04 aprile 2012

Ci stanno ammazzando?

Ieri un uomo si è dato fuoco nel parcheggio della Commissione tributaria, in via Paolo Nanni Costa, nella periferia ovest di Bologna. Era in debito con il fisco e voleva farla finita. A Giuseppe C., muratore di cinquantotto anni, erano stati contestati tributi non pagati e i suoi ricorsi alla commissione erano stati respinti, l’ultimo proprio di recente. L’uomo ha tentato di uccidersi incendiando la sua auto verso le otto di mattina. C’è restato finché ha resistito e poi è corso fuori; sembrava una torcia umana. Diversi sono stati i biglietti scritti a mano (trovati dai vigili del fuoco all’interno della sua macchina) per spiegare il suo gesto. “Ho sempre pagato le tasse, poco ma sempre. Quello che ho fatto l’ho fatto in buona fede. Lasciate in pace mia moglie, lei è una brava donna. Vi chiedo perdono anche a voi” ha scritto riferendosi alla Commissione tributaria. A Roma, un altro caso: un uomo di quarantanove anni si è gettato dal balcone della sua abitazione perché disoccupato. Questi tragici episodi sono in aumento e sono un sintomo evidente di come la crisi economica colpisce pesantemente la maggior parte delle famiglie e soprattutto le classi sociali più povere. Secondo le stime riportate dal Servizio Prevenzione del Suicidio dell’ospedale romano Sant’Andrea, il “fattore economico” ha pesato (sugli oltre 4000 suicidi complessivi in un anno) per oltre un terzo. Lo psichiatra Maurizio Pompili, che ha riportato queste stime, ha dichiarato: “Purtroppo questi dati non ci sorprendono, nella storia è un fenomeno già visto. Ci fu un boom di suicidi nel 1870, dopo una grande crisi e l’aumento del prezzo del pane”. Intanto mentre qui si muore perché si è stremati dai debiti, Mr. Monti riscuote successi all’estero con i media di massa italiani ed internazionali che continuano l’elogio del “quanto è bravo il premier” fino allo sfinimento. “I giovani devono abituarsi all’idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. E poi, diciamolo, che monotonia. E’ bello cambiare e accettare delle sfide”, queste parole di Mr. Goldman Sachs & co., ancora rimbombano pesantemente sui giovani (e meno giovani) che ogni giorno devono combattere per mantenere un lavoro sempre più incerto e precario. Viviamo in un Paese sopraffatto dall’incertezza del futuro e chi prova a rialzarsi, viene represso a suon di bastonate democratiche. Proprio come è successo pochi giorni fa agli operai dell’Alcoa, manganellati mentre gridavano una sacrosanta verità: “un operaio, una famiglia”. Già, una famiglia, quell’angolo di mondo tranquillo (o turbolento) all’interno del quale ciascuno sa di “contare qualcosa” anche quando all’esterno è solamente una risorsa umana da spremere come un limone fintanto che ha qualcosa da dare, per poi diventare una buccia, un peso, un rifiuto organico da “smaltire” e nulla più. Quella “casa” sicura (o meno) dove l’uomo economico, atomizzato nel suo ruolo di competitor solitario, corridore del progresso, condannato ad arrivare “primo” in una corsa truccata dove tutti sono ultimi, può tornare la sera. Accovacciarsi in posizione fetale e tentare di suggere qualche goccia di umanità e carpire uno scampolo di sentimento, di emozione, di vita. I figli, il coniuge, i genitori, quelle poche briciole di mondo che ancora hanno un nome ed un valore che prescinda dalla loro produttività. I “tuoi cari”, la tua isola felice (o infelice) che sta sgretolandosi ogni giorno di più, fagocitata dal progresso che per te ha in serbo altri programmi, volti a renderti assai più efficiente e produttivo. L’ondata di suicidi del 1870 cui fa riferimento lo psichiatra Pompili, per giustificare il suo mancato stupore nei confronti di quelli di oggi, in realtà fu il risultato di quello stravolgimento economico e sociale meglio conosciuto come rivoluzione industriale e non solamente di un aumento incontrollato