04 giugno 2011

Dire la verità sui poteri forti







Più di un terzo dell’elettorato non ha votato: possiamo essere certi che si tratta in grande maggioranza di elettori del centro destra. L’astensione altissima alle provinciali segnala anche qualcosa di più: la protesta per la mancata abolizione delle province. Parto da questo punto per un’analisi dei motivi della sconfitta un po’ diversa da quelle prospettate fino adesso. Bisogna, infatti, che i politici berlusconiani guardino bene in faccia prima di tutto una realtà: i loro elettori non sono bambini cui offrire caramelle ma persone serissime, che conoscono in profondità i problemi dell’Italia e che hanno scelto l’occasione del voto amministrativo, proprio perché non è decisivo, per gridare a Berlusconi e a Bossi che la loro pazienza è finita e che, di conseguenza, debbono affrontare i problemi veri prima delle politiche.

Sebbene la battaglia elettorale sia stata accesissima, non è servita a rassicurare gli elettori del centro destra perché non è stata detta nessuna verità. Quali erano gli argomenti dei quali bisognava parlare e che avrebbero suscitato l’interesse critico in tutti? Prima di tutto il debito pubblico, la crisi dell’euro, il continuo richiamo della Banca centrale europea ai famosi “sacrifici”, sacrifici per i quali la cultura deve andare in malora … Crede, forse, Berlusconi, che i suoi elettori non sappiano che siamo chiusi nella prigione della mancanza di sovranità monetaria? Che è questo il motivo per il quale non si possono abbassare le tasse? Crede forse Berlusconi che gli elettori siano degli analfabeti che si occupano soltanto di calcio? Se non si discutono questi argomenti, se non se ne dimostrano le conseguenze negative in tutti i campi, si perdono i voti della propria parte e non si toglie neanche un voto alle sinistre perché l’europeismo, il mondialismo, l’internazionalismo, il mercato comune, la moneta comune sono i valori delle sinistre. I famosi “poteri forti” non se ne sono stati di certo a guardare.

E la guerra alla Libia? Di sicuro non è stata la sinistra a soffrire di un tale voltafaccia dato che i rapporti amichevoli con Gheddafi, i contratti per le aziende italiane, il freno all’emigrazione clandestina erano esclusivamente opera di Berlusconi. Perché non è stata detta una parola in proposito? Si pensa, forse, che non stiano a cuore ai Milanesi? Non parliamo, poi, dei leghisti, veri e propri esperti di questi problemi, abituati a discutere con disinvoltura della possibilità o della convenienza per l’Italia di uscire dall’euro, di sospendere il trattato di Schengen per poter fronteggiare l’immigrazione clandestina e che, viceversa, hanno assistito con stupore e con rabbia alle esitazioni, alle debolezze, ai cedimenti dei propri politici, incapaci di opporsi a poteri più che forti: fortissimi. Continuare a fingere di stare da tutte e due le parti serve soltanto a perdere.

Bisogna aggiungere a tutti questi aspetti negativi l’atmosfera grigia intellettualmente, culturalmente, artisticamente, creata dal centro destra e che è diventata con il passare del tempo tanto pesante da togliere il respiro. Manca qualsiasi sussulto critico, qualsiasi iniziativa dell’intelligenza, perfino nell’ambito religioso, dove tanti credenti, che pure votano per il centro destra, vorrebbero poter discutere il proprio disaccordo con le gerarchie, ma non trovano lo spazio adatto. Dove e come farlo, infatti? Nell’ambito politico Berlusconi e Bossi hanno accuratamente scartato qualsiasi persona che possedesse il minimo prestigio intellettuale e, per maggiore sicurezza, non hanno creato nessuno strumento dove l’intelligenza potesse fare capolino. Nel centro destra non esiste né una rivista né un programma televisivo di cultura: nulla. Sono state mortificate così le forze migliori, le uniche che potevano e forse possono ancora sconfiggere le sinistre. Berlusconi ha sempre detto che voleva salvare l’Italia dal comunismo: il mondialismo, il multiculturalismo, il primato dell’economia e del mercato sono figli di Marx, e sono “idee” prima di essere fatti. Non si possono vincere se non con altre idee e ingaggiando una durissima battaglia a viso aperto.
di Ida Magli

