15 ottobre 2012

Domare i banchieri non è facile come domare i tori

Ovviamente tutti sanno che in nessun caso è facile domare un toro, anzi, è del tutto impossibile. È vero che qui in Texas, nei numerosi rodei che vengono organizzati un po’ ovunque, diversi cow boys si cimentano nella gara a chi resiste di più in groppa ad un toro inferocito, ma solo i campioni resistono più di una dozzina di secondi, e molti finiscono a terra molto prima, qualcuno con un po’ di ossa rotte. Quindi quello che voglio dire è che, se domare i tori è impossibile, anche sperare di piegare i banchieri a fare ciò che non vogliono lo è in uguale misura. Loro sono troppo più forti di quelli che vorrebbero cavalcarli per accettare di essere cavalcati. Perché ho fatto questa similitudine? Perché proprio in questi giorni qualcuno in Europa ha finalmente avanzato una proposta, pur piccola ma seria, per risolvere il problema delle banche europee diventate troppo grosse. Essere grosse fa bene alle banche (finché non arrivano le crisi) ma fa male alla gente, perché quando le banche sono troppo grosse fanno quello che vogliono limitandosi (più o meno) a rispettare ciò che impongono le leggi. Includendo però in questo assunto anche il potere occulto di ottenere dai Parlamenti le leggi che fanno loro comodo. Ma quanto sono grandi queste banche per riuscire ad imporre a nazioni intere, e persino a grandi federazioni di Stati, come gli USA e l’Europa, i loro interessi? Lo dice, con una semplice comparazione, Jan Pieter Krahnen professore di Scienza delle Finanze all’Università di Francoforte (Germania): l’insieme di tutto il patrimonio delle banche europee è pari al 350% il volume di tutto il Prodotto Lordo della Comunità Europea. Vale a dire che le banche europee amministrano un patrimonio (cioè capitale proprio + debiti) che è tre volte e mezzo il valore di tutto quello che si produce in Europa. Ciò può significare due cose: o che hanno molte operazioni sull’estero, o che hanno in deposito nel patrimonio molta aria fritta (leggi: crediti inesigibili). Probabilmente sono vere un po’ entrambe le cose. Ma per capire l’entità, e l’anomalia, di questa cifra, basta fare il raffronto con lo stesso parametro calcolato sugli Stati Uniti: l’insieme patrimoniale di tutte le banche USA è pari all’80% del volume di tutto il Prodotto Lordo statunitense. Quindi si capisce agevolmente che le banche europee sono largamente sottocapitalizzate e pertanto sottoposte ad un livello del rischio di default (fallimento) molto più elevato. Si capisce altrettanto bene però che con queste dimensioni patrimoniali nessun paese si può permettere di far fallire le proprie banche e pertanto... “a mali estremi, estremi rimedi”, si salvano le banche sostenendole con aiuti di Stato (in inglese il “bailout”), oppure con le nazionalizzazioni (sempre più rare però, perché non conviene ai banchieri). Quindi il famoso “too big to fail” (troppo grandi per fallire) pronunciato nel 2008 come motivo per salvare con denaro pubblico le grandi banche americane, è tuttora in piena applicazione anche in Europa, soltanto che, visto cosa stava per succedere negli USA, gli europei non si azzardano a lasciarne fallire nemmeno una (di quelle molto grosse). Fino a circa metà degli anni 90 esisteva sia in Europa che in America una legge che teneva nettamente separata l’attività delle banche ordinarie da quella delle banche d’affari o d’investimenti (dette anche di medio-termine). Per effetto di questa legge in Italia le banche ordinarie potevano fare solo operazioni ordinarie con durata fino a 18 mesi, gli Istituti di credito a medio termine potevano fare solo operazioni con durata da 18 mesi in su. La differenza sostanziale però era nella forma di approvvigionamento dei capitali necessari a