02 marzo 2011

Scuola pubblica o privata?

http://bambini.ehl2000.com/immagini/primo%20giorno%20di%20scuola.jpg

I nostri sono tempi bui in cui occorrerebbe focalizzare l’attenzione soprattutto sui drammatici ed eccezionali eventi che stanno trasformando la morfologia politica planetaria e che presto sconvolgeranno le vite di tutti noi, anche nella quotidianità lavorativa e culturale. Le formazioni sociali mondiali sono infatti trascinate nel vortice di grandi cambiamenti geopolitici che riconfigurano, passo dopo passo, i rapporti di forze tra le Potenze restituendoci un contesto epocale molto differente da quello attuale.

Tuttavia, non si può fare a meno di notare come nel quadro politico italiano i rivolgimenti internazionali in corso risultino quasi del tutto sussidiari ed accessori alle piccole beghe interne. Sono quest’ultime ad informare il clima generale che risulta viepiù asfittico e svigorito mentre occorrerebbe riposizionarsi, con nuovi strumenti concettuali, nelle correnti globali al fine di afferrare il senso delle metamorfosi in atto e magari trovare il sistema, per quanto possibile, di governarle a proprio favore. Ma purtroppo per noi, considerata la cifra cerebrale della nostra classe dirigente, ci troviamo a confrontarci con minuzie di poco conto che non ci avvicinano nemmeno di un millimetro ai grandi temi di domani. Tuttavia, pur con un spirito diverso, cioè con l’intento esplicito di rompere i fatui schematismi bipolari che accaldano e inveleniscono il dibattito politico peninsulare senza mai, et pour cause, dare risultati adeguati, dobbiamo entrare nel merito di questa corta visione per smascherarla agli occhi di chi non vuole rinunciare ad offrire al proprio Paese un orizzonte di possibilità meno angusto. L’ultima sciocca diatriba tra governo ed opposizione è scoppiata sulla scuola. Per il primo è fondamentale la libertà di scelta di famiglie e discenti che hanno diritto di costruire il proprio futuro secondo i propri gusti intellettuali, ma si tratta di un paravento ideologico che copre un pregiudizio ed uno sbilanciamento a favore degli istituti privati i quali rispondono meglio alle logiche di profitto. Per la seconda, invece, l’istruzione deve restare pubblica al fine di garantire l’accessibilità anche a chi non può permettersi di pagare rette troppo elevate. Ma anche in questo caso siamo di fronte ad una valutazione di comodo, più elettorale che sociale, poiché la sinistra considera il ceto degli insegnanti uno storico bacino di consenso da non scontentare con azioni avverse. Dai preconcetti reciproci nasce dunque una stanca battaglia che ha come unico effetto quello creare sistemi di protezione e di sinecure, tanto nel privato che nel pubblico, che fanno decadere il livello generale dell’istruzione in questa benedetta nazione. Di questo si alimenta la casta professorale, soprattutto statale, la quale, proprio come quella dei magistrati, considera il proprio luogo di lavoro un esclusivo possedimento dove non valgono le leggi del Parlamento ma al più le direttive del consiglio docenti. Innanzitutto, occorre ribadire che non è mai la forma giuridica della proprietà a determinare la migliore performatività delle organizzazioni che per essere efficaci ed efficienti devono essere ispirate da uomini intelligenti e da processi innovativi e al passo coi tempi. Detto ciò, ci conviene non schierarci con nessuna delle due parti perché quando a destra sviolinano sulle scuole private hanno in testa un’idea elitaria di insegnamento pagata in contanti, mentre a sinistra vige la classica doppiezza di chi agita la bisaccia del mendicante per stare col popolo ma sotto la manica volteggiante risulta vestito all’ultima moda. Difatti questi signori di sedicente sinistra dovrebbero spiegarci perché vanno in piazza contro qualsiasi riforma della scuola ma poi infilano i loro figli nei migliori istituti privati. Cito da un articolo riportato ieri su Il Giornale: “Le figlie di Francesco Rutelli, per esempio, sono state equamente divise fra due scuole: tutte e due private. Una si è iscritta ai liceo privato Kennedy, l’altra al prestigiosissimo collegio San Giuseppe de Merode, l’istituto dei Fratelli