03 febbraio 2012

Ladri di Margherita. I partiti, perfino quelli defunti, che navigano nell’oro a spese nostre




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La favola del tesoriere Lusi, che fugge con la cassa (13 milioni) all’insaputa dei vertici Dl, fa ridere. Ma il guaio serio sono i partiti, perfino quelli defunti, che navigano nell’oro a spese nostre


Come si fa a non fidarsi di uno scout? Questo almeno è quel che sostengono i dirigenti dell’ex Margherita quando parlano del loro tesoriere, Luigi Lusi. Solo lui aveva in mano le chiavi del forziere del partito, poteva accedervi, prelevare soldi, decidere come spenderli. L’unico col potere di firma sui conti, assieme al presidente Francesco Rutelli. Chi se non lui, scout di rigorosa osservanza fino all’età adulta? In realtà le spiegazioni dei vertici ex Dl finora non hanno convinto la magistratura che sta indagando sull’ammanco di 13 milioni: “Il potere amministrativo, in base allo Statuto, era interamente nelle mani del senatore Luigi Lusi – hanno scritto Rutelli, Enzo Bianco (presidente dell’Assemblea federale) e Gianpiero Bocci (alla guida del Comitato di controllo sulla tesoreria) ieri dopo una riunione urgente – persona da tutti stimata, che aveva iniziato la propria attività, in quanto Direttore Generale degli Scout, apprezzato dal Sindaco Rutelli e quindi eletto due volte come amministratore del partito”. Rutelli è stato sentito dalla Procura il 16 gennaio, dopodiché ha informato i vertici dell’ex partito e chiesto le dimissioni di Lusi da tesoriere, arrivate mercoledì scorso. Nessuna rinuncia finora per la poltrona a Palazzo Madama e per il ruolo di tesoriere del Pd europeo di cui Rutelli è copresidente. L’inchiesta è partita da venti bonifici. Quelli che Lusi giustificava come “prestazioni di consulenza” e che dalle casse della Margherita sono finiti in quelle della Ttt srl, una società riconducibile proprio all’ex tesoriere. È da questi movimenti sospetti che Bankitalia ha iniziato a indagare, finché ne ha scoperti altri 70.
Quelle “voci opache”
In totale, secondo i pm romani Alberto Caperna e Stefano Pesci, Lusi si sarebbe appropriato indebitamente di circa 13 milioni di euro, dirottati su società italiane e estere di cui 5 milioni destinati al pagamento di “tasse”. Si tratta di tutti soldi pubblici, perché provenienti dagli ultimi rimborsi elettorali. Che i conti non tornassero se n’erano già accorti alcuni dirigenti della Margherita che avevano denunciato “voci opache e rissuntive” nel bilancio 2010. Il 21 giugno 2011, nell’assemblea federale in cui si dovevano decidere le sorti dei 20 milioni in attivo, ci fu la minaccia del ricorso al tribunale, che Rutelli apostrofò come “una cazzata”. E invece Enzo Carra, Renzo Lusetti, Rino Piscitello e Gaspare Nuccio una denuncia la sporsero davvero perché non coinvolti nelle decisioni in quanto transitati verso altri partiti. La giustificazione dell’esclusione è che non perseguivano più gli interessi della Margherita che ha scelto il centrosinistra. Eppure chi, come Lusetti e Carra, ha aderito all’Udc, rivendica di militare nel terzo Polo esattamente come l’Api di Rutelli che invece ha ancora diritto di parola sui finanziamenti dell’ex partito. Certo è che in molti sembrano sorpresi dagli interessi personali che Lusi ha fatto con i soldi pubblici, ma non si spiegano come abbia potuto agire da solo: “Il caso Lusi non sarà un altro Schettino ma poco ci manca. Che tutto un partito abbia subito inerte le decisioni solitarie del suo amministratore ha dell’inverosimile” dice Carra. E il leader della Destra, Francesco Storace, commenta sarcastico: “Si vede che frodava Rutelli a sua insaputa... ”. Con quel denaro è stato acquistato un immobile in pieno centro a Roma, in via Monserrato, pagato 1 milione e 900 mila euro; poi sono stati fatti due bonifici in due distinte occasioni, uno di 1 milione 863 mila e un altro di 2 milioni 815 mila euro alla “Paradiso Immobiliare”. E ancora.
Risultati degli accertamenti
La Ttt ha bonificato 272 mila euro alla Luigia Ltd., società di diritto canadese, anche questa riconducibile all’ex tesoriere. Inoltre secondo gli accertamenti di Bankitalia una parte del denaro sarebbe confluito sia sul conto personale di Lusi, circa 49 mila euro, che su quello del suo studio legale a titolo di “fondo spese”, 60 mila euro. Altri 5 milioni e 100mila euro sarebbero stati utilizzati per pagare le imposte. E non mancano neanche i soldi per la consorte: 119 mila euro sarebbero stati destinati ad uno studio di architettura di Toronto, “Giannone-Petricone”, dove lavora Pina Petricone, moglie di Lusi. Ma a non convincere i magistrati, oltre l’utilizzo del denaro, è proprio il comportamento del resto del partito. Come mai in tre anni, dal gennaio del 2008 all’estate del 2011, nessuno si sia accorto che i soldi sparivano? Anche perché Rutelli aveva, e ha ancora tutt’oggi, delega ad operare e il legame con Lusi è talmente solido, dai tempi del Comune di Roma in cui gli assegnò una consulenza per la quale poi Lusi fu giudicato non abbastanza qualificato, che appare improbabile che non abbia mai controllato l’operato del suo uomo. Ma l’ex presidente ai pm ha dichiarato di non sapere nulla della gestione Lusi.
“Solo il mio dovere”
Da parte sua Lusi ha ammesso l’appropriazione indebita ma ha poi dichiarato ai giornali “di aver fatto solo il suo dovere”, lasciando intravedere l’ombra di qualche ipotetico mandante. L’ammanco è sfuggito anche al comitato di controllo sulla tesoreria, del quale facevano parte numerosi esponenti del partito, da Bocci a Vaccaro, da Mantini a Strizzolo fino a Tanoni. Ma non a Parisi che chiese più volte verifiche sul bilancio. Con la confessione di Lusi, l’inchiesta potrebbe dirsi chiusa, ma la procura vuole capire se ci sono altri dirigenti che hanno fatto buon viso a cattivo gioco.