finanziare queste attività. Le prime (le banche ordinarie) si finanziavano massimamente con i depositi dei correntisti e con i depositi del risparmio a breve. Le seconde (gli Istituti di medio termine), non avendo sportelli per i conti correnti, si dovevano finanziare con l’emissione di certificati di deposito, perlopiù vincolati fino a scadenza, superiore ai 18 mesi. In questo modo veniva evitato che il denaro depositato a breve andasse a finanziare prestiti a scadenza lontana. Con l’invenzione della “cartolarizzazione” del debito, cioè la trasformazione di un debito a scadenza lunga (per es. i mutui) in titoli a risparmio trattati quotidianamente in borsa, si è pensato che quella prudenza non fosse più necessaria (Greenspan convinse Clinton in questo senso) e la legge venne abolita prima negli USA e poi in tutta Europa. Ma nel 2008 si è visto che quell’assunto era solo un illusione. Il mercato non si regola da solo, compete e basta. Lo squilibrio che si era formato tra un debito di durata ultradecennale (i mutui di 20 o 30 anni) e il loro derivato finanziario, trasformato in titoli al portatore che possono essere messi all’incasso tutti insieme nella stessa giornata, ha funzionato finché il mercato delle case e quello dei mutui è stato in crescita, ma quando è crollato e tutti (o buona parte) di quei possessori dei derivati finanziari hanno cercato tutti assieme di rientrare in possesso del loro credito, la crisi di liquidità è esplosa repentinamente, e le banche hanno rischiato tutte di fare la fine che ha fatto la Lehman Brother, cioè fallire. Allora qualcuno, tra i pochi nelle stanze dei bottoni che sembrano non del tutto legati al grande carrozzone, ha pensato che, non riuscendo a imporre legislativamente il ritorno della vecchia legge che separava le banche (negli Usa era la Glass-Steagall, in Italia il DPR 601), si sarebbe potuto ottenere più o meno lo stesso risultato separando quelle diverse attività all’interno della stessa banca. In Europa è stato in questi giorni Erkky Liikanen, delegato Europeo per la Banca Centrale Finlandese, a proporre ufficialmente di intervenire con la nuova regola sulle banche mettendo un differente parametro di capitalizzazione per i due comparti al fine di limitare il rischio proveniente dall’esagerata esposizione proveniente dalle operazioni sui derivati finanziari. Ovviamente, poiché il capitale proprio della banca è uno solo, il parametro diverso funzionerebbe per stabilire l’ammontare massimo delle operazioni sui derivati, che dovrebbe essere più rigido rispetto all’altro parametro, rivolto invece ad operazioni ordinarie molto meno rischiose. Questa proposta, che per le banche sarebbe certamente il male minore rispetto a quella di ripristinare le leggi anni ‘90, si scontra però con la già annunciata opposizione dei grandi banchieri, i quali lamentano che costringerebbe le loro banche a sostenere un grande onere amministrativo per creare all’interno della stessa banca due separate contabilità. Questo appare palesemente come un grande pretesto per non fare niente, dato che ogni grande banca ha già separate contabilità per ogni comparto di attività, ci mancherebbe altro! Il tutto si riunisce poi nel bilancio aggregato e consolidato. Quello che le banche non riuscirebbero a fare non è la separata contabilità, ma la capitalizzazione per mantenere adeguato il volume di attività rischiose. Questo è il principale motivo, insieme alla completa avversione per le “ingerenze” dei politici, per cui la proposta non piace e viene già contestata. Riusciranno i nostri baldi politici a fargliela digerire? È quasi impossibile. Io prevedo che il destino del povero Liikanen e dei suoi (pochi) alleati, sia lo stesso di quei cow boy che pretendono di cavalcare i tori. di Roberto Marchesi