02 giugno 2011

Interrogazione al ministro delle Finanze sul signoraggio


Interrogazione a risposta scritta 4-12113
presentata da
ANTONIO DI PIETRO
lunedì 30 maggio 2011, seduta n.479

DI PIETRO. – Al Ministro dell’economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:

l’emissione della moneta è obbligatoriamente collegata alla generazione del signoraggio che è rappresentato dal guadagno e dal potere in mano al soggetto predisposto alla creazione della moneta. Il signoraggio, dunque, è l’insieme dei redditi derivanti dall’emissione di moneta. Il premio Nobel Paul R. Krugman, nel testo di economia internazionale scritto con Maurice Obstfeld, lo definisce come il flusso di «risorse reali che un governo guadagna quando stampa moneta che spende in beni e servizi»;

storicamente, il signoraggio era il termine col quale si indicava il compenso richiesto dagli antichi sovrani per garantire, attraverso la propria effigie impressa sulla moneta, la purezza e il peso dell’oro e dell’argento;

oggi, invece, alcuni studiosi di economia imputano al moderno signoraggio una dimensione che va ben al di là di una semplice tassa, in quanto il reddito monetario di una banca di emissione è dato solo apparentemente dalla differenza tra la somma degli interessi percepiti sulla cartamoneta emessa e prestata allo Stato e alle banche minori e il costo infinitesimale di carta, inchiostro e stampa sostenuto per produrre denaro. Apparentemente, in quanto, de facto, il signoraggio moderno è eclissato nella contabilità dall’azione di dubbia legittimità della banca emittente che pone al passivo il valore nominale della banconota. In buona sostanza, la banca dichiara di sostenere per la produzione della carta moneta un costo pari al suo valore facciale (euro 100 per una banconota del taglio di 100 euro);

le Banche centrali sono le istituzioni che raccolgono sia la ricchezza, sia il profitto da signoraggio che dovrebbero essere trasferiti, una volta coperti i costi di coniatura, alla collettività rappresentata nello Stato;

tale signoraggio è il cosiddetto signoraggio primario poiché deriva dall’abilità che possiede la Banca centrale di emettere moneta stampandola e immettendola nel mercato. Si tratta del signoraggio che sta a monte di tutto il sistema monetario, poiché si colloca nel momento di emissione della moneta;

questo processo non è però l’unico che permette l’aumento della massa monetaria in circolazione nel circuito economico. Esiste, infatti, un secondo meccanismo attraverso il quale cresce la base monetaria in circolazione, il cosiddetto signoraggio secondario o credit creation;

il signoraggio secondario è il guadagno che le banche commerciali ricavano dal loro potere di aumentare l’offerta di moneta estendendo i loro prestiti sui quali ricevono interessi e, negli ultimi decenni, con l’introduzione di nuovi strumenti finanziari quali, ad esempio i derivati;

con riferimento al sistema monetario attuale, da anni si discute sia in ambito accademico sia in ambito sociale sulle incongruenze relative alla proprietà del valore della moneta al momento della sua emissione: un valore che, in buona sostanza, non verrebbe riconosciuto in capo al suo creatore, ovvero la collettività, il popolo, ma che piuttosto le verrebbe sottratto;

principio fermo di ogni democrazia è che la «sovranità» appartiene al popolo e la nostra Carta costituzionale sancisce chiaramente questo principio all’articolo 1;

ne consegue che derivazione diretta di tale sovranità è anche la sovranità monetaria, che determina il potere di chi detiene il controllo della moneta e del credito;

essendo il popolo a produrre, consumare e lavorare, la moneta, sin dal momento in cui viene emessa da una qualsiasi Banca centrale dovrebbe, in linea di principio, come affermato da molti studiosi, diventare proprietà di tutti i cittadini che costituiscono lo Stato, il quale però non detiene il potere di emettere moneta;

la distorsione alla base della sovranità monetaria è stata oggetto di uno studio da parte del procuratore generale della Repubblica Bruno Tarquini che sul punto ha scritto il libro La banca, la moneta e l’usura, edizione Controcorrente, Napoli, 2001. Secondo il procuratore generale Bruno Tarquini, lo Stato avrebbe avuto i mezzi tecnici per esercitare in concreto il potere di emettere moneta e per riappropriarsi di quella sovranità monetaria che avrebbe permesso di svolgere una politica socio-economica non limitata da influenze esterne, ma soprattutto liberandosi di ogni indebitamento;

