03 aprile 2011

Libia: gli insorti e il popolo

Gli insorti rappresentano senza dubbio l'elemento più oscuro e controverso della guerra in Libia, pur essendo la difesa della loro incolumità il fattore preso a pretesto dall'ONU per scatenare i bombardamenti.
Nell'immaginario di alcuni si tratta di una parte del popolo libico che sta lottando per liberarsi dalla dittatura e conquistare l'agognata democrazia.
Secondo altre fonti sono costituiti da oppositori di Gheddafi e nostalgici della monarchia che tentano di spodestare il Raiss per appropiarsi delle immense risorse petrolifere del paese, ben più appetibili di quanto non lo possa essere la democrazia.
Altre fonti ancora mettono in evidenza la pesante ingerenza occidentale, nell'organizzare, armare ed inquadrare (anche con l'ausilio di elementi delle truppe speciali inglesi) i ribelli, affinchè deponessero Gheddafi ed instaurassero un nuovo regime di proprio gradimento.
Qualcuno ha già perfino individuato nella persona di Mahmoud Jibril, ex direttore dell’Ufficio nazionale per lo sviluppo economico (Nedb) del governo libico, grande privatizzatore, nonchè altrettanto grande amico di Washington, il fantoccio deputato a sostituire Gheddafi quando la guerra sarà finita....
Anche a fronte di tanta mole d'informazioni resta comunque molto difficile inquadrare l'esatta natura e composizione della ribellione nata a Bengasi, sebbene alcuni elementi saltino comunque subito all'occhio.
La partecipazione popolare all'insurrezione è estremamente marginale e non regge il confronto con quanto accaduto in Tunisia ed in Egitto. Niente folle oceaniche e niente masse di cittadini esasperati distribuite sul territorio.
Le motivazioni di tipo economico mancano, non essendo il popolo libico ridotto alla fame, come lo erano quello tunisino ed egiziano.
La rivolta si è delineata fin da subito come un'insurrezione armata e non una protesta di piazza, dal momento che "la piazza" è stata praticamente inesistente.
La fame di democrazia e libertà non è l'elemento che muove gli insorti, molto più interessati al potere ed alla gestione dei pozzi petroliferi.
Gli insorti sono stati generosamente "aiutati" dalle potenze occidentali, altrimenti non si spiegherebbe l'immane quantità di pick up nuovi di zecca, con mitragliatrici e lanciamissili a bordo di cui dispongono.
Nonostante gli "aiuti" generosi passati sottobanco e quelli ancora più generosi che i volenterosi stanno meditando di destinare ufficialmente agli insorti sotto forma di armamento pesante in gentile concessione, l'impressione è comunque che le forze dei ribelli non possiedano la capacità di sconfiggere l'esercito di Gheddafi e conquistare il potere.
Non tanto a causa della loro inferiorità numerica o della minore potenzialità di armamenti, ma anche e soprattutto perchè nel loro cammino di conquista si ritroveranno a fare i conti, oltre che con i soldati, anche con il popolo libico che in larga parte del paese appoggia Gheddaffi e non è certo disposto ad accoglierli in città come i liberatori.

Per ironia della sorte, il più grande problema che si pone sulla strada degli insorti, spalleggiati dall'ONU e dalle potenze occidentali, potrebbe proprio essere costituito da quello stesso popolo libico che la risoluzione dell'ONU si proponeva di difendere da Gheddafi, ed ora violentato dai bombardamenti "umanitari" sembra stringersi intorno al Raiss.
Che qualcuno alla Casa Bianca abbia sbagliato i calcoli?
di Marco Cedolin

02 aprile 2011

Rispetto per Lampedusa. Rispetto per l’Italia

In Libia c’è la guerra. In Italia una crisi economica da cui non c’è verso di uscire. E in un momento così drammatico la politica oscilla tra gli appelli “patriottici” di Napolitano e le sparate auto celebrative del presidente del Consiglio. Che ieri ha dato fondo al peggio del suo repertorio