del prezzo del pane. La famiglia allargata che viveva in larga parte di autoproduzione e manteneva forti rapporti umani, all’interno di una comunità fortemente coesa, iniziò a morire, ammazzata dal lavoro salariato in fabbrica, dalle città maleodoranti, dall’incapacità dei suoi membri, diventati individui, di sopravvivere economicamente con lo “stipendio”, laddove fino a qualche anno prima vivevano con un certo agio all’interno di un sistema dove la presenza del denaro non era immanente e si rendeva necessaria solo in quegli ambiti dove l’autoproduzione, lo scambio ed il dono (e quanto altro garantito dallo spirito di comunità) non si manifestavano sufficienti. La famiglia, nella sua forma primigenia stava morendo e con lei si suicidarono molti dei suoi membri, riluttanti a diventare criceti, nella gabbia di un mondo che più non gli apparteneva. Come la mancanza di pane non fu l’unico elemento scatenante dell’ondata di suicidi della seconda metà dell’800, così la disoccupazione, l’usura di stato e il cinismo sprezzante di un governo di banchieri subumani non è l’unica causa dell’ondata odierna. Anche oggi, come allora, quel che resta della famiglia sta morendo, ammazzata dai sacerdoti della crescita e del progresso che vedono in essa un ostacolo all’atomizzazione dell’individuo merce, deputato a sostituire l’essere umano. La mancanza di lavoro, comunque temporaneo e mal retribuito, è il cavallo di Troia attraverso il quale praticare l’eutanasia di qualunque legame famigliare ed amicale possieda l’individuo, fino a renderlo solo, acquiescente, malleabile e funzionale agli interessi della macchina economica. Per inseguire il miraggio di un lavoro che non c’è, i coniugi si adeguano a turni massacranti che pur condividendo la stessa casa li costringono di fatto a non incontrarsi più fra loro e con i figli per intere settimane. Per inseguire la speranza di lavoro, sempre più persone cadono vittima di un pendolarismo massacrante che li rende veri e propri zombie in ambito famigliare. Mentre altri si trasferiscono a centinaia di km di distanza dalla propria famiglia, per mantenere un posto di lavoro che sta sfuggendo e comunque a breve sfuggirà. E quel che resta delle famiglie, diventa ogni giorno di più un luogo alieno, mero ricettacolo di frustrazioni personali, dove alcuni individui condividono spazi comuni, continuando a vivere la propria individualità, fatta di paura, sensazione di inadeguatezza e mancanza di qualsiasi prospettiva per il futuro. Su questo retroterra di pesante demolizione di ogni rapporto sociale che prescinda dall’economia, sta crescendo l’ondata di suicidi che abbiamo iniziato a sperimentare e con tutta probabilità si acuirà nel prossimo futuro, di pari passo con il sempre più accentuato ridimensionamento delle prospettive occupazionali e la progressiva eutanasia della famiglia, dello stato nazione e della comunità. Solamente un secolo fa la scala valoriale usata per misurare le persone era ancora incentrata sulle sue qualità morali. Il coraggioso e il vigliacco, il ladro e l’onesto, l’uomo d’onore e la spia, l’uomo “di cuore” ed il cinico e così via. Oggi l’unica scala valoriale universalmente accettata è quella economica. Il vincente ed il perdente, l’uomo (o la donna) di successo e quello che non ne ha mai avuto, l’uomo che può mantenere agiatamente la propria famiglia e quello che la campa a fatica, la persona che lavora e quella che è disoccupata. L’uomo che possiede beni economici che gli garantiscono di acquistare affetti e sentimenti e quello cui questi beni economici vengono meno e teme di perdere (se non li ha già persi) i sentimenti e gli affetti che possedeva e troppo spesso ritiene che una corda o una latta di benzina rappresentino l’unica soluzione. In fondo potrebbero anche esserlo, se destinati agli umanoidi che hanno creato questa situazione. di Marco Cedolin e Fabio Polese