anche il professor Giacinto Auriti, docente fondatore della facoltà di giurisprudenza di Teramo, ha compiuto numerosi studi sulla sovranità monetaria e sul fenomeno del signoraggio;

in particolare, il professor Giacinto Auriti ha sostenuto che l’emissione di moneta senza riserve e titoli di Stato a garanzia per la realizzazione di opere pubbliche non creerebbe inflazione in quanto corrisposto da un eguale aumento della ricchezza reale, e che le Banche centrali ricaverebbero profitti indebiti dal signoraggio sulla cartamoneta, dando origine in tal modo al debito pubblico;

altra denuncia compiuta dal professor Giacinto Auriti è quella relativa alla totale assenza al livello giuridico di una norma che stabilisca in maniera univoca di chi sia la proprietà dell’euro all’atto della sua emissione. Per tali ragioni, ad avviso del professor Auriti, risulterebbe impossibile individuare chi sia creditore e chi debitore nella fase della circolazione della moneta e i popoli europei non sapranno mai se siano «creditori» (in quanto proprietari) o «debitori» (in quanto non proprietari) per un valore pari a tutto l’euro che viene messo in circolazione -:

se alla luce di quanto descritto in premessa il Governo non intenda intervenire, anche nelle competenti sedi europee, per verificare la compatibilità delle teorie elaborate dal procuratore generale della Repubblica Bruno Tarquini e dal professor Giacinto Auriti con i Trattati dell’Unione europea e il principio costituzionale della sovranità monetaria, anche al fine chiarire di chi sia la proprietà dell’euro al momento della sua emissione, quale sia la natura giuridica della moneta emessa dalle banche commerciali e, infine, quale sia la reale efficacia degli strumenti di controllo a disposizione della Banca centrale sulla massa monetaria messa in circolazione dalle banche commerciali.
di Nicoletta Forcheri

01 giugno 2011

Per le liberalizzazioni si avvelena anche il Panebianco...


Nell'editoriale di sabato 28 maggio, dalla prima pagina del Corriere della Sera, Angelo Panebianco nel tirare la volata elettorale del centro-sinistra per i ballottaggi di Milano e Napoli, rilancia l'agenda liberista. I primi risultati sono già registrabili: la sottosegretario Melchiorre (grazie al solito pretesto del caso) si dimette e si fanno sempre più insistenti i rumors di un PdL allo sfaldamento più completo, con gruppi autonomi pronti a nascere in Parlamento.

L'analisi di Panebianco è la seguente: la rivoluzione liberale di Berlusconi non c'è stata; la gente si aspettava liberalizzazioni e privatizzazioni che non ci sono state; ergo, la “sinistra” è più funzionale della “destra” all'accoppamento della “società corporativa”. Dunque per Panebianco, il bacino elettorale di Berlusconi starebbe disaffezionandosi al centro-destra perché non ha fatto le liberalizzazioni delle professioni, dei servizi pubblici locali, etc. etc.

Si badi al fatto che questo editoriale arriva qualche giorno dopo l'ennesima richiesta di liberalizzazioni avanzata dal presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia.

È evidente che la riflessione di Panebianco soffre di quel peccato originale tipico di quella cultura radical chic (chiamata anche liberale) che niente ha a che fare con la vita della gente comune. Il centro-destra, infatti, ha centrato la propria vittoria elettorale e l'allargamento della sua base di consenso, proprio su elementi contrari rispetto a quanto detto da Panebianco: il centro-destra, in campagna elettorale, mai ha parlato di liberalizzazioni e privatizzazioni. Invero, lo fece ben poco anche il centro-sinistra! Infatti, dopo le liberalizzazioni e privatizzazioni degli anni '90 – dal commercio, ai servizi finanziari, all'industria nazionale, alle banche d'interesse nazionale, al mercato del lavoro, ai canoni abitativi e commerciali – la gente comune ha oramai ben chiaro il pacco che si cela dietro questo riformismo dagli evidenti risvolti oligarchici. Grazie a liberalizzazioni e privatizzazioni, ciò che è in mano pubblica o diffuso tra i piccoli imprenditori, finisce nelle mani di una ristretta oligarchia finanziaria: paradossalmente, la stessa che detiene quei giornali da cui poi scrivono panibianchi e panineri e che poi finanzia politici e partiti, finendo col controllare “riformatore” e “riformato”.