13 ottobre 2012

Monti, i mercati e le alternative ai tecnocrati

Con le elezioni politiche all’orizzonte, nel dibattito pubblico non c’è traccia di una riflessione profonda sui contenuti e sui programmi sui quali gli italiani saranno chiamati a votare. Per questo abbiamo chiesto ad Augusto Grandi, giornalista del Sole24Ore, di commentare per Barbadillo.it le mosse di Mario Monti e i tentennamenti dei partiti, intimoriti dalla grisaglia dell’accademico milanese. Grandi è autore con Daniele Lazzeri e Andrea Marcigliano de “Il Grigiocrate” (fuorionda), un ritratto controcorrente dell’attuale presidente del Consiglio. Grandi, nell’ultimo mese – dall’inaugurazione della Fiera del Levante fino al Forum della Cooperazione di Milano – il presidente del Consiglio Mario Monti ha lanciato messaggi contraddittori in merito alla sua disponibilita’ a ricevere un nuovo incarico di governo. Da cosa nascono queste fibrillazioni? Da un lato i mercati, i veri padroni di Monti, vorrebbero la garanzia assoluta di essere tutelati e di poter continuare ad incassare i lauti interessi sul debito italiano. Per questo premono per la riconferma. Dall’altro il professore è perfettamente consapevole che il popolo italiano, quello che per lui rappresenta un fastidio ed un ingombro, non ha per nulla apprezzato le stangate del governo. Che hanno depredato i cittadini senza ridurre il debito (che è aumentato) e facendo crescere la disoccupazione mentre il Pil è crollato. Dunque c’è il timore di contare i sostenitori. Meglio il solito percorso: Monti si ritira, i “mercati” mettono l’Italia sotto attacco ed i partiti hanno l’alibi per richiamare il professore al governo. L’attuale esecutivo, pur appoggiato con linearità parlamentare da Udc, Pd e Pdl, registra a destra e tra i democratici forti critiche all’eventualità di un Monti bis. E’ un tema che potrebbe dividere le coalizioni che si stanno formando per le prossime politiche? In teoria sì. Ma dall’idea all’azione il passo è lungo. L’ala sinistra del Pd, oltre all’eventuale alleato Vendola, si rende perfettamente conto che le manovre di Monti sono fallimentari in assoluto e hanno costi altissimi per chi non fa parte della sedicente élite. Se le primarie le vincesse Bersani, riuscirebbe a tenere unito il Pd su una posizione di finta critica, con cambi modesti rispetto alla politica economica dei tecnocrati. Ma in caso di successo di Renzi, il Pd potrebbe ritrovarsi con ampie sacche di malcontento, a partire dall’ampio settore legato alla Cgil ed alla Fiom. Quanto al centrodestra, la voglia di fuga dal Pdl di parte della componente ex An è nota. Ma non può aver successo un nuovo partito che punti su vecchi personaggi. Inutile rifare An, o pensare al Movimento sociale, riproponendo ai vertici i responsabili del disastro attuale, tutti coloro che hanno rinnegato la provenienza politica, l’appartenenza, e che ora vorrebbero i voti dei “camerati”, dopo averli scaricati in ogni occasione pubblica. E poi i “colonnelli” hanno paura di tornare a confrontarsi in campo aperto, senza la comoda protezione di Berlusconi. L’Italia e i parametri europei: Monti è riuscito ad alleggerire la morsa tedesca sui conti italiani? Il problema non è la morsa tedesca, ma la servitù di Monti nei confronti delle banche e della speculazione. I tedeschi vogliono un’Italia meno competitiva sul fronte industriale e Monti sta distruggendo la manifattura italiana. Per far questo serve impoverire il Paese ed il Grigiocrate presidente del Consiglio sta eseguendo alla perfezione il compito che gli hanno affidato. Quanto peserà il fiscal compact sulle prossime politiche economiche italiane? Che margini di manovra restano per chi vincerà le elezioni? Il margine di manovra sarebbe ampio, se ci fossero politici competenti, coraggiosi, indipendenti. Politici in grado di strappare questo immondo accordo e rinegoziare il tutto. Ma politici così non abbondano. Quanto al peso sulle elezioni, sarà poco più che nullo. Pd, Pdl e Udc hanno votato il fiscal compact (con lodevoli eccezioni interne), dunque non avranno interesse a parlarne. Lega Nord e Grillini potranno anche parlarne a lungo, ma i media al servizio dei poteri forti non daranno certo molto spazio alle loro posizioni. Quale e’ stato il livello del dibattito parlamentare su un tema così delicato per gli anni futuri? Un livello inesistente, ed ignobile le rare volte in cui si è discusso. L’Italia verrà massacrata di tasse nei prossimi anni (45 miliardi di euro all’anno) e nessuno ha fiatato. Poche righe sui giornali e scarsissimi dibattiti. Nello scacchiere politico si preparano le alleanze in vista delle prossime elezioni. Che scelta potranno avere sulla scheda gli elettori che non hanno condiviso l’operato dell’esecutivo Monti? Le scelte sono limitate. Certo, parte della protesta confluirà sul Movimento 5 stelle, e non ha caso è stato subito messo sotto attacco con la consueta trafila di illazioni, polemiche interne, delazioni. Tutto già visto ogni volta che un movimento nuovo si è presentato sulla scena. Poi c’è la Lega Nord , alle prese con le squallide vicende interne (emerse, non a caso, appena la Lega si è schierata contro Monti) e con una gestione Maroni che non ha ancora individuato la propria strada. E anche l’Idv, coraggiosa su alcune scelte ma ampiamente reticente su altre. E con il problema, non da poco, delle candidature. Va bene il ruspante Di Pietro, ma altri personaggi – tra l’isterico ed il patetico _ sono francamente impresentabili. La Destra resta un’incognita, perché non basta avere un ottimo candidato in Sicilia per ottenere consensi ovunque. La classe dirigente del partito di Storace lascia molto a desiderare, in varie parti d’Italia. E con gli attacchi, orchestrati, contro i politici, sarà importante anche la figura di chi verrà presentato. Non basteranno le idee. di Augusto Grandi - Michele De Feudis

12 ottobre 2012

Si scrive “Italia”, si legge “la truffa eretta a sistema”

