03 maggio 2011

Il cadavere di Bin Laden è stato nel ghiaccio per circa un decennio


Una moltitudine di fonti diverse, sia pubbliche che private, incluse quella di un individuo che ha lavorato personalmente con Bin Laden, ci ha riferito in prima persona che il cadavere di Osama è rimasto nel ghiaccio per almeno un decennio e che la sua ‘morte’ sarebbe stata annunciata nel momento politico più propizio.

L’ora è scoccata con
la presentazione di una foto falsa vecchia di cinque anni come la sola prova della presunta uccisione avvenuta ieri, mentre il corpo di Bin Laden sarebbe stato precipitosamente buttato in mare per prevenire a chiunque di scoprire quando sarebbe effettivamente morto.

Nell’aprile del 2002, il membro del Consiglio delle Relazioni Estere, Steve R. Pieczenik, che ha ricoperto l’incarico di Assistente Segretario di Stato sotto Henry Kissinger, Cyrus Vance e James Bake, ha detto all’Alex Jones Show che Bin Laden era già “morto da mesi”.

Pieczenik è sicuramente nella posizione per conoscere queste informazioni, avendo lavorato direttamente con Bin Laden quando gli Stati Uniti stava armando e finanziando il supremo terrorista nel tentativo di espellere i Sovietici dall’Afghanistan alla fine degli anni ’70 e nei primi anni ’80 (un fatto storico documentato che i pappagalli nei media stanno negando oggi in vista degli ultimi sviluppi).

“Ho lavorato con Osama bin Laden nel ’78 e nell’81”, sono le parole di Pieczenik, che ha aggiunto che poi venne trasformato in un terrorista da cacciare nelle seguenti amministrazioni.

Pieczenik ha riferito a Jones durante l’intervista del 24 aprile del 2002: “Avevo scoperto attraverso le mie fonti che aveva una malattia ai reni. E, come medico, sapevo che aveva due macchine per la dialisi e che stava morendo.”

“E questo lo si può vedere nei filmati, queste foto truccate che ci vengono spedite non si sa da dove. Io dico che, improvvisamente, si potrebbe vedere un video di bin Laden che viene fuori dal nulla e ci diranno che ce l’hanno mandato in modo anonimo, di modo che qualcuno nel governo, nel nostro governo, riesca a tenere il morale alto, e dirci ancora che hanno rintracciato il tizio quando, in realtà, era morto da mesi ", aggiunse Pieczenik.

Pieczenik ha poi affermato che il videotape di un grasso Bin Laden, dove si prende la ‘responsabilità’ per l’11 settembre e che fu realizzato nel dicembre del 2001, era “un imbroglio assoluto”, realizzato per “manipolare” la gente nel periodo di grande emotività che seguì l’11 settembre.

La guerra successiva in Afghanistan che ha seguito l’11 settembre fu orchestrata “con l’accordo della famiglia di bin Laden, sapendo perfettamente che sarebbe comunque morto”, sono le parole di Pieczenik. “E io credo che Musharraf, il Presidente del Pakistan, ha invontariamente spifferato il tutto tre mesi fa quando disse che Bin Laden era già morto perché le macchine che gli servivano per la dialisi furono distrutte nell’Est Afghanistan.”

In aggiunta a Pieczenik, così come riportato nell’agosto 2002, Alex Jones fu informato da una fonte di alto livello interna al Partito Repubblicano sul fatto che Bin Laden fosse morto e che il suo cadavere veniva tenuto ‘sotto ghiaccio’ fino al momento in cui la sua morte potesse essere annunciata al “momento politicamente più propizio”.

Quando Jones chiese alla sua fonte se questa dichiarazione fosse solo una speculazione o se fosse vera, la fonte stessa reiterò il fatto che era morto sul serio e che il corpo di Bin Laden era “fisicamente nel ghiaccio” in attesa di essere tirato fuori per il pubblico consumo al momento più opportuno.

Molti si aspettavano che il momento fosse prima delle elezioni del 2004, ma, dopo che i Democratici iniziarono a pensare a questa possibilità, i Repubblicani realizzarono un falso videotape di Osama che fu fatto uscire alla vigilia delle elezioni e, in base alle parole sia di George W. Bush che di John Kerry, fu il fattore decisivo per la lotta tanto ravvicinata che avvenne in quelle elezioni.

