07 settembre 2009

Processo agli economisti: poveri illusi o ricchi illusionisti?




“Processo agli economisti” (www.chiarelettere.it, 2009), è il libro del giornalista Roberto Petrini che descrive i punti deboli della professione tra le più “tristi” e le più pagate del mondo, con un’esposizione chiara, sintetica e ben documentata.

Si potrebbe considerare l’economista come un ragioniere pagato dagli Stati e dalle varie istituzioni per esaminare i conti, senza avere quasi mai la possibilità di intervenire attivamente sui processi in corso. Il primo grande problema riguarda i difetti dei modelli econometrici (un mix di equazioni e statistiche): “Si fondano prevalentemente su quanto è accaduto nel passato e sulle serie storiche di dati statistici. Di conseguenza, quando accade un evento nuovo, in presenza di nuove regole e di atteggiamenti inediti da parte dei soggetti economici, si verifica una discontinuità non prevista e il passato cessa di essere una guida attendibile per prevedere il futuro” (p. 17).



Nessuno è in grado di prevedere il futuro, nemmeno gli economisti. Infatti quasi tutti i migliori economisti ed esperti finanziari hanno perso grandi fortune durante le grandi crisi finanziare. La storia degli uomini e dell’economia è fatto di eventi irripetibili mescolati a corsi e ricorsi storici. Non si può prevedere il momento esatto della scoppio di una crisi o la sua reale entità: si può solo stabilire una fascia temporale di alcuni mesi e le dimensioni indicative della crisi in arrivo (piccola, media, grande). In alcuni casi si viene colpiti semplicemente da un meteorite emotivo. Questi concetti vengono mirabilmente espressi nel libro “Il Cigno Nero” da un grande esperto di “Scienza dell’Incertezza”: Nassim Nicholas Taleb (un uomo dotato di una grande e profonda cultura poliedrica). Quindi “gli economisti prendono dei modelli matematici ma non stanno a guardare la qualità di quello che ci mettono dentro” (Giuseppe Roma, direttore del Censis).

Il secondo grande problema è quello ideologico: “i modelli progressisti-keynesiani sembrano più adatti a considerare una crisi rispetto a quelli conservatori-neoliberisti più in voga negli ultimi anni” (p 18). Purtroppo gli esseri umani vivono ancora in tribù e clan, anche ideologici, e non riescono ad unire i diversi punti di vista sulla conoscenza economica e sociale, e non possono così affrontare l’imperversare delle dure realtà e crisi economiche in maniera razionale. Inoltre, in realtà, il Fondo Monetario Internazionale è gestito dagli Stati Uniti e i 170 membri del suo comitato esecutivo sono nominati dai governi e dagli istituti di emissione, perciò questa istituzione (come molte altre) non ha la possibilità di confrontarsi con dei veri punti di vista esterni. C’è la solita cricca di burocrati indottrinati dalle università private che credono nelle verità pregiudiziali e alle loro stronzate. O per dirla in modo più raffinato è un luogo dove c’è “quel costante scambio d’idee vuote e solenni che è così comune tra personaggi importanti e presuntuosi” (J. Galbraith).

Quale sarà quindi il futuro della nostra economia? Un grande economista, a volte considerato conservatore, a volte considerato originale, fece la previsione della trasformazione del capitalismo in un socialismo burocratico che avrebbe inibito l’innovazione e la creatività. Se pensiamo agli innumerevoli azionisti-cittadini delle varie aziende e multinazionali in un certo senso la previsione si è già avverata: esiste una grande rete di mega-aziende finanziate in gran parte dai cittadini attraverso la Borsa (si sono trasformati i cittadini in minicapitalisti anche per ingabbiarli dentro al sistema) e dirette da burocrati delle risorse umane programmati per recintare, monopolizzare e sorvegliare dei mercati privatizzati. Infatti sono più di cento anni che utilizziamo il motore a scoppio per muoverci e circa cinquant’anni che utilizziamo l’energia nucleare per scaldare l’acqua e far girare delle turbine a vapore. Schumpeter ha avuto ragione e potrebbe avverarsi anche la seconda previsione: qualche vero imprenditore sopravvissuto alla dominazione burocratica si sarebbe alleato alla cittadinanza globale per creare nuove imprese più responsabili e creative. La “distruzione creatrice” punirebbe i vecchi elefanti distruttori della foresta (perché hanno bisogno di troppo cibo per sopravvivere), per premiare molte altre piccole creature più adattabili.