delle scuole cristiane che si affaccia, nientemeno, su Piazza di Spagna. «Per tutta la mia vita - ha spiegato lo stesso Rutelli al Giornale - io stesso e i miei familiari abbiamo frequentato sia scuole ed università pubbliche, sia non statali, cattoliche o laiche. Di volta in volta, è stata una scelta condivisa di figli e genitori». Anche la discendente dell’ex ministro dello sport Giovanna Melandri ha preso la direzione delle scuole paritarie: a casa Melandri prediligono il collegio San Giuseppe di via del Casaletto. Altri invece studiano in scuole estere: organizzate a meraviglia, utilissime per imparare una lingua e sprovincializzare il cervello, portandolo lontano dalle polemiche ombelicali di casa nostra: la figlia di Santoro va allo Chateaubriand, dove la prima lingua è il francese e l’italiano è terra straniera. Il figlio del regista Nanni Moretti è invece sintonizzato sull’inglese e cresce all’Ambrit International School, sempre nella capitale. Insomma, ai tradizionali istituti religiosi si affianca il meglio della cultura internazionale: enclave nel cuore della capitale in cui si respira l’aria di New York o di Parigi. L’elenco però è lungo e va continuamente aggiornato anche se molti di questi ragazzi, figli della sinistra chic, manifestano nelle occasioni canoniche mescolandosi ai ragazzi delle scuole pubbliche: si mettono dietro striscioni colorati e soffiano nei fischetti sempre a portata di mano. I discendenti di Anna Finocchiaro studiano in un istituto di Catania, l’ex ministro della Pubblica Istruzione Beppe Fioroni, il predecessore della Gelmini, ha paracadutato il rampollo al liceo scientifico Cardinal Ragonesi di Viterbo, curiosamente la stessa scuola frequentata da papà a suo tempo. Il Cardinal Ragonesi è gestito dai Fratelli Maristi, una congregazione religiosa fondata in Francia duecento anni fa da san Marcellino Champagnat. E nel recinto più o meno dorato delle scuole private si trovano le nuove generazioni di altre famiglie della nomenklatura: dai figli dell’imprenditore Alfio Marchini ai nipoti dell’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti. Insomma, la futura classe dirigente si mescola alla piazza ma poi torna sui banchi di scuole costose ed elitarie, ove si insegna il meglio con i mezzi migliori. Sorpresa: frequenta uno di questi istituti, il carissimo San Carlo di Milano, Giovanni. Ricordate? Giovanni è il tredicenne che si è guadagnato la standing ovation e i riflettori della stampa nella recente manifestazione del Palasharp di Milano: lì si è esibito per due minuti contro il presidente del consiglio. Il ragazzino ha puntato il dito contro il governo perché «parla di scuola pubblica solo per tagliarne i fondi». Legittimo, ci mancherebbe, tuonare contro la Gelmini. Lui però è al riparo dal piccone. I suoi genitori pagano rette salatissime al San Carlo. Per la cronaca, la madre è una delle animatrici di Giustizia & Libertà, il movimento che ha calamitato l’opposizione al Palasharp, ed è avvocato di fiducia di Carlo De Benedetti nel processo sul Lodo Mondadori. Insomma, l’opposizione è a tempo pieno, ma quando suona la campanella si cambia registro”. Lo stesso dicasi per la sanità che costoro, sempre in fregola d’identificarsi coi dannati della terra, pretendono sia pubblica salvo alla prima malattia o visita di controllo recarsi nelle più moderne cliniche private. Da D’Alema a Bertinotti non si salva nessuno, o meglio si salvano tutti perché possono permetterselo. A noi poveri mortali ci lasciano solo i peggiori bar di Caracas dove preferiamo ubriacarci per non dovergli dare retta. Concludo con un' ultima riflessione. I nostri governanti sanno insultarsi tra loro per ogni cosa ma non sanno proporre soluzioni per nulla. Diceva il grande Schopenhauer che colui che insulta dimostra con ciò di non essere in grado di addurre, contro l'altro, nulla di veritiero e di concreto, perchè altrimenti lo direbbe come promessa, lasciando a chi ha sentito la possibilità di trarre da sé le conclusioni; invece dà la conclusione e resta debitore delle premesse. Appunto. Quali conclusioni dovremmo trarre noi italiani da questo balletto di improperi bipartizan?
di Gianni Petrosillo

