31 luglio 2012

Italia sotto tutela bancaria

Una recentissima indagine commissionata da Unioncamere e Ministero del Lavoro sul terzo trimestre 2012 ci dice che nel periodo luglio-settembre i contratti a tempo indeterminato in Italia saranno solo il 19,8% su quasi 159 mila. L’Istat invece ai primi di giugno di quest’anno forniva i dati inquietanti sulla disoccupazione, che nel primo trimestre si sarebbe attestata al 10,9% con un aumento su base annua del 2,3 %, con una disoccupazione giovanile che è oramai oltre il 35 %, mentre i posti di lavoro persi tra marzo e aprile sono ben trentotto mila. Ebbene di fronte a dati di questo genere qualsiasi governo con un minimo di decenza si sarebbe dimesso e il Parlamento, luogo oramai deputato in Italia solo a fornire agi e privilegi a degli incompetenti nulla facenti, sarebbe sciolto da un Capo dello Stato serio e credibile. E invece c’è stato imposto il “ Fiscal Compact” (già il termine inglese suona meglio nel continuo scimmiottare Londra da parte dei peones della politica nostrana), ad eccezione della Gran Bretagna e Repubblica Ceca che non l’hanno accettato, che ci impone rigorosamente, per chi ha un debito pubblico superiore al 60% del Pil, di restare sotto tale soglia (a oggi il rapporto tra debito pubblico e Pil ammonta al 123,3%), con l’obbligo per chi sfora tale percentuale di rientrarvi nell’arco di 20 anni per un ventesimo della quota che sfora il 60 % da versare ogni anno. Questo significa che gli italiani dovranno per i prossimi 20 anni subire tagli alla spesa pubblica per ben 45 miliardi di euro l’anno! Una cifra colossale, che colpirà soprattutto i ceti medio bassi, anche paragonata all’altra stangata infertaci dal governo delle banche, lo “Spending Review” (anche qui l’inglese è d’obbligo perché fa tanto british e bocconiano) che ammonta a 29 miliardi in tre anni. Un vero salasso in barba alle ridicolaggini sulla crescita e altre amenità che escono ogni giorno dalla bocca del senile professore che siede a Palazzo Chigi. A ciò si deve aggiungere l’altro mostro partorito dalla burocrazia di Bruxelles e Francoforte, il MES - Meccanismo Europeo di Stabilità - che obbliga l’Italia a versare 15 miliardi in 5 anni a sostegno del fondo salva banche. Non c’è che dire, una fine davvero ingloriosa per la nostra penisola, che dopo essere “stata liberata” nel 1945 dalle armate degli invasori anglo-americani, e da allora sempre occupata militarmente, oggi si avvia alla totale estinzione anche economica e sociale per opera degli stessi di allora. Adattando la celebre frase di Von Clausewitz, che vedeva nella guerra il proseguimento della politica con altri mezzi, verrebbe da dire che qui si tratta dell’economia che prosegue la guerra con altri mezzi. Non contenta la BCE, che non risponde a nessun governo eletto, alla faccia di chi vuole esportare nel mondo a suon di bombe questo modello Occidentale, e che muove le fila al governo Monti, si diletta quotidianamente a darci consigli su come ridurre la disoccupazione con le solite soluzioni lacrime e sangue: “Salari più bassi e maggior flessibilità”, peccato però che i prezzi di prima necessità aumentino costantemente, e prosegue… “in vari Paesi la correzione al ribasso dei salari è stata modesta e ciò nonostante l’aumento della disoccupazione; solo la moderazione salariale e la flessibilità possono riallocare i lavoratori in esubero”. Più chiari di così! A fronte di simili esternazioni, che lasciano il tempo che trovano e aspettano sempre una conferma sul campo mai arrivata, che hanno come unico obiettivo distruggere ogni certezza contrattuale e salariale e ridurre ancor di più quello che resta di Stato Sociale in Italia e in Europa, nessun politico italiano e sindacalista ha sentito il dovere di dire in modo chiaro come stanno realmente le cose e dichiarare apertamente che il “Re è nudo” e che in Italia vi è in atto tutt’ora un vero e proprio colpo di Stato finanziario: finiti i tempi delle divise che sapevano tanto di America Latina, ora si vestono in giacca e cravatta. La BCE, il FMI, l’Ue e i loro camerieri inseriti a vari livelli nei governi europei, stanno operando una sistematica distruzione di tutte le conquiste sociali fatte dal lontano 1930 a oggi, con la Fornero come “Cavallo di Troia” inserito nella cittadella del lavoro, mentre il governo di Mr. Monti, quello che durante il recente viaggio a Mosca, incurante del ridicolo e della nullità del suo governo in campo internazionale, si è addirittura paragonato a uno statista nell’intervista concessa a Itar Tass e diffusa dalla tv “Russia 24”. Sta solo eseguendo i compiti affidatigli dall’oligarchia anglosassone e mondialista. Con la scusa dello spread, a colpi di machete si taglia tutto quello che c’è da tagliare di sociale, scuola, università, sanità, pensioni, salari, servizi sociali, trasporti pubblici, senza però toccare le banche e i loro interessi, nella speranza di spremere tutto quello che si può ora e subito, finché è ancora possibile, non per cercare un impossibile pareggio di bilancio, pia illusione poiché paghiamo interessi su interessi usurai, ma di far affluire nuovi capitali nelle casse degli istituti di credito in nome di quel debito pubblico che non è altro che il signoraggio operato dalla BCE che stampa e presta a usura il denaro, poi che vada tutto al diavolo. Una Fornero saccente e prepotente, che