John Kenneth Galbraith, che fu consulente dell’amministrazione Kennedy, riteneva che l’enorme sviluppo delle grandi società multinazionali e del marketing, avesse ridotto il cittadino a consumatore senza vero potere e i rapporti umani a semplici scambi commerciali. Inoltre Galbraith affermò che la borsa era stata inventata per separare il denaro dai cretini. Anche J. M. Keynes non fu molto tenero con lo strapotere distruttivo della finanza: “Il decadente capitalismo internazionale, eppure individualistico, nelle cui mani siamo finiti, non è un successo. Non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non fornisce nessun bene” (The New Statesman and The Nation, 8-15 luglio 1933).

Dopotutto “Un economista è un esperto che verrà a sapere domani perché ciò che ha previsto ieri non si è verificato oggi” (Anonimo), e i più realisti e onesti vengono evitati accuratamente dalla Tv e dalla stampa, che sono gestite dai vecchi gatti spelacchiati capitalisti e dalle vecchie volpi sogghignanti a capo delle istituzioni finanziarie. Se non ci credete provate a leggere quello che scrive Lyndon LaRouche su www.movisol.org o www.larouchepac.com. Poi ci sono i fenomeni descritti da Nouriel Roubini su www.rgemonitor.com e la descrizione delle irrazionali e brevi vite delle bolle finanziarie raccontate da Robert J. Shiller (Finanza shock, www.egeaonline.it, 2008). In ultimo cito Nino Galloni, un economista accademico, originale e controcorrente, che riconsidera la teoria del Diritto di Signoraggio della Banca centrale, e ha scritto un libro profetico nel 2007: “Il Grande Mutuo. Le ragioni profonde della prossima crisi finanziaria” (www.studimonetari.org).

Purtroppo “la maggior parte degli economisti non si occupa di problemi gravi per l’umanità e per la società, ma di cose che danno loro modo di dimostrare la loro destrezza” (Giorgio Fuà, 2000), utilizzando “formalizzazioni astratte, eleganti, ma inadatte ad interpretare la realtà” (Paolo Sylos Labini, Un paese a civiltà limitata, 2001). E la gente continua a comprare pensando che la bolla non scoppi mai o pensando di poter sfuggire prima delle conseguenze peggiori dello scoppio. Solo i grandi finanzieri godono di questa asimmetria informativa: cioè hanno una massa determinante di informazioni che il risparmiatore ignora (Joseph Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, 2002). È un po’ come se un giocatore di poker potesse giocare vedendo le carte dei suoi avversari. E quando rimangono solo giocatori che si possono vedere le carte a vicenda cosa succede? Si chiede di giocare con lo Stato… Ed è per questi motivi che “il valore nominale dei derivati in giro per il mondo è pari a 8-9 volte il Pil del pianeta che ammonta a 65 mila miliardi di dollari”. Quindi si può ipotizzare che senza un nuovo sistema economico usciremo dalla megadepressione fra circa dieci anni, seguendo un percorso simile a quello del Giappone.

Anche un allievo di Schumpeter, Hyman Minsky, descrisse il meccanismo delle crisi finanziarie: quando le cose vanno bene e i prezzi degli immobili salgono, la gente può continuare facilmente ad indebitarsi in modo sempre più rischioso. Se salgono i tassi d’interesse e il flusso di cassa degli investimenti non basta più a ripagare i debiti, scattano le vendite, che provocano la caduta del valore degli immobili (“Potrebbe ripetersi?”, 1984). Negli Stati Uniti l’ultima serie di crisi ha reso insostenibili i quattro debiti americani: pubblico, estero, delle imprese e dei privati cittadini (Sylos Labini, 2005). La megacrisi è quindi pronta a presentarsi davanti agli sportelli bancari americani…

Del resto l’economia è nata con la rivoluzione industriale ed è quindi una scienza giovane con tutti i difetti derivanti dall’immaturità. Inoltre l’avvento della finanza e l’alta remunerazione del settore ha attratto le migliori menti economiche degli ultimi anni in un settore dove regna la matematica e hanno inventato un gergo incomprensibile per affascinare la gente comune. I grandi classici non avevano bisogno di molte formule matematiche e un grande economista come John Maynard Keynes scrisse la “Teoria dell’occupazione, dell’interesse e della moneta (l’opera che ci aiutò ad affrontare la Grande depressione) senza usare una sola formula matematica (Loretta Napoleoni, prefazione). Quindi “gli economisti sanno quel che dicono? È a questo punto che sorge un dubbio malizioso: l’economia è un argomento che suscita oggi un grande interesse… e tuttavia poiché i fenomeni sono complessi, gli andamenti spesso caotici, le variabili difficili da individuare e da valutare, e poiché molte sono le zone opache, può anche darsi che alcuni economisti ci capiscano meno di quanto vorrebbero far credere” (Annamaria Testa).

