02 aprile 2010

Il web sostituirà i partiti?

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L'opinione di Donatella Campus, docente di scienza politica

Forse è dai tempi d Tangentopoli che la professione del politico non scendeva così in basso nell'indice di gradimento. Solo che nel '92, a differenza di oggi, c'era un Paese capace di indignarsi, sensibile alla questione morale, almeno in parte disponibile a concedere qualche chance alla rigenerazione della politica. Quasi vent'anni dopo rimane soltanto l'antipolitica. L'astensionismo che stavolta ha raggiunto livelli da record per questo paese, è un segnale grosso come una montagna. Il distacco, la disaffezione, anzi l'insofferenza da saturazione per la "casta politica" sono diventati cultura di massa.

Ma anche chi non si astiene e decide di votare, sceglie in maggioranza di dare il proprio voto a forze che hanno l'apparenza di non essere partiti "tradizionali". A forze e personaggi che, a torto o a ragione, sono percepiti dall'opinione pubblica come estranei al "giro" della politica. Come la Lega, vista come un partito dalle mani pulite, al di fuori dei giochi, non contaminata dal potere. Anche se è al governo nazionale e in quelli locali. Anche se ormai sono lontani i tempi in cui era un movimento e se, nel frattempo, ha sfornato un ceto politico a tutti gli effetti, un esercito di parlamentari, ministri e amministratori locali. La Lega vince perché i suoi militanti stanno sul territorio e tanto basta a distinguerli dai politicanti di professione, a farli apparire "gente come noi", "del popolo". Analogo discorso si potrebbe fare per l'Italia dei Valori, cresciuta sull'onda dell'indignazione per la casta politica, guidata, non a caso, da un leader come Di Pietro prestato alla politica dalla magistratura. Anche a sinistra - è il caso del vendolismo - si vince con l'immagine di un leader che per ricandidarsi ha dovuto lottare contro gli intrighi di potere dall'alto. A prevalere, qui e là, sono insomma le varianti dell'unica narrazione oggi vincente, che individua nella politica e nel suo sistema il Vecchio da abbattere in nome del Nuovo.

Ma il caso più eclatante di antipolitica che fa politica - e con discreto successo - è quella del Movimento cinque stelle, la lista targata Beppe Grillo che ha raccolto l'1,7 per cento su base nazionale, con picchi sorprendenti come il quattro per cento in Piemonte e il sette in Emilia-Romagna. Un fungo spuntato dal nulla, a detta di molti opinionisti. Un fenomeno nato dalla Rete, nei blog e nei social network. Fino a ieri l'altro Giovanni Favia, capolista del movimento grillino in in terra emiliana, era uno sconosciuto e nessuno avrebbe potuto prevederne il successo nei panni dell'outsider in una regione in cui il tradizionale sistema di potere locale del Pd sembra privo di alternative.

Il "grillismo" è stato definito un movimento antipolitico. Non tanto perché chi vi si riconosce sia privo di senso civico, quanto perché esso raccoglie gli umori di una parte di elettorato sensibile sui temi etici e ambientali, ma indisponibile a votare uno qualunque dei partiti riconducibile al "sistema" politico. Al punto da presentarsi come un modo "nuovo" di fare politica che sostituirà definitivamente i vecchi partiti.

«Siamo la Lega del terzo millennio. Noi e loro siamo gli unici radicati sul territorio», ha detto Beppe Grillo nelle interviste a caldo dopo i risultati elettorali. E' il web, appunto, la nuova organizzazione che per i grillini cambierà la politica. «C'è la rete... noi siamo il contrario di tutti i partiti. Lo abbiamo visto tutti come sono stati scelti i candidati alle regionali. La gente è stata tenuta fuori. I nostri candidati sono specialisti scelti dalla rete. E su internet ogni persona vale uno, io come qualsiasi altro iscritto al Movimento Cinque Stelle. La rete è democrazia e trasparenza».

Internet, si dice, ha cambiato tutto, ha trasformato il modo in cui le persone si informano e comunicano tra loro, senza che i partiti se ne accorgessero.Il web è il Nuovo che avanza. La Rete, i blog, i social network sono le nuove autostrade digitali della conoscenza lungo le quali, ogni giorno, migliaia di persone si scambiano informazioni e formano le loro opinoni in autonomia e senza rapporti di gerarchia tra alto e basso. Perciò il vecchio sistema della politica - è la conclusione del ragionamento - non può continuare come prima. C'è chi vede in Internet, in virtù di questa previsione, «la panacea del male che attanaglia molte delle democrazie contemporanee, ovvero apatia, disaffezione nei confronti della politica, scarsa partecipazione attraverso i canali convenzionali come il voto e l'iscrizione a partiti e associazioni». Della questione si è occupata Donatella Campus, docente di scienza politica, nel saggio Comunicazione politica. Le nuove frontiere (Laterza, pp. 144, euro 16). «Internet riflette lo stato di cose esistente. Non direi perciò che l'uso politico di internet sia un sintomo di antipolitica. Certo, l'antipolitica c'è, in Italia c'è da sempre. Sono reduce da un convegno in cui si parlava proprio di Achille Lauro come prototipo di Berlusconi. E' chiaro che anche in internet possiamo trovare manifestazioni di antipolitica. Ma non è internet che le produce. Da voce, possiamo dire, a un certo tipo di pubblico che è composto prevalentemente da persone giovani, soprattutto nel caso dell'Italia. Se queste persone hanno un sentimento di insofferenza nei confronti della politica lo esprimono lì. Internet ha offerto oltre al menu di canali di partecipazione già esistenti, un ulteriore modo di partecipare. Ma questo non significa dire che sarà l panacea di tutti i mali. E'solo un'opportunità».
Fino a che punto però la discussione nei blog e nei forum può sostituire i canali tradizionali di partecipazione alla politica? Internet è davvero un'alternativa ai partiti - che tra l'altro soffrono di crisi di iscrizioni, di militanza e di radicamento nei territori? «Internet sta cambiando in prospettiva il rapporto tra partito e simpatizzanti. Forse in Italia lo vediamo meno che altrove. Ma il caso Obama e anche quello di Ségolène Royal in Francia internet ha cambiato la modalità di selezione del candidato alla presidenza. Però, secondo me, la rete non sostituirà i partiti, ma li andrà a integrare. Il che significa che i partiti dovranno evolversi fino a considerare internet come una propria manifestazione naturale. Mi spiego: internet rappresenterà il feedback che cambierà la forma organizzativa dei partiti. Ne dovranno tenere conto per sopravvivere. Non solo come strumento per comunicare durante le campagne elettorali, ma come modello di relazione più paritario. Un partito strutturato dall'alto verso il basso farà più fatica a utilizzarlo.

