07 gennaio 2013

L'energumeno Monti







  

La discesa (o salita, come ama dire  l'interessato nel suo sconfinato egocentrismo, che non ammette di collegare in alcun caso la sua persona col verbo “scendere”) di Mario Monti  in campo, forse perché condotta sul filo dell'ammissibilità costituzionale, ha determinato reazioni  altrettanto squinternate. Bersani, preoccupato che il suo partito non abbia quel trionfo totale prospettatogli fino a pochi giorni fa dai sondaggi, dice di sperare   che   Monti sappia mantenersi  “super partes”. Dal momento che non può essere super partes chi, proprio perché disceso (anzi salito) nell'agone, è già  parte a tutti  gli effetti,  l'auspicio prepara il terreno per il dopo  nella speranza che, se ne avrà bisogno, stia dalla  “sua” parte in cambio di qualche strapuntino nel governo e non pretenda invece la poltrona principale.
    Berlusconi, giocando  sulla faccenda della discesa-salita,  ha commentato  che Monti sale, perché era un presidente del consiglio di rango inferiore, mentre lui stesso, Berlusconi, era di rango superiore.  Insomma, se si è capito bene, a parte gli altri che vanno via  piatti, ci sono in campo un contendente che sale  (Monti)  e uno  (Berlusconi) che scende.  Contento lui.
     Beppe Grillo ha definito l'inatteso concorrente (ma può stare tranquillo,  chi pencola verso l'universo grillino ha altri  difetti, ma  non voterà mai per Monti)  un “energumeno anticostituzionale”. Quanto all'anticostituzionale  è  vero che fin  dalla sua prima apparizione sotto l'ala protettrice di  Giorgio Napolitano e di Angela Merkel sono stati sollevati  da più parti dubbi  sulla conformità al sistema democratico  della  nomina e  delle modalità di subentro al precedente governo. Tuttavia la definizione di “energumeno” (peggio ancora nella sua versione british,  “brute”) risulta quanto mai inappropriata per  il compassato e algido rettore bocconiano.  E' vero che ha già fatto più danni di quanto avrebbero potuto farne il pelide Achille o i  due più noti energumeni mitologici, Ercole e Marte, e che altri, forse peggiori, si appresta a farne, ma il genere è diverso, quello dell'acqua cheta che rovina i ponti.
    Fin qui   tutto da ridere se non  fosse che  siamo tutti in  ballo e, quindi, inferiori o superiori che siano questi candidati al governo del  paese, energumeni o acque chete, a rischio  coinvolgimento nel crac finale. Più seria, ma appunto per questo preoccupante, la presa di posizione del Vaticano, che, avendo  letto nella sua  agenda l'aspirazione ad una politica alta e nobile, auspica che Monti possa intercettare il consenso della  maggioranza degli italiani, che appunto ad una politica di  questo genere aspirano. Di rinforzo, il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco,  ha informato l'opinione pubblica della sua convinzione che  “sulla onestà e capacità di Monti ci sia un riconoscimento comune”. Quanto all'onestà il termine ha molti significati  e prima di pronunciarsi  occorre vedere a quale il cardinale si riferisca (certamente non all'impegno a suo tempo preso di non partecipare alle elezioni). Sulla capacità, nel giro di un anno il comune consenso, stando ai sondaggi, è precipitato dal 75 al 35% (e il trend negativo prosegue). L'esperienza sta  insegnando qualcosa anche ai più ottimisti.bResta l'agenda. Basta leggerla (la si trova facilmente su Internet)  per rendersi conto che la politica alta e nobile sta tutta nelle parole, negli intenti e nei fini che  si proclama di volere raggiungere nell'interesse del popolo italiano, mentre nulla o ben poco si dice  dei mezzi da utilizzare per realizzarli. Esattamente  come nei programmi di tutti i partiti. A chiacchiere uno più nobile dell'altro.
      Inevitabile chiedersi  cosa, nonostante la sua  millennaria prudenza e la scarsa propensione a cedere al fascino delle millanterie e delle chiacchiere, abbia spinto la Chiesa italiana, la Cei, a scendere in campo.  E' verosimile che  la risposta si trovi nel timore  di una totale  vittoria, fino ad oggi ritenuta inevitabile (con appena qualche riserva per la maggioranza in Senato), di un Partito democratico che, perfettamente consapevole di non potere muovere foglia in economia che l'Europa non voglia, quanto alle riforme punta tutto, anche per compiacere  il co-équipier Vendola, sui cosiddetti (molto cosiddetti) “diritti civili”, così  entrando in piena collisione con quelli che la Chiesa considera (molto giustamente) “valori non negoziabili”.
   In realtà di questi valori, con tutta la sua elevatezza e nobiltà, non c'è traccia nemmeno nell'Agenda Monti,  tuttavia mai come in questo caso, in una situazione già  data  persa (nel Pd i cattolici, oltre ad essere “adulti”, contano come il due di picche), il silenzio è d'oro.

