22 dicembre 2011

I derivati Otc hanno rotto gli argini. Rischi di nuova crisi finanziaria


La Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea nel suo ultimo rapporto trimestrale conferma l’impazzimento della finanza globale. I derivati finanziari Over the counter (Otc), cioè quelli negoziati fuori dai mercati regolamentati e tenuti fuori bilancio, nel primo semestre del 2011 sono aumentati in modo stratosferico.

Alla fine di giugno il valore nozionale totale degli Otc ha raggiunto 708 trilioni di dollari con un aumento del 18% rispetto ai livelli calcolati a fine dicembre 2010!

In sei mesi, quindi, le operazioni in derivati sono aumentate di 107 trilioni, cioè di 107.000 miliardi di dollari! Sono stati superati tutti i record.

Si ricordi che alla vigilia della grande crisi, a giugno 2008, il totale Otc aveva raggiunto la vetta di 673 trilioni di dollari.

La straordinaria crescita di tali titoli è avvenuta nonostante i tanti ottimistici impegni a riformare il sistema finanziario globale assunti dal mondo politico nei vari meeting internazionali dopo il crollo della Lehman Brothers.

Ora, mentre il Fmi paventa una recessione nel mondo cosiddetto avanzato, la Bce la dà per certa in Europa e l’Ocse parla di gravi rischi di una “crescita negativa”, le grandi banche internazionali, in primis quelle americane ed inglesi, ed il sistema bancario ombra da loro controllato, hanno dato una accelerata senza precedenti ai prodotti derivati.

La finanza speculativa si allarga a dismisura e l’economia reale e produttiva si contrae! C’è il rischio di un’altra crisi molto più devastante di quella che stiamo ancora vivendo

La Bri rivela che l’esplosione dei contratti Otc è determinata quasi totalmente dalla crescita dei derivati accesi sul rischio dei tassi di interesse. Da soli essi coprono 554 trilioni. In questo campo le operazioni sono aumentate del 19% in 6 mesi. Sono contratti fatti un po’ in tutte le principali monete.

Un altro aspetto preoccupante è che la maggior parte dei contratti suddetti ha una scadenza sempre più breve. Quelli con scadenza oltre i 5 anni si sono ridotti del 6%, assestandosi intorno a 130 trilioni di dollari, mentre quelli con scadenza a meno di un anno sono aumentati del 30% raggiungendo i 247 trilioni di dollari.

Ciò è sintomo di alta instabilità e di grande volatilità che, nel momento in cui gli Otc entrassero in fibrillazione, potrebbero provocare un devastante “effetto valanga” soprattutto sulle economie più deboli. Potrebbero esserci effetti negativi anche sulle monete in cui i contratti sono stati sottoscritti.

Certamente questa nuova ondata speculativa soddisfa gli operatori e gli speculatori della City e di Wall Street. Secondo l’Office of the Comptroller of the Currency (Occ), l’agenzia che regola e controlla il sistema bancario americano, nel terzo trimestre del 2011 le banche Usa hanno infatti registrato dei profitti enormi: 13, 1 miliardi di dollari con un aumento del 78% rispetto al trimestre precedente.

L’Occ tra l’altro dimostra che i derivati creati dalle banche americane sono poco meno di 250 trilioni di dollari, di cui l’87% in prodotti strutturati sui tassi di interesse.

Si ripropone la grande questione delle banche “too big to fail”, quelle troppo grandi per lasciarle fallire, che di fatto hanno determinato il sistema economico e finanziario e hanno ricattato il mondo politico. Nel frattempo esse hanno accelerato il loro processo di concentrazione e di controllo del potere finanziario.

Infatti, se nel 2009 le cinque maggiori banche americane detenevano l’80% di tutti i derivati emessi negli Usa, oggi 4 banche soltanto, la JP Morgan Chase, la City Group, la Bank of America e la Goldman Sachs, ne detengono il 94% del totale.

Dai preoccupanti dati esposti emerge con forza la necessità per l’Italia e per l’Europa non solo di adottare con celerità le decisioni di propria competenza, ma anche soprattutto di giocare un ruolo più attivo in sede di G20 dove, purtroppo, finora non si è mai deciso nulla di realmente efficace contro lo strapotere del sistema bancario finanziario speculativo.

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

*Sottosegretario dell'Economia nel governo Prodi **Economista

21 dicembre 2011

Lo stato italiano, Berlusconi e l’ONU denunciati per una colossale truffa internazionale

La Repubblica Italiana, l’ex-premier Silvio Berlusconi, la nostra Guardia di Finanza, le Nazioni Unite ed il suo segretario Ban-Ki-Moon, l’ambasciatore italiano all’ONU Ragaglini, l’ambasciatrice italiana a Ginevra Laura Mirachian, il World Economic Forum (Davos), l’Office of International Treasury Control, ed altri personaggi più o meno conosciuti, collegati a “società segrete” di vario tipo, sono stati citati in giudizio da un cittadino americano per aver partecipato ad un complotto internazionale allo scopo di impossessarsi illegalmente di un pacchetto di Buoni del Tesoro, quasi tutti americani, per il valore nominale di 145,5 miliardi di dollari, con un valore attuale di mercato stimato intorno a 1 bilione (1000 miliardi) di dollari. Lira più lira meno.

La citazione in giudizio è stata depositata il 23 novembre scorso presso la Corte Distrettuale degli Stati Uniti dallo studio legale Bleakley Platt & Schmidt, che ha sede nello stato di New York, a nome di Neal F. Keenan, un cittadino americano residente in Bulgaria, che compare sia a titolo personale che in rappresentanza di un “gruppo di famiglie asiatiche” non meglio identificate, definite con il nome fittizio di “Dragon Family”.

La querela compare negli elenchi ufficiali di PACER (Public Access to Court Electronic Records), l’archivio elettronico dove è possibile consultare tutte le cause depositate presso le Corti Distrettuali e le Corti d’Appello degli Stati Uniti, ...


... che si possono anche scaricare al costo di 8 centesimi a pagina. (David Wilcock, personaggio noto a chi si occupa di esopolitica, ha già svolto questa operazione, ed ha messo a disposizione la citazione completa in formato PDF, dopo aver dato la notizia alla radio americana e sulla rete).