01 marzo 2011

L'ideologia dell'anti-stato

Dichiarato ufficialmente "contumace" alla ripresa del processo Mediaset, il presidente del Consiglio si lancia nel suo Vietnam giudiziario con una dissennata dichiarazione di guerra. E seleziona con precisione chirurgica i suoi "nemici": il presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Sono loro, le due massime istituzioni di garanzia, che gli impediscono di governare. Se "non gli piacciono" le leggi varate dal Consiglio dei ministri, Giorgio Napolitano le rinvia alle Camere, gli "ermellini rossi" le respingono.

Si avvera dunque la facile profezia che avevamo formulato solo una settimana fa. Altro che senso dello Stato, altro che tregua istituzionale: Silvio Berlusconi si prepara a consumare quel che resta della legislatura all'insegna del conflitto permanente. C'è da chiedersi perché lo fa. C'è da chiedersi quale vantaggio possa trarre lui stesso, da un'aggressione sistematica che destabilizza gli equilibri costituzionali e avvelena le relazioni istituzionali. Le sue parole, da questo punto di vista, si prestano a un doppio livello di analisi possibile.

In primo luogo c'è la strategia politica. Risolto con una scandalosa compravendita il duello contro Gianfranco Fini, rinsaldata a suon di prebende un'esangue maggioranza aritmetica, neutralizzato momentaneamente l'assedio dell'opposizione parlamentare, il premier ha ora un bisogno disperato di trovare altri "contro-poteri" e di additarli all'opinione pubblica come ostacoli insormontabili sul cammino della "modernizzazione". Sa che non potrà fare le "grandi riforme" promesse in campagna elettorale. Non potrà varare la storica "rivoluzione fiscale" che consentirà ai contribuenti di pagare meno tasse, perché non ha il coraggio di stanare l'evasione. Non potrà varare un serio pacchetto di "scossa" all'economia, perché non sa trovare le risorse necessarie. Non potrà varare un vero riordino della giustizia nell'interesse di tutti i cittadini, perché la sua unica ossessione è un "ordinamento ad personam" che consenta solo a lui di salvarsi dai suoi processi.

Il suo carniere è vuoto. E resterà vuoto di qui alla fine della legislatura, anticipata o naturale che sia. Per questo deve trovare un capro espiatorio, sul quale scaricare i suoi fallimenti e travestirli da "impedimenti". Il Quirinale e la Consulta sono due bersagli ottimali. Con il suo attacco frontale, il Cavaliere sta dicendo agli italiani: sappiate che se non sono riuscito a risolvere i vostri problemi la colpa non è mia, ma di chi ha demolito le mie leggi. Quello di Berlusconi è solo un gigantesco alibi, che nasconde una colossale bugia. Ma solo di questo, oggi, può vivere il suo sfibrato governo e la sua disastrata coalizione: alibi e bugie, su cui galleggiare fino al 2013, per poi tentare il grande salto sul Colle più alto. A dispetto degli scandali privati di cui è stato protagonista e dei disastri pubblici di cui è stato artefice.

In secondo luogo c'è la "filosofia" politica. E qui, purtroppo, il presidente del Consiglio non fa altro che confermare la natura tecnicamente eversiva del suo modo di intendere il governo e la dialettica tra i poteri, la Carta costituzionale e lo Stato di diritto. In una parola, la democrazia. È tecnicamente eversiva l'idea che il presidente della Repubblica o la Consulta possano rinviare o bocciare una legge "perché non gli piace": non lo sfiora nemmeno il dubbio che l'uno o l'altra, nel giudicare sulla legittimità di una norma, agiscano semplicemente in base alle prerogative fissate dalla Costituzione agli articoli 74, 87 e 134. È tecnicamente eversiva l'idea che in Parlamento "lavorano al massimo 50 persone, mentre tutti gli altri stanno lì a fare pettegolezzo": non lo sfiora nemmeno il sospetto che la trasfigurazione delle Camere in volgare "votificio" sia esattamente il risultato della torsione delle regole che lui stesso ha voluto e causato, con decreti omnibus piovuti sulle assemblee legislative e imposti a colpi di fiducia.

Ma qui sta davvero l'essenza del berlusconismo. Cioè quell'impasto deforme di plebiscitarismo e populismo, di violenza anti-politica e onnipotenza carismatica. Da questa miscela esplosiva, con tutta evidenza, nasce l'Anti-Stato che ormai il Cavaliere incarna, in tutte le sue forme più esasperate e conflittuali. In questa dimensione distruttiva, la stessa democrazia, con i suoi canoni e i suoi precetti, non è più il "luogo" nel quale ci si deve confrontare, ma diventa la "gabbia" dalla quale ci si deve liberare. Contro il popolo, in nome del popolo. "Dispotismo democratico", l'aveva definito Alexis de Tocqueville. Scriveva dall'America, due secoli fa. È una formula perfetta per l'Italia di oggi.
di massimo giannini

Lettera aperta a Benigni

Caro Roberto Benigni,

Con la Sua incursione a Sanremo, molti nostri compatrioti hanno provato, forse per la prima volta, il brivido di un'idea; hanno percepito la "gravità" della bellezza, la rilevanza nella storia e nel mondo della nostra, malconcia, nazione.

Condivido con essi il sentimento di riconoscenza nei Suoi confronti, per averci ricordato che possiamo andare fieri di essere italiani, che siamo figli di Dante, Petrarca, Leonardo da Vinci, Raffaello e Giuseppe Verdi, e che in Italia la cultura è nata prima ancora delle istituzioni politiche.

In effetti, i più grandi uomini di cultura, come Dante, Petrarca e Verdi, furono attivi politici (Dante come l'equivalente di un presidente del consiglio attuale; Petrarca condusse la diplomazia tra Firenze e Venezia, anche se gli costò la vita; Verdi fu senatore, e le sue opere avevano ispirato la resistenza popolare contro gli austriaci). Ai tempi di Dante, e della Firenze rinascimentale, in cui si chiosava Dante nelle chiese e nelle piazze, come fece anche Lei anni addietro, la parola "politica" non era una parolaccia, come è diventata recentemente, ma indicava la partecipazione del cittadino alla vita della città (polis).

Per noi che il 17 marzo festeggeremo il 150enario dell’unità d'Italia, e che annoveriamo tra i nostri avi degli eroi del Risorgimento (tra cui mio nonno, Michele Gorini, che combattè a Roma in quella battaglia del Vascello a margine della quale Mameli fu per errore ferito mortalmente ad una gamba), è importante, e di profonda rigenerazione morale, sapere che c’è un’altra Italia rispetto a quella che compare tutti i giorni sulle prima pagine dei giornali: c'è l'Italia fondata da giovani "pronti alla morte" per darci un futuro migliore, una nazione sovrana e non più schiava di imperi o di invasori stranieri.