Ogni giorno se ne sente o se ne legge una “nuova”. Una più grave dell’altra, al punto che non esiste quasi più spazio per lo sbalordimento. Anche questo deve far parte del piano delle élite: assuefarci ad una sequela di “scandali” e “cose dell’altro mondo”, in maniera da far sembrare “normale” anche l’abominio più conclamato. Ma ogni tanto qualcosa riesce ancora a far drizzare i capelli. Da privati cittadini italiani è stata infatti depositata una dettagliata denuncia su una questione che riguarda tutti. Ma tutti davvero. Ascoltate attentamente quanto viene detto e rendiamoci conto di che cosa viene architettato da una ventina d’anni, di quali raggiri fraudolenti sono oramai capaci Lorsignori, per taglieggiare la gente: DENUNCIA - ESAUTORATI I CONCORSISTI PER METTERE I NOMINATI PER SVENDERE L'ITALIA Ora, che solo un manipolo d’impavidi patrioti (riuniti sotto la sigla “Albamed – Alba Mediterranea”) riesca a far emergere quello che dovrebbe uscire, coralmente, dall’animo di un popolo sano, non è una cosa da “paese normale”. Ma da una ventina d’anni, ormai, da quando hanno inscenato a più riprese la farsa della “moralizzazione”, che nei fatti – al di là dello spettacolo delle “inchieste” e degli “avvisi di garanzia” - si traduce nel sistematico saccheggio dello Stato, ci gabellano per “paese normale” una marea di assurde cretinate e di patenti falsità. Ne cito una che vale come paradigma della malafede di sedicenti “opinionisti” ed “esperti”. Alcuni ricorderanno che per un po’ di tempo hanno avuto libera circolazione “autorevoli pareri” a senso unico, in stile lavaggio del cervello, sulla “anormalità” del fatto che in Italia la maggioranza del “debito pubblico” fosse detenuta da creditori nazionali. “Non è una cosa da paese normale”, “in Europa, nei paesi avanzati (nello sfacelo!), fanno così e cosà”, sfoggiando la consueta sicumera di chi fa intendere “ma che ne volete sapere voi, noi siamo gli esperti!”. Bene, sono riusciti, con leggi-truffa (mentre dei “nominati” venivano piazzati al posto di chi ricopriva un ruolo dirigenziale dopo un concorso vinto), l’euro, la BCE e tutti i “trattati” cosiddetti (imposizioni), a ribaltare le percentuali del “debito pubblico” detenute da soggetti nazionali e non, a tutto vantaggio dei secondi; nello specifico, le medesime “banche d’affari” che poi si occupano, una volta fatto scoppiare il tal “scandalo” e fatto salire lo “spread”, di occuparsi della svendita dei “gioielli di famiglia”… Se a rendersi conto del livello della truffa in atto sono solo pochi coraggiosi italiani - e sottolineo italiani perché l’Italia bisogna anche amarla - armati unicamente del loro coraggio e dei residui spazi di libertà esistenti, mentre la maggioranza va dietro a questioni di nessuna importanza anche quando crede di “impegnarsi” (tipico il caso dell’odio indotto verso “la casta”), si può affermare di non essere più un “paese normale”. Che cosa fa invece il popolo? La mitica “maggioranza” che in “democrazia”, per definizione, “ha sempre ragione”? Bofonchia e tira a campare. Considera questi eroi dei nostri tempi come dei “mattacchioni” o “gente che non c’ha un c… da fare”. Degli “illusi” che battagliano coi mulini a vento. Al massimo dello slancio che può produrre, quest’ingombrante massa abituata a pane e circo, non vede l’ora di fare come in Spagna e in Grecia: scendere in piazza a “protestare”! Ma contro che cosa? Contro “la casta”? E in nome di che cosa, se non ha capito un fico secco di come viene truffata? Ma quando mai la “rivoluzione” la si fa nelle “piazze” e con la “presa della Bastiglia”? La “rivoluzione” comincia quando capisci dove e come ti stanno fregando. Che sei immerso in una truffa eretta a sistema. Bisogna lavorare per un cambiamento del paradigma dominante. Adesso ce n’è uno, perfettamente integrato nelle sue “parti” e a suo modo “coerente”, che sorregge, nella sua cerchia esterna, tutto quest’apparato di potere (“la casta”) che i più individuano come “il problema”. Ma quello è solo la scorza. Il problema vero è il nocciolo, la sostanza, altrimenti non sarebbe così difficile “cambiare le cose”. Basterebbe “indignarsi” e “protestare”, no? È difficile perché dentro, anche in quelli che “si oppongono”, circolano le medesime convinzioni, o meglio suggestioni, di fondo: più “democrazia”, più “diritti”, bla… bla… bla. Mai che ciascuno reclamasse di starsene finalmente al suo posto, nella posizione che la sua specifica natura gli ha assegnato. Sproloquiano di “casta” ma non hanno alcuna idea di che cosa significhi essenzialmente una vera casta: qui tutt’al più esiste solo una sterminata ed amorfa massa desiderante senza un alto e un basso. E poi, la fisima dell’onestà! Va bene che in democrazia i peggiori – i più arrivisti, i più scaltri, i più famelici – si piazzano sulla “poltrona”… Ma se chiedi “più democrazia” te la danno eccome, non vedono l’ora! Tutto questo “moralismo” non può produrre alcunché di buono perché la “morale” è solo un elemento, importante quanto si vuole, ma solo un pezzo di un mosaico che va ricomposto per intero a partire dalle sue tessere più importanti, che sono dentro di noi. Se l’ego vuole da mangiare, ci sarà sempre cibo in abbondanza. No, non è quella delle “piazze” la via. Bisogna ridare forma ai “valori tradizionali”, gli unici che – declinati in vario modo secondo le condizioni di tempo e luogo (la “tradizione” non è “immobilismo” né “conservatorismo”) - hanno permesso a tutte le comunità umane di funzionare bene e in ordine, con una legge certa, autorevole e rispettata a partire da chi dovrebbe dare l’esempio. L’esatto opposto della discrezionalità, dell’abuso e della truffa eretta a sistema, di questa parvenza di “legalità” contraddetta platealmente nei fatti (ma all’insaputa dei gonzi), così come impietosamente ed esemplarmente è stato messo a nudo dagli autori di questa denuncia, la quale, proprio perché non siamo un “paese normale”, verrà bellamente ignorata, a partire dagli organi preposti a prenderla in esame e a darle seguito. di Enrico Galoppini

