26 agosto 2010
Un Paese a sovranità limitata
Nonostante l’invidiabile posizione geografica e a dispetto dei caratteri che ne costituiscono la struttura morfologica, attualmente l’Italia non possiede una dottrina geopolitica.
Ciò è dovuto principalmente ai tre seguenti elementi: a) l’appartenenza dell’Italia alla sfera d’influenza statunitense (il cosiddetto sistema occidentale); b) la profonda crisi dell’identità nazionale; c) la scarsa cultura geopolitica delle sue classi dirigenti.
Il primo elemento, oltre a limitare la sovranità dello Stato italiano in molteplici ambiti, da quello militare a quello della politica estera, tanto per citare i più rilevanti per l’aspetto geopolitico, ne condiziona la politica e l’economia interne, le scelte strategiche in materia di energia, ricerca tecnologica e realizzazione di grandi infrastrutture e, non da ultimo, ne vincola persino le politiche nazionali di contrasto alla criminalità organizzata. L’Italia repubblicana, a causa delle note conseguenze del trattato di pace del 1947 ed anche in virtù dell’ambiguità ideologica del proprio dettato costituzionale, per il quale la sovranità apparterebbe ad una entità socioeconomica e culturale, peraltro mutevole e vagamente omogenea, il popolo, e non ad un soggetto politico ben definito come lo Stato (1), ha seguito la regola aurea del “realismo collaborazionista o claudicante”, ovverosia la rinuncia alla responsabilità di dirigere il proprio destino (2). Tale abdicazione situa l’Italia nella condizione di “subordinazione passiva” e lega le sue scelte strategiche alla “buona volontà dello Stato subordinante” (3).
Il secondo elemento inficia uno dei fattori necessari per la definizione di una coerente dottrina geopolitica. La crisi dell’identità italiana è dovuta a cause complesse che risalgono alla mal riuscita combinazione delle varie ideologie nazionali (di ispirazione cattolica, monarchica, liberale, socialista e laico-massonica) che hanno sostenuto il processo di unificazione dell’Italia, l’edificazione dello Stato unitario e, dopo la parentesi fascista, la realizzazione dell’attuale assetto repubblicano. La crisi dell’identità nazionale è dovuta, inoltre, anche alla mal digerita esperienza fascista e al trauma della perdita della guerra. La retorica romantica dello stato-nazione, il mito della nazione e, successivamente, quelli della resistenza e della “liberazione” non hanno reso certamente un buon servizio agli interessi dell’Italia, che, a centocinquanta anni dalla sua unificazione, è ancora alla ricerca della propria identità nazionale.
Il terzo elemento, infine, in parte ricollegabile per motivi storici ai precedenti, non permette di collocare la questione delle direttrici geopolitiche dell’Italia tra le priorità dell’agenda nazionale.
Eppure una sorta di geopolitica – o meglio una politica estera basata essenzialmente sulla collocazione geografica – rispondente agli interessi nazionali, e dunque eccentrica rispetto alle indicazioni statunitensi, esclusivamente dirette ad assicurare a Washington l’egemonia nel Mediterraneo, è stata presente nelle alterne vicende della Repubblica italiana. In particolare, l’attenzione di uomini di governo come Moro, Andreotti, Craxi come anche di importanti commis d’État come Mattei rivolta ai Paesi del Nordafrica e a quelli del Vicino e Medio Oriente, seppur limitata ai rapporti di “buon vicinato” e di “coprosperità”, era decisamente conforme non solo alla posizione geografica dell’Italia nel Mediterraneo, ma anche funzionale sia ad una potenziale, futura ed augurabile emancipazione dell’Italia democratica dalla tutela nordamericana, sia al ruolo regionale che Roma avrebbe potuto esercitare anche nell’ambito del rigido sistema bipolare. Tali iniziative avrebbero potuto ben costituire la base per definire le linee strategiche di quello che l’argentino Marcelo Gullo ha chiamato, nell’ambito dello studio della costruzione del potere delle nazioni, “realismo liberazionista”, e far transitare, pertanto, l’Italia dalla “subordinazione passiva” alla “subordinazione attiva”: uno stadio decisivo per ottenere alcuni spazi di autonomia nell’agone internazionale.
Il fallimento della modesta politica mediterranea dell’Italia repubblicana è da ascrivere, oltre che alle interferenze statunitensi, alla natura episodica con cui è stata esercitata e all’atteggiamento contrario e ostativo dei gruppi di pressione interni più filoamericani e prosionisti. Con la fine del bipolarismo e della cosiddetta Prima repubblica, però, le iniziative sopra esposte, dirette a ricavare un pur limitata autonomia delle politica estera italiana, sono decisamente sfumate.