Fa pena dover mettere a confronto la dignità della gente di Lampedusa con la buffoneria di Berlusconi. Tanto quelli mantengono un comportamento solidale coi migranti ma non prono all’ingiustizia di doverne sopportare da soli l’invasione, quanto il clown di Palazzo Chigi non perde l’occasione di prodursi nell’ennesimo show da avanspettacolo. «Anche io diventerò lampedusano. Sono andato su Internet e ho comprato una casa a Cala Francese, si chiama "Le Due Palme"», è arrivato a dire in faccia a quegli eroici isolani che vivono in mezzo alla sporcizia, esposti al rischio di epidemie, di giorno impegnati a dare una mano ai soccorsi e di sera tappati in casa per paura di furti e rapine da parte di stranieri affamati (fra i quali c’è, e non potrebbe essere altrimenti, anche qualche genuino delinquente). Non pago delle sue stomachevoli battute, si è prodigato nel consueto sfoggio di promesse che non manterrà: il Nobel per la Pace per l'isola, una moratoria fiscale, previdenziale e bancaria perché Lampedusa diventi zona franca, un piano per il turismo. Naturalmente ha già trovato il nome da far riecheggiare nell’etere propagandistico: operazione “Lampedusa pulita”. «Nelle prossime 48-60 ore l'isola sarà abitata solo dai lampedusani». Come a Napoli per la munnezza. Come il Patto con gli Italiani firmato in tv dal maggiordomo Vespa. Come l’incalcolabile trafila di balle rifilate all’Italia credulona in questi infiniti diciassette anni di “nuovi miracoli italiani”.

Ma dico io: a un tiro di schioppo da noi, nell’ex alleata Libia, si sta consumando una guerra civile a cui l’Occidente, avido di affari, ha pensato bene di sovrapporre una scellerata guerra di conquista, il suolo nazionale è investito da un esodo di fuggiaschi che non siamo preparati ad affrontare, il ministero degli Interni viene sbeffeggiato dalle Regioni che non ne vogliono sapere di accoglierli secondo il piano di spartizione, e il nostro capo del governo insiste e persiste nel fare di un momento così delicato e drammatico l’ennesimo comizio in vista delle prossime elezioni amministrative? D’accordo che ci ha abituato a tutto, ma prego e spero che i fieri lampedusani abbiano un ulteriore scatto d’orgoglio e anche se in queste ore la collaborazione con la Tunisia rendesse possibile lo svuotamento dell’isola, alzino ancora il tono della protesta che già aveva toccato picchi di tensione col blocco del porto da parte dei pescatori e con la catena umana delle donne per impedire altri sbarchi. Berlusconi è la politica che sputa sulla sofferenza, dei suoi compatrioti e dei disperati che vengono qui a sommare disperazione a disperazione.

Perché è inutile far finta che l’immigrazione sia un problema controllabile coi flussi burocratici, coi patti d’acciaio (e si è visto, l’acciaio) con dittatori ricattatori, o con le porte spalancate sempre e comunque e con chiunque. La migrazione di africani e asiatici, specialmente giovani (spesso istruiti e vogliosi d’integrarsi, come i tunisini stipati a Lampedusa), è un processo storico inarrestabile. Sempre che non si arresti il cammino della globalizzazione dei mercati e degli stili di vita, che induce popolazioni contaminate dal miraggio del “benessere” occidentale a trasferirsi in Europa. Oppure, al rovescio, sarebbe ora di rompere il tabù delle braccia aperte a tutti i costi e cominciare a dire la verità: siamo già troppi. Il nostro paese è sovrappopolato, trovare un lavoro decente è diventato un terno al lotto, imperversa una silenziosa e feroce guerra fra poveri in cui a farcela sono raccomandati, favorite e paggi del signore di turno, la maggior parte delle lauree non serve a un beneamato, l’economia non tira e quando lo fa – gli dei abbiano sempre in gloria i piccoli imprenditori, che a volte si suicidano per la vergogna di non poter pagare i dipendenti - è per grazia ricevuta dai vampiri delle banche, e con tutto ciò dovremmo fare gli incoscienti buoni samaritani condannando tutti, noi e i forestieri, a una miscela di disoccupazione, frustrazione e criminalità?