uscita dal cilindro del mondo bancario, come gran parte degli accoliti di Mr Monti, predica le solite ricette fasulle e portatrici di miseria in salsa liberista, “facilità di licenziamento, flessibilità-precarietà, moderazione salariale, tagli occupazionali, meno diritti”. Tutte cose già viste fuori Europa, dove sono state applicate a man bassa nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo e in America Latina in passato e dove hanno solo portato un abbassamento drastico del tenore di vita della popolazione, ma al tempo stesso, guarda caso, a un aumento dei profitti delle multinazionali e del sistema bancario internazionale e all’oligarchia di quelle nazioni. E ora questa economista da quattro soldi, ben piazzata ovunque con tutta la famiglia, che ripete a memoria la lezioncina contro il posto fisso, sta dettando legge nella più completa libertà d’azione, incurante dei danni sociali che sta arrecando, ringraziando ogni giorni gli ex sindacati oramai solo di nome come Cigl Cisl Uil e Ugl, che erano pronti a mobilitarsi in un non lontano passato, un giorno sì e l’altro pure contro Berlusconi. Ora tutti costoro, invece di far scendere in strada i lavoratori in uno sciopero generale ad oltranza, fanno spallucce e lanciano solo flebili proclami degni del Ferragosto contro il governo e la “professoressa” ministra. Però la coppia dei distruttori dell’Italia nulla sarebbe se non avesse alle spalle quel Mario Draghi, mentore del potere finanziario e bancario, che sta dettando le regole agli ignavi governi dell’Ue (tranne i britannici ovviamente, che di quel potere fanno parte integrante da sempre e che dopo essersi tenuti saldamente la loro sterlina, non accettano “Fiscal Compact” di sorta e imposizioni da Bruxelles e Francoforte; loro sono uno Stato sovrano non una colonia come l’Italietta del neoresistenziale Napolitano). Proprio il saccente Draghi, che oramai si sente un piccolo dio in terra, ci dice che “l’euro è irreversibile”, come se nella storia ci fosse mai stato un qualcosa d’irreversibile, e che quindi, “forte del sostegno dei governi, nulla cambierà in futuro”. Si dovrò proseguire sulla stessa strada intrapresa per l’Italia, la Spagna e la Grecia, in altre parole dopo che le solite note agenzie di rating hanno declassato gli Stati ecco arrivare i prestiti usurai in cambio però delle cosiddette riforme strutturali, così le chiama il banchiere di Francoforte, non lo chiamiamo statista per non indispettire l’altro, quello vero, il bocconiano di casa nostra, che sono anche queste sempre le solite e arcinote e con il classico obiettivo. Totale deregolamentazione del mondo del lavoro, che significa globalizzazione e quindi peggioramento del livello di vita dei lavoratori a vantaggio dei grandi gruppi internazionali e della concorrenza al ribasso dei Paesi che non hanno alcuna garanzia sociale e salariale. Si produrranno le stesse cose a costi inferiori e con maggiori profitti per gli investitori esteri che verranno in Italia o in Europa. Marchionne ne è il tipico esempio: dopo avere la Fiat succhiato per decenni contributi statali, ora apre fabbriche all’estero, come in Serbia, dove la mano d’opera costa meno della metà che in Italia, per poi rivendere il prodotto finito a prezzo pieno con ricavi ben superiori a quelli che si avrebbero con i lavoratori italiani. Via poi ogni forma di protezionismo economico sia pur minimo, che sempre secondo Draghi inibisce la competitività, certo lui sa bene cosa significhi tutto questo per la nostra economia, perché dall’altra parte dell’Oceano, da dove gli arrivano i compitini ogni giorno, gli Stati Uniti praticano da sempre il più stretto protezionismo, invocando invece l’apertura dei mercati per tutti gli altri popoli in nome del “dio mercato”. Liberalizzazioni, invoca Draghi, che fa rima con privatizzazioni, che a loro volta fanno rima con svendite del patrimonio pubblico nazionale, che così può facilmente entrare nel mirino dei “datori di lavoro” del presidente della BCE, i quali potranno completare la campagna acquisti già iniziata sotto i precedenti imbelli governi di centro sinistra e destra. E, infatti, Mr. Monti è già sulla buona strada visto che ha già dichiarato che “non solo non escludiamo quote dell’attivo del settore pubblico, ma stiamo preparando e presto seguiranno degli atti concreti”, riferendosi questa volta ai patrimoni di Comuni e Regioni, che come quelli dello Stato sono di tutti gli italiani e non certo di un Presidente del Consiglio da nessuno eletto, costruiti nel corso degli anni con i nostri sacrifici e delle generazioni precedenti, ma che ora rischiano di essere spazzati via e ceduti al migliore offerente. E per finire ecco l’affondo finale dell’ex governatore di Bankitalia, con l’invocazione, ma meglio sarebbe dire l’ordine, vista la spocchia da banchiere che si ritrova, a varare al più presto l’Unione di Bilancio, al fine di creare un’entità sovranazionale. Sappiamo bene da chi e in che modo sarebbe poi guidata questa entità, lo stiamo già vedendo e subendo ogni giorno proprio in Italia, dove la politica ha da tempo lasciato il passo al mondo della finanza apolide, la Costituzione è oramai carta straccia, buona solo per i gonzi che ancora credono nella democrazia, mentre tutte le decisioni che contano sono prese altrove, tranne che in Parlamento aula sorda e grigia. di Federico Dal Cortivo