Il sito Courthouse News, che si occupa di questioni di tipo legale, ha commentato il fatto con un articolo del 5 dicembre intitolato “Bizzarra querela da un bilione di dollari”, nel quale ne riassume sommariamente il contenuto, decisamente complesso e intricato, anche perchè riguarda eventi storici che risalgono a quasi un secolo fa.

Secondo Keenan [da qui in poi raccontiamo ciò che viene sostenuto nella querela, per cui evitiamo ogni volta di usare il condizionale o di dire “Keenen sostiene”], nel 2009 la Dragon Family gli affidò la gestione di un pacchetto di “strumenti finanziari” che comprendevano a) 249 titoli da 500 milioni di dollari ciascuno, emessi nel 1934 dalla Federal Reserve, per un valore nominale complessivo di 124,5 miliardi di dollari; b) due serie di titoli del governo giapponese, emesse nel 1983, per un valore di oltre 9,5 miliardi di dollari ciascuna, e c) un titolo unico da 1 miliardo di dollari, chiamato “Kennedy Bond”, emesso dal governo americano nel 1998.

Da cui il totale, appunto, di 145,5 miliardi di dollari. Questi strumenti finanziari erano stati affidati a Keenan dalla Dragon Family perchè facesse investimenti internazionali di vario tipo, finalizzati ad interventi di tipo umanitario su grande scala.

Naturalmente è il pacchetto di titoli della Fed del 1934 che richiama subito l’attenzione, non solo perchè rivela una storia veramente complessa alle sue spalle, ma perchè è sulla base del valore originale (125 miliardi di dollari) che vengono calcolati gli interessi accumulati fino ad oggi, che sono stimati in 968.000.000.000 (novecentosessantottomila) miliardi di dollari. Quasi un bilione, appunto.

Questi titoli furono emessi dalla Fed come ricevuta per le ingenti quantità di oro ed altri metalli preziosi che la Dragon Family aveva trasferito negli USA come misura precauzionale, temendo una invasione militare della Cina da parte del Giappone (cosa che poi è avvenuta, nel 1937).

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale la Dragon Family chiese la restituzione dell’oro consegnato alla Fed, ma si trovarono di fronte ad una lunga serie di “intoppi legali” che di fatto gli impedirono di rientrare in possesso del prezioso metallo.

Cominciano così le peripezie di questo pacchetto di titoli, che ci avrebbero portato fino ad oggi.

Dal 1946 in poi, infatti, la storia si complica enormemente, introducendo una vera e propria ragnatela di collegamenti, fra dozzine di personaggi e di organizzazioni di livello mondiale, che è molto difficile da riassumere, e ancora più difficile da verificare.

Notiamo solo che fra queste organizzazioni compare anche il misterioso OTIC (Office of International Treasury Control), che è considerato una delle più grandi organizzazioni finanziarie nel mondo, e che sostiene di esser affiliato all’ONU e alla Fed, ma con cui sia l’ONU che la Fed negano ufficialmente di aver mai avuto a che fare.

Teniamo presente che non stiamo parlando della scomparsa di qualche dozzina di euro dal conto corrente di nostra cugina, ma di un sistema mondiale di finanza occulta che parte dal presunto trafugamento di tutte le riserve auree costodite ufficialmente a Fort Knox (c’era forse anche l’oro della Dragon Family?), e che coinvolge oggi bene o male tutte le più importanti organizzazioni finanziarie mondiali, all’interno di un “universo parallelo” in cui il traffico e il riciclaggio di titoli di stato “duplicati” – cioè sostanzialmente falsi – sarebbe all’ordine del giorno.

In ogni caso, riprendiamo la vicenda dal 2009, perchè è in quell’anno che i famosi titoli della Fed ricompaiono nella mani di Keenan per essere investiti in “operazioni su grande scala di tipo umanitario”.

Per svolgere questo compito Keenan era affiancato da un emissario di fiducia della Dragon Family, Akihiro Yamaguchi, che era già fisicamente in possesso dei titoli a partire dal 2006, e che aveva presentato lo stesso Keenan alla Dragon Family.

Yamaguchi e Keenan passarono alcuni mesi in Svizzera, valutando le diverse possibilità di investimento che gli venivano proposte dalle banche locali per conto dei loro clienti in tutto il mondo.

Verso la fine di maggio sembrava che finalmente si stesse per concludere un accordo con un gruppo finanziario che viene definito nella querela come “il gruppo dei turchi”. Ma il 3 di giugno accadde un fatto imprevisto: due cittadini giapponesi furono arrestati al confine di Chiasso dalla Guardia di Finanza, mentre cercavano di trasferire in Svizzera un pacchetto di titoli di stato americani nascosti nel doppiofondo della valigia.

Curiosamente, il pacchetto conteneva 249 titoli della Federal Reserve del 1934 da mezzo miliardo di dollari ciascuno, e 10 “Kennedy Bonds” da 1 miliardo ciascuno, per un valore nominale complessivo di 134,5 miliardi di dollari.

La notizia clamorosa stava per rimbalzare sulle testate di tutto il mondo, ma gli americani si affrettarono a far sapere che quei titoli erano falsi, e la cosa si spense sul nascere. I due giapponesi furono rilasciati, e i loro nomi non furono mai comunicati ufficialmente (Keenan sostiene che uno dei due fosse proprio Yamaguchi).

Diversi tentativi fatti da giornalisti americani per saperne qualcosa di più finirono nel nulla: l’ambasciata giapponese non dava nessuna conferma del fatto, la Guardia di Finanza non aveva informazioni aggiuntive da offrire, e il tesoro americano minimizzava la cosa, confermando che i titoli fossero “sicuramente falsi”.

Naturalmente, ci credettero soltanto Topolino e i Sette Nani, ma questo fu sufficiente a tranquillizzare il pubblico americano, mentre la vera storia riprendeva a dipanarsi dietro le quinte.

Lo stato italiano, “tramite Berlusconi”, contattò il governo cinese, offrendo la restituzione dei titoli in cambio del 40% del loro valore nominale, cioè la cifra corrispondente alla penale da pagare in caso di esportazione clandestina di denaro. Ma la trattativa si arenò quando i cinesi pretesero in cambio che l’Italia saldasse il suo debito complessivo contratto fino a quel giorno con la nazione cinese, che naturalmente ammontava ad una cifra ben superiore a quella che stavano trattando.