Il conduttore televisivo di lungo corso Walter Cronkite ha etichettato tutta questa farsa come un allestimento orchestrato da Karl Rove.

In aggiunta a ciò, c'è un profluvio di altre fonti, sia dell’amministrazione statale che di agenti professionisti d’intelligence registrate negli ultimi nove anni, che suggeriscono l'idea secondo la quale Bin Laden fosse molto probabilmente già morto e che era lampante che la salute del leader di Al-Qaeda fosse in rapido declino a causa della malattia ai reni già dalla fine del 2001. Tra questi possiamo includere:

- l’ex ufficiale della CIA, rispettatissimo esperto di intelligence e di politica estera, Robert Baer, che nel 2008 quando gli fu chiesto di Bin Laden da un conduttore radiofonico, rispose: “Ma certo che è morto”;

- il 26 dicembre del 2001, Fox News, citando una storia del Pakistan Observer, ha riportato che i Talegani afgani avevano dichiarato che Bin Laden era morto e che lo avevano sepolto in una fossa non segnalata;

- il 18 gennaio del 2002 il presidente pakistano Pervez Musharraf annunciò: “Io credo che, francamente, sia morto”;

- il 17 luglio del 2002 l’allora capo dell’antiterrorismo all’FBI, Dale Watson, riferì a una conferenza di funzionari per l’inasprimento delle leggi: “Personalmente credo che egli [Bin Laden] non è probabilmente più con noi”;

- nell’ottobre del 2002 il presidente afghano Hamid Karzai disse alla CNN: “Sono arrivato a credere che [Bin Laden] probabilmente è morto”;

- nel 2003 l’ex Segretario di Stato Madeleine Albright disse all’analista di Fox News Channel, Morton Kondracke, di sospettare che Bush sapeva dove si trovasse Osama Bin Laden e che stesse aspettando il momento politicamente più propizio per annunciarne la cattura;

- nel novembre del 2005 il Senatore Harry Reid rivelò che gli era stato riferito che Osama poteva esser deceduto nel terremoto avvenuto in Pakistan nell’ottobre di quell’anno;

-
nel febbraio del 2007 il professor Bruce Lawrence, direttore del programmi di Studi Religiosi alla Duke University, affermò che il video e i nastri che riprendevano Bin Laden erano falsi e che probabilmente era già morto.

- il 2 novembre del 2007, l’ex Primo Ministro pakistano Benazir Bhutto disse a David Frost di Al Jazeera che Omar Sheikh aveva ucciso Osama Bin Laden.

- nel marzo del 2009, l’ex dirigente dei servizi segreti esteri degli USA e professore di relazioni internazionali alla Boston University Angelo Codevilla affermò: “Tutte le prove suggeriscono che Elvis Presley sia più vivo di quanto non sia Osama Bin Laden.”

- nel maggio del 2009,
il presidente pakistano Asif Ali Zardari confermò che la sua ‘controparte’ nell’agenzia d’intelligence USA non aveva avuto alcuna notizia di Bin Laden negli ultimi sette anni e ripeté: “Non credo che sia vivo”.

In un certo modo, l’establishment era praticamente obbligato a annunciare la morte di qualcuno la cui fumosa esistenza si è rivelata molto utile per mantenere in uno stato di paura e di incertezza la popolazione statunitense e quella di tutto il mondo.

Il fatto è che il mito dietro Al Qaeda è stato completamente demolito visto che il gruppo, in base a una miriade di rivelazioni, tra cui quella della visita al Pentagono di Anwar Al-Alawki dopo l’11 settembre, è oramai considerato una creazione dell’intelligence USA e, ora che Al Qaeda verrà nascosta sottoil tappeto, sarà necessario inventarsi un nuovo nemico per legittimare il proseguimento del dominio delle forze armate USA su tutto il globo.
di Paul Joseph Watson

*********************

Paul Joseph Watson è l’editore e scrive su Prison Planet.com. È l’autore di “Order Out Of Chaos”. Watson è un frequente ospite dell’Alex Jones Show.

