14 dicembre 2011

Usura bancaria: l’incubo del debito pubblico


Quello che sta accadendo in questi giorni ha del paradossale.
Partiamo da un dato di fatto: la libertà d’informazione e l’accesso dei cittadini alle notizie oggettive, è praticamente scomparsa. Il risultato è una popolazione addomesticata, rassegnata.
Le vittime, cioè i cittadini italiani da spolpare, si stanno convincendo di essere responsabili della “catastrofe”, i pensionati si svegliano la mattina con il complesso di colpa di aver derubato ai figli e ai nipoti, i lavoratori sono psicologicamente disposti ad accettare qualsiasi condizione contrattuale sotto il ricatto della disoccupazione, i disoccupati sono in depressione perché hanno perso ogni speranza di entrare nel mondo del lavoro e rinunciano a rivendicare ogni diritto di cittadinanza.
Tutti stanno vivendo nella paura del “peggio” che secondo il presidente della repubblica, sarebbe stato dietro l’angolo se non fosse arrivato il salvatore, Mario Monti, l’uomo delle banche d’affari, Goldman Sachs in testa. In tale contesto di sudditanza psicologica, potrebbero nascere comitati per proporre Mario Monti, santo subito.
Gli organi elettivi sono inerti, impotenti e vili, per cui le cosiddette “istituzioni democratiche” sono una illusione. L’incubo del “debito pubblico” ha un effetto paralizzante anche a livello cognitivo.
Nessuno si chiede cosa sia, nessuno si domanda come si forma, nessuno si interroga su chi siano i creditori. Il sonno degli italiani è turbato da fantasmi che assumono le forme dello “spread”, della speculazione, delle quotazioni di borsa, dei grafici sull’andamento dei mercati, degli euro bond, tutte diavolerie che ti afferrano alla gola e ti distruggono la vita.
Gli studi sugli effetti sedativi della psicologia politica sperimentale, trovano conferma nel fatto che la massa dei cittadini - per esempio - non si è resa conto che lo stato è ormai un feudo del sistema bancario sovranazionale, il quale è - di fatto - il vero ordinamento sovrano, anche se non appare.
Questa involuzione dei sistemi democratici si attua e si perpetua attraverso il meccanismo elettorale e proprio grazie al “voto” il popolo bue finisce per legittimare la sua condizione di schiavo, anche se inconsapevole.
Inconsapevole perché vittima delle tecniche di controllo sociale che inducono a modificazioni dei comportamenti collettivi sia a fini politici che commerciali. Anche l’informatica ha fortemente contribuito ad omologare i comportamenti delle masse, che adesso rispondono unitariamente agli stimoli controllati dal potere usuraio che ha messo in funzione un perfetto strumento di spionaggio, integrato con il sistema bancario e con le carte di credito, sempre più utilizzate come mezzo di pagamento.
Se poi esaminiamo l’estrema rapidità delle variazioni del “mercato”, significa che tutto viene ricevuto, processato e tradotto in una serie di transazioni finanziarie dalle reti cibernetiche programmate e abilitate a fare da sé, in automatico.
Solo così si giustificano le migliaia di operazioni finanziarie compiute in frazione di secondo, operazioni in grado di spostare enormi risorse per tutto il mondo e, quindi, di condizionare la vita economica delle nazioni sotto tiro speculativo.
Gli Stati che non battono moneta sono i più esposti alla speculazione e all’indebitamento.
L’euro è una moneta a debito ed è una vera e propria moneta di occupazione.
La Banca Centrale Europea, banca privata, presta allo stato italiano la moneta euro al valore facciale più gli interessi ( la banca ha solo il costo tipografico ! ), e a garanzia lo stato emette BOT e CCT, cioè titoli del Debito pubblico.
Lo stato a sua volta, per onorare il debito alla scadenza, dovrà aumentare le imposte e le tasse per i cittadini e le imprese e ridurre gli investimenti produttivi. Si crea così un corto circuito che fa aumentare il debito pubblico in maniera esponenziale perché chi emette la moneta guadagna il 100% più gli interessi e questo si chiama signoraggio.
Non si comprende perché lo Stato debba indebitarsi con una moneta a debito che non ha alcun controvalore, quando potrebbe, anzi, dovrebbe battere moneta direttamente.
La Banca Centrale Europea è un mostro giuridico esente da ogni controllo democratico creato dall’infame Trattato di Maastricht.
Per concludere, il debito pubblico con tutte le conseguenze e penalizzazioni che questo comporta per i cittadini italiani, ha come fine l’arricchimento degli azionisti delle Banche centrali private. Vogliamo continuare su questa strada, oppure ribellarci agli usurai e riconquistare la sovranità monetaria, come ha fatto recentemente il popolo Islandese? Dipende tutto da noi.

