23 maggio 2009

Ma un collasso completo sarebbe poi così grave?



Tornate con il pensiero alla prima volta in assoluto in cui avete imparato qualcosa fuori da un’aula di lezione. Per alcuni sarà stato da bambini prima di iniziare la scuola e ad altri forse non è ancora capitato nella vita.
A me successe a cinque anni quando, dopo essere salito sul recinto del giardino di casa, caddi ammaccandomi il cranio. I miei genitori mi sgridarono perché mi ero arrampicato, ma ciò che mi fece davvero imparare la lezione fu il dolore alla nuca provocato dalla caduta.
Il sistema nervoso umano è ciò che ci fa sentire dolore quando ci cimentiamo in attività quali lo sventolare la mano su una fiamma ardente o il farci ripetutamente scazzottare in faccia. La maggioranza degli esseri umani prova avversione al dolore e ai suoi effetti sul corpo, ma in realtà esso è un modo per proteggerci da danni ulteriori e più traumatici, come il decesso.

Quando mettiamo la mano nel fuoco, ci facciamo male e così impariamo ad evitare di farlo.
Quando il nostro naso è colpito da un oggetto contundente, proviamo un dolore acuto fino a che impariamo a schivare correttamente il “proiettile” abbassandoci o spostando la testa di lato.
Senza le conseguenze del dolore, gli esseri umani avrebbero una probabilità molto maggiore di pervenire alla propria fine ultima a causa dell’incapacità di reagire ad eventi pericolosi.
Noi della specie homo sapiens siamo progrediti, abbiamo imparato e ci siamo evoluti come società in questo modo. E per questo è necessario porsi una domanda che pertiene all’attuale situazione economica… ma un collasso completo sarebbe poi tanto grave?

Dicendo collasso completo faccio riferimento alle proposte di pacchetti di stimolo economico, che viene costantemente spacciato come il salvatore delle comunità finanziarie ed economiche in generale. Di recente, il mantra dei media è stato che, senza “stimoli” o infusioni di contante nuovo di zecca nel “sistema”, gli Stati Uniti come li conosciamo potrebbero non esistere più.
Di sicuro le case produttrici di automobili nazionali potrebbero andare a picco, e ne risulterebbero enormi perdite in termini di posti di lavoro, ma sfortunatamente talvolta… così vanno le cose.
General Motors e Ford dovrebbero patire le conseguenze per aver lavorato in maniera tanto inefficace e inefficiente nel corso di vari decenni. Il mercato ha decretato che, dal momento che in giro c’è effettivamente di meglio, certi macchinoni inaffidabili che tracannano benzina non sono più un prodotto desiderabile. In pratica, non c’è bisogno di mangiare da McDonald’s quando dall’altro lato della strada si trova cibo migliore, più economico e più sano.
Non è altro che la bestiale natura dei cicli economici.

Io sono dell’idea che non ci dovrebbero essere pacchetti di stimolo di alcun genere e che, se proprio bisogna fare qualcosa, si dovrebbero abbassare le tasse per tutti. Le industrie prive di liquidità sufficiente a superare periodi economici difficili dovrebbero essere costrette ad affrontare le conseguenze del non essersi sapute gestire in modo responsabile. Per un vero progresso di questa società, è la mentalità di queste aziende e del grande pubblico che deve cambiare.
È tutta una questione di apprendimento attraverso il dolore.
Il collasso porta al dolore.
Il dolore porta ad una forma di apprendimento naturale e vero.
L’apprendimento naturale e vero porta ad una reale innovazione.
La reale innovazione porta ad un progresso solido e ad una ripresa sostenibile.
Che cosa sarebbe successo se a cinque anni non mi fossi fatto male cadendo sulla testa? Magari ora mi arrampicherei su ponti o grattaceli senza essere consapevole dell’estremo pericolo cui mi sto esponendo.
Che cosa succede se la società non prova mai dolore per le proprie spese irresponsabili e per le proprie azioni irrazionali? Finisce con il perpetuare questo ciclo infinito di debito/spesa/bancarotta. Sì, il dolore è necessario… molto, molto necessario al futuro di questo Paese.

P.S.: La controargomentazione del collasso è che, senza misure di stimolo economico, molti Americani sarebbero alla fame e senza tetto. Be’, per vostra informazione, questo succede già e c’è gente che tuttora viene gettata in mezzo a una strada. Amici miei, pensate a dove, di preciso, finiscono gli stanziamenti...
di John Chavez
Fonte: www.examiner.com