27 luglio 2012

Elezioni anticipate: far votare il Popolo prima che si inferocisca

Mentre incalzano i declassamenti del sistema-Italia da parte delle agenzie di rating (downrating del debito pubblico, di banche, di enti pubblici), mentre lo spread si impenna, mentre le soluzioni annunciate e festeggiate vivono al più due giorni, mentre il contagio greco e spagnolo si fa sempre più pressante, si moltiplicano i contatti a tema monetario tra Monti, Napolitano, Draghi e altre entità più nell’ombra, e vengono divulgati messaggi rassicuranti: niente nuove manovre, niente crisi monetaria, niente rottura dell’Euro, interventi senza tabù da parte della BCE. Ma promesse e rassicurazioni in materia monetaria, come l’esperienza non si stanca di dimostrare, sono solitamente strumentali e mendaci. Mettiamo ora questo quadro in relazione col tema delle elezioni e della riforma elettorale. Napolitano esige la riforma del Porcellum, onde dare (parvenza di) rappresentatività popolare al parlamento, prima delle prossime elezioni politiche. Diverse fonti ventilano un progetto di voto anticipato ad Ottobre. Monti emette ormai effati implicitamente possibilisti in tal senso. Si parla di un patto tra i partiti che lo sostengono per cambiare la legge elettorale (cioè per inventare un nuovo sistema per eleggere sempre gli stessi), impegnarsi congiuntamente a continuare l’appoggio a Monti e alla sua linea di “risanamento” quale che sia il voto dei cittadini, e poi andare alle urne in sicurezza, avendo “rassicurato i mercati e Berlino”. Mi suona molto così: “Cari titolari dei partiti responsabili, se volete rimanere ancora qualche anno in poltrona a gestire la spesa pubblica come siete abituati a fare, dovete vincolare la futura azione del futuro parlamento ad obbedire e votare le veline della BCE, dell’Eurogruppo, della Commissione, impegnandolo sin da ora a fare tutte le riforme e le cessioni di sovranità che saranno richiesti, anche contro la logica e l’interesse nazionale; solo a tale condizione, la BCE, in deroga autocratica al suo statutario divieto a intervenire in tal senso, continuerà a intervenire sottobanco, sul mercato secondario, per comprare, cioè rifinanziare, il debito pubblico italiano evitando il default del paese.” Un rinnovo parlamentare di questo tipo, imposto dall’estero come già lo fu il rinnovo del governo l’anno scorso, servirà ad affrontare il caldissimo autunno-inverno che ci aspetta, quando scadranno gli ammortizzatori sociali in essere ora (e si impennerà quindi il numero degli ufficialmente disoccupati), quando arriverà la seconda stangata dell’Imu, quando si faranno i conti con la moria di imprese e posti di lavoro già percepibile a chi opera in contatto con le pmi e con i lavoratori autonomi, quando si farà una tassa patrimoniale sugli immobili per raschiare il fondo e affossare il paese. Quando, insomma, probabilmente scoppierà la crisi sociale. Tale fedelissimo parlamento fantoccio, necessario complemento di un governo pure calato dall’alto, potrà legiferare per reprimere la protesta popolare, per introdurre nuove tasse e misure straordinarie, per ingabbiare la nazione nelle strutture giuridiche autocratiche decise altrove, assai più affidabilmente di quanto può fare l’attuale parlamento zombie. E, nel farlo, potrà dire: “non rappresentiamo il popolo che democraticamente ci ha eletti; l’opposizione è violenza, follia, rifiuto delle regole.” Ma soprattutto è meglio far votare la gente in autunno, prima che il bubbone scoppi, prima che succeda qualcosa di grave e duro per la vita quotidiana, prima che il governo dia ulteriori e traumatici giri di vite, prima che si sentano pienamente gli affetti della sua politica economica e del dominio tedesco. Andare al voto nel Marzo 2013 vorrebbe dire andare dare lo strumento elettorale in mano a un popolo che sarà inferocito e sfiduciato, anche verso l’UE, verso Napolitano, oltre che verso Monti e i suoi sostenitori. Questa ipotesi spiegherebbe l’attivismo e gli sforzi in corso da parte di premier, Quirinale, BCE e ABC per turare le falle e puntellare il sistema finché non dispongano di un nuovo parlamento a loro misura, per le loro non divulgate strategie. Spiegherebbe anche perché Berlusconi ancora non dichiara la sua linea come candidato a premier: a seconda di come andranno le cose nei prossimi mesi, a seconda che quel piano riesca oppure fallisca, dovrà presentarsi come fedele servitore dell’Europa dei banchieri, oppure acerrimo leader della lotta contro di essi.