Secondo Loretta Napoleoni molti economisti non si sono accorti della crisi alle porte per aver peccato di arroganza e superbia: “L’economia non è una scienza esatta, ma chiunque la professa sogna che lo sia”. A mio parere questa è solo una visione a 180 gradi della realtà: gli altri 180 gradi ci dicono che nel mondo della finanza d’élite molti vengono pagati per vedere solo un certo tipo di problemi, così una ristretta minoranza può vivere beatamente nell’abbondanza. Dopotutto la dimostrazione di status symbol di grado più elevato “impone” agli uomini quattro comportamenti caratteristici: molti agi, molti consumi, molti sprechi e molti comportamenti scandalosi (è la psicologia del prestigio magistralmente descritta da Thorstein Veblen e Quentin Bell).

Comunque la nostra ignoranza può essere suddivisa in problemi e misteri (Noam Chomsky), e la verità è forse questa: a tutti piacerebbe scommettere con i soldi degli altri, ma solo i banchieri e i finanzieri ci riescono. Dunque gli economisti stipendiati sono dei semplici croupier della ruota della fortuna. Gli altri sono solo degli studiosi molto tristi perché quando arrivano il paziente è già moribondo.
di Damiano Mazzotti

06 settembre 2009

Il gossip serve a mascherare le vere magagne d'Italia


Una volta Fellini mi disse: «L’Italia è un Paese dove la realtà supera sempre l’immaginazione». Nessuna fantasia, credo, nemmeno la più scatenata, avrebbe potuto immaginare che la politica italiana, e i media che fanno da supporto alle due bande che se la contendono, quella di una sinistra che si fa sempre più fatica a definire tale e di una destra che pure si fa fatica a chiamare destra (perché destra e sinistra sono, o perlomeno lo sono state, delle cose serie), sarebbero precipitati così in basso, in una melma maleodorante in cui sguazzano compiaciuti. Si fa fatica anche a parlarne perché è come se, dovendo spiegare una figura geometrica complessa, si dovesse ogni volta ripartire dal punto e dalla retta, cioè dai fondamentali.



Una sinistra consapevole di sè, del senso dello Stato, delle Istituzioni, dovrebbe avere ben chiaro che le vicende private di un premier, qualora non si concretino in reati, non possono essere oggetto di scontro politico. Sono, appunto, fatti privati. E invece è da mesi che la sinistra e i suoi giornali battono il chiodo dei cosiddetti casi Noemi ed escort, e La Repubblica è arrivata a porre al premier domande da confessionale del tipo di quelle che, da ragazzini, ci faceva il prete: «Quante volte, figliolo?». Una cosa grottesca.

Per contrastare questa campagna Il Giornale di Vittorio Feltri è andato a scovare una vecchia vicenda che riguarda il direttore di Avvenire Dino Boffo, che in questi mesi ha criticato duramente la condotta privata del premier. Feltri ha raccontato che il Boffo ha patteggiato su una condanna per molestie a una signora che aveva il torto di essere la moglie di un suo amico o, forse, compagno. Ne è nato un putiferio. Sono intervenuti politici, cardinali, difensori e accusatori d’ufficio e tutti i giornali hanno intinto il biscotto in questa storia pruriginosa. Della sinistra non si capisce se sia più cretina o più connivente. Chi infatti ha tratto vantaggio dai gossip Noemi-escort di cui il «caso Boffo» è solo un’appendice? Silvio Berlusconi. Berlusconi che, a differenza della sinistra, non è cretino, ha cavalcato le storie su Noemi ed escort e ha addirittura incoraggiato il gossip capendo benissimo due cose: 1) Che su quel piano era politicamente inattaccabile 2) Che quel polverone serviva a far passare in secondo piano altre «magagne», chiamiamole così, vecchie e nuove, ben più sostanziali. Per la verità una di queste «magagne» è venuta fuori, indirettamente, proprio nel «caso Boffo». Se Il Giornale fosse un quotidiano normale, la diatriba si sarebbe risolta in una polemica, penosa e avvilente, fra due giornalisti. Ma si dà il caso che Il Giornale appartenga, come si dice pudicamente, «alla famiglia Berlusconi», cioè a Berlusconi. Com’è ultranotorio. Prova ne è che il presidente del Consiglio, per dribblare l’accusa di aver imbeccato Feltri e tentare di evitare uno scontro con la Chiesa, si è sentito in dovere di dissociarsi e ha emanato un comunicato in cui nega di aver mai incontrato o di aver telefonato al direttore prima dell’uscita dell’articolo su Boffo. Non c’è alcun motivo di prendere le distanze da un giornale se non è il tuo. Ma in nessun paese democratico un uomo politico, tantomeno un premier, può avere un giornale, neppure un foglio di quartiere. Invece Berlusconi controlla Il Giornale, tutti i network televisivi nazionali privati, la Mondadori... L’altra «magagna», ancora più grave, che, nella confusione, è passata nel dimenticatoio è che qualche mese fa il Tribunale di Milano ha sentenziato, sia pure in primo grado, che Berlusconi ha corrotto un teste perché dichiarasse il falso. In nessun Paese democratico un premier in una simile situazione potrebbe rimanere al suo posto un giorno di più.