22 maggio 2009

Gli Stati Uniti si esercitano alla guerra economica



Per gli scettici che occorrerebbe ancora convincere, il mese di marzo 2009 vedrà l'applicazione concreta di un concetto che l'amministrazione Clinton aveva previsto fin dal 1992: la guerra economica. Il web non si è sbagliato, e la stampa lo ha subito rilanciato: il pentagono ha realizzato il 17 e il 18 marzo scorso “una simulazione di guerra economica„. L’obiettivo? Anticipare le modalità secondo le quali le potenze del mondo condurrebbero una guerra economica, ed eventualmente determinare un vincitore. Se i dettagli di quest'operazione che si è svolta nel laboratorio di fisica applicata dell'Università Johns Hopkins restano riservati, tuttavia, i partecipanti hanno spiegato che i capi di imprese, gli accademici e i gestori di fondi - i responsabili della difesa e di intelligence, civili come militari, hanno osservato le strategie di ciascun partecipante.Al di là delle preoccupazioni sulla guerra cibernetica rispetto alla quale i mass media fanno regolarmente da cassa di risonanza, è una guerra molto più reale quella alla quale si preparano, da qualche tempo, gli Stati Uniti. Ma i ruoli sembranoessersi invertiti: mentre all'inizio degli anni 90, quest'ultimi iniziavano una nuova era geopolitica in posizione di forza, gli anni 2000 hanno visto la potenza dominante avere una forte concorrenza. E ciò cambia profondamente la loro relazione col concetto di guerra economica. Il Presidente Clinton aveva inaugurato, con i suoi famosi Advocacy Center et war rooms, un periodo dove una sola potenza aveva vocazione egemonica con lo scopo di conservare la supremazia politica, economica e sociale. La guerra fredda - dove la possibilità di una guerra violenta e fisica non era stata mai allontanata, per quanto convogliata nei conflitti periferici -era stata portata a termine; la guerra economica era invece incominciata. La relazione “Japan 2000„ simbolizza questa svolta: elaborato dalla CIA, questo documento cambia il paradigma dei confronti geopolitici. Infatti, da geopolitica, la guerra si trasforma in economica; il confronto, innanzitutto considerato tra nemici chiaramente identificati, può ormai essere considerato tra due alleati, su un campo molto più tollerabile per le popolazioni, poiché meno visibile e meno doloroso.
Non è sorprendente che quest'esercizio di guerra economica sia stato condotto oltre Atlantico. La reattività ed il pragmatismo hanno sempre segnato le politiche americane in materia economica. Tuttavia, nel momento in cui la crisi economica scuote le basi della potenza degli Stati Uniti, già rimesse in discussione con una nuova ripartizione geopolitica resa manifesta dagli attentati dell'undici settembre 2001, è significativo notare che quest'iniziativa è stata pensata prima della contaminazione della crisi finanziaria sull'economia reale (nella primavera del 2008 secondo http://www.Politico.com). La messa in atto di tale esercizio richiede mesi di riflessione e di parametrazioni: ciò significa che gli strateghi americani prendono seriamente, da tempo, la guerra economica. Ciò non sembra sempre essere il caso della Francia, ed in misura maggiore dell’Europa. Eccetto, forse, per la Germania, che ha deciso di rompere la sua collaborazione con Areva nel gennaio 2009, e dal 2005 fa parte del consorzio NordStream che permette un approvvigionamento di gas più sicuro all'Europa del Nord. L'Europa è strutturalmente dipendente dal resto del mondo per il suo approvvigionamento energetico. Le conseguenze delle crisi tra Ucraina e Russia, sebbene eminentemente concrete per l'Europa, in particolare per i vecchi paesi dell'Europa centrale ed orientale, nel 2009 non hanno ancora dato luogo ad una qualunque avanzata per una indispensabile politica comunitaria finalizzata a garantire la sicurezza energetica a 380 milioni di persone. Ci può essere una spiegazione a questo stato di fatto: realizzata per costruire la pace in Europa, l'Unione Europea non contempla una guerra, qualunque essa sia: economica, e a maggior ragione militare. Questa spiegazione, legittima, non deve fungere da scusante per allontanare ogni riflessione sull'argomento: gli Stati Uniti non hanno nella loro Costituzione disposizioni che ne fanno una nazione bellicista per definizione, e tuttavia non sono stupidi. Chi vuole la pace prepara la guerra, o per riprendere lo slogan del Ministro della Difesa francese: “quando la difesa avanza, la pace progredisce„.
Ora, giustamente, sembra che la Francia non si preoccupi affatto della guerra economica, tanto in teoria, che in pratica. Se è una realtà per imprese che evolvono in contesti ultra-concorrenziali (Suez Environnement, Véolia, Air Francia-KLM…), attendiamo sempre che le autorità competenti conducano una riflessione comune,o realizzino una vera strategia per la Francia nella guerra economica. Perché no, un libro bianco, seguito da una politica pubblica. È responsabilità dei politici di iscrivere la Francia in una strategia, considerando il lungo termine. Si tratta di una questione di potenza.
Un punto interessante: è l’equipe che ha sostenuto il ruolo della Cina che ha vinto.
di Matthieu Viteau

