01 marzo 2009

Il quadro della crisi


L’ex presdelaconfind, Montezemolo, ha proposto la convocazione degli “Stati Generali” per contrastare l’attuale crisi. Ne ha evidentemente detta un’altra delle sue; come quando era appunto  presidente degli industriali e sembrava un disco rotto con il tormentone del “fare sistema” o con “il medio è bello” in sostituzione del “piccolo è bello” dei decenni precedenti (e anche di questi ultimi tempi di crisi). Per quanto riguarda “il grande”, si accontentava più discretamente di chiedere – co-me sempre ha fatto la Fiat nel dopoguerra, e come insistentemente continua ora il suo ad Marchion-ne – aiuti e sussidi allo Stato (italiano, ma anche alla UE e a “San Obama”).

Solo che il troppo veloce pensiero dell’ex presidente industriale non ricorda che, su convocazio-ne di Louis XVI, gli Stati Generali (clero, nobiltà e terzo stato) si riunirono il 5 maggio 1789; subi-to si crearono dissidi vari, dopo la relazione di Necker che mise in luce la disastrosa situazione fi-nanziaria del Regno. Alla fine, il Terzo Stato (con alcuni settori di clero e nobiltà) dovette riunirsi, il 20 giugno, nella palestra del Jeu de Paume, dove decise di sciogliere tali Stati e di dare vita all’Assemblea Nazionale. Nemmeno un mese dopo ci fu la “presa della Bastiglia” e quasi subito cominciò a funzionare la “brillante invenzione” del dott. Guillotin (che era anche quello ad aver proposto il Jeu de Paume per la riunione del 20 giugno), con parecchie migliaia di teste dai tratti nobili e capelli fluenti “spedite per i fatti propri”.

Non sono in grado di giudicare se simile soluzione sarebbe adeguata all’Italia del XXI secolo; tendenzialmente credo ai “corsi e ricorsi storici” (cum grano salis) ma, come suol dirsi, ogni cosa a suo tempo: “la gatta frettolosa fa i gattini ciechi”. In realtà, il “Luca nazionale” vuol solo riamman-nirci, con terminologia più consona alla fase grave che si sta avvicinando, la solita sboba della “concertazione” tra le “parti sociali” (certo capisco che “Stati Generali” è “più figo”, proprio come il “fare sistema”). Tuttavia, mascheratura di una fregatura da darci era il leit-motiv di poco tempo fa, e altrettale mascheratura vorrebbe essere anche quest’ultima trovata. Il presdelafiat da un pezzo ha la “voglia matta” di far politica (pur se non ha lo stesso appeal di Cathérine Spaak nel film di Sal-ce). Per un periodo, dopo l’inaspettata vittoria netta di Berlusconi alle ultime elezioni (la GFeID si attendeva non un pareggio, ma comunque una vittoria di stretta misura), egli era rimasto in ombra, pur se da alcuni indizi si capiva che era sempre in agguato e scalpitava fremente. Adesso forse pen-sa che la crisi possa favorirlo. E soprattutto favorire tramite la richiesta dei soliti aiuti per i parassiti finanziario-industriali – in grado di ricattare il Governo con il pericolo di disfacimento del tessuto economico e aumento della disoccupazione (si veda l’ammorbidimento eccessivo di Tremonti verso le banche, ad esempio) – i suoi normali supporters, quelli di sempre, i “roditori” del paese.


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Ricordiamo il passato meno recente. Il solito “incontro sul Britannia”(1992) e l’operazione mani pulite (un colpo di mano, se si considera esagerato parlare di colpo di Stato), consentita dal crollo del “socialismo reale” e soprattutto dell’Urss, ed eseguita per conto di ambienti statunitensi dai “weimariani” della GFeID, gli ambienti parassiti già nominati, lanciati – con tutto il loro filo-europeismo, una forma di vera sudditanza agli Usa e ai loro organismi tipo Nato – a divorare le ri-sorse dell’intero paese, trincerandosi dietro i “ladrocini” dei capi Dc e Psi. Gli Usa, restati superpo-tenza, erano ormai convinti di portare a compimento il loro “Impero”. Agli inizi degli anni ’90, tale disegno fu nascosto dall’ideologia del “tripolarismo” del mondo (Stati Uniti, Germania e Giappo-ne), con la variante – portata avanti perfino da ambienti sedicenti comunisti e marxisti, forse in buona fede, ma certo di scarso cervello – del Giappone che si stava trasformando in padrone degli Usa, del “toyotismo” che conquistava il mondo, insomma del “Sol Levante” in procinto di essere il nuovo centro dell’economia globale, in attesa di divenirlo, nel XXI secolo, in tutti i sensi.

Il Giappone fu presto distrutto (e non si è ancora ripreso), il tripolarismo pure. Restò il progetto imperiale statunitense, cui credemmo in molti, però non oltre il 2003 o poco più (almeno per quanto mi riguarda). In seguito a quel progetto, la nostra GFeID (consolidatasi e svendutasi sul Britannia; non solo in quell’incontro, ben s’intende, che indico soltanto come punto di condensazione e di par-tenza) decise di attaccare a fondo la finanza e industria “pubbliche” con un piano di “privatizzazio-ni”, che erano svendite e un divorare famelico, di fronte al quale i “ladroni” Dc e Psi erano di “scar-so appetito”. Per attuare tale piano – in ottemperanza a quello ben più consistente degli Usa, che vo-levano rendere il nostro paese un sicario sicuro senza più quegli sfizi “filoarabi” e un po’ indipen-dentisti di Mattei, eliminato (come più tardi Moro), e di certi dirigenti diccì e piesseì – bisognava far fuori il regime esistente durante la “guerra fredda”, regime che si fondava largamente su Iri, Eni, ecc.: insomma su finanza e industria “pubbliche”. Si passò sul “cadavere” – talvolta non metaforico – dei suddetti dirigenti del vecchio regime e si cercò di formarne un altro, i cui migliori esecutori non potevano che essere dei rinnegati, costretti così a obbedire ciecamente, senza poter rifiutare più nulla.

I nostri “comunisti” – che cambiarono subito nome e casacca (da lacchè) – furono gli unici ad essere salvati in tutta Europa. Si sperò in un sussulto di quelli che divennero i presunti “rifondatori”, ma anche qui la deriva è stata infine totale, ed è meglio nemmeno farne la storia; l’importante è sa-pere che tutti i vari gruppetti di “estrema” sono dei disperati che, al massimo (ma credo e spero di no), potrebbero trasformarsi, in date congiunture di sfascio, in autentici “manipoli” o “squadracce”. Si salverà, si e no, il 10% di quest’area; ma, se non saprà capire in brevissimo tempo (mesi) che va buttato nella pattumiera tutto il vecchio bagaglio ideologico, non servirà più a nulla, salvo che ad aggiungere danno al danno maggiore procurato dalla “sinistra” pidieista, italvalorista, margheritista.

Dopo aver devastato il campo con le privatizzazioni, i “britannisti” ci hanno portato nella UE (che viene chiamata Europa unita da questi imbroglioni e veri “ladroni”) accettando, ai fini dell’unica vera innovazione apportata con simile scelta – quella dell’area a moneta unica – un cam-bio lira/euro da sballo inflazionistico, che adesso si raffredda sol perché siamo in una diversa fase ancora più negativa. Intendiamoci; non è che sono contro l’Europa, in sé e per sé, ma per com’è sta-ta realizzata al solo scopo di servire l’egemonia imperiale degli Usa. Oggi che questa è in impasse, la UE, lo ripeto, è divenuta non un’area veramente integrata in senso europeo, ma solo una duplica-zione, con peggioramento, degli apparati burocratici degli Stati membri; gli apparati europei battono spesso in inefficienza quelli italiani (non certo brillanti a tal proposito), oltre ad essere solo la longa manus dei predominanti statunitensi. Nel periodo di massimo fulgore del tentativo imperiale di que-sti ultimi, culminato nella seconda aggressione all’Irak, la GFeID portò a fondo con i vari Ciampi, Prodi, Amato – ma con precedenti aiutini di diccì tipo Scalfaro & C. e con il “coniglismo” dei diri-genti democristiani “stracciati”, perfino di Andreotti (e altri), che lasciarono solo Craxi con la sua rabbia impotente – la conquista e spartizione della finanza-industria “pubblica”, spazzando pure via il debole, forse troppo maldestro e non “pulito”, tentativo di opporsi (non però alle privatizzazioni, ormai realizzate, precisiamo) compiuto da Fazio, appoggiato (ma fino al limite del possibile) dal Vaticano; tentativo sfociato nella sua sostituzione con chi ben sappiamo, e di cui conosciamo la ca-rica ricoperta nella finanza d’assalto americana, quella detta “ad alta leva”, liquefattasi con il falli-mento del progetto imperiale.