Ma i nostri politici, i media, i cittadini sembrano più interessati alle Noemi, alle D’Addario, ai Boffo, in un Paese dove si sono persi i fondamentali, il senso delle priorità, di cosa è importante di cosa non lo è; è che somiglia sempre più ad un inguardabile bordello. Come diceva Fellini: «L’Italia è un Paese dove la realtà supera sempre l’immaginazione».
di Massimo Fini

05 settembre 2009

Una doppia cima

Antiche leggende e avvistamenti d'oggi creano un alone di mistero
Secondo una leggenda piuttosto diffusa, la Bisalta dovrebbe la sua conformazione a un intervento diabolico. Si narra, infatti, che molti secoli fa la montagna presentasse un unico e aguzzo punto culminante. Tutto cambiò in una notte d'estate. Un montanaro, dopo aver festeggiato in osteria la vendita del formaggio al mercato, tornava al suo villaggio. Il vino, tuttavia, rendeva il suo passo sempre più incerto. Quando la luna tramontò dietro il profilo della Bisalta, l'uomo non riuscì più a proseguire. Improvvisamente apparve il diavolo, che offrì al pastore un po di chiaro di luna, in cambio della sua anima. Il pover’uomo, ormai stanco e disperato, accettò e il diavolo preparò il contratto, mentre un esercito di piccoli demoni ritagliava dal monte la porzione di roccia che oscurava il disco della luna. Quando il diavolo presentò al montanaro l’atto di vendita dell’anima, il pallido chiarore della luna illuminò a fatica la firma: si trattava di una croce, unica cosa che il disgraziato aveva imparato a scrivere. Pare che agli inferi, non avesse alcun valore legale. Così la sua anima fu salva: il diavolo fuggì urlando e l'unica che ne fece le spese fu la montagna, che perse una «fetta» della vetta.

Al di là della leggenda, l'alone di mistero che circonda la Bisalta fu probabilmente generato dalla sua posizione isolata e dalla propensione delle sue rocce ad attirare i fulmini. Ciò causò, nel luglio del 1960, una tragedia nella quale persero la vita quattro persone che partecipavano a una cerimonia religiosa al Bric Costa Rossa: una folgore si abbattè improvvisamente sulla montagna e si scaricò sulla croce metallica.

Sulla montagna, nel primo Novecento e negli Anni '50, sono state effettuate ricerche di uranio, curate tra gli altri dal geologo Felice Ippolito e dal premio Nobel Marie Curie. A completare il quadro inquietante della Bisalta si aggiungono i numerosi «avvistamenti» di oggetti misteriosi che si dirigono o provengono dal monte. Le indagini effettuate dall'Ars di Torino (associazione ricerche scientifiche) hanno poi evidenziato la presenza di menhir, cromlech, strani manufatti e una «scultura» antropomorfa in pietra di circa un metro e mezzo, raffigurante un individuo con la testa triangolare. Negli Anni '70 la Bisalta era bersaglio delle esercitazioni di artiglieria pesante: i cannoni sparavano da Roracco,Villanova Mondovì, e da altre postazioni a Peveragno e Pianfei.

Si racconta infine, che nel secolo scorso, in autunno, molte persone erano solite recarsi da Villanova Mondovì in una località della Francia per lavorare alla raccolta del legname. Durante il tragitto, transitavano in un luogo in quota dove si trovavano «bambini dalla pelle molto chiara, quasi albini - raccontavano - ai quali dava molto fastidio la luce del sole, così da renderli quasi ciechi. E che fuggivano spaventati al nostro passaggio». Nell'autunno del 1975, a mezzogiorno, da Prato Nevoso, si assisteva a tre forti esplosioni nel cielo sopra la Bisalta, accompagnate da tre lampi ben visibili. Molti i testimoni oculari. Alle 14 una squadra di Soccorso alpino partiva da fondovalle temendo lo schianto di un aereo, ma trovava tutti i sentieri d'accesso al monte bloccati da elicotteri della Marina militare. Il ministero della Difesa parlò, in via ufficiosa, di missili lanciati da una nave militare.