di Pacelli e Perniconi -

02 febbraio 2012

Sì, occorrono davvero i forconi

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La Casta finge di ridursi lo stipendio. Il tesoriere della defunta Margherita incassa 13 milioni: tutti per sé? E un senatore Pdl compra un palazzo e lo stesso giorno lo rivende alla Previdenza: cresta di 18 milioni d i Vittorio Feltri a polemica annosa sui compensi e sui privilegi della Casta è sempre stata stucchevo- le, ma ora sta diventando insopportabile. Le ultime notizie sui costi della politica, poi, sono urticanti: dimostrano che i parlamentari non hanno il coraggio delle proprie azioni e che, per non perdere quattro soldi, adottano sotterfugi infantili, perfino ingenui, tali sa suscitare un sentimento di pena, se non di disprezzo nei loro confronti. In questi giorni l`indennità mensile doveva aumentare complessivamente di 1.300 euro circa in ogni onorevole «busta paga». Altro che tagli. I1Parlamento, però, furbescamente ha deciso che quell`aumento non ci sarà per i deputati, ma finirà in un fondo a disposizione dei medesimi. Sicché lo Stato dovrà comunque sborsare quei quattrini. Di fatto i costi della politica che si volevano ridurre non diminuiranno affatto. Siamo alla presa in giro. Ed è questo che infastidisce, suppongo, gli italiani. I quali, tra l`altro, non ce l`hanno con i loro rappresentanti perché guadagnano troppo (cosa non vera, i parlamentari delle nazioni europee suppergiù incassano la stessa cifra). Figuriamoci.
Un qualunque professionista medio, ed anche piccolo, ha un reddito più elevato.
I cittadini semmai detestano i politici perché non valgono niente, sono inetti, incapaci di risolvere i problemi reali del Paese, impegnati nella conservazione della poltrona e del potere, insensibili al bene comune, smaniosi di fare carriera e basta. L`antipoliticanon nasce daunapropagan da distorta, ma dalla cattiva politica.
Queste non sono opinioni, bensì dati di fatto. Se quelli delPalazzo hanno conciato male l`Italia, e se, di fronte alla crisi, si sono arresi per manifesta inadeguatezza, cedendo il timone ai tecnici, significa che non sanno fare il loro mestiere. Ovvio che la gente voglia mandarli a casa e magari inseguirli coi forconi. Non è quanto essi percepiscono a scandalizzare, ma lo zero che hanno combinato e combinano. Se aggiungiamo che i partiti incamerano mostruosi rimborsi elettorali (pagati anche questi (...) segue a pagina 3 (...) dallo Stato) dei quali siignorala destinazione, be`, allora si comprende perché i contribuenti abbiano il sangue agli occhi e odino la Casta. Centinaia e centinaia di milioni di euro riscossi da segreterie che nonrendono conto a nessuno del loro operato; denaro che spesso piove nelle casse di fondazioni intestate a notabili, forse investito in immobili, forse utilizzato per consentire a leader e leaderinidivivere al di sopra delle loro possibilità. E la base? Ignara, si fida; non sospetta, quantomeno è rassegnata alle turlupinature dei vertici.Intanto, cresce il disgusto per chi, invece di dare un buon esempio, ne dà uno pessimo, quotidianamente.
Il caso della defunta Margherita merita un «cammeo». L`ex tesoriere del partito confluito nel Partito democratico avrebbe sottratto al «tesoro» affidatogli la bellezza di 13 milioni di euro.Per farne che?Arricchire il proprio conto corrente e acquistare appartamenti di prestigio. Come sia stato possibile per lui mettere a segno un colpo simile è un mistero. La Margherita è sfiorita da anni, la sua contabilità dovrebbe esser chiusa da quasi un lustro, ma soltanto adesso scopre che mancano 13 milioni?Arturo Parisi, ministro del governo Prodi, appreso del buco, ha dichiarato: «Mi accorsi di alcune voci di bilancio opache, somme consistenti in uscita. Si decise allora di istituire una commissione diverifica. Si riunì una sola volta, ma andò deserta».
Francesco Rutelli, fondatore e becchino della defraudata Margherita, ha commentato così l`allegra amministrazione: «Sono sconcertato, noi siamo parte lesa».
Qui l`unica lesione seria è stata fatta all`intelligenza.
Come si può pretendere che chi non sa gestire il proprio portafogli, sappia gestire il Paese? Non è tutto. Schifezze anche a destra. C`è una par condicio che accomuna entrambi i poli. Enrico Mentana ieri sera, in diretta, ha raccontato la seguente edificante storiella.
Un senatore delPdl, tale Riccardo Conti, un bel dì si compra un palazzo (a Roma) da un fondo controllato da Banca Intesa e il giorno stesso lo rivende, senza cacciare un euro di tasca, facendoci una cresta di 18 milioni di euro. Chi è l`ultimo acquirente? L`Istituto di Previdenza degli psicologi. I quali versano i contributi nella convinzione servano per la propria vecchiaia serena e che, invece, vanno a foraggiare un esponente minore (mica tanto minore) della Casta. Ma sì, occorrono davvero i forconi.