03 aprile 2012

La teoria: «La crisi europea non esiste, è una truffa»

Sono due gli ingredienti alla base della crisi economica europea: la mancanza di sovranità monetaria dei Paesi europei (e la conseguente adesione all’euro) e le leggi economiche neoliberiste. Ne è convinto l’economista italo-danese Bruno Amoroso, allievo prediletto di Federico Caffè che martedì 27 marzo alle ore 17.30 presenterà al museo Vittoria Colonna di Pescara il suo libro “Euro in bilico”. L’adesione all’euro, sostiene l’autore, «è il maggiore impedimento per uscire dal baratro della crisi economica». Ed il tentativo di introdurre in Costituzione il pareggio di bilancio è una forzatura che peggiorerà le cose. LA TRUFFA Il libro cerca di dare una chiave di lettura anti convenzionale sulla crisi economica che ha investito l’Europa. L’euro così com’è non regge e va riformato, secondo Amoroso ed è inutile sperare in un’unione monetaria e fiscale ancora più stretta perché le economie di Grecia e Italia sono molto diverse da quelle di Germania e Olanda e hanno bisogno di regole diverse. Il professore perciò propone come soluzione lo sdoppiamento dell’euro in uno di serie A e uno di serie B, i cui parametri si adattino meglio alle necessità dei rispettivi Stati membri. Ma se si è arrivati a questo punto -sostiene sempre l'autore- la colpa è anche delle cinque grandi banche d’affari Goldman Sachs in testa, e delle tre agenzie di rating americane, che hanno lanciato una vera e propria offensiva «per riprendere il controllo del sistema economico e politico mondiale perso dagli Usa» nell’ultima decade. «La politica economica europea è oggi nelle mani dei grandi gruppi finanziari», ha detto Amoroso, «che vogliono imporre i loro principi neoliberisti ai governi europei». Un esempio lampante è la richiesta d’inserimento del vincolo del pareggio di bilancio nella Costituzione. «Un’economia deve avere la libertà di non avere il bilancio pubblico in pareggio. Ciò che conta è l’equilibrio contabile nazionale». Secondo il professore il termine più giusto per descrivere la crisi è truffa finanziaria. L’INGANNO… IN ORIGINE Le radici della crisi dell’eurozona affondano nel passato, nei principi economici neoliberisti americani. Tra le regole imposte dall’economia -dice Amoroso- c’è anche il passaggio dalla moneta sovrana degli Stati (in Europa ogni Paese aveva la sua: la lira italiana, il marco tedesco) alla moneta unica. Questo cambiamento ha però comportato diversi problemi. Mentre prima gli Stati avevano autonomia di autoregolarsi (decidevano di immettere in economia quanti soldi servivano per far fronte ai problemi senza vincoli di emissione), oggi, con la moneta unica devono rendere conto alla Bce che decide il quanto, il come, il se. Molti Paesi dunque non riescono a rispettare i parametri imposti dall’alto (vuoi per problemi interni, vuoi per altre ragioni) e si trovano in difficoltà. Con l’introduzione dell’obbligo di pareggio di bilancio si capisce che la situazione andrà ad aggravarsi perché per legge gli Stati non potranno sforare ma rigare dritto ed attenersi ad una norma costituzionale. «Questa è una trappola per i cittadini», si legge nel primo capitolo del libro di Amoroso, «ed un ricatto verso i governi messi in atto coscientemente da un gruppo ristretto della finanza internazionale, con l’appoggio benevolo ma interessato dei loro rappresentanti diretti e indiretti nei Paesi europei. Questa camicia di forza, della quale oggi paghiamo tutti le conseguenze per gli effetti paralizzanti che produce oltre che sulla politica e sull’economia, sul nostro modo di pensare è stata imposta prima con il pensiero è stata imposta prima con il pensiero unico e oggi con il potere unico». Il pareggio di bilancio secondo Amoroso che si vuole inserire nella carta è stato costituzionalizzato solo in Germania nel dopoguerra per l’ossessione tutta tedesca per l’inflazione, ma di recente è stato imposto in Grecia e, oggi, si tenta di farlo anche in Italia. «E questo è oggi possibile », ha dichiarato, «perché il pensiero unico e il potere unico vanno a braccetto, e il primo ha dissodato il terreno al secondo gettando ogni opposizione nella più totale confusione mentale». Amoroso è docente di Economia Internazionale presso l’Università Roskilde in Danimarca, coordina programmi di ricerca e cooperazione con i Paesi dell’Asia e del Mediterraneo e presiede il Centro Studi Federico Caffè. Tra gli incarichi ricoperti anche quello di presidente del Centro studi Federico Caffè dell'Università di Roskilde e di co-direttore della rivista italo-canadese Interculture. Marirosa Barbieri