In tutto questo bailamme, l’intervento di Berlusconi – un “fascista” che ha accettato per ben due volte, e di questo gliene faccio colpa e non merito (“mancanza di palle”!), di essere sbalzato di sella – ha ingrippato l’azione della nostra GFeID, asservita agli Usa, avendo anch’essa a disposizione i suoi servi in quelli dell’ex Pci e di settori “sinistri” (nel vero significato del termine) dell’ex Dc. Per nostra fortuna – questo non è però affatto un risultato dell’azione politica di Berlusconi, “fascista” senza decisionismo – l’azione della suddetta accolita finanziario-industriale, divoratrice delle nostre risorse, è entrata in sofferenza per la crisi grave degli Stati Uniti, apparente causa e reale effetto dell’impasse in cui si è trovata la loro spinta imperiale. Va ancora ricordato però, per comprendere il passato e stare con gli occhi aperti in futuro, che nel frattempo si erano sviluppati tentativi di por-tare fino in fondo il “sacco” dell’apparato economico “pubblico”.

Ci si ricorderà del “piano Rovati”, uomo di Prodi (allora al Governo), contro la Telecom. L’azienda era già privata, ma in mani non del tutto gradite al nocciolo duro della GFeID; per cui, in tal caso, si cercò di riportarla sotto controllo “pubblico”, solo però perché governava il fiduciario del solito gruppo di parassiti. Soprattutto, vanno comunque duramente riprovati i reiterati tentativi di indebolire l’Eni, togliendole la rete di distribuzione per darla alle municipalizzate, piovra di clientelismo, finanziamento (e altro) a favore della sinistra (e anche della destra meno nazionale; cioè della parte più corrotta di tale schieramento, il cui nazionalismo è puramente di facciata, ma non difende per nulla gli interessi italiani). Tentativo che provocò perfino un duro intervento del vicepresidente della Gazprom, partner decisivo dell’Eni, con lettera indirizzata, guarda un po’, al Giornale; anche in tal caso, la nostra azienda si è finora ben difesa, e speriamo salvata, per il più volte segnalato insuccesso della politica imperiale statunitense. Gli atteggiamenti positivi di Berlu-sconi su Eni-Gazprom e sulla Russia in generale – timidamente iniziati durante l’incontro in Sarde-gna con Putin nel 2003 – sono, ancora una volta, effetto di tale insuccesso; in assenza del quale, l’uomo “senza palle” non avrebbe lanciato nemmeno la più piccola sfida all’amica, e tuttora co-munque “padrona”, America.

Oggi, si aprirebbe per l’Italia, se vi fosse un autentico gruppo politico decisionista, una stagione nuova, poiché la crisi inficia a fondo il comportamento “padronale” del polo comunque ancora più forte. E tuttavia, si sbaglia chi crede che il polo europeo – in realtà virtuale, perche esistono solo le singole nazioni, ridotte a “nazioncine” balbettanti, mentre si muovono a casaccio i filoamericani or-ganismi UE (insisto: nulla a che vedere con una Europa Unita!) – uscirà meglio dalla crisi. Ne usci-rà peggio; economicamente però, e tale insuccesso economico potrebbe essere rovesciato in succes-so dal punto di vista politico, con svolte decisioniste in alcuni suoi paesi (sciocco sperare in tutta Europa; soprattutto nell’est, dove l’unica prospettiva positiva risiede in una ri-crescita, basata su ben altri punti di forza che non quelli dell’Urss, dell’influenza russa).

Siamo sulla linea divisoria tra i creodi del ben noto modello waddingtoniano; la perturbazione e le oscillazioni saranno sempre più forti nel prossimo futuro, e dunque possiamo cascare di qua o di là. Deciderà la politica, assieme alle strategie delle poche grandi imprese di punta che abbiamo: in piena evidenza, ormai, le aziende energetiche con l’Eni, ancora una volta, in primo piano. Ci sareb-be bisogno però di un “nuovo Mattei”, e tuttavia di un Governo non democristiano; ripeto per l’ennesima volta, estremamente decisionista.


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Ecco allora che si reinserisce l’ex presdelaconfind, vuoto di progetti concreti, che però tenta di sfruttare la debolezza e l’indecisione di un Governo diviso al suo interno tra fazioni, di cui quelle che fanno capo a vari settori di An e Lega, e anche a parte dei “berluscones”, non hanno a cuore gli interessi dell’intero paese; mentre soltanto un piccolo gruppo, stretto (quanto?) attorno al leader, è appena più deciso, ma scende a eccessivi compromessi con i settori parassitari, pur oggi non troppo saldi e che hanno mostrato tutta la loro insipienza. In particolare, mi riferisco proprio al settore ban-cario, in cui si contano i maggiori elettori del signor “yes, we can”, quelli che più ci hanno tenuto a farsi vedere mentre lo votavano alle “primarie”. Il Montezemolo – colui che fu tra principali avver-sari di Fazio e promotori della nostra finanza “dragona” e “weimariana”, cioè succube di quella a-mericana – per darsi l’importanza di uno che ha capito il momento particolarmente grave, ha ribat-tezzato “Stati Generali” la banalissima “concertazione”, fonte di disagio per tutte le cosiddette parti sociali (non parlo dei dirigenti, i “divoratori di ricchezza”, bensì delle basi di queste grandi parti-zioni della società) e di inviluppo dell’intero paese così tanto degradato dal 1993.

Nel momento in cui si sta sfasciando la sinistra, si riduce al lumicino quella “estrema”, le forze economiche più reazionarie del paese si aggrappano alla Cgil, e alla Fiom, per resistere al Governo non decisionista e cercare di invertire la tendenza al possibile declino definitivo della loro influen-za, solo che si desse loro una piccola spinta verso la “fossa”. La finanza dovrebbe essere ricondotta, con estrema rudezza, alla sua funzione di ancella dell’industria; ma quest’ultima, oltre a certamente servirsi anche della gran massa dei piccolo-medi imprenditori (se non altro per la loro importanza numerica e quale collante sociale), ha necessità di basarsi su grandi progetti strategici, comportanti nuove alleanze internazionali. Soprattutto, pur senza scontri frontali con gli Usa, come ho già scritto ultimamente, si deve giostrare con abilità, ma soprattutto con energia e senza esitazioni e “ritorni all’indietro”, nell’ambito dell’avanzante multipolarismo; ricordando inoltre che uno dei settori più rilevanti, per la lotta diretta a conquistare nuove supremazie e sfere di influenza, sarà precisamente quello energetico.

Obama gioca (per copertura ideologica, ma anche come si fa quando si “bluffa” a poker) con la green economy e le “energie alternative”; alla resa dei conti, come ha ricordato G.P., “ha affidato l’incarico di architetto della politica estera all’ex generale dei Marines James Jones, il quale, in li-nea con quanto dichiarato da altre teste d’uovo statunitensi, ritiene che la sicurezza nazionale passa dal controllo delle aree dove vi è maggior presenza di risorse energetiche, come il Golfo di Guinea, in Africa. Quindi l’Africa, ma anche Georgia o Ucraina, solo per citare altri paesi nell’orbita di Wa-shington, rappresentano per gli Usa ‘aree di interesse vitale’ che hanno a che fare direttamente con la sua ‘sicurezza nazionale’”. Cadere nei trucchi del nuovo “santino” della sinistra è nel pieno inte-resse dei nostri capitalisti, quelli parassiti e che godono di vantaggi (oggi però sempre minori) solo se fanno da “maggiordomo” agli Stati Uniti; non è invece affatto nell’interesse dei nostri settori più vitali e che più possono aiutarci ad uscire dalla crisi, come sostengo da tanto tempo, nelle meno peggiori condizioni.