15 ottobre 2012

Domare i banchieri non è facile come domare i tori

Ovviamente tutti sanno che in nessun caso è facile domare un toro, anzi, è del tutto impossibile. È vero che qui in Texas, nei numerosi rodei che vengono organizzati un po’ ovunque, diversi cow boys si cimentano nella gara a chi resiste di più in groppa ad un toro inferocito, ma solo i campioni resistono più di una dozzina di secondi, e molti finiscono a terra molto prima, qualcuno con un po’ di ossa rotte. Quindi quello che voglio dire è che, se domare i tori è impossibile, anche sperare di piegare i banchieri a fare ciò che non vogliono lo è in uguale misura. Loro sono troppo più forti di quelli che vorrebbero cavalcarli per accettare di essere cavalcati. Perché ho fatto questa similitudine? Perché proprio in questi giorni qualcuno in Europa ha finalmente avanzato una proposta, pur piccola ma seria, per risolvere il problema delle banche europee diventate troppo grosse. Essere grosse fa bene alle banche (finché non arrivano le crisi) ma fa male alla gente, perché quando le banche sono troppo grosse fanno quello che vogliono limitandosi (più o meno) a rispettare ciò che impongono le leggi. Includendo però in questo assunto anche il potere occulto di ottenere dai Parlamenti le leggi che fanno loro comodo. Ma quanto sono grandi queste banche per riuscire ad imporre a nazioni intere, e persino a grandi federazioni di Stati, come gli USA e l’Europa, i loro interessi? Lo dice, con una semplice comparazione, Jan Pieter Krahnen professore di Scienza delle Finanze all’Università di Francoforte (Germania): l’insieme di tutto il patrimonio delle banche europee è pari al 350% il volume di tutto il Prodotto Lordo della Comunità Europea. Vale a dire che le banche europee amministrano un patrimonio (cioè capitale proprio + debiti) che è tre volte e mezzo il valore di tutto quello che si produce in Europa. Ciò può significare due cose: o che hanno molte operazioni sull’estero, o che hanno in deposito nel patrimonio molta aria fritta (leggi: crediti inesigibili). Probabilmente sono vere un po’ entrambe le cose. Ma per capire l’entità, e l’anomalia, di questa cifra, basta fare il raffronto con lo stesso parametro calcolato sugli Stati Uniti: l’insieme patrimoniale di tutte le banche USA è pari all’80% del volume di tutto il Prodotto Lordo statunitense. Quindi si capisce agevolmente che le banche europee sono largamente sottocapitalizzate e pertanto sottoposte ad un livello del rischio di default (fallimento) molto più elevato. Si capisce altrettanto bene però che con queste dimensioni patrimoniali nessun paese si può permettere di far fallire le proprie banche e pertanto... “a mali estremi, estremi rimedi”, si salvano le banche sostenendole con aiuti di Stato (in inglese il “bailout”), oppure con le nazionalizzazioni (sempre più rare però, perché non conviene ai banchieri). Quindi il famoso “too big to fail” (troppo grandi per fallire) pronunciato nel 2008 come motivo per salvare con denaro pubblico le grandi banche americane, è tuttora in piena applicazione anche in Europa, soltanto che, visto cosa stava per succedere negli USA, gli europei non si azzardano a lasciarne fallire nemmeno una (di quelle molto grosse). Fino a circa metà degli anni 90 esisteva sia in Europa che in America una legge che teneva nettamente separata l’attività delle banche ordinarie da quella delle banche d’affari o d’investimenti (dette anche di medio-termine). Per effetto di questa legge in Italia le banche ordinarie potevano fare solo operazioni ordinarie con durata fino a 18 mesi, gli Istituti di credito a medio termine potevano fare solo operazioni con durata da 18 mesi in su. La differenza sostanziale però era nella forma di approvvigionamento dei capitali necessari a