02 aprile 2012

La Germania Prepara le (sue) Banche alla Bancarotta dei Paesi Perifrici

Forse non capisco, ma questa notizia prepara la fine dell’euro – e speriamo – di Draghi, di Monti e di Bruxelles. Da Bloomberg: «La Bundesbank è la prima delle 17 Banche Centrali dell’area euro a rifiutare di accettare come collaterale i titoli di banche garantiti da Stati membri che ricevono aiuto dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale». (European Bailout Stigma Shifts From Banks To Sovereigns As Bundesbank Refuses PIG Collateral) Ricordiamo in breve cosa sono i «collaterali»: quando chiedete un mutuo, offrite alla banca la casa, su cui la banca accende un’ipoteca e che si prenderà se voi non pagate il debito. La casa data in garanzia è un collaterale. Altri collaterali possono essere azioni, obbligazioni, titoli pubblici, BOT, eccetera. Se non intendo male, la notizia significa che la Banca Centrale Tedesca non dà più soldi in prestito alle banche che offrono in garanzia i titoli di debito di Spagna, Italia, Portogallo. O detto altrimenti: niente alle banche che hanno chiesto e ricevuto il miliardone di denaro all’1% creato dal nulla dalla BCE di Mario Draghi, o almeno – sottolineo – non a quelle banche insediate in Stati in difficoltà: Spagna, Italia, Portogallo…. I «collaterali» di quegli Stati non valgono un piffero come garanzia per aver denaro in prestito, ergo i collaterali delle banche di quegli Stati valgono ancor meno. Questa mossa della Bundesbank è un colpo di artiglieria contro la BCE, e un atto di sabotaggio contro Mario Draghi specificamente. Per spargere il miliardone all’1% (LTRO, Long Term Refinancing Operation), Draghi ha accettato dalle banche bisognose «collaterali» più che dubbi, fuffa, spazzatura, crediti poco o nulla esigibili. È noto che i tedeschi nella BCE non hanno apprezzato. Ora, stanno dicendo che chi ha preso quei soldi è marchiato d’infamia («stigma» in inglese), essendosi confessato insolvente – cosa che Draghi aveva esplicitamente negato a febbraio. (…) Ed ora?, si domanda l’ottimo sito Zero Hedge: «Siccome è inevitabile che Spagna e Italia siano le prossime a salire sul carro dei salvataggi (avranno bisogno dei prestiti del Fondo Monetario e del «Firewall» da un miliardo messo su malamente dalla UE, e già ritenuto insufficiente), cosa accade quando 2 trilioni di titoli diventano inadatti come collaterali per l’unica Banca Centrale solvibile del mondo?». Che cosa accade alle centinaia di miliardi di titoli di debito italico-ispanico da rinnovare nell’anno? «Dove va la Buba, tutti gli altri seguiranno», dice Zero Hedge: ossia anche gli altri finanzieri e speculatori negheranno il credito. A meno che non mi sbagli, questo è il crollo. È anche un atto di sabotaggio deliberato della Bundesbank contro la BCE, anzi contro l’Eurozona. Berlino vuole scardinare la moneta unica, senza dirlo? Fino ad oggi, il piano tedesco era di legare la sua partecipazione ai salvataggi dei PIIG a condizioni così dure, austerità, tagli, recessione imposte ai debitori, da rendere «missione impossibile» il risanamento di quei Paesi (…) Zero Hedge insinua che Berlino ha imposto così dure condizioni, e continua a fare affermazioni di insopportabile arroganza, nella speranza che la Grecia – e poi Spagna e Italia – escano dall’euro, anziché subire diktat così inaccettabili sul piano sociale, politico, della dignità nazionale. Invece quelli – fra cui noi, con Monti – continuano a stare aggrappati alla greppia, accettano l’inaccettabile, impegnano i loro cittadini e contribuenti per i secoli a venire con aggravii schiaccianti, pur di non uscire dal sistema. Per una volta non sono d’accordo con l’interpretazione data da Maurizio Blondet e da ZeroHedge. Troppo complicato il complotto tedesco per costringere i paesi periferici ad uscire dall’euro. Se la Germania e gli altri paesi virtuosi (e dunque pagatori degli aiuti) davvero lo volessero, uscirebbero dall’euro. Senza tanti sofismi all’italiana (o alla greca). Credo che la realtà sia assai più semplice e come spesso accade banale (eh si la realtà spesso è di una banalità sconcertante). Torniamo alla notizia data da Bloomberg (e ben tradotta e riassunta da Blondet, qui in originale). «La Bundesbank è la prima delle 17 Banche Centrali dell’area euro a rifiutare di accettare come collaterale i titoli di banche garantiti da Stati membri che ricevono aiuto dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale». Come ormai saprete per accedere ai finanziamenti della BCE all’1% alle banche fu richiesto di presentare un collaterale di scarsa o scarsissima qualità MA dotato di garanzia statale. In altre parole in caso di insolvenza della banca e di insufficienza della garanzia escussa dalla BCE i soldi ce li devono mettere gli stati (si proprio noi, magari con una maggiorazione sul bollettino dell’IMU….oooh non lo sapevate? Strano di solito i Media Sussidiati sono così precisi.) E’ ovvio che se uno stato va in bancarotta trascina con se un certo numero di banche che operano sul suo territorio. Se facciamo il caso che un paese europeo (metti il Portogallo) dichiari lo stato di insolvenza e che come logica conseguenza una banca con un 30 miliardi di prestiti LTRO di quel paese (metti Il Banco di Madeira) dichiari bancarotta e che si scopra che le garanzie date dalla banca alla BCE siano fuffa come da regolamento della stessa BCE, è OVVIO che quel tipo di credito sia cartastraccia. Se al contrario il collaterale-fuffa fosse stato garantito da uno stato ancora solvibile (metti l’Olanda) il problema sarebbe meno grave e alla fine il credito esigibile. Dunque la BUBA ha preso una decisione di normale buon senso (ah questi tedeschi il viziaccio del buon senso proprio non riescono a toglierselo). Ci sono due significati da dare a questa decisione: Quello Principale (Noi Bundesbank) Crediamo che sia molto probabile il fallimento di Stati e Banche europei con i conti non a posto. Dunque non accettiamo più titoli strutturati con questo tipo di garanzia. Quello Secondario Care banche tedesche fareste bene a NON accettare come collaterale i titoli bancari garantiti da stati che ricevono aiuti dall’UE e dall’FMI. Sappiate che la Bundesbank stima altamente probabile il fallimento di uno o più di questi stati (banche incluse). Tradotto dal Tedesco: liberativi il più presto possibile dai Bond Portoghesi, Irlandesi, Greci Interpretato da un banchiere tedesco: dobbiamo vendere i titoli bancari e i titoli di stato di ogni paese a rischio default. Non solo quelli che hanno GIA’ ricevuto aiuti. ….il primo che urla al complotto teutonico lo banno per manifesta imbecillita. di Maurizio Blondet

04 aprile 2012

Ci stanno ammazzando?