Contrariamente agli esiti a cui porterebbero le soluzioni implicite all'analisi di Panebianco, la crisi del centro-destra di Governo, comincia nel momento in cui esso da forza di opposizione al macro-sistema (almeno nei proclami) diviene forza a quest'ultimo subordinata. La crisi del centro-destra comincia quando la denuncia contro la speculazione e le banche – che aveva caratterizzato tutta la campagna elettorale, come impostata da Giulio Tremonti (non a caso il ministro più amato dal popolo italiano, nonostante l'ingrato compito di “tagliatore” … ci si chieda se Padoa-Schioppa, Visco, Amato, Ciampi o Dini siano così amati) – si affievolisce; quando i tagli a cui il macro-sistema dell'euro e della globalizzazione finanziaria diretta dal Fondo monetario internazionale e dalle agenzie private di rating, cominciano, a dispetto dei salvataggi bancari a cui l'Italia partecipa con i fondi europei, a farsi sentire sul tessuto dell'economia reale: riducendo spesa per sanità, infrastrutture, istruzione, giustizia e forze di polizia, ed obbligando all'accanimento fiscale (recentemente denunciato dallo stesso primo dirigente delle Finanze, Attilio Befera). Tutta roba che ha portato la gente comune a dire: “Anche con questo Governo, in fin dei conti, tutto come con la sinistra!”.

Dunque le motivazioni della crisi in cui versa in questo momento il centro-destra, sono proprio quelle contrarie a quelle indicate dal Panebianco avvelenato.

O la spinta anti-sistema, contro la speculazione delle banche e delle istituzioni finanziarie, ed il loro conseguente controllo dell'intera società, diventa più forte e più concreta, superando la semplice fase della denuncia, o il sistema politico italiano è destinato al consueto gioco dell'alternanza – proprio come in ogni parte del mondo occidentale – tra forze politiche controllate da un'oligarchia finanziaria internazionale che non vuole cambiare il modello – parafrasando Panebianco – della società supercorporativa.

Claudio Giudici – MoviSol

04 giugno 2011

Dire la verità sui poteri forti







Più di un terzo dell’elettorato non ha votato: possiamo essere certi che si tratta in grande maggioranza di elettori del centro destra. L’astensione altissima alle provinciali segnala anche qualcosa di più: la protesta per la mancata abolizione delle province. Parto da questo punto per un’analisi dei motivi della sconfitta un po’ diversa da quelle prospettate fino adesso. Bisogna, infatti, che i politici berlusconiani guardino bene in faccia prima di tutto una realtà: i loro elettori non sono bambini cui offrire caramelle ma persone serissime, che conoscono in profondità i problemi dell’Italia e che hanno scelto l’occasione del voto amministrativo, proprio perché non è decisivo, per gridare a Berlusconi e a Bossi che la loro pazienza è finita e che, di conseguenza, debbono affrontare i problemi veri prima delle politiche.

Sebbene la battaglia elettorale sia stata accesissima, non è servita a rassicurare gli elettori del centro destra perché non è stata detta nessuna verità. Quali erano gli argomenti dei quali bisognava parlare e che avrebbero suscitato l’interesse critico in tutti? Prima di tutto il debito pubblico, la crisi dell’euro, il continuo richiamo della Banca centrale europea ai famosi “sacrifici”, sacrifici per i quali la cultura deve andare in malora … Crede, forse, Berlusconi, che i suoi elettori non sappiano che siamo chiusi nella prigione della mancanza di sovranità monetaria? Che è questo il motivo per il quale non si possono abbassare le tasse? Crede forse Berlusconi che gli elettori siano degli analfabeti che si occupano soltanto di calcio? Se non si discutono questi argomenti, se non se ne dimostrano le conseguenze negative in tutti i campi, si perdono i voti della propria parte e non si toglie neanche un voto alle sinistre perché l’europeismo, il mondialismo, l’internazionalismo, il mercato comune, la moneta comune sono i valori delle sinistre. I famosi “poteri forti” non se ne sono stati di certo a guardare.