di Stelvio Dal Piaz

13 dicembre 2011

La superpotenza S&P punta i cannoni sull'Ue



Con un intervento a orologeria, l'agenzia di rating minaccia il downgrade per Germania e Francia a poche ore dal summit salva-euro

Anche a non voler seguire la linea complottista, qualche dubbio sulla tempistica con cui l'agenzia di rating Standard&Poor's interviene nella politica europea a gamba tesa, è legittimo. Angela Merkel e Nicolas Sarkozy avevano appena concluso il loro meeting a due per preparare una strategia comune in vista del summit salva-euro dell'8 e 9 dicembre: un fronte comune, costruito su rigide regole, per blindare - a tutti i costi - la moneta unica.

L'annuncio di S&P ha il sapore della minaccia: l'agenzia di rating ha messo sotto osservazione quindici paesi dell'area euro con la previsione di taglio della tripla A anche di Francia e Germania.

Fa impressione che due dei leader più influenti al mondo debbano saltare giù dal letto per fare un comunicato di risposta congiunto a S&P, come se quest'ultima fosse un soggetto politico. La zona nebulosa in cui si muovono le agenzie di rating (S&P, Moody's, Fitch) si è allargata a dismisura e implicitamente, piaccia o no, S&P ha assunto un ruolo politico, da super potenza più che da comprimario.

Forse a qualcuno non piace che si salvi l'euro (siamo di nuovo nel campo del complottismo), o forse - al contrario - si tratta di un semplice avvertimento sulle conseguenze di un summit infruottoso. Non c'è ombra di dubbio, però, che attaccare Francia e Germania a tre giorni dal summit più delicato della storia dell'euro vuol dire mettere in seria discussione la sopravvivenza della moneta unica. Il possibile downgrade di Berlino e Parigi avrebbe un effetto immediato sul fondo salva stati da 780 miliardi di euro, necessario per tenere in piedi Grecia, Portogallo, Irlanda (molto di più per Spagna e Italia); il solo cambiamento dell'outlook (delle previsioni) in negativo ha un effetto domino che si scatena dall'indebolimento del debito sovrano, alle banche e alle imprese con un contagio dell'economia reale.

Se Merkel e Sarkozy si limitano a prendere atto della nota di S&P, Jean Claude Juncker (presidente dell'Eurogruppo) è stato più duro giudicando l'intervento di S&P in un momento così delicato "è scriteriato e iniquo"; "un colpo da k.o.", la cui tempistica "non è una coincidenza".

Tutto questo accade mentre il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso getta la spugna sulla questione eurobond, allineandosi a Berlino e Parigi. La Germania invece pensa alla nazionalizzazione della seconda banca tedesca, la Commerzbank, in grande crisi di liquidità.


di Nicola Sessa

12 dicembre 2011

Il regno dei raccomandati

http://www.parmaoggi.it/wp-content/uploads/test.jpg
L'Italia si fonda sulla demeritocrazia. Contano le amicizie, non i titoli