Come Lei sa, il nostro movimento, rifacendosi al Rinascimento italiano, si batte in tutto il mondo per una "nuova politica", come l'ha definita l'economista e leader democratico americano Lyndon LaRouche anni fa, quando diede vita al suo movimento giovanile (LYM - LaRouche Youth Movement) che oggi mette in campo sei candidati al Congresso USA, e altri candidati in Germania e Francia, tutti tra i 20 e 30 anni, proprio per esprimere in modo esemplare la loro capacità di guida politica della nazione. Sono questi gli statisti del futuro, giovani che credono fermamente nella verità, nella passione per la scienza, per la musica, per ciò che distingue l'uomo dalle bestie, quell'uomo che nel racconto dantesco Ulisse esortò a non vivere "come bruti", ma a "seguir virtute e canoscenza".

Credo che, avendo commosso tantissimi e avendoli fatti sentire italiani con una certa freschezza d'animo, la Sua ode vada nella direzione della rapida creazione di una generazione di politici degni di questo nome, e degni dei nostri padri fondatori, anche in Italia.

Così come Le abbiamo espresso la nostra gratitudine per questo, non possiamo però non tacere che i modelli che Lei ha offerto sono da respingere nel più deciso dei modi. L'idea dell'Impero Romano e quella di Mazzini padre della Patria sono non solo falsi modelli, ma non corrispondono all'anima risorgimentale vera, quella che dobbiamo rilanciare se vogliamo un futuro per l'Italia. È vero che Scipione impedì il "governo mondiale" dei Fenici, ma l'unica cosa buona che Roma ha tramandato è ciò che assimilò dai Greci; espressione massima quel Cicerone che fu soppresso agli albori dell' Impero da Lei incautamente elogiato.

Così come il Mazzini figlio di quel Romanticismo di marca britannica, che nel rilanciare i fasti del modello imperiale romano rinato nel dominio britannico sul mondo e la sua utopia di "democrazia pura" trascinò tanti giovani patrioti, in avventure folli tese a ritardare il riscatto nazionale poi guidato dal Cavour. Quel Cavour che Lei purtroppo nemmeno ha menzionato e che rappresenta il vero Genio del Risorgimento, definito "l'unico vero statista europeo" dai nostri avversari.

Per questo, è necessario un secondo Risorgimento che rilanci l'idea prometeica dell'Italia e degli Italiani, questa volta non contro gli austriaci, ma contro le forze che a livello finanziario ne rappresentano l'eredità imperiale: la Banca Centrale Europea, il gruppo bancario Inter-Alpha, il Fondo Monetario Internazionale, ecc. responsabili della speculazione in derivati ed hedge fund, della crisi scoppiata nel 2007 ed anche dei salvataggi bancari degli ultimi anni, che non fanno che aggravarla.

Per far risorgere dalle ceneri la nostra economia, e dunque le speranze delle giovani generazioni, oggi votate al pessimismo e al nichilismo del"no future", occorrerà adottare le soluzioni proposte da LaRouche più di dieci anni fa: il ripristino della separazione tra banche ordinarie e banche d'affari, sancita dalla Legge Glass-Steagall durante la prima presidenza di Franklin D. Roosevelt nel 1933, per mettere fine alla Grande Depressione e aumentare la potenza industriale degli Stati Uniti (grazie alla quale, espressa essenzialmente in una superiorità logistica, e non grazie a Churchill, fu sconfitto il nazismo), la sostituzione dell'attuale sistema finanziario speculativo e usuraio con un sistema creditizio (la cosiddetta Nuova Bretton Woods presentata da LaRouche per la prima volta a Roma nel 1997) e grandi progetti infrastrutturali ad alta tecnologia (quali il NAWAPA, il Transaqua, il Ponte Terrestre Eurasiatico), che daranno lavoro in pochi mesi a decine di milioni di disoccupati, in Italia e nel mondo.

Ma il fondamento di tutto questo, come sanno i poeti "superni legislatori del mondo", è un'immagine dell'Uomo diversa da quella che va oggi per la maggiore: è la "viva immagine del Creatore" affermata dal Rinascimento, è la concezione dell'Umanità intorno alla quale dibatterono i nostri avi del Risorgimento; è la visione di un Uomo che pensa e agisce oltre l'orizzonte del dolore e del piacere, che sente il brivido delle idee e, de esse ispirato, dà pienezza alla sua esistenza battendosi per la promozione del Bene Comune, dei viventi e delle future generazioni.

Spero che Lei, così come i nostri tanti lettori, ci sosterrete in questo sforzo, e che l'Italia scopra presto tra i suoi figli tanti Mameli, impegnati in prima persona nel difendere, assieme alla propria dignità, la calpesta e derisa sovranità nazionale. Se saremo riusciti in questo intento, potremo prevenire una catastrofe demografica globale ed epocale, e potremo davvero dire di essere orgogliosi di essere italiani.