Oggi l’Italia, quale paese euromediterraneo subordinato agli interessi statunitensi, si trova in una situazione molto delicata, giacché oltre a risentire, in quanto membro dell’Unione Europea e della NATO, delle tensioni tra gli USA e la Russia presenti nell’Europa continentale, in particolare in quella centrorientale (vedi la questione polacca per quanto concerne la “sicurezza”, oppure quella energetica), subisce soprattutto i contraccolpi delle politiche vicino e mediorientali di Washington. Inoltre, la soggezione dell’Italia agli USA, che – occorre ribadirlo – si esprime attraverso una evidente limitazione della sovranità dello Stato italiano, esalta i caratteri di fragilità tipici delle aree peninsulari (tensione tra la parte continentale, seppur limitata nel caso dell’Italia, e quelle più propriamente peninsulare ed insulare), aumenta le spinte centrifughe, rendendo difficoltosa persino la gestione della normale amministrazione dello Stato.
Militarmente occupata dagli USA – nell’ambito dell’“alleanza” atlantica – con oltre cento basi (4), priva di risorse energetiche adeguate, economicamente fragile e socialmente instabile per la continua erosione dell’ormai agonizzante “stato sociale”, l’Italia non possiede gradi di libertà tali da permetterle di valorizzare il suo potenziale geopolitico e geostrategico nelle sue naturali direttrici costituite dal Mediterraneo e dall’area adriatico-balcanico-danubiana, se non nel contesto delle strategie d’oltreatlantico, a esclusivo beneficio, dunque, degli interessi extranazionali ed extracontinentali.
Le opportunità per l’Italia di ricavarsi un proprio ruolo geopolitico risultano dunque esterne alla volontà di Roma; esse risiedono nelle ricadute che l’attuale evoluzione dello scenario mondiale – ormai multipolare – provoca nel bacino mediterraneo e nell’area continentale europea. I grandi rivolgimenti geopolitici in atto, determinati principalmente dalla Russia, infatti, potrebbero esaltare la funzione strategica dell’Italia nel Mediterraneo proprio nell’ambito dell’assetto e del consolidamento del nuovo sistema multipolare e della potenziale integrazione eurasiatica.
Occorre, infatti, tener presente che la strutturazione di questo nuovo sistema geopolitico multipolare passa, per ovvie ragioni, attraverso il processo di disarticolazione o ridimensionamento di quello “occidentale” a guida nordamericana, a partire dalle sue periferie. Queste ultime sono costituite, considerando la massa euroafroasiatica, dalla penisola europea, dal bacino mediterraneo e dall’arco insulare giapponese.
Russia e Turchia: i due poli geopolitici
I recenti mutamenti del quadro geopolitico globale hanno prodotto alcuni fattori che potrebbero dunque facilitare lo “svincolamento” di gran parte dei paesi che costituisco il cosiddetto sistema occidentale dalla tutela dell’”amico americano”. Ciò metterebbe potenzialmente Roma in grado di attivare una propria dottrina geopolitica coerente col nuovo contesto mondiale.
Come noto, la riaffermazione della Russia a livello mondiale ed il protagonismo della Cina e dell’India hanno provocato un riassestamento delle relazioni tra le maggiori potenze e posto le premesse per la costituzione di un nuovo ordinamento, basato su unità geopolitiche continentali a partire, non da rapporti di forza militare, ma da intese strategiche. Tali mutamenti si registrano anche nella parte meridionale dell’emisfero orientale, l’ormai ex cortile di casa degli USA, ove i rapporti di Brasile, Argentina e Venezuela con le potenze eurasiatiche sopra citate hanno fornito nuovo slancio alle ipotesi dell’unità continentale sudamericana. Relativamente all’area mediterranea, il principale tra questi nuovi fattori geopolitici è costituito dall’inversione di tendenza impressa da Ankara alle sue ultime politiche vicino e mediorientali. Lo strappo di Ankara da Washington e Tel Aviv potrebbe assumere, nel medio periodo, una valenza geopolitica di vasta portata ai fini della costituzione di uno spazio geopolitico eurasiatico integrato, giacché rappresenta un primo atto concreto sul quale è possibile innescare il processo di disarticolazione (o di limitazione) del sistema occidentale a partire dal bacino mediterraneo.
Date le condizioni attuali, i poli geopolitici sui quali un’Italia realmente intenzionata ad emanciparsi dalla tutela nordamericana dovrebbe far perno sono rappresentati proprio dalla Turchia e dalla Russia. Un allineamento di Roma alle indicazioni turche in materia di politica vicinorientale fornirebbe all’Italia la necessaria credibilità, pesantemente offuscata dalle sue vassallatiche relazioni con Washington, per imprimere un senso geopolitico alla stanca politica di cooperazione che da anni la Farnesina intrattiene con la sponda sud del Mediterraneo ed il Vicino Oriente. La metterebbe, inoltre, insieme (e grazie) all’alleato turco, nelle condizioni, se non proprio di denunciare il patto atlantico, almeno in quelle necessarie per rinegoziare l’oneroso e avvilente impegno in seno all’Alleanza, e per prospettare, simultaneamente, la riconversione dei siti militari presidiati dalla NATO in basi utili alla sicurezza del Mediterraneo. L’Italia e la Turchia, insieme agli altri paesi rivieraschi del Mediterraneo, potrebbero in tal caso realizzare un sistema di difesa integrato sull’esempio dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (OTSC).