Ieri un uomo si è dato fuoco nel parcheggio della Commissione tributaria, in via Paolo Nanni Costa, nella periferia ovest di Bologna. Era in debito con il fisco e voleva farla finita. A Giuseppe C., muratore di cinquantotto anni, erano stati contestati tributi non pagati e i suoi ricorsi alla commissione erano stati respinti, l’ultimo proprio di recente. L’uomo ha tentato di uccidersi incendiando la sua auto verso le otto di mattina. C’è restato finché ha resistito e poi è corso fuori; sembrava una torcia umana. Diversi sono stati i biglietti scritti a mano (trovati dai vigili del fuoco all’interno della sua macchina) per spiegare il suo gesto. “Ho sempre pagato le tasse, poco ma sempre. Quello che ho fatto l’ho fatto in buona fede. Lasciate in pace mia moglie, lei è una brava donna. Vi chiedo perdono anche a voi” ha scritto riferendosi alla Commissione tributaria. A Roma, un altro caso: un uomo di quarantanove anni si è gettato dal balcone della sua abitazione perché disoccupato. Questi tragici episodi sono in aumento e sono un sintomo evidente di come la crisi economica colpisce pesantemente la maggior parte delle famiglie e soprattutto le classi sociali più povere. Secondo le stime riportate dal Servizio Prevenzione del Suicidio dell’ospedale romano Sant’Andrea, il “fattore economico” ha pesato (sugli oltre 4000 suicidi complessivi in un anno) per oltre un terzo. Lo psichiatra Maurizio Pompili, che ha riportato queste stime, ha dichiarato: “Purtroppo questi dati non ci sorprendono, nella storia è un fenomeno già visto. Ci fu un boom di suicidi nel 1870, dopo una grande crisi e l’aumento del prezzo del pane”. Intanto mentre qui si muore perché si è stremati dai debiti, Mr. Monti riscuote successi all’estero con i media di massa italiani ed internazionali che continuano l’elogio del “quanto è bravo il premier” fino allo sfinimento. “I giovani devono abituarsi all’idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. E poi, diciamolo, che monotonia. E’ bello cambiare e accettare delle sfide”, queste parole di Mr. Goldman Sachs & co., ancora rimbombano pesantemente sui giovani (e meno giovani) che ogni giorno devono combattere per mantenere un lavoro sempre più incerto e precario. Viviamo in un Paese sopraffatto dall’incertezza del futuro e chi prova a rialzarsi, viene represso a suon di bastonate democratiche. Proprio come è successo pochi giorni fa agli operai dell’Alcoa, manganellati mentre gridavano una sacrosanta verità: “un operaio, una famiglia”. Già, una famiglia, quell’angolo di mondo tranquillo (o turbolento) all’interno del quale ciascuno sa di “contare qualcosa” anche quando all’esterno è solamente una risorsa umana da spremere come un limone fintanto che ha qualcosa da dare, per poi diventare una buccia, un peso, un rifiuto organico da “smaltire” e nulla più. Quella “casa” sicura (o meno) dove l’uomo economico, atomizzato nel suo ruolo di competitor solitario, corridore del progresso, condannato ad arrivare “primo” in una corsa truccata dove tutti sono ultimi, può tornare la sera. Accovacciarsi in posizione fetale e tentare di suggere qualche goccia di umanità e carpire uno scampolo di sentimento, di emozione, di vita. I figli, il coniuge, i genitori, quelle poche briciole di mondo che ancora hanno un nome ed un valore che prescinda dalla loro produttività. I “tuoi cari”, la tua isola felice (o infelice) che sta sgretolandosi ogni giorno di più, fagocitata dal progresso che per te ha in serbo altri programmi, volti a renderti assai più efficiente e produttivo. L’ondata di suicidi del 1870 cui fa riferimento lo psichiatra Pompili, per giustificare il suo mancato stupore nei confronti di quelli di oggi, in realtà fu il risultato di quello stravolgimento economico e sociale meglio conosciuto come rivoluzione industriale e non solamente di un aumento incontrollato del prezzo del