07 settembre 2009

Processo agli economisti: poveri illusi o ricchi illusionisti?




“Processo agli economisti” (www.chiarelettere.it, 2009), è il libro del giornalista Roberto Petrini che descrive i punti deboli della professione tra le più “tristi” e le più pagate del mondo, con un’esposizione chiara, sintetica e ben documentata.

Si potrebbe considerare l’economista come un ragioniere pagato dagli Stati e dalle varie istituzioni per esaminare i conti, senza avere quasi mai la possibilità di intervenire attivamente sui processi in corso. Il primo grande problema riguarda i difetti dei modelli econometrici (un mix di equazioni e statistiche): “Si fondano prevalentemente su quanto è accaduto nel passato e sulle serie storiche di dati statistici. Di conseguenza, quando accade un evento nuovo, in presenza di nuove regole e di atteggiamenti inediti da parte dei soggetti economici, si verifica una discontinuità non prevista e il passato cessa di essere una guida attendibile per prevedere il futuro” (p. 17).



Nessuno è in grado di prevedere il futuro, nemmeno gli economisti. Infatti quasi tutti i migliori economisti ed esperti finanziari hanno perso grandi fortune durante le grandi crisi finanziare. La storia degli uomini e dell’economia è fatto di eventi irripetibili mescolati a corsi e ricorsi storici. Non si può prevedere il momento esatto della scoppio di una crisi o la sua reale entità: si può solo stabilire una fascia temporale di alcuni mesi e le dimensioni indicative della crisi in arrivo (piccola, media, grande). In alcuni casi si viene colpiti semplicemente da un meteorite emotivo. Questi concetti vengono mirabilmente espressi nel libro “Il Cigno Nero” da un grande esperto di “Scienza dell’Incertezza”: Nassim Nicholas Taleb (un uomo dotato di una grande e profonda cultura poliedrica). Quindi “gli economisti prendono dei modelli matematici ma non stanno a guardare la qualità di quello che ci mettono dentro” (Giuseppe Roma, direttore del Censis).

Il secondo grande problema è quello ideologico: “i modelli progressisti-keynesiani sembrano più adatti a considerare una crisi rispetto a quelli conservatori-neoliberisti più in voga negli ultimi anni” (p 18). Purtroppo gli esseri umani vivono ancora in tribù e clan, anche ideologici, e non riescono ad unire i diversi punti di vista sulla conoscenza economica e sociale, e non possono così affrontare l’imperversare delle dure realtà e crisi economiche in maniera razionale. Inoltre, in realtà, il Fondo Monetario Internazionale è gestito dagli Stati Uniti e i 170 membri del suo comitato esecutivo sono nominati dai governi e dagli istituti di emissione, perciò questa istituzione (come molte altre) non ha la possibilità di confrontarsi con dei veri punti di vista esterni. C’è la solita cricca di burocrati indottrinati dalle università private che credono nelle verità pregiudiziali e alle loro stronzate. O per dirla in modo più raffinato è un luogo dove c’è “quel costante scambio d’idee vuote e solenni che è così comune tra personaggi importanti e presuntuosi” (J. Galbraith).

Quale sarà quindi il futuro della nostra economia? Un grande economista, a volte considerato conservatore, a volte considerato originale, fece la previsione della trasformazione del capitalismo in un socialismo burocratico che avrebbe inibito l’innovazione e la creatività. Se pensiamo agli innumerevoli azionisti-cittadini delle varie aziende e multinazionali in un certo senso la previsione si è già avverata: esiste una grande rete di mega-aziende finanziate in gran parte dai cittadini attraverso la Borsa (si sono trasformati i cittadini in minicapitalisti anche per ingabbiarli dentro al sistema) e dirette da burocrati delle risorse umane programmati per recintare, monopolizzare e sorvegliare dei mercati privatizzati. Infatti sono più di cento anni che utilizziamo il motore a scoppio per muoverci e circa cinquant’anni che utilizziamo l’energia nucleare per scaldare l’acqua e far girare delle turbine a vapore. Schumpeter ha avuto ragione e potrebbe avverarsi anche la seconda previsione: qualche vero imprenditore sopravvissuto alla dominazione burocratica si sarebbe alleato alla cittadinanza globale per creare nuove imprese più responsabili e creative. La “distruzione creatrice” punirebbe i vecchi elefanti distruttori della foresta (perché hanno bisogno di troppo cibo per sopravvivere), per premiare molte altre piccole creature più adattabili.