Nel frattempo Keenan veniva avvicinato da Leo Zagami, un noto massone italiano che si presentò come membro dei “Vatican Illuminati” e come leader di una “fazione secessionista” dei Massoni con sede a Montecarlo, il quale gli disse di avere informazioni utili per rientrare in possesso dei titoli rubati. Zagami presentò a Keenan un certo Daniele Dal Bosco, che diceva di agire a nome dell’OITC. Dal Bosco disse a Keenan che i titoli sarebbero stati investiti in un modo decisamente più efficace attraverso certe organizzazioni umanitarie dell’ONU a cui erano collegati, e suggerì che la loro tutela venisse trasferita temporaneamente al “suo gruppo”, per maggiore sicurezza (fino a quel momento il titolare unico era Keenan).

Dal Bosco informò anche Keenan che la Guardia di Finanza Italiana era disposta a restituire i titoli per il 10% del valore nominale, ma Keenan rispose che la Dragon Family non era interessata a pagare un solo centesimo per qualcosa che già possedeva legalmente da oltre 70 anni.

Nelle settimane seguenti il “gruppo” di Dal Bosco cominciò a materializzarsi intorno a Keenan, e qui la faccenda si complica ulteriormente, con l’entrata in scena di diversi personaggi, che vanno da agenti dei servizi segreti bulgari ad un certo Giancarlo Bruno, direttore delle operazione finanziarie del World Economic Forum di Davos, che diceva di essere anche un “consigliere finanziario del Vaticano” e “tesoriere dei Massoni”. Bruno sosteneva che il buon fine dell’operazione fosse garantito fin dall’inizio, in quanto avevano già stipulato gli accordi preliminari con i loro contatti alle Nazioni Unite. Le ultime perplessità di Keenan scomparvero dopo una telefonata da parte di Laura Mirachian, la rappresentante permanente per l’Italia alle Organizzazioni Internazionali di Ginevra, che confermava che ”siamo tutti protetti dall’alto”, che “nessuno, compreso Keenan, ha motivo di temere ripercussioni di alcun tipo”, e che “la nostra gente a New York ha già avuto l’approvazione da parte di Ban-Ki-Moon, anche se ovviamente negheranno tutto se interpellati al riguardo”.

Insomma, per farla breve, Keenan si convinse di essere in ottime mani, e firmò la cessione temporanea dei titoli a Dal Bosco, il quale si impegnava alla restituzione incondizionata dei medesimi in qualunque momento. Inutile dire che da quel giorno in poi dei titoli non si è mai più saputo nulla.

Dopo aver cercato inutilmente di rientrarne in possesso, Keenan avrebbe quindi deciso di presentare la sua querela contro tutte le entità coinvolte, “per aver cospirato nella sottrazione illegale dei titoli di proprietà della Dragon Family di cui era il responsabile”.

Qui ovviamente si apre un tale ventaglio di ipotesi e di possibilità, per spiegare cosa possa essere realmente accaduto, a cui solo la fantasia può mettere un limite. Oltretutto, non possiamo nemmeno stabilire fino a che punto le accuse da parte di Keenan siano sostanziate e fino a che punto possano essere il frutto di una sua invenzione.

Di fatto, sappiamo solo che la querela esiste, e che i suoi contenuti sono sostanzialmente quelli che abbiamo descritto. A ben altri l’onere eventuale di accertare cosa ci sia di vero e cosa no in tutta questa faccenda.

Noi possiamo solo concludere notando un fatto curioso: mentre centinaia di miliardi di dollari sembrano muoversi disinvoltamente nell’oscurità, a nostra totale insaputa, gli italiani sono impegnati a litigare fra loro come galline impazzite per decidere se sia meglio ridurre le pensioni di un altro milione di euro all’anno, oppure tagliare lo stesso milione di euro dai salari della classe operaia.

Se la sensazione di venire perennemente fregati non arrivasse direttamente dal “giallo di Chiasso”, arriva certamente da questo genere di considerazioni.

Massimo Mazzucco

Nota: La querela che sta al centro di questo articolo è di pubblico dominio, e come tale Luogocomune si riserva il diritto di citarne i contenuti, senza necessariamente implicare che i fatti descritti siano avvenuti veramente, nè che i personaggi e le organizzazioni citate siano stati effettivamente coinvolti nella vicenda descritta.

20 dicembre 2011

Crisi: e alla fine arrivò la grande depressione


Era una bella consolazione. Pensare che comunque la si guardasse la crisi attuale nulla avesse a che fare con la "grande depressione degli anni ‘30" in qualche modo rincuorava anche i più pessimisti. L'avesse detto un anticapitalista qualunque che quello scenario era nuovamente all'orizzonte avrebbe fatto lo stesso rumore della nascita di un filo d'erba, ma il sentirlo affermare da Christine Lagarde, capo del Fondo monetario internazionale, fa saltare i timpani come un allarme tsunami mondiale. Anche perché pure Mario Draghi ha confermato la frenata della crescita mondiale, dimostrata ampiamente da quanto sta accadendo in Cina. Dopo tre anni di chiacchiere, dunque, la crisi è a doppia W e la prospettiva di risalita neppure si vede. Una crisi finanziaria che ha fatto saltare governi e tolto milioni di posti di lavoro, allargato la forbice tra ricchi e poveri, relegato l'ecologia a un di più da affrontare chissà quando e non intaccando minimamente il modello di sviluppo. Nonostante di sviluppo non se ne veda neanche l'ombra.

Per dire queste cose non servono gli economisti, perché le capiamo anche noi che non lo siamo e dunque più che sugli strumenti tecnici necessari per tentare di rimediare a questa situazione, ne facciamo una questione politica/sociologica. E diciamo che metaforicamente per curare da una depressione servirebbe uno psicologo, mentre ci si sta rivolgendo a uno psichiatra con qualche disturbo. Perché quando una strada che si è seguita è terminata contro un muro, il prendere la rincorsa per picchiare ancor più forte contro lo stesso significa avere dei problemi seri. Ma il medico, a questo punto, può far poco perché dà sempre la stessa ricetta, e qui un anti-depressivo non basta. Serve un confronto almeno con chi questa crisi la sta subendo davvero, quel 99% che pur con tutte le sue incongruenze paga una crisi di cui al massimo può essere corresponsabile dal punto di vista di non aver capito per tempo che cosa stesse capitando, oppure di aver scelto dei pessimi rappresentanti dei veri interessi comuni.