21 maggio 2009

Il denaro come schiavitù psicologica

Nell’antica Grecia era chiamato l’Essere, nel Medioevo Dio, nel Rinascimento la Natura. Nell’Illuminismo è diventato l’Individuo e nel mondo moderno il Denaro. Ogni epoca ha avuto il suo massimo referente culturale. Ma, ad ogni tappa della storia, la civiltà è scesa di un gradino, personalizzando l’archetipo, abbassandolo a principio razionale, a soggetto tangibile, infine a semplice cosa. Ma il denaro è ben più di una semplice cosa, è un simbolo, è il centro di una deforme ma seducente metafisica. Intorno al denaro si è creato un invisibile impero mondiale, cui obbediscono la cultura, la politica, la scienza, le arti, la vita quotidiana di ognuno. Si tratta di qualcosa che racchiude un richiamo alla potenza. Giacché, attraverso di esso, in una società che fa coincidere la realizzazione sociale con la quantità di denaro posseduta, l’uomo ha il potere di ottenere ciò che vuole. Compreso il potere sulle coscienze. L’avere o il volere molto denaro va oltre la semplice disponibilità materiale. Va oltre anche il dato economico. Investe gli aspetti psicologici della personalità, li condiziona, spesso li padroneggia. In questo valore metafisico attribuito al denaro, già Nietzsche individuò l’elemento tipico di un’attitudine non economica, ma appunto psicologica, presente in un certo tipo d’uomo di bassa lega. In Aurora del 1887, leggiamo: «Quel che si faceva un tempo “per amore d’Iddio”, lo si fa oggi per amore del denaro, cioè per amore di ciò che oggi dà sentimento di potenza e buona coscienza al massimo grado».

La libidine di denaro è quella specie di invasamento che ha soppiantato le figure della trascendenza, pervenendo a una pervertita disposizione all’adorazione. Una vera mistica invertita di segno, ma egualmente in grado di possedere l’anima. La patologia del vitello d’oro, in cui si era ravvisata - dall’antichità fino all’avvento della borghesia - una tipologia umana di rango inferiore, divenne a un certo punto l’anima della civiltà, il suo credo interiore, il motivo del suo esistere. Si era appena agli inizi del moderno capitalismo, quando Marx - tra i primi e i più violenti - condannò la metamorfosi del denaro da mezzo per gli scambi a idolo divinizzato, scaricandone la responsabilità sugli ebrei: «Il denaro è il geloso dio d’Israele, di fronte al quale nessun altro dio può esistere…Il dio degli ebrei si è mondanizzato, è divenuto un dio mondano. La cambiale è il dio reale dell’ebreo…». Tuttavia, l’avvento del denaro in qualità di dispotico regolatore dei destini non è stato il passaggio da un totem metafisico ad uno materiale. L’idolatria del denaro non è esattamente il culto per un oggetto: molto più sottilmente, nella società scaturita dal dominio liberaldemocratico, ciò che viene sottoposto ad adorazione non sono tanto i soldi, quanto il significato di potenza cui essi rimandano. Il potere dei soldi è soprattutto immateriale. Questo è il cuore della loro pericolosità.

simmel_fondo-magazineMai come oggi, queste vecchie intuizioni sono giuste: la presente dittatura mondiale della finanza, fondata sulla creazione dal nulla di denaro virtuale e sulla circolazione di ricchezza telematica, del tutto astratta dal lavoro, ne è la più schiacciante conferma. L’idea di accumulo, essenziale nella mentalità acquisitiva e utilitarista, è un’idea totalitaria. Guida gli atti e governa le menti. Di più: è come l’offerta sacrificale dell’animista, raccoglie e ammassa valore in lode di una onnipotenza. Verso la fine dell’Ottocento, il sociologo Georg Simmel [nella foto sopra] si occupò proprio di questi aspetti per così dire filosofici e trascendenti del denaro. Il mito della ricchezza crea stati d’animo, incide sugli immaginari, decide sui valori. Nel suo breve scritto risalente al 1889, La psicologia del denaro, recentemente ripubblicato dalle Edizioni di Ar, Simmel precisava le intuizioni di Marx e Nietzsche: il denaro, come un nuovo e degenere Dio assoluto, infonde pace e sicurezza nei suoi devoti, ricoprendo la stessa funzione di elemento supremo. Una divinità assolutista che non riconosce più le appartenenze storiche. Nessuna lega, associazione, classe, casta o nazione vale più di fronte all’irrompere del denaro. Principio democratico assoluto e assoluto livellatore delle differenze antropologiche, il denaro offre a ognuno, basta che lo voglia e lo sappia maneggiare, la possibilità di realizzare le proprie aspettative materiali e simboliche. Col denaro, ogni qualità umana si annulla: avendo denaro, chiunque può affermarsi, indipendentemente dal suo valore come uomo. Certo, perché si diffondesse la fede in questo mezzo di scambio elevato a idolo, c’era stato bisogno che diventasse egemone quel tipo bio-psichico particolare che è il borghese.