Nell’attuazione di questa “exit strategy” dai vincoli statunitensi, sopra sinteticamente abbozzata, Roma troverebbe validi sostegni, oltre che ad Ankara, anche a Tripoli, Damasco e Teheran e, ovviamente, Mosca. Quest’ultima, peraltro, sosterrebbe certamente Roma nella uscita dall’orbita nordamericana, favorendo la sua naturale proiezione geopolitica nella direttrice adriatico-balcanico-danubiana nel quadro, ovviamente, di un’intesa italo-turco-russa costruita sui comuni interessi nel cosiddetto Mediterraneo allargato (costituito dai mari Mediterraneo, Nero, Caspio).
di Tiberio Graziani
24 agosto 2010
La morte di Mussolini
Su queste pagine, nel corso di circa due anni, abbiamo condotto una lunga controinchiesta su la morte di Mussolini, nella quale crediamo di aver dimostrato con fondate deduzioni, testimonianze attendibili e alcuni elementi oggettivi, che la “storica versione” ovvero la “vulgata” tramandata da Walter Audisio e dal Pci (fucilazione di Mussolini e
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Democrazia...
Secondo Winston Churchill la democrazia è la peggior forma di governo eccezion fatta per tutte le altre che si sono rivelate inapplicabili. Per Lenin, invece, la democrazia è il migliore involucro della dittatura del capitale. Personalmente propendo per la versione di Lenin e, del resto, lo stesso ufficiale inglese in altra occasione dirà, dando sostanzialmente ragione al leader bolscevico, che la democrazia funziona quando le idee di pochi riescono a soddisfare i pochi che contano. Ne consegue che in democrazia c'è “poca democrazia”, mentre quello che noi identifichiamo come governo del popolo è solo la proiezione ideologica di un'oligarchia di fatto, mascherata dalla delega del voto popolare ogni tot di anni. Non per niente, la tanto osannata Costituzione italiana non fa altro che avvalorare questo passaggio laddove stabilisce che ogni membro del parlamento rappresenta la Nazione ed esercita tutte le sue funzioni senza vincolo di mandato. Ovverosia, il parlamentare appena eletto può definitivamente farsi i fatti suoi e quelli della cricca alla quale appartiene, in nome della Nazione (entità astratta) e delle sacre istituzioni della Repubblica.
C’è poi chi per convincerci che la democrazia può essere ancora salvata si cimenta nelle “esercitazioni di scuola” ed impugna a mo’ di vanga e rastrello la matita blu e quella rossa per sanzionare gli errori altrui e illuminarci sul vero bene (Viandante! Sai chi sono i più abili cospiratori e i più eccellenti despoti? Sono coloro che dicono questo è giusto e questo è sbagliato, e che salgono al trono di ciò che chiamano giusto, e poi il giusto incatenano con una legge). Ma la logica qui va a farsi benedire del tutto mentre il paralogismo diventa sovrano assoluto del discorso. Alberto Asor Rosa, uno di questi maestrini della “democratura”, si è lanciato su Il Manifesto in una alta lezione per spiegare a noi poveri mortali il senso di questo concetto, non prima di averlo svuotato di contenuto e riempito di partigianeria subdola e vigliacca. La premessa del letterato è (mi scuso per la lunga citazione ma è inevitabile per comprendere appieno il grado di perversione di questi intellettuali sbandati e giurassici) che nel nostro paese esiste un “bubbone maligno, che distrugge l'Italia, diffonde la corruzione, spazza via il gioco democratico, fa vacillare le istituzioni e le regole, distrugge l'informazione, sottomette tutti i rapporti di classe al gioco dei potenti, è Berlusconi, è il governo in mano a Berlusconi, è il berlusconismo. Se è vero questo - se cioè la premessa regge -, allora il compito politico e civile primario è trovare il modo di sbarazzarsene, altrimenti ogni altro discorso più corretto, più profondo, più giusto - persino quello riguardante un corretto conflitto politico -, non sarà più (mai più?) possibile. Per sbarazzarcene, in Parlamento e nel paese, non ci vuole meno di un amplissimo schieramento di forze, che si riconoscano in un programma di «ricostruzione democratica» e si aggreghino per questo; e siano per ciò stesso in grado di mettere in moto un ancor più vasto schieramento di forze sociali e civili, che pure ci sono e aspettano solo che qualcuno dia loro la possibilità di mettersi direttamente alla prova. Siccome è sempre più evidente che il berlusconismo è in realtà un berlusconi-leghismo, bisognerà, per reggere il contrasto, che sarà formidabile, che ne facciano parte senza esclusioni tutte le altre forze che in questi anni non hanno avuto a che fare con l'orrida