John Kenneth Galbraith, che fu consulente dell’amministrazione Kennedy, riteneva che l’enorme sviluppo delle grandi società multinazionali e del marketing, avesse ridotto il cittadino a consumatore senza vero potere e i rapporti umani a semplici scambi commerciali. Inoltre Galbraith affermò che la borsa era stata inventata per separare il denaro dai cretini. Anche J. M. Keynes non fu molto tenero con lo strapotere distruttivo della finanza: “Il decadente capitalismo internazionale, eppure individualistico, nelle cui mani siamo finiti, non è un successo. Non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non fornisce nessun bene” (The New Statesman and The Nation, 8-15 luglio 1933).

Dopotutto “Un economista è un esperto che verrà a sapere domani perché ciò che ha previsto ieri non si è verificato oggi” (Anonimo), e i più realisti e onesti vengono evitati accuratamente dalla Tv e dalla stampa, che sono gestite dai vecchi gatti spelacchiati capitalisti e dalle vecchie volpi sogghignanti a capo delle istituzioni finanziarie. Se non ci credete provate a leggere quello che scrive Lyndon LaRouche su www.movisol.org o www.larouchepac.com. Poi ci sono i fenomeni descritti da Nouriel Roubini su www.rgemonitor.com e la descrizione delle irrazionali e brevi vite delle bolle finanziarie raccontate da Robert J. Shiller (Finanza shock, www.egeaonline.it, 2008). In ultimo cito Nino Galloni, un economista accademico, originale e controcorrente, che riconsidera la teoria del Diritto di Signoraggio della Banca centrale, e ha scritto un libro profetico nel 2007: “Il Grande Mutuo. Le ragioni profonde della prossima crisi finanziaria” (www.studimonetari.org).

Purtroppo “la maggior parte degli economisti non si occupa di problemi gravi per l’umanità e per la società, ma di cose che danno loro modo di dimostrare la loro destrezza” (Giorgio Fuà, 2000), utilizzando “formalizzazioni astratte, eleganti, ma inadatte ad interpretare la realtà” (Paolo Sylos Labini, Un paese a civiltà limitata, 2001). E la gente continua a comprare pensando che la bolla non scoppi mai o pensando di poter sfuggire prima delle conseguenze peggiori dello scoppio. Solo i grandi finanzieri godono di questa asimmetria informativa: cioè hanno una massa determinante di informazioni che il risparmiatore ignora (Joseph Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, 2002). È un po’ come se un giocatore di poker potesse giocare vedendo le carte dei suoi avversari. E quando rimangono solo giocatori che si possono vedere le carte a vicenda cosa succede? Si chiede di giocare con lo Stato… Ed è per questi motivi che “il valore nominale dei derivati in giro per il mondo è pari a 8-9 volte il Pil del pianeta che ammonta a 65 mila miliardi di dollari”. Quindi si può ipotizzare che senza un nuovo sistema economico usciremo dalla megadepressione fra circa dieci anni, seguendo un percorso simile a quello del Giappone.

Anche un allievo di Schumpeter, Hyman Minsky, descrisse il meccanismo delle crisi finanziarie: quando le cose vanno bene e i prezzi degli immobili salgono, la gente può continuare facilmente ad indebitarsi in modo sempre più rischioso. Se salgono i tassi d’interesse e il flusso di cassa degli investimenti non basta più a ripagare i debiti, scattano le vendite, che provocano la caduta del valore degli immobili (“Potrebbe ripetersi?”, 1984). Negli Stati Uniti l’ultima serie di crisi ha reso insostenibili i quattro debiti americani: pubblico, estero, delle imprese e dei privati cittadini (Sylos Labini, 2005). La megacrisi è quindi pronta a presentarsi davanti agli sportelli bancari americani…

Del resto l’economia è nata con la rivoluzione industriale ed è quindi una scienza giovane con tutti i difetti derivanti dall’immaturità. Inoltre l’avvento della finanza e l’alta remunerazione del settore ha attratto le migliori menti economiche degli ultimi anni in un settore dove regna la matematica e hanno inventato un gergo incomprensibile per affascinare la gente comune. I grandi classici non avevano bisogno di molte formule matematiche e un grande economista come John Maynard Keynes scrisse la “Teoria dell’occupazione, dell’interesse e della moneta (l’opera che ci aiutò ad affrontare la Grande depressione) senza usare una sola formula matematica (Loretta Napoleoni, prefazione). Quindi “gli economisti sanno quel che dicono? È a questo punto che sorge un dubbio malizioso: l’economia è un argomento che suscita oggi un grande interesse… e tuttavia poiché i fenomeni sono complessi, gli andamenti spesso caotici, le variabili difficili da individuare e da valutare, e poiché molte sono le zone opache, può anche darsi che alcuni economisti ci capiscano meno di quanto vorrebbero far credere” (Annamaria Testa).

