta e solo per urlarmi "lasciami in pace"»; «Mia sorella esce quando tutti dormono: mi ruba le sigarette dallo zaino e torna a rinchiudersi ». Ma per incontrarli non puoi che andarli a cercare nel loro regno: Internet. Ecco Chaoszilla, dà un nome agli autoreclusi come lui: «Io sono un hikikomori »; Pavély spiega cos'è, un hikikomori: «È una parola giapponese. Indica il comportamento di quei ragazzi che per anni vivono in casa, senza affrontare la vita e l'amore. Solo Internet e fumetti. Cosa importante: io sono uno di loro»; Miki s'identifica, quindi quantifica il fenomeno: «Ve lo dico: hikikomori è un traguardo, è la frontiera. In Giappone sono circa un milione. In Italia siamo mostruosamente indietro ma la necessità di isolarsi dall'orribile mondo esterno vedo che si diffonde sempre di più».


Su una cosa Miki e il mondo fuori dalla sua stanza sono d'accordo: gli hikikomori, anche in Italia, sono sempre di più. Non esistono statistiche sulla «lost generation » nostrana. Solo le testimonianze di psicologi: oltre 50 i casi che abbiamo registrato. E le storie (nascoste dietro nomi di fantasia) di Alex: 16 anni e una vita in 20 mq scandita dal rombo degli aerei di Malpensa; Andrea: un anno in più di Alex e una «cella » alle porte di Brescia; Valentina: rinchiusa in un appartamento sull'Adriatico; Luca: solo di recente uscito dal suo «guscio» in Gallura. Più maschi che femmine. Quasi sempre «under 18», almeno in Italia. Molto intelligenti, creativi, ma introversi. Letteralmente giovani «in ritiro», ragazzi che senza un apparente motivo si chiudono nella loro stanza. Chi (come Oblomov di Goncarov) per incapacità di affrontare il mondo, chi (è il caso di Miki) per esprimere la sua rabbia. E ancora: chi per mesi, chi per anni. Il record nostrano: tre-quattro anni. Quello nipponico: 15 e più. Per alcuni la clausura è totale, per altri parziale: qualcuno esce dalla propria stanza per cenare con i genitori, per andare in vacanza, chi vive solo è obbligato a farlo per comprare del cibo nel supermercato più vicino.


In Giappone gli hikikomori sono un fenomeno culturale e sociale: sono oltre un milione, l'1% della popolazione, il 2% degli adolescenti. Alcuni ricercatori, tra cui Michael Zielenziger (suo il saggio Non voglio più vivere alla luce del sole), hanno avanzato l'ipotesi che anche la principessa Masako Owada, ne sia affetta. La colpa della loro autoreclusione è stata data alle pressioni sociali, alla severità del sistema scolastico, alla spinta verso l'omologazione, alle madri oppressive, ai padri assenti, al bullismo. Tamaki Saito è stato il primo psicoterapeuta a studiare quello che viene definito un disturbo («non una patologia»). Ma è stato anche il primo a evidenziare alcuni punti di contatto tra i ragazzi giapponesi e i «mammoni italiani». A ricordarlo è Carla Ricci, antropologa con una vita a Tokyo e autrice del libro Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione.
«Il fenomeno è tipicamente giapponese. Ma da lì si sta allargando in Corea, Usa, Nord Europa, Italia». La prima analogia: «Lo stretto rapporto con la madre. Proprio il suo essere iperprotettiva, spesso entrambi i genitori lo sono, può rendere il figlio narcisista e fragile. E alla prima difficoltà si ritira». Inizia col passare sempre più ore nella sua camera, col disertare le cene in famiglia, niente amici, sport, cinema. «Finché un mattino dice di non voler più andare a scuola perché ha bisogno di riposarsi».

Nell'ultimo anno all'Istituto «Minotauro» di Milano, dove lavorano Gustavo Pietropolli Charmet e Antonio Piotti, si sono rivolti i genitori di oltre 20 ragazzi. Le loro storie sono coperte dal più stretto riserbo. «Cinque i più gravi: vivono chiusi nelle loro stanze da ormai tre anni». Spiega Pietropolli Charmet: «In ogni momento storico e in ogni Paese i giovani hanno dato sfogo al loro malessere: le isteriche di Freud, i tossicodipendenti anni '60-'70, le nostre anoressiche. Gli hikikomori sono figli della cultura giapponese, ma i nostri "autoreclusi" condividono con loro più di un aspetto». Continua Piotti: «Innanzitutto la vergogna narcisistica. Lo scarto tra il loro desiderato e il reale è troppo forte. Colpa anche delle eccessive aspettative dei genitori ». All'origine c'è poi spesso una fobia scolastica. «Ma mentre i ragazzi giapponesi fuggono da regole troppo severe, i nostri scappano dall'incapacità di gestire relazioni di gruppo». Identico il risultato: «Si chiudono in una stanza. Sostituiscono la vita reale con quella virtuale. Ma Internet e i giochi di ruolo sono solo una conseguenza, non una causa», afferma Giuseppe Lavenia, del Centro Nostos di Senigallia, una decina di casi trattati. Spesso, come le anoressiche, negano il proprio corpo. Ultimo passo: l'inversione del ritmo circadiano, vivono di notte e dormono di giorno.
Più il ragazzo vive nel suo guscio, e per questo soffre, più è difficile farlo uscire. «Il problema è entrare in contatto con loro», dice Giovanna Montinari, psicoterapeuta della cooperativa romana «Rifornimento in volo», altri due casi allo studio. Non resta che parlare con i genitori, con gli amici. «Ma a volte il contatto arriva solo grazie a quello che chiamiamo "compagno o fratello maggiore", un giovane psicoterapeuta». È il caso di Alex: la prima persona a cui ha aperto la porta, dopo oltre sei mesi di autoreclusione, è stata la «sorella maggiore» che ha bussato alla sua chat.

Alessandra Mangiarotti