di Vittorio Feltri

01 febbraio 2012

Finanza speculativa: un conflitto ideologico irrinunciabile




Il conflitto ideologico a cui mi riferisco è quello contro la finanza globale speculativa che sta mettendo in ginocchio sempre più rapidamente tutte le economie occidentali, insieme alla cancellazione di faticose conquiste sociali messe insieme in un secolo di lotte e sacrifici da milioni di cittadini, lavoratori e imprenditori.
Quando la gente sente i vari commentatori di politica e di economia dire che questa è una crisi strutturale, non congiunturale, probabilmente non tutti ne capiscono il vero significato. Molti sicuramente pensano che è semplicemente una crisi un po’ più grave delle altre e che occorrono fare maggiori sacrifici. Cioè, pensano: se per una crisi congiunturale occorre una manovra da 50 miliardi di euro, per la crisi strutturale ne occorrono 100 o 200, ci vorrà più tempo, ma poi si riparte. Come nelle carestie.
Capisce bene che occorrono più sacrifici, ma probabilmente non si rende conto invece che la ripartenza non sarà mai più come quella che si ha in mente e che forse si è già sperimentato. Molta gente non si rende ancora conto che con la crisi strutturale il cambiamento è molto più profondo e definitivo. Molte cose cui prima si era abituati non ci saranno proprio più, nonostante i sacrifici. E sono tutte cose che, tra l’altro, colpiscono proprio la gente semplice, quelli delle classi medie e povere del paese, e molto poco le classi alte e ricche.
A questo punto, pur essendo questo fenomeno presente sia negli Stati Uniti che in Europa, dovrei fare una sostanziale differenziazione tra gli effetti che produce nei due diversi sistemi. Nell’America liberista e capitalista la situazione è più grave a causa di una già preesistente maggiore disuguaglianza sociale, ma il peggioramento è inferiore perché ci sono al governo i democratici, più attenti alle problematiche sociali e di equità socio-economica nella distribuzione della ricchezza. Nell’Europa “socialista” che parte invece da una situazione socio-economica più equilibrata, è il sicuro e pesante peggioramento all’orizzonte, dovuto alle iniziative (sbagliate) che vengono prese, a rendere l’evidenza della crisi in termini strutturali molto più pesante.
La prima puntualizzazione da fare è sul termine “socialista” usato dagli americani. È vero che l’Europa ha una organizzazione sociale più evoluta grazie al suo recente passato (dal dopoguerra) nel quale amministrazioni pubbliche ispirate al socialismo hanno steso regole di migliore equilibrio sociale, ma è purtroppo vero anche che negli ultimi 10-15 anni hanno avuto il sopravvento politiche populiste che hanno aperto la porta ad amministrazioni politiche di centro-destra (talvolta persino con pericolosi e gravi sconfinamenti nelle nostalgie nazi-fasciste) che hanno formato l’attuale “colorazione” politica, caratterizzata da una forte spinta verso le liberalizzazioni e l’imitazione della cultura capitalista americana.
Infatti nell’Europa di oggi ci sono Germania, Francia, Italia (anche nel governo “tecnico”), Spagna e Gran Bretagna che sono tutte guidate da governi di centro-destra, cioè governi “conservatori”. I quali hanno portato anche nel Parlamento europeo quelle politiche liberiste e conservatrici che sono la principale causa di questa crisi “epocale”, anche se nessuno dei maggiori organi di informazione lo dice apertamente, perché sono tutti, poco o tanto, legati a quella ideologia.
Anche se il liberismo non ha una precisa bandiera che lo identifica, il “liberismo-conservatore”, potentissimo motore del capitalismo, è una ideologia, ed è una ideologia che guida in questo periodo, praticamente senza contradditorio, tutta l’economia mondiale. Persino la Cina comunista, sul piano economico, si è adagiata per convenienza a questa linea.
Qualche contrasto (di poco conto), in giro per il mondo c’è, ma nella maggior parte dei casi è più sul piano della religione che su quello dell’economia sociale.
Eppure è veramente strano che, dopo l’evidente fallimento, nel 2008, delle politiche economiche liberiste, non sia ancora partita una netta inversione di tendenza guidata dall’ideologia tradizionalmente avversaria di quella liberista, e cioè l’ideologia socialista.