Secondo Loretta Napoleoni molti economisti non si sono accorti della crisi alle porte per aver peccato di arroganza e superbia: “L’economia non è una scienza esatta, ma chiunque la professa sogna che lo sia”. A mio parere questa è solo una visione a 180 gradi della realtà: gli altri 180 gradi ci dicono che nel mondo della finanza d’élite molti vengono pagati per vedere solo un certo tipo di problemi, così una ristretta minoranza può vivere beatamente nell’abbondanza. Dopotutto la dimostrazione di status symbol di grado più elevato “impone” agli uomini quattro comportamenti caratteristici: molti agi, molti consumi, molti sprechi e molti comportamenti scandalosi (è la psicologia del prestigio magistralmente descritta da Thorstein Veblen e Quentin Bell).

Comunque la nostra ignoranza può essere suddivisa in problemi e misteri (Noam Chomsky), e la verità è forse questa: a tutti piacerebbe scommettere con i soldi degli altri, ma solo i banchieri e i finanzieri ci riescono. Dunque gli economisti stipendiati sono dei semplici croupier della ruota della fortuna. Gli altri sono solo degli studiosi molto tristi perché quando arrivano il paziente è già moribondo.
di Damiano Mazzotti

06 settembre 2009

Il gossip serve a mascherare le vere magagne d'Italia


Una volta Fellini mi disse: «L’Italia è un Paese dove la realtà supera sempre l’immaginazione». Nessuna fantasia, credo, nemmeno la più scatenata, avrebbe potuto immaginare che la politica italiana, e i media che fanno da supporto alle due bande che se la contendono, quella di una sinistra che si fa sempre più fatica a definire tale e di una destra che pure si fa fatica a chiamare destra (perché destra e sinistra sono, o perlomeno lo sono state, delle cose serie), sarebbero precipitati così in basso, in una melma maleodorante in cui sguazzano compiaciuti. Si fa fatica anche a parlarne perché è come se, dovendo spiegare una figura geometrica complessa, si dovesse ogni volta ripartire dal punto e dalla retta, cioè dai fondamentali.



Una sinistra consapevole di sè, del senso dello Stato, delle Istituzioni, dovrebbe avere ben chiaro che le vicende private di un premier, qualora non si concretino in reati, non possono essere oggetto di scontro politico. Sono, appunto, fatti privati. E invece è da mesi che la sinistra e i suoi giornali battono il chiodo dei cosiddetti casi Noemi ed escort, e La Repubblica è arrivata a porre al premier domande da confessionale del tipo di quelle che, da ragazzini, ci faceva il prete: «Quante volte, figliolo?». Una cosa grottesca.

Per contrastare questa campagna Il Giornale di Vittorio Feltri è andato a scovare una vecchia vicenda che riguarda il direttore di Avvenire Dino Boffo, che in questi mesi ha criticato duramente la condotta privata del premier. Feltri ha raccontato che il Boffo ha patteggiato su una condanna per molestie a una signora che aveva il torto di essere la moglie di un suo amico o, forse, compagno. Ne è nato un putiferio. Sono intervenuti politici, cardinali, difensori e accusatori d’ufficio e tutti i giornali hanno intinto il biscotto in questa storia pruriginosa. Della sinistra non si capisce se sia più cretina o più connivente. Chi infatti ha tratto vantaggio dai gossip Noemi-escort di cui il «caso Boffo» è solo un’appendice? Silvio Berlusconi. Berlusconi che, a differenza della sinistra, non è cretino, ha cavalcato le storie su Noemi ed escort e ha addirittura incoraggiato il gossip capendo benissimo due cose: 1) Che su quel piano era politicamente inattaccabile 2) Che quel polverone serviva a far passare in secondo piano altre «magagne», chiamiamole così, vecchie e nuove, ben più sostanziali. Per la verità una di queste «magagne» è venuta fuori, indirettamente, proprio nel «caso Boffo». Se Il Giornale fosse un quotidiano normale, la diatriba si sarebbe risolta in una polemica, penosa e avvilente, fra due giornalisti. Ma si dà il caso che Il Giornale appartenga, come si dice pudicamente, «alla famiglia Berlusconi», cioè a Berlusconi. Com’è ultranotorio. Prova ne è che il presidente del Consiglio, per dribblare l’accusa di aver imbeccato Feltri e tentare di evitare uno scontro con la Chiesa, si è sentito in dovere di dissociarsi e ha emanato un comunicato in cui nega di aver mai incontrato o di aver telefonato al direttore prima dell’uscita dell’articolo su Boffo. Non c’è alcun motivo di prendere le distanze da un giornale se non è il tuo. Ma in nessun paese democratico un uomo politico, tantomeno un premier, può avere un giornale, neppure un foglio di quartiere. Invece Berlusconi controlla Il Giornale, tutti i network televisivi nazionali privati, la Mondadori... L’altra «magagna», ancora più grave, che, nella confusione, è passata nel dimenticatoio è che qualche mese fa il Tribunale di Milano ha sentenziato, sia pure in primo grado, che Berlusconi ha corrotto un teste perché dichiarasse il falso. In nessun Paese democratico un premier in una simile situazione potrebbe rimanere al suo posto un giorno di più.