di Francesco Mario Agnoli -

06 gennaio 2013

Il Gran Maestro



 MARIO MONTI
Se un merito va riconosciuto a Mario Monti è di contribuire ad una maggiore chiarezza del dibattito; ha scelto il suo avversario, Silvio Berlusconi, il suo referente, Bersani, quest’ultimo con un Vendola più addomesticato; ha definito il perimetro entro cui si schiereranno e si formeranno le forze politiche a lui affini; ha tracciato gli orientamenti che ispirano il suo “Cambiare l’Italia, Riformare l’Europa: Agenda per l’impegno comune” di prossima pubblicazione. La conferenza stampa di fine anno tenutasi oggi, domenica 23 dicembre, è stata esemplare nella sua semplicità e incisività. Come al solito i commenti a caldo dei pontefici dell’informazione, a cominciare da Mentana, hanno piegato il senso delle sue dichiarazioni alla logica della quale è vittima la quasi totalità del giornalismo italiano: la riduzione al semplice scontro di fazioni partitiche nel palcoscenico politico e, quindi, l’implicito sostegno tattico allo schieramento di Casini e Montezemolo.
In realtà Monti ha detto molto di più e con un respiro che va al di là dell’attuale scadenza elettorale:
  • Non autorizza nessuno ad utilizzare indebitamente il suo nome; l’avvertimento a Casini e ad alcune componenti del PDL mi pare evidente.
  • La società civile è diffidente nei confronti dei politici professionisti compresi quelli che intendessero sostenere il suo programma
  • Piuttosto che tra destra e sinistra il discrimine della lotta politica dovrebbe essere l’Europa e il rinnovamento
  • Nei tre schieramenti classici e ormai antiquati ci sono cespugli europeisti, innovatori e liberali che andrebbero raccolti sulla base del nuovo discrimine
Il Professore, quindi, più che partecipare e tentare di vincere queste elezioni cerca di orientare il dibattito della campagna elettorale in modo che i partiti in qualche maniera rinuncino parzialmente alla demagogia necessaria a raccogliere voti e alleanze talmente eterogenei  da inficiare però la fluidità successiva dell’azione politica; Monti, infatti, ha già più volte dichiarato di non farsi troppe illusioni sulla frantumazione dei partiti prima delle elezioni. Dal PDL si aspetta poche defezioni importanti, meno del numero di dita delle mani. Paradossalmente, aggiungo io, potrebbe conseguire qualche successo più rilevante dal versante meno ostile, il PD. Sulla base del risultato elettorale, poi, si porrà il problema della coalizione, di chi sarà il Capo di Governo e di quale ruolo svolgerà Monti stesso da una parte e della destrutturazione degli attuali partiti dall’altra. L’altra preoccupazione è quella di circoscrivere il più possibile la campagna elettorale di Berlusconi il quale con i suoi argomenti, in caso di successo, rischia di innescare, contro le sue stesse intenzioni, una politicizzazione del processo di disgregazione dell’Unione Europea attraverso la crisi di una delle due correnti politiche europee, il Partito Popolare Europeo; da qui il senso della recente trappola perpetrata a Bruxelles dal PPE con l’incoronazione di Monti e il processo a Berlusconi.
Per tranciare in questo modo il dibattito politico, il Presidente dimissionario deve ricorrere a sua volta a delle forzature; deve  discriminare tra chi sostiene o ritiene compatibile il suo manifesto ed è in possesso, quindi, dell’attestazione di europeista ed innovatore; gli altri ne sono la semplice negazione. Non esiste pertanto altra dinamica positiva che l’attuale processo di Unione Europea; non esiste altro rinnovamento che il montismo.
Ma Monti, così come l’attuale Unione Europea, in realtà ha molto poco da offrire.
Prospettando una unione da costruire sulle macerie delle nazioni e degli stati nazionali, ignora del tutto i lunghi processi identitari  necessari a creare una comunità, uno stato rappresentativo e una nazione quale dovrebbe essere l’Europa nel caso riuscisse a realizzarsi e quali continuano ad essere gli attuali o almeno quelli che riescono a preservare la propria sovranità. L’Europa, agli occhi di Monti, sarebbe un popolo senza nazione, fatto di persone, consumatori e cittadini muniti di diritti e doveri formali. La sua costituzione sarebbe il frutto di una combinazione accorta dell’azione volontaria di élites e tecnocrati e di una rappresentazione dei cittadini di tipo parlamentare costruita attraverso un semplice atto di volontà di gruppi elitari. L’amalgama e lo sviluppo, invece, sarebbero garantiti dalla costruzione di un mercato continentale libero a sua volta integrato con quello americano e, in qualche momento di là da venire, mondiale.