finanziare queste attività. Le prime (le banche ordinarie) si finanziavano massimamente con i depositi dei correntisti e con i depositi del risparmio a breve. Le seconde (gli Istituti di medio termine), non avendo sportelli per i conti correnti, si dovevano finanziare con l’emissione di certificati di deposito, perlopiù vincolati fino a scadenza, superiore ai 18 mesi. In questo modo veniva evitato che il denaro depositato a breve andasse a finanziare prestiti a scadenza lontana. Con l’invenzione della “cartolarizzazione” del debito, cioè la trasformazione di un debito a scadenza lunga (per es. i mutui) in titoli a risparmio trattati quotidianamente in borsa, si è pensato che quella prudenza non fosse più necessaria (Greenspan convinse Clinton in questo senso) e la legge venne abolita prima negli USA e poi in tutta Europa. Ma nel 2008 si è visto che quell’assunto era solo un illusione. Il mercato non si regola da solo, compete e basta. Lo squilibrio che si era formato tra un debito di durata ultradecennale (i mutui di 20 o 30 anni) e il loro derivato finanziario, trasformato in titoli al portatore che possono essere messi all’incasso tutti insieme nella stessa giornata, ha funzionato finché il mercato delle case e quello dei mutui è stato in crescita, ma quando è crollato e tutti (o buona parte) di quei possessori dei derivati finanziari hanno cercato tutti assieme di rientrare in possesso del loro credito, la crisi di liquidità è esplosa repentinamente, e le banche hanno rischiato tutte di fare la fine che ha fatto la Lehman Brother, cioè fallire. Allora qualcuno, tra i pochi nelle stanze dei bottoni che sembrano non del tutto legati al grande carrozzone, ha pensato che, non riuscendo a imporre legislativamente il ritorno della vecchia legge che separava le banche (negli Usa era la Glass-Steagall, in Italia il DPR 601), si sarebbe potuto ottenere più o meno lo stesso risultato separando quelle diverse attività all’interno della stessa banca. In Europa è stato in questi giorni Erkky Liikanen, delegato Europeo per la Banca Centrale Finlandese, a proporre ufficialmente di intervenire con la nuova regola sulle banche mettendo un differente parametro di capitalizzazione per i due comparti al fine di limitare il rischio proveniente dall’esagerata esposizione proveniente dalle operazioni sui derivati finanziari. Ovviamente, poiché il capitale proprio della banca è uno solo, il parametro diverso funzionerebbe per stabilire l’ammontare massimo delle operazioni sui derivati, che dovrebbe essere più rigido rispetto all’altro parametro, rivolto invece ad operazioni ordinarie molto meno rischiose. Questa proposta, che per le banche sarebbe certamente il male minore rispetto a quella di ripristinare le leggi anni ‘90, si scontra però con la già annunciata opposizione dei grandi banchieri, i quali lamentano che costringerebbe le loro banche a sostenere un grande onere amministrativo per creare all’interno della stessa banca due separate contabilità. Questo appare palesemente come un grande pretesto per non fare niente, dato che ogni grande banca ha già separate contabilità per ogni comparto di attività, ci mancherebbe altro! Il tutto si riunisce poi nel bilancio aggregato e consolidato. Quello che le banche non riuscirebbero a fare non è la separata contabilità, ma la capitalizzazione per mantenere adeguato il volume di attività rischiose. Questo è il principale motivo, insieme alla completa avversione per le “ingerenze” dei politici, per cui la proposta non piace e viene già contestata. Riusciranno i nostri baldi politici a fargliela digerire? È quasi impossibile. Io prevedo che il destino del povero Liikanen e dei suoi (pochi) alleati, sia lo stesso di quei cow boy che pretendono di cavalcare i tori. di Roberto Marchesi