E la guerra alla Libia? Di sicuro non è stata la sinistra a soffrire di un tale voltafaccia dato che i rapporti amichevoli con Gheddafi, i contratti per le aziende italiane, il freno all’emigrazione clandestina erano esclusivamente opera di Berlusconi. Perché non è stata detta una parola in proposito? Si pensa, forse, che non stiano a cuore ai Milanesi? Non parliamo, poi, dei leghisti, veri e propri esperti di questi problemi, abituati a discutere con disinvoltura della possibilità o della convenienza per l’Italia di uscire dall’euro, di sospendere il trattato di Schengen per poter fronteggiare l’immigrazione clandestina e che, viceversa, hanno assistito con stupore e con rabbia alle esitazioni, alle debolezze, ai cedimenti dei propri politici, incapaci di opporsi a poteri più che forti: fortissimi. Continuare a fingere di stare da tutte e due le parti serve soltanto a perdere.

Bisogna aggiungere a tutti questi aspetti negativi l’atmosfera grigia intellettualmente, culturalmente, artisticamente, creata dal centro destra e che è diventata con il passare del tempo tanto pesante da togliere il respiro. Manca qualsiasi sussulto critico, qualsiasi iniziativa dell’intelligenza, perfino nell’ambito religioso, dove tanti credenti, che pure votano per il centro destra, vorrebbero poter discutere il proprio disaccordo con le gerarchie, ma non trovano lo spazio adatto. Dove e come farlo, infatti? Nell’ambito politico Berlusconi e Bossi hanno accuratamente scartato qualsiasi persona che possedesse il minimo prestigio intellettuale e, per maggiore sicurezza, non hanno creato nessuno strumento dove l’intelligenza potesse fare capolino. Nel centro destra non esiste né una rivista né un programma televisivo di cultura: nulla. Sono state mortificate così le forze migliori, le uniche che potevano e forse possono ancora sconfiggere le sinistre. Berlusconi ha sempre detto che voleva salvare l’Italia dal comunismo: il mondialismo, il multiculturalismo, il primato dell’economia e del mercato sono figli di Marx, e sono “idee” prima di essere fatti. Non si possono vincere se non con altre idee e ingaggiando una durissima battaglia a viso aperto.
di Ida Magli

02 giugno 2011

Interrogazione al ministro delle Finanze sul signoraggio


Interrogazione a risposta scritta 4-12113
presentata da
ANTONIO DI PIETRO
lunedì 30 maggio 2011, seduta n.479

DI PIETRO. – Al Ministro dell’economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:

l’emissione della moneta è obbligatoriamente collegata alla generazione del signoraggio che è rappresentato dal guadagno e dal potere in mano al soggetto predisposto alla creazione della moneta. Il signoraggio, dunque, è l’insieme dei redditi derivanti dall’emissione di moneta. Il premio Nobel Paul R. Krugman, nel testo di economia internazionale scritto con Maurice Obstfeld, lo definisce come il flusso di «risorse reali che un governo guadagna quando stampa moneta che spende in beni e servizi»;

storicamente, il signoraggio era il termine col quale si indicava il compenso richiesto dagli antichi sovrani per garantire, attraverso la propria effigie impressa sulla moneta, la purezza e il peso dell’oro e dell’argento;

oggi, invece, alcuni studiosi di economia imputano al moderno signoraggio una dimensione che va ben al di là di una semplice tassa, in quanto il reddito monetario di una banca di emissione è dato solo apparentemente dalla differenza tra la somma degli interessi percepiti sulla cartamoneta emessa e prestata allo Stato e alle banche minori e il costo infinitesimale di carta, inchiostro e stampa sostenuto per produrre denaro. Apparentemente, in quanto, de facto, il signoraggio moderno è eclissato nella contabilità dall’azione di dubbia legittimità della banca emittente che pone al passivo il valore nominale della banconota. In buona sostanza, la banca dichiara di sostenere per la produzione della carta moneta un costo pari al suo valore facciale (euro 100 per una banconota del taglio di 100 euro);

le Banche centrali sono le istituzioni che raccolgono sia la ricchezza, sia il profitto da signoraggio che dovrebbero essere trasferiti, una volta coperti i costi di coniatura, alla collettività rappresentata nello Stato;

tale signoraggio è il cosiddetto signoraggio primario poiché deriva dall’abilità che possiede la Banca centrale di emettere moneta stampandola e immettendola nel mercato. Si tratta del signoraggio che sta a monte di tutto il sistema monetario, poiché si colloca nel momento di emissione della moneta;