tabe o recentemente se ne siano liberate, dall'estrema sinistra all'Udc, a Rutelli, a Fini e ai finiani… Se [Berlusconi]va alle urne con l'attuale legge elettorale, vince comunque, quale che sia la forma in cui l'opposizione si presenterà, compresa quella bipartita (centrosinistra + centro moderato), da taluni non si sa perché auspicata. E andrà alle urne legittimamente, nonostante le giuste proteste di Napolitano, se si dimostrerà che in Parlamento non c'è una maggioranza alternativa. Ma non ci sarà una maggioranza alternativa se Berlusconi riassorbirà, come sta tentando di fare, la dissidenza. Quest'ultima è la prospettiva peggiore, e attualmente non è del tutto esclusa se non si lavora tenacemente in direzione contraria. Dunque, nelle prossime settimane, si decide il nostro destino dei prossimi quindici-vent'anni: perché se Berlusconi finisce indenne la legislatura, rivince di sicuro le elezioni…
Quindi, dice Asor Rosa, è meglio affidarsi ad un governo di larghe intese (guidato da banchieri o giureconsulti), non eletto da nessuno e frutto dei complotti parlamentari piuttosto che tenerci l’attuale esecutivo. Ma, soprattutto, com’è giusto che avvenga in un regime democratico, è imperativo categorico e morale quello di evitare le urne finché non si sarà neutralizzato il Cavaliere che altrimenti rischia di vincere di nuovo. Capito l’antifona? Bel modo di affrontare le regole democratiche; perché sia chiaro a tutti che il popolo non conta un cazzo e prima di farlo esprimere su qualsiasi cosa è necessario ridurre le opzioni sulle quali esso dovrà mettere la propria crocetta. Guidare il popolo come un bambino verso ciò che va bene ad Asor Rosa e ai suoi compari di partito, questo inseguono i piagnoni di sinistra preoccupati per le sorti del Paese.
Asor Rosa è sola la versione aulica e intellettualoide della merda democratica che ci propina l’accolita brigantesca piddina; poi vi sono i veri sognatori del “mondo migliore” e dell’esotismo democratico come Veltroni, il quale deve allungare il suo sguardo oltreoceano per imbambolare sé stesso e chi gli sta accanto. Ma in America le cose non vanno tanto meglio. I vari Clinton, Obama, e il resto della genia dei leaders democratici sono altrettanti cialtroni con i denti aguzzi che fanno strame della libertà e dei principi della rappresentatività popolare. Per H.S. Thompson giornalista e scrittore statunitense il politico è una razza a parte che compra e vende voti sul mercato elettorale ricorrendo a qualsiasi nefandezza. Questo mercato si chiama appunto democrazia, luogo dove le pratiche scorrette e i conflitti all’ultimo sangue sono all’ordine del giorno e dove vige la legge ferrea del mors tua vita mea. Secondo Thompson negli ultimi trecento anni nulla è cambiato negli Usa come si evince da una lettera di un deputataamericano riportata nel suo testo “Meglio del sesso. Confessioni di un drogato della politica”:
Anthony Henry, deputato per South Hampton dal 1727 al 1734, ha detto la parola definitiva sulla politica quando ha scritto questa terribile lettera ai suoi squallidi elettori avvertendoli di non cercare di metterlo in culo all'esattore delle tasse...
“Egregi signori,
ho ricevuto la vostra lettera relativa all'imposta indiretta e sono ancora sorpreso della vostra insolenza per avermi scritto. Voi sapete, come lo so io, che ho comprato questo collegio elettorale. E conoscete anche, come la conosco io, la mia attuale intenzione di rivenderlo, e sapete anche, nonostante pensiate che io non lo sappia, che vi state guardando in giro in cerca di un altro acquirente, ma io so ciò che voi certamente non sapete, cioè che ho trovato un altro collegio elettorale da comprare. Riguardo a quanto avete detto sull'imposta indiretta: che la maledizione di Dio ricada su tutti quanti voi, e possa rendere le vostre case aperte e disponibili agli esattori delle imposte così come aperte e disponibili sono sempre state le vostre mogli e le vostre figlie nei miei confronti mentre avevo l'onere di rappresentare questo vostro collegio elettorale fatto di canaglie...”
Tutto chiaro? Altro che yes we can e we have a dream. Che gli imbonitori di sinistra vadano a raccontare le loro storie in un altro paese. Peraltro, non erano loro che si vergognavano di vivere in Italia? Fuori dalle palle allora!
di Gianni Petrosillo
26 agosto 2010
Un Paese a sovranità limitata
Nonostante l’invidiabile posizione geografica e a dispetto dei caratteri che ne costituiscono la struttura morfologica, attualmente l’Italia non possiede una dottrina geopolitica.