Semplificando al massimo il male, oggi - come dice Gordon Gekko in Wall Street 2, concedeteci una citazione cinefila e non altissima - è il "prestito" ("un biglietto sicuro per la bancarotta, senza ritorno. È sistemico, maligno ed è globale, come il cancro"). Che poi diventa debito. Ci hanno convinto che potevamo indebitarci e che anzi era un bene farlo per far funzionare l'economia, e la finanza ha cavalcato questa idea urbe et orbi. Replicandola su ogni cosa che si muovesse o che si sarebbe potuta muovere o che invece sarebbe crollata. Rischiando su tutto perché opera tramite banche con soldi non suoi.

«Questa crisi ha messo a nudo le crepe della nostra società - scrive l'economista premio Nobel Joseph Stiglitz nel suo "Bancarotta" - fra il mondo della finanza di Wall Street e l'economia reale di Main Street, fra l'America dei ricchi e il resto della nostra società (dove siamo anche noi da quest'altra parte dell'Oceano, non lo dice Stiglitz ma è evidente, ndr). Mentre le persone sui gradini più in alto della scala sociale hanno vissuto molto bene in questi ultimi trent'anni, il reddito della maggior parte degli americani ha ristagnato o è diminuito. Le conseguenze sono state nascoste; ai ceti bassi - e anche a quelli medi - è stato detto di continuare a consumare come se i redditi fossero in aumento; le persone sono state incoraggiate a vivere al di sopra delle loro possibilità, ricorrendo a prestiti resi possibili dalla bolla».

Il guaio, aggiungiamo noi, è che la stessa cosa hanno fatto i governi! Anche loro hanno vissuto indebitandosi e scommettendo sulla finanza come panacea di ogni male, persino i comuni, con il risultato che quando hanno stabilito che eravamo potenzialmente insolventi, gli investitori ci hanno chiuso i rubinetti come fanno le banche. Anche certamente per colpa di un governo, il precedente, totalmente non credibile, ma come si vede per la finanza - che deve sempre trovare un capro espiatorio per togliersi da ogni responsabilità - ora giudica quasi tutti i governi europei non credibili. «Il settore finanziario - come dice sempre Stiglitz - è restio a farsi carico dei propri fallimenti». Tant'è, aggiungiamo noi, che quando l'Ue al super-summit ha deciso di dare una strizzatina alla finanza, la Gran Bretagna se ne è fuggita a gambe levate...

La crisi, dunque, è sistemica. Questo - e veniamo alle questioni italiane - dovrebbe saperlo bene un uomo come Mario Monti che infatti cerca di ridare credibilità al Paese, anche questa condizione necessaria almeno per avere voce in capitolo qualora qualcuno anche da questo Paese avesse voglia di provare a cambiare le cose. Ma di fronte a tutto questo davvero non possiamo tacere su una topica che sta prendendo anche questo Governo, ovvero pensare che un contributo arrivi rendendo ancor più precario il lavoro (articolo 18) e allungando le pensioni fino a 70 anni.

L'avvitamento è andato in scena involontariamente, crediamo, sul Corriere della Sera di ieri. A domanda pertinente di Enrico Marro al ministro Fornero sul fatto che lei creda davvero che «le imprese terranno le persone fino a 70 anni» (tema da noi sollevato fin dall'inizio, vedi link) lei ha risposto così: «qui tocchiamo una anomalia del nostro sistema. La previdenza è stata troppo spesso un ammortizzatore sociale, per cui tutte le riorganizzazioni d'impresa sfociano in prepensionamenti. Accade perché se guardiamo alla curva delle retribuzioni, lo stipendio sale con l'anzianità mentre in altri Paesi cresce con la produttività e quindi fino all'età della maturità professionale ma poi scende nella fase finale, perché il lavoratore anziano è di regola meno produttivo. Da noi non è così e questo fa sì che le aziende risolvano il problema mandando i dipendenti più anziani e costosi in prepensionamento. Anche i lavoratori hanno la loro convenienza con la pensione anticipata. E lo Stato copre questo patto implicito tra aziende e lavoratori anziani a scapito dei giovani. Se vogliamo fare la riforma del ciclo di vita, è proprio per rompere questo patto: non ce lo possiamo più permettere».

C'è del vero, ma quello che fa uscire gli occhi dalla orbite è che questa manovra è stata avallata almeno a parole da Confindustria, come se appunto anche loro riconoscessero l'anomalia: peccato che accanto all'intervista ci sia proprio un pezzo su Confindustria che avrebbe delle resistenze, e su che cosa? «La riforma delle pensioni costringe le imprese a tenere i lavoratori più a lungo in servizio, in prospettiva fino a 70 anni, facendo saltare i piani di molte di esse che speravano in un alleggerimento degli organici che le avrebbe aiutate a superare la crisi». Inoltre c'è da dire anche che gli ammortizzatori "avanzati" e gli scaloni pensionistici che si propongono sono quelli europei di Paesi con servizi ai cittadini (soprattutto donne ed anziani) molto più avanzati dei nostri, ma la ricetta del mercato del lavoro è quella americana, con salari e diritti dei lavoratori più vicini a quelli cinesi che a quelli tedeschi.

Come si vede su questo tema ci avvitiamo completamente perché è il modello che è sbagliato, perché l'individuo non è più al centro di questo modello, men che meno l'ambiente e la redistribuizione delle ricchezze attraverso anche un welfare di qualità, un'idea morta e sepolta. Una cura a questo modello equivale a doparlo, qui serve un cambio radicale fondando lo sviluppo sulla sostenibilità ambientale e sociale e riducendo tutti i debiti, specialmente quelli con le risorse del pianeta; un cambio dato dal confronto e ripulito dalle distorsioni tecnologiche che ammazzano la democrazia.

di Alessandro Farulli

22 dicembre 2011

I derivati Otc hanno rotto gli argini. Rischi di nuova crisi finanziaria


La Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea nel suo ultimo rapporto trimestrale conferma l’impazzimento della finanza globale. I derivati finanziari Over the counter (Otc), cioè quelli negoziati fuori dai mercati regolamentati e tenuti fuori bilancio, nel primo semestre del 2011 sono aumentati in modo stratosferico.