Alla festa del mercato riesce bene quel genere di uomo malato col cervello di bambino di cui parlava Sombart. Il capitalista come adolescente immaturo, che vuole i suoi balocchi sempre più grandi, sempre più numerosi…Una volta andato al potere questo sotto-tipo umano, la seduzione del denaro non ha trovato più ostacoli…ed oggi le figure egemoni sulla scena del capitalismo saranno altrettante controfigure dell’effimero e del fatuo, come effimeri sono i soldi e il mondo che promettono: il manager mondano, la starlette televisiva, l’intellettualino gay, i divi del pettegolezzo, lo speculatore filantropo…Simmel, già ai suoi tempi, realizzò che il denaro stava cambiando ruolo: da mezzo diventava fine, secondo un procedimento che definiva come «elevazione psicologica del mezzo alla dignità di scopo finale». Il mondo moderno è tutto giocato sull’attrezzatura psichica. Dalla cura psicanalitica somministrata alle masse borghesi per sostenerne la fragilità caratteriale fino alle manipolazioni propagandistiche del marketing, e fino ai ricatti psicologici che governano le leggi della Borsa, la psiche condizionata è oggi il luogo della decisione. La politica non esiste. Il mito comunitario è affossato. Si ha un intero sistema mondiale che si regge sulla virtualità del denaro finanziario e sulla finzione del possesso materiale ottenuto per via speculativa. E certo Simmel è stato acuto e precoce nell’osservare che l’omologazione capitalistica comprende l’azzeramento della diversità qualitativa dell’uomo, la sua riduzione a semplice oggetto casuale di possesso: «Il fatto che nel traffico monetario una persona abbia il medesimo valore di un’altra, si fonda su di una semplice circostanza: nessuna di loro vale, a valere è soltanto il denaro».

La sociologia tedesca tardo-ottocentesca è importante perché studiò la società moderna come esito del dominio. Si combinava bene con la scuola sociologica italiana, che vide nella lotta delle élites il segreto della leadership politica. Se Max Weber individuò il dominio nella dialettica verticale comando-obbedienza, Simmel studiò invece più che altro l’aspetto orizzontale dei rapporti sociali, quelli incentrati sull’interazione-scambio. E quindi assegnò al denaro, che domina l’idea di scambio, un’importanza centrale nella società liberale. Era una discesa di valore. Una perdita di qualità per l’uomo. Nel suo libro del 1908 su Il dominio, Simmel scrisse che la concezione tradizionale della supremazia sociale manteneva inalterato il valore per l’altro, sia pure subordinandolo: per dire, il feudatario proteggeva e rispettava il suo contadino, cui riconosceva il ruolo della controparte sociale. Il mercante, invece, e il capitalista finanziario di ultima generazione in specie, che riconosce importanza solo al denaro, è per eccellenza l’egoista individuale, colui che non riconosce per nulla l’altro, ma solo se stesso e la propria determinazione all’accumulo. In una conferenza del 1896 sul denaro nella cultura moderna, Simmel sostenne che i reticoli sociali delle società tradizionali, ad esempio le corporazioni, erano associazioni di mestiere che curavano i loro interessi, ma soprattutto erano comunità di vita nelle quali l’individuo riconosceva i propri valori di affinità, reciprocità, comunanza. Al contrario, la società capitalistica ha promosso associazionismi che, diceva Simmel, «pretendono dai loro membri soltanto contributi in denaro o che mirano a un mero interesse monetario». Basta pensare all’associazionismo paramassonico dei miliardari americani (e ai suoi omologhi transnazionali: i vari Lyon’s, Rotary…), nel quale si attua la classica doppia faccia della morale usuraria: la beneficenza. Al beneficato, tuttavia, mai si dava o si dà in mano il denaro…al declassato spettava - e ancora oggi, da parte delle onlus, si attua lo stesso principio discriminante…- soltanto la merce (il piatto di minestra, il vestito), oppure la struttura (l’ospizio, il ricovero). È noto come, per il puritanesimo e per lo stesso san Tommaso, l’uso del capitale usurario per beneficenza conduca diritto all’indulgenza plenaria dei peccati…su questa specie di indulto teologico, del resto, nacquero i primi Monti di Pietà, con tutto quello che è seguito in termini di acquisto in solido della buona coscienza, fino all’attuale degenerata industria dell’accoglienza

La smania di ricchezza, scrive Simmel in La psicologia del denaro, è sempre stata la via emancipatoria dei repressi (i liberti nell’antichità, gli ugonotti, gli ebrei…), ma secondo un processo storico che Francesco Ingravalle, nella sua postfazione, definisce di omologazione e di spersonalizzazione, tanto che può dirsi che sia il denaro a maneggiare l’uomo e non più l’uomo il denaro: «Il denaro emancipa l’individuo e, al culmine di tale processo di emancipazione, lo dissolve come individuo, speciale e irripetibile, esalta le qualità individuali in termini di “fantasia imprenditoriale” e poi le “standardizza”, le riduce a funzioni di un meccanismo globale e onnipervadente». Fino all’epoca moderna, la ricchezza era comunitaria. In Europa, la regola era che il contadino viveva sulla sua terra. Il demanio pubblico era a disposizione dei bisogni collettivi. Il raro latifondo era soggetto a una pletora di servitù e limitazioni. L’indebitamento del ceto contadino e l’espropriazione dei popoli data da quando il capitalista, padrone del grande mercato urbano e della decisione politica, ha trasformato il popolo prima in proletariato da soma, poi in borghesia universale sradicata. Karl Polany scrisse che in tal modo «una popolazione di dignitosi contadini veniva trasformata in una folla di mendicanti e di ladri». Su questa folla di precari allo sbando prospera il denaro dei pochissimi. Oggi è un denaro senza terra, senza lavoro né fabbrica, senza sacrificio, senza legami, senza origine, senza rapporto con la moneta e persino senza alcun reale valore.

di Luca Leonello Rimbotti

23 maggio 2009

Ma un collasso completo sarebbe poi così grave?