Ciò è dovuto principalmente ai tre seguenti elementi: a) l’appartenenza dell’Italia alla sfera d’influenza statunitense (il cosiddetto sistema occidentale); b) la profonda crisi dell’identità nazionale; c) la scarsa cultura geopolitica delle sue classi dirigenti.
Il primo elemento, oltre a limitare la sovranità dello Stato italiano in molteplici ambiti, da quello militare a quello della politica estera, tanto per citare i più rilevanti per l’aspetto geopolitico, ne condiziona la politica e l’economia interne, le scelte strategiche in materia di energia, ricerca tecnologica e realizzazione di grandi infrastrutture e, non da ultimo, ne vincola persino le politiche nazionali di contrasto alla criminalità organizzata. L’Italia repubblicana, a causa delle note conseguenze del trattato di pace del 1947 ed anche in virtù dell’ambiguità ideologica del proprio dettato costituzionale, per il quale la sovranità apparterebbe ad una entità socioeconomica e culturale, peraltro mutevole e vagamente omogenea, il popolo, e non ad un soggetto politico ben definito come lo Stato (1), ha seguito la regola aurea del “realismo collaborazionista o claudicante”, ovverosia la rinuncia alla responsabilità di dirigere il proprio destino (2). Tale abdicazione situa l’Italia nella condizione di “subordinazione passiva” e lega le sue scelte strategiche alla “buona volontà dello Stato subordinante” (3).
Il secondo elemento inficia uno dei fattori necessari per la definizione di una coerente dottrina geopolitica. La crisi dell’identità italiana è dovuta a cause complesse che risalgono alla mal riuscita combinazione delle varie ideologie nazionali (di ispirazione cattolica, monarchica, liberale, socialista e laico-massonica) che hanno sostenuto il processo di unificazione dell’Italia, l’edificazione dello Stato unitario e, dopo la parentesi fascista, la realizzazione dell’attuale assetto repubblicano. La crisi dell’identità nazionale è dovuta, inoltre, anche alla mal digerita esperienza fascista e al trauma della perdita della guerra. La retorica romantica dello stato-nazione, il mito della nazione e, successivamente, quelli della resistenza e della “liberazione” non hanno reso certamente un buon servizio agli interessi dell’Italia, che, a centocinquanta anni dalla sua unificazione, è ancora alla ricerca della propria identità nazionale.
Il terzo elemento, infine, in parte ricollegabile per motivi storici ai precedenti, non permette di collocare la questione delle direttrici geopolitiche dell’Italia tra le priorità dell’agenda nazionale.
Eppure una sorta di geopolitica – o meglio una politica estera basata essenzialmente sulla collocazione geografica – rispondente agli interessi nazionali, e dunque eccentrica rispetto alle indicazioni statunitensi, esclusivamente dirette ad assicurare a Washington l’egemonia nel Mediterraneo, è stata presente nelle alterne vicende della Repubblica italiana. In particolare, l’attenzione di uomini di governo come Moro, Andreotti, Craxi come anche di importanti commis d’État come Mattei rivolta ai Paesi del Nordafrica e a quelli del Vicino e Medio Oriente, seppur limitata ai rapporti di “buon vicinato” e di “coprosperità”, era decisamente conforme non solo alla posizione geografica dell’Italia nel Mediterraneo, ma anche funzionale sia ad una potenziale, futura ed augurabile emancipazione dell’Italia democratica dalla tutela nordamericana, sia al ruolo regionale che Roma avrebbe potuto esercitare anche nell’ambito del rigido sistema bipolare. Tali iniziative avrebbero potuto ben costituire la base per definire le linee strategiche di quello che l’argentino Marcelo Gullo ha chiamato, nell’ambito dello studio della costruzione del potere delle nazioni, “realismo liberazionista”, e far transitare, pertanto, l’Italia dalla “subordinazione passiva” alla “subordinazione attiva”: uno stadio decisivo per ottenere alcuni spazi di autonomia nell’agone internazionale.
Il fallimento della modesta politica mediterranea dell’Italia repubblicana è da ascrivere, oltre che alle interferenze statunitensi, alla natura episodica con cui è stata esercitata e all’atteggiamento contrario e ostativo dei gruppi di pressione interni più filoamericani e prosionisti. Con la fine del bipolarismo e della cosiddetta Prima repubblica, però, le iniziative sopra esposte, dirette a ricavare un pur limitata autonomia delle politica estera italiana, sono decisamente sfumate.