Alla fine di giugno il valore nozionale totale degli Otc ha raggiunto 708 trilioni di dollari con un aumento del 18% rispetto ai livelli calcolati a fine dicembre 2010!

In sei mesi, quindi, le operazioni in derivati sono aumentate di 107 trilioni, cioè di 107.000 miliardi di dollari! Sono stati superati tutti i record.

Si ricordi che alla vigilia della grande crisi, a giugno 2008, il totale Otc aveva raggiunto la vetta di 673 trilioni di dollari.

La straordinaria crescita di tali titoli è avvenuta nonostante i tanti ottimistici impegni a riformare il sistema finanziario globale assunti dal mondo politico nei vari meeting internazionali dopo il crollo della Lehman Brothers.

Ora, mentre il Fmi paventa una recessione nel mondo cosiddetto avanzato, la Bce la dà per certa in Europa e l’Ocse parla di gravi rischi di una “crescita negativa”, le grandi banche internazionali, in primis quelle americane ed inglesi, ed il sistema bancario ombra da loro controllato, hanno dato una accelerata senza precedenti ai prodotti derivati.

La finanza speculativa si allarga a dismisura e l’economia reale e produttiva si contrae! C’è il rischio di un’altra crisi molto più devastante di quella che stiamo ancora vivendo

La Bri rivela che l’esplosione dei contratti Otc è determinata quasi totalmente dalla crescita dei derivati accesi sul rischio dei tassi di interesse. Da soli essi coprono 554 trilioni. In questo campo le operazioni sono aumentate del 19% in 6 mesi. Sono contratti fatti un po’ in tutte le principali monete.

Un altro aspetto preoccupante è che la maggior parte dei contratti suddetti ha una scadenza sempre più breve. Quelli con scadenza oltre i 5 anni si sono ridotti del 6%, assestandosi intorno a 130 trilioni di dollari, mentre quelli con scadenza a meno di un anno sono aumentati del 30% raggiungendo i 247 trilioni di dollari.

Ciò è sintomo di alta instabilità e di grande volatilità che, nel momento in cui gli Otc entrassero in fibrillazione, potrebbero provocare un devastante “effetto valanga” soprattutto sulle economie più deboli. Potrebbero esserci effetti negativi anche sulle monete in cui i contratti sono stati sottoscritti.

Certamente questa nuova ondata speculativa soddisfa gli operatori e gli speculatori della City e di Wall Street. Secondo l’Office of the Comptroller of the Currency (Occ), l’agenzia che regola e controlla il sistema bancario americano, nel terzo trimestre del 2011 le banche Usa hanno infatti registrato dei profitti enormi: 13, 1 miliardi di dollari con un aumento del 78% rispetto al trimestre precedente.

L’Occ tra l’altro dimostra che i derivati creati dalle banche americane sono poco meno di 250 trilioni di dollari, di cui l’87% in prodotti strutturati sui tassi di interesse.

Si ripropone la grande questione delle banche “too big to fail”, quelle troppo grandi per lasciarle fallire, che di fatto hanno determinato il sistema economico e finanziario e hanno ricattato il mondo politico. Nel frattempo esse hanno accelerato il loro processo di concentrazione e di controllo del potere finanziario.

Infatti, se nel 2009 le cinque maggiori banche americane detenevano l’80% di tutti i derivati emessi negli Usa, oggi 4 banche soltanto, la JP Morgan Chase, la City Group, la Bank of America e la Goldman Sachs, ne detengono il 94% del totale.

Dai preoccupanti dati esposti emerge con forza la necessità per l’Italia e per l’Europa non solo di adottare con celerità le decisioni di propria competenza, ma anche soprattutto di giocare un ruolo più attivo in sede di G20 dove, purtroppo, finora non si è mai deciso nulla di realmente efficace contro lo strapotere del sistema bancario finanziario speculativo.

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

*Sottosegretario dell'Economia nel governo Prodi **Economista

21 dicembre 2011

Lo stato italiano, Berlusconi e l’ONU denunciati per una colossale truffa internazionale

La Repubblica Italiana, l’ex-premier Silvio Berlusconi, la nostra Guardia di Finanza, le Nazioni Unite ed il suo segretario Ban-Ki-Moon, l’ambasciatore italiano all’ONU Ragaglini, l’ambasciatrice italiana a Ginevra Laura Mirachian, il World Economic Forum (Davos), l’Office of International Treasury Control, ed altri personaggi più o meno conosciuti, collegati a “società segrete” di vario tipo, sono stati citati in giudizio da un cittadino americano per aver partecipato ad un complotto internazionale allo scopo di impossessarsi illegalmente di un pacchetto di Buoni del Tesoro, quasi tutti americani, per il valore nominale di 145,5 miliardi di dollari, con un valore attuale di mercato stimato intorno a 1 bilione (1000 miliardi) di dollari. Lira più lira meno.

La citazione in giudizio è stata depositata il 23 novembre scorso presso la Corte Distrettuale degli Stati Uniti dallo studio legale Bleakley Platt & Schmidt, che ha sede nello stato di New York, a nome di Neal F. Keenan, un cittadino americano residente in Bulgaria, che compare sia a titolo personale che in rappresentanza di un “gruppo di famiglie asiatiche” non meglio identificate, definite con il nome fittizio di “Dragon Family”.

La querela compare negli elenchi ufficiali di PACER (Public Access to Court Electronic Records), l’archivio elettronico dove è possibile consultare tutte le cause depositate presso le Corti Distrettuali e le Corti d’Appello degli Stati Uniti, ...


... che si possono anche scaricare al costo di 8 centesimi a pagina. (David Wilcock, personaggio noto a chi si occupa di esopolitica, ha già svolto questa operazione, ed ha messo a disposizione la citazione completa in formato PDF, dopo aver dato la notizia alla radio americana e sulla rete).