26 luglio 2012

L'irresistibile inadeguatezza della politica

Credo che la maggior parte dei cittadini non abbia ancora capito. Per non parlare dei politici, dei sindacalisti, dei rappresentanti di associazioni e gruppi. A giudicare dalla spensieratezza con cui si va in vacanza, si segue il calcio mercato, si discetta di sistemi elettorali, ci si infervora sui matrimoni gay e sulle dimissioni della Minetti, si direbbe che siano davvero pochi gli italiani che si rendono conto di quanto è drammatico questo momento. E allora proviamo a riassumere. Nessuno sa quanto è probabile che l’euro crolli, o che lo Stato italiano fallisca e ci trascini tutti nel baratro. Però questa eventualità, che era decisamente remota fino a qualche tempo fa, ora non è più trascurabile. Può succedere. Speriamo di no, ma può succedere. Questa settimana, o fra un mese, o fra un anno. Non è inutile ricordare che cosa l’eventualità di un default si porterebbe dietro. Primo: una considerevole erosione dei propri risparmi, per chi ne ha; un crollo del valore degli immobili; l’impossibilità – in caso di necessità – di venderli a un prezzo decente. Secondo: un taglio dell’importo delle pensioni, per chi non lavora più; difficoltà di conservare il posto di lavoro, per operai e impiegati; difficoltà di tenere aperte attività economiche, per imprenditori, commercianti, artigiani. Terzo: riduzione della quantità e della qualità delle cure, per i malati; per tutti, problemi di approvvigionamento energetico, perché benzina, riscaldamento, luce elettrica scarseggerebbero e costerebbero di più. Qui mi fermo, perché non è il caso di infierire. Ma il menù è questo. Le dosi possono variare, le portate – ovvero i guai – possono essere abbondanti o striminzite, ma questo è il genere di eventi che accompagnano un default. Ebbene, di fronte a tutto questo – che fortunatamente non è né certo né probabile, e tuttavia sta diventando sempre più possibile – le forze politiche paiono avere completamente smarrito il senso della misura, delle proporzioni, o meglio ancora delle priorità. Ogni giorno ci riserva la sua piccola bega, fra partiti ed entro i partiti, e pochissimi paiono rendersi conto che ci siamo di nuovo pericolosamente avvicinati al baratro. Da qualche giorno si riparla della possibilità di votare subito, ad ottobre, e non sappiamo ancora nulla. Non sappiamo se dovremo rivotare con le liste bloccate del “porcellum” oppure ci sarà una nuova legge elettorale. Non sappiamo se chi ha condanne definitive potrà essere eletto in Parlamento. Non sappiamo quali saranno le forze politiche in campo. Non sappiamo che alleanze faranno i partiti. Non sappiamo chi saranno i candidati premier. Ma soprattutto non abbiamo ancora ascoltato alcuna proposta precisa in materia di politica economica, salvo quella dei cosiddetti montiani, che propongono di andare avanti così, completando le riforme dell’agenda Monti. Eppure, come elettori, avremmo diritto di sapere come le principali forze politiche del paese intendono evitare il default e, se possibile, riavviare un minimo di crescita economica. Ma attenzione, quando dico che avremmo il diritto di sapere, non mi riferisco ai soliti elenchi di impegni generici, velleitari, o privi di copertura finanziaria. Oggi meno che mai, come elettori, possiamo accontentarci del consueto minestrone elettorale: crescita, coesione sociale, equità, sgravi fiscali, lotta all’evasione fiscale, riduzione degli sprechi, federalismo, rilancio del mezzogiorno. I progetti delle forze politiche che si candidano a governare il paese dovrebbero essere dettagliati e finanziariamente sostenibili, e soprattutto chiari nel loro rapporto con quel che Monti ha fatto fin qui. Non sono fra quanti pensano che Monti abbia fatto il massimo possibile, e anzi ritengo che abbia commesso qualche notevole sbaglio. Ma mi spaventa di più la completa mancanza di analisi credibili da parte delle forze che lo criticano, o lo sostengono fra mille distinguo e prese di distanza. Né Bersani, né Alfano, né Grillo – leader delle tre principali forze in campo – sono stati finora capaci di offrire una alternativa convincente, ossia chiara ed articolata, alla linea del professore. Quel che si intuisce è soltanto che Grillo non esclude il ritorno alla lira, ad Alfano non sono piaciuti gli aumenti delle tasse, a Bersani non sono piaciute le riduzioni di spesa. Quanto al partito di Montezemolo, l’unica lista che potrebbe competere con le tre forze maggiori, non si sa neppure se sarà presente alle prossime elezioni. Forse è anche per questo – perché capiamo che i suoi critici farebbe meno e peggio – che sempre più insistentemente si sente parlare di una lista Monti, o di una continuazione del montismo con altri mezzi. E forse è per lo stesso motivo che, talora, Monti si lascia andare ad atteggiamenti da salvatore della patria, da uomo di stato che – diversamente dai politici politicanti – non pensa alle prossime elezioni ma alle prossime generazioni (vedi dichiarazioni di ieri nella sua visita in Russia). Il dramma delle prossime elezioni, siano quest’autunno o siano questa primavera, è proprio questo. L’Italia avrebbe bisogno di un governo politico, dotato di visione, di coraggio e di legittimazione elettorale, che la portasse fuori dalla palude in cui si è cacciata. Ma il ceto politico vecchio e nuovo appare così debole, così incosciente, così inconcludente e cialtrone, che in molti cominciamo a pensare che, tutto sommato, un nuovo governo Monti sarebbe meglio che riconsegnarci a forze politiche che non saprebbero dove portarci. Con una piccola complicazione, però: che i governi li fa il parlamento, e tutto fa pensare che il nuovo parlamento non sarà molto migliore di quello che ci lasceremo alle spalle. di Luca Ricolfi