Eh no, non se ne può più. È vero che spesso i nostri ragazzi sono delle fighette laccate che disdegnano la fatica e il posto umile, ma è anche vero che questa è un preciso orientamento della società figlia della “innovazione” e della “conoscenza”, cioè della scomparsa della manifattura e dell’agricoltura soppiantate dalla metastasi del superfluo, dei “servizi” e della finanza. I colpevoli sono i loro genitori, che dopo il “boom” dei trent’anni gloriosi (anni ’50-’70) e il declino dei trent’anni accidiosi (anni ’80-2000), si sono adagiati sulla rendita di un modello economico-sociale che è crollato sotto i colpi del mercato unico mondiale. Il modello di vita, sparso in ogni angolo del pianeta grazie alle nuove tecnologie, ha fatto il resto e il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi: masse di poveri che premono ai nostri confini per essere un po’ meno poveri ma rendendoci tutti più miseri dal momento che il loro arrivo a frotte abbassa il costo della manodopera facendo la felicità dei padroni del vapore e l’infelicità dei lavoratori.

Se esistesse un’Unione Europa degna di tal nome, sua sarebbe la missione di regolamentare e gestire l’ingresso di extracomunitari secondo una regia unica. Ma per questo occorrerebbe che il continente europeo si desse una missione a monte: fondare un sistema di sviluppo interno il più possibile autonomo dalle cupole finanziarie e industriali che manovrano a tavolino le politiche economiche degli Stati. Per ora il consesso internazionale è talmente succube degli appetiti da business (vedi la Francia che sbava per mettere le mani sulla Libia) che giunge a calpestare ogni logica utilitaria e di buonsenso fino ad escludere in un consiglio di guerra la nazione più esposta e più interessata a sovrintendere al futuro di Tripoli, l’Italia, includendo invece la Germania che non partecipa neanche alle operazioni. Per uno schiaffo simile il nostro governo dovrebbe come minimo revocare l’uso delle basi aeree da cui decollano i voli di bombardamento.

Ma avercelo, un governo. In sua vece abbiamo un comico che dà spettacolo mentre è immerso fino al collo nel fango di processi gravissimi e umilianti per noi sudditi che ne subiamo le piazzate ogni santo giorno. E poi Napolitano osa anche venirci a parlare di patria e di coesione nazionale. Vada a dirlo a Lampedusa.
di Alessio Mannino