Eppure dovrebbe essere nella logica delle cose.
Quando a fine anni ‘80 è stata salutata (sul piano economico) la fine dell’inconcludente ideologia statalista e ha preso il sopravvento il liberismo in economia, molti hanno pensato che fosse la più semplice delle ricette verso la prosperità. Era una illusione, ma per un po’ ha funzionato.
Eppure quello che è successo nel 2008 avrebbe dovuto insegnare a tutti che quella non era medicina ma droga. Invece non è bastato. Molti pensano ancora, nonostante il perdurante disastro di tre anni fa, che le interessate chiacchiere dei liberisti capitalisti possano rimettere in piedi una economia sana. Basta ascoltare i discorsi dei leaders repubblicani candidati alla Casa Bianca per restare allibiti. Beninteso, ciò che lascia allibiti non è quello che dicono i candidati nel proprio interesse elettorale, ma il fatto che la gente non gli corra dietro per prenderli a calci nel sedere.
Romney propone di togliere tutti i vincoli alle transazioni finanziarie (così alla prossima crisi invece di dare alle banche 870 miliardi di dollari per non farle fallire, più dieci volte tanto negli anni a seguire in forma di sostegni finanziari, ne daremo il doppio o il triplo).
Gingrich non può proporre di meno, ma per farsi più bello propone di abolire totalmente le tasse sul capital gain, cioè sui guadagni di borsa. Così il “povero” Romney, che finora ha dovuto pagare l’insopportabile 15%, pagherà Zero, e tutti vissero felici e contenti.
Santorum se li tiene buoni tutti e due (forse spera di essere scelto come candidato vice-presidente da quello dei due che la spunterà sull’altro) e intanto per riscaldare la sua tifoseria accusa Obama di aver aumentato nei tre anni della sua presidenza di tre trilioni di dollari il bilancio statale. Naturalmente si guarda bene dal dire che il suo collega Bush, negli 8 anni dei suoi due consecutivi mandati ha regalato agli americani due recessioni e quasi dieci trilioni di debito, e non ha ricevuto da Clinton un paese economicamente allo sfascio.
Tutti portano l’esempio di Steve Jobs, inventore estremamente creativo dei diversi iPhone, iPad ecc. Certamente come inventore non si discute, è stato un vero genio, ma come creatore di ricchezza anche lui ha funzionato per la propria impresa ma non per il paese, visto che negli Stati Uniti la Apple impiega solo 43.000 persone.
Il grosso della produzione di Apple viene fatto in Cina e negli altri paesi dell’estremo oriente, saranno quindi loro (insieme agli azionisti di Apple) a trarre il maggior beneficio economico dalle invenzioni di Jobs.
E gli utili? In confronto al giro di affari, e di lavoro, che sviluppa una simile produzione, l’utile è poca cosa, e non è nemmeno certo che rientri in patria, quindi l’esempio di Jobs come creatore di ricchezza è del tutto falso, se visto sul piano nazionale.
Giustamente questa cosa la mette in evidenza Krugman nel suo recente articolo sul NYT, e la confronta col sempre criticato (dai liberisti) aiuto statale di Obama all’industria automobilistica americana. Quell’industria adesso è in ripresa e si sono salvate decine di migliaia di posti di lavoro. Considerando l’indotto sono centinaia di migliaia i posti di lavoro salvati. E sono tutti posti di lavoro dentro agli Stati Uniti! Inutile dire che quella è stata, ed è ancora, la cosa giusta da fare per rilanciare l’economia del paese. Di ogni paese!
Speriamo che negli Usa non prevalgano nelle prossime elezioni quelle strampalate idee liberiste che stanno portando il paese alla rovina totale. E speriamo che l’Europa si svegli da quel canto delle sirene che l’hanno portata ad inseguire e copiare tutto quello che (di sbagliato) arrivava e arriva dall’America.
La libertà è bella, è giusta e piace a tutti, ma troppa libertà è caos.
Una economia (e soprattutto, oggi, una finanza) senza regole severe, è una jungla invivibile ai civili.
È necessario a questo punto aprire un forte conflitto ideologico con i liberisti d’America per rivalutare finalmente gli ideali di società orientate ad un maggiore equilibrio nella distribuzione della ricchezza, che sappiano offrire nella competizione vere opportunità per tutti, ma anche maggiore giustizia sociale per chi non ha voglia, o possibilità, di competere.
di Roberto Marchesi