31 luglio 2012

Italia sotto tutela bancaria

Una recentissima indagine commissionata da Unioncamere e Ministero del Lavoro sul terzo trimestre 2012 ci dice che nel periodo luglio-settembre i contratti a tempo indeterminato in Italia saranno solo il 19,8% su quasi 159 mila. L’Istat invece ai primi di giugno di quest’anno forniva i dati inquietanti sulla disoccupazione, che nel primo trimestre si sarebbe attestata al 10,9% con un aumento su base annua del 2,3 %, con una disoccupazione giovanile che è oramai oltre il 35 %, mentre i posti di lavoro persi tra marzo e aprile sono ben trentotto mila. Ebbene di fronte a dati di questo genere qualsiasi governo con un minimo di decenza si sarebbe dimesso e il Parlamento, luogo oramai deputato in Italia solo a fornire agi e privilegi a degli incompetenti nulla facenti, sarebbe sciolto da un Capo dello Stato serio e credibile. E invece c’è stato imposto il “ Fiscal Compact” (già il termine inglese suona meglio nel continuo scimmiottare Londra da parte dei peones della politica nostrana), ad eccezione della Gran Bretagna e Repubblica Ceca che non l’hanno accettato, che ci impone rigorosamente, per chi ha un debito pubblico superiore al 60% del Pil, di restare sotto tale soglia (a oggi il rapporto tra debito pubblico e Pil ammonta al 123,3%), con l’obbligo per chi sfora tale percentuale di rientrarvi nell’arco di 20 anni per un ventesimo della quota che sfora il 60 % da versare ogni anno. Questo significa che gli italiani dovranno per i prossimi 20 anni subire tagli alla spesa pubblica per ben 45 miliardi di euro l’anno! Una cifra colossale, che colpirà soprattutto i ceti medio bassi, anche paragonata all’altra stangata infertaci dal governo delle banche, lo “Spending Review” (anche qui l’inglese è d’obbligo perché fa tanto british e bocconiano) che ammonta a 29 miliardi in tre anni. Un vero salasso in barba alle ridicolaggini sulla crescita e altre amenità che escono ogni giorno dalla bocca del senile professore che siede a Palazzo Chigi. A ciò si deve aggiungere l’altro mostro partorito dalla burocrazia di Bruxelles e Francoforte, il MES - Meccanismo Europeo di Stabilità - che obbliga l’Italia a versare 15 miliardi in 5 anni a sostegno del fondo salva banche. Non c’è che dire, una fine davvero ingloriosa per la nostra penisola, che dopo essere “stata liberata” nel 1945 dalle armate degli invasori anglo-americani, e da allora sempre occupata militarmente, oggi si avvia alla totale estinzione anche economica e sociale per opera degli stessi di allora. Adattando la celebre frase di Von Clausewitz, che vedeva nella guerra il proseguimento della politica con altri mezzi, verrebbe da dire che qui si tratta dell’economia che prosegue la guerra con altri mezzi. Non contenta la BCE, che non risponde a nessun governo eletto, alla faccia di chi vuole esportare nel mondo a suon di bombe questo modello Occidentale, e che muove le fila al governo Monti, si diletta quotidianamente a darci consigli su come ridurre la disoccupazione con le solite soluzioni lacrime e sangue: “Salari più bassi e maggior flessibilità”, peccato però che i prezzi di prima necessità aumentino costantemente, e prosegue… “in vari Paesi la correzione al ribasso dei salari è stata modesta e ciò nonostante l’aumento della disoccupazione; solo la moderazione salariale e la flessibilità possono riallocare i lavoratori in esubero”. Più chiari di così! A fronte di simili esternazioni, che lasciano il tempo che trovano e aspettano sempre una conferma sul campo mai arrivata, che hanno come unico obiettivo distruggere ogni certezza contrattuale e salariale e ridurre ancor di più quello che resta di Stato Sociale in Italia e in Europa, nessun politico italiano e sindacalista ha sentito il dovere di dire in modo chiaro come stanno realmente le cose e dichiarare apertamente che il “Re è nudo” e che in Italia vi è in atto tutt’ora un vero e proprio colpo di Stato finanziario: finiti i tempi delle divise che sapevano tanto di America Latina, ora si vestono in giacca e cravatta. La BCE, il FMI, l’Ue e i loro camerieri inseriti a vari livelli nei governi europei, stanno operando una sistematica distruzione di tutte le conquiste sociali fatte dal lontano 1930 a oggi, con la Fornero come “Cavallo di Troia” inserito nella cittadella del lavoro, mentre il governo di Mr. Monti, quello che durante il recente viaggio a Mosca, incurante del ridicolo e della nullità del suo governo in campo internazionale, si è addirittura paragonato a uno statista nell’intervista concessa a Itar Tass e diffusa dalla tv “Russia 24”. Sta solo eseguendo i compiti affidatigli dall’oligarchia anglosassone e mondialista. Con la scusa dello spread, a colpi di machete si taglia tutto quello che c’è da tagliare di sociale, scuola, università, sanità, pensioni, salari, servizi sociali, trasporti pubblici, senza però toccare le banche e i loro interessi, nella speranza di spremere tutto quello che si può ora e subito, finché è ancora possibile, non per cercare un impossibile pareggio di bilancio, pia illusione poiché paghiamo interessi su interessi usurai, ma di far affluire nuovi capitali nelle casse degli istituti di credito in nome di quel debito pubblico che non è altro che il signoraggio operato dalla BCE che stampa e presta a usura il denaro, poi che vada tutto al diavolo. Una Fornero saccente e prepotente, che