Una impostazione che evita opportunamente ogni velleità di distinzione di interessi e di identità da quella dell’attuale potenza dominante americana e ogni possibilità di seria e trasparente trattativa tra gruppi e stati nazionali tesa a creare strutture organizzative, statuali, di impresa, culturali necessari per la formazione di blocchi sociali e popoli con una loro peculiarità.
Una visione simile, sia pure allo stato embrionale, apparteneva al De Gaulle degli anni ’60, quando propugnava un processo unitario fondato sugli stati nazionali e sull’integrazione verticale dei settori contestuale alla creazione del mercato europeo, piuttosto che sulla mera liberalizzazione dei mercati e sul continuo frazionamento delle imprese, sull’anomia culturale condita di retorica; la gestione di questi processi, però, comporta l’esistenza di gruppi nazionali forti, consapevoli degli interessi nazionali ma disposti a trattare con i vicini di casa e a delimitare l’azione rispetto alle altre potenze mondiali. Una condizione antitetica rispetto alla situazione europea scaturita dalla seconda guerra mondiale, proseguita nel bipolarismo, protrattasi ulteriormente, con qualche illusione fugace, con la caduta dell’URSS.
Quello che Monti ha da offrire è, più che una speranza, l’accettazione di una pesante regressione in alternativa ad una regressione ancora più marcata in caso di tradimento del suo verbo; l’occupazione tutt’al più  delle nicchie lasciate libere dalle forze dominanti. La recente vendita di Avio aereonautica alla General Electric, il taglio integrale per il secondo anno consecutivo dei finanziamenti sulla ricerca aerospaziale, i continui attacchi ad ENI e Finmeccanica, le scelte di politica estera e di difesa, la nuova enfasi riconosciuta alle scelte di Marchionne, esempi tra i tanti, lasciano intravedere quale sia la consistenza di queste nicchie e quali saranno le dinamiche di un libero mercato ridotto a campo di azione di lobby e gruppi organizzati nascosti dietro l’ideologia del consumatore e produttore individuale. Lascia intravedere, altresì, quali saranno le forze suscettibili di sostenere l’impulso “riformatore” di Mario Monti: i beneficiari di queste nicchie e i settori aggrappati alla possibilità di salvaguardare parte delle proprie prerogative parassitarie. Qualche accenno a questo arrembaggio l’abbiamo già visto nella gestione dei processi di liberalizzazione e nelle modalità di riorganizzazione della spesa pubblica avviati quest’anno. Sino ad ora Monti ha avuto buon gioco nell’accusare i partiti come zavorra antiriformatrice; il groppo ha invece un potere e una inerzia ben più rilevanti, radici ben presenti nel suo stesso governo tecnico “riformatore”.
Un dibattito simile ebbe luogo in Italia nell’immediato dopoguerra, ma in un contesto diverso. L’Italia di allora sviluppò rapidamente il settore tessile, ma con aspri scontri interni e una politica dirigista sostenuta dal piano Marshall riuscì a sviluppare anche una notevole industria meccanica e avviare uno sviluppo importante anche se complementare. Gli americani vincitori, allora, dovevano creare un blocco espansivo capace di alimentare la propria forza, offrire sbocchi alla propria capacità industriale e finanziaria, fronteggiare la minaccia sovietica, questo creò gli spazi necessari allo sviluppo e all’emergere di figure come Mattei. Oggi, al paese, viene richiesto un sacrificio di natura ben diversa e con più invitati alla condivisione delle spoglie, compresi alcuni paesi “amici” europei.
Il trasformismo e l’avventurismo di Berlusconi, a sua volta, rappresentano l’alter ego perfetto per giustificare e fornire motivi e forza a questa politica, per rinfocolare i timori sui quali basare i propri successi, così come avvenuto, in un contesto per ora ancora più drammatico, in Grecia.
È sempre più curiosa e intrigante, tra l’altro, l’affinità tra le tesi di Berlusconi, anche lui ormai ispirato dalle teorie espansiviste e di sovranità monetaria di Krugman e quelle antigermanocentriche  dei neoantimperialisti smemorati.
Non appena sarà pubblicato il manifesto di Monti, sulla falsa riga dei miei precedenti articoli di un anno fa sull’Unione Europea,  approfondirò tutti questi aspetti.