Oggi l’Italia, quale paese euromediterraneo subordinato agli interessi statunitensi, si trova in una situazione molto delicata, giacché oltre a risentire, in quanto membro dell’Unione Europea e della NATO, delle tensioni tra gli USA e la Russia presenti nell’Europa continentale, in particolare in quella centrorientale (vedi la questione polacca per quanto concerne la “sicurezza”, oppure quella energetica), subisce soprattutto i contraccolpi delle politiche vicino e mediorientali di Washington. Inoltre, la soggezione dell’Italia agli USA, che – occorre ribadirlo – si esprime attraverso una evidente limitazione della sovranità dello Stato italiano, esalta i caratteri di fragilità tipici delle aree peninsulari (tensione tra la parte continentale, seppur limitata nel caso dell’Italia, e quelle più propriamente peninsulare ed insulare), aumenta le spinte centrifughe, rendendo difficoltosa persino la gestione della normale amministrazione dello Stato.
Militarmente occupata dagli USA – nell’ambito dell’“alleanza” atlantica – con oltre cento basi (4), priva di risorse energetiche adeguate, economicamente fragile e socialmente instabile per la continua erosione dell’ormai agonizzante “stato sociale”, l’Italia non possiede gradi di libertà tali da permetterle di valorizzare il suo potenziale geopolitico e geostrategico nelle sue naturali direttrici costituite dal Mediterraneo e dall’area adriatico-balcanico-danubiana, se non nel contesto delle strategie d’oltreatlantico, a esclusivo beneficio, dunque, degli interessi extranazionali ed extracontinentali.
Le opportunità per l’Italia di ricavarsi un proprio ruolo geopolitico risultano dunque esterne alla volontà di Roma; esse risiedono nelle ricadute che l’attuale evoluzione dello scenario mondiale – ormai multipolare – provoca nel bacino mediterraneo e nell’area continentale europea. I grandi rivolgimenti geopolitici in atto, determinati principalmente dalla Russia, infatti, potrebbero esaltare la funzione strategica dell’Italia nel Mediterraneo proprio nell’ambito dell’assetto e del consolidamento del nuovo sistema multipolare e della potenziale integrazione eurasiatica.
Occorre, infatti, tener presente che la strutturazione di questo nuovo sistema geopolitico multipolare passa, per ovvie ragioni, attraverso il processo di disarticolazione o ridimensionamento di quello “occidentale” a guida nordamericana, a partire dalle sue periferie. Queste ultime sono costituite, considerando la massa euroafroasiatica, dalla penisola europea, dal bacino mediterraneo e dall’arco insulare giapponese.
Russia e Turchia: i due poli geopolitici
I recenti mutamenti del quadro geopolitico globale hanno prodotto alcuni fattori che potrebbero dunque facilitare lo “svincolamento” di gran parte dei paesi che costituisco il cosiddetto sistema occidentale dalla tutela dell’”amico americano”. Ciò metterebbe potenzialmente Roma in grado di attivare una propria dottrina geopolitica coerente col nuovo contesto mondiale.
Come noto, la riaffermazione della Russia a livello mondiale ed il protagonismo della Cina e dell’India hanno provocato un riassestamento delle relazioni tra le maggiori potenze e posto le premesse per la costituzione di un nuovo ordinamento, basato su unità geopolitiche continentali a partire, non da rapporti di forza militare, ma da intese strategiche. Tali mutamenti si registrano anche nella parte meridionale dell’emisfero orientale, l’ormai ex cortile di casa degli USA, ove i rapporti di Brasile, Argentina e Venezuela con le potenze eurasiatiche sopra citate hanno fornito nuovo slancio alle ipotesi dell’unità continentale sudamericana. Relativamente all’area mediterranea, il principale tra questi nuovi fattori geopolitici è costituito dall’inversione di tendenza impressa da Ankara alle sue ultime politiche vicino e mediorientali. Lo strappo di Ankara da Washington e Tel Aviv potrebbe assumere, nel medio periodo, una valenza geopolitica di vasta portata ai fini della costituzione di uno spazio geopolitico eurasiatico integrato, giacché rappresenta un primo atto concreto sul quale è possibile innescare il processo di disarticolazione (o di limitazione) del sistema occidentale a partire dal bacino mediterraneo.
Date le condizioni attuali, i poli geopolitici sui quali un’Italia realmente intenzionata ad emanciparsi dalla tutela nordamericana dovrebbe far perno sono rappresentati proprio dalla Turchia e dalla Russia. Un allineamento di Roma alle indicazioni turche in materia di politica vicinorientale fornirebbe all’Italia la necessaria credibilità, pesantemente offuscata dalle sue vassallatiche relazioni con Washington, per imprimere un senso geopolitico alla stanca politica di cooperazione che da anni la Farnesina intrattiene con la sponda sud del Mediterraneo ed il Vicino Oriente. La metterebbe, inoltre, insieme (e grazie) all’alleato turco, nelle condizioni, se non proprio di denunciare il patto atlantico, almeno in quelle necessarie per rinegoziare l’oneroso e avvilente impegno in seno all’Alleanza, e per prospettare, simultaneamente, la riconversione dei siti militari presidiati dalla NATO in basi utili alla sicurezza del Mediterraneo. L’Italia e la Turchia, insieme agli altri paesi rivieraschi del Mediterraneo, potrebbero in tal caso realizzare un sistema di difesa integrato sull’esempio dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (OTSC).