Tornate con il pensiero alla prima volta in assoluto in cui avete imparato qualcosa fuori da un’aula di lezione. Per alcuni sarà stato da bambini prima di iniziare la scuola e ad altri forse non è ancora capitato nella vita.
A me successe a cinque anni quando, dopo essere salito sul recinto del giardino di casa, caddi ammaccandomi il cranio. I miei genitori mi sgridarono perché mi ero arrampicato, ma ciò che mi fece davvero imparare la lezione fu il dolore alla nuca provocato dalla caduta.
Il sistema nervoso umano è ciò che ci fa sentire dolore quando ci cimentiamo in attività quali lo sventolare la mano su una fiamma ardente o il farci ripetutamente scazzottare in faccia. La maggioranza degli esseri umani prova avversione al dolore e ai suoi effetti sul corpo, ma in realtà esso è un modo per proteggerci da danni ulteriori e più traumatici, come il decesso.

Quando mettiamo la mano nel fuoco, ci facciamo male e così impariamo ad evitare di farlo.
Quando il nostro naso è colpito da un oggetto contundente, proviamo un dolore acuto fino a che impariamo a schivare correttamente il “proiettile” abbassandoci o spostando la testa di lato.
Senza le conseguenze del dolore, gli esseri umani avrebbero una probabilità molto maggiore di pervenire alla propria fine ultima a causa dell’incapacità di reagire ad eventi pericolosi.
Noi della specie homo sapiens siamo progrediti, abbiamo imparato e ci siamo evoluti come società in questo modo. E per questo è necessario porsi una domanda che pertiene all’attuale situazione economica… ma un collasso completo sarebbe poi tanto grave?

Dicendo collasso completo faccio riferimento alle proposte di pacchetti di stimolo economico, che viene costantemente spacciato come il salvatore delle comunità finanziarie ed economiche in generale. Di recente, il mantra dei media è stato che, senza “stimoli” o infusioni di contante nuovo di zecca nel “sistema”, gli Stati Uniti come li conosciamo potrebbero non esistere più.
Di sicuro le case produttrici di automobili nazionali potrebbero andare a picco, e ne risulterebbero enormi perdite in termini di posti di lavoro, ma sfortunatamente talvolta… così vanno le cose.
General Motors e Ford dovrebbero patire le conseguenze per aver lavorato in maniera tanto inefficace e inefficiente nel corso di vari decenni. Il mercato ha decretato che, dal momento che in giro c’è effettivamente di meglio, certi macchinoni inaffidabili che tracannano benzina non sono più un prodotto desiderabile. In pratica, non c’è bisogno di mangiare da McDonald’s quando dall’altro lato della strada si trova cibo migliore, più economico e più sano.
Non è altro che la bestiale natura dei cicli economici.

Io sono dell’idea che non ci dovrebbero essere pacchetti di stimolo di alcun genere e che, se proprio bisogna fare qualcosa, si dovrebbero abbassare le tasse per tutti. Le industrie prive di liquidità sufficiente a superare periodi economici difficili dovrebbero essere costrette ad affrontare le conseguenze del non essersi sapute gestire in modo responsabile. Per un vero progresso di questa società, è la mentalità di queste aziende e del grande pubblico che deve cambiare.
È tutta una questione di apprendimento attraverso il dolore.
Il collasso porta al dolore.
Il dolore porta ad una forma di apprendimento naturale e vero.
L’apprendimento naturale e vero porta ad una reale innovazione.
La reale innovazione porta ad un progresso solido e ad una ripresa sostenibile.
Che cosa sarebbe successo se a cinque anni non mi fossi fatto male cadendo sulla testa? Magari ora mi arrampicherei su ponti o grattaceli senza essere consapevole dell’estremo pericolo cui mi sto esponendo.
Che cosa succede se la società non prova mai dolore per le proprie spese irresponsabili e per le proprie azioni irrazionali? Finisce con il perpetuare questo ciclo infinito di debito/spesa/bancarotta. Sì, il dolore è necessario… molto, molto necessario al futuro di questo Paese.

P.S.: La controargomentazione del collasso è che, senza misure di stimolo economico, molti Americani sarebbero alla fame e senza tetto. Be’, per vostra informazione, questo succede già e c’è gente che tuttora viene gettata in mezzo a una strada. Amici miei, pensate a dove, di preciso, finiscono gli stanziamenti...
di John Chavez
Fonte: www.examiner.com