Il Pdl, ad esempio, non è un partito che va molto su internet. Non ha neppure interesse a farlo. I partiti del domani dovranno, da un lato, riscoprire i territori, e dall'altro, imparare a usare internet. Sono entrambi un tipo di relazione orizzontale, porta a porta. Il momento mediatico puro, la televisione, è destinato a essere sorpassato. Per ora funziona ancora bene, ma è un colpo di coda. Sono processi lunghi». Però c'è anche il rischio che attraverso la rete l'approccio alla politica non avvenga più nello spazio sociale della piazza, nella sfera delle relazioni concrete, ma nella dimensione privatistica del proprio schermo. «Internet dà la possibilità di partecipare alla politica anche senza scendere in piazza, rimanendo seduto davanti allo schermo. Vero. Però a volte funziona anche come passaggio intermedio. La comunicazione prende forma in rete e poi esce. Non è scontato insomma che il web produrrà un'atomizzazione. Se è per questo, la televisione ha diminuito le capacità associative e partecipative - come diceva Robert Putnam. Uno se ne può stare chiuso in casa a guardare la tv. Al confronto internet è un luogo di potenzialità. I segmenti di pubblico si possono anche mettere assieme. Non si può dire che internet sia il motore primario della segmentazione, piuttosto quest'ultima è riflesso di un fenomeno più complessivo». Un fenomeno presente soprattutto nei blog dove a discutere degli stessi temi si ritrovano spesso persone che la pensano allo stesso modo. Simile col simile. Ma così non passa una visione frammentata, parziale della realtà? «Questo accade, ma non è scontato. La frammentazione esiste, ognuno segue il filo dei propri interessi. Anche qui, però, internet segue il trend».
di Tonino Bucci

La Storia non si dimentica, si subisce. Il caso della Lega

In tutta la gloriosa guerra garibaldina per la "liberazione delle due Sicilie" (... che suona come l'esportazione della democrazia dell'America di Bush in Iraq ... cioè una palla confezionata su misura per i tanti idioti incapaci di pensare in proprio ...), in tutte le mitiche battaglie (Calatafimi, Milazzo, etc..) in cui i "liberatori" si trovarono al cospetto dei difensori borbonici, questi ultimi, un moderno esercito di centomila uomini, subirono otto morti e diciotto feriti ....

Si, avete capito bene: otto morti e diciotto feriti in tutti quegli scontri che i libri di storia ci raccontano essere stati all'ultimo sangue ...

Nelle battaglie vere (ad esempio a Solferino e San Martino), i morti si contavano a migliaia ... i campi restavano allagati dal sangue dei caduti per giorni e, proprio a San Martino, fu tale l'orrore per i numerosissimi morti e feriti, che si decise di istituire la Croce Rossa: un organismo super-partes che si incaricasse delle migliaia di caduti.

Non nelle epiche battaglie garibaldine ... li si vinceva a tavolino ...

Voglio dire che, se uno non è proprio completamente cretino, capisce da solo che l'esercito borbonico non ha combattuto ... e quando i garibaldini le stavano "per prendere", i generali borbonici facevano suonare le trombe della ritirata ... e Garibaldi vinceva ...

La barzelletta che circolava, difatti, era che più di Garibaldi, poterono i trombettieri borbonici a sconfiggere l'esercito di Francesco II.

Perché, dunque, i generali "sudisti" preferirono "perdere"?

Per soldi ... per promesse di futuri benefici ... per mafia.

Cavour, uno spericolato intrallazzatore e speculatore di Borsa, mandò i suoi agenti segreti a ... trattare con la nascente mafia ... iniziando una pratica che, da allora, non si è mai fermata: appoggiarsi alla criminalità organizzata del Sud per "acquisire" consenso e potere da spendere al Nord (basti pensare ai nostri ultimi 17 anni, dal 1993 ad oggi).

E grazie alle generose "provviste" di denaro messe a disposizioni dagli inglesi e dai massoni, gli agenti di Cavour comprarono quasi tutti i generali "nemici" ... che consentirono a Garibaldi di passare alla storia come un grande condottiero ... lui, un ladro di cavalli che portava i capelli lunghi per nascondere l'orecchio mozzato in Sud America ... dalla polizia locale che l'aveva preso con le mani nel sacco (a rubare cavalli) ...

Ma com'era il Sud prima dell'invasione del 1960?

Alla fiera di Parigi del 1856, il regno delle due Sicilie fu "riconosciuto" essere la terza "nazione" più ricca del mondo ... già, una "nazione" ... da ben 14 secoli. Dalla caduta dell'Impero romano, gli stati del Sud Italia erano "nazione" ... e insieme all'Inghilterra erano la più antica "nazione" europea. La prima "costituzione democratica" del mondo, fu promulgata proprio nella "nazione Sud Italia".

Il centro-nord Italia, invece, nello stesso periodo, era stato sempre frantumato in piccoli staterelli.

Napoli era la seconda città europea per abitanti ed eccelleva nelle arti, nell'industria, nella marina (la marina mercantile era la seconda al mondo e quella militare la terza) e ... nell'economia.

A Napoli nacque la prima scuola Universitaria di economia del mondo ... la famosa scuola napoletana che avrebbe influenzato l'intero pensiero economico mondiale.

La Borsa delle merci era la seconda in Europa e quella valori la terza ... e già allora, i nobili si "occupavano" di investimenti e trading ...

I titoli di stato del Sud quotavano 120 (rispetto al valore nominale di 100), mentre quelli piemontesi 70 (sempre rispetto ad un nominale di 100) ... e questo, meglio di ogni altro indicatore, la dice lunga sullo stato dell'economia e della finanza al Sud ed al Nord.

Le tasse al Sud erano le più basse d'Europa (20% in meno di quelle francesi e 30% in meno delle inglesi), mentre al nord, i Savoia imponevano tasse altissime (le più alte d'Europa) per finanziare le tante guerre perse, e per potere ... rubare di più (forse non loro direttamente, ma certamente i loro "cortigiani" e "soci").

Ma sapevano i Borboni dell'imminente invasione?

Certo, non erano mica cretini ... tutti lo sapevano: la notizia circolava da tempo anche sui giornali.

Mandarono i loro ambasciatori a chiedere aiuto in tutta Europa e ottennero promesse, impegni, alleanze ... ma nessuno si mosse quando Garibaldi sbarcò a Marsala ... anzi, si mossero gli inglesi ... ma per aiutare gli "italiani" del Nord.