02 maggio 2011

Una brutta favola










E’ bastata una telefonata del Presidente più giovane, abbronzato e convincente che ci sia per far cambiare idea al Premier più basso, tarchiato ed incompetente che l’Italia abbia mai avuto. Il cigno nero ha tramortito il brutto anatroccolo che non ha più alcuna speranza di crescere politicamente. Il mezzo Cavaliere con la mascherina da sodomita dopo aver dichiarato alla stampa di mezzo mondo che il nostro Paese mai avrebbe bombardato la Libia per non rinfocolare un passato infame di colonialismo ai danni del popolo nordafricano - col quale avevamo anche firmato un contratto di “risarcimento danni imperiali” al fine di accontentare il beduino della Sirte affamato di consenso e i belluini capitalisti nostrani affamati di commesse - si è rimangiato tutto associandosi ai 12 Stati che in questo momento stanno portando la democrazia a Tripoli col piombo e col sangue.

Adesso i bravi ragazzi della civiltà sono finalmente 13, come gli apostoli muniti di traditore. Il bacio della modernità seppellirà per sempre la Libia e la politica mediterranea del Belpaese a favore di statunitensi, francesi ed inglesi. Ma B. pare lo stesso accontentarsi ed invece di far sentire le saette all’altro nanetto di Parigi che crede di essere il Principe Azzurro o l’Angelo castigatore di ex modelle, magari ostacolando l’acquisto francese della Parmalat (non perché quest’ultima sia azienda strategica ma solo per far loro capire che non siamo la cenerentola del continente), gioca a vestire i panni della Bella addormentata nel bosco. Sembra una fiaba per bambini innestata su parabole bibliche, tra folletti, cavalieri, principi, fanciulle in abito da sposa e iscarioti pagati in dollari ma è invece un brutto incubo che porterà la nazione alla sfacelo in campo internazionale. Persino un re Travicello avrebbe fatto meno danni di questi presunti statisti di destra e di sinistra che si sentono eroi ma non hanno fegato né cervello. E come in ogni fiaba che si rispetti non poteva mancare nemmeno il Drago, anzi il Draghi. Il nostro presidente di Bankitalia è stato accreditato anche dai francesi, dopo aver ricevuto l’imprimatur dei Tedeschi, a guidare la BCE. Un buon affare, non per noi ovviamente visto che Draghi è solo la traduzione italiana dell’americano Dragons, creatura mitico-leggendaria partorita nel caveau della newyorkese Goldman Sachs. Un mostro che non sputa fuoco ma sentenze di morte sull’economia nazionale, una creatura serpentina che anziché volare preferisce farsi trasportare sui panfili reali come il Britannia per svendere le fortune statali. Così invece di farci un piacere la Francia ci dà il colpo di grazia. C’era una volta l’Italia libera e bella, più bella che libera a dir la verità, ed oggi non c’è più nemmeno quella. Qui ormai vivono tutti infelici e scontenti.
di Gianni Petrosillo

01 maggio 2011

La nuova emigrazione è quella dei ricchi: talenti e risorse se ne vanno

I ricchi cinesi emigrano. È forse questa la scoperta più curiosa del 2011 China Private Wealth Study, a cura della China Merchants Bank e dell'agenzia di consulenza Bain & Company.
È una nuova onda iniziata da un paio d'anni, che segue quella degli intellettuali (anni Settanta) e dei "talenti tecnologici" (anni Novanta).
Il Dragone, terra promessa per chi vuole fare business o comunque svoltare collocandosi nella parte più dinamica del mondo, si trasforma automaticamente in un luogo da cui fuggire mano a mano che il patrimonio sale.

Almeno il sessanta per cento dei cinesi ad alto reddito è emigrato all'estero o ha intenzione di farlo. Per "alto reddito" si intendono gli individui che dispongono di almeno 10 milioni di yuan (poco più di un milione di euro) da investire. Attualmente sono circa 500mila; se la media si attesta sui 30 milioni (poco meno di 3 milioni e 150mila euro) di patrimonio, tra di loro c'è anche un'élite di ricchissimi - circa ventimila persone - che dispone di almeno 100 milioni di yuan (10 milioni di euro e briciole). La fetta di ricchezza complessiva di cui dispongono questi paperoni cinesi è stimata sui 15mila miliardi di yuan e dovrebbe salire a 18mila miliardi il prossimo anno.