questo processo non è però l’unico che permette l’aumento della massa monetaria in circolazione nel circuito economico. Esiste, infatti, un secondo meccanismo attraverso il quale cresce la base monetaria in circolazione, il cosiddetto signoraggio secondario o credit creation;

il signoraggio secondario è il guadagno che le banche commerciali ricavano dal loro potere di aumentare l’offerta di moneta estendendo i loro prestiti sui quali ricevono interessi e, negli ultimi decenni, con l’introduzione di nuovi strumenti finanziari quali, ad esempio i derivati;

con riferimento al sistema monetario attuale, da anni si discute sia in ambito accademico sia in ambito sociale sulle incongruenze relative alla proprietà del valore della moneta al momento della sua emissione: un valore che, in buona sostanza, non verrebbe riconosciuto in capo al suo creatore, ovvero la collettività, il popolo, ma che piuttosto le verrebbe sottratto;

principio fermo di ogni democrazia è che la «sovranità» appartiene al popolo e la nostra Carta costituzionale sancisce chiaramente questo principio all’articolo 1;

ne consegue che derivazione diretta di tale sovranità è anche la sovranità monetaria, che determina il potere di chi detiene il controllo della moneta e del credito;

essendo il popolo a produrre, consumare e lavorare, la moneta, sin dal momento in cui viene emessa da una qualsiasi Banca centrale dovrebbe, in linea di principio, come affermato da molti studiosi, diventare proprietà di tutti i cittadini che costituiscono lo Stato, il quale però non detiene il potere di emettere moneta;

la distorsione alla base della sovranità monetaria è stata oggetto di uno studio da parte del procuratore generale della Repubblica Bruno Tarquini che sul punto ha scritto il libro La banca, la moneta e l’usura, edizione Controcorrente, Napoli, 2001. Secondo il procuratore generale Bruno Tarquini, lo Stato avrebbe avuto i mezzi tecnici per esercitare in concreto il potere di emettere moneta e per riappropriarsi di quella sovranità monetaria che avrebbe permesso di svolgere una politica socio-economica non limitata da influenze esterne, ma soprattutto liberandosi di ogni indebitamento;

anche il professor Giacinto Auriti, docente fondatore della facoltà di giurisprudenza di Teramo, ha compiuto numerosi studi sulla sovranità monetaria e sul fenomeno del signoraggio;

in particolare, il professor Giacinto Auriti ha sostenuto che l’emissione di moneta senza riserve e titoli di Stato a garanzia per la realizzazione di opere pubbliche non creerebbe inflazione in quanto corrisposto da un eguale aumento della ricchezza reale, e che le Banche centrali ricaverebbero profitti indebiti dal signoraggio sulla cartamoneta, dando origine in tal modo al debito pubblico;

altra denuncia compiuta dal professor Giacinto Auriti è quella relativa alla totale assenza al livello giuridico di una norma che stabilisca in maniera univoca di chi sia la proprietà dell’euro all’atto della sua emissione. Per tali ragioni, ad avviso del professor Auriti, risulterebbe impossibile individuare chi sia creditore e chi debitore nella fase della circolazione della moneta e i popoli europei non sapranno mai se siano «creditori» (in quanto proprietari) o «debitori» (in quanto non proprietari) per un valore pari a tutto l’euro che viene messo in circolazione -:

se alla luce di quanto descritto in premessa il Governo non intenda intervenire, anche nelle competenti sedi europee, per verificare la compatibilità delle teorie elaborate dal procuratore generale della Repubblica Bruno Tarquini e dal professor Giacinto Auriti con i Trattati dell’Unione europea e il principio costituzionale della sovranità monetaria, anche al fine chiarire di chi sia la proprietà dell’euro al momento della sua emissione, quale sia la natura giuridica della moneta emessa dalle banche commerciali e, infine, quale sia la reale efficacia degli strumenti di controllo a disposizione della Banca centrale sulla massa monetaria messa in circolazione dalle banche commerciali.
di Nicoletta Forcheri

01 giugno 2011

Per le liberalizzazioni si avvelena anche il Panebianco...