03 febbraio 2012

Ladri di Margherita. I partiti, perfino quelli defunti, che navigano nell’oro a spese nostre




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La favola del tesoriere Lusi, che fugge con la cassa (13 milioni) all’insaputa dei vertici Dl, fa ridere. Ma il guaio serio sono i partiti, perfino quelli defunti, che navigano nell’oro a spese nostre


Come si fa a non fidarsi di uno scout? Questo almeno è quel che sostengono i dirigenti dell’ex Margherita quando parlano del loro tesoriere, Luigi Lusi. Solo lui aveva in mano le chiavi del forziere del partito, poteva accedervi, prelevare soldi, decidere come spenderli. L’unico col potere di firma sui conti, assieme al presidente Francesco Rutelli. Chi se non lui, scout di rigorosa osservanza fino all’età adulta? In realtà le spiegazioni dei vertici ex Dl finora non hanno convinto la magistratura che sta indagando sull’ammanco di 13 milioni: “Il potere amministrativo, in base allo Statuto, era interamente nelle mani del senatore Luigi Lusi – hanno scritto Rutelli, Enzo Bianco (presidente dell’Assemblea federale) e Gianpiero Bocci (alla guida del Comitato di controllo sulla tesoreria) ieri dopo una riunione urgente – persona da tutti stimata, che aveva iniziato la propria attività, in quanto Direttore Generale degli Scout, apprezzato dal Sindaco Rutelli e quindi eletto due volte come amministratore del partito”. Rutelli è stato sentito dalla Procura il 16 gennaio, dopodiché ha informato i vertici dell’ex partito e chiesto le dimissioni di Lusi da tesoriere, arrivate mercoledì scorso. Nessuna rinuncia finora per la poltrona a Palazzo Madama e per il ruolo di tesoriere del Pd europeo di cui Rutelli è copresidente. L’inchiesta è partita da venti bonifici. Quelli che Lusi giustificava come “prestazioni di consulenza” e che dalle casse della Margherita sono finiti in quelle della Ttt srl, una società riconducibile proprio all’ex tesoriere. È da questi movimenti sospetti che Bankitalia ha iniziato a indagare, finché ne ha scoperti altri 70.
Quelle “voci opache”
In totale, secondo i pm romani Alberto Caperna e Stefano Pesci, Lusi si sarebbe appropriato indebitamente di circa 13 milioni di euro, dirottati su società italiane e estere di cui 5 milioni destinati al pagamento di “tasse”. Si tratta di tutti soldi pubblici, perché provenienti dagli ultimi rimborsi elettorali. Che i conti non tornassero se n’erano già accorti alcuni dirigenti della Margherita che avevano denunciato “voci opache e rissuntive” nel bilancio 2010. Il 21 giugno 2011, nell’assemblea federale in cui si dovevano decidere le sorti dei 20 milioni in attivo, ci fu la minaccia del ricorso al tribunale, che Rutelli apostrofò come “una cazzata”. E invece Enzo Carra, Renzo Lusetti, Rino Piscitello e Gaspare Nuccio una denuncia la sporsero davvero perché non coinvolti nelle decisioni in quanto transitati verso altri partiti. La giustificazione dell’esclusione è che non perseguivano più gli interessi della Margherita che ha scelto il centrosinistra. Eppure chi, come Lusetti e Carra, ha aderito all’Udc, rivendica di militare nel terzo Polo esattamente come l’Api di Rutelli che invece ha ancora diritto di parola sui finanziamenti dell’ex partito. Certo è che in molti sembrano sorpresi dagli interessi personali che Lusi ha fatto con i soldi pubblici, ma non si spiegano come abbia potuto agire da solo: “Il caso Lusi non sarà un altro Schettino ma poco ci manca. Che tutto un partito abbia subito inerte le decisioni solitarie del suo amministratore ha dell’inverosimile” dice Carra. E il leader della Destra, Francesco Storace, commenta sarcastico: “Si vede che frodava Rutelli a sua insaputa... ”. Con quel denaro è stato acquistato un immobile in pieno centro a Roma, in via Monserrato, pagato 1 milione e 900 mila euro; poi sono stati fatti due bonifici in due distinte occasioni, uno di 1 milione 863 mila e un altro di 2 milioni 815 mila euro alla “Paradiso Immobiliare”. E ancora.
Risultati degli accertamenti
La Ttt ha bonificato 272 mila euro alla Luigia Ltd., società di diritto canadese, anche questa riconducibile all’ex tesoriere. Inoltre secondo gli accertamenti di Bankitalia una parte del denaro sarebbe confluito sia sul conto personale di Lusi, circa 49 mila euro, che su quello del suo studio legale a titolo di “fondo spese”, 60 mila euro. Altri 5 milioni e 100mila euro sarebbero stati utilizzati per pagare le imposte. E non mancano neanche i soldi per la consorte: 119 mila euro sarebbero stati destinati ad uno studio di architettura di Toronto, “Giannone-Petricone”, dove lavora Pina Petricone, moglie di Lusi. Ma a non convincere i magistrati, oltre l’utilizzo del denaro, è proprio il comportamento del resto del partito. Come mai in tre anni, dal gennaio del 2008 all’estate del 2011, nessuno si sia accorto che i soldi sparivano? Anche perché Rutelli aveva, e ha ancora tutt’oggi, delega ad operare e il legame con Lusi è talmente solido, dai tempi del Comune di Roma in cui gli assegnò una consulenza per la quale poi Lusi fu giudicato non abbastanza qualificato, che appare improbabile che non abbia mai controllato l’operato del suo uomo. Ma l’ex presidente ai pm ha dichiarato di non sapere nulla della gestione Lusi.
“Solo il mio dovere”
Da parte sua Lusi ha ammesso l’appropriazione indebita ma ha poi dichiarato ai giornali “di aver fatto solo il suo dovere”, lasciando intravedere l’ombra di qualche ipotetico mandante. L’ammanco è sfuggito anche al comitato di controllo sulla tesoreria, del quale facevano parte numerosi esponenti del partito, da Bocci a Vaccaro, da Mantini a Strizzolo fino a Tanoni. Ma non a Parisi che chiese più volte verifiche sul bilancio. Con la confessione di Lusi, l’inchiesta potrebbe dirsi chiusa, ma la procura vuole capire se ci sono altri dirigenti che hanno fatto buon viso a cattivo gioco.