01 aprile 2011

Fora de ball

Non ci poteva essere più disgraziata celebrazione del 150 dell'Unità d'Italia della guerra di Libia e del marasma che ci avrebbe investito. E' come se fossimo stati colpiti a tradimento da una grossa randellata sulla testa, tanto grossa che ancora barcolliamo e non sappiamo come tenerci in piedi. Usa, Francia, Inghilterra preparavano da mesi la ribellione armata dei banditi libici tenendo contatti intensi con i rivoltosi sia in Libia come a Parigi o Londra. Non ne abbiamo saputo niente. Di quanto bolliva in pentola siamo stati tenuti all'oscuro dai servizi segreti del nostro Esercito che probabilmente si sente molto "americano" e molto "Nato" ed assai poco patriottico e dai servizi della Farnesina e della Presidenza del Consiglio. Quando l'attacco alla Libia era questione di ore non abbiamo saputo che cosa fare e non abbiamo saputo e potuto fare l'unica cosa giusta : dire no alla guerra, negare le basi militari, impedire l' aggressione alla Libia. Cosa realistica perchè senza l'Italia gli alleati non avrebbero potuto fare molto. Ma la preoccupazione dei nostri governanti e della opposizione non è stata quella di combattere la guerra e tutelare gli interessi della pace in una zona geostrategica per la nostra sic urezza ma di farci perdonare i nostri trascorsi con Gheddafi ed unirci in qualche modo alla spedizione coloniale che si approntava nelle anticamere della Casa Bianca. Un disastro terribile dal momento che abbiamo in Libia interessi colossali essenziali per la tenuta dell'Italia e che avremmo dovuto sopportare l'immigrazione in Italia alimentata da una base di tre milioni di africani fino ad oggi immigrati in Libia. Avendo mostrato viltà e debolezza ora siamo invisi a Dio ed ai nemici suoi. Gheddafi ci considera traditori, gli americani masticano amaro e si vendicano dei nostri rapporti triangolari con la Libia e la Russia, i francesi vogliono accaparrarsi del nostro posto in Libia e gli inglesi sono pronti a ripristinare la base militare che Gheddafi ha smantellato quarantadue anni orsono. Lampedusa viene presa d'assalto da migliaia di tunisini Berlusconi si dedica ad uno dei suoi show preferiti. Si reca a Lampedusa, compra un villone per accattivarsi la concittadinanza, promette che smaltirà al più presto l'enorme ammasso di tunisini che vaga per l'Isola. Intanto alla camera dei deputati si scrivono le pagine più nere però di un altro pianeta che non c'entra niente con quello che accade alle porte dell'Italia: il Ministro La Russa aggredisce il Presidente Fini con linguaggio volgarissimo e scoppiano tumulti per il cosidetto "processo breve" che Berlusconi vuole per farla franca con il processo Mills- Su rainew24 si trasmette la conferenza stampa in diretta di Maroni. Il Viminale ha fatto una ripartizione dei tunisini in

alcune regioni d'Italia tutte centro-meridionali ad eccezione della Liguria. A seguito delle veementi proteste decide di individuare altre sette tendopoli nel Nord finora escluso anche per obbedire all'editto di Bossi: "fora e ball" rivolto ai migranti. I quali migranti scappano da Manduria, attraversano l'Italia, giungono a Ventimiglia ma la Francia blocca il valico. I migranti improvvisano cortei di protesta. Tornano indietro. Non sanno dove stare. Un casino di cui nessuno riesce più a dipanarne la matassa aggrovigliata.

Spettacolo inverecondo offerto dal Governo vile e piagnucoloso, dal Parlamento che infierisce sulle ferite dell'Italia piuttosto che dichiarare l'Italia zona di pace chiudendo le basi militari alla Nato ed anche dalle Regioni che giocano tutte a rimpiattino con il Governo e tra di loro al fine di scaricare al più fesso (nel caso Vendola per Manduria o Lombardo per la Sicilia) l'arrivo e la sistemazione dei migranti. C'è intanto un enorme girotondo di navi, di aerei, di pulman di gente che va e gente che viene.....

Non siamo nè uno Stato nè una Nazione. Il governo non difende gli interessi nazionali

ma si preoccupa di non essere "posato" dalla signora Clinton e dal signor Obama. Cosa che questi signori hanno fatto, tanto fatto da ringraziare l'Italia per l'aiuto offerto agli alleati.

Non credo che USA, Gran Bretagna e Francia si ringraziino tra di loro. Si ringrazia l'Italia come la cameriera che è tanto tanto servizievole e brava e tanto masochista da spararsi sui piedi...

La prosperità della Libia ha impedito finora l'afflusso di migranti in Italia. La Libia ha assorbito inoltre migliaia e migliaia di nostri tecnici, ingegneri, specialisti che sono già tornati in Italia e sarà difficile trovare per loro del lavoro. Ora l'Italia sarà sommersa da una valanga umana. Il Canale di Sicilia sarà traversato da quanti cercheranno di sfuggire al dopo Gheddafi e quanti sono stati truffati dalle rivoluzioni con conclusione controrivoluzionaria della Tunisia e dell'Egitto. L'Italia potrebbe sfasciarsi sulla questione immigrazione assai di più che sul federalismo o altre cose. Intanto sebbene i discorsi di Napolitano all'ONU ed agli italo-americani vorrebbero dimostrare il contrario, l'Italia sta tornando ad essere una mera "espressione geografica".
di Pietro Ancona