Il sito Courthouse News, che si occupa di questioni di tipo legale, ha commentato il fatto con un articolo del 5 dicembre intitolato “Bizzarra querela da un bilione di dollari”, nel quale ne riassume sommariamente il contenuto, decisamente complesso e intricato, anche perchè riguarda eventi storici che risalgono a quasi un secolo fa.

Secondo Keenan [da qui in poi raccontiamo ciò che viene sostenuto nella querela, per cui evitiamo ogni volta di usare il condizionale o di dire “Keenen sostiene”], nel 2009 la Dragon Family gli affidò la gestione di un pacchetto di “strumenti finanziari” che comprendevano a) 249 titoli da 500 milioni di dollari ciascuno, emessi nel 1934 dalla Federal Reserve, per un valore nominale complessivo di 124,5 miliardi di dollari; b) due serie di titoli del governo giapponese, emesse nel 1983, per un valore di oltre 9,5 miliardi di dollari ciascuna, e c) un titolo unico da 1 miliardo di dollari, chiamato “Kennedy Bond”, emesso dal governo americano nel 1998.

Da cui il totale, appunto, di 145,5 miliardi di dollari. Questi strumenti finanziari erano stati affidati a Keenan dalla Dragon Family perchè facesse investimenti internazionali di vario tipo, finalizzati ad interventi di tipo umanitario su grande scala.

Naturalmente è il pacchetto di titoli della Fed del 1934 che richiama subito l’attenzione, non solo perchè rivela una storia veramente complessa alle sue spalle, ma perchè è sulla base del valore originale (125 miliardi di dollari) che vengono calcolati gli interessi accumulati fino ad oggi, che sono stimati in 968.000.000.000 (novecentosessantottomila) miliardi di dollari. Quasi un bilione, appunto.

Questi titoli furono emessi dalla Fed come ricevuta per le ingenti quantità di oro ed altri metalli preziosi che la Dragon Family aveva trasferito negli USA come misura precauzionale, temendo una invasione militare della Cina da parte del Giappone (cosa che poi è avvenuta, nel 1937).

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale la Dragon Family chiese la restituzione dell’oro consegnato alla Fed, ma si trovarono di fronte ad una lunga serie di “intoppi legali” che di fatto gli impedirono di rientrare in possesso del prezioso metallo.

Cominciano così le peripezie di questo pacchetto di titoli, che ci avrebbero portato fino ad oggi.

Dal 1946 in poi, infatti, la storia si complica enormemente, introducendo una vera e propria ragnatela di collegamenti, fra dozzine di personaggi e di organizzazioni di livello mondiale, che è molto difficile da riassumere, e ancora più difficile da verificare.

Notiamo solo che fra queste organizzazioni compare anche il misterioso OTIC (Office of International Treasury Control), che è considerato una delle più grandi organizzazioni finanziarie nel mondo, e che sostiene di esser affiliato all’ONU e alla Fed, ma con cui sia l’ONU che la Fed negano ufficialmente di aver mai avuto a che fare.

Teniamo presente che non stiamo parlando della scomparsa di qualche dozzina di euro dal conto corrente di nostra cugina, ma di un sistema mondiale di finanza occulta che parte dal presunto trafugamento di tutte le riserve auree costodite ufficialmente a Fort Knox (c’era forse anche l’oro della Dragon Family?), e che coinvolge oggi bene o male tutte le più importanti organizzazioni finanziarie mondiali, all’interno di un “universo parallelo” in cui il traffico e il riciclaggio di titoli di stato “duplicati” – cioè sostanzialmente falsi – sarebbe all’ordine del giorno.

In ogni caso, riprendiamo la vicenda dal 2009, perchè è in quell’anno che i famosi titoli della Fed ricompaiono nella mani di Keenan per essere investiti in “operazioni su grande scala di tipo umanitario”.

Per svolgere questo compito Keenan era affiancato da un emissario di fiducia della Dragon Family, Akihiro Yamaguchi, che era già fisicamente in possesso dei titoli a partire dal 2006, e che aveva presentato lo stesso Keenan alla Dragon Family.

Yamaguchi e Keenan passarono alcuni mesi in Svizzera, valutando le diverse possibilità di investimento che gli venivano proposte dalle banche locali per conto dei loro clienti in tutto il mondo.

Verso la fine di maggio sembrava che finalmente si stesse per concludere un accordo con un gruppo finanziario che viene definito nella querela come “il gruppo dei turchi”. Ma il 3 di giugno accadde un fatto imprevisto: due cittadini giapponesi furono arrestati al confine di Chiasso dalla Guardia di Finanza, mentre cercavano di trasferire in Svizzera un pacchetto di titoli di stato americani nascosti nel doppiofondo della valigia.

Curiosamente, il pacchetto conteneva 249 titoli della Federal Reserve del 1934 da mezzo miliardo di dollari ciascuno, e 10 “Kennedy Bonds” da 1 miliardo ciascuno, per un valore nominale complessivo di 134,5 miliardi di dollari.

La notizia clamorosa stava per rimbalzare sulle testate di tutto il mondo, ma gli americani si affrettarono a far sapere che quei titoli erano falsi, e la cosa si spense sul nascere. I due giapponesi furono rilasciati, e i loro nomi non furono mai comunicati ufficialmente (Keenan sostiene che uno dei due fosse proprio Yamaguchi).

Diversi tentativi fatti da giornalisti americani per saperne qualcosa di più finirono nel nulla: l’ambasciata giapponese non dava nessuna conferma del fatto, la Guardia di Finanza non aveva informazioni aggiuntive da offrire, e il tesoro americano minimizzava la cosa, confermando che i titoli fossero “sicuramente falsi”.

Naturalmente, ci credettero soltanto Topolino e i Sette Nani, ma questo fu sufficiente a tranquillizzare il pubblico americano, mentre la vera storia riprendeva a dipanarsi dietro le quinte.

Lo stato italiano, “tramite Berlusconi”, contattò il governo cinese, offrendo la restituzione dei titoli in cambio del 40% del loro valore nominale, cioè la cifra corrispondente alla penale da pagare in caso di esportazione clandestina di denaro. Ma la trattativa si arenò quando i cinesi pretesero in cambio che l’Italia saldasse il suo debito complessivo contratto fino a quel giorno con la nazione cinese, che naturalmente ammontava ad una cifra ben superiore a quella che stavano trattando.