Liliana Gorini , presidente di MoviSol

02 marzo 2011

Scuola pubblica o privata?

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I nostri sono tempi bui in cui occorrerebbe focalizzare l’attenzione soprattutto sui drammatici ed eccezionali eventi che stanno trasformando la morfologia politica planetaria e che presto sconvolgeranno le vite di tutti noi, anche nella quotidianità lavorativa e culturale. Le formazioni sociali mondiali sono infatti trascinate nel vortice di grandi cambiamenti geopolitici che riconfigurano, passo dopo passo, i rapporti di forze tra le Potenze restituendoci un contesto epocale molto differente da quello attuale.

Tuttavia, non si può fare a meno di notare come nel quadro politico italiano i rivolgimenti internazionali in corso risultino quasi del tutto sussidiari ed accessori alle piccole beghe interne. Sono quest’ultime ad informare il clima generale che risulta viepiù asfittico e svigorito mentre occorrerebbe riposizionarsi, con nuovi strumenti concettuali, nelle correnti globali al fine di afferrare il senso delle metamorfosi in atto e magari trovare il sistema, per quanto possibile, di governarle a proprio favore. Ma purtroppo per noi, considerata la cifra cerebrale della nostra classe dirigente, ci troviamo a confrontarci con minuzie di poco conto che non ci avvicinano nemmeno di un millimetro ai grandi temi di domani. Tuttavia, pur con un spirito diverso, cioè con l’intento esplicito di rompere i fatui schematismi bipolari che accaldano e inveleniscono il dibattito politico peninsulare senza mai, et pour cause, dare risultati adeguati, dobbiamo entrare nel merito di questa corta visione per smascherarla agli occhi di chi non vuole rinunciare ad offrire al proprio Paese un orizzonte di possibilità meno angusto. L’ultima sciocca diatriba tra governo ed opposizione è scoppiata sulla scuola. Per il primo è fondamentale la libertà di scelta di famiglie e discenti che hanno diritto di costruire il proprio futuro secondo i propri gusti intellettuali, ma si tratta di un paravento ideologico che copre un pregiudizio ed uno sbilanciamento a favore degli istituti privati i quali rispondono meglio alle logiche di profitto. Per la seconda, invece, l’istruzione deve restare pubblica al fine di garantire l’accessibilità anche a chi non può permettersi di pagare rette troppo elevate. Ma anche in questo caso siamo di fronte ad una valutazione di comodo, più elettorale che sociale, poiché la sinistra considera il ceto degli insegnanti uno storico bacino di consenso da non scontentare con azioni avverse. Dai preconcetti reciproci nasce dunque una stanca battaglia che ha come unico effetto quello creare sistemi di protezione e di sinecure, tanto nel privato che nel pubblico, che fanno decadere il livello generale dell’istruzione in questa benedetta nazione. Di questo si alimenta la casta professorale, soprattutto statale, la quale, proprio come quella dei magistrati, considera il proprio luogo di lavoro un esclusivo possedimento dove non valgono le leggi del Parlamento ma al più le direttive del consiglio docenti. Innanzitutto, occorre ribadire che non è mai la forma giuridica della proprietà a determinare la migliore performatività delle organizzazioni che per essere efficaci ed efficienti devono essere ispirate da uomini intelligenti e da processi innovativi e al passo coi tempi. Detto ciò, ci conviene non schierarci con nessuna delle due parti perché quando a destra sviolinano sulle scuole private hanno in testa un’idea elitaria di insegnamento pagata in contanti, mentre a sinistra vige la classica doppiezza di chi agita la bisaccia del mendicante per stare col popolo ma sotto la manica volteggiante risulta vestito all’ultima moda. Difatti questi signori di sedicente sinistra dovrebbero spiegarci perché vanno in piazza contro qualsiasi riforma della scuola ma poi infilano i loro figli nei migliori istituti privati. Cito da un articolo riportato ieri su Il Giornale: “Le figlie di Francesco Rutelli, per esempio, sono state equamente divise fra due scuole: tutte e due private. Una si è iscritta ai liceo privato Kennedy, l’altra al prestigiosissimo collegio San Giuseppe de Merode, l’istituto dei Fratelli delle scuole cristiane che si affaccia, nientemeno, su Piazza di Spagna. «Per tutta la mia vita - ha spiegato lo stesso Rutelli al Giornale - io stesso e i miei familiari abbiamo frequentato sia scuole ed università pubbliche, sia non statali, cattoliche o laiche. Di volta in volta, è stata una scelta condivisa di figli e genitori». Anche la discendente dell’ex ministro dello sport Giovanna Melandri ha preso la direzione delle scuole paritarie: a casa Melandri prediligono il collegio San Giuseppe di via del Casaletto. Altri invece studiano in scuole estere: organizzate a meraviglia, utilissime per imparare una lingua e sprovincializzare il cervello, portandolo lontano dalle polemiche ombelicali di casa nostra: la figlia di Santoro va allo Chateaubriand, dove la prima lingua è il francese e l’italiano è terra straniera. Il figlio del regista Nanni Moretti è invece sintonizzato sull’inglese e cresce all’Ambrit International School, sempre nella capitale. Insomma, ai tradizionali istituti religiosi si affianca il meglio della cultura internazionale: enclave nel cuore della capitale in cui si respira l’aria di New York o di Parigi. L’elenco però è lungo e va continuamente aggiornato anche se molti di questi ragazzi, figli della sinistra chic, manifestano nelle occasioni canoniche mescolandosi ai ragazzi delle scuole pubbliche: si mettono dietro striscioni colorati e soffiano nei fischetti sempre a portata di mano. I discendenti di Anna Finocchiaro studiano in un istituto di Catania, l’ex ministro della Pubblica Istruzione Beppe Fioroni, il predecessore della Gelmini, ha paracadutato il rampollo al liceo scientifico Cardinal Ragonesi di Viterbo, curiosamente la stessa scuola frequentata da papà a suo tempo. Il Cardinal Ragonesi è gestito dai Fratelli Maristi, una congregazione religiosa fondata in Francia duecento anni fa da san Marcellino Champagnat. E nel recinto più o meno dorato delle scuole private si trovano le nuove generazioni di altre famiglie della nomenklatura: dai figli dell’imprenditore Alfio Marchini ai nipoti dell’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti. Insomma, la futura classe dirigente si mescola alla piazza ma poi torna sui banchi di scuole costose ed elitarie, ove si insegna il meglio con i mezzi migliori. Sorpresa: frequenta uno di questi istituti, il carissimo San Carlo di Milano, Giovanni. Ricordate? Giovanni è il tredicenne che si è guadagnato la standing ovation e i riflettori della stampa nella recente manifestazione del Palasharp di Milano: lì si è esibito per due minuti contro il presidente del consiglio. Il ragazzino ha puntato il dito contro il governo perché «parla di scuola pubblica solo per tagliarne i fondi». Legittimo, ci mancherebbe, tuonare contro la Gelmini. Lui però è al riparo dal piccone. I suoi genitori pagano rette salatissime al San Carlo. Per la cronaca, la madre è una delle animatrici di Giustizia & Libertà, il movimento che ha calamitato l’opposizione al Palasharp, ed è avvocato di fiducia di Carlo De Benedetti nel processo sul Lodo Mondadori. Insomma, l’opposizione è a tempo pieno, ma quando suona la campanella si cambia registro”. Lo stesso dicasi per la sanità che costoro, sempre in fregola d’identificarsi coi dannati della terra, pretendono sia pubblica salvo alla prima malattia o visita di controllo recarsi nelle più moderne cliniche private. Da D’Alema a Bertinotti non si salva nessuno, o meglio si salvano tutti perché possono permetterselo. A noi poveri mortali ci lasciano solo i peggiori bar di Caracas dove preferiamo ubriacarci per non dovergli dare retta. Concludo con un' ultima riflessione. I nostri governanti sanno insultarsi tra loro per ogni cosa ma non sanno proporre soluzioni per nulla. Diceva il grande Schopenhauer che colui che insulta dimostra con ciò di non essere in grado di addurre, contro l'altro, nulla di veritiero e di concreto, perchè altrimenti lo direbbe come promessa, lasciando a chi ha sentito la possibilità di trarre da sé le conclusioni; invece dà la conclusione e resta debitore delle premesse. Appunto. Quali conclusioni dovremmo trarre noi italiani da questo balletto di improperi bipartizan?
di Gianni Petrosillo