Nell’attuazione di questa “exit strategy” dai vincoli statunitensi, sopra sinteticamente abbozzata, Roma troverebbe validi sostegni, oltre che ad Ankara, anche a Tripoli, Damasco e Teheran e, ovviamente, Mosca. Quest’ultima, peraltro, sosterrebbe certamente Roma nella uscita dall’orbita nordamericana, favorendo la sua naturale proiezione geopolitica nella direttrice adriatico-balcanico-danubiana nel quadro, ovviamente, di un’intesa italo-turco-russa costruita sui comuni interessi nel cosiddetto Mediterraneo allargato (costituito dai mari Mediterraneo, Nero, Caspio).
di Tiberio Graziani
24 agosto 2010
La morte di Mussolini
Su queste pagine, nel corso di circa due anni, abbiamo condotto una lunga controinchiesta su la morte di Mussolini, nella quale crediamo di aver dimostrato con fondate deduzioni, testimonianze attendibili e alcuni elementi oggettivi, che la “storica versione” ovvero la “vulgata” tramandata da Walter Audisio e dal Pci (fucilazione di Mussolini e
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Democrazia...
Secondo Winston Churchill la democrazia è la peggior forma di governo eccezion fatta per tutte le altre che si sono rivelate inapplicabili. Per Lenin, invece, la democrazia è il migliore involucro della dittatura del capitale. Personalmente propendo per la versione di Lenin e, del resto, lo stesso ufficiale inglese in altra occasione dirà, dando sostanzialmente ragione al leader bolscevico, che la democrazia funziona quando le idee di pochi riescono a soddisfare i pochi che contano. Ne consegue che in democrazia c'è “poca democrazia”, mentre quello che noi identifichiamo come governo del popolo è solo la proiezione ideologica di un'oligarchia di fatto, mascherata dalla delega del voto popolare ogni tot di anni. Non per niente, la tanto osannata Costituzione italiana non fa altro che avvalorare questo passaggio laddove stabilisce che ogni membro del parlamento rappresenta la Nazione ed esercita tutte le sue funzioni senza vincolo di mandato. Ovverosia, il parlamentare appena eletto può definitivamente farsi i fatti suoi e quelli della cricca alla quale appartiene, in nome della Nazione (entità astratta) e delle sacre istituzioni della Repubblica.
C’è poi chi per convincerci che la democrazia può essere ancora salvata si cimenta nelle “esercitazioni di scuola” ed impugna a mo’ di vanga e rastrello la matita blu e quella rossa per sanzionare gli errori altrui e illuminarci sul vero bene (Viandante! Sai chi sono i più abili cospiratori e i più eccellenti despoti? Sono coloro che dicono questo è giusto e questo è sbagliato, e che salgono al trono di ciò che chiamano giusto, e poi il giusto incatenano con una legge). Ma la logica qui va a farsi benedire del tutto mentre il paralogismo diventa sovrano assoluto del discorso. Alberto Asor Rosa, uno di questi maestrini della “democratura”, si è lanciato su Il Manifesto in una alta lezione per spiegare a noi poveri mortali il senso di questo concetto, non prima di averlo svuotato di contenuto e riempito di partigianeria subdola e vigliacca. La premessa del letterato è (mi scuso per la lunga citazione ma è inevitabile per comprendere appieno il grado di perversione di questi intellettuali sbandati e giurassici) che nel nostro paese esiste un “bubbone maligno, che distrugge l'Italia, diffonde la corruzione, spazza via il gioco democratico, fa vacillare le istituzioni e le regole, distrugge l'informazione, sottomette tutti i rapporti di classe al gioco dei potenti, è Berlusconi, è il governo in mano a Berlusconi, è il berlusconismo. Se è vero questo - se cioè la premessa regge -, allora il compito politico e civile primario è trovare il modo di sbarazzarsene, altrimenti ogni altro discorso più corretto, più profondo, più giusto - persino quello riguardante un corretto conflitto politico -, non sarà più (mai più?) possibile. Per sbarazzarcene, in Parlamento e nel paese, non ci vuole meno di un amplissimo schieramento di forze, che si riconoscano in un programma di «ricostruzione democratica» e si aggreghino per questo; e siano per ciò stesso in grado di mettere in moto un ancor più vasto schieramento di forze sociali e civili, che pure ci sono e aspettano solo che qualcuno dia loro la possibilità di mettersi direttamente alla prova. Siccome è sempre più evidente che il berlusconismo è in realtà un berlusconi-leghismo, bisognerà, per reggere il contrasto, che sarà formidabile, che ne