13 ottobre 2012

Monti, i mercati e le alternative ai tecnocrati

Con le elezioni politiche all’orizzonte, nel dibattito pubblico non c’è traccia di una riflessione profonda sui contenuti e sui programmi sui quali gli italiani saranno chiamati a votare. Per questo abbiamo chiesto ad Augusto Grandi, giornalista del Sole24Ore, di commentare per Barbadillo.it le mosse di Mario Monti e i tentennamenti dei partiti, intimoriti dalla grisaglia dell’accademico milanese. Grandi è autore con Daniele Lazzeri e Andrea Marcigliano de “Il Grigiocrate” (fuorionda), un ritratto controcorrente dell’attuale presidente del Consiglio. Grandi, nell’ultimo mese – dall’inaugurazione della Fiera del Levante fino al Forum della Cooperazione di Milano – il presidente del Consiglio Mario Monti ha lanciato messaggi contraddittori in merito alla sua disponibilita’ a ricevere un nuovo incarico di governo. Da cosa nascono queste fibrillazioni? Da un lato i mercati, i veri padroni di Monti, vorrebbero la garanzia assoluta di essere tutelati e di poter continuare ad incassare i lauti interessi sul debito italiano. Per questo premono per la riconferma. Dall’altro il professore è perfettamente consapevole che il popolo italiano, quello che per lui rappresenta un fastidio ed un ingombro, non ha per nulla apprezzato le stangate del governo. Che hanno depredato i cittadini senza ridurre il debito (che è aumentato) e facendo crescere la disoccupazione mentre il Pil è crollato. Dunque c’è il timore di contare i sostenitori. Meglio il solito percorso: Monti si ritira, i “mercati” mettono l’Italia sotto attacco ed i partiti hanno l’alibi per richiamare il professore al governo. L’attuale esecutivo, pur appoggiato con linearità parlamentare da Udc, Pd e Pdl, registra a destra e tra i democratici forti critiche all’eventualità di un Monti bis. E’ un tema che potrebbe dividere le coalizioni che si stanno formando per le prossime politiche? In teoria sì. Ma dall’idea all’azione il passo è lungo. L’ala sinistra del Pd, oltre all’eventuale alleato Vendola, si rende perfettamente conto che le manovre di Monti sono fallimentari in assoluto e hanno costi altissimi per chi non fa parte della sedicente élite. Se le primarie le vincesse Bersani, riuscirebbe a tenere unito il Pd su una posizione di finta critica, con cambi modesti rispetto alla politica economica dei tecnocrati. Ma in caso di successo di Renzi, il Pd potrebbe ritrovarsi con ampie sacche di malcontento, a partire dall’ampio settore legato alla Cgil ed alla Fiom. Quanto al centrodestra, la voglia di fuga dal Pdl di parte della componente ex An è nota. Ma non può aver successo un nuovo partito che punti su vecchi personaggi. Inutile rifare An, o pensare al Movimento sociale, riproponendo ai vertici i responsabili del disastro attuale, tutti coloro che hanno rinnegato la provenienza politica, l’appartenenza, e che ora vorrebbero i voti dei “camerati”, dopo averli scaricati in ogni occasione pubblica. E poi i “colonnelli” hanno paura di tornare a confrontarsi in campo aperto, senza la comoda protezione di Berlusconi. L’Italia e i parametri europei: Monti è riuscito ad alleggerire la morsa tedesca sui conti italiani? Il problema non è la morsa tedesca, ma la servitù di Monti nei confronti delle banche e della speculazione. I tedeschi vogliono un’Italia meno competitiva sul fronte industriale e Monti sta distruggendo la manifattura italiana. Per far questo serve impoverire il Paese ed il Grigiocrate presidente del Consiglio sta eseguendo alla perfezione il compito che gli hanno affidato. Quanto peserà il fiscal compact sulle prossime politiche economiche italiane? Che margini di manovra restano per chi vincerà le elezioni? Il margine di manovra sarebbe ampio, se ci fossero politici competenti, coraggiosi, indipendenti. Politici in grado di strappare questo immondo accordo e rinegoziare il tutto. Ma politici così non abbondano. Quanto al peso sulle elezioni, sarà poco più che nullo. Pd, Pdl e Udc hanno votato il fiscal compact (con lodevoli eccezioni interne), dunque non avranno interesse a parlarne. Lega Nord e Grillini potranno anche parlarne a lungo, ma i media al servizio dei poteri forti non daranno certo molto spazio alle loro posizioni. Quale e’ stato il livello del dibattito parlamentare su un tema così delicato per gli anni futuri? Un livello inesistente, ed ignobile le rare volte in cui si è discusso. L’Italia verrà massacrata di tasse nei prossimi anni (45 miliardi di euro all’anno) e nessuno ha fiatato. Poche righe sui giornali e scarsissimi dibattiti. Nello scacchiere politico si preparano le alleanze in vista delle prossime elezioni. Che scelta potranno avere sulla scheda gli elettori che non hanno condiviso l’operato dell’esecutivo Monti? Le scelte sono limitate. Certo, parte della protesta confluirà sul Movimento 5 stelle, e non ha caso è stato subito messo sotto attacco con la consueta trafila di illazioni, polemiche interne, delazioni. Tutto già visto ogni volta che un movimento nuovo si è presentato sulla scena. Poi c’è la Lega Nord , alle prese con le squallide vicende interne (emerse, non a caso, appena la Lega si è schierata contro Monti) e con una gestione Maroni che non ha ancora individuato la propria strada. E anche l’Idv, coraggiosa su alcune scelte ma ampiamente reticente su altre. E con il problema, non da poco, delle candidature. Va bene il ruspante Di Pietro, ma altri personaggi – tra l’isterico ed il patetico _ sono francamente impresentabili. La Destra resta un’incognita, perché non basta avere un ottimo candidato in Sicilia per ottenere consensi ovunque. La classe dirigente del partito di Storace lascia molto a desiderare, in varie parti d’Italia. E con gli attacchi, orchestrati, contro i politici, sarà importante anche la figura di chi verrà presentato. Non basteranno le idee. di Augusto Grandi - Michele De Feudis

12 ottobre 2012

Si scrive “Italia”, si legge “la truffa eretta a sistema”