Montezemolo sta giocando la sua solita partita a profitto delle “mignatte” della GFeID, le cui fi-nalità sono sempre più in antagonismo con quelle dell’intero paese. Ed è sintomatico che tale partita la voglia ricominciare dall’appoggio alla sinistra in piena défaillance. Ormai non potrebbe essere più chiaro di così: la nuova “concertazione” (mascherata ridicolmente da “Stati Generali”; si sver-gogni e sputtani senza remissione chi infanga così un grande momento della Storia per i suoi bassi fini da “sanguisuga”) mira a ripescare la Cgil, onde rimettere un po’ in sesto la sinistra e renderla ancora più schiava che non nel 1993 (perché tale schieramento non potrebbe sopravvivere un istante senza più l’ossigeno del nostro capitalismo parassitario e dei suoi mass media e catene editoriali, ecc.), in modo da usarla come ariete per schiantare il “sistema-paese” e riuscire infine in quell’attività di spoliazione non perfezionata del tutto con le manovre coadiuvate da mani pulite. L’incompiuta transizione dalla prima alla seconda Repubblica ha avuto una ben precisa causa im-mediata: l’incapacità della sinistra di conquistare – salvo che presso una intellettualità ormai marcia, lurida, sfatta, putrescente – l’egemonia su settori decisivi della società, e anche industria, italiana. Ma la causa prima è nella non riuscita operazione di egemonia imperiale americana.

Vogliamo perdere l’occasione di dare un colpo definitivo alla GFeID, e a quell’etereo, vacuo, personaggio che tenta di riproporsi alla sua testa? Cadiamo in questo errore di omissione e saremo “morti divorati” per un paio di generazioni almeno! Come ho però già scritto in altra occasione, i primi da colpire “a morte” sono i sicari, i “bravi”, di questi novelli “Don Rodrigo”. Purtroppo, e non lo dico con piacere, i più “bravi” di tutti, e da ormai quindici anni, sembrano i “sinistri”: sono per il momento allo sfascio, ma sarebbe bene, per il paese, che vi restassero a tempo indeterminato. Non è però detto, anzi continuo a ritenerlo improponibile, che questa destra sia in grado di mettere termine alla nostra agonia di “eterno passaggio” alla Seconda Repubblica. Occorre il decisionismo; e qual-siasi gruppo sociale, economico e politico sia in grado di sprigionarlo, costituendone altresì la “base di massa”, avrà risolto un gran problema per l’insieme della società italiana.  


di Gianfranco La Grassa

I nuovi rapporti di forza internazionali.

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Del Prof. Nico Perrone (professore di Storia dell’America e Storia Contemporanea all’Università di Bari) posso dire di avere un ottimo ricordo personale essendo stato il relatore, nel 2002, del mio lavoro di laurea sulla Storia e l’ideologia del Black Panther Party. Approfitto dell’occasione per ringraziarlo pubblicamente dei consigli che ha saputo darmi, in un periodo giovanile nel quale prevale spesso l’infervoramento dottrinario rispetto al più perspicuo ragionamento scientifico (G.P.)

Benvenuto Prof. Perrone. Ho chiesto agli altri membri del nostro gruppo (riunito intorno ai lavori teorici del prof. Gianfranco La Grassa) di poterle fare qualche domanda, in un momento storico così difficile per l’economia mondiale e la situazione politica del nostro Paese. Lei, oltre ad essere esperto di affari internazionali e di politica italiana, è tra i massimi conoscitori delle vicende di una delle più importanti imprese di punta della nazione, l’ENI, oltreché del suo storico presidente Enrico Mattei.
Detto ciò mi sembrava fruttuoso discutere con Lei di alcune questioni.

G.P. - Come valuta, in questo momento storico di ridefinizione dei rapporti di forza a livello
internazionale – con l’entrata del mondo in una fase pienamente multipolare che segna la fine del monocentrismo americano e il riaffacciarsi sullo scacchiere internazionale di vecchie e nuove potenze - la strategia di alleanze tra imprese del settore energetico che vede la nostra Eni e la russa Gazprom in piena comunità d’intenti? Tale alleanza sembra non piacere molto agli americani che puntano, invece, ad isolare la Russia e ad aggirare i suoi rifornimenti di gas attraverso progetti alternativi come il Nabucco, sul quale anche la BEI (Banca Europea Investimenti) si dice pronta a mettere il suo imprimatur, finanziando il 25% del costo totale del progetto. La strada più lungimirante per il nostro Paese, anche in previsione della costruzione di una politica estera meno supina a Washington, sarebbe invece quella intrapresa con il progetto South Stream che vede, ancora una volta, protagoniste l’Eni e la Gazprom (e i rispettivi governi). E’ possibile che si creeranno attriti molto forti con gli Usa simili a quelli che segnarono il destino di Mattei? Certamente Scaroni non è Mattei, diversa la capacità manageriale, diversa la visione complessiva del mondo, in un contesto internazionale nemmeno lontanamente paragonabile a quello della Guerra fredda, tuttavia, crede che l’attuale Ad di Eni si stia muovendo bene nei suoi rapporti con la politica interna e con i partner economici stranieri?


N.P. - I rapporti di forza sono cambiati per due ragioni. Il terrorismo, ha fortemente ridimensionato il peso strategico delle armi nucleari. Perché gli attentati possono seminare danni mirati e micidiali e se sono bene organizzati non ci sono armi che servano. Mentre la crisi finanziaria sta dimostrando la grande vulnerabilità di grandi potenze. Dell'ENI, dopo che lo stato italiano ne ha ceduto il controllo riducendo le proprie partecipazioni dal 100 per cento a un esiguo ? per cento, preferirei non parlare: non è più un fattore di forza del nostro paese, ma una multinazionale nella quale lo stato italiano conserva una significativa partecipazione di minoranza. Francia e Germania invece, sono state fermissime - con governi di qualsiasi colore politico - a mantenere il controllo dello stato nelle aziende strategiche.

G.P. - In Italia esiste un partito filo-americano, trasversale alla destra e alla sinistra, che tenta di scorporare l’ENI sottraendole la distribuzione per assegnarla alle municipalizzate (più o meno tutte facenti capo al Pd). Tutto ciò avrebbe il “nobile” obiettivo, si dice, di preservare la concorrenza e abbassare i prezzi al consumo, ma mi pare che le cose non stiano effettivamente così. Su questo tema si è fatto sentire anche il presidente di Gazprom il quale in una lettera a Il Giornale, di qualche mese fa, ha dichiarato di non capire le ragioni per cui, in una fase così delicata, i politici italiani si cimentino a depotenziare una delle aziende più forti del proprio tessuto imprenditoriale. Ciò è ancor più grave laddove i russi hanno detto esplicitamente di preferire un interlocutore unico ben strutturato, considerata la strategicità del settore, per accelerare le intese di partnership e rendere, al contempo, più fluido il processo decisionale.

N.P. - Sì, quel partito esiste. Ha presenza maggiore nel centro-sinistra. D'altronde furono proprio i governi di Prodi, Amato e Ciampi (le responsabilità maggiori le ebbe Prodi) a volere il rapido smantellamento delle partecipazioni statali, senza lasciare allo stato il controllo delle aziende strategiche.

G.P. - Dal punto di vista delle alleanze strategiche in campo energetico ugualmente importante è quella stretta dall’Eni con la Sonatrach algerina che è andata approfondendosi in quest’ultimo periodo; tanto più che Berlusconi ha recentemente dichiarato, dopo la vittoria elettorale in Sardegna, di voler far arrivare un gasdotto di quest'ultima sull'isola. C’è una similarità tra queste intese e quelle del passato?