pane. La famiglia allargata che viveva in larga parte di autoproduzione e manteneva forti rapporti umani, all’interno di una comunità fortemente coesa, iniziò a morire, ammazzata dal lavoro salariato in fabbrica, dalle città maleodoranti, dall’incapacità dei suoi membri, diventati individui, di sopravvivere economicamente con lo “stipendio”, laddove fino a qualche anno prima vivevano con un certo agio all’interno di un sistema dove la presenza del denaro non era immanente e si rendeva necessaria solo in quegli ambiti dove l’autoproduzione, lo scambio ed il dono (e quanto altro garantito dallo spirito di comunità) non si manifestavano sufficienti. La famiglia, nella sua forma primigenia stava morendo e con lei si suicidarono molti dei suoi membri, riluttanti a diventare criceti, nella gabbia di un mondo che più non gli apparteneva. Come la mancanza di pane non fu l’unico elemento scatenante dell’ondata di suicidi della seconda metà dell’800, così la disoccupazione, l’usura di stato e il cinismo sprezzante di un governo di banchieri subumani non è l’unica causa dell’ondata odierna. Anche oggi, come allora, quel che resta della famiglia sta morendo, ammazzata dai sacerdoti della crescita e del progresso che vedono in essa un ostacolo all’atomizzazione dell’individuo merce, deputato a sostituire l’essere umano. La mancanza di lavoro, comunque temporaneo e mal retribuito, è il cavallo di Troia attraverso il quale praticare l’eutanasia di qualunque legame famigliare ed amicale possieda l’individuo, fino a renderlo solo, acquiescente, malleabile e funzionale agli interessi della macchina economica. Per inseguire il miraggio di un lavoro che non c’è, i coniugi si adeguano a turni massacranti che pur condividendo la stessa casa li costringono di fatto a non incontrarsi più fra loro e con i figli per intere settimane. Per inseguire la speranza di lavoro, sempre più persone cadono vittima di un pendolarismo massacrante che li rende veri e propri zombie in ambito famigliare. Mentre altri si trasferiscono a centinaia di km di distanza dalla propria famiglia, per mantenere un posto di lavoro che sta sfuggendo e comunque a breve sfuggirà. E quel che resta delle famiglie, diventa ogni giorno di più un luogo alieno, mero ricettacolo di frustrazioni personali, dove alcuni individui condividono spazi comuni, continuando a vivere la propria individualità, fatta di paura, sensazione di inadeguatezza e mancanza di qualsiasi prospettiva per il futuro. Su questo retroterra di pesante demolizione di ogni rapporto sociale che prescinda dall’economia, sta crescendo l’ondata di suicidi che abbiamo iniziato a sperimentare e con tutta probabilità si acuirà nel prossimo futuro, di pari passo con il sempre più accentuato ridimensionamento delle prospettive occupazionali e la progressiva eutanasia della famiglia, dello stato nazione e della comunità. Solamente un secolo fa la scala valoriale usata per misurare le persone era ancora incentrata sulle sue qualità morali. Il coraggioso e il vigliacco, il ladro e l’onesto, l’uomo d’onore e la spia, l’uomo “di cuore” ed il cinico e così via. Oggi l’unica scala valoriale universalmente accettata è quella economica. Il vincente ed il perdente, l’uomo (o la donna) di successo e quello che non ne ha mai avuto, l’uomo che può mantenere agiatamente la propria famiglia e quello che la campa a fatica, la persona che lavora e quella che è disoccupata. L’uomo che possiede beni economici che gli garantiscono di acquistare affetti e sentimenti e quello cui questi beni economici vengono meno e teme di perdere (se non li ha già persi) i sentimenti e gli affetti che possedeva e troppo spesso ritiene che una corda o una latta di benzina rappresentino l’unica soluzione. In fondo potrebbero anche esserlo, se destinati agli umanoidi che hanno creato questa situazione. di Marco Cedolin e Fabio Polese