Ogni giorno se ne sente o se ne legge una “nuova”. Una più grave dell’altra, al punto che non esiste quasi più spazio per lo sbalordimento. Anche questo deve far parte del piano delle élite: assuefarci ad una sequela di “scandali” e “cose dell’altro mondo”, in maniera da far sembrare “normale” anche l’abominio più conclamato. Ma ogni tanto qualcosa riesce ancora a far drizzare i capelli. Da privati cittadini italiani è stata infatti depositata una dettagliata denuncia su una questione che riguarda tutti. Ma tutti davvero. Ascoltate attentamente quanto viene detto e rendiamoci conto di che cosa viene architettato da una ventina d’anni, di quali raggiri fraudolenti sono oramai capaci Lorsignori, per taglieggiare la gente: DENUNCIA - ESAUTORATI I CONCORSISTI PER METTERE I NOMINATI PER SVENDERE L'ITALIA Ora, che solo un manipolo d’impavidi patrioti (riuniti sotto la sigla “Albamed – Alba Mediterranea”) riesca a far emergere quello che dovrebbe uscire, coralmente, dall’animo di un popolo sano, non è una cosa da “paese normale”. Ma da una ventina d’anni, ormai, da quando hanno inscenato a più riprese la farsa della “moralizzazione”, che nei fatti – al di là dello spettacolo delle “inchieste” e degli “avvisi di garanzia” - si traduce nel sistematico saccheggio dello Stato, ci gabellano per “paese normale” una marea di assurde cretinate e di patenti falsità. Ne cito una che vale come paradigma della malafede di sedicenti “opinionisti” ed “esperti”. Alcuni ricorderanno che per un po’ di tempo hanno avuto libera circolazione “autorevoli pareri” a senso unico, in stile lavaggio del cervello, sulla “anormalità” del fatto che in Italia la maggioranza del “debito pubblico” fosse detenuta da creditori nazionali. “Non è una cosa da paese normale”, “in Europa, nei paesi avanzati (nello sfacelo!), fanno così e cosà”, sfoggiando la consueta sicumera di chi fa intendere “ma che ne volete sapere voi, noi siamo gli esperti!”. Bene, sono riusciti, con leggi-truffa (mentre dei “nominati” venivano piazzati al posto di chi ricopriva un ruolo dirigenziale dopo un concorso vinto), l’euro, la BCE e tutti i “trattati” cosiddetti (imposizioni), a ribaltare le percentuali del “debito pubblico” detenute da soggetti nazionali e non, a tutto vantaggio dei secondi; nello specifico, le medesime “banche d’affari” che poi si occupano, una volta fatto scoppiare il tal “scandalo” e fatto salire lo “spread”, di occuparsi della svendita dei “gioielli di famiglia”… Se a rendersi conto del livello della truffa in atto sono solo pochi coraggiosi italiani - e sottolineo italiani perché l’Italia bisogna anche amarla - armati unicamente del loro coraggio e dei residui spazi di libertà esistenti, mentre la maggioranza va dietro a questioni di nessuna importanza anche quando crede di “impegnarsi” (tipico il caso dell’odio indotto verso “la casta”), si può affermare di non essere più un “paese normale”. Che cosa fa invece il popolo? La mitica “maggioranza” che in “democrazia”, per definizione, “ha sempre ragione”? Bofonchia e tira a campare. Considera questi eroi dei nostri tempi come dei “mattacchioni” o “gente che non c’ha un c… da fare”. Degli “illusi” che battagliano coi mulini a vento. Al massimo dello slancio che può produrre, quest’ingombrante massa abituata a pane e circo, non vede l’ora di fare come in Spagna e in Grecia: scendere in piazza a “protestare”! Ma contro che cosa? Contro “la casta”? E in nome di che cosa, se non ha capito un fico secco di come viene truffata? Ma quando mai la “rivoluzione” la si fa nelle “piazze” e con la “presa della Bastiglia”? La “rivoluzione” comincia quando capisci dove e come ti stanno fregando. Che sei immerso in una truffa eretta a sistema. Bisogna lavorare per un cambiamento del paradigma dominante. Adesso ce n’è uno, perfettamente integrato nelle sue “parti” e a suo modo “coerente”, che sorregge, nella sua cerchia esterna, tutto quest’apparato di potere (“la casta”) che i più individuano come “il problema”. Ma quello è solo la scorza. Il problema vero è il nocciolo, la sostanza, altrimenti non sarebbe così difficile “cambiare le cose”. Basterebbe “indignarsi” e “protestare”, no? È difficile perché dentro, anche in quelli che “si oppongono”, circolano le medesime convinzioni, o meglio suggestioni, di fondo: più “democrazia”, più “diritti”, bla… bla… bla. Mai che ciascuno reclamasse di starsene finalmente al suo posto, nella posizione che la sua specifica natura gli ha assegnato. Sproloquiano di “casta” ma non hanno alcuna idea di che cosa significhi essenzialmente una vera casta: qui tutt’al più esiste solo una sterminata ed amorfa massa desiderante senza un alto e un basso. E poi, la fisima dell’onestà! Va bene che in democrazia i peggiori – i più arrivisti, i più scaltri, i più famelici – si piazzano sulla “poltrona”… Ma se chiedi “più democrazia” te la danno eccome, non vedono l’ora! Tutto questo “moralismo” non può produrre alcunché di buono perché la “morale” è solo un elemento, importante quanto si vuole, ma solo un pezzo di un mosaico che va ricomposto per intero a partire dalle sue tessere più importanti, che sono dentro di noi. Se l’ego vuole da mangiare, ci sarà sempre cibo in abbondanza. No, non è quella delle “piazze” la via. Bisogna ridare forma ai “valori tradizionali”, gli unici che – declinati in vario modo secondo le condizioni di tempo e luogo (la “tradizione” non è “immobilismo” né “conservatorismo”) - hanno permesso a tutte le comunità umane di funzionare bene e in ordine, con una legge certa, autorevole e rispettata a partire da chi dovrebbe dare l’esempio. L’esatto opposto della discrezionalità, dell’abuso e della truffa eretta a sistema, di questa parvenza di “legalità” contraddetta platealmente nei fatti (ma all’insaputa dei gonzi), così come impietosamente ed esemplarmente è stato messo a nudo dagli autori di questa denuncia, la quale, proprio perché non siamo un “paese normale”, verrà bellamente ignorata, a partire dagli organi preposti a prenderla in esame e a darle seguito. di Enrico Galoppini