N.P. - In queste alleanze, l'attuale ENI sembra rifarsi in qualche misura alla linea delle alleanze che fu di Mattei

G.P. - Mattei riuscì a rompere il monopolio delle sette sorelle grazie agli accordi vantaggiosi che proponeva ai paesi depositari di risorse. Le molteplici aperture nei confronti dei governi medioorientali, in questo sostenuto dalle correnti non-atlantiste della DC, permisero all’Eni di crearsi un mercato estero molto fiorente. Come Lei ha ben scritto, Enrico Mattei si fece promotore di accordi equilibrati, vedi quello con l’Iran, per convincere tali paesi che i contratti con le imprese italiane erano i più proficui per tutti. In Iran, per esempio, l’accordo siglato nel ‘57, prevedeva che il 50% dei proventi delle attività estrattive sarebbero andati direttamente allo Stato iraniano, mentre un altro 25% sarebbe finito nelle casse della NIOC, impresa dello stesso paese. Insomma, il 75% dei guadagni al paese detentore delle risorse energetiche e solo il 25% a chi ci metteva tecnologie e capacità imprenditoriali. Non è forse questo un esempio di come dovrebbe funzionare la collaborazione virtuosa tra paesi sviluppati e second comers? Ci rendiamo conto che Mattei non faceva questo per puro spirito solidaristico, tuttavia esiste un altro caso in cui un first comers si sia comportato alla stessa maniera? La storia non ha ancora fatto luce piena sulla fine di Mattei. Non vogliamo sapere come sono andati realmente i fatti perché un’idea ce l’abbiamo di già. Prescindendo dunque dalla cronistoria, quali sono le sue valutazioni storiche e politiche in merito alla strategia perseguita da Mattei in piena fase bipolare?

N.P. - Mattei fece politica estera con quegli accordi. Non dimentichiamo che nelle posizioni formalmente cruciali dello stato, c'erano il presidente del consiglio Fanfani e il presidente della Repubblica. La rottura delle condizioni del mercato realizzata da Mattei, tatticamente servì, anzi era indispensabile, ma dal punto di visto finanziario non poteva reggere a lungo, anche perché i giacimenti trovati non furono particolarmente vantaggiosi per l'Italia

G.P. - Mattei non gradiva gli stereotipi sugli italiani e mal digeriva l’accostamento che spesso si faceva all’estero del nostro popolo, mangiatore di spaghetti e suonatore di mandolino. Il ruolo internazionale dell’Italia è andato, dalla morte di Mattei in poi, accostandosi ad un sempre più basso profilo. Esiste secondo Lei la possibilità di invertire questa nefasta rotta e come?

N.P. - Credo che sugli spaghetti, Mattei sbagliasse: sono oggi una voce importante delle esportazioni. A parte il vantaggio culturale di avere diffuso nel mondo questa abitudine italiana. Il momento per la politica estera italiana, da qualche anno è infelice. Eravamo nella NATO ma facevamo sentire la nostra voce con tanti utili dissensi. In anni più recenti invece abbiamo rinunciato a fare una politica estera autonoma, e con D'Alema ci siamo accodati agli USA in posizione acritica, fino al punto di partecipare - contro la nostra costituzione – a qualche guerra.

Banche allo Stato, il potere gli Altri

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Il cosiddetto salvataggio delle banche non può essere definito altrimenti, per il fatto che nel nostro sistema sono le banche a creare dal niente la moneta legale attraverso il meccanismo del “cinquantato credito” che deriva dal sistema della “riserva frazionaria” al 2%. Il valore di questa moneta bancaria pesca nel potere d’acquisto della collettività. Un esproprio silenzioso, paragonato al ladro che si introduce nottetempo nelle case per rubare ai cittadini ignari. Un meccanismo criminale, usato per affermare e promuovere una élite degna figlia di quel sistema.
Si assiste così alla negazione plausibile della causa criminale della crisi che, come quella del 1929, viene portata avanti attraverso la contrazione dello sfintere bancario del credito. A che serve? Senza circolazione monetaria si crea una deflazione artificiale dei prezzi, fin quando il cittadino in bancarotta sarà costretto a cedere i suoi beni reali a due palle un soldo. Sempre sperando che nel frattempo non scopra la verità, e cioè che il 100% delle tasse trattenute in busta serve per ripagare l’inutile debito pubblico acquistato (con lo sconto) in prima battuta dalle banche. Debito inutile perché l’élite sa bene che se la funzione monetaria e creditizia fosse esercitata direttamente dallo Stato, tale debito non esisterebbe. Basterebbe emettere biglietti di Stato a corso legale (come accadeva con le 500 lire) che non creano debito pubblico e nemmeno enormi profitti privati. La diffusione dell’informazione in Rete sta aumentando la consapevolezza dei cittadini che cominciano a chiedersi se i governi siano solo specchietti per allodole che occultano ‘arricchimento di alcune èlite. Cominciano a dubitare che lo Stato sia diventato esattore per conto di una congrega di banchieri nati stanchi. Si chiedono se il Trattato ribattezzato di “Matrix” con la cessione della sovranità monetaria ai banchieri privati che si nascondono dietro la BCE, abbia rappresentato un atto di alto tradimento firmato da Cossiga, De Michelis, Carli e Andreotti. Dubitano che se le tasse servono a pagare il pizzo alla rendita monetaria privata, farebbero bene a ricorrere al nero ed ai paradisi fiscali. Durante il fascismo i partigiani venivano chiamati terroristi. Come saranno chiamati gli evasori fiscali? I resistenti al pizzo del signoraggio nella Terza Repubblica dove lo Stato non dovrà più nascondersi dietro ai suoi segreti monetari? Ma soprattutto, come ci arriveremo a questa Terza Repubblica? Col sangue per le strade? Dobbiamo aspettare che la Polizia spari sui civili, sui disoccupati ed i poveracci per vedere riforme sensate? Ecco alcune modeste proposte per una transizione a bassa intensità. Introduzione della valuta Amazonida, adottata al Forum di Belèm (BRA) in concomitanza col Forum di Davos. Il principio di copertura valutaria già proposta da Giuseppe Mazzini ne “I doveri dell’uomo” del 1860, prevede l’istituzione di luoghi di deposito pubblici, dai quali, accertato il valore approssimativo delle merci consegnate, si rilascia un documento simile a un biglietto bancario, ammesso alla circolazione e allo sconto, tanto da render capace l’Associazione di poter continuare nei suoi lavori e di non essere strozzata dalla necessità d’una vendita immediata e a ogni patto”. La logica è semplice: si immettono sul mercato sia le merci (ed i servizi) che il mezzo congruo per poterle transare, senza bisogno di acquisire ad usura questo mezzo monetario, e quindi impedendo alle banche di intromettersi coi loro diktat strampalati nel libero commercio tra i cittadini. La proposta di adottare monete locali e/o complementari non attua - in queste condizioni - lo scopo più ampio della redistribuzione della ricchezza in senso lato, poiché si tratta di iniziative per forza di cose limitate dal punto di vista dell’impatto economico. Però svolgono una critica duplice funzione: fanno riflettere i cittadini sulla reale funzione e natura della moneta. Permettono di abituare la cittadinanza all’uso di un nuovo mezzo che potrebbe rivelarsi cruciale, nel caso molto prevedibile, di un abbandono brusco ed immediato del sistema a corso forzoso. E’ uno strumento su cui reindirizzare la fiducia che la cittadinanza sta ritirando dal sistema economico-politico attuale. La sua adozione su vasta scala costerebbe poco rispetto alle iniziative al vaglio dei G7. La stimo in circa due miliardi di euro una sua implementazione su scala europea nel giro di 6-12 mesi. La maggior spesa sarebbe nell’informare e istruire la cittadinanza, quindi nei mezzi di comunicazione di massa. Soluzione molto più sensata ed economica del ricorrere ad un indebitamento pari a 50.000 euro per ogni cittadino europeo per salvare un sistema corrotto e già condannato. Nell’improbabile ipotesi che venga scelta questa strada, le autorità statali potrebbero attivare istituzioni gia esistenti per la gestione dell’emissione dei biglietti di stato a corso legale: Banca d’Italia (post rinazionalizzazione), Cassa DD PP, Tesoreria dello Stato, sportelli delle Poste, codice fiscale come identificativo univoco del conto di cittadinanza, sedi distaccate della Banca d’Italia per la supervisione delle monete regionali, etc. Strada che va tentata perché di fronte ai venti di guerra civile che arrivano dagli Stati Uniti, nessuna precauzione va tralasciata. Sempre che non si voglia trasformare l’Europa in un enorme campo di concentramento economico, ma anche in questo caso non sarebbe da escludere la moneta locale, così come venne adottata nel campo di concentramento di Theresienstadt.