Nell'editoriale di sabato 28 maggio, dalla prima pagina del Corriere della Sera, Angelo Panebianco nel tirare la volata elettorale del centro-sinistra per i ballottaggi di Milano e Napoli, rilancia l'agenda liberista. I primi risultati sono già registrabili: la sottosegretario Melchiorre (grazie al solito pretesto del caso) si dimette e si fanno sempre più insistenti i rumors di un PdL allo sfaldamento più completo, con gruppi autonomi pronti a nascere in Parlamento.

L'analisi di Panebianco è la seguente: la rivoluzione liberale di Berlusconi non c'è stata; la gente si aspettava liberalizzazioni e privatizzazioni che non ci sono state; ergo, la “sinistra” è più funzionale della “destra” all'accoppamento della “società corporativa”. Dunque per Panebianco, il bacino elettorale di Berlusconi starebbe disaffezionandosi al centro-destra perché non ha fatto le liberalizzazioni delle professioni, dei servizi pubblici locali, etc. etc.

Si badi al fatto che questo editoriale arriva qualche giorno dopo l'ennesima richiesta di liberalizzazioni avanzata dal presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia.

È evidente che la riflessione di Panebianco soffre di quel peccato originale tipico di quella cultura radical chic (chiamata anche liberale) che niente ha a che fare con la vita della gente comune. Il centro-destra, infatti, ha centrato la propria vittoria elettorale e l'allargamento della sua base di consenso, proprio su elementi contrari rispetto a quanto detto da Panebianco: il centro-destra, in campagna elettorale, mai ha parlato di liberalizzazioni e privatizzazioni. Invero, lo fece ben poco anche il centro-sinistra! Infatti, dopo le liberalizzazioni e privatizzazioni degli anni '90 – dal commercio, ai servizi finanziari, all'industria nazionale, alle banche d'interesse nazionale, al mercato del lavoro, ai canoni abitativi e commerciali – la gente comune ha oramai ben chiaro il pacco che si cela dietro questo riformismo dagli evidenti risvolti oligarchici. Grazie a liberalizzazioni e privatizzazioni, ciò che è in mano pubblica o diffuso tra i piccoli imprenditori, finisce nelle mani di una ristretta oligarchia finanziaria: paradossalmente, la stessa che detiene quei giornali da cui poi scrivono panibianchi e panineri e che poi finanzia politici e partiti, finendo col controllare “riformatore” e “riformato”.

Contrariamente agli esiti a cui porterebbero le soluzioni implicite all'analisi di Panebianco, la crisi del centro-destra di Governo, comincia nel momento in cui esso da forza di opposizione al macro-sistema (almeno nei proclami) diviene forza a quest'ultimo subordinata. La crisi del centro-destra comincia quando la denuncia contro la speculazione e le banche – che aveva caratterizzato tutta la campagna elettorale, come impostata da Giulio Tremonti (non a caso il ministro più amato dal popolo italiano, nonostante l'ingrato compito di “tagliatore” … ci si chieda se Padoa-Schioppa, Visco, Amato, Ciampi o Dini siano così amati) – si affievolisce; quando i tagli a cui il macro-sistema dell'euro e della globalizzazione finanziaria diretta dal Fondo monetario internazionale e dalle agenzie private di rating, cominciano, a dispetto dei salvataggi bancari a cui l'Italia partecipa con i fondi europei, a farsi sentire sul tessuto dell'economia reale: riducendo spesa per sanità, infrastrutture, istruzione, giustizia e forze di polizia, ed obbligando all'accanimento fiscale (recentemente denunciato dallo stesso primo dirigente delle Finanze, Attilio Befera). Tutta roba che ha portato la gente comune a dire: “Anche con questo Governo, in fin dei conti, tutto come con la sinistra!”.

Dunque le motivazioni della crisi in cui versa in questo momento il centro-destra, sono proprio quelle contrarie a quelle indicate dal Panebianco avvelenato.

O la spinta anti-sistema, contro la speculazione delle banche e delle istituzioni finanziarie, ed il loro conseguente controllo dell'intera società, diventa più forte e più concreta, superando la semplice fase della denuncia, o il sistema politico italiano è destinato al consueto gioco dell'alternanza – proprio come in ogni parte del mondo occidentale – tra forze politiche controllate da un'oligarchia finanziaria internazionale che non vuole cambiare il modello – parafrasando Panebianco – della società supercorporativa.

Claudio Giudici – MoviSol