E non solo gli inglesi: tra le file degli "invasori" si contavano migliaia di ungheresi, boemi, marocchini, serbi, francesi, spagnoli, olandesi ... c'era pure qualche scandinavo ... mancavano solo gli ... italiani ... se si escludono gli avanzi di galera al seguito di Garibaldi.

Erano tutti li per inseguire il miraggio della ricchezza ... saccheggiavano tutto ciò su cui potevano mettere le mani ... portavano via anche le posate ... i piatti ... le lenzuola. E naturalmente stupravano le donne.

Il miraggio dell'Unità d'Italia, se c'era, interessava una piccola minoranza di "romantici" ... tutti gli altri erano volgari ladri.

Francesco II, capì subito che era tutto perso quando la sua flotta, la terza d'Europa, non "fermò" i tre piroscafi garibaldini.

E perché sbarcarono a Marsala?

Perché a Marsala abitavano più inglesi che siciliani: gli piaceva quel vino carico di zuccheri arricchiti dal sole, e adoravano i piccioli che facevano con il commercio di zolfo di cui quella terra era ricca.

I Borboni gli avevano fatto causa (perché volevano fargli "pagare" parte dei profitti) ... loro la vinsero e se la legarono al dito ...

Quando Cavour gli comunicò che il Piemonte non poteva rimborsare i titoli del debito pubblico in mano inglese ... lo incoraggiarono a "impadronirsi" dell'oro dei Borboni (un po come hanno fatto le Banche italiane con Callisto Tanzi). E per essere certi che i Savoia non facessero casini (avevano perso tutte le guerre e, quindi, non davano molto affidamento) misero la loro flotta a disposizione, fornirono il denaro necessario per corrompere i generali borbonici e si incaricarono di arruolare "schiere" di avventurieri in ogni angolo d'Europa.

Francesco II, dunque, sapeva ... tutti lo sapevano ... anche se i cugini "piemontesi" (i Borboni ed i Savoia erano cugini) negarono fino all'ultimo di essere coinvolti in quella "vile aggressione" (furono queste le parole testuali usate da Vittorio Emanuele II).

Prima del 1860, dunque, il tenore di vita al Sud era molto più alto del Nord ... le industrie meridionali erano all'avanguardia in molti settori e facevano una concorrenza spietata (e vincente) a quelle settentrionali.

Vinte a tavolino le "epiche" battaglie garibaldine e fatta l'Unita d'Italia, finalmente i Savoia si manifestarono mandando i loro "sbirri" a "civilizzare" il meridione ...

Le fabbriche furono distrutte ... gli operai fucilati ... e tutto ciò che c'era di buono ed all'avanguardia fu trasportato al Nord. In un colpo solo si eliminarono dei temibili concorrenti e ci si appropriò delle loro ricchezze materiali ed intellettuali.

L'industria del Nord, che non era mai riuscita a decollare, finalmente decollò.

Come vi sembra questa "verità storica" al cospetto della "minchiata" che è circolata negli ultimi 150 anni che il Sud è indietro perché i meridionali non sanno fare un cazzo ...?? Quante volte avete sentito questa stronzata (da bambini mongoloidi) che la miseria del Sud risale addirittura alla caduta dell'Impero romano ...??

La verità documentata è che il Sud è stato prima derubato e poi (per evitare possibili concorrenze) mantenuto DELIBERATAMENTE in condizione di inferiorità ...

Nonostante le rapine ... il milione di morti ... i cinque milioni di emigrati ... ancora 30 anni dopo l'Unità (quindi nel 1890) il tenore di vita nel Sud era allo stesso livello del Nord (ricordiamoci che prima del 1860 era nettamente superiore) ...

Solo nel 1920 i "nordisti" riuscirono a fare arretrare il Sud del 15% (rispetto al nord); poi arrivò Mussolini e compì il capolavoro ... quel poco di Industria che era rimasta lo trasferì al Nord ... e ai meridionali promise un ... "posto al sole" in Africa.

La differenza tra Nord e Sud si amplificò ... e così rimase fino ai giorni nostri.

Ora capitemi bene: a tutti quelli (mi riferisco ai leghisti dichiarati e a quelli "in pectore") che vanno ripetendo il famoso ritornello che i meridionali sono "geneticamente" inferiori ... che sanno solo lamentarsi e che non sanno darsi da fare ... si può solo rispondere che l'unica cosa che è geneticamente certa ... è la loro ignoranza.

Hanno impiegato gli ultimi 150 anni a coltivarla e nutrirla e, oggi, primeggiano a livello mondiale.

Un meridionale serio ed intelligente, con tremila anni di patrimonio culturale in dotazione genetica, non si "berrebbe" mai le minchiate dei 100 000 fucili bergamaschi pronti a sparare, delle sacre acque del Po dove ci sarebbe lo spirito (celtico?) del Nord, e tutto l'armamentario di supercazzole che solo una grande ignoranza può alimentare e nutrire ... li occorre la stupidità di chi, da secoli, non è abituato a pensare, né a leggere ... men che meno a ragionare.

Andatevi a leggere cosa gli austriaci pensavano dei sudditi "lombardi": ... "chiagni e fotti" ... eterni piagnoni, lavativi, ladri ed inaffidabili ... Esattamente ciò che i lombardi oggi pensano degli extracomunitari.

Si può fare una stima (approssimata per difetto) della "rapina" ai danni del Sud?

Certo: l'oro che i "piemontesi" prelevarono dalle Banche del Sud ammontava a circa 1500 miliardi di euro di oggi. I beni confiscati (immobili, terreni, macchinari, etc..) circa 1300 miliardi di euro e gli altri beni immateriali (brevetti, know how, etc..) circa 200 miliardi di euro. Totale: 3000 miliardi di euro; il doppio del Pil italiano odierno e poco meno del doppio del debito pubblico.

In parole povere: i piemontesi che erano con le pezze al culo come lo Stato italiano di oggi (debito pubblico superiore al Pil), ripianarono quel loro immenso debito e gli restarono molti altri piccioli per fare altre guerre e per investire "pesantemente" nel famoso triangolo industriale (Genova, Torino, Milano) ... che, finalmente, decollò.

Non solo: dal 1860 in poi, il Sud (che abbiamo visto aveva il sistema fiscale più leggero d'Europa) fu sovraccaricato di tasse che, di fatto, vennero tutte dirottate al Nord .... (le spese statali a Napoli erano 200 volte inferiori che a Milano, ma le tasse erano maggiori).

Il Sud, dunque, fu "spogliato" delle sue ricchezze subito, e caricato di tasse per gli anni a venire. Praticamente: fu prima "annientato" nel suo capitale umano, quindi "derubato" di tutte le sue ricchezze accumulate, e poi "sfruttato e spremuto" come uno schiavo.