03 aprile 2011

Libia: gli insorti e il popolo

Gli insorti rappresentano senza dubbio l'elemento più oscuro e controverso della guerra in Libia, pur essendo la difesa della loro incolumità il fattore preso a pretesto dall'ONU per scatenare i bombardamenti.
Nell'immaginario di alcuni si tratta di una parte del popolo libico che sta lottando per liberarsi dalla dittatura e conquistare l'agognata democrazia.
Secondo altre fonti sono costituiti da oppositori di Gheddafi e nostalgici della monarchia che tentano di spodestare il Raiss per appropiarsi delle immense risorse petrolifere del paese, ben più appetibili di quanto non lo possa essere la democrazia.
Altre fonti ancora mettono in evidenza la pesante ingerenza occidentale, nell'organizzare, armare ed inquadrare (anche con l'ausilio di elementi delle truppe speciali inglesi) i ribelli, affinchè deponessero Gheddafi ed instaurassero un nuovo regime di proprio gradimento.
Qualcuno ha già perfino individuato nella persona di Mahmoud Jibril, ex direttore dell’Ufficio nazionale per lo sviluppo economico (Nedb) del governo libico, grande privatizzatore, nonchè altrettanto grande amico di Washington, il fantoccio deputato a sostituire Gheddafi quando la guerra sarà finita....
Anche a fronte di tanta mole d'informazioni resta comunque molto difficile inquadrare l'esatta natura e composizione della ribellione nata a Bengasi, sebbene alcuni elementi saltino comunque subito all'occhio.
La partecipazione popolare all'insurrezione è estremamente marginale e non regge il confronto con quanto accaduto in Tunisia ed in Egitto. Niente folle oceaniche e niente masse di cittadini esasperati distribuite sul territorio.
Le motivazioni di tipo economico mancano, non essendo il popolo libico ridotto alla fame, come lo erano quello tunisino ed egiziano.
La rivolta si è delineata fin da subito come un'insurrezione armata e non una protesta di piazza, dal momento che "la piazza" è stata praticamente inesistente.
La fame di democrazia e libertà non è l'elemento che muove gli insorti, molto più interessati al potere ed alla gestione dei pozzi petroliferi.
Gli insorti sono stati generosamente "aiutati" dalle potenze occidentali, altrimenti non si spiegherebbe l'immane quantità di pick up nuovi di zecca, con mitragliatrici e lanciamissili a bordo di cui dispongono.
Nonostante gli "aiuti" generosi passati sottobanco e quelli ancora più generosi che i volenterosi stanno meditando di destinare ufficialmente agli insorti sotto forma di armamento pesante in gentile concessione, l'impressione è comunque che le forze dei ribelli non possiedano la capacità di sconfiggere l'esercito di Gheddafi e conquistare il potere.
Non tanto a causa della loro inferiorità numerica o della minore potenzialità di armamenti, ma anche e soprattutto perchè nel loro cammino di conquista si ritroveranno a fare i conti, oltre che con i soldati, anche con il popolo libico che in larga parte del paese appoggia Gheddaffi e non è certo disposto ad accoglierli in città come i liberatori.

Per ironia della sorte, il più grande problema che si pone sulla strada degli insorti, spalleggiati dall'ONU e dalle potenze occidentali, potrebbe proprio essere costituito da quello stesso popolo libico che la risoluzione dell'ONU si proponeva di difendere da Gheddafi, ed ora violentato dai bombardamenti "umanitari" sembra stringersi intorno al Raiss.
Che qualcuno alla Casa Bianca abbia sbagliato i calcoli?
di Marco Cedolin

02 aprile 2011

Rispetto per Lampedusa. Rispetto per l’Italia

In Libia c’è la guerra. In Italia una crisi economica da cui non c’è verso di uscire. E in un momento così drammatico la politica oscilla tra gli appelli “patriottici” di Napolitano e le sparate auto celebrative del presidente del Consiglio. Che ieri ha dato fondo al peggio del suo repertorio