Marco Saba

01 marzo 2009

Il quadro della crisi


L’ex presdelaconfind, Montezemolo, ha proposto la convocazione degli “Stati Generali” per contrastare l’attuale crisi. Ne ha evidentemente detta un’altra delle sue; come quando era appunto  presidente degli industriali e sembrava un disco rotto con il tormentone del “fare sistema” o con “il medio è bello” in sostituzione del “piccolo è bello” dei decenni precedenti (e anche di questi ultimi tempi di crisi). Per quanto riguarda “il grande”, si accontentava più discretamente di chiedere – co-me sempre ha fatto la Fiat nel dopoguerra, e come insistentemente continua ora il suo ad Marchion-ne – aiuti e sussidi allo Stato (italiano, ma anche alla UE e a “San Obama”).

Solo che il troppo veloce pensiero dell’ex presidente industriale non ricorda che, su convocazio-ne di Louis XVI, gli Stati Generali (clero, nobiltà e terzo stato) si riunirono il 5 maggio 1789; subi-to si crearono dissidi vari, dopo la relazione di Necker che mise in luce la disastrosa situazione fi-nanziaria del Regno. Alla fine, il Terzo Stato (con alcuni settori di clero e nobiltà) dovette riunirsi, il 20 giugno, nella palestra del Jeu de Paume, dove decise di sciogliere tali Stati e di dare vita all’Assemblea Nazionale. Nemmeno un mese dopo ci fu la “presa della Bastiglia” e quasi subito cominciò a funzionare la “brillante invenzione” del dott. Guillotin (che era anche quello ad aver proposto il Jeu de Paume per la riunione del 20 giugno), con parecchie migliaia di teste dai tratti nobili e capelli fluenti “spedite per i fatti propri”.

Non sono in grado di giudicare se simile soluzione sarebbe adeguata all’Italia del XXI secolo; tendenzialmente credo ai “corsi e ricorsi storici” (cum grano salis) ma, come suol dirsi, ogni cosa a suo tempo: “la gatta frettolosa fa i gattini ciechi”. In realtà, il “Luca nazionale” vuol solo riamman-nirci, con terminologia più consona alla fase grave che si sta avvicinando, la solita sboba della “concertazione” tra le “parti sociali” (certo capisco che “Stati Generali” è “più figo”, proprio come il “fare sistema”). Tuttavia, mascheratura di una fregatura da darci era il leit-motiv di poco tempo fa, e altrettale mascheratura vorrebbe essere anche quest’ultima trovata. Il presdelafiat da un pezzo ha la “voglia matta” di far politica (pur se non ha lo stesso appeal di Cathérine Spaak nel film di Sal-ce). Per un periodo, dopo l’inaspettata vittoria netta di Berlusconi alle ultime elezioni (la GFeID si attendeva non un pareggio, ma comunque una vittoria di stretta misura), egli era rimasto in ombra, pur se da alcuni indizi si capiva che era sempre in agguato e scalpitava fremente. Adesso forse pen-sa che la crisi possa favorirlo. E soprattutto favorire tramite la richiesta dei soliti aiuti per i parassiti finanziario-industriali – in grado di ricattare il Governo con il pericolo di disfacimento del tessuto economico e aumento della disoccupazione (si veda l’ammorbidimento eccessivo di Tremonti verso le banche, ad esempio) – i suoi normali supporters, quelli di sempre, i “roditori” del paese.


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Ricordiamo il passato meno recente. Il solito “incontro sul Britannia”(1992) e l’operazione mani pulite (un colpo di mano, se si considera esagerato parlare di colpo di Stato), consentita dal crollo del “socialismo reale” e soprattutto dell’Urss, ed eseguita per conto di ambienti statunitensi dai “weimariani” della GFeID, gli ambienti parassiti già nominati, lanciati – con tutto il loro filo-europeismo, una forma di vera sudditanza agli Usa e ai loro organismi tipo Nato – a divorare le ri-sorse dell’intero paese, trincerandosi dietro i “ladrocini” dei capi Dc e Psi. Gli Usa, restati superpo-tenza, erano ormai convinti di portare a compimento il loro “Impero”. Agli inizi degli anni ’90, tale disegno fu nascosto dall’ideologia del “tripolarismo” del mondo (Stati Uniti, Germania e Giappo-ne), con la variante – portata avanti perfino da ambienti sedicenti comunisti e marxisti, forse in buona fede, ma certo di scarso cervello – del Giappone che si stava trasformando in padrone degli Usa, del “toyotismo” che conquistava il mondo, insomma del “Sol Levante” in procinto di essere il nuovo centro dell’economia globale, in attesa di divenirlo, nel XXI secolo, in tutti i sensi.

Il Giappone fu presto distrutto (e non si è ancora ripreso), il tripolarismo pure. Restò il progetto imperiale statunitense, cui credemmo in molti, però non oltre il 2003 o poco più (almeno per quanto mi riguarda). In seguito a quel progetto, la nostra GFeID (consolidatasi e svendutasi sul Britannia; non solo in quell’incontro, ben s’intende, che indico soltanto come punto di condensazione e di par-tenza) decise di attaccare a fondo la finanza e industria “pubbliche” con un piano di “privatizzazio-ni”, che erano svendite e un divorare famelico, di fronte al quale i “ladroni” Dc e Psi erano di “scar-so appetito”. Per attuare tale piano – in ottemperanza a quello ben più consistente degli Usa, che vo-levano rendere il nostro paese un sicario sicuro senza più quegli sfizi “filoarabi” e un po’ indipen-dentisti di Mattei, eliminato (come più tardi Moro), e di certi dirigenti diccì e piesseì – bisognava far fuori il regime esistente durante la “guerra fredda”, regime che si fondava largamente su Iri, Eni, ecc.: insomma su finanza e industria “pubbliche”. Si passò sul “cadavere” – talvolta non metaforico – dei suddetti dirigenti del vecchio regime e si cercò di formarne un altro, i cui migliori esecutori non potevano che essere dei rinnegati, costretti così a obbedire ciecamente, senza poter rifiutare più nulla.

I nostri “comunisti” – che cambiarono subito nome e casacca (da lacchè) – furono gli unici ad essere salvati in tutta Europa. Si sperò in un sussulto di quelli che divennero i presunti “rifondatori”, ma anche qui la deriva è stata infine totale, ed è meglio nemmeno farne la storia; l’importante è sa-pere che tutti i vari gruppetti di “estrema” sono dei disperati che, al massimo (ma credo e spero di no), potrebbero trasformarsi, in date congiunture di sfascio, in autentici “manipoli” o “squadracce”. Si salverà, si e no, il 10% di quest’area; ma, se non saprà capire in brevissimo tempo (mesi) che va buttato nella pattumiera tutto il vecchio bagaglio ideologico, non servirà più a nulla, salvo che ad aggiungere danno al danno maggiore procurato dalla “sinistra” pidieista, italvalorista, margheritista.

Dopo aver devastato il campo con le privatizzazioni, i “britannisti” ci hanno portato nella UE (che viene chiamata Europa unita da questi imbroglioni e veri “ladroni”) accettando, ai fini dell’unica vera innovazione apportata con simile scelta – quella dell’area a moneta unica – un cam-bio lira/euro da sballo inflazionistico, che adesso si raffredda sol perché siamo in una diversa fase ancora più negativa. Intendiamoci; non è che sono contro l’Europa, in sé e per sé, ma per com’è sta-ta realizzata al solo scopo di servire l’egemonia imperiale degli Usa. Oggi che questa è in impasse, la UE, lo ripeto, è divenuta non un’area veramente integrata in senso europeo, ma solo una duplica-zione, con peggioramento, degli apparati burocratici degli Stati membri; gli apparati europei battono spesso in inefficienza quelli italiani (non certo brillanti a tal proposito), oltre ad essere solo la longa manus dei predominanti statunitensi. Nel periodo di massimo fulgore del tentativo imperiale di que-sti ultimi, culminato nella seconda aggressione all’Irak, la GFeID portò a fondo con i vari Ciampi, Prodi, Amato – ma con precedenti aiutini di diccì tipo Scalfaro & C. e con il “coniglismo” dei diri-genti democristiani “stracciati”, perfino di Andreotti (e altri), che lasciarono solo Craxi con la sua rabbia impotente – la conquista e spartizione della finanza-industria “pubblica”, spazzando pure via il debole, forse troppo maldestro e non “pulito”, tentativo di opporsi (non però alle privatizzazioni, ormai realizzate, precisiamo) compiuto da Fazio, appoggiato (ma fino al limite del possibile) dal Vaticano; tentativo sfociato nella sua sostituzione con chi ben sappiamo, e di cui conosciamo la ca-rica ricoperta nella finanza d’assalto americana, quella detta “ad alta leva”, liquefattasi con il falli-mento del progetto imperiale.