Nel frattempo Keenan veniva avvicinato da Leo Zagami, un noto massone italiano che si presentò come membro dei “Vatican Illuminati” e come leader di una “fazione secessionista” dei Massoni con sede a Montecarlo, il quale gli disse di avere informazioni utili per rientrare in possesso dei titoli rubati. Zagami presentò a Keenan un certo Daniele Dal Bosco, che diceva di agire a nome dell’OITC. Dal Bosco disse a Keenan che i titoli sarebbero stati investiti in un modo decisamente più efficace attraverso certe organizzazioni umanitarie dell’ONU a cui erano collegati, e suggerì che la loro tutela venisse trasferita temporaneamente al “suo gruppo”, per maggiore sicurezza (fino a quel momento il titolare unico era Keenan).

Dal Bosco informò anche Keenan che la Guardia di Finanza Italiana era disposta a restituire i titoli per il 10% del valore nominale, ma Keenan rispose che la Dragon Family non era interessata a pagare un solo centesimo per qualcosa che già possedeva legalmente da oltre 70 anni.

Nelle settimane seguenti il “gruppo” di Dal Bosco cominciò a materializzarsi intorno a Keenan, e qui la faccenda si complica ulteriormente, con l’entrata in scena di diversi personaggi, che vanno da agenti dei servizi segreti bulgari ad un certo Giancarlo Bruno, direttore delle operazione finanziarie del World Economic Forum di Davos, che diceva di essere anche un “consigliere finanziario del Vaticano” e “tesoriere dei Massoni”. Bruno sosteneva che il buon fine dell’operazione fosse garantito fin dall’inizio, in quanto avevano già stipulato gli accordi preliminari con i loro contatti alle Nazioni Unite. Le ultime perplessità di Keenan scomparvero dopo una telefonata da parte di Laura Mirachian, la rappresentante permanente per l’Italia alle Organizzazioni Internazionali di Ginevra, che confermava che ”siamo tutti protetti dall’alto”, che “nessuno, compreso Keenan, ha motivo di temere ripercussioni di alcun tipo”, e che “la nostra gente a New York ha già avuto l’approvazione da parte di Ban-Ki-Moon, anche se ovviamente negheranno tutto se interpellati al riguardo”.

Insomma, per farla breve, Keenan si convinse di essere in ottime mani, e firmò la cessione temporanea dei titoli a Dal Bosco, il quale si impegnava alla restituzione incondizionata dei medesimi in qualunque momento. Inutile dire che da quel giorno in poi dei titoli non si è mai più saputo nulla.

Dopo aver cercato inutilmente di rientrarne in possesso, Keenan avrebbe quindi deciso di presentare la sua querela contro tutte le entità coinvolte, “per aver cospirato nella sottrazione illegale dei titoli di proprietà della Dragon Family di cui era il responsabile”.

Qui ovviamente si apre un tale ventaglio di ipotesi e di possibilità, per spiegare cosa possa essere realmente accaduto, a cui solo la fantasia può mettere un limite. Oltretutto, non possiamo nemmeno stabilire fino a che punto le accuse da parte di Keenan siano sostanziate e fino a che punto possano essere il frutto di una sua invenzione.

Di fatto, sappiamo solo che la querela esiste, e che i suoi contenuti sono sostanzialmente quelli che abbiamo descritto. A ben altri l’onere eventuale di accertare cosa ci sia di vero e cosa no in tutta questa faccenda.

Noi possiamo solo concludere notando un fatto curioso: mentre centinaia di miliardi di dollari sembrano muoversi disinvoltamente nell’oscurità, a nostra totale insaputa, gli italiani sono impegnati a litigare fra loro come galline impazzite per decidere se sia meglio ridurre le pensioni di un altro milione di euro all’anno, oppure tagliare lo stesso milione di euro dai salari della classe operaia.

Se la sensazione di venire perennemente fregati non arrivasse direttamente dal “giallo di Chiasso”, arriva certamente da questo genere di considerazioni.

Massimo Mazzucco

Nota: La querela che sta al centro di questo articolo è di pubblico dominio, e come tale Luogocomune si riserva il diritto di citarne i contenuti, senza necessariamente implicare che i fatti descritti siano avvenuti veramente, nè che i personaggi e le organizzazioni citate siano stati effettivamente coinvolti nella vicenda descritta.

20 dicembre 2011

Crisi: e alla fine arrivò la grande depressione


Era una bella consolazione. Pensare che comunque la si guardasse la crisi attuale nulla avesse a che fare con la "grande depressione degli anni ‘30" in qualche modo rincuorava anche i più pessimisti. L'avesse detto un anticapitalista qualunque che quello scenario era nuovamente all'orizzonte avrebbe fatto lo stesso rumore della nascita di un filo d'erba, ma il sentirlo affermare da Christine Lagarde, capo del Fondo monetario internazionale, fa saltare i timpani come un allarme tsunami mondiale. Anche perché pure Mario Draghi ha confermato la frenata della crescita mondiale, dimostrata ampiamente da quanto sta accadendo in Cina. Dopo tre anni di chiacchiere, dunque, la crisi è a doppia W e la prospettiva di risalita neppure si vede. Una crisi finanziaria che ha fatto saltare governi e tolto milioni di posti di lavoro, allargato la forbice tra ricchi e poveri, relegato l'ecologia a un di più da affrontare chissà quando e non intaccando minimamente il modello di sviluppo. Nonostante di sviluppo non se ne veda neanche l'ombra.

Per dire queste cose non servono gli economisti, perché le capiamo anche noi che non lo siamo e dunque più che sugli strumenti tecnici necessari per tentare di rimediare a questa situazione, ne facciamo una questione politica/sociologica. E diciamo che metaforicamente per curare da una depressione servirebbe uno psicologo, mentre ci si sta rivolgendo a uno psichiatra con qualche disturbo. Perché quando una strada che si è seguita è terminata contro un muro, il prendere la rincorsa per picchiare ancor più forte contro lo stesso significa avere dei problemi seri. Ma il medico, a questo punto, può far poco perché dà sempre la stessa ricetta, e qui un anti-depressivo non basta. Serve un confronto almeno con chi questa crisi la sta subendo davvero, quel 99% che pur con tutte le sue incongruenze paga una crisi di cui al massimo può essere corresponsabile dal punto di vista di non aver capito per tempo che cosa stesse capitando, oppure di aver scelto dei pessimi rappresentanti dei veri interessi comuni.