di Giuseppe Germinario 

05 gennaio 2013

2012, anno del Golpe morbido. E adesso impariamo a difenderci





     
Si chiude un anno di dittatura bancaria, un anno di debiti e di debito, un anno di politica concepita dalle banche come truffa sociale dei soliti politici truffatori.
Lo spread, come “il Mammone”, ha spaventato i bambini: la mannaia del gabelliere Equitaliano ha colpito indiscriminatamente come un killer seriale e lo Stato è stato trasformato in semplice esattore per nome e per conto dei poteri internazionali. Come il fanatismo ideologico liberista impone, lo Stato ha un solo compito: tassare tutto, tutti e dappertutto. E una sola funzione: garantire che quello che chiamano debito sia garantito al debitore. Il debitore resta occulto, il debito virtuale invece incombe su tutti noi come un incubo metafisico. Siamo all’epica del Dio debito e all’epopea del popolo debitore.

Nulla di quello che i politicanti avevano “promesso” al popolo bue è stato fatto e all’orizzonte nemmeno una speranza di reale cambiamento. Al massimo, in virtù di un ricordo lontano di dignità perduta, alcuni si agitano ormai semi coscienti che così non solo non si può andare avanti ma che è anche inutile andare avanti così. Saranno quelli che forse, nel 2013, porteranno un po’ di caos nel sistema. Che sia benvenuto questo caos.
Da quello che i media asserviti ci raccontano, dobbiamo pagare il 112% l’anno, rispetto al 100% che produciamo e quindi anche agli occhi di un bambino lo Stato è fallito e quindi la macelleria sociale in atto non solo è inutile ma soprattutto è sadica.

E' all’interno del fallimento che cresce la questione meridionale: il divario fra Nord e Sud cresce quando l’economia va bene, cresce quando l’economia va male, segno evidente che la questione meridionale non è una questione semplicemente economica ma un cancro endemico della stessa invasione coloniale.

Crolla l’utopia democratica che autorizza un vero e proprio golpe morbido che gli storici chiameranno Golpe Napolitano-Monti
Crolla la favoletta per i piccoli e buoni “cittadini italiani” del sistema maggioritario, della riduzione dei partiti, del bipolarismo, del bipartitismo.
Crolla il mito della democrazia come pace nel mondo, crolla grazie alle intercettazioni di Napolitano, all’ipocrisia dello Stato Italiano che si proclama anti mafia, mentre Taranto muore, Napoli è come sempre sfruttata per visibilità personale di alcuni a scapito dei napoletani, il Sud è sommerso dai veleni e trasformato in discarica del Nord, i meridionali continuano ad emigrare, vengono derubati della dignità e dei propri soldi attraverso le leggi italiane e per finire anche la chiesa accetta i “30 denari” e tradisce il popolo elogiando i banchieri.
 Da quello che avete letto, sarebbe più giusto dire che si chiude un “normale” anno dei quasi 152esimi di regime italiano più che dire che si è chiuso il 2012esimo anno dopo Cristo.
Ma pur nel “cielo cupo” qualcosa in quest’anno è cambiato: nulla che possa farci dire che possiamo ancora incidere sul sistema, ma sicuramente che l’identitarismo è la strada da percorrere.
Come abbiamo dimostrato per primi nella seconda repubblica al Sud si può lavorare per creare una rappresentanza politica propria ed indipendente attraverso l’opera degli stessi meridionali: peccato che molti hanno copiato la forma, ma non l’essenza fondamentale soprattutto di indipendenza dalla partitocrazia.
Abbiamo dimostrato compattezza ed identità, quando abbiamo reagito da popolo all’offesa della ” pizza veneta” svelando come fosse una copertura dei grandi e soliti interessi economici del nord, abbiamo ottenuto il licenziamento del giornalista “lombrosiano” della Rai piemontese, l’istituzione del Registro Tumorale poi scippatoci dal governo centrale, ma soprattutto abbiamo iniziato a difenderci da popolo e non a lamentarci da singoli schiavi.
Che l’anno si chiude con il crollo del 62% di vendita di panettoni nordici al sud è un bel segnale, che il Compra Sud Insorgente regala a tutti noi per capodanno.
Il 2013 si apre allo stesso modo in cui si chiude il 2012, un anno di spietato colonialismo finanziario. Che più sarà spietato più ci costringerà a imparare a difenderci. Ed è tutto in questa seconda parte il mio augurio insorgente a tutti voi.
Non negate la realtà, siate uomini, affrontatela: chi vi dice che risolverà i vostri problemi è li solo per crearli.