Fa pena dover mettere a confronto la dignità della gente di Lampedusa con la buffoneria di Berlusconi. Tanto quelli mantengono un comportamento solidale coi migranti ma non prono all’ingiustizia di doverne sopportare da soli l’invasione, quanto il clown di Palazzo Chigi non perde l’occasione di prodursi nell’ennesimo show da avanspettacolo. «Anche io diventerò lampedusano. Sono andato su Internet e ho comprato una casa a Cala Francese, si chiama "Le Due Palme"», è arrivato a dire in faccia a quegli eroici isolani che vivono in mezzo alla sporcizia, esposti al rischio di epidemie, di giorno impegnati a dare una mano ai soccorsi e di sera tappati in casa per paura di furti e rapine da parte di stranieri affamati (fra i quali c’è, e non potrebbe essere altrimenti, anche qualche genuino delinquente). Non pago delle sue stomachevoli battute, si è prodigato nel consueto sfoggio di promesse che non manterrà: il Nobel per la Pace per l'isola, una moratoria fiscale, previdenziale e bancaria perché Lampedusa diventi zona franca, un piano per il turismo. Naturalmente ha già trovato il nome da far riecheggiare nell’etere propagandistico: operazione “Lampedusa pulita”. «Nelle prossime 48-60 ore l'isola sarà abitata solo dai lampedusani». Come a Napoli per la munnezza. Come il Patto con gli Italiani firmato in tv dal maggiordomo Vespa. Come l’incalcolabile trafila di balle rifilate all’Italia credulona in questi infiniti diciassette anni di “nuovi miracoli italiani”.

Ma dico io: a un tiro di schioppo da noi, nell’ex alleata Libia, si sta consumando una guerra civile a cui l’Occidente, avido di affari, ha pensato bene di sovrapporre una scellerata guerra di conquista, il suolo nazionale è investito da un esodo di fuggiaschi che non siamo preparati ad affrontare, il ministero degli Interni viene sbeffeggiato dalle Regioni che non ne vogliono sapere di accoglierli secondo il piano di spartizione, e il nostro capo del governo insiste e persiste nel fare di un momento così delicato e drammatico l’ennesimo comizio in vista delle prossime elezioni amministrative? D’accordo che ci ha abituato a tutto, ma prego e spero che i fieri lampedusani abbiano un ulteriore scatto d’orgoglio e anche se in queste ore la collaborazione con la Tunisia rendesse possibile lo svuotamento dell’isola, alzino ancora il tono della protesta che già aveva toccato picchi di tensione col blocco del porto da parte dei pescatori e con la catena umana delle donne per impedire altri sbarchi. Berlusconi è la politica che sputa sulla sofferenza, dei suoi compatrioti e dei disperati che vengono qui a sommare disperazione a disperazione.

Perché è inutile far finta che l’immigrazione sia un problema controllabile coi flussi burocratici, coi patti d’acciaio (e si è visto, l’acciaio) con dittatori ricattatori, o con le porte spalancate sempre e comunque e con chiunque. La migrazione di africani e asiatici, specialmente giovani (spesso istruiti e vogliosi d’integrarsi, come i tunisini stipati a Lampedusa), è un processo storico inarrestabile. Sempre che non si arresti il cammino della globalizzazione dei mercati e degli stili di vita, che induce popolazioni contaminate dal miraggio del “benessere” occidentale a trasferirsi in Europa. Oppure, al rovescio, sarebbe ora di rompere il tabù delle braccia aperte a tutti i costi e cominciare a dire la verità: siamo già troppi. Il nostro paese è sovrappopolato, trovare un lavoro decente è diventato un terno al lotto, imperversa una silenziosa e feroce guerra fra poveri in cui a farcela sono raccomandati, favorite e paggi del signore di turno, la maggior parte delle lauree non serve a un beneamato, l’economia non tira e quando lo fa – gli dei abbiano sempre in gloria i piccoli imprenditori, che a volte si suicidano per la vergogna di non poter pagare i dipendenti - è per grazia ricevuta dai vampiri delle banche, e con tutto ciò dovremmo fare gli incoscienti buoni samaritani condannando tutti, noi e i forestieri, a una miscela di disoccupazione, frustrazione e criminalità?