«Zefiro continuava ad esserci propizio con l'aiuto di un po' di Garbino, ma un altro giorno era passato senza scoprire terra. Il terzo giorno, all'alba delle mosche, cioè a dire sul mezzodì, apparve un'isola triangolare che somigliava moltissimo, per forma e posizione, alla Sicilia. Si chiamava Isola delle Parentele».
Così François Rabelais racconta, nel suo irresistibile Gargantua et Pantagruel, la scoperta di quell'isola in cui (...) tutti «erano parenti e insieme collegati, e se ne vantavano». Non è chiarissimo quanta malizia mise il grande scrittore francese nello scegliere come paragone la Sicilia. (...) Ridurre il fenomeno a una dimensione solo siciliana o meridionale (Clemente Mastella si spinse a teorizzare che «la raccomandazione è un peccato veniale che per molto tempo è servito a riequilibrare le ingiustizie Nord-Sud») sarebbe un errore.
Basti ricordare alcuni dei casi finiti sui giornali in questi anni. Come quello dell'avvocatessa padovana Elisabetta Casellati, berlusconiana della prima ora, che dopo essersi insediata come sottosegretario alla Sanità scelse quale capo della sua segreteria, con uno stipendio doppio rispetto a un funzionario del nono livello con quindici anni di anzianità, sua figlia Ludovica. Oppure quello, leggendario, di Claudio Regis, detto «Valvola» perché in gioventù era stato un provetto elettricista, piazzato dalla Lega Nord ai vertici dell'Enea, l'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente dove arrivò a dare del somaro al premio Nobel Carlo Rubbia: «Nessuno mette in discussione le sue competenze sulle particelle, ma quando parla di ingegneria è un sonoro incompetente». Giudizio avventato, se non altro per uno che, nonostante il decreto di nomina di Letizia Moratti lo definisse «Ing.» e nonostante scrivesse sulla rivista online «Kosmos» articoli firmati «Claudio Regis, ingegnere Enea», non era affatto laureato. (...)
Né si può dire che si tratti di un fenomeno recente. (...) Ce lo ricordano meravigliosi aneddoti come quello attribuito al senese Enea Silvio Piccolomini, diventato papa nel 1458 con il nome di Pio II e subito assediato da questuanti affamati di ruoli e prebende: «Quand'ero solo Enea / nessun mi conoscea / ora che sono Pio / tutti mi chiaman zio».
Proprio per questo, però, servirebbero regole rigide. (...) Da noi, come spiega Antonio Merlo, direttore del dipartimento del Penn Institute for Economic Research a Filadelfia, la selezione si è via via specializzata nello scegliere sulla base non della preparazione ma della fedeltà: «L'Italia è una Repubblica fondata sulla mediocrità, una "mediocracy". Cioè un sistema che seleziona e promuove scientificamente una classe dirigente di basso profilo che non è funzionale al Paese ma al partito. Al leader. Al segretario».
E a mano a mano che i costi della politica si gonfiavano e la politica tracimava uscendo dai suoi alvei tradizionali per occupare ogni spazio della società, ogni ruolo è diventato una poltrona con cui «fare politica». (...) A che serve, ormai, il curriculum? A niente, rispondono casi clamorosi come quello (...) di Clemente Marconi, archeologo, dottorato di ricerca alla Normale, tra i massimi esperti mondiali di Magna Grecia, che inutilmente cercò per anni, come ha raccontato al «Giornale di Sicilia», di restare in patria: «Arrivavo sempre secondo».
Il giorno in cui prese possesso della cattedra vinta alla Columbia University di New York, ricevette una lettera dalla Regione Sicilia: «Gentile collega, siamo giunti alla conclusione che Lei non possiede i requisiti accademici per entrare nel nostro staff. La sua domanda per un posto da archeologo ai Beni culturali siciliani viene pertanto respinta, cordiali saluti».