22 maggio 2009

Gli Stati Uniti si esercitano alla guerra economica



Per gli scettici che occorrerebbe ancora convincere, il mese di marzo 2009 vedrà l'applicazione concreta di un concetto che l'amministrazione Clinton aveva previsto fin dal 1992: la guerra economica. Il web non si è sbagliato, e la stampa lo ha subito rilanciato: il pentagono ha realizzato il 17 e il 18 marzo scorso “una simulazione di guerra economica„. L’obiettivo? Anticipare le modalità secondo le quali le potenze del mondo condurrebbero una guerra economica, ed eventualmente determinare un vincitore. Se i dettagli di quest'operazione che si è svolta nel laboratorio di fisica applicata dell'Università Johns Hopkins restano riservati, tuttavia, i partecipanti hanno spiegato che i capi di imprese, gli accademici e i gestori di fondi - i responsabili della difesa e di intelligence, civili come militari, hanno osservato le strategie di ciascun partecipante.Al di là delle preoccupazioni sulla guerra cibernetica rispetto alla quale i mass media fanno regolarmente da cassa di risonanza, è una guerra molto più reale quella alla quale si preparano, da qualche tempo, gli Stati Uniti. Ma i ruoli sembranoessersi invertiti: mentre all'inizio degli anni 90, quest'ultimi iniziavano una nuova era geopolitica in posizione di forza, gli anni 2000 hanno visto la potenza dominante avere una forte concorrenza. E ciò cambia profondamente la loro relazione col concetto di guerra economica. Il Presidente Clinton aveva inaugurato, con i suoi famosi Advocacy Center et war rooms, un periodo dove una sola potenza aveva vocazione egemonica con lo scopo di conservare la supremazia politica, economica e sociale. La guerra fredda - dove la possibilità di una guerra violenta e fisica non era stata mai allontanata, per quanto convogliata nei conflitti periferici -era stata portata a termine; la guerra economica era invece incominciata. La relazione “Japan 2000„ simbolizza questa svolta: elaborato dalla CIA, questo documento cambia il paradigma dei confronti geopolitici. Infatti, da geopolitica, la guerra si trasforma in economica; il confronto, innanzitutto considerato tra nemici chiaramente identificati, può ormai essere considerato tra due alleati, su un campo molto più tollerabile per le popolazioni, poiché meno visibile e meno doloroso.
Non è sorprendente che quest'esercizio di guerra economica sia stato condotto oltre Atlantico. La reattività ed il pragmatismo hanno sempre segnato le politiche americane in materia economica. Tuttavia, nel momento in cui la crisi economica scuote le basi della potenza degli Stati Uniti, già rimesse in discussione con una nuova ripartizione geopolitica resa manifesta dagli attentati dell'undici settembre 2001, è significativo notare che quest'iniziativa è stata pensata prima della contaminazione della crisi finanziaria sull'economia reale (nella primavera del 2008 secondo http://www.Politico.com). La messa in atto di tale esercizio richiede mesi di riflessione e di parametrazioni: ciò significa che gli strateghi americani prendono seriamente, da tempo, la guerra economica. Ciò non sembra sempre essere il caso della Francia, ed in misura maggiore dell’Europa. Eccetto, forse, per la Germania, che ha deciso di rompere la sua collaborazione con Areva nel gennaio 2009, e dal 2005 fa parte del consorzio NordStream che permette un approvvigionamento di gas più sicuro all'Europa del Nord. L'Europa è strutturalmente dipendente dal resto del mondo per il suo approvvigionamento energetico. Le conseguenze delle crisi tra Ucraina e Russia, sebbene eminentemente concrete per l'Europa, in particolare per i vecchi paesi dell'Europa centrale ed orientale, nel 2009 non hanno ancora dato luogo ad una qualunque avanzata per una indispensabile politica comunitaria finalizzata a garantire la sicurezza energetica a 380 milioni di persone. Ci può essere una spiegazione a questo stato di fatto: realizzata per costruire la pace in Europa, l'Unione Europea non contempla una guerra, qualunque essa sia: economica, e a maggior ragione militare. Questa spiegazione, legittima, non deve fungere da scusante per allontanare ogni riflessione sull'argomento: gli Stati Uniti non hanno nella loro Costituzione disposizioni che ne fanno una nazione bellicista per definizione, e tuttavia non sono stupidi. Chi vuole la pace prepara la guerra, o per riprendere lo slogan del Ministro della Difesa francese: “quando la difesa avanza, la pace progredisce„.
Ora, giustamente, sembra che la Francia non si preoccupi affatto della guerra economica, tanto in teoria, che in pratica. Se è una realtà per imprese che evolvono in contesti ultra-concorrenziali (Suez Environnement, Véolia, Air Francia-KLM…), attendiamo sempre che le autorità competenti conducano una riflessione comune,o realizzino una vera strategia per la Francia nella guerra economica. Perché no, un libro bianco, seguito da una politica pubblica. È responsabilità dei politici di iscrivere la Francia in una strategia, considerando il lungo termine. Si tratta di una questione di potenza.
Un punto interessante: è l’equipe che ha sostenuto il ruolo della Cina che ha vinto.
di Matthieu Viteau