di Nando Dicè 

07 gennaio 2013

L'energumeno Monti







  

La discesa (o salita, come ama dire  l'interessato nel suo sconfinato egocentrismo, che non ammette di collegare in alcun caso la sua persona col verbo “scendere”) di Mario Monti  in campo, forse perché condotta sul filo dell'ammissibilità costituzionale, ha determinato reazioni  altrettanto squinternate. Bersani, preoccupato che il suo partito non abbia quel trionfo totale prospettatogli fino a pochi giorni fa dai sondaggi, dice di sperare   che   Monti sappia mantenersi  “super partes”. Dal momento che non può essere super partes chi, proprio perché disceso (anzi salito) nell'agone, è già  parte a tutti  gli effetti,  l'auspicio prepara il terreno per il dopo  nella speranza che, se ne avrà bisogno, stia dalla  “sua” parte in cambio di qualche strapuntino nel governo e non pretenda invece la poltrona principale.
    Berlusconi, giocando  sulla faccenda della discesa-salita,  ha commentato  che Monti sale, perché era un presidente del consiglio di rango inferiore, mentre lui stesso, Berlusconi, era di rango superiore.  Insomma, se si è capito bene, a parte gli altri che vanno via  piatti, ci sono in campo un contendente che sale  (Monti)  e uno  (Berlusconi) che scende.  Contento lui.
     Beppe Grillo ha definito l'inatteso concorrente (ma può stare tranquillo,  chi pencola verso l'universo grillino ha altri  difetti, ma  non voterà mai per Monti)  un “energumeno anticostituzionale”. Quanto all'anticostituzionale  è  vero che fin  dalla sua prima apparizione sotto l'ala protettrice di  Giorgio Napolitano e di Angela Merkel sono stati sollevati  da più parti dubbi  sulla conformità al sistema democratico  della  nomina e  delle modalità di subentro al precedente governo. Tuttavia la definizione di “energumeno” (peggio ancora nella sua versione british,  “brute”) risulta quanto mai inappropriata per  il compassato e algido rettore bocconiano.  E' vero che ha già fatto più danni di quanto avrebbero potuto farne il pelide Achille o i  due più noti energumeni mitologici, Ercole e Marte, e che altri, forse peggiori, si appresta a farne, ma il genere è diverso, quello dell'acqua cheta che rovina i ponti.
    Fin qui   tutto da ridere se non  fosse che  siamo tutti in  ballo e, quindi, inferiori o superiori che siano questi candidati al governo del  paese, energumeni o acque chete, a rischio  coinvolgimento nel crac finale. Più seria, ma appunto per questo preoccupante, la presa di posizione del Vaticano, che, avendo  letto nella sua  agenda l'aspirazione ad una politica alta e nobile, auspica che Monti possa intercettare il consenso della  maggioranza degli italiani, che appunto ad una politica di  questo genere aspirano. Di rinforzo, il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco,  ha informato l'opinione pubblica della sua convinzione che  “sulla onestà e capacità di Monti ci sia un riconoscimento comune”. Quanto all'onestà il termine ha molti significati  e prima di pronunciarsi  occorre vedere a quale il cardinale si riferisca (certamente non all'impegno a suo tempo preso di non partecipare alle elezioni). Sulla capacità, nel giro di un anno il comune consenso, stando ai sondaggi, è precipitato dal 75 al 35% (e il trend negativo prosegue). L'esperienza sta  insegnando qualcosa anche ai più ottimisti.bResta l'agenda. Basta leggerla (la si trova facilmente su Internet)  per rendersi conto che la politica alta e nobile sta tutta nelle parole, negli intenti e nei fini che  si proclama di volere raggiungere nell'interesse del popolo italiano, mentre nulla o ben poco si dice  dei mezzi da utilizzare per realizzarli. Esattamente  come nei programmi di tutti i partiti. A chiacchiere uno più nobile dell'altro.
      Inevitabile chiedersi  cosa, nonostante la sua  millennaria prudenza e la scarsa propensione a cedere al fascino delle millanterie e delle chiacchiere, abbia spinto la Chiesa italiana, la Cei, a scendere in campo.  E' verosimile che  la risposta si trovi nel timore  di una totale  vittoria, fino ad oggi ritenuta inevitabile (con appena qualche riserva per la maggioranza in Senato), di un Partito democratico che, perfettamente consapevole di non potere muovere foglia in economia che l'Europa non voglia, quanto alle riforme punta tutto, anche per compiacere  il co-équipier Vendola, sui cosiddetti (molto cosiddetti) “diritti civili”, così  entrando in piena collisione con quelli che la Chiesa considera (molto giustamente) “valori non negoziabili”.
   In realtà di questi valori, con tutta la sua elevatezza e nobiltà, non c'è traccia nemmeno nell'Agenda Monti,  tuttavia mai come in questo caso, in una situazione già  data  persa (nel Pd i cattolici, oltre ad essere “adulti”, contano come il due di picche), il silenzio è d'oro.