Va da sé che quando Paolo Casicci e Alberto Fiorillo hanno deciso di scrivere Scurriculum. Viaggio nell'Italia della demeritocrazia, hanno trovato un mucchio di storie esemplari. Storie che dimostrano in modo inequivocabile come l'attuale sistema, ignobile e suicida, mortifichi i più bravi costringendoli spesso a regalare la loro intelligenza, la loro preparazione alle università, alle aziende, ai Paesi stranieri. E premia al contrario quanti hanno in tasca la tessera «giusta» o nel cellulare il telefono del deputato «giusto». I quali utilizzano sistematicamente le aziende statali o comunali «come sfogatoio per i trombati o premio per i fedelissimi». O ancora per agganciare vistose signorine dai curriculum estrosi.
Quanto possa essere perdente la diffusione di questi meccanismi perversi ormai è sotto gli occhi di tutti. Peggio, ne abbiamo già fatto esperienza in passato. Lo ricorda, ad esempio, Ludovico Incisa di Camerana nel libro Il grande esodo sulla storia delle migrazioni italiane nel mondo. Dove si racconta che, grazie alle imprese pionieristiche del padovano Giovanni Battista Belzoni e all'amore per l'Italia di un viceré d'origine albanese, il chedivè Mohammed Ali, l'Egitto, in coincidenza con il Risorgimento, spalancò le porte agli italiani: «Durante il suo regno (1801-1849) e quello dei suoi successori, Abbas e Said (1849-1863), l'amministrazione interna è in gran parte affidata agli italiani; italiana è egualmente l'amministrazione delle poste, create su iniziativa italiana, dei servizi sanitari, della sicurezza pubblica...». (...) E insomma «la lingua italiana era così diffusa nel Paese che poteva considerarsi quale la sua seconda lingua tanto che, fino a tutto il regno di Mohammed Ali, la nostra era la lingua diplomatica dell'Egitto e la sola usata dal governo egiziano nei rapporti internazionali».
Un'occasione unica, straordinaria, irripetibile per il nostro ruolo nel Mediterraneo. Sapete come fu buttata via? Lo scrive nel 1905 Giuseppe Salvago Raggi, agente diplomatico presso il sultano e console generale al Cairo... (...) «L'Agenzia d'Italia oppressa dalle numerosissime raccomandazioni rinunciò in pratica a ottener buoni impieghi per gli italiani e si contentò di impiegarne molti. In tal modo si venne applicando la regola che le alte posizioni vennero occupate da francesi (...), da alcuni austriaci, da pochi inglesi e da pochissimi tedeschi, quelle più umili da italiani e le infime da greci». (...)
Quanto lo stesso errore possa infettare la società italiana, rendendola sempre più debole e incapace di stare al passo di un mondo che cambia a velocità immensamente superiore alla nostra, è dimostrato da questo libro passo dopo passo. A partire dalla contraddizione fra le parole, le promesse, i proclami, e la pratica quotidiana. Valga per tutti il caso di Massimo Zennaro, il portavoce del ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini nominato direttore della Comunicazione a viale Trastevere e autore dello stupefacente comunicato che rivendicava al merito della sua datrice di lavoro, dopo la scoperta della velocità dei neutrini, la costruzione di un tunnel di settecento chilometri dal Gran Sasso a Ginevra. Sciocchezza planetaria liquidata da migliaia di internauti con una battuta: settecento chilometri e neanche un autogrill!
di Gian Antonio Stella