21 maggio 2009

Il denaro come schiavitù psicologica

Nell’antica Grecia era chiamato l’Essere, nel Medioevo Dio, nel Rinascimento la Natura. Nell’Illuminismo è diventato l’Individuo e nel mondo moderno il Denaro. Ogni epoca ha avuto il suo massimo referente culturale. Ma, ad ogni tappa della storia, la civiltà è scesa di un gradino, personalizzando l’archetipo, abbassandolo a principio razionale, a soggetto tangibile, infine a semplice cosa. Ma il denaro è ben più di una semplice cosa, è un simbolo, è il centro di una deforme ma seducente metafisica. Intorno al denaro si è creato un invisibile impero mondiale, cui obbediscono la cultura, la politica, la scienza, le arti, la vita quotidiana di ognuno. Si tratta di qualcosa che racchiude un richiamo alla potenza. Giacché, attraverso di esso, in una società che fa coincidere la realizzazione sociale con la quantità di denaro posseduta, l’uomo ha il potere di ottenere ciò che vuole. Compreso il potere sulle coscienze. L’avere o il volere molto denaro va oltre la semplice disponibilità materiale. Va oltre anche il dato economico. Investe gli aspetti psicologici della personalità, li condiziona, spesso li padroneggia. In questo valore metafisico attribuito al denaro, già Nietzsche individuò l’elemento tipico di un’attitudine non economica, ma appunto psicologica, presente in un certo tipo d’uomo di bassa lega. In Aurora del 1887, leggiamo: «Quel che si faceva un tempo “per amore d’Iddio”, lo si fa oggi per amore del denaro, cioè per amore di ciò che oggi dà sentimento di potenza e buona coscienza al massimo grado».

La libidine di denaro è quella specie di invasamento che ha soppiantato le figure della trascendenza, pervenendo a una pervertita disposizione all’adorazione. Una vera mistica invertita di segno, ma egualmente in grado di possedere l’anima. La patologia del vitello d’oro, in cui si era ravvisata - dall’antichità fino all’avvento della borghesia - una tipologia umana di rango inferiore, divenne a un certo punto l’anima della civiltà, il suo credo interiore, il motivo del suo esistere. Si era appena agli inizi del moderno capitalismo, quando Marx - tra i primi e i più violenti - condannò la metamorfosi del denaro da mezzo per gli scambi a idolo divinizzato, scaricandone la responsabilità sugli ebrei: «Il denaro è il geloso dio d’Israele, di fronte al quale nessun altro dio può esistere…Il dio degli ebrei si è mondanizzato, è divenuto un dio mondano. La cambiale è il dio reale dell’ebreo…». Tuttavia, l’avvento del denaro in qualità di dispotico regolatore dei destini non è stato il passaggio da un totem metafisico ad uno materiale. L’idolatria del denaro non è esattamente il culto per un oggetto: molto più sottilmente, nella società scaturita dal dominio liberaldemocratico, ciò che viene sottoposto ad adorazione non sono tanto i soldi, quanto il significato di potenza cui essi rimandano. Il potere dei soldi è soprattutto immateriale. Questo è il cuore della loro pericolosità.

simmel_fondo-magazineMai come oggi, queste vecchie intuizioni sono giuste: la presente dittatura mondiale della finanza, fondata sulla creazione dal nulla di denaro virtuale e sulla circolazione di ricchezza telematica, del tutto astratta dal lavoro, ne è la più schiacciante conferma. L’idea di accumulo, essenziale nella mentalità acquisitiva e utilitarista, è un’idea totalitaria. Guida gli atti e governa le menti. Di più: è come l’offerta sacrificale dell’animista, raccoglie e ammassa valore in lode di una onnipotenza. Verso la fine dell’Ottocento, il sociologo Georg Simmel [nella foto sopra] si occupò proprio di questi aspetti per così dire filosofici e trascendenti del denaro. Il mito della ricchezza crea stati d’animo, incide sugli immaginari, decide sui valori. Nel suo breve scritto risalente al 1889, La psicologia del denaro, recentemente ripubblicato dalle Edizioni di Ar, Simmel precisava le intuizioni di Marx e Nietzsche: il denaro, come un nuovo e degenere Dio assoluto, infonde pace e sicurezza nei suoi devoti, ricoprendo la stessa funzione di elemento supremo. Una divinità assolutista che non riconosce più le appartenenze storiche. Nessuna lega, associazione, classe, casta o nazione vale più di fronte all’irrompere del denaro. Principio democratico assoluto e assoluto livellatore delle differenze antropologiche, il denaro offre a ognuno, basta che lo voglia e lo sappia maneggiare, la possibilità di realizzare le proprie aspettative materiali e simboliche. Col denaro, ogni qualità umana si annulla: avendo denaro, chiunque può affermarsi, indipendentemente dal suo valore come uomo. Certo, perché si diffondesse la fede in questo mezzo di scambio elevato a idolo, c’era stato bisogno che diventasse egemone quel tipo bio-psichico particolare che è il borghese.