facciano parte senza esclusioni tutte le altre forze che in questi anni non hanno avuto a che fare con l'orrida tabe o recentemente se ne siano liberate, dall'estrema sinistra all'Udc, a Rutelli, a Fini e ai finiani… Se [Berlusconi]va alle urne con l'attuale legge elettorale, vince comunque, quale che sia la forma in cui l'opposizione si presenterà, compresa quella bipartita (centrosinistra + centro moderato), da taluni non si sa perché auspicata. E andrà alle urne legittimamente, nonostante le giuste proteste di Napolitano, se si dimostrerà che in Parlamento non c'è una maggioranza alternativa. Ma non ci sarà una maggioranza alternativa se Berlusconi riassorbirà, come sta tentando di fare, la dissidenza. Quest'ultima è la prospettiva peggiore, e attualmente non è del tutto esclusa se non si lavora tenacemente in direzione contraria. Dunque, nelle prossime settimane, si decide il nostro destino dei prossimi quindici-vent'anni: perché se Berlusconi finisce indenne la legislatura, rivince di sicuro le elezioni…
Quindi, dice Asor Rosa, è meglio affidarsi ad un governo di larghe intese (guidato da banchieri o giureconsulti), non eletto da nessuno e frutto dei complotti parlamentari piuttosto che tenerci l’attuale esecutivo. Ma, soprattutto, com’è giusto che avvenga in un regime democratico, è imperativo categorico e morale quello di evitare le urne finché non si sarà neutralizzato il Cavaliere che altrimenti rischia di vincere di nuovo. Capito l’antifona? Bel modo di affrontare le regole democratiche; perché sia chiaro a tutti che il popolo non conta un cazzo e prima di farlo esprimere su qualsiasi cosa è necessario ridurre le opzioni sulle quali esso dovrà mettere la propria crocetta. Guidare il popolo come un bambino verso ciò che va bene ad Asor Rosa e ai suoi compari di partito, questo inseguono i piagnoni di sinistra preoccupati per le sorti del Paese.
Asor Rosa è sola la versione aulica e intellettualoide della merda democratica che ci propina l’accolita brigantesca piddina; poi vi sono i veri sognatori del “mondo migliore” e dell’esotismo democratico come Veltroni, il quale deve allungare il suo sguardo oltreoceano per imbambolare sé stesso e chi gli sta accanto. Ma in America le cose non vanno tanto meglio. I vari Clinton, Obama, e il resto della genia dei leaders democratici sono altrettanti cialtroni con i denti aguzzi che fanno strame della libertà e dei principi della rappresentatività popolare. Per H.S. Thompson giornalista e scrittore statunitense il politico è una razza a parte che compra e vende voti sul mercato elettorale ricorrendo a qualsiasi nefandezza. Questo mercato si chiama appunto democrazia, luogo dove le pratiche scorrette e i conflitti all’ultimo sangue sono all’ordine del giorno e dove vige la legge ferrea del mors tua vita mea. Secondo Thompson negli ultimi trecento anni nulla è cambiato negli Usa come si evince da una lettera di un deputataamericano riportata nel suo testo “Meglio del sesso. Confessioni di un drogato della politica”:
Anthony Henry, deputato per South Hampton dal 1727 al 1734, ha detto la parola definitiva sulla politica quando ha scritto questa terribile lettera ai suoi squallidi elettori avvertendoli di non cercare di metterlo in culo all'esattore delle tasse...
“Egregi signori,
ho ricevuto la vostra lettera relativa all'imposta indiretta e sono ancora sorpreso della vostra insolenza per avermi scritto. Voi sapete, come lo so io, che ho comprato questo collegio elettorale. E conoscete anche, come la conosco io, la mia attuale intenzione di rivenderlo, e sapete anche, nonostante pensiate che io non lo sappia, che vi state guardando in giro in cerca di un altro acquirente, ma io so ciò che voi certamente non sapete, cioè che ho trovato un altro collegio elettorale da comprare. Riguardo a quanto avete detto sull'imposta indiretta: che la maledizione di Dio ricada su tutti quanti voi, e possa rendere le vostre case aperte e disponibili agli esattori delle imposte così come aperte e disponibili sono sempre state le vostre mogli e le vostre figlie nei miei confronti mentre avevo l'onere di rappresentare questo vostro collegio elettorale fatto di canaglie...”
Tutto chiaro? Altro che yes we can e we have a dream. Che gli imbonitori di sinistra vadano a raccontare le loro storie in un altro paese. Peraltro, non erano loro che si vergognavano di vivere in Italia? Fuori dalle palle allora!
di Gianni Petrosillo