14 dicembre 2011

Usura bancaria: l’incubo del debito pubblico


Quello che sta accadendo in questi giorni ha del paradossale.
Partiamo da un dato di fatto: la libertà d’informazione e l’accesso dei cittadini alle notizie oggettive, è praticamente scomparsa. Il risultato è una popolazione addomesticata, rassegnata.
Le vittime, cioè i cittadini italiani da spolpare, si stanno convincendo di essere responsabili della “catastrofe”, i pensionati si svegliano la mattina con il complesso di colpa di aver derubato ai figli e ai nipoti, i lavoratori sono psicologicamente disposti ad accettare qualsiasi condizione contrattuale sotto il ricatto della disoccupazione, i disoccupati sono in depressione perché hanno perso ogni speranza di entrare nel mondo del lavoro e rinunciano a rivendicare ogni diritto di cittadinanza.
Tutti stanno vivendo nella paura del “peggio” che secondo il presidente della repubblica, sarebbe stato dietro l’angolo se non fosse arrivato il salvatore, Mario Monti, l’uomo delle banche d’affari, Goldman Sachs in testa. In tale contesto di sudditanza psicologica, potrebbero nascere comitati per proporre Mario Monti, santo subito.
Gli organi elettivi sono inerti, impotenti e vili, per cui le cosiddette “istituzioni democratiche” sono una illusione. L’incubo del “debito pubblico” ha un effetto paralizzante anche a livello cognitivo.
Nessuno si chiede cosa sia, nessuno si domanda come si forma, nessuno si interroga su chi siano i creditori. Il sonno degli italiani è turbato da fantasmi che assumono le forme dello “spread”, della speculazione, delle quotazioni di borsa, dei grafici sull’andamento dei mercati, degli euro bond, tutte diavolerie che ti afferrano alla gola e ti distruggono la vita.
Gli studi sugli effetti sedativi della psicologia politica sperimentale, trovano conferma nel fatto che la massa dei cittadini - per esempio - non si è resa conto che lo stato è ormai un feudo del sistema bancario sovranazionale, il quale è - di fatto - il vero ordinamento sovrano, anche se non appare.
Questa involuzione dei sistemi democratici si attua e si perpetua attraverso il meccanismo elettorale e proprio grazie al “voto” il popolo bue finisce per legittimare la sua condizione di schiavo, anche se inconsapevole.
Inconsapevole perché vittima delle tecniche di controllo sociale che inducono a modificazioni dei comportamenti collettivi sia a fini politici che commerciali. Anche l’informatica ha fortemente contribuito ad omologare i comportamenti delle masse, che adesso rispondono unitariamente agli stimoli controllati dal potere usuraio che ha messo in funzione un perfetto strumento di spionaggio, integrato con il sistema bancario e con le carte di credito, sempre più utilizzate come mezzo di pagamento.
Se poi esaminiamo l’estrema rapidità delle variazioni del “mercato”, significa che tutto viene ricevuto, processato e tradotto in una serie di transazioni finanziarie dalle reti cibernetiche programmate e abilitate a fare da sé, in automatico.
Solo così si giustificano le migliaia di operazioni finanziarie compiute in frazione di secondo, operazioni in grado di spostare enormi risorse per tutto il mondo e, quindi, di condizionare la vita economica delle nazioni sotto tiro speculativo.
Gli Stati che non battono moneta sono i più esposti alla speculazione e all’indebitamento.
L’euro è una moneta a debito ed è una vera e propria moneta di occupazione.
La Banca Centrale Europea, banca privata, presta allo stato italiano la moneta euro al valore facciale più gli interessi ( la banca ha solo il costo tipografico ! ), e a garanzia lo stato emette BOT e CCT, cioè titoli del Debito pubblico.
Lo stato a sua volta, per onorare il debito alla scadenza, dovrà aumentare le imposte e le tasse per i cittadini e le imprese e ridurre gli investimenti produttivi. Si crea così un corto circuito che fa aumentare il debito pubblico in maniera esponenziale perché chi emette la moneta guadagna il 100% più gli interessi e questo si chiama signoraggio.
Non si comprende perché lo Stato debba indebitarsi con una moneta a debito che non ha alcun controvalore, quando potrebbe, anzi, dovrebbe battere moneta direttamente.
La Banca Centrale Europea è un mostro giuridico esente da ogni controllo democratico creato dall’infame Trattato di Maastricht.
Per concludere, il debito pubblico con tutte le conseguenze e penalizzazioni che questo comporta per i cittadini italiani, ha come fine l’arricchimento degli azionisti delle Banche centrali private. Vogliamo continuare su questa strada, oppure ribellarci agli usurai e riconquistare la sovranità monetaria, come ha fatto recentemente il popolo Islandese? Dipende tutto da noi.

di Stelvio Dal Piaz

13 dicembre 2011

La superpotenza S&P punta i cannoni sull'Ue



Con un intervento a orologeria, l'agenzia di rating minaccia il downgrade per Germania e Francia a poche ore dal summit salva-euro

Anche a non voler seguire la linea complottista, qualche dubbio sulla tempistica con cui l'agenzia di rating Standard&Poor's interviene nella politica europea a gamba tesa, è legittimo. Angela Merkel e Nicolas Sarkozy avevano appena concluso il loro meeting a due per preparare una strategia comune in vista del summit salva-euro dell'8 e 9 dicembre: un fronte comune, costruito su rigide regole, per blindare - a tutti i costi - la moneta unica.

L'annuncio di S&P ha il sapore della minaccia: l'agenzia di rating ha messo sotto osservazione quindici paesi dell'area euro con la previsione di taglio della tripla A anche di Francia e Germania.

Fa impressione che due dei leader più influenti al mondo debbano saltare giù dal letto per fare un comunicato di risposta congiunto a S&P, come se quest'ultima fosse un soggetto politico. La zona nebulosa in cui si muovono le agenzie di rating (S&P, Moody's, Fitch) si è allargata a dismisura e implicitamente, piaccia o no, S&P ha assunto un ruolo politico, da super potenza più che da comprimario.