Emigrano soprattutto negli Usa, in Canada, Gran Bretagna e Australia. Paesi dove trovano migliori scuole per i loro figli e schemi pensionistici più vantaggiosi. Queste sono le ragioni che i più indicano all'origine della propria scelta. Le tasse invece non c'entrano, visto che solo il sei per cento dichiara di andarsene dalla Cina per l'eccessivo carico fiscale.
Nessun riferimento a un'eventuale scelta politica, ma forse non era quello l'oggetto d'indagine della ricerca. D'altra parte stiamo parlando del ceto di nuovi ricchi che ha beneficiato delle peculiarità insite nel sistema cinese, al suo interno ha costruito le proprie fortune anche grazie alla deregulation nel mercato del lavoro e alla compressione dei salari. Perché dovrebbero criticarlo?
Se ne vanno grazie a speciali programmi messi i piedi dai Paesi che li ospitano e che legano permessi di immigrazione a investimenti in loco. I laowai (stranieri) accolgono loro ma, soprattutto, i loro portafogli.

E così noi li vediamo fare shopping nelle capitali del mondo - soprattutto quello anglosassone - senza sapere che proprio lì vivono. A volte, qualche governo si preoccupa un po'. Così, per esempio, di fronte al raddoppiamento dell'immigrazione cinese tra il 2008 e il 2010, il Canada ha pensato bene di raddoppiare anche il livello minimo di investimento per concedere il visto: almeno 1,6 milioni di dollari canadesi (poco più di un milione di euro) in patrimonio netto. Li vogliamo ricchi, ma ricchi davvero.

Questo esodo pone un paio di quesiti alla Cina stessa.
Primo. Quanta ricchezza di quella che i ricchi emigranti esportano con la propria persona ritorna poi in Cina sotto forma di rimesse o nuovi investimenti?
Secondo (collegato al primo). Il Dragone non riconosce la doppia nazionalità. Se uno emigra, perde il passaporto cinese. Non sarà forse il caso di rivedere questa normativa per evitare che un ricco se ne vada definitivamente, senza restituire nulla al Celeste Impero?

Su Global Times - versione pop del Quotidiano del popolo - un commento stigmatizza il fenomeno e si chiede come arginarlo. Chiunque - si legge - ha diritto di investire e risiedere dove gli pare, ma il fatto che questo determini un fuggi fuggi di ricchezze e (soprattutto) talenti rivela che è proprio il sistema cinese a non funzionare. O a non funzionare più.
Bisogna quindi offrire più qualità di vita, sia ai ricchi sia ai poveri, e Global Times insiste su un'idea allargata di welfare: "Le persone che dispongono di grandi fortune perseguono uno stile di vita altamente qualitativo, ma in Cina il welfare pubblico e i servizi, come l'istruzione e l'assistenza sanitaria, sono ben lungi dal soddisfare le aspettative della gente comune, figuriamoci dei ricchi.
Un esempio è quello della sicurezza alimentare. Recenti statistiche rivelano che, se il 99,8 dei generi alimentari destinati all'esportazione rispettano i requisiti di sicurezza, la percentuale destinata al mercato interno scende sotto il 90 per cento."

È una soluzione che tiene insieme i destini di chi ha e chi non ha: tutti vogliono migliorare il proprio status, nessuno vuol finire avvelenato da cibi più scadenti di quelli export-oriented.
Ma non tiene conto del fatto che gli interessi, con i redditi, divergono. Quando si parla di welfare, ci vuole qualcuno che lo finanzi attraverso tasse e investimenti sul territorio. Il multimilionario che salta sul primo aereo per Vancouver non sembra di questo avviso.