di Pacelli e Perniconi -

02 febbraio 2012

Sì, occorrono davvero i forconi

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La Casta finge di ridursi lo stipendio. Il tesoriere della defunta Margherita incassa 13 milioni: tutti per sé? E un senatore Pdl compra un palazzo e lo stesso giorno lo rivende alla Previdenza: cresta di 18 milioni d i Vittorio Feltri a polemica annosa sui compensi e sui privilegi della Casta è sempre stata stucchevo- le, ma ora sta diventando insopportabile. Le ultime notizie sui costi della politica, poi, sono urticanti: dimostrano che i parlamentari non hanno il coraggio delle proprie azioni e che, per non perdere quattro soldi, adottano sotterfugi infantili, perfino ingenui, tali sa suscitare un sentimento di pena, se non di disprezzo nei loro confronti. In questi giorni l`indennità mensile doveva aumentare complessivamente di 1.300 euro circa in ogni onorevole «busta paga». Altro che tagli. I1Parlamento, però, furbescamente ha deciso che quell`aumento non ci sarà per i deputati, ma finirà in un fondo a disposizione dei medesimi. Sicché lo Stato dovrà comunque sborsare quei quattrini. Di fatto i costi della politica che si volevano ridurre non diminuiranno affatto. Siamo alla presa in giro. Ed è questo che infastidisce, suppongo, gli italiani. I quali, tra l`altro, non ce l`hanno con i loro rappresentanti perché guadagnano troppo (cosa non vera, i parlamentari delle nazioni europee suppergiù incassano la stessa cifra). Figuriamoci.
Un qualunque professionista medio, ed anche piccolo, ha un reddito più elevato.
I cittadini semmai detestano i politici perché non valgono niente, sono inetti, incapaci di risolvere i problemi reali del Paese, impegnati nella conservazione della poltrona e del potere, insensibili al bene comune, smaniosi di fare carriera e basta. L`antipoliticanon nasce daunapropagan da distorta, ma dalla cattiva politica.
Queste non sono opinioni, bensì dati di fatto. Se quelli delPalazzo hanno conciato male l`Italia, e se, di fronte alla crisi, si sono arresi per manifesta inadeguatezza, cedendo il timone ai tecnici, significa che non sanno fare il loro mestiere. Ovvio che la gente voglia mandarli a casa e magari inseguirli coi forconi. Non è quanto essi percepiscono a scandalizzare, ma lo zero che hanno combinato e combinano. Se aggiungiamo che i partiti incamerano mostruosi rimborsi elettorali (pagati anche questi (...) segue a pagina 3 (...) dallo Stato) dei quali siignorala destinazione, be`, allora si comprende perché i contribuenti abbiano il sangue agli occhi e odino la Casta. Centinaia e centinaia di milioni di euro riscossi da segreterie che nonrendono conto a nessuno del loro operato; denaro che spesso piove nelle casse di fondazioni intestate a notabili, forse investito in immobili, forse utilizzato per consentire a leader e leaderinidivivere al di sopra delle loro possibilità. E la base? Ignara, si fida; non sospetta, quantomeno è rassegnata alle turlupinature dei vertici.Intanto, cresce il disgusto per chi, invece di dare un buon esempio, ne dà uno pessimo, quotidianamente.
Il caso della defunta Margherita merita un «cammeo». L`ex tesoriere del partito confluito nel Partito democratico avrebbe sottratto al «tesoro» affidatogli la bellezza di 13 milioni di euro.Per farne che?Arricchire il proprio conto corrente e acquistare appartamenti di prestigio. Come sia stato possibile per lui mettere a segno un colpo simile è un mistero. La Margherita è sfiorita da anni, la sua contabilità dovrebbe esser chiusa da quasi un lustro, ma soltanto adesso scopre che mancano 13 milioni?Arturo Parisi, ministro del governo Prodi, appreso del buco, ha dichiarato: «Mi accorsi di alcune voci di bilancio opache, somme consistenti in uscita. Si decise allora di istituire una commissione diverifica. Si riunì una sola volta, ma andò deserta».
Francesco Rutelli, fondatore e becchino della defraudata Margherita, ha commentato così l`allegra amministrazione: «Sono sconcertato, noi siamo parte lesa».
Qui l`unica lesione seria è stata fatta all`intelligenza.
Come si può pretendere che chi non sa gestire il proprio portafogli, sappia gestire il Paese? Non è tutto. Schifezze anche a destra. C`è una par condicio che accomuna entrambi i poli. Enrico Mentana ieri sera, in diretta, ha raccontato la seguente edificante storiella.
Un senatore delPdl, tale Riccardo Conti, un bel dì si compra un palazzo (a Roma) da un fondo controllato da Banca Intesa e il giorno stesso lo rivende, senza cacciare un euro di tasca, facendoci una cresta di 18 milioni di euro. Chi è l`ultimo acquirente? L`Istituto di Previdenza degli psicologi. I quali versano i contributi nella convinzione servano per la propria vecchiaia serena e che, invece, vanno a foraggiare un esponente minore (mica tanto minore) della Casta. Ma sì, occorrono davvero i forconi.