di Francesco Mario Agnoli -

06 gennaio 2013

Il Gran Maestro



 MARIO MONTI
Se un merito va riconosciuto a Mario Monti è di contribuire ad una maggiore chiarezza del dibattito; ha scelto il suo avversario, Silvio Berlusconi, il suo referente, Bersani, quest’ultimo con un Vendola più addomesticato; ha definito il perimetro entro cui si schiereranno e si formeranno le forze politiche a lui affini; ha tracciato gli orientamenti che ispirano il suo “Cambiare l’Italia, Riformare l’Europa: Agenda per l’impegno comune” di prossima pubblicazione. La conferenza stampa di fine anno tenutasi oggi, domenica 23 dicembre, è stata esemplare nella sua semplicità e incisività. Come al solito i commenti a caldo dei pontefici dell’informazione, a cominciare da Mentana, hanno piegato il senso delle sue dichiarazioni alla logica della quale è vittima la quasi totalità del giornalismo italiano: la riduzione al semplice scontro di fazioni partitiche nel palcoscenico politico e, quindi, l’implicito sostegno tattico allo schieramento di Casini e Montezemolo.
In realtà Monti ha detto molto di più e con un respiro che va al di là dell’attuale scadenza elettorale:
  • Non autorizza nessuno ad utilizzare indebitamente il suo nome; l’avvertimento a Casini e ad alcune componenti del PDL mi pare evidente.
  • La società civile è diffidente nei confronti dei politici professionisti compresi quelli che intendessero sostenere il suo programma
  • Piuttosto che tra destra e sinistra il discrimine della lotta politica dovrebbe essere l’Europa e il rinnovamento
  • Nei tre schieramenti classici e ormai antiquati ci sono cespugli europeisti, innovatori e liberali che andrebbero raccolti sulla base del nuovo discrimine
Il Professore, quindi, più che partecipare e tentare di vincere queste elezioni cerca di orientare il dibattito della campagna elettorale in modo che i partiti in qualche maniera rinuncino parzialmente alla demagogia necessaria a raccogliere voti e alleanze talmente eterogenei  da inficiare però la fluidità successiva dell’azione politica; Monti, infatti, ha già più volte dichiarato di non farsi troppe illusioni sulla frantumazione dei partiti prima delle elezioni. Dal PDL si aspetta poche defezioni importanti, meno del numero di dita delle mani. Paradossalmente, aggiungo io, potrebbe conseguire qualche successo più rilevante dal versante meno ostile, il PD. Sulla base del risultato elettorale, poi, si porrà il problema della coalizione, di chi sarà il Capo di Governo e di quale ruolo svolgerà Monti stesso da una parte e della destrutturazione degli attuali partiti dall’altra. L’altra preoccupazione è quella di circoscrivere il più possibile la campagna elettorale di Berlusconi il quale con i suoi argomenti, in caso di successo, rischia di innescare, contro le sue stesse intenzioni, una politicizzazione del processo di disgregazione dell’Unione Europea attraverso la crisi di una delle due correnti politiche europee, il Partito Popolare Europeo; da qui il senso della recente trappola perpetrata a Bruxelles dal PPE con l’incoronazione di Monti e il processo a Berlusconi.
Per tranciare in questo modo il dibattito politico, il Presidente dimissionario deve ricorrere a sua volta a delle forzature; deve  discriminare tra chi sostiene o ritiene compatibile il suo manifesto ed è in possesso, quindi, dell’attestazione di europeista ed innovatore; gli altri ne sono la semplice negazione. Non esiste pertanto altra dinamica positiva che l’attuale processo di Unione Europea; non esiste altro rinnovamento che il montismo.
Ma Monti, così come l’attuale Unione Europea, in realtà ha molto poco da offrire.
Prospettando una unione da costruire sulle macerie delle nazioni e degli stati nazionali, ignora del tutto i lunghi processi identitari  necessari a creare una comunità, uno stato rappresentativo e una nazione quale dovrebbe essere l’Europa nel caso riuscisse a realizzarsi e quali continuano ad essere gli attuali o almeno quelli che riescono a preservare la propria sovranità. L’Europa, agli occhi di Monti, sarebbe un popolo senza nazione, fatto di persone, consumatori e cittadini muniti di diritti e doveri formali. La sua costituzione sarebbe il frutto di una combinazione accorta dell’azione volontaria di élites e tecnocrati e di una rappresentazione dei cittadini di tipo parlamentare costruita attraverso un semplice atto di volontà di gruppi elitari. L’amalgama e lo sviluppo, invece, sarebbero garantiti dalla costruzione di un mercato continentale libero a sua volta integrato con quello americano e, in qualche momento di là da venire, mondiale.