La Cina riscopre le divisione in classi e proprio nel momento in cui vuole ridurre il divario tra ricchi e poveri, è pugnalata alle spalle dai suoi paperoni: quelli che proprio il sistema ha prodotto e che oggi non accettano di redistribuire le proprie risorse.
di Gabriele Battaglia

03 maggio 2011

Il cadavere di Bin Laden è stato nel ghiaccio per circa un decennio


Una moltitudine di fonti diverse, sia pubbliche che private, incluse quella di un individuo che ha lavorato personalmente con Bin Laden, ci ha riferito in prima persona che il cadavere di Osama è rimasto nel ghiaccio per almeno un decennio e che la sua ‘morte’ sarebbe stata annunciata nel momento politico più propizio.

L’ora è scoccata con
la presentazione di una foto falsa vecchia di cinque anni come la sola prova della presunta uccisione avvenuta ieri, mentre il corpo di Bin Laden sarebbe stato precipitosamente buttato in mare per prevenire a chiunque di scoprire quando sarebbe effettivamente morto.

Nell’aprile del 2002, il membro del Consiglio delle Relazioni Estere, Steve R. Pieczenik, che ha ricoperto l’incarico di Assistente Segretario di Stato sotto Henry Kissinger, Cyrus Vance e James Bake, ha detto all’Alex Jones Show che Bin Laden era già “morto da mesi”.

Pieczenik è sicuramente nella posizione per conoscere queste informazioni, avendo lavorato direttamente con Bin Laden quando gli Stati Uniti stava armando e finanziando il supremo terrorista nel tentativo di espellere i Sovietici dall’Afghanistan alla fine degli anni ’70 e nei primi anni ’80 (un fatto storico documentato che i pappagalli nei media stanno negando oggi in vista degli ultimi sviluppi).

“Ho lavorato con Osama bin Laden nel ’78 e nell’81”, sono le parole di Pieczenik, che ha aggiunto che poi venne trasformato in un terrorista da cacciare nelle seguenti amministrazioni.

Pieczenik ha riferito a Jones durante l’intervista del 24 aprile del 2002: “Avevo scoperto attraverso le mie fonti che aveva una malattia ai reni. E, come medico, sapevo che aveva due macchine per la dialisi e che stava morendo.”

“E questo lo si può vedere nei filmati, queste foto truccate che ci vengono spedite non si sa da dove. Io dico che, improvvisamente, si potrebbe vedere un video di bin Laden che viene fuori dal nulla e ci diranno che ce l’hanno mandato in modo anonimo, di modo che qualcuno nel governo, nel nostro governo, riesca a tenere il morale alto, e dirci ancora che hanno rintracciato il tizio quando, in realtà, era morto da mesi ", aggiunse Pieczenik.

Pieczenik ha poi affermato che il videotape di un grasso Bin Laden, dove si prende la ‘responsabilità’ per l’11 settembre e che fu realizzato nel dicembre del 2001, era “un imbroglio assoluto”, realizzato per “manipolare” la gente nel periodo di grande emotività che seguì l’11 settembre.

La guerra successiva in Afghanistan che ha seguito l’11 settembre fu orchestrata “con l’accordo della famiglia di bin Laden, sapendo perfettamente che sarebbe comunque morto”, sono le parole di Pieczenik. “E io credo che Musharraf, il Presidente del Pakistan, ha invontariamente spifferato il tutto tre mesi fa quando disse che Bin Laden era già morto perché le macchine che gli servivano per la dialisi furono distrutte nell’Est Afghanistan.”

In aggiunta a Pieczenik, così come riportato nell’agosto 2002, Alex Jones fu informato da una fonte di alto livello interna al Partito Repubblicano sul fatto che Bin Laden fosse morto e che il suo cadavere veniva tenuto ‘sotto ghiaccio’ fino al momento in cui la sua morte potesse essere annunciata al “momento politicamente più propizio”.

Quando Jones chiese alla sua fonte se questa dichiarazione fosse solo una speculazione o se fosse vera, la fonte stessa reiterò il fatto che era morto sul serio e che il corpo di Bin Laden era “fisicamente nel ghiaccio” in attesa di essere tirato fuori per il pubblico consumo al momento più opportuno.

Molti si aspettavano che il momento fosse prima delle elezioni del 2004, ma, dopo che i Democratici iniziarono a pensare a questa possibilità, i Repubblicani realizzarono un falso videotape di Osama che fu fatto uscire alla vigilia delle elezioni e, in base alle parole sia di George W. Bush che di John Kerry, fu il fattore decisivo per la lotta tanto ravvicinata che avvenne in quelle elezioni.