Com'era la storia di ... Roma ladrona??

La verità storica e che le vere "ladrone" furono Torino (sede dei delinquenti che "idearono" quella rapina) e Milano (dove i soldi, in massima parte, furono investiti).

Ed è, francamente, ridicolo che i ladroni storici conclamati ... si lamentino (oggi) esattamente della stessa cosa che loro hanno già fatto (allora) ed a cui devono la propria fortuna.

Picciotti .... un po di pudore per piacere ....!!

A chi fosse interessato ad approfondire l'argomento, suggerisco: "Terroni" di Pino Aprile ... è l'ultimo uscito ed è meticolosamente documentato e ben scritto. Se conoscete qualche leghista (di quelli pateticamente ignoranti), suggeritegli di leggerlo: gli risparmierete di continuare a fare le figure del cazzo che sistematicamente fa quando, restando serio, spara quelle sue solite, colossali minchiate.

g.migliorino

01 aprile 2010

Il fenomeno Grillo, ma per chi?

I blog al posto delle sezioni Grillo-boys, rifugio dei delusi
Alle prime proiezioni "spaventose, incredibili", il bolognese Giovanni Favia, il grillino più votato d'Italia, è corso a comprarsi una cravatta nera: "ora devo essere elegante". Il grande momento è giunto. Il partito cinque-stelle passa dal folclore alla storia, dove c'erano sfottò ora c'è timoroso rispetto, anche paura. Sette per cento in Emilia Romagna, 4 in Piemonte, 400 mila voti in cinque regioni, quattro consiglieri eletti. Increduli loro per primi. "Per non montarci la testa andremo avanti a testa bassa". Dal V-day agli emicicli in soli tre anni: l'incubo dell'"antipolitica" si materializza, i ruba-consensi terrorizzano la sinistra. La Bresso recrimina: "erano voti nostri", Bersani apocalittico: "sono la cupio dissolvi della sinistra". E Beppe Grillo se li mangia con un marameo: "Bersani delira, rimuovetelo da segretario" commenta al telefono, tono più trionfale che aggressivo, "questi partiti sono anime morte, vagano in attesa di scomparire. I danni se li fanno da soli, e non hanno capito ancora niente di noi. "Grillo chi è?" diceva Veltroni, che per il Pd è stato come il meteorite per i dinosauri. Ora loro sono in estinzione e noi siamo il futuro".

Alt, fermi, non facciamo l'errore. Il profilo del comico genovese è potente, ma il nuovo sta nascosto nella sua ombra. Il "MoVimento 5 stelle" (la V maiuscola e rossa è quella del vaffa) non vuole essere il partito di un solo uomo: "Grillo è solo il detonatore, la dinamite siamo noi", rivendica Favia. E neppure il megafono dell'esasperazione, "se c'è qualcuno che fa marketing dell'urlo non siamo noi" (questa è per Di Pietro); e se gli parli di "voto di protesta" Favia si spazientisce, "protesta è il 10% di astensionismo, noi abbiamo portato voti alla democrazia". No, dal cappello delle urne è uscito un coniglio più carnoso del previsto. Una novità antropologica nella politica italiana che può travolgere chi la sottovaluta. I "grillini" esistono, guardate le loro foto sui loro siti Internet, leggete le loro date di nascita, tante post-1970, sbirciate le loro biografie, i loro mestieri urbani e terziario-avanzati, con un'eccedenza di quelli tecno-informatici. Da dove vengono? Chi va sui cinquant'anni esibisce qualche medagliere militante (radicali, noglobal, post-comunisti), ma quelli sotto i trenta sono una strabiliante antologia di micro-cause: la battaglia per il latte crudo, l'associazione "Novaresi attivi", il comitato "Vittime del metrobus", gli anti-inceneritore, quelli che fanno "guerrilla gardening" o la dieta a km zero... Sono, forse, ciò che i Verdi italiani non sono mai riusciti ad essere: pensatori globali e agitatori locali.


Sono, certo, un ceto politico, siedono già in decine di consigli comunali, spesso piccoli centri. Ma sfuggono ai profili tradizionali, sono corpi bionici della politica, ibridi di vecchio e nuovo. Non si incontrano in sezione ma in un blog, però non vedono l'ora di scendere in piazza; si contano orgogliosi come nei vecchi partiti (Grillo: "sessantamila ora, duecentomila fra due anni"), ma iscriversi è facile come fare un log-in al sito, la tessera è una password e non costa nulla perché "la gratuità rende bella la politica". Credono nella Rete come mito catartico: lo scrigno della verità che smaschera ogni complotto. Sono un incrocio di boy-scout e cyber-secchioni, volontari e computer-dipendenti. Grillo si fa semiologo: "È un movimento wiki". Come Wikipedia, l'enciclopedia online che chiunque può scrivere e modificare. L''assemblearismo ora è "contenuto generato dall'utente". La delega elettorale, "mandato partecipativo", l'eletto promette di essere solo il "terminale istituzionale" che inietta in consiglio le opinioni del movimento. "Abbiamo eletto ben due virus!", esulta il piemontese Vittorio Bertola, ed è ovvio che non pensa al bacillo influenzale ma ai virus informatici, che mandano in tilt un intero sistema operativo. "È qui che siamo avanti", Grillo si anima, "con noi non governa un consigliere, governa un network; con tutto il rispetto per la serata bolognese di Santoro non siamo un anchorman in tivù, siamo una rete di persone".

Le stelle grilline, però, sono spesso stelle comete, il loro impegno brucia intensamente e per poco, il ricambio è altissimo, ma se qualcuno ci dà dentro si vede: dietro il record del 28% di Bussoleno, ad esempio, c'è la lotta anti-Tav. Ma il vero salto di qualità che fa paura a Bersani è avvenuto proprio là dove i grillini non ci sono. Nell'hinterland bolognese, a Granarolo o Castenaso dove strappano il 10%, nessuno li ha mai incontrati di persona, neanche chi li ha votati. Chiedi perché l'hanno fatto, rispondono "Perché il Pd...". Rifugio dei delusi, ultima risorsa prima dell'astensione, messaggio di protesta senza rischio: "votare Lega non ci riesco, loro invece...". La loro presenza ha bucato i media. Gli elettori li conoscono. Leggete le interminabili liste di commenti dei loro blog, ce n'è una quantità che cominciano come Paolo: "Da anni non votavo...". E anche tanti che vibrano di un'eccitazione dimenticata, come Alessio: "Per la prima volta ho votato con gioia". Ho visto anche degli elettori felici: di questi tempi, da non crederci.

di MICHELE SMARGIASSI


02 aprile 2010

Il web sostituirà i partiti?