uscita dal cilindro del mondo bancario, come gran parte degli accoliti di Mr Monti, predica le solite ricette fasulle e portatrici di miseria in salsa liberista, “facilità di licenziamento, flessibilità-precarietà, moderazione salariale, tagli occupazionali, meno diritti”. Tutte cose già viste fuori Europa, dove sono state applicate a man bassa nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo e in America Latina in passato e dove hanno solo portato un abbassamento drastico del tenore di vita della popolazione, ma al tempo stesso, guarda caso, a un aumento dei profitti delle multinazionali e del sistema bancario internazionale e all’oligarchia di quelle nazioni. E ora questa economista da quattro soldi, ben piazzata ovunque con tutta la famiglia, che ripete a memoria la lezioncina contro il posto fisso, sta dettando legge nella più completa libertà d’azione, incurante dei danni sociali che sta arrecando, ringraziando ogni giorni gli ex sindacati oramai solo di nome come Cigl Cisl Uil e Ugl, che erano pronti a mobilitarsi in un non lontano passato, un giorno sì e l’altro pure contro Berlusconi. Ora tutti costoro, invece di far scendere in strada i lavoratori in uno sciopero generale ad oltranza, fanno spallucce e lanciano solo flebili proclami degni del Ferragosto contro il governo e la “professoressa” ministra. Però la coppia dei distruttori dell’Italia nulla sarebbe se non avesse alle spalle quel Mario Draghi, mentore del potere finanziario e bancario, che sta dettando le regole agli ignavi governi dell’Ue (tranne i britannici ovviamente, che di quel potere fanno parte integrante da sempre e che dopo essersi tenuti saldamente la loro sterlina, non accettano “Fiscal Compact” di sorta e imposizioni da Bruxelles e Francoforte; loro sono uno Stato sovrano non una colonia come l’Italietta del neoresistenziale Napolitano). Proprio il saccente Draghi, che oramai si sente un piccolo dio in terra, ci dice che “l’euro è irreversibile”, come se nella storia ci fosse mai stato un qualcosa d’irreversibile, e che quindi, “forte del sostegno dei governi, nulla cambierà in futuro”. Si dovrò proseguire sulla stessa strada intrapresa per l’Italia, la Spagna e la Grecia, in altre parole dopo che le solite note agenzie di rating hanno declassato gli Stati ecco arrivare i prestiti usurai in cambio però delle cosiddette riforme strutturali, così le chiama il banchiere di Francoforte, non lo chiamiamo statista per non indispettire l’altro, quello vero, il bocconiano di casa nostra, che sono anche queste sempre le solite e arcinote e con il classico obiettivo. Totale deregolamentazione del mondo del lavoro, che significa globalizzazione e quindi peggioramento del livello di vita dei lavoratori a vantaggio dei grandi gruppi internazionali e della concorrenza al ribasso dei Paesi che non hanno alcuna garanzia sociale e salariale. Si produrranno le stesse cose a costi inferiori e con maggiori profitti per gli investitori esteri che verranno in Italia o in Europa. Marchionne ne è il tipico esempio: dopo avere la Fiat succhiato per decenni contributi statali, ora apre fabbriche all’estero, come in Serbia, dove la mano d’opera costa meno della metà che in Italia, per poi rivendere il prodotto finito a prezzo pieno con ricavi ben superiori a quelli che si avrebbero con i lavoratori italiani. Via poi ogni forma di protezionismo economico sia pur minimo, che sempre secondo Draghi inibisce la competitività, certo lui sa bene cosa significhi tutto questo per la nostra economia, perché dall’altra parte dell’Oceano, da dove gli arrivano i compitini ogni giorno, gli Stati Uniti praticano da sempre il più stretto protezionismo, invocando invece l’apertura dei mercati per tutti gli altri popoli in nome del “dio mercato”. Liberalizzazioni, invoca Draghi, che fa rima con privatizzazioni, che a loro volta fanno rima con svendite del patrimonio pubblico nazionale, che così può facilmente entrare nel mirino dei “datori di lavoro” del presidente della BCE, i quali potranno completare la campagna acquisti già iniziata sotto i precedenti imbelli governi di centro sinistra e destra. E, infatti, Mr. Monti è già sulla buona strada visto che ha già dichiarato che “non solo non escludiamo quote dell’attivo del settore pubblico, ma stiamo preparando e presto seguiranno degli atti concreti”, riferendosi questa volta ai patrimoni di Comuni e Regioni, che come quelli dello Stato sono di tutti gli italiani e non certo di un Presidente del Consiglio da nessuno eletto, costruiti nel corso degli anni con i nostri sacrifici e delle generazioni precedenti, ma che ora rischiano di essere spazzati via e ceduti al migliore offerente. E per finire ecco l’affondo finale dell’ex governatore di Bankitalia, con l’invocazione, ma meglio sarebbe dire l’ordine, vista la spocchia da banchiere che si ritrova, a varare al più presto l’Unione di Bilancio, al fine di creare un’entità sovranazionale. Sappiamo bene da chi e in che modo sarebbe poi guidata questa entità, lo stiamo già vedendo e subendo ogni giorno proprio in Italia, dove la politica ha da tempo lasciato il passo al mondo della finanza apolide, la Costituzione è oramai carta straccia, buona solo per i gonzi che ancora credono nella democrazia, mentre tutte le decisioni che contano sono prese altrove, tranne che in Parlamento aula sorda e grigia. di Federico Dal Cortivo