03 aprile 2012

La teoria: «La crisi europea non esiste, è una truffa»

Sono due gli ingredienti alla base della crisi economica europea: la mancanza di sovranità monetaria dei Paesi europei (e la conseguente adesione all’euro) e le leggi economiche neoliberiste. Ne è convinto l’economista italo-danese Bruno Amoroso, allievo prediletto di Federico Caffè che martedì 27 marzo alle ore 17.30 presenterà al museo Vittoria Colonna di Pescara il suo libro “Euro in bilico”. L’adesione all’euro, sostiene l’autore, «è il maggiore impedimento per uscire dal baratro della crisi economica». Ed il tentativo di introdurre in Costituzione il pareggio di bilancio è una forzatura che peggiorerà le cose. LA TRUFFA Il libro cerca di dare una chiave di lettura anti convenzionale sulla crisi economica che ha investito l’Europa. L’euro così com’è non regge e va riformato, secondo Amoroso ed è inutile sperare in un’unione monetaria e fiscale ancora più stretta perché le economie di Grecia e Italia sono molto diverse da quelle di Germania e Olanda e hanno bisogno di regole diverse. Il professore perciò propone come soluzione lo sdoppiamento dell’euro in uno di serie A e uno di serie B, i cui parametri si adattino meglio alle necessità dei rispettivi Stati membri. Ma se si è arrivati a questo punto -sostiene sempre l'autore- la colpa è anche delle cinque grandi banche d’affari Goldman Sachs in testa, e delle tre agenzie di rating americane, che hanno lanciato una vera e propria offensiva «per riprendere il controllo del sistema economico e politico mondiale perso dagli Usa» nell’ultima decade. «La politica economica europea è oggi nelle mani dei grandi gruppi finanziari», ha detto Amoroso, «che vogliono imporre i loro principi neoliberisti ai governi europei». Un esempio lampante è la richiesta d’inserimento del vincolo del pareggio di bilancio nella Costituzione. «Un’economia deve avere la libertà di non avere il bilancio pubblico in pareggio. Ciò che conta è l’equilibrio contabile nazionale». Secondo il professore il termine più giusto per descrivere la crisi è truffa finanziaria. L’INGANNO… IN ORIGINE Le radici della crisi dell’eurozona affondano nel passato, nei principi economici neoliberisti americani. Tra le regole imposte dall’economia -dice Amoroso- c’è anche il passaggio dalla moneta sovrana degli Stati (in Europa ogni Paese aveva la sua: la lira italiana, il marco tedesco) alla moneta unica. Questo cambiamento ha però comportato diversi problemi. Mentre prima gli Stati avevano autonomia di autoregolarsi (decidevano di immettere in economia quanti soldi servivano per far fronte ai problemi senza vincoli di emissione), oggi, con la moneta unica devono rendere conto alla Bce che decide il quanto, il come, il se. Molti Paesi dunque non riescono a rispettare i parametri imposti dall’alto (vuoi per problemi interni, vuoi per altre ragioni) e si trovano in difficoltà. Con l’introduzione dell’obbligo di pareggio di bilancio si capisce che la situazione andrà ad aggravarsi perché per legge gli Stati non potranno sforare ma rigare dritto ed attenersi ad una norma costituzionale. «Questa è una trappola per i cittadini», si legge nel primo capitolo del libro di Amoroso, «ed un ricatto verso i governi messi in atto coscientemente da un gruppo ristretto della finanza internazionale, con l’appoggio benevolo ma interessato dei loro rappresentanti diretti e indiretti nei Paesi europei. Questa camicia di forza, della quale oggi paghiamo tutti le conseguenze per gli effetti paralizzanti che produce oltre che sulla politica e sull’economia, sul nostro modo di pensare è stata imposta prima con il pensiero è stata imposta prima con il pensiero unico e oggi con il potere unico». Il pareggio di bilancio secondo Amoroso che si vuole inserire nella carta è stato costituzionalizzato solo in Germania nel dopoguerra per l’ossessione tutta tedesca per l’inflazione, ma di recente è stato imposto in Grecia e, oggi, si tenta di farlo anche in Italia. «E questo è oggi possibile », ha dichiarato, «perché il pensiero unico e il potere unico vanno a braccetto, e il primo ha dissodato il terreno al secondo gettando ogni opposizione nella più totale confusione mentale». Amoroso è docente di Economia Internazionale presso l’Università Roskilde in Danimarca, coordina programmi di ricerca e cooperazione con i Paesi dell’Asia e del Mediterraneo e presiede il Centro Studi Federico Caffè. Tra gli incarichi ricoperti anche quello di presidente del Centro studi Federico Caffè dell'Università di Roskilde e di co-direttore della rivista italo-canadese Interculture. Marirosa Barbieri