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L'opinione di Donatella Campus, docente di scienza politica

Forse è dai tempi d Tangentopoli che la professione del politico non scendeva così in basso nell'indice di gradimento. Solo che nel '92, a differenza di oggi, c'era un Paese capace di indignarsi, sensibile alla questione morale, almeno in parte disponibile a concedere qualche chance alla rigenerazione della politica. Quasi vent'anni dopo rimane soltanto l'antipolitica. L'astensionismo che stavolta ha raggiunto livelli da record per questo paese, è un segnale grosso come una montagna. Il distacco, la disaffezione, anzi l'insofferenza da saturazione per la "casta politica" sono diventati cultura di massa.

Ma anche chi non si astiene e decide di votare, sceglie in maggioranza di dare il proprio voto a forze che hanno l'apparenza di non essere partiti "tradizionali". A forze e personaggi che, a torto o a ragione, sono percepiti dall'opinione pubblica come estranei al "giro" della politica. Come la Lega, vista come un partito dalle mani pulite, al di fuori dei giochi, non contaminata dal potere. Anche se è al governo nazionale e in quelli locali. Anche se ormai sono lontani i tempi in cui era un movimento e se, nel frattempo, ha sfornato un ceto politico a tutti gli effetti, un esercito di parlamentari, ministri e amministratori locali. La Lega vince perché i suoi militanti stanno sul territorio e tanto basta a distinguerli dai politicanti di professione, a farli apparire "gente come noi", "del popolo". Analogo discorso si potrebbe fare per l'Italia dei Valori, cresciuta sull'onda dell'indignazione per la casta politica, guidata, non a caso, da un leader come Di Pietro prestato alla politica dalla magistratura. Anche a sinistra - è il caso del vendolismo - si vince con l'immagine di un leader che per ricandidarsi ha dovuto lottare contro gli intrighi di potere dall'alto. A prevalere, qui e là, sono insomma le varianti dell'unica narrazione oggi vincente, che individua nella politica e nel suo sistema il Vecchio da abbattere in nome del Nuovo.

Ma il caso più eclatante di antipolitica che fa politica - e con discreto successo - è quella del Movimento cinque stelle, la lista targata Beppe Grillo che ha raccolto l'1,7 per cento su base nazionale, con picchi sorprendenti come il quattro per cento in Piemonte e il sette in Emilia-Romagna. Un fungo spuntato dal nulla, a detta di molti opinionisti. Un fenomeno nato dalla Rete, nei blog e nei social network. Fino a ieri l'altro Giovanni Favia, capolista del movimento grillino in in terra emiliana, era uno sconosciuto e nessuno avrebbe potuto prevederne il successo nei panni dell'outsider in una regione in cui il tradizionale sistema di potere locale del Pd sembra privo di alternative.

Il "grillismo" è stato definito un movimento antipolitico. Non tanto perché chi vi si riconosce sia privo di senso civico, quanto perché esso raccoglie gli umori di una parte di elettorato sensibile sui temi etici e ambientali, ma indisponibile a votare uno qualunque dei partiti riconducibile al "sistema" politico. Al punto da presentarsi come un modo "nuovo" di fare politica che sostituirà definitivamente i vecchi partiti.

«Siamo la Lega del terzo millennio. Noi e loro siamo gli unici radicati sul territorio», ha detto Beppe Grillo nelle interviste a caldo dopo i risultati elettorali. E' il web, appunto, la nuova organizzazione che per i grillini cambierà la politica. «C'è la rete... noi siamo il contrario di tutti i partiti. Lo abbiamo visto tutti come sono stati scelti i candidati alle regionali. La gente è stata tenuta fuori. I nostri candidati sono specialisti scelti dalla rete. E su internet ogni persona vale uno, io come qualsiasi altro iscritto al Movimento Cinque Stelle. La rete è democrazia e trasparenza».

Internet, si dice, ha cambiato tutto, ha trasformato il modo in cui le persone si informano e comunicano tra loro, senza che i partiti se ne accorgessero.Il web è il Nuovo che avanza. La Rete, i blog, i social network sono le nuove autostrade digitali della conoscenza lungo le quali, ogni giorno, migliaia di persone si scambiano informazioni e formano le loro opinoni in autonomia e senza rapporti di gerarchia tra alto e basso. Perciò il vecchio sistema della politica - è la conclusione del ragionamento - non può continuare come prima. C'è chi vede in Internet, in virtù di questa previsione, «la panacea del male che attanaglia molte delle democrazie contemporanee, ovvero apatia, disaffezione nei confronti della politica, scarsa partecipazione attraverso i canali convenzionali come il voto e l'iscrizione a partiti e associazioni». Della questione si è occupata Donatella Campus, docente di scienza politica, nel saggio Comunicazione politica. Le nuove frontiere (Laterza, pp. 144, euro 16). «Internet riflette lo stato di cose esistente. Non direi perciò che l'uso politico di internet sia un sintomo di antipolitica. Certo, l'antipolitica c'è, in Italia c'è da sempre. Sono reduce da un convegno in cui si parlava proprio di Achille Lauro come prototipo di Berlusconi. E' chiaro che anche in internet possiamo trovare manifestazioni di antipolitica. Ma non è internet che le produce. Da voce, possiamo dire, a un certo tipo di pubblico che è composto prevalentemente da persone giovani, soprattutto nel caso dell'Italia. Se queste persone hanno un sentimento di insofferenza nei confronti della politica lo esprimono lì. Internet ha offerto oltre al menu di canali di partecipazione già esistenti, un ulteriore modo di partecipare. Ma questo non significa dire che sarà l panacea di tutti i mali. E'solo un'opportunità».
Fino a che punto però la discussione nei blog e nei forum può sostituire i canali tradizionali di partecipazione alla politica? Internet è davvero un'alternativa ai partiti - che tra l'altro soffrono di crisi di iscrizioni, di militanza e di radicamento nei territori? «Internet sta cambiando in prospettiva il rapporto tra partito e simpatizzanti. Forse in Italia lo vediamo meno che altrove. Ma il caso Obama e anche quello di Ségolène Royal in Francia internet ha cambiato la modalità di selezione del candidato alla presidenza. Però, secondo me, la rete non sostituirà i partiti, ma li andrà a integrare. Il che significa che i partiti dovranno evolversi fino a considerare internet come una propria manifestazione naturale. Mi spiego: internet rappresenterà il feedback che cambierà la forma organizzativa dei partiti. Ne dovranno tenere conto per sopravvivere. Non solo come strumento per comunicare durante le campagne elettorali, ma come modello di relazione più paritario. Un partito strutturato dall'alto verso il basso farà più fatica a utilizzarlo.