di Vittorio Feltri

01 febbraio 2012

Finanza speculativa: un conflitto ideologico irrinunciabile




Il conflitto ideologico a cui mi riferisco è quello contro la finanza globale speculativa che sta mettendo in ginocchio sempre più rapidamente tutte le economie occidentali, insieme alla cancellazione di faticose conquiste sociali messe insieme in un secolo di lotte e sacrifici da milioni di cittadini, lavoratori e imprenditori.
Quando la gente sente i vari commentatori di politica e di economia dire che questa è una crisi strutturale, non congiunturale, probabilmente non tutti ne capiscono il vero significato. Molti sicuramente pensano che è semplicemente una crisi un po’ più grave delle altre e che occorrono fare maggiori sacrifici. Cioè, pensano: se per una crisi congiunturale occorre una manovra da 50 miliardi di euro, per la crisi strutturale ne occorrono 100 o 200, ci vorrà più tempo, ma poi si riparte. Come nelle carestie.
Capisce bene che occorrono più sacrifici, ma probabilmente non si rende conto invece che la ripartenza non sarà mai più come quella che si ha in mente e che forse si è già sperimentato. Molta gente non si rende ancora conto che con la crisi strutturale il cambiamento è molto più profondo e definitivo. Molte cose cui prima si era abituati non ci saranno proprio più, nonostante i sacrifici. E sono tutte cose che, tra l’altro, colpiscono proprio la gente semplice, quelli delle classi medie e povere del paese, e molto poco le classi alte e ricche.
A questo punto, pur essendo questo fenomeno presente sia negli Stati Uniti che in Europa, dovrei fare una sostanziale differenziazione tra gli effetti che produce nei due diversi sistemi. Nell’America liberista e capitalista la situazione è più grave a causa di una già preesistente maggiore disuguaglianza sociale, ma il peggioramento è inferiore perché ci sono al governo i democratici, più attenti alle problematiche sociali e di equità socio-economica nella distribuzione della ricchezza. Nell’Europa “socialista” che parte invece da una situazione socio-economica più equilibrata, è il sicuro e pesante peggioramento all’orizzonte, dovuto alle iniziative (sbagliate) che vengono prese, a rendere l’evidenza della crisi in termini strutturali molto più pesante.
La prima puntualizzazione da fare è sul termine “socialista” usato dagli americani. È vero che l’Europa ha una organizzazione sociale più evoluta grazie al suo recente passato (dal dopoguerra) nel quale amministrazioni pubbliche ispirate al socialismo hanno steso regole di migliore equilibrio sociale, ma è purtroppo vero anche che negli ultimi 10-15 anni hanno avuto il sopravvento politiche populiste che hanno aperto la porta ad amministrazioni politiche di centro-destra (talvolta persino con pericolosi e gravi sconfinamenti nelle nostalgie nazi-fasciste) che hanno formato l’attuale “colorazione” politica, caratterizzata da una forte spinta verso le liberalizzazioni e l’imitazione della cultura capitalista americana.
Infatti nell’Europa di oggi ci sono Germania, Francia, Italia (anche nel governo “tecnico”), Spagna e Gran Bretagna che sono tutte guidate da governi di centro-destra, cioè governi “conservatori”. I quali hanno portato anche nel Parlamento europeo quelle politiche liberiste e conservatrici che sono la principale causa di questa crisi “epocale”, anche se nessuno dei maggiori organi di informazione lo dice apertamente, perché sono tutti, poco o tanto, legati a quella ideologia.
Anche se il liberismo non ha una precisa bandiera che lo identifica, il “liberismo-conservatore”, potentissimo motore del capitalismo, è una ideologia, ed è una ideologia che guida in questo periodo, praticamente senza contradditorio, tutta l’economia mondiale. Persino la Cina comunista, sul piano economico, si è adagiata per convenienza a questa linea.
Qualche contrasto (di poco conto), in giro per il mondo c’è, ma nella maggior parte dei casi è più sul piano della religione che su quello dell’economia sociale.
Eppure è veramente strano che, dopo l’evidente fallimento, nel 2008, delle politiche economiche liberiste, non sia ancora partita una netta inversione di tendenza guidata dall’ideologia tradizionalmente avversaria di quella liberista, e cioè l’ideologia socialista.