27 luglio 2012

Elezioni anticipate: far votare il Popolo prima che si inferocisca

Mentre incalzano i declassamenti del sistema-Italia da parte delle agenzie di rating (downrating del debito pubblico, di banche, di enti pubblici), mentre lo spread si impenna, mentre le soluzioni annunciate e festeggiate vivono al più due giorni, mentre il contagio greco e spagnolo si fa sempre più pressante, si moltiplicano i contatti a tema monetario tra Monti, Napolitano, Draghi e altre entità più nell’ombra, e vengono divulgati messaggi rassicuranti: niente nuove manovre, niente crisi monetaria, niente rottura dell’Euro, interventi senza tabù da parte della BCE. Ma promesse e rassicurazioni in materia monetaria, come l’esperienza non si stanca di dimostrare, sono solitamente strumentali e mendaci. Mettiamo ora questo quadro in relazione col tema delle elezioni e della riforma elettorale. Napolitano esige la riforma del Porcellum, onde dare (parvenza di) rappresentatività popolare al parlamento, prima delle prossime elezioni politiche. Diverse fonti ventilano un progetto di voto anticipato ad Ottobre. Monti emette ormai effati implicitamente possibilisti in tal senso. Si parla di un patto tra i partiti che lo sostengono per cambiare la legge elettorale (cioè per inventare un nuovo sistema per eleggere sempre gli stessi), impegnarsi congiuntamente a continuare l’appoggio a Monti e alla sua linea di “risanamento” quale che sia il voto dei cittadini, e poi andare alle urne in sicurezza, avendo “rassicurato i mercati e Berlino”. Mi suona molto così: “Cari titolari dei partiti responsabili, se volete rimanere ancora qualche anno in poltrona a gestire la spesa pubblica come siete abituati a fare, dovete vincolare la futura azione del futuro parlamento ad obbedire e votare le veline della BCE, dell’Eurogruppo, della Commissione, impegnandolo sin da ora a fare tutte le riforme e le cessioni di sovranità che saranno richiesti, anche contro la logica e l’interesse nazionale; solo a tale condizione, la BCE, in deroga autocratica al suo statutario divieto a intervenire in tal senso, continuerà a intervenire sottobanco, sul mercato secondario, per comprare, cioè rifinanziare, il debito pubblico italiano evitando il default del paese.” Un rinnovo parlamentare di questo tipo, imposto dall’estero come già lo fu il rinnovo del governo l’anno scorso, servirà ad affrontare il caldissimo autunno-inverno che ci aspetta, quando scadranno gli ammortizzatori sociali in essere ora (e si impennerà quindi il numero degli ufficialmente disoccupati), quando arriverà la seconda stangata dell’Imu, quando si faranno i conti con la moria di imprese e posti di lavoro già percepibile a chi opera in contatto con le pmi e con i lavoratori autonomi, quando si farà una tassa patrimoniale sugli immobili per raschiare il fondo e affossare il paese. Quando, insomma, probabilmente scoppierà la crisi sociale. Tale fedelissimo parlamento fantoccio, necessario complemento di un governo pure calato dall’alto, potrà legiferare per reprimere la protesta popolare, per introdurre nuove tasse e misure straordinarie, per ingabbiare la nazione nelle strutture giuridiche autocratiche decise altrove, assai più affidabilmente di quanto può fare l’attuale parlamento zombie. E, nel farlo, potrà dire: “non rappresentiamo il popolo che democraticamente ci ha eletti; l’opposizione è violenza, follia, rifiuto delle regole.” Ma soprattutto è meglio far votare la gente in autunno, prima che il bubbone scoppi, prima che succeda qualcosa di grave e duro per la vita quotidiana, prima che il governo dia ulteriori e traumatici giri di vite, prima che si sentano pienamente gli affetti della sua politica economica e del dominio tedesco. Andare al voto nel Marzo 2013 vorrebbe dire andare dare lo strumento elettorale in mano a un popolo che sarà inferocito e sfiduciato, anche verso l’UE, verso Napolitano, oltre che verso Monti e i suoi sostenitori. Questa ipotesi spiegherebbe l’attivismo e gli sforzi in corso da parte di premier, Quirinale, BCE e ABC per turare le falle e puntellare il sistema finché non dispongano di un nuovo parlamento a loro misura, per le loro non divulgate strategie. Spiegherebbe anche perché Berlusconi ancora non dichiara la sua linea come candidato a premier: a seconda di come andranno le cose nei prossimi mesi, a seconda che quel piano riesca oppure fallisca, dovrà presentarsi come fedele servitore dell’Europa dei banchieri, oppure acerrimo leader della lotta contro di essi.