Il Pdl, ad esempio, non è un partito che va molto su internet. Non ha neppure interesse a farlo. I partiti del domani dovranno, da un lato, riscoprire i territori, e dall'altro, imparare a usare internet. Sono entrambi un tipo di relazione orizzontale, porta a porta. Il momento mediatico puro, la televisione, è destinato a essere sorpassato. Per ora funziona ancora bene, ma è un colpo di coda. Sono processi lunghi». Però c'è anche il rischio che attraverso la rete l'approccio alla politica non avvenga più nello spazio sociale della piazza, nella sfera delle relazioni concrete, ma nella dimensione privatistica del proprio schermo. «Internet dà la possibilità di partecipare alla politica anche senza scendere in piazza, rimanendo seduto davanti allo schermo. Vero. Però a volte funziona anche come passaggio intermedio. La comunicazione prende forma in rete e poi esce. Non è scontato insomma che il web produrrà un'atomizzazione. Se è per questo, la televisione ha diminuito le capacità associative e partecipative - come diceva Robert Putnam. Uno se ne può stare chiuso in casa a guardare la tv. Al confronto internet è un luogo di potenzialità. I segmenti di pubblico si possono anche mettere assieme. Non si può dire che internet sia il motore primario della segmentazione, piuttosto quest'ultima è riflesso di un fenomeno più complessivo». Un fenomeno presente soprattutto nei blog dove a discutere degli stessi temi si ritrovano spesso persone che la pensano allo stesso modo. Simile col simile. Ma così non passa una visione frammentata, parziale della realtà? «Questo accade, ma non è scontato. La frammentazione esiste, ognuno segue il filo dei propri interessi. Anche qui, però, internet segue il trend».
di Tonino Bucci

La Storia non si dimentica, si subisce. Il caso della Lega

In tutta la gloriosa guerra garibaldina per la "liberazione delle due Sicilie" (... che suona come l'esportazione della democrazia dell'America di Bush in Iraq ... cioè una palla confezionata su misura per i tanti idioti incapaci di pensare in proprio ...), in tutte le mitiche battaglie (Calatafimi, Milazzo, etc..) in cui i "liberatori" si trovarono al cospetto dei difensori borbonici, questi ultimi, un moderno esercito di centomila uomini, subirono otto morti e diciotto feriti ....

Si, avete capito bene: otto morti e diciotto feriti in tutti quegli scontri che i libri di storia ci raccontano essere stati all'ultimo sangue ...

Nelle battaglie vere (ad esempio a Solferino e San Martino), i morti si contavano a migliaia ... i campi restavano allagati dal sangue dei caduti per giorni e, proprio a San Martino, fu tale l'orrore per i numerosissimi morti e feriti, che si decise di istituire la Croce Rossa: un organismo super-partes che si incaricasse delle migliaia di caduti.

Non nelle epiche battaglie garibaldine ... li si vinceva a tavolino ...

Voglio dire che, se uno non è proprio completamente cretino, capisce da solo che l'esercito borbonico non ha combattuto ... e quando i garibaldini le stavano "per prendere", i generali borbonici facevano suonare le trombe della ritirata ... e Garibaldi vinceva ...

La barzelletta che circolava, difatti, era che più di Garibaldi, poterono i trombettieri borbonici a sconfiggere l'esercito di Francesco II.

Perché, dunque, i generali "sudisti" preferirono "perdere"?

Per soldi ... per promesse di futuri benefici ... per mafia.

Cavour, uno spericolato intrallazzatore e speculatore di Borsa, mandò i suoi agenti segreti a ... trattare con la nascente mafia ... iniziando una pratica che, da allora, non si è mai fermata: appoggiarsi alla criminalità organizzata del Sud per "acquisire" consenso e potere da spendere al Nord (basti pensare ai nostri ultimi 17 anni, dal 1993 ad oggi).

E grazie alle generose "provviste" di denaro messe a disposizioni dagli inglesi e dai massoni, gli agenti di Cavour comprarono quasi tutti i generali "nemici" ... che consentirono a Garibaldi di passare alla storia come un grande condottiero ... lui, un ladro di cavalli che portava i capelli lunghi per nascondere l'orecchio mozzato in Sud America ... dalla polizia locale che l'aveva preso con le mani nel sacco (a rubare cavalli) ...

Ma com'era il Sud prima dell'invasione del 1960?

Alla fiera di Parigi del 1856, il regno delle due Sicilie fu "riconosciuto" essere la terza "nazione" più ricca del mondo ... già, una "nazione" ... da ben 14 secoli. Dalla caduta dell'Impero romano, gli stati del Sud Italia erano "nazione" ... e insieme all'Inghilterra erano la più antica "nazione" europea. La prima "costituzione democratica" del mondo, fu promulgata proprio nella "nazione Sud Italia".

Il centro-nord Italia, invece, nello stesso periodo, era stato sempre frantumato in piccoli staterelli.

Napoli era la seconda città europea per abitanti ed eccelleva nelle arti, nell'industria, nella marina (la marina mercantile era la seconda al mondo e quella militare la terza) e ... nell'economia.

A Napoli nacque la prima scuola Universitaria di economia del mondo ... la famosa scuola napoletana che avrebbe influenzato l'intero pensiero economico mondiale.

La Borsa delle merci era la seconda in Europa e quella valori la terza ... e già allora, i nobili si "occupavano" di investimenti e trading ...

I titoli di stato del Sud quotavano 120 (rispetto al valore nominale di 100), mentre quelli piemontesi 70 (sempre rispetto ad un nominale di 100) ... e questo, meglio di ogni altro indicatore, la dice lunga sullo stato dell'economia e della finanza al Sud ed al Nord.

Le tasse al Sud erano le più basse d'Europa (20% in meno di quelle francesi e 30% in meno delle inglesi), mentre al nord, i Savoia imponevano tasse altissime (le più alte d'Europa) per finanziare le tante guerre perse, e per potere ... rubare di più (forse non loro direttamente, ma certamente i loro "cortigiani" e "soci").

Ma sapevano i Borboni dell'imminente invasione?

Certo, non erano mica cretini ... tutti lo sapevano: la notizia circolava da tempo anche sui giornali.

Mandarono i loro ambasciatori a chiedere aiuto in tutta Europa e ottennero promesse, impegni, alleanze ... ma nessuno si mosse quando Garibaldi sbarcò a Marsala ... anzi, si mossero gli inglesi ... ma per aiutare gli "italiani" del Nord.