Semplificando al massimo il male, oggi - come dice Gordon Gekko in Wall Street 2, concedeteci una citazione cinefila e non altissima - è il "prestito" ("un biglietto sicuro per la bancarotta, senza ritorno. È sistemico, maligno ed è globale, come il cancro"). Che poi diventa debito. Ci hanno convinto che potevamo indebitarci e che anzi era un bene farlo per far funzionare l'economia, e la finanza ha cavalcato questa idea urbe et orbi. Replicandola su ogni cosa che si muovesse o che si sarebbe potuta muovere o che invece sarebbe crollata. Rischiando su tutto perché opera tramite banche con soldi non suoi.

«Questa crisi ha messo a nudo le crepe della nostra società - scrive l'economista premio Nobel Joseph Stiglitz nel suo "Bancarotta" - fra il mondo della finanza di Wall Street e l'economia reale di Main Street, fra l'America dei ricchi e il resto della nostra società (dove siamo anche noi da quest'altra parte dell'Oceano, non lo dice Stiglitz ma è evidente, ndr). Mentre le persone sui gradini più in alto della scala sociale hanno vissuto molto bene in questi ultimi trent'anni, il reddito della maggior parte degli americani ha ristagnato o è diminuito. Le conseguenze sono state nascoste; ai ceti bassi - e anche a quelli medi - è stato detto di continuare a consumare come se i redditi fossero in aumento; le persone sono state incoraggiate a vivere al di sopra delle loro possibilità, ricorrendo a prestiti resi possibili dalla bolla».

Il guaio, aggiungiamo noi, è che la stessa cosa hanno fatto i governi! Anche loro hanno vissuto indebitandosi e scommettendo sulla finanza come panacea di ogni male, persino i comuni, con il risultato che quando hanno stabilito che eravamo potenzialmente insolventi, gli investitori ci hanno chiuso i rubinetti come fanno le banche. Anche certamente per colpa di un governo, il precedente, totalmente non credibile, ma come si vede per la finanza - che deve sempre trovare un capro espiatorio per togliersi da ogni responsabilità - ora giudica quasi tutti i governi europei non credibili. «Il settore finanziario - come dice sempre Stiglitz - è restio a farsi carico dei propri fallimenti». Tant'è, aggiungiamo noi, che quando l'Ue al super-summit ha deciso di dare una strizzatina alla finanza, la Gran Bretagna se ne è fuggita a gambe levate...

La crisi, dunque, è sistemica. Questo - e veniamo alle questioni italiane - dovrebbe saperlo bene un uomo come Mario Monti che infatti cerca di ridare credibilità al Paese, anche questa condizione necessaria almeno per avere voce in capitolo qualora qualcuno anche da questo Paese avesse voglia di provare a cambiare le cose. Ma di fronte a tutto questo davvero non possiamo tacere su una topica che sta prendendo anche questo Governo, ovvero pensare che un contributo arrivi rendendo ancor più precario il lavoro (articolo 18) e allungando le pensioni fino a 70 anni.

L'avvitamento è andato in scena involontariamente, crediamo, sul Corriere della Sera di ieri. A domanda pertinente di Enrico Marro al ministro Fornero sul fatto che lei creda davvero che «le imprese terranno le persone fino a 70 anni» (tema da noi sollevato fin dall'inizio, vedi link) lei ha risposto così: «qui tocchiamo una anomalia del nostro sistema. La previdenza è stata troppo spesso un ammortizzatore sociale, per cui tutte le riorganizzazioni d'impresa sfociano in prepensionamenti. Accade perché se guardiamo alla curva delle retribuzioni, lo stipendio sale con l'anzianità mentre in altri Paesi cresce con la produttività e quindi fino all'età della maturità professionale ma poi scende nella fase finale, perché il lavoratore anziano è di regola meno produttivo. Da noi non è così e questo fa sì che le aziende risolvano il problema mandando i dipendenti più anziani e costosi in prepensionamento. Anche i lavoratori hanno la loro convenienza con la pensione anticipata. E lo Stato copre questo patto implicito tra aziende e lavoratori anziani a scapito dei giovani. Se vogliamo fare la riforma del ciclo di vita, è proprio per rompere questo patto: non ce lo possiamo più permettere».

C'è del vero, ma quello che fa uscire gli occhi dalla orbite è che questa manovra è stata avallata almeno a parole da Confindustria, come se appunto anche loro riconoscessero l'anomalia: peccato che accanto all'intervista ci sia proprio un pezzo su Confindustria che avrebbe delle resistenze, e su che cosa? «La riforma delle pensioni costringe le imprese a tenere i lavoratori più a lungo in servizio, in prospettiva fino a 70 anni, facendo saltare i piani di molte di esse che speravano in un alleggerimento degli organici che le avrebbe aiutate a superare la crisi». Inoltre c'è da dire anche che gli ammortizzatori "avanzati" e gli scaloni pensionistici che si propongono sono quelli europei di Paesi con servizi ai cittadini (soprattutto donne ed anziani) molto più avanzati dei nostri, ma la ricetta del mercato del lavoro è quella americana, con salari e diritti dei lavoratori più vicini a quelli cinesi che a quelli tedeschi.

Come si vede su questo tema ci avvitiamo completamente perché è il modello che è sbagliato, perché l'individuo non è più al centro di questo modello, men che meno l'ambiente e la redistribuizione delle ricchezze attraverso anche un welfare di qualità, un'idea morta e sepolta. Una cura a questo modello equivale a doparlo, qui serve un cambio radicale fondando lo sviluppo sulla sostenibilità ambientale e sociale e riducendo tutti i debiti, specialmente quelli con le risorse del pianeta; un cambio dato dal confronto e ripulito dalle distorsioni tecnologiche che ammazzano la democrazia.

di Alessandro Farulli