02 aprile 2012

La Germania Prepara le (sue) Banche alla Bancarotta dei Paesi Perifrici

Forse non capisco, ma questa notizia prepara la fine dell’euro – e speriamo – di Draghi, di Monti e di Bruxelles. Da Bloomberg: «La Bundesbank è la prima delle 17 Banche Centrali dell’area euro a rifiutare di accettare come collaterale i titoli di banche garantiti da Stati membri che ricevono aiuto dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale». (European Bailout Stigma Shifts From Banks To Sovereigns As Bundesbank Refuses PIG Collateral) Ricordiamo in breve cosa sono i «collaterali»: quando chiedete un mutuo, offrite alla banca la casa, su cui la banca accende un’ipoteca e che si prenderà se voi non pagate il debito. La casa data in garanzia è un collaterale. Altri collaterali possono essere azioni, obbligazioni, titoli pubblici, BOT, eccetera. Se non intendo male, la notizia significa che la Banca Centrale Tedesca non dà più soldi in prestito alle banche che offrono in garanzia i titoli di debito di Spagna, Italia, Portogallo. O detto altrimenti: niente alle banche che hanno chiesto e ricevuto il miliardone di denaro all’1% creato dal nulla dalla BCE di Mario Draghi, o almeno – sottolineo – non a quelle banche insediate in Stati in difficoltà: Spagna, Italia, Portogallo…. I «collaterali» di quegli Stati non valgono un piffero come garanzia per aver denaro in prestito, ergo i collaterali delle banche di quegli Stati valgono ancor meno. Questa mossa della Bundesbank è un colpo di artiglieria contro la BCE, e un atto di sabotaggio contro Mario Draghi specificamente. Per spargere il miliardone all’1% (LTRO, Long Term Refinancing Operation), Draghi ha accettato dalle banche bisognose «collaterali» più che dubbi, fuffa, spazzatura, crediti poco o nulla esigibili. È noto che i tedeschi nella BCE non hanno apprezzato. Ora, stanno dicendo che chi ha preso quei soldi è marchiato d’infamia («stigma» in inglese), essendosi confessato insolvente – cosa che Draghi aveva esplicitamente negato a febbraio. (…) Ed ora?, si domanda l’ottimo sito Zero Hedge: «Siccome è inevitabile che Spagna e Italia siano le prossime a salire sul carro dei salvataggi (avranno bisogno dei prestiti del Fondo Monetario e del «Firewall» da un miliardo messo su malamente dalla UE, e già ritenuto insufficiente), cosa accade quando 2 trilioni di titoli diventano inadatti come collaterali per l’unica Banca Centrale solvibile del mondo?». Che cosa accade alle centinaia di miliardi di titoli di debito italico-ispanico da rinnovare nell’anno? «Dove va la Buba, tutti gli altri seguiranno», dice Zero Hedge: ossia anche gli altri finanzieri e speculatori negheranno il credito. A meno che non mi sbagli, questo è il crollo. È anche un atto di sabotaggio deliberato della Bundesbank contro la BCE, anzi contro l’Eurozona. Berlino vuole scardinare la moneta unica, senza dirlo? Fino ad oggi, il piano tedesco era di legare la sua partecipazione ai salvataggi dei PIIG a condizioni così dure, austerità, tagli, recessione imposte ai debitori, da rendere «missione impossibile» il risanamento di quei Paesi (…) Zero Hedge insinua che Berlino ha imposto così dure condizioni, e continua a fare affermazioni di insopportabile arroganza, nella speranza che la Grecia – e poi Spagna e Italia – escano dall’euro, anziché subire diktat così inaccettabili sul piano sociale, politico, della dignità nazionale. Invece quelli – fra cui noi, con Monti – continuano a stare aggrappati alla greppia, accettano l’inaccettabile, impegnano i loro cittadini e contribuenti per i secoli a venire con aggravii schiaccianti, pur di non uscire dal sistema. Per una volta non sono d’accordo con l’interpretazione data da Maurizio Blondet e da ZeroHedge. Troppo complicato il complotto tedesco per costringere i paesi periferici ad uscire dall’euro. Se la Germania e gli altri paesi virtuosi (e dunque pagatori degli aiuti) davvero lo volessero, uscirebbero dall’euro. Senza tanti sofismi all’italiana (o alla greca). Credo che la realtà sia assai più semplice e come spesso accade banale (eh si la realtà spesso è di una banalità sconcertante). Torniamo alla notizia data da Bloomberg (e ben tradotta e riassunta da Blondet, qui in originale). «La Bundesbank è la prima delle 17 Banche Centrali dell’area euro a rifiutare di accettare come collaterale i titoli di banche garantiti da Stati membri che ricevono aiuto dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale». Come ormai saprete per accedere ai finanziamenti della BCE all’1% alle banche fu richiesto di presentare un collaterale di scarsa o scarsissima qualità MA dotato di garanzia statale. In altre parole in caso di insolvenza della banca e di insufficienza della garanzia escussa dalla BCE i soldi ce li devono mettere gli stati (si proprio noi, magari con una maggiorazione sul bollettino dell’IMU….oooh non lo sapevate? Strano di solito i Media Sussidiati sono così precisi.) E’ ovvio che se uno stato va in bancarotta trascina con se un certo numero di banche che operano sul suo territorio. Se facciamo il caso che un paese europeo (metti il Portogallo) dichiari lo stato di insolvenza e che come logica conseguenza una banca con un 30 miliardi di prestiti LTRO di quel paese (metti Il Banco di Madeira) dichiari bancarotta e che si scopra che le garanzie date dalla banca alla BCE siano fuffa come da regolamento della stessa BCE, è OVVIO che quel tipo di credito sia cartastraccia. Se al contrario il collaterale-fuffa fosse stato garantito da uno stato ancora solvibile (metti l’Olanda) il problema sarebbe meno grave e alla fine il credito esigibile. Dunque la BUBA ha preso una decisione di normale buon senso (ah questi tedeschi il viziaccio del buon senso proprio non riescono a toglierselo). Ci sono due significati da dare a questa decisione: Quello Principale (Noi Bundesbank) Crediamo che sia molto probabile il fallimento di Stati e Banche europei con i conti non a posto. Dunque non accettiamo più titoli strutturati con questo tipo di garanzia. Quello Secondario Care banche tedesche fareste bene a NON accettare come collaterale i titoli bancari garantiti da stati che ricevono aiuti dall’UE e dall’FMI. Sappiate che la Bundesbank stima altamente probabile il fallimento di uno o più di questi stati (banche incluse). Tradotto dal Tedesco: liberativi il più presto possibile dai Bond Portoghesi, Irlandesi, Greci Interpretato da un banchiere tedesco: dobbiamo vendere i titoli bancari e i titoli di stato di ogni paese a rischio default. Non solo quelli che hanno GIA’ ricevuto aiuti. ….il primo che urla al complotto teutonico lo banno per manifesta imbecillita. di Maurizio Blondet