Alla festa del mercato riesce bene quel genere di uomo malato col cervello di bambino di cui parlava Sombart. Il capitalista come adolescente immaturo, che vuole i suoi balocchi sempre più grandi, sempre più numerosi…Una volta andato al potere questo sotto-tipo umano, la seduzione del denaro non ha trovato più ostacoli…ed oggi le figure egemoni sulla scena del capitalismo saranno altrettante controfigure dell’effimero e del fatuo, come effimeri sono i soldi e il mondo che promettono: il manager mondano, la starlette televisiva, l’intellettualino gay, i divi del pettegolezzo, lo speculatore filantropo…Simmel, già ai suoi tempi, realizzò che il denaro stava cambiando ruolo: da mezzo diventava fine, secondo un procedimento che definiva come «elevazione psicologica del mezzo alla dignità di scopo finale». Il mondo moderno è tutto giocato sull’attrezzatura psichica. Dalla cura psicanalitica somministrata alle masse borghesi per sostenerne la fragilità caratteriale fino alle manipolazioni propagandistiche del marketing, e fino ai ricatti psicologici che governano le leggi della Borsa, la psiche condizionata è oggi il luogo della decisione. La politica non esiste. Il mito comunitario è affossato. Si ha un intero sistema mondiale che si regge sulla virtualità del denaro finanziario e sulla finzione del possesso materiale ottenuto per via speculativa. E certo Simmel è stato acuto e precoce nell’osservare che l’omologazione capitalistica comprende l’azzeramento della diversità qualitativa dell’uomo, la sua riduzione a semplice oggetto casuale di possesso: «Il fatto che nel traffico monetario una persona abbia il medesimo valore di un’altra, si fonda su di una semplice circostanza: nessuna di loro vale, a valere è soltanto il denaro».

La sociologia tedesca tardo-ottocentesca è importante perché studiò la società moderna come esito del dominio. Si combinava bene con la scuola sociologica italiana, che vide nella lotta delle élites il segreto della leadership politica. Se Max Weber individuò il dominio nella dialettica verticale comando-obbedienza, Simmel studiò invece più che altro l’aspetto orizzontale dei rapporti sociali, quelli incentrati sull’interazione-scambio. E quindi assegnò al denaro, che domina l’idea di scambio, un’importanza centrale nella società liberale. Era una discesa di valore. Una perdita di qualità per l’uomo. Nel suo libro del 1908 su Il dominio, Simmel scrisse che la concezione tradizionale della supremazia sociale manteneva inalterato il valore per l’altro, sia pure subordinandolo: per dire, il feudatario proteggeva e rispettava il suo contadino, cui riconosceva il ruolo della controparte sociale. Il mercante, invece, e il capitalista finanziario di ultima generazione in specie, che riconosce importanza solo al denaro, è per eccellenza l’egoista individuale, colui che non riconosce per nulla l’altro, ma solo se stesso e la propria determinazione all’accumulo. In una conferenza del 1896 sul denaro nella cultura moderna, Simmel sostenne che i reticoli sociali delle società tradizionali, ad esempio le corporazioni, erano associazioni di mestiere che curavano i loro interessi, ma soprattutto erano comunità di vita nelle quali l’individuo riconosceva i propri valori di affinità, reciprocità, comunanza. Al contrario, la società capitalistica ha promosso associazionismi che, diceva Simmel, «pretendono dai loro membri soltanto contributi in denaro o che mirano a un mero interesse monetario». Basta pensare all’associazionismo paramassonico dei miliardari americani (e ai suoi omologhi transnazionali: i vari Lyon’s, Rotary…), nel quale si attua la classica doppia faccia della morale usuraria: la beneficenza. Al beneficato, tuttavia, mai si dava o si dà in mano il denaro…al declassato spettava - e ancora oggi, da parte delle onlus, si attua lo stesso principio discriminante…- soltanto la merce (il piatto di minestra, il vestito), oppure la struttura (l’ospizio, il ricovero). È noto come, per il puritanesimo e per lo stesso san Tommaso, l’uso del capitale usurario per beneficenza conduca diritto all’indulgenza plenaria dei peccati…su questa specie di indulto teologico, del resto, nacquero i primi Monti di Pietà, con tutto quello che è seguito in termini di acquisto in solido della buona coscienza, fino all’attuale degenerata industria dell’accoglienza

La smania di ricchezza, scrive Simmel in La psicologia del denaro, è sempre stata la via emancipatoria dei repressi (i liberti nell’antichità, gli ugonotti, gli ebrei…), ma secondo un processo storico che Francesco Ingravalle, nella sua postfazione, definisce di omologazione e di spersonalizzazione, tanto che può dirsi che sia il denaro a maneggiare l’uomo e non più l’uomo il denaro: «Il denaro emancipa l’individuo e, al culmine di tale processo di emancipazione, lo dissolve come individuo, speciale e irripetibile, esalta le qualità individuali in termini di “fantasia imprenditoriale” e poi le “standardizza”, le riduce a funzioni di un meccanismo globale e onnipervadente». Fino all’epoca moderna, la ricchezza era comunitaria. In Europa, la regola era che il contadino viveva sulla sua terra. Il demanio pubblico era a disposizione dei bisogni collettivi. Il raro latifondo era soggetto a una pletora di servitù e limitazioni. L’indebitamento del ceto contadino e l’espropriazione dei popoli data da quando il capitalista, padrone del grande mercato urbano e della decisione politica, ha trasformato il popolo prima in proletariato da soma, poi in borghesia universale sradicata. Karl Polany scrisse che in tal modo «una popolazione di dignitosi contadini veniva trasformata in una folla di mendicanti e di ladri». Su questa folla di precari allo sbando prospera il denaro dei pochissimi. Oggi è un denaro senza terra, senza lavoro né fabbrica, senza sacrificio, senza legami, senza origine, senza rapporto con la moneta e persino senza alcun reale valore.

di Luca Leonello Rimbotti