E non solo gli inglesi: tra le file degli "invasori" si contavano migliaia di ungheresi, boemi, marocchini, serbi, francesi, spagnoli, olandesi ... c'era pure qualche scandinavo ... mancavano solo gli ... italiani ... se si escludono gli avanzi di galera al seguito di Garibaldi.

Erano tutti li per inseguire il miraggio della ricchezza ... saccheggiavano tutto ciò su cui potevano mettere le mani ... portavano via anche le posate ... i piatti ... le lenzuola. E naturalmente stupravano le donne.

Il miraggio dell'Unità d'Italia, se c'era, interessava una piccola minoranza di "romantici" ... tutti gli altri erano volgari ladri.

Francesco II, capì subito che era tutto perso quando la sua flotta, la terza d'Europa, non "fermò" i tre piroscafi garibaldini.

E perché sbarcarono a Marsala?

Perché a Marsala abitavano più inglesi che siciliani: gli piaceva quel vino carico di zuccheri arricchiti dal sole, e adoravano i piccioli che facevano con il commercio di zolfo di cui quella terra era ricca.

I Borboni gli avevano fatto causa (perché volevano fargli "pagare" parte dei profitti) ... loro la vinsero e se la legarono al dito ...

Quando Cavour gli comunicò che il Piemonte non poteva rimborsare i titoli del debito pubblico in mano inglese ... lo incoraggiarono a "impadronirsi" dell'oro dei Borboni (un po come hanno fatto le Banche italiane con Callisto Tanzi). E per essere certi che i Savoia non facessero casini (avevano perso tutte le guerre e, quindi, non davano molto affidamento) misero la loro flotta a disposizione, fornirono il denaro necessario per corrompere i generali borbonici e si incaricarono di arruolare "schiere" di avventurieri in ogni angolo d'Europa.

Francesco II, dunque, sapeva ... tutti lo sapevano ... anche se i cugini "piemontesi" (i Borboni ed i Savoia erano cugini) negarono fino all'ultimo di essere coinvolti in quella "vile aggressione" (furono queste le parole testuali usate da Vittorio Emanuele II).

Prima del 1860, dunque, il tenore di vita al Sud era molto più alto del Nord ... le industrie meridionali erano all'avanguardia in molti settori e facevano una concorrenza spietata (e vincente) a quelle settentrionali.

Vinte a tavolino le "epiche" battaglie garibaldine e fatta l'Unita d'Italia, finalmente i Savoia si manifestarono mandando i loro "sbirri" a "civilizzare" il meridione ...

Le fabbriche furono distrutte ... gli operai fucilati ... e tutto ciò che c'era di buono ed all'avanguardia fu trasportato al Nord. In un colpo solo si eliminarono dei temibili concorrenti e ci si appropriò delle loro ricchezze materiali ed intellettuali.

L'industria del Nord, che non era mai riuscita a decollare, finalmente decollò.

Come vi sembra questa "verità storica" al cospetto della "minchiata" che è circolata negli ultimi 150 anni che il Sud è indietro perché i meridionali non sanno fare un cazzo ...?? Quante volte avete sentito questa stronzata (da bambini mongoloidi) che la miseria del Sud risale addirittura alla caduta dell'Impero romano ...??

La verità documentata è che il Sud è stato prima derubato e poi (per evitare possibili concorrenze) mantenuto DELIBERATAMENTE in condizione di inferiorità ...

Nonostante le rapine ... il milione di morti ... i cinque milioni di emigrati ... ancora 30 anni dopo l'Unità (quindi nel 1890) il tenore di vita nel Sud era allo stesso livello del Nord (ricordiamoci che prima del 1860 era nettamente superiore) ...

Solo nel 1920 i "nordisti" riuscirono a fare arretrare il Sud del 15% (rispetto al nord); poi arrivò Mussolini e compì il capolavoro ... quel poco di Industria che era rimasta lo trasferì al Nord ... e ai meridionali promise un ... "posto al sole" in Africa.

La differenza tra Nord e Sud si amplificò ... e così rimase fino ai giorni nostri.

Ora capitemi bene: a tutti quelli (mi riferisco ai leghisti dichiarati e a quelli "in pectore") che vanno ripetendo il famoso ritornello che i meridionali sono "geneticamente" inferiori ... che sanno solo lamentarsi e che non sanno darsi da fare ... si può solo rispondere che l'unica cosa che è geneticamente certa ... è la loro ignoranza.

Hanno impiegato gli ultimi 150 anni a coltivarla e nutrirla e, oggi, primeggiano a livello mondiale.

Un meridionale serio ed intelligente, con tremila anni di patrimonio culturale in dotazione genetica, non si "berrebbe" mai le minchiate dei 100 000 fucili bergamaschi pronti a sparare, delle sacre acque del Po dove ci sarebbe lo spirito (celtico?) del Nord, e tutto l'armamentario di supercazzole che solo una grande ignoranza può alimentare e nutrire ... li occorre la stupidità di chi, da secoli, non è abituato a pensare, né a leggere ... men che meno a ragionare.

Andatevi a leggere cosa gli austriaci pensavano dei sudditi "lombardi": ... "chiagni e fotti" ... eterni piagnoni, lavativi, ladri ed inaffidabili ... Esattamente ciò che i lombardi oggi pensano degli extracomunitari.

Si può fare una stima (approssimata per difetto) della "rapina" ai danni del Sud?

Certo: l'oro che i "piemontesi" prelevarono dalle Banche del Sud ammontava a circa 1500 miliardi di euro di oggi. I beni confiscati (immobili, terreni, macchinari, etc..) circa 1300 miliardi di euro e gli altri beni immateriali (brevetti, know how, etc..) circa 200 miliardi di euro. Totale: 3000 miliardi di euro; il doppio del Pil italiano odierno e poco meno del doppio del debito pubblico.

In parole povere: i piemontesi che erano con le pezze al culo come lo Stato italiano di oggi (debito pubblico superiore al Pil), ripianarono quel loro immenso debito e gli restarono molti altri piccioli per fare altre guerre e per investire "pesantemente" nel famoso triangolo industriale (Genova, Torino, Milano) ... che, finalmente, decollò.

Non solo: dal 1860 in poi, il Sud (che abbiamo visto aveva il sistema fiscale più leggero d'Europa) fu sovraccaricato di tasse che, di fatto, vennero tutte dirottate al Nord .... (le spese statali a Napoli erano 200 volte inferiori che a Milano, ma le tasse erano maggiori).

Il Sud, dunque, fu "spogliato" delle sue ricchezze subito, e caricato di tasse per gli anni a venire. Praticamente: fu prima "annientato" nel suo capitale umano, quindi "derubato" di tutte le sue ricchezze accumulate, e poi "sfruttato e spremuto" come uno schiavo.