01 marzo 2011

L'ideologia dell'anti-stato

Dichiarato ufficialmente "contumace" alla ripresa del processo Mediaset, il presidente del Consiglio si lancia nel suo Vietnam giudiziario con una dissennata dichiarazione di guerra. E seleziona con precisione chirurgica i suoi "nemici": il presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Sono loro, le due massime istituzioni di garanzia, che gli impediscono di governare. Se "non gli piacciono" le leggi varate dal Consiglio dei ministri, Giorgio Napolitano le rinvia alle Camere, gli "ermellini rossi" le respingono.

Si avvera dunque la facile profezia che avevamo formulato solo una settimana fa. Altro che senso dello Stato, altro che tregua istituzionale: Silvio Berlusconi si prepara a consumare quel che resta della legislatura all'insegna del conflitto permanente. C'è da chiedersi perché lo fa. C'è da chiedersi quale vantaggio possa trarre lui stesso, da un'aggressione sistematica che destabilizza gli equilibri costituzionali e avvelena le relazioni istituzionali. Le sue parole, da questo punto di vista, si prestano a un doppio livello di analisi possibile.

In primo luogo c'è la strategia politica. Risolto con una scandalosa compravendita il duello contro Gianfranco Fini, rinsaldata a suon di prebende un'esangue maggioranza aritmetica, neutralizzato momentaneamente l'assedio dell'opposizione parlamentare, il premier ha ora un bisogno disperato di trovare altri "contro-poteri" e di additarli all'opinione pubblica come ostacoli insormontabili sul cammino della "modernizzazione". Sa che non potrà fare le "grandi riforme" promesse in campagna elettorale. Non potrà varare la storica "rivoluzione fiscale" che consentirà ai contribuenti di pagare meno tasse, perché non ha il coraggio di stanare l'evasione. Non potrà varare un serio pacchetto di "scossa" all'economia, perché non sa trovare le risorse necessarie. Non potrà varare un vero riordino della giustizia nell'interesse di tutti i cittadini, perché la sua unica ossessione è un "ordinamento ad personam" che consenta solo a lui di salvarsi dai suoi processi.