Il conduttore televisivo di lungo corso Walter Cronkite ha etichettato tutta questa farsa come un allestimento orchestrato da Karl Rove.

In aggiunta a ciò, c'è un profluvio di altre fonti, sia dell’amministrazione statale che di agenti professionisti d’intelligence registrate negli ultimi nove anni, che suggeriscono l'idea secondo la quale Bin Laden fosse molto probabilmente già morto e che era lampante che la salute del leader di Al-Qaeda fosse in rapido declino a causa della malattia ai reni già dalla fine del 2001. Tra questi possiamo includere:

- l’ex ufficiale della CIA, rispettatissimo esperto di intelligence e di politica estera, Robert Baer, che nel 2008 quando gli fu chiesto di Bin Laden da un conduttore radiofonico, rispose: “Ma certo che è morto”;

- il 26 dicembre del 2001, Fox News, citando una storia del Pakistan Observer, ha riportato che i Talegani afgani avevano dichiarato che Bin Laden era morto e che lo avevano sepolto in una fossa non segnalata;

- il 18 gennaio del 2002 il presidente pakistano Pervez Musharraf annunciò: “Io credo che, francamente, sia morto”;

- il 17 luglio del 2002 l’allora capo dell’antiterrorismo all’FBI, Dale Watson, riferì a una conferenza di funzionari per l’inasprimento delle leggi: “Personalmente credo che egli [Bin Laden] non è probabilmente più con noi”;

- nell’ottobre del 2002 il presidente afghano Hamid Karzai disse alla CNN: “Sono arrivato a credere che [Bin Laden] probabilmente è morto”;

- nel 2003 l’ex Segretario di Stato Madeleine Albright disse all’analista di Fox News Channel, Morton Kondracke, di sospettare che Bush sapeva dove si trovasse Osama Bin Laden e che stesse aspettando il momento politicamente più propizio per annunciarne la cattura;

- nel novembre del 2005 il Senatore Harry Reid rivelò che gli era stato riferito che Osama poteva esser deceduto nel terremoto avvenuto in Pakistan nell’ottobre di quell’anno;

-
nel febbraio del 2007 il professor Bruce Lawrence, direttore del programmi di Studi Religiosi alla Duke University, affermò che il video e i nastri che riprendevano Bin Laden erano falsi e che probabilmente era già morto.

- il 2 novembre del 2007, l’ex Primo Ministro pakistano Benazir Bhutto disse a David Frost di Al Jazeera che Omar Sheikh aveva ucciso Osama Bin Laden.

- nel marzo del 2009, l’ex dirigente dei servizi segreti esteri degli USA e professore di relazioni internazionali alla Boston University Angelo Codevilla affermò: “Tutte le prove suggeriscono che Elvis Presley sia più vivo di quanto non sia Osama Bin Laden.”

- nel maggio del 2009,
il presidente pakistano Asif Ali Zardari confermò che la sua ‘controparte’ nell’agenzia d’intelligence USA non aveva avuto alcuna notizia di Bin Laden negli ultimi sette anni e ripeté: “Non credo che sia vivo”.

In un certo modo, l’establishment era praticamente obbligato a annunciare la morte di qualcuno la cui fumosa esistenza si è rivelata molto utile per mantenere in uno stato di paura e di incertezza la popolazione statunitense e quella di tutto il mondo.

Il fatto è che il mito dietro Al Qaeda è stato completamente demolito visto che il gruppo, in base a una miriade di rivelazioni, tra cui quella della visita al Pentagono di Anwar Al-Alawki dopo l’11 settembre, è oramai considerato una creazione dell’intelligence USA e, ora che Al Qaeda verrà nascosta sottoil tappeto, sarà necessario inventarsi un nuovo nemico per legittimare il proseguimento del dominio delle forze armate USA su tutto il globo.
di Paul Joseph Watson

*********************

Paul Joseph Watson è l’editore e scrive su Prison Planet.com. È l’autore di “Order Out Of Chaos”. Watson è un frequente ospite dell’Alex Jones Show.