Eh no, non se ne può più. È vero che spesso i nostri ragazzi sono delle fighette laccate che disdegnano la fatica e il posto umile, ma è anche vero che questa è un preciso orientamento della società figlia della “innovazione” e della “conoscenza”, cioè della scomparsa della manifattura e dell’agricoltura soppiantate dalla metastasi del superfluo, dei “servizi” e della finanza. I colpevoli sono i loro genitori, che dopo il “boom” dei trent’anni gloriosi (anni ’50-’70) e il declino dei trent’anni accidiosi (anni ’80-2000), si sono adagiati sulla rendita di un modello economico-sociale che è crollato sotto i colpi del mercato unico mondiale. Il modello di vita, sparso in ogni angolo del pianeta grazie alle nuove tecnologie, ha fatto il resto e il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi: masse di poveri che premono ai nostri confini per essere un po’ meno poveri ma rendendoci tutti più miseri dal momento che il loro arrivo a frotte abbassa il costo della manodopera facendo la felicità dei padroni del vapore e l’infelicità dei lavoratori.

Se esistesse un’Unione Europa degna di tal nome, sua sarebbe la missione di regolamentare e gestire l’ingresso di extracomunitari secondo una regia unica. Ma per questo occorrerebbe che il continente europeo si desse una missione a monte: fondare un sistema di sviluppo interno il più possibile autonomo dalle cupole finanziarie e industriali che manovrano a tavolino le politiche economiche degli Stati. Per ora il consesso internazionale è talmente succube degli appetiti da business (vedi la Francia che sbava per mettere le mani sulla Libia) che giunge a calpestare ogni logica utilitaria e di buonsenso fino ad escludere in un consiglio di guerra la nazione più esposta e più interessata a sovrintendere al futuro di Tripoli, l’Italia, includendo invece la Germania che non partecipa neanche alle operazioni. Per uno schiaffo simile il nostro governo dovrebbe come minimo revocare l’uso delle basi aeree da cui decollano i voli di bombardamento.

Ma avercelo, un governo. In sua vece abbiamo un comico che dà spettacolo mentre è immerso fino al collo nel fango di processi gravissimi e umilianti per noi sudditi che ne subiamo le piazzate ogni santo giorno. E poi Napolitano osa anche venirci a parlare di patria e di coesione nazionale. Vada a dirlo a Lampedusa.
di Alessio Mannino