Il suo carniere è vuoto. E resterà vuoto di qui alla fine della legislatura, anticipata o naturale che sia. Per questo deve trovare un capro espiatorio, sul quale scaricare i suoi fallimenti e travestirli da "impedimenti". Il Quirinale e la Consulta sono due bersagli ottimali. Con il suo attacco frontale, il Cavaliere sta dicendo agli italiani: sappiate che se non sono riuscito a risolvere i vostri problemi la colpa non è mia, ma di chi ha demolito le mie leggi. Quello di Berlusconi è solo un gigantesco alibi, che nasconde una colossale bugia. Ma solo di questo, oggi, può vivere il suo sfibrato governo e la sua disastrata coalizione: alibi e bugie, su cui galleggiare fino al 2013, per poi tentare il grande salto sul Colle più alto. A dispetto degli scandali privati di cui è stato protagonista e dei disastri pubblici di cui è stato artefice.

In secondo luogo c'è la "filosofia" politica. E qui, purtroppo, il presidente del Consiglio non fa altro che confermare la natura tecnicamente eversiva del suo modo di intendere il governo e la dialettica tra i poteri, la Carta costituzionale e lo Stato di diritto. In una parola, la democrazia. È tecnicamente eversiva l'idea che il presidente della Repubblica o la Consulta possano rinviare o bocciare una legge "perché non gli piace": non lo sfiora nemmeno il dubbio che l'uno o l'altra, nel giudicare sulla legittimità di una norma, agiscano semplicemente in base alle prerogative fissate dalla Costituzione agli articoli 74, 87 e 134. È tecnicamente eversiva l'idea che in Parlamento "lavorano al massimo 50 persone, mentre tutti gli altri stanno lì a fare pettegolezzo": non lo sfiora nemmeno il sospetto che la trasfigurazione delle Camere in volgare "votificio" sia esattamente il risultato della torsione delle regole che lui stesso ha voluto e causato, con decreti omnibus piovuti sulle assemblee legislative e imposti a colpi di fiducia.

Ma qui sta davvero l'essenza del berlusconismo. Cioè quell'impasto deforme di plebiscitarismo e populismo, di violenza anti-politica e onnipotenza carismatica. Da questa miscela esplosiva, con tutta evidenza, nasce l'Anti-Stato che ormai il Cavaliere incarna, in tutte le sue forme più esasperate e conflittuali. In questa dimensione distruttiva, la stessa democrazia, con i suoi canoni e i suoi precetti, non è più il "luogo" nel quale ci si deve confrontare, ma diventa la "gabbia" dalla quale ci si deve liberare. Contro il popolo, in nome del popolo. "Dispotismo democratico", l'aveva definito Alexis de Tocqueville. Scriveva dall'America, due secoli fa. È una formula perfetta per l'Italia di oggi.
di massimo giannini

Lettera aperta a Benigni

Caro Roberto Benigni,

Con la Sua incursione a Sanremo, molti nostri compatrioti hanno provato, forse per la prima volta, il brivido di un'idea; hanno percepito la "gravità" della bellezza, la rilevanza nella storia e nel mondo della nostra, malconcia, nazione.

Condivido con essi il sentimento di riconoscenza nei Suoi confronti, per averci ricordato che possiamo andare fieri di essere italiani, che siamo figli di Dante, Petrarca, Leonardo da Vinci, Raffaello e Giuseppe Verdi, e che in Italia la cultura è nata prima ancora delle istituzioni politiche.

In effetti, i più grandi uomini di cultura, come Dante, Petrarca e Verdi, furono attivi politici (Dante come l'equivalente di un presidente del consiglio attuale; Petrarca condusse la diplomazia tra Firenze e Venezia, anche se gli costò la vita; Verdi fu senatore, e le sue opere avevano ispirato la resistenza popolare contro gli austriaci). Ai tempi di Dante, e della Firenze rinascimentale, in cui si chiosava Dante nelle chiese e nelle piazze, come fece anche Lei anni addietro, la parola "politica" non era una parolaccia, come è diventata recentemente, ma indicava la partecipazione del cittadino alla vita della città (polis).

Per noi che il 17 marzo festeggeremo il 150enario dell’unità d'Italia, e che annoveriamo tra i nostri avi degli eroi del Risorgimento (tra cui mio nonno, Michele Gorini, che combattè a Roma in quella battaglia del Vascello a margine della quale Mameli fu per errore ferito mortalmente ad una gamba), è importante, e di profonda rigenerazione morale, sapere che c’è un’altra Italia rispetto a quella che compare tutti i giorni sulle prima pagine dei giornali: c'è l'Italia fondata da giovani "pronti alla morte" per darci un futuro migliore, una nazione sovrana e non più schiava di imperi o di invasori stranieri.