Forse a qualcuno non piace che si salvi l'euro (siamo di nuovo nel campo del complottismo), o forse - al contrario - si tratta di un semplice avvertimento sulle conseguenze di un summit infruottoso. Non c'è ombra di dubbio, però, che attaccare Francia e Germania a tre giorni dal summit più delicato della storia dell'euro vuol dire mettere in seria discussione la sopravvivenza della moneta unica. Il possibile downgrade di Berlino e Parigi avrebbe un effetto immediato sul fondo salva stati da 780 miliardi di euro, necessario per tenere in piedi Grecia, Portogallo, Irlanda (molto di più per Spagna e Italia); il solo cambiamento dell'outlook (delle previsioni) in negativo ha un effetto domino che si scatena dall'indebolimento del debito sovrano, alle banche e alle imprese con un contagio dell'economia reale.

Se Merkel e Sarkozy si limitano a prendere atto della nota di S&P, Jean Claude Juncker (presidente dell'Eurogruppo) è stato più duro giudicando l'intervento di S&P in un momento così delicato "è scriteriato e iniquo"; "un colpo da k.o.", la cui tempistica "non è una coincidenza".

Tutto questo accade mentre il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso getta la spugna sulla questione eurobond, allineandosi a Berlino e Parigi. La Germania invece pensa alla nazionalizzazione della seconda banca tedesca, la Commerzbank, in grande crisi di liquidità.


di Nicola Sessa

12 dicembre 2011

Il regno dei raccomandati

http://www.parmaoggi.it/wp-content/uploads/test.jpg
L'Italia si fonda sulla demeritocrazia. Contano le amicizie, non i titoli