02 maggio 2011

Una brutta favola










E’ bastata una telefonata del Presidente più giovane, abbronzato e convincente che ci sia per far cambiare idea al Premier più basso, tarchiato ed incompetente che l’Italia abbia mai avuto. Il cigno nero ha tramortito il brutto anatroccolo che non ha più alcuna speranza di crescere politicamente. Il mezzo Cavaliere con la mascherina da sodomita dopo aver dichiarato alla stampa di mezzo mondo che il nostro Paese mai avrebbe bombardato la Libia per non rinfocolare un passato infame di colonialismo ai danni del popolo nordafricano - col quale avevamo anche firmato un contratto di “risarcimento danni imperiali” al fine di accontentare il beduino della Sirte affamato di consenso e i belluini capitalisti nostrani affamati di commesse - si è rimangiato tutto associandosi ai 12 Stati che in questo momento stanno portando la democrazia a Tripoli col piombo e col sangue.

Adesso i bravi ragazzi della civiltà sono finalmente 13, come gli apostoli muniti di traditore. Il bacio della modernità seppellirà per sempre la Libia e la politica mediterranea del Belpaese a favore di statunitensi, francesi ed inglesi. Ma B. pare lo stesso accontentarsi ed invece di far sentire le saette all’altro nanetto di Parigi che crede di essere il Principe Azzurro o l’Angelo castigatore di ex modelle, magari ostacolando l’acquisto francese della Parmalat (non perché quest’ultima sia azienda strategica ma solo per far loro capire che non siamo la cenerentola del continente), gioca a vestire i panni della Bella addormentata nel bosco. Sembra una fiaba per bambini innestata su parabole bibliche, tra folletti, cavalieri, principi, fanciulle in abito da sposa e iscarioti pagati in dollari ma è invece un brutto incubo che porterà la nazione alla sfacelo in campo internazionale. Persino un re Travicello avrebbe fatto meno danni di questi presunti statisti di destra e di sinistra che si sentono eroi ma non hanno fegato né cervello. E come in ogni fiaba che si rispetti non poteva mancare nemmeno il Drago, anzi il Draghi. Il nostro presidente di Bankitalia è stato accreditato anche dai francesi, dopo aver ricevuto l’imprimatur dei Tedeschi, a guidare la BCE. Un buon affare, non per noi ovviamente visto che Draghi è solo la traduzione italiana dell’americano Dragons, creatura mitico-leggendaria partorita nel caveau della newyorkese Goldman Sachs. Un mostro che non sputa fuoco ma sentenze di morte sull’economia nazionale, una creatura serpentina che anziché volare preferisce farsi trasportare sui panfili reali come il Britannia per svendere le fortune statali. Così invece di farci un piacere la Francia ci dà il colpo di grazia. C’era una volta l’Italia libera e bella, più bella che libera a dir la verità, ed oggi non c’è più nemmeno quella. Qui ormai vivono tutti infelici e scontenti.
di Gianni Petrosillo

01 maggio 2011

La nuova emigrazione è quella dei ricchi: talenti e risorse se ne vanno

I ricchi cinesi emigrano. È forse questa la scoperta più curiosa del 2011 China Private Wealth Study, a cura della China Merchants Bank e dell'agenzia di consulenza Bain & Company.
È una nuova onda iniziata da un paio d'anni, che segue quella degli intellettuali (anni Settanta) e dei "talenti tecnologici" (anni Novanta).
Il Dragone, terra promessa per chi vuole fare business o comunque svoltare collocandosi nella parte più dinamica del mondo, si trasforma automaticamente in un luogo da cui fuggire mano a mano che il patrimonio sale.

Almeno il sessanta per cento dei cinesi ad alto reddito è emigrato all'estero o ha intenzione di farlo. Per "alto reddito" si intendono gli individui che dispongono di almeno 10 milioni di yuan (poco più di un milione di euro) da investire. Attualmente sono circa 500mila; se la media si attesta sui 30 milioni (poco meno di 3 milioni e 150mila euro) di patrimonio, tra di loro c'è anche un'élite di ricchissimi - circa ventimila persone - che dispone di almeno 100 milioni di yuan (10 milioni di euro e briciole). La fetta di ricchezza complessiva di cui dispongono questi paperoni cinesi è stimata sui 15mila miliardi di yuan e dovrebbe salire a 18mila miliardi il prossimo anno.