Come Lei sa, il nostro movimento, rifacendosi al Rinascimento italiano, si batte in tutto il mondo per una "nuova politica", come l'ha definita l'economista e leader democratico americano Lyndon LaRouche anni fa, quando diede vita al suo movimento giovanile (LYM - LaRouche Youth Movement) che oggi mette in campo sei candidati al Congresso USA, e altri candidati in Germania e Francia, tutti tra i 20 e 30 anni, proprio per esprimere in modo esemplare la loro capacità di guida politica della nazione. Sono questi gli statisti del futuro, giovani che credono fermamente nella verità, nella passione per la scienza, per la musica, per ciò che distingue l'uomo dalle bestie, quell'uomo che nel racconto dantesco Ulisse esortò a non vivere "come bruti", ma a "seguir virtute e canoscenza".

Credo che, avendo commosso tantissimi e avendoli fatti sentire italiani con una certa freschezza d'animo, la Sua ode vada nella direzione della rapida creazione di una generazione di politici degni di questo nome, e degni dei nostri padri fondatori, anche in Italia.

Così come Le abbiamo espresso la nostra gratitudine per questo, non possiamo però non tacere che i modelli che Lei ha offerto sono da respingere nel più deciso dei modi. L'idea dell'Impero Romano e quella di Mazzini padre della Patria sono non solo falsi modelli, ma non corrispondono all'anima risorgimentale vera, quella che dobbiamo rilanciare se vogliamo un futuro per l'Italia. È vero che Scipione impedì il "governo mondiale" dei Fenici, ma l'unica cosa buona che Roma ha tramandato è ciò che assimilò dai Greci; espressione massima quel Cicerone che fu soppresso agli albori dell' Impero da Lei incautamente elogiato.

Così come il Mazzini figlio di quel Romanticismo di marca britannica, che nel rilanciare i fasti del modello imperiale romano rinato nel dominio britannico sul mondo e la sua utopia di "democrazia pura" trascinò tanti giovani patrioti, in avventure folli tese a ritardare il riscatto nazionale poi guidato dal Cavour. Quel Cavour che Lei purtroppo nemmeno ha menzionato e che rappresenta il vero Genio del Risorgimento, definito "l'unico vero statista europeo" dai nostri avversari.

Per questo, è necessario un secondo Risorgimento che rilanci l'idea prometeica dell'Italia e degli Italiani, questa volta non contro gli austriaci, ma contro le forze che a livello finanziario ne rappresentano l'eredità imperiale: la Banca Centrale Europea, il gruppo bancario Inter-Alpha, il Fondo Monetario Internazionale, ecc. responsabili della speculazione in derivati ed hedge fund, della crisi scoppiata nel 2007 ed anche dei salvataggi bancari degli ultimi anni, che non fanno che aggravarla.

Per far risorgere dalle ceneri la nostra economia, e dunque le speranze delle giovani generazioni, oggi votate al pessimismo e al nichilismo del"no future", occorrerà adottare le soluzioni proposte da LaRouche più di dieci anni fa: il ripristino della separazione tra banche ordinarie e banche d'affari, sancita dalla Legge Glass-Steagall durante la prima presidenza di Franklin D. Roosevelt nel 1933, per mettere fine alla Grande Depressione e aumentare la potenza industriale degli Stati Uniti (grazie alla quale, espressa essenzialmente in una superiorità logistica, e non grazie a Churchill, fu sconfitto il nazismo), la sostituzione dell'attuale sistema finanziario speculativo e usuraio con un sistema creditizio (la cosiddetta Nuova Bretton Woods presentata da LaRouche per la prima volta a Roma nel 1997) e grandi progetti infrastrutturali ad alta tecnologia (quali il NAWAPA, il Transaqua, il Ponte Terrestre Eurasiatico), che daranno lavoro in pochi mesi a decine di milioni di disoccupati, in Italia e nel mondo.

Ma il fondamento di tutto questo, come sanno i poeti "superni legislatori del mondo", è un'immagine dell'Uomo diversa da quella che va oggi per la maggiore: è la "viva immagine del Creatore" affermata dal Rinascimento, è la concezione dell'Umanità intorno alla quale dibatterono i nostri avi del Risorgimento; è la visione di un Uomo che pensa e agisce oltre l'orizzonte del dolore e del piacere, che sente il brivido delle idee e, de esse ispirato, dà pienezza alla sua esistenza battendosi per la promozione del Bene Comune, dei viventi e delle future generazioni.

Spero che Lei, così come i nostri tanti lettori, ci sosterrete in questo sforzo, e che l'Italia scopra presto tra i suoi figli tanti Mameli, impegnati in prima persona nel difendere, assieme alla propria dignità, la calpesta e derisa sovranità nazionale. Se saremo riusciti in questo intento, potremo prevenire una catastrofe demografica globale ed epocale, e potremo davvero dire di essere orgogliosi di essere italiani.

Liliana Gorini , presidente di MoviSol