Una impostazione che evita opportunamente ogni velleità di distinzione di interessi e di identità da quella dell’attuale potenza dominante americana e ogni possibilità di seria e trasparente trattativa tra gruppi e stati nazionali tesa a creare strutture organizzative, statuali, di impresa, culturali necessari per la formazione di blocchi sociali e popoli con una loro peculiarità.
Una visione simile, sia pure allo stato embrionale, apparteneva al De Gaulle degli anni ’60, quando propugnava un processo unitario fondato sugli stati nazionali e sull’integrazione verticale dei settori contestuale alla creazione del mercato europeo, piuttosto che sulla mera liberalizzazione dei mercati e sul continuo frazionamento delle imprese, sull’anomia culturale condita di retorica; la gestione di questi processi, però, comporta l’esistenza di gruppi nazionali forti, consapevoli degli interessi nazionali ma disposti a trattare con i vicini di casa e a delimitare l’azione rispetto alle altre potenze mondiali. Una condizione antitetica rispetto alla situazione europea scaturita dalla seconda guerra mondiale, proseguita nel bipolarismo, protrattasi ulteriormente, con qualche illusione fugace, con la caduta dell’URSS.
Quello che Monti ha da offrire è, più che una speranza, l’accettazione di una pesante regressione in alternativa ad una regressione ancora più marcata in caso di tradimento del suo verbo; l’occupazione tutt’al più  delle nicchie lasciate libere dalle forze dominanti. La recente vendita di Avio aereonautica alla General Electric, il taglio integrale per il secondo anno consecutivo dei finanziamenti sulla ricerca aerospaziale, i continui attacchi ad ENI e Finmeccanica, le scelte di politica estera e di difesa, la nuova enfasi riconosciuta alle scelte di Marchionne, esempi tra i tanti, lasciano intravedere quale sia la consistenza di queste nicchie e quali saranno le dinamiche di un libero mercato ridotto a campo di azione di lobby e gruppi organizzati nascosti dietro l’ideologia del consumatore e produttore individuale. Lascia intravedere, altresì, quali saranno le forze suscettibili di sostenere l’impulso “riformatore” di Mario Monti: i beneficiari di queste nicchie e i settori aggrappati alla possibilità di salvaguardare parte delle proprie prerogative parassitarie. Qualche accenno a questo arrembaggio l’abbiamo già visto nella gestione dei processi di liberalizzazione e nelle modalità di riorganizzazione della spesa pubblica avviati quest’anno. Sino ad ora Monti ha avuto buon gioco nell’accusare i partiti come zavorra antiriformatrice; il groppo ha invece un potere e una inerzia ben più rilevanti, radici ben presenti nel suo stesso governo tecnico “riformatore”.
Un dibattito simile ebbe luogo in Italia nell’immediato dopoguerra, ma in un contesto diverso. L’Italia di allora sviluppò rapidamente il settore tessile, ma con aspri scontri interni e una politica dirigista sostenuta dal piano Marshall riuscì a sviluppare anche una notevole industria meccanica e avviare uno sviluppo importante anche se complementare. Gli americani vincitori, allora, dovevano creare un blocco espansivo capace di alimentare la propria forza, offrire sbocchi alla propria capacità industriale e finanziaria, fronteggiare la minaccia sovietica, questo creò gli spazi necessari allo sviluppo e all’emergere di figure come Mattei. Oggi, al paese, viene richiesto un sacrificio di natura ben diversa e con più invitati alla condivisione delle spoglie, compresi alcuni paesi “amici” europei.
Il trasformismo e l’avventurismo di Berlusconi, a sua volta, rappresentano l’alter ego perfetto per giustificare e fornire motivi e forza a questa politica, per rinfocolare i timori sui quali basare i propri successi, così come avvenuto, in un contesto per ora ancora più drammatico, in Grecia.
È sempre più curiosa e intrigante, tra l’altro, l’affinità tra le tesi di Berlusconi, anche lui ormai ispirato dalle teorie espansiviste e di sovranità monetaria di Krugman e quelle antigermanocentriche  dei neoantimperialisti smemorati.
Non appena sarà pubblicato il manifesto di Monti, sulla falsa riga dei miei precedenti articoli di un anno fa sull’Unione Europea,  approfondirò tutti questi aspetti.