01 aprile 2011

Fora de ball

Non ci poteva essere più disgraziata celebrazione del 150 dell'Unità d'Italia della guerra di Libia e del marasma che ci avrebbe investito. E' come se fossimo stati colpiti a tradimento da una grossa randellata sulla testa, tanto grossa che ancora barcolliamo e non sappiamo come tenerci in piedi. Usa, Francia, Inghilterra preparavano da mesi la ribellione armata dei banditi libici tenendo contatti intensi con i rivoltosi sia in Libia come a Parigi o Londra. Non ne abbiamo saputo niente. Di quanto bolliva in pentola siamo stati tenuti all'oscuro dai servizi segreti del nostro Esercito che probabilmente si sente molto "americano" e molto "Nato" ed assai poco patriottico e dai servizi della Farnesina e della Presidenza del Consiglio. Quando l'attacco alla Libia era questione di ore non abbiamo saputo che cosa fare e non abbiamo saputo e potuto fare l'unica cosa giusta : dire no alla guerra, negare le basi militari, impedire l' aggressione alla Libia. Cosa realistica perchè senza l'Italia gli alleati non avrebbero potuto fare molto. Ma la preoccupazione dei nostri governanti e della opposizione non è stata quella di combattere la guerra e tutelare gli interessi della pace in una zona geostrategica per la nostra sic urezza ma di farci perdonare i nostri trascorsi con Gheddafi ed unirci in qualche modo alla spedizione coloniale che si approntava nelle anticamere della Casa Bianca. Un disastro terribile dal momento che abbiamo in Libia interessi colossali essenziali per la tenuta dell'Italia e che avremmo dovuto sopportare l'immigrazione in Italia alimentata da una base di tre milioni di africani fino ad oggi immigrati in Libia. Avendo mostrato viltà e debolezza ora siamo invisi a Dio ed ai nemici suoi. Gheddafi ci considera traditori, gli americani masticano amaro e si vendicano dei nostri rapporti triangolari con la Libia e la Russia, i francesi vogliono accaparrarsi del nostro posto in Libia e gli inglesi sono pronti a ripristinare la base militare che Gheddafi ha smantellato quarantadue anni orsono. Lampedusa viene presa d'assalto da migliaia di tunisini Berlusconi si dedica ad uno dei suoi show preferiti. Si reca a Lampedusa, compra un villone per accattivarsi la concittadinanza, promette che smaltirà al più presto l'enorme ammasso di tunisini che vaga per l'Isola. Intanto alla camera dei deputati si scrivono le pagine più nere però di un altro pianeta che non c'entra niente con quello che accade alle porte dell'Italia: il Ministro La Russa aggredisce il Presidente Fini con linguaggio volgarissimo e scoppiano tumulti per il cosidetto "processo breve" che Berlusconi vuole per farla franca con il processo Mills- Su rainew24 si trasmette la conferenza stampa in diretta di Maroni. Il Viminale ha fatto una ripartizione dei tunisini in

alcune regioni d'Italia tutte centro-meridionali ad eccezione della Liguria. A seguito delle veementi proteste decide di individuare altre sette tendopoli nel Nord finora escluso anche per obbedire all'editto di Bossi: "fora e ball" rivolto ai migranti. I quali migranti scappano da Manduria, attraversano l'Italia, giungono a Ventimiglia ma la Francia blocca il valico. I migranti improvvisano cortei di protesta. Tornano indietro. Non sanno dove stare. Un casino di cui nessuno riesce più a dipanarne la matassa aggrovigliata.

Spettacolo inverecondo offerto dal Governo vile e piagnucoloso, dal Parlamento che infierisce sulle ferite dell'Italia piuttosto che dichiarare l'Italia zona di pace chiudendo le basi militari alla Nato ed anche dalle Regioni che giocano tutte a rimpiattino con il Governo e tra di loro al fine di scaricare al più fesso (nel caso Vendola per Manduria o Lombardo per la Sicilia) l'arrivo e la sistemazione dei migranti. C'è intanto un enorme girotondo di navi, di aerei, di pulman di gente che va e gente che viene.....

Non siamo nè uno Stato nè una Nazione. Il governo non difende gli interessi nazionali

ma si preoccupa di non essere "posato" dalla signora Clinton e dal signor Obama. Cosa che questi signori hanno fatto, tanto fatto da ringraziare l'Italia per l'aiuto offerto agli alleati.

Non credo che USA, Gran Bretagna e Francia si ringraziino tra di loro. Si ringrazia l'Italia come la cameriera che è tanto tanto servizievole e brava e tanto masochista da spararsi sui piedi...

La prosperità della Libia ha impedito finora l'afflusso di migranti in Italia. La Libia ha assorbito inoltre migliaia e migliaia di nostri tecnici, ingegneri, specialisti che sono già tornati in Italia e sarà difficile trovare per loro del lavoro. Ora l'Italia sarà sommersa da una valanga umana. Il Canale di Sicilia sarà traversato da quanti cercheranno di sfuggire al dopo Gheddafi e quanti sono stati truffati dalle rivoluzioni con conclusione controrivoluzionaria della Tunisia e dell'Egitto. L'Italia potrebbe sfasciarsi sulla questione immigrazione assai di più che sul federalismo o altre cose. Intanto sebbene i discorsi di Napolitano all'ONU ed agli italo-americani vorrebbero dimostrare il contrario, l'Italia sta tornando ad essere una mera "espressione geografica".
di Pietro Ancona