Ma i nostri politici, i media, i cittadini sembrano più interessati alle Noemi, alle D’Addario, ai Boffo, in un Paese dove si sono persi i fondamentali, il senso delle priorità, di cosa è importante di cosa non lo è; è che somiglia sempre più ad un inguardabile bordello. Come diceva Fellini: «L’Italia è un Paese dove la realtà supera sempre l’immaginazione».
di Massimo Fini

05 settembre 2009

Una doppia cima

Antiche leggende e avvistamenti d'oggi creano un alone di mistero
Secondo una leggenda piuttosto diffusa, la Bisalta dovrebbe la sua conformazione a un intervento diabolico. Si narra, infatti, che molti secoli fa la montagna presentasse un unico e aguzzo punto culminante. Tutto cambiò in una notte d'estate. Un montanaro, dopo aver festeggiato in osteria la vendita del formaggio al mercato, tornava al suo villaggio. Il vino, tuttavia, rendeva il suo passo sempre più incerto. Quando la luna tramontò dietro il profilo della Bisalta, l'uomo non riuscì più a proseguire. Improvvisamente apparve il diavolo, che offrì al pastore un po di chiaro di luna, in cambio della sua anima. Il pover’uomo, ormai stanco e disperato, accettò e il diavolo preparò il contratto, mentre un esercito di piccoli demoni ritagliava dal monte la porzione di roccia che oscurava il disco della luna. Quando il diavolo presentò al montanaro l’atto di vendita dell’anima, il pallido chiarore della luna illuminò a fatica la firma: si trattava di una croce, unica cosa che il disgraziato aveva imparato a scrivere. Pare che agli inferi, non avesse alcun valore legale. Così la sua anima fu salva: il diavolo fuggì urlando e l'unica che ne fece le spese fu la montagna, che perse una «fetta» della vetta.

Al di là della leggenda, l'alone di mistero che circonda la Bisalta fu probabilmente generato dalla sua posizione isolata e dalla propensione delle sue rocce ad attirare i fulmini. Ciò causò, nel luglio del 1960, una tragedia nella quale persero la vita quattro persone che partecipavano a una cerimonia religiosa al Bric Costa Rossa: una folgore si abbattè improvvisamente sulla montagna e si scaricò sulla croce metallica.

Sulla montagna, nel primo Novecento e negli Anni '50, sono state effettuate ricerche di uranio, curate tra gli altri dal geologo Felice Ippolito e dal premio Nobel Marie Curie. A completare il quadro inquietante della Bisalta si aggiungono i numerosi «avvistamenti» di oggetti misteriosi che si dirigono o provengono dal monte. Le indagini effettuate dall'Ars di Torino (associazione ricerche scientifiche) hanno poi evidenziato la presenza di menhir, cromlech, strani manufatti e una «scultura» antropomorfa in pietra di circa un metro e mezzo, raffigurante un individuo con la testa triangolare. Negli Anni '70 la Bisalta era bersaglio delle esercitazioni di artiglieria pesante: i cannoni sparavano da Roracco,Villanova Mondovì, e da altre postazioni a Peveragno e Pianfei.

Si racconta infine, che nel secolo scorso, in autunno, molte persone erano solite recarsi da Villanova Mondovì in una località della Francia per lavorare alla raccolta del legname. Durante il tragitto, transitavano in un luogo in quota dove si trovavano «bambini dalla pelle molto chiara, quasi albini - raccontavano - ai quali dava molto fastidio la luce del sole, così da renderli quasi ciechi. E che fuggivano spaventati al nostro passaggio». Nell'autunno del 1975, a mezzogiorno, da Prato Nevoso, si assisteva a tre forti esplosioni nel cielo sopra la Bisalta, accompagnate da tre lampi ben visibili. Molti i testimoni oculari. Alle 14 una squadra di Soccorso alpino partiva da fondovalle temendo lo schianto di un aereo, ma trovava tutti i sentieri d'accesso al monte bloccati da elicotteri della Marina militare. Il ministero della Difesa parlò, in via ufficiosa, di missili lanciati da una nave militare.