In tutto questo bailamme, l’intervento di Berlusconi – un “fascista” che ha accettato per ben due volte, e di questo gliene faccio colpa e non merito (“mancanza di palle”!), di essere sbalzato di sella – ha ingrippato l’azione della nostra GFeID, asservita agli Usa, avendo anch’essa a disposizione i suoi servi in quelli dell’ex Pci e di settori “sinistri” (nel vero significato del termine) dell’ex Dc. Per nostra fortuna – questo non è però affatto un risultato dell’azione politica di Berlusconi, “fascista” senza decisionismo – l’azione della suddetta accolita finanziario-industriale, divoratrice delle nostre risorse, è entrata in sofferenza per la crisi grave degli Stati Uniti, apparente causa e reale effetto dell’impasse in cui si è trovata la loro spinta imperiale. Va ancora ricordato però, per comprendere il passato e stare con gli occhi aperti in futuro, che nel frattempo si erano sviluppati tentativi di por-tare fino in fondo il “sacco” dell’apparato economico “pubblico”.

Ci si ricorderà del “piano Rovati”, uomo di Prodi (allora al Governo), contro la Telecom. L’azienda era già privata, ma in mani non del tutto gradite al nocciolo duro della GFeID; per cui, in tal caso, si cercò di riportarla sotto controllo “pubblico”, solo però perché governava il fiduciario del solito gruppo di parassiti. Soprattutto, vanno comunque duramente riprovati i reiterati tentativi di indebolire l’Eni, togliendole la rete di distribuzione per darla alle municipalizzate, piovra di clientelismo, finanziamento (e altro) a favore della sinistra (e anche della destra meno nazionale; cioè della parte più corrotta di tale schieramento, il cui nazionalismo è puramente di facciata, ma non difende per nulla gli interessi italiani). Tentativo che provocò perfino un duro intervento del vicepresidente della Gazprom, partner decisivo dell’Eni, con lettera indirizzata, guarda un po’, al Giornale; anche in tal caso, la nostra azienda si è finora ben difesa, e speriamo salvata, per il più volte segnalato insuccesso della politica imperiale statunitense. Gli atteggiamenti positivi di Berlu-sconi su Eni-Gazprom e sulla Russia in generale – timidamente iniziati durante l’incontro in Sarde-gna con Putin nel 2003 – sono, ancora una volta, effetto di tale insuccesso; in assenza del quale, l’uomo “senza palle” non avrebbe lanciato nemmeno la più piccola sfida all’amica, e tuttora co-munque “padrona”, America.

Oggi, si aprirebbe per l’Italia, se vi fosse un autentico gruppo politico decisionista, una stagione nuova, poiché la crisi inficia a fondo il comportamento “padronale” del polo comunque ancora più forte. E tuttavia, si sbaglia chi crede che il polo europeo – in realtà virtuale, perche esistono solo le singole nazioni, ridotte a “nazioncine” balbettanti, mentre si muovono a casaccio i filoamericani or-ganismi UE (insisto: nulla a che vedere con una Europa Unita!) – uscirà meglio dalla crisi. Ne usci-rà peggio; economicamente però, e tale insuccesso economico potrebbe essere rovesciato in succes-so dal punto di vista politico, con svolte decisioniste in alcuni suoi paesi (sciocco sperare in tutta Europa; soprattutto nell’est, dove l’unica prospettiva positiva risiede in una ri-crescita, basata su ben altri punti di forza che non quelli dell’Urss, dell’influenza russa).

Siamo sulla linea divisoria tra i creodi del ben noto modello waddingtoniano; la perturbazione e le oscillazioni saranno sempre più forti nel prossimo futuro, e dunque possiamo cascare di qua o di là. Deciderà la politica, assieme alle strategie delle poche grandi imprese di punta che abbiamo: in piena evidenza, ormai, le aziende energetiche con l’Eni, ancora una volta, in primo piano. Ci sareb-be bisogno però di un “nuovo Mattei”, e tuttavia di un Governo non democristiano; ripeto per l’ennesima volta, estremamente decisionista.


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Ecco allora che si reinserisce l’ex presdelaconfind, vuoto di progetti concreti, che però tenta di sfruttare la debolezza e l’indecisione di un Governo diviso al suo interno tra fazioni, di cui quelle che fanno capo a vari settori di An e Lega, e anche a parte dei “berluscones”, non hanno a cuore gli interessi dell’intero paese; mentre soltanto un piccolo gruppo, stretto (quanto?) attorno al leader, è appena più deciso, ma scende a eccessivi compromessi con i settori parassitari, pur oggi non troppo saldi e che hanno mostrato tutta la loro insipienza. In particolare, mi riferisco proprio al settore ban-cario, in cui si contano i maggiori elettori del signor “yes, we can”, quelli che più ci hanno tenuto a farsi vedere mentre lo votavano alle “primarie”. Il Montezemolo – colui che fu tra principali avver-sari di Fazio e promotori della nostra finanza “dragona” e “weimariana”, cioè succube di quella a-mericana – per darsi l’importanza di uno che ha capito il momento particolarmente grave, ha ribat-tezzato “Stati Generali” la banalissima “concertazione”, fonte di disagio per tutte le cosiddette parti sociali (non parlo dei dirigenti, i “divoratori di ricchezza”, bensì delle basi di queste grandi parti-zioni della società) e di inviluppo dell’intero paese così tanto degradato dal 1993.

Nel momento in cui si sta sfasciando la sinistra, si riduce al lumicino quella “estrema”, le forze economiche più reazionarie del paese si aggrappano alla Cgil, e alla Fiom, per resistere al Governo non decisionista e cercare di invertire la tendenza al possibile declino definitivo della loro influen-za, solo che si desse loro una piccola spinta verso la “fossa”. La finanza dovrebbe essere ricondotta, con estrema rudezza, alla sua funzione di ancella dell’industria; ma quest’ultima, oltre a certamente servirsi anche della gran massa dei piccolo-medi imprenditori (se non altro per la loro importanza numerica e quale collante sociale), ha necessità di basarsi su grandi progetti strategici, comportanti nuove alleanze internazionali. Soprattutto, pur senza scontri frontali con gli Usa, come ho già scritto ultimamente, si deve giostrare con abilità, ma soprattutto con energia e senza esitazioni e “ritorni all’indietro”, nell’ambito dell’avanzante multipolarismo; ricordando inoltre che uno dei settori più rilevanti, per la lotta diretta a conquistare nuove supremazie e sfere di influenza, sarà precisamente quello energetico.

Obama gioca (per copertura ideologica, ma anche come si fa quando si “bluffa” a poker) con la green economy e le “energie alternative”; alla resa dei conti, come ha ricordato G.P., “ha affidato l’incarico di architetto della politica estera all’ex generale dei Marines James Jones, il quale, in li-nea con quanto dichiarato da altre teste d’uovo statunitensi, ritiene che la sicurezza nazionale passa dal controllo delle aree dove vi è maggior presenza di risorse energetiche, come il Golfo di Guinea, in Africa. Quindi l’Africa, ma anche Georgia o Ucraina, solo per citare altri paesi nell’orbita di Wa-shington, rappresentano per gli Usa ‘aree di interesse vitale’ che hanno a che fare direttamente con la sua ‘sicurezza nazionale’”. Cadere nei trucchi del nuovo “santino” della sinistra è nel pieno inte-resse dei nostri capitalisti, quelli parassiti e che godono di vantaggi (oggi però sempre minori) solo se fanno da “maggiordomo” agli Stati Uniti; non è invece affatto nell’interesse dei nostri settori più vitali e che più possono aiutarci ad uscire dalla crisi, come sostengo da tanto tempo, nelle meno peggiori condizioni.