Eppure dovrebbe essere nella logica delle cose.
Quando a fine anni ‘80 è stata salutata (sul piano economico) la fine dell’inconcludente ideologia statalista e ha preso il sopravvento il liberismo in economia, molti hanno pensato che fosse la più semplice delle ricette verso la prosperità. Era una illusione, ma per un po’ ha funzionato.
Eppure quello che è successo nel 2008 avrebbe dovuto insegnare a tutti che quella non era medicina ma droga. Invece non è bastato. Molti pensano ancora, nonostante il perdurante disastro di tre anni fa, che le interessate chiacchiere dei liberisti capitalisti possano rimettere in piedi una economia sana. Basta ascoltare i discorsi dei leaders repubblicani candidati alla Casa Bianca per restare allibiti. Beninteso, ciò che lascia allibiti non è quello che dicono i candidati nel proprio interesse elettorale, ma il fatto che la gente non gli corra dietro per prenderli a calci nel sedere.
Romney propone di togliere tutti i vincoli alle transazioni finanziarie (così alla prossima crisi invece di dare alle banche 870 miliardi di dollari per non farle fallire, più dieci volte tanto negli anni a seguire in forma di sostegni finanziari, ne daremo il doppio o il triplo).
Gingrich non può proporre di meno, ma per farsi più bello propone di abolire totalmente le tasse sul capital gain, cioè sui guadagni di borsa. Così il “povero” Romney, che finora ha dovuto pagare l’insopportabile 15%, pagherà Zero, e tutti vissero felici e contenti.
Santorum se li tiene buoni tutti e due (forse spera di essere scelto come candidato vice-presidente da quello dei due che la spunterà sull’altro) e intanto per riscaldare la sua tifoseria accusa Obama di aver aumentato nei tre anni della sua presidenza di tre trilioni di dollari il bilancio statale. Naturalmente si guarda bene dal dire che il suo collega Bush, negli 8 anni dei suoi due consecutivi mandati ha regalato agli americani due recessioni e quasi dieci trilioni di debito, e non ha ricevuto da Clinton un paese economicamente allo sfascio.
Tutti portano l’esempio di Steve Jobs, inventore estremamente creativo dei diversi iPhone, iPad ecc. Certamente come inventore non si discute, è stato un vero genio, ma come creatore di ricchezza anche lui ha funzionato per la propria impresa ma non per il paese, visto che negli Stati Uniti la Apple impiega solo 43.000 persone.
Il grosso della produzione di Apple viene fatto in Cina e negli altri paesi dell’estremo oriente, saranno quindi loro (insieme agli azionisti di Apple) a trarre il maggior beneficio economico dalle invenzioni di Jobs.
E gli utili? In confronto al giro di affari, e di lavoro, che sviluppa una simile produzione, l’utile è poca cosa, e non è nemmeno certo che rientri in patria, quindi l’esempio di Jobs come creatore di ricchezza è del tutto falso, se visto sul piano nazionale.
Giustamente questa cosa la mette in evidenza Krugman nel suo recente articolo sul NYT, e la confronta col sempre criticato (dai liberisti) aiuto statale di Obama all’industria automobilistica americana. Quell’industria adesso è in ripresa e si sono salvate decine di migliaia di posti di lavoro. Considerando l’indotto sono centinaia di migliaia i posti di lavoro salvati. E sono tutti posti di lavoro dentro agli Stati Uniti! Inutile dire che quella è stata, ed è ancora, la cosa giusta da fare per rilanciare l’economia del paese. Di ogni paese!
Speriamo che negli Usa non prevalgano nelle prossime elezioni quelle strampalate idee liberiste che stanno portando il paese alla rovina totale. E speriamo che l’Europa si svegli da quel canto delle sirene che l’hanno portata ad inseguire e copiare tutto quello che (di sbagliato) arrivava e arriva dall’America.
La libertà è bella, è giusta e piace a tutti, ma troppa libertà è caos.
Una economia (e soprattutto, oggi, una finanza) senza regole severe, è una jungla invivibile ai civili.
È necessario a questo punto aprire un forte conflitto ideologico con i liberisti d’America per rivalutare finalmente gli ideali di società orientate ad un maggiore equilibrio nella distribuzione della ricchezza, che sappiano offrire nella competizione vere opportunità per tutti, ma anche maggiore giustizia sociale per chi non ha voglia, o possibilità, di competere.
di Roberto Marchesi