Emigrano soprattutto negli Usa, in Canada, Gran Bretagna e Australia. Paesi dove trovano migliori scuole per i loro figli e schemi pensionistici più vantaggiosi. Queste sono le ragioni che i più indicano all'origine della propria scelta. Le tasse invece non c'entrano, visto che solo il sei per cento dichiara di andarsene dalla Cina per l'eccessivo carico fiscale.
Nessun riferimento a un'eventuale scelta politica, ma forse non era quello l'oggetto d'indagine della ricerca. D'altra parte stiamo parlando del ceto di nuovi ricchi che ha beneficiato delle peculiarità insite nel sistema cinese, al suo interno ha costruito le proprie fortune anche grazie alla deregulation nel mercato del lavoro e alla compressione dei salari. Perché dovrebbero criticarlo?
Se ne vanno grazie a speciali programmi messi i piedi dai Paesi che li ospitano e che legano permessi di immigrazione a investimenti in loco. I laowai (stranieri) accolgono loro ma, soprattutto, i loro portafogli.

E così noi li vediamo fare shopping nelle capitali del mondo - soprattutto quello anglosassone - senza sapere che proprio lì vivono. A volte, qualche governo si preoccupa un po'. Così, per esempio, di fronte al raddoppiamento dell'immigrazione cinese tra il 2008 e il 2010, il Canada ha pensato bene di raddoppiare anche il livello minimo di investimento per concedere il visto: almeno 1,6 milioni di dollari canadesi (poco più di un milione di euro) in patrimonio netto. Li vogliamo ricchi, ma ricchi davvero.

Questo esodo pone un paio di quesiti alla Cina stessa.
Primo. Quanta ricchezza di quella che i ricchi emigranti esportano con la propria persona ritorna poi in Cina sotto forma di rimesse o nuovi investimenti?
Secondo (collegato al primo). Il Dragone non riconosce la doppia nazionalità. Se uno emigra, perde il passaporto cinese. Non sarà forse il caso di rivedere questa normativa per evitare che un ricco se ne vada definitivamente, senza restituire nulla al Celeste Impero?

Su Global Times - versione pop del Quotidiano del popolo - un commento stigmatizza il fenomeno e si chiede come arginarlo. Chiunque - si legge - ha diritto di investire e risiedere dove gli pare, ma il fatto che questo determini un fuggi fuggi di ricchezze e (soprattutto) talenti rivela che è proprio il sistema cinese a non funzionare. O a non funzionare più.
Bisogna quindi offrire più qualità di vita, sia ai ricchi sia ai poveri, e Global Times insiste su un'idea allargata di welfare: "Le persone che dispongono di grandi fortune perseguono uno stile di vita altamente qualitativo, ma in Cina il welfare pubblico e i servizi, come l'istruzione e l'assistenza sanitaria, sono ben lungi dal soddisfare le aspettative della gente comune, figuriamoci dei ricchi.
Un esempio è quello della sicurezza alimentare. Recenti statistiche rivelano che, se il 99,8 dei generi alimentari destinati all'esportazione rispettano i requisiti di sicurezza, la percentuale destinata al mercato interno scende sotto il 90 per cento."

È una soluzione che tiene insieme i destini di chi ha e chi non ha: tutti vogliono migliorare il proprio status, nessuno vuol finire avvelenato da cibi più scadenti di quelli export-oriented.
Ma non tiene conto del fatto che gli interessi, con i redditi, divergono. Quando si parla di welfare, ci vuole qualcuno che lo finanzi attraverso tasse e investimenti sul territorio. Il multimilionario che salta sul primo aereo per Vancouver non sembra di questo avviso.

La Cina riscopre le divisione in classi e proprio nel momento in cui vuole ridurre il divario tra ricchi e poveri, è pugnalata alle spalle dai suoi paperoni: quelli che proprio il sistema ha prodotto e che oggi non accettano di redistribuire le proprie risorse.
di Gabriele Battaglia