Montezemolo sta giocando la sua solita partita a profitto delle “mignatte” della GFeID, le cui fi-nalità sono sempre più in antagonismo con quelle dell’intero paese. Ed è sintomatico che tale partita la voglia ricominciare dall’appoggio alla sinistra in piena défaillance. Ormai non potrebbe essere più chiaro di così: la nuova “concertazione” (mascherata ridicolmente da “Stati Generali”; si sver-gogni e sputtani senza remissione chi infanga così un grande momento della Storia per i suoi bassi fini da “sanguisuga”) mira a ripescare la Cgil, onde rimettere un po’ in sesto la sinistra e renderla ancora più schiava che non nel 1993 (perché tale schieramento non potrebbe sopravvivere un istante senza più l’ossigeno del nostro capitalismo parassitario e dei suoi mass media e catene editoriali, ecc.), in modo da usarla come ariete per schiantare il “sistema-paese” e riuscire infine in quell’attività di spoliazione non perfezionata del tutto con le manovre coadiuvate da mani pulite. L’incompiuta transizione dalla prima alla seconda Repubblica ha avuto una ben precisa causa im-mediata: l’incapacità della sinistra di conquistare – salvo che presso una intellettualità ormai marcia, lurida, sfatta, putrescente – l’egemonia su settori decisivi della società, e anche industria, italiana. Ma la causa prima è nella non riuscita operazione di egemonia imperiale americana.

Vogliamo perdere l’occasione di dare un colpo definitivo alla GFeID, e a quell’etereo, vacuo, personaggio che tenta di riproporsi alla sua testa? Cadiamo in questo errore di omissione e saremo “morti divorati” per un paio di generazioni almeno! Come ho però già scritto in altra occasione, i primi da colpire “a morte” sono i sicari, i “bravi”, di questi novelli “Don Rodrigo”. Purtroppo, e non lo dico con piacere, i più “bravi” di tutti, e da ormai quindici anni, sembrano i “sinistri”: sono per il momento allo sfascio, ma sarebbe bene, per il paese, che vi restassero a tempo indeterminato. Non è però detto, anzi continuo a ritenerlo improponibile, che questa destra sia in grado di mettere termine alla nostra agonia di “eterno passaggio” alla Seconda Repubblica. Occorre il decisionismo; e qual-siasi gruppo sociale, economico e politico sia in grado di sprigionarlo, costituendone altresì la “base di massa”, avrà risolto un gran problema per l’insieme della società italiana.  


di Gianfranco La Grassa

I nuovi rapporti di forza internazionali.

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Del Prof. Nico Perrone (professore di Storia dell’America e Storia Contemporanea all’Università di Bari) posso dire di avere un ottimo ricordo personale essendo stato il relatore, nel 2002, del mio lavoro di laurea sulla Storia e l’ideologia del Black Panther Party. Approfitto dell’occasione per ringraziarlo pubblicamente dei consigli che ha saputo darmi, in un periodo giovanile nel quale prevale spesso l’infervoramento dottrinario rispetto al più perspicuo ragionamento scientifico (G.P.)

Benvenuto Prof. Perrone. Ho chiesto agli altri membri del nostro gruppo (riunito intorno ai lavori teorici del prof. Gianfranco La Grassa) di poterle fare qualche domanda, in un momento storico così difficile per l’economia mondiale e la situazione politica del nostro Paese. Lei, oltre ad essere esperto di affari internazionali e di politica italiana, è tra i massimi conoscitori delle vicende di una delle più importanti imprese di punta della nazione, l’ENI, oltreché del suo storico presidente Enrico Mattei.
Detto ciò mi sembrava fruttuoso discutere con Lei di alcune questioni.

G.P. - Come valuta, in questo momento storico di ridefinizione dei rapporti di forza a livello
internazionale – con l’entrata del mondo in una fase pienamente multipolare che segna la fine del monocentrismo americano e il riaffacciarsi sullo scacchiere internazionale di vecchie e nuove potenze - la strategia di alleanze tra imprese del settore energetico che vede la nostra Eni e la russa Gazprom in piena comunità d’intenti? Tale alleanza sembra non piacere molto agli americani che puntano, invece, ad isolare la Russia e ad aggirare i suoi rifornimenti di gas attraverso progetti alternativi come il Nabucco, sul quale anche la BEI (Banca Europea Investimenti) si dice pronta a mettere il suo imprimatur, finanziando il 25% del costo totale del progetto. La strada più lungimirante per il nostro Paese, anche in previsione della costruzione di una politica estera meno supina a Washington, sarebbe invece quella intrapresa con il progetto South Stream che vede, ancora una volta, protagoniste l’Eni e la Gazprom (e i rispettivi governi). E’ possibile che si creeranno attriti molto forti con gli Usa simili a quelli che segnarono il destino di Mattei? Certamente Scaroni non è Mattei, diversa la capacità manageriale, diversa la visione complessiva del mondo, in un contesto internazionale nemmeno lontanamente paragonabile a quello della Guerra fredda, tuttavia, crede che l’attuale Ad di Eni si stia muovendo bene nei suoi rapporti con la politica interna e con i partner economici stranieri?


N.P. - I rapporti di forza sono cambiati per due ragioni. Il terrorismo, ha fortemente ridimensionato il peso strategico delle armi nucleari. Perché gli attentati possono seminare danni mirati e micidiali e se sono bene organizzati non ci sono armi che servano. Mentre la crisi finanziaria sta dimostrando la grande vulnerabilità di grandi potenze. Dell'ENI, dopo che lo stato italiano ne ha ceduto il controllo riducendo le proprie partecipazioni dal 100 per cento a un esiguo ? per cento, preferirei non parlare: non è più un fattore di forza del nostro paese, ma una multinazionale nella quale lo stato italiano conserva una significativa partecipazione di minoranza. Francia e Germania invece, sono state fermissime - con governi di qualsiasi colore politico - a mantenere il controllo dello stato nelle aziende strategiche.

G.P. - In Italia esiste un partito filo-americano, trasversale alla destra e alla sinistra, che tenta di scorporare l’ENI sottraendole la distribuzione per assegnarla alle municipalizzate (più o meno tutte facenti capo al Pd). Tutto ciò avrebbe il “nobile” obiettivo, si dice, di preservare la concorrenza e abbassare i prezzi al consumo, ma mi pare che le cose non stiano effettivamente così. Su questo tema si è fatto sentire anche il presidente di Gazprom il quale in una lettera a Il Giornale, di qualche mese fa, ha dichiarato di non capire le ragioni per cui, in una fase così delicata, i politici italiani si cimentino a depotenziare una delle aziende più forti del proprio tessuto imprenditoriale. Ciò è ancor più grave laddove i russi hanno detto esplicitamente di preferire un interlocutore unico ben strutturato, considerata la strategicità del settore, per accelerare le intese di partnership e rendere, al contempo, più fluido il processo decisionale.

N.P. - Sì, quel partito esiste. Ha presenza maggiore nel centro-sinistra. D'altronde furono proprio i governi di Prodi, Amato e Ciampi (le responsabilità maggiori le ebbe Prodi) a volere il rapido smantellamento delle partecipazioni statali, senza lasciare allo stato il controllo delle aziende strategiche.

G.P. - Dal punto di vista delle alleanze strategiche in campo energetico ugualmente importante è quella stretta dall’Eni con la Sonatrach algerina che è andata approfondendosi in quest’ultimo periodo; tanto più che Berlusconi ha recentemente dichiarato, dopo la vittoria elettorale in Sardegna, di voler far arrivare un gasdotto di quest'ultima sull'isola. C’è una similarità tra queste intese e quelle del passato?