di Giuseppe Germinario 

05 gennaio 2013

2012, anno del Golpe morbido. E adesso impariamo a difenderci





     
Si chiude un anno di dittatura bancaria, un anno di debiti e di debito, un anno di politica concepita dalle banche come truffa sociale dei soliti politici truffatori.
Lo spread, come “il Mammone”, ha spaventato i bambini: la mannaia del gabelliere Equitaliano ha colpito indiscriminatamente come un killer seriale e lo Stato è stato trasformato in semplice esattore per nome e per conto dei poteri internazionali. Come il fanatismo ideologico liberista impone, lo Stato ha un solo compito: tassare tutto, tutti e dappertutto. E una sola funzione: garantire che quello che chiamano debito sia garantito al debitore. Il debitore resta occulto, il debito virtuale invece incombe su tutti noi come un incubo metafisico. Siamo all’epica del Dio debito e all’epopea del popolo debitore.

Nulla di quello che i politicanti avevano “promesso” al popolo bue è stato fatto e all’orizzonte nemmeno una speranza di reale cambiamento. Al massimo, in virtù di un ricordo lontano di dignità perduta, alcuni si agitano ormai semi coscienti che così non solo non si può andare avanti ma che è anche inutile andare avanti così. Saranno quelli che forse, nel 2013, porteranno un po’ di caos nel sistema. Che sia benvenuto questo caos.
Da quello che i media asserviti ci raccontano, dobbiamo pagare il 112% l’anno, rispetto al 100% che produciamo e quindi anche agli occhi di un bambino lo Stato è fallito e quindi la macelleria sociale in atto non solo è inutile ma soprattutto è sadica.

E' all’interno del fallimento che cresce la questione meridionale: il divario fra Nord e Sud cresce quando l’economia va bene, cresce quando l’economia va male, segno evidente che la questione meridionale non è una questione semplicemente economica ma un cancro endemico della stessa invasione coloniale.

Crolla l’utopia democratica che autorizza un vero e proprio golpe morbido che gli storici chiameranno Golpe Napolitano-Monti
Crolla la favoletta per i piccoli e buoni “cittadini italiani” del sistema maggioritario, della riduzione dei partiti, del bipolarismo, del bipartitismo.
Crolla il mito della democrazia come pace nel mondo, crolla grazie alle intercettazioni di Napolitano, all’ipocrisia dello Stato Italiano che si proclama anti mafia, mentre Taranto muore, Napoli è come sempre sfruttata per visibilità personale di alcuni a scapito dei napoletani, il Sud è sommerso dai veleni e trasformato in discarica del Nord, i meridionali continuano ad emigrare, vengono derubati della dignità e dei propri soldi attraverso le leggi italiane e per finire anche la chiesa accetta i “30 denari” e tradisce il popolo elogiando i banchieri.
 Da quello che avete letto, sarebbe più giusto dire che si chiude un “normale” anno dei quasi 152esimi di regime italiano più che dire che si è chiuso il 2012esimo anno dopo Cristo.
Ma pur nel “cielo cupo” qualcosa in quest’anno è cambiato: nulla che possa farci dire che possiamo ancora incidere sul sistema, ma sicuramente che l’identitarismo è la strada da percorrere.
Come abbiamo dimostrato per primi nella seconda repubblica al Sud si può lavorare per creare una rappresentanza politica propria ed indipendente attraverso l’opera degli stessi meridionali: peccato che molti hanno copiato la forma, ma non l’essenza fondamentale soprattutto di indipendenza dalla partitocrazia.
Abbiamo dimostrato compattezza ed identità, quando abbiamo reagito da popolo all’offesa della ” pizza veneta” svelando come fosse una copertura dei grandi e soliti interessi economici del nord, abbiamo ottenuto il licenziamento del giornalista “lombrosiano” della Rai piemontese, l’istituzione del Registro Tumorale poi scippatoci dal governo centrale, ma soprattutto abbiamo iniziato a difenderci da popolo e non a lamentarci da singoli schiavi.
Che l’anno si chiude con il crollo del 62% di vendita di panettoni nordici al sud è un bel segnale, che il Compra Sud Insorgente regala a tutti noi per capodanno.
Il 2013 si apre allo stesso modo in cui si chiude il 2012, un anno di spietato colonialismo finanziario. Che più sarà spietato più ci costringerà a imparare a difenderci. Ed è tutto in questa seconda parte il mio