«Zefiro continuava ad esserci propizio con l'aiuto di un po' di Garbino, ma un altro giorno era passato senza scoprire terra. Il terzo giorno, all'alba delle mosche, cioè a dire sul mezzodì, apparve un'isola triangolare che somigliava moltissimo, per forma e posizione, alla Sicilia. Si chiamava Isola delle Parentele».
Così François Rabelais racconta, nel suo irresistibile Gargantua et Pantagruel, la scoperta di quell'isola in cui (...) tutti «erano parenti e insieme collegati, e se ne vantavano». Non è chiarissimo quanta malizia mise il grande scrittore francese nello scegliere come paragone la Sicilia. (...) Ridurre il fenomeno a una dimensione solo siciliana o meridionale (Clemente Mastella si spinse a teorizzare che «la raccomandazione è un peccato veniale che per molto tempo è servito a riequilibrare le ingiustizie Nord-Sud») sarebbe un errore.
Basti ricordare alcuni dei casi finiti sui giornali in questi anni. Come quello dell'avvocatessa padovana Elisabetta Casellati, berlusconiana della prima ora, che dopo essersi insediata come sottosegretario alla Sanità scelse quale capo della sua segreteria, con uno stipendio doppio rispetto a un funzionario del nono livello con quindici anni di anzianità, sua figlia Ludovica. Oppure quello, leggendario, di Claudio Regis, detto «Valvola» perché in gioventù era stato un provetto elettricista, piazzato dalla Lega Nord ai vertici dell'Enea, l'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente dove arrivò a dare del somaro al premio Nobel Carlo Rubbia: «Nessuno mette in discussione le sue competenze sulle particelle, ma quando parla di ingegneria è un sonoro incompetente». Giudizio avventato, se non altro per uno che, nonostante il decreto di nomina di Letizia Moratti lo definisse «Ing.» e nonostante scrivesse sulla rivista online «Kosmos» articoli firmati «Claudio Regis, ingegnere Enea», non era affatto laureato. (...)
Né si può dire che si tratti di un fenomeno recente. (...) Ce lo ricordano meravigliosi aneddoti come quello attribuito al senese Enea Silvio Piccolomini, diventato papa nel 1458 con il nome di Pio II e subito assediato da questuanti affamati di ruoli e prebende: «Quand'ero solo Enea / nessun mi conoscea / ora che sono Pio / tutti mi chiaman zio».
Proprio per questo, però, servirebbero regole rigide. (...) Da noi, come spiega Antonio Merlo, direttore del dipartimento del Penn Institute for Economic Research a Filadelfia, la selezione si è via via specializzata nello scegliere sulla base non della preparazione ma della fedeltà: «L'Italia è una Repubblica fondata sulla mediocrità, una "mediocracy". Cioè un sistema che seleziona e promuove scientificamente una classe dirigente di basso profilo che non è funzionale al Paese ma al partito. Al leader. Al segretario».
E a mano a mano che i costi della politica si gonfiavano e la politica tracimava uscendo dai suoi alvei tradizionali per occupare ogni spazio della società, ogni ruolo è diventato una poltrona con cui «fare politica». (...) A che serve, ormai, il curriculum? A niente, rispondono casi clamorosi come quello (...) di Clemente Marconi, archeologo, dottorato di ricerca alla Normale, tra i massimi esperti mondiali di Magna Grecia, che inutilmente cercò per anni, come ha raccontato al «Giornale di Sicilia», di restare in patria: «Arrivavo sempre secondo».
Il giorno in cui prese possesso della cattedra vinta alla Columbia University di New York, ricevette una lettera dalla Regione Sicilia: «Gentile collega, siamo giunti alla conclusione che Lei non possiede i requisiti accademici per entrare nel nostro staff. La sua domanda per un posto da archeologo ai Beni culturali siciliani viene pertanto respinta, cordiali saluti».
Va da sé che quando Paolo Casicci e Alberto Fiorillo hanno deciso di scrivere Scurriculum. Viaggio nell'Italia della demeritocrazia, hanno trovato un mucchio di storie esemplari. Storie che dimostrano in modo inequivocabile come l'attuale sistema, ignobile e suicida, mortifichi i più bravi costringendoli spesso a regalare la loro intelligenza, la loro preparazione alle università, alle aziende, ai Paesi stranieri. E premia al contrario quanti hanno in tasca la tessera «giusta» o nel cellulare il telefono del deputato «giusto». I quali utilizzano sistematicamente le aziende statali o comunali «come sfogatoio per i trombati o premio per i fedelissimi». O ancora per agganciare vistose signorine dai curriculum estrosi.
Quanto possa essere perdente la diffusione di questi meccanismi perversi ormai è sotto gli occhi di tutti. Peggio, ne abbiamo già fatto esperienza in passato. Lo ricorda, ad esempio, Ludovico Incisa di Camerana nel libro Il grande esodo sulla storia delle migrazioni italiane nel mondo. Dove si racconta che, grazie alle imprese pionieristiche del padovano Giovanni Battista Belzoni e all'amore per l'Italia di un viceré d'origine albanese, il chedivè Mohammed Ali, l'Egitto, in coincidenza con il Risorgimento, spalancò le porte agli italiani: «Durante il suo regno (1801-1849) e quello dei suoi successori, Abbas e Said (1849-1863), l'amministrazione interna è in gran parte affidata agli italiani; italiana è egualmente l'amministrazione delle poste, create su iniziativa italiana, dei servizi sanitari, della sicurezza pubblica...». (...) E insomma «la lingua italiana era così diffusa nel Paese che poteva considerarsi quale la sua seconda lingua tanto che, fino a tutto il regno di Mohammed Ali, la nostra era la lingua diplomatica dell'Egitto e la sola usata dal governo egiziano nei rapporti internazionali».
Un'occasione unica, straordinaria, irripetibile per il nostro ruolo nel Mediterraneo. Sapete come fu buttata via? Lo scrive nel 1905 Giuseppe Salvago Raggi, agente diplomatico presso il sultano e console generale al Cairo... (...) «L'Agenzia d'Italia oppressa dalle numerosissime raccomandazioni rinunciò in pratica a ottener buoni impieghi per gli italiani e si contentò di impiegarne molti. In tal modo si venne applicando la regola che le alte posizioni vennero occupate da francesi (...), da alcuni austriaci, da pochi inglesi e da pochissimi tedeschi, quelle più umili da italiani e le infime da greci». (...)
Quanto lo stesso errore possa infettare la società italiana, rendendola sempre più debole e incapace di stare al passo di un mondo che cambia a velocità immensamente superiore alla nostra, è dimostrato da questo libro passo dopo passo. A partire dalla contraddizione fra le parole, le promesse, i proclami, e la pratica quotidiana. Valga per tutti il caso di Massimo Zennaro, il portavoce del ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini nominato direttore della Comunicazione a viale Trastevere e autore dello stupefacente comunicato che rivendicava al merito della sua datrice di lavoro, dopo la scoperta della velocità dei neutrini, la costruzione di un tunnel di settecento chilometri dal Gran Sasso a Ginevra. Sciocchezza planetaria liquidata da migliaia di internauti con una battuta: settecento chilometri e neanche un autogrill!
di Gian Antonio Stella