26 luglio 2012

L'irresistibile inadeguatezza della politica

Credo che la maggior parte dei cittadini non abbia ancora capito. Per non parlare dei politici, dei sindacalisti, dei rappresentanti di associazioni e gruppi. A giudicare dalla spensieratezza con cui si va in vacanza, si segue il calcio mercato, si discetta di sistemi elettorali, ci si infervora sui matrimoni gay e sulle dimissioni della Minetti, si direbbe che siano davvero pochi gli italiani che si rendono conto di quanto è drammatico questo momento. E allora proviamo a riassumere. Nessuno sa quanto è probabile che l’euro crolli, o che lo Stato italiano fallisca e ci trascini tutti nel baratro. Però questa eventualità, che era decisamente remota fino a qualche tempo fa, ora non è più trascurabile. Può succedere. Speriamo di no, ma può succedere. Questa settimana, o fra un mese, o fra un anno. Non è inutile ricordare che cosa l’eventualità di un default si porterebbe dietro. Primo: una considerevole erosione dei propri risparmi, per chi ne ha; un crollo del valore degli immobili; l’impossibilità – in caso di necessità – di venderli a un prezzo decente. Secondo: un taglio dell’importo delle pensioni, per chi non lavora più; difficoltà di conservare il posto di lavoro, per operai e impiegati; difficoltà di tenere aperte attività economiche, per imprenditori, commercianti, artigiani. Terzo: riduzione della quantità e della qualità delle cure, per i malati; per tutti, problemi di approvvigionamento energetico, perché benzina, riscaldamento, luce elettrica scarseggerebbero e costerebbero di più. Qui mi fermo, perché non è il caso di infierire. Ma il menù è questo. Le dosi possono variare, le portate – ovvero i guai – possono essere abbondanti o striminzite, ma questo è il genere di eventi che accompagnano un default. Ebbene, di fronte a tutto questo – che fortunatamente non è né certo né probabile, e tuttavia sta diventando sempre più possibile – le forze politiche paiono avere completamente smarrito il senso della misura, delle proporzioni, o meglio ancora delle priorità. Ogni giorno ci riserva la sua piccola bega, fra partiti ed entro i partiti, e pochissimi paiono rendersi conto che ci siamo di nuovo pericolosamente avvicinati al baratro. Da qualche giorno si riparla della possibilità di votare subito, ad ottobre, e non sappiamo ancora nulla. Non sappiamo se dovremo rivotare con le liste bloccate del “porcellum” oppure ci sarà una nuova legge elettorale. Non sappiamo se chi ha condanne definitive potrà essere eletto in Parlamento. Non sappiamo quali saranno le forze politiche in campo. Non sappiamo che alleanze faranno i partiti. Non sappiamo chi saranno i candidati premier. Ma soprattutto non abbiamo ancora ascoltato alcuna proposta precisa in materia di politica economica, salvo quella dei cosiddetti montiani, che propongono di andare avanti così, completando le riforme dell’agenda Monti. Eppure, come elettori, avremmo diritto di sapere come le principali forze politiche del paese intendono evitare il default e, se possibile, riavviare un minimo di crescita economica. Ma attenzione, quando dico che avremmo il diritto di sapere, non mi riferisco ai soliti elenchi di impegni generici, velleitari, o privi di copertura finanziaria. Oggi meno che mai, come elettori, possiamo accontentarci del consueto minestrone elettorale: crescita, coesione sociale, equità, sgravi fiscali, lotta all’evasione fiscale, riduzione degli sprechi, federalismo, rilancio del mezzogiorno. I progetti delle forze politiche che si candidano a governare il paese dovrebbero essere dettagliati e finanziariamente sostenibili, e soprattutto chiari nel loro rapporto con quel che Monti ha fatto fin qui. Non sono fra quanti pensano che Monti abbia fatto il massimo possibile, e anzi ritengo che abbia commesso qualche notevole sbaglio. Ma mi spaventa di più la completa mancanza di analisi credibili da parte delle forze che lo criticano, o lo sostengono fra mille distinguo e prese di distanza. Né Bersani, né Alfano, né Grillo – leader delle tre principali forze in campo – sono stati finora capaci di offrire una alternativa convincente, ossia chiara ed articolata, alla linea del professore. Quel che si intuisce è soltanto che Grillo non esclude il ritorno alla lira, ad Alfano non sono piaciuti gli aumenti delle tasse, a Bersani non sono piaciute le riduzioni di spesa. Quanto al partito di Montezemolo, l’unica lista che potrebbe competere con le tre forze maggiori, non si sa neppure se sarà presente alle prossime elezioni. Forse è anche per questo – perché capiamo che i suoi critici farebbe meno e peggio – che sempre più insistentemente si sente parlare di una lista Monti, o di una continuazione del montismo con altri mezzi. E forse è per lo stesso motivo che, talora, Monti si lascia andare ad atteggiamenti da salvatore della patria, da uomo di stato che – diversamente dai politici politicanti – non pensa alle prossime elezioni ma alle prossime generazioni (vedi dichiarazioni di ieri nella sua visita in Russia). Il dramma delle prossime elezioni, siano quest’autunno o siano questa primavera, è proprio questo. L’Italia avrebbe bisogno di un governo politico, dotato di visione, di coraggio e di legittimazione elettorale, che la portasse fuori dalla palude in cui si è cacciata. Ma il ceto politico vecchio e nuovo appare così debole, così incosciente, così inconcludente e cialtrone, che in molti cominciamo a pensare che, tutto sommato, un nuovo governo Monti sarebbe meglio che riconsegnarci a forze politiche che non saprebbero dove portarci. Con una piccola complicazione, però: che i governi li fa il parlamento, e tutto fa pensare che il nuovo parlamento non sarà molto migliore di quello che ci lasceremo alle spalle. di Luca Ricolfi