N.P. - In queste alleanze, l'attuale ENI sembra rifarsi in qualche misura alla linea delle alleanze che fu di Mattei

G.P. - Mattei riuscì a rompere il monopolio delle sette sorelle grazie agli accordi vantaggiosi che proponeva ai paesi depositari di risorse. Le molteplici aperture nei confronti dei governi medioorientali, in questo sostenuto dalle correnti non-atlantiste della DC, permisero all’Eni di crearsi un mercato estero molto fiorente. Come Lei ha ben scritto, Enrico Mattei si fece promotore di accordi equilibrati, vedi quello con l’Iran, per convincere tali paesi che i contratti con le imprese italiane erano i più proficui per tutti. In Iran, per esempio, l’accordo siglato nel ‘57, prevedeva che il 50% dei proventi delle attività estrattive sarebbero andati direttamente allo Stato iraniano, mentre un altro 25% sarebbe finito nelle casse della NIOC, impresa dello stesso paese. Insomma, il 75% dei guadagni al paese detentore delle risorse energetiche e solo il 25% a chi ci metteva tecnologie e capacità imprenditoriali. Non è forse questo un esempio di come dovrebbe funzionare la collaborazione virtuosa tra paesi sviluppati e second comers? Ci rendiamo conto che Mattei non faceva questo per puro spirito solidaristico, tuttavia esiste un altro caso in cui un first comers si sia comportato alla stessa maniera? La storia non ha ancora fatto luce piena sulla fine di Mattei. Non vogliamo sapere come sono andati realmente i fatti perché un’idea ce l’abbiamo di già. Prescindendo dunque dalla cronistoria, quali sono le sue valutazioni storiche e politiche in merito alla strategia perseguita da Mattei in piena fase bipolare?

N.P. - Mattei fece politica estera con quegli accordi. Non dimentichiamo che nelle posizioni formalmente cruciali dello stato, c'erano il presidente del consiglio Fanfani e il presidente della Repubblica. La rottura delle condizioni del mercato realizzata da Mattei, tatticamente servì, anzi era indispensabile, ma dal punto di visto finanziario non poteva reggere a lungo, anche perché i giacimenti trovati non furono particolarmente vantaggiosi per l'Italia

G.P. - Mattei non gradiva gli stereotipi sugli italiani e mal digeriva l’accostamento che spesso si faceva all’estero del nostro popolo, mangiatore di spaghetti e suonatore di mandolino. Il ruolo internazionale dell’Italia è andato, dalla morte di Mattei in poi, accostandosi ad un sempre più basso profilo. Esiste secondo Lei la possibilità di invertire questa nefasta rotta e come?

N.P. - Credo che sugli spaghetti, Mattei sbagliasse: sono oggi una voce importante delle esportazioni. A parte il vantaggio culturale di avere diffuso nel mondo questa abitudine italiana. Il momento per la politica estera italiana, da qualche anno è infelice. Eravamo nella NATO ma facevamo sentire la nostra voce con tanti utili dissensi. In anni più recenti invece abbiamo rinunciato a fare una politica estera autonoma, e con D'Alema ci siamo accodati agli USA in posizione acritica, fino al punto di partecipare - contro la nostra costituzione – a qualche guerra.

Banche allo Stato, il potere gli Altri

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Il cosiddetto salvataggio delle banche non può essere definito altrimenti, per il fatto che nel nostro sistema sono le banche a creare dal niente la moneta legale attraverso il meccanismo del “cinquantato credito” che deriva dal sistema della “riserva frazionaria” al 2%. Il valore di questa moneta bancaria pesca nel potere d’acquisto della collettività. Un esproprio silenzioso, paragonato al ladro che si introduce nottetempo nelle case per rubare ai cittadini ignari. Un meccanismo criminale, usato per affermare e promuovere una élite degna figlia di quel sistema.
Si assiste così alla negazione plausibile della causa criminale della crisi che, come quella del 1929, viene portata avanti attraverso la contrazione dello sfintere bancario del credito. A che serve? Senza circolazione monetaria si crea una deflazione artificiale dei prezzi, fin quando il cittadino in bancarotta sarà costretto a cedere i suoi beni reali a due palle un soldo. Sempre sperando che nel frattempo non scopra la verità, e cioè che il 100% delle tasse trattenute in busta serve per ripagare l’inutile debito pubblico acquistato (con lo sconto) in prima battuta dalle banche. Debito inutile perché l’élite sa bene che se la funzione monetaria e creditizia fosse esercitata direttamente dallo Stato, tale debito non esisterebbe. Basterebbe emettere biglietti di Stato a corso legale (come accadeva con le 500 lire) che non creano debito pubblico e nemmeno enormi profitti privati. La diffusione dell’informazione in Rete sta aumentando la consapevolezza dei cittadini che cominciano a chiedersi se i governi siano solo specchietti per allodole che occultano ‘arricchimento di alcune èlite. Cominciano a dubitare che lo Stato sia diventato esattore per conto di una congrega di banchieri nati stanchi. Si chiedono se il Trattato ribattezzato di “Matrix” con la cessione della sovranità monetaria ai banchieri privati che si nascondono dietro la BCE, abbia rappresentato un atto di alto tradimento firmato da Cossiga, De Michelis, Carli e Andreotti. Dubitano che se le tasse servono a pagare il pizzo alla rendita monetaria privata, farebbero bene a ricorrere al nero ed ai paradisi fiscali. Durante il fascismo i partigiani venivano chiamati terroristi. Come saranno chiamati gli evasori fiscali? I resistenti al pizzo del signoraggio nella Terza Repubblica dove lo Stato non dovrà più nascondersi dietro ai suoi segreti monetari? Ma soprattutto, come ci arriveremo a questa Terza Repubblica? Col sangue per le strade? Dobbiamo aspettare che la Polizia spari sui civili, sui disoccupati ed i poveracci per vedere riforme sensate? Ecco alcune modeste proposte per una transizione a bassa intensità. Introduzione della valuta Amazonida, adottata al Forum di Belèm (BRA) in concomitanza col Forum di Davos. Il principio di copertura valutaria già proposta da Giuseppe Mazzini ne “I doveri dell’uomo” del 1860, prevede l’istituzione di luoghi di deposito pubblici, dai quali, accertato il valore approssimativo delle merci consegnate, si rilascia un documento simile a un biglietto bancario, ammesso alla circolazione e allo sconto, tanto da render capace l’Associazione di poter continuare nei suoi lavori e di non essere strozzata dalla necessità d’una vendita immediata e a ogni patto”. La logica è semplice: si immettono sul mercato sia le merci (ed i servizi) che il mezzo congruo per poterle transare, senza bisogno di acquisire ad usura questo mezzo monetario, e quindi impedendo alle banche di intromettersi coi loro diktat strampalati nel libero commercio tra i cittadini. La proposta di adottare monete locali e/o complementari non attua - in queste condizioni - lo scopo più ampio della redistribuzione della ricchezza in senso lato, poiché si tratta di iniziative per forza di cose limitate dal punto di vista dell’impatto economico. Però svolgono una critica duplice funzione: fanno riflettere i cittadini sulla reale funzione e natura della moneta. Permettono di abituare la cittadinanza all’uso di un nuovo mezzo che potrebbe rivelarsi cruciale, nel caso molto prevedibile, di un abbandono brusco ed immediato del sistema a corso forzoso. E’ uno strumento su cui reindirizzare la fiducia che la cittadinanza sta ritirando dal sistema economico-politico attuale. La sua adozione su vasta scala costerebbe poco rispetto alle iniziative al vaglio dei G7. La stimo in circa due miliardi di euro una sua implementazione su scala europea nel giro di 6-12 mesi. La maggior spesa sarebbe nell’informare e istruire la cittadinanza, quindi nei mezzi di comunicazione di massa. Soluzione molto più sensata ed economica del ricorrere ad un indebitamento pari a 50.000 euro per ogni cittadino europeo per salvare un sistema corrotto e già condannato. Nell’improbabile ipotesi che venga scelta questa strada, le autorità statali potrebbero attivare istituzioni gia esistenti per la gestione dell’emissione dei biglietti di stato a corso legale: Banca d’Italia (post rinazionalizzazione), Cassa DD PP, Tesoreria dello Stato, sportelli delle Poste, codice fiscale come identificativo univoco del conto di cittadinanza, sedi distaccate della Banca d’Italia per la supervisione delle monete regionali, etc. Strada che va tentata perché di fronte ai venti di guerra civile che arrivano dagli Stati Uniti, nessuna precauzione va tralasciata. Sempre che non si voglia trasformare l’Europa in un enorme campo di concentramento economico, ma anche in questo caso non sarebbe da escludere la moneta locale, così come venne adottata nel campo di concentramento di Theresienstadt.


Marco Saba