Com'era la storia di ... Roma ladrona??

La verità storica e che le vere "ladrone" furono Torino (sede dei delinquenti che "idearono" quella rapina) e Milano (dove i soldi, in massima parte, furono investiti).

Ed è, francamente, ridicolo che i ladroni storici conclamati ... si lamentino (oggi) esattamente della stessa cosa che loro hanno già fatto (allora) ed a cui devono la propria fortuna.

Picciotti .... un po di pudore per piacere ....!!

A chi fosse interessato ad approfondire l'argomento, suggerisco: "Terroni" di Pino Aprile ... è l'ultimo uscito ed è meticolosamente documentato e ben scritto. Se conoscete qualche leghista (di quelli pateticamente ignoranti), suggeritegli di leggerlo: gli risparmierete di continuare a fare le figure del cazzo che sistematicamente fa quando, restando serio, spara quelle sue solite, colossali minchiate.

g.migliorino

01 aprile 2010

Il fenomeno Grillo, ma per chi?

I blog al posto delle sezioni Grillo-boys, rifugio dei delusi
Alle prime proiezioni "spaventose, incredibili", il bolognese Giovanni Favia, il grillino più votato d'Italia, è corso a comprarsi una cravatta nera: "ora devo essere elegante". Il grande momento è giunto. Il partito cinque-stelle passa dal folclore alla storia, dove c'erano sfottò ora c'è timoroso rispetto, anche paura. Sette per cento in Emilia Romagna, 4 in Piemonte, 400 mila voti in cinque regioni, quattro consiglieri eletti. Increduli loro per primi. "Per non montarci la testa andremo avanti a testa bassa". Dal V-day agli emicicli in soli tre anni: l'incubo dell'"antipolitica" si materializza, i ruba-consensi terrorizzano la sinistra. La Bresso recrimina: "erano voti nostri", Bersani apocalittico: "sono la cupio dissolvi della sinistra". E Beppe Grillo se li mangia con un marameo: "Bersani delira, rimuovetelo da segretario" commenta al telefono, tono più trionfale che aggressivo, "questi partiti sono anime morte, vagano in attesa di scomparire. I danni se li fanno da soli, e non hanno capito ancora niente di noi. "Grillo chi è?" diceva Veltroni, che per il Pd è stato come il meteorite per i dinosauri. Ora loro sono in estinzione e noi siamo il futuro".

Alt, fermi, non facciamo l'errore. Il profilo del comico genovese è potente, ma il nuovo sta nascosto nella sua ombra. Il "MoVimento 5 stelle" (la V maiuscola e rossa è quella del vaffa) non vuole essere il partito di un solo uomo: "Grillo è solo il detonatore, la dinamite siamo noi", rivendica Favia. E neppure il megafono dell'esasperazione, "se c'è qualcuno che fa marketing dell'urlo non siamo noi" (questa è per Di Pietro); e se gli parli di "voto di protesta" Favia si spazientisce, "protesta è il 10% di astensionismo, noi abbiamo portato voti alla democrazia". No, dal cappello delle urne è uscito un coniglio più carnoso del previsto. Una novità antropologica nella politica italiana che può travolgere chi la sottovaluta. I "grillini" esistono, guardate le loro foto sui loro siti Internet, leggete le loro date di nascita, tante post-1970, sbirciate le loro biografie, i loro mestieri urbani e terziario-avanzati, con un'eccedenza di quelli tecno-informatici. Da dove vengono? Chi va sui cinquant'anni esibisce qualche medagliere militante (radicali, noglobal, post-comunisti), ma quelli sotto i trenta sono una strabiliante antologia di micro-cause: la battaglia per il latte crudo, l'associazione "Novaresi attivi", il comitato "Vittime del metrobus", gli anti-inceneritore, quelli che fanno "guerrilla gardening" o la dieta a km zero... Sono, forse, ciò che i Verdi italiani non sono mai riusciti ad essere: pensatori globali e agitatori locali.


Sono, certo, un ceto politico, siedono già in decine di consigli comunali, spesso piccoli centri. Ma sfuggono ai profili tradizionali, sono corpi bionici della politica, ibridi di vecchio e nuovo. Non si incontrano in sezione ma in un blog, però non vedono l'ora di scendere in piazza; si contano orgogliosi come nei vecchi partiti (Grillo: "sessantamila ora, duecentomila fra due anni"), ma iscriversi è facile come fare un log-in al sito, la tessera è una password e non costa nulla perché "la gratuità rende bella la politica". Credono nella Rete come mito catartico: lo scrigno della verità che smaschera ogni complotto. Sono un incrocio di boy-scout e cyber-secchioni, volontari e computer-dipendenti. Grillo si fa semiologo: "È un movimento wiki". Come Wikipedia, l'enciclopedia online che chiunque può scrivere e modificare. L''assemblearismo ora è "contenuto generato dall'utente". La delega elettorale, "mandato partecipativo", l'eletto promette di essere solo il "terminale istituzionale" che inietta in consiglio le opinioni del movimento. "Abbiamo eletto ben due virus!", esulta il piemontese Vittorio Bertola, ed è ovvio che non pensa al bacillo influenzale ma ai virus informatici, che mandano in tilt un intero sistema operativo. "È qui che siamo avanti", Grillo si anima, "con noi non governa un consigliere, governa un network; con tutto il rispetto per la serata bolognese di Santoro non siamo un anchorman in tivù, siamo una rete di persone".

Le stelle grilline, però, sono spesso stelle comete, il loro impegno brucia intensamente e per poco, il ricambio è altissimo, ma se qualcuno ci dà dentro si vede: dietro il record del 28% di Bussoleno, ad esempio, c'è la lotta anti-Tav. Ma il vero salto di qualità che fa paura a Bersani è avvenuto proprio là dove i grillini non ci sono. Nell'hinterland bolognese, a Granarolo o Castenaso dove strappano il 10%, nessuno li ha mai incontrati di persona, neanche chi li ha votati. Chiedi perché l'hanno fatto, rispondono "Perché il Pd...". Rifugio dei delusi, ultima risorsa prima dell'astensione, messaggio di protesta senza rischio: "votare Lega non ci riesco, loro invece...". La loro presenza ha bucato i media. Gli elettori li conoscono. Leggete le interminabili liste di commenti dei loro blog, ce n'è una quantità che cominciano come Paolo: "Da anni non votavo...". E anche tanti che vibrano di un'eccitazione dimenticata, come Alessio: "Per la prima volta ho votato con gioia". Ho visto anche degli elettori felici: di questi tempi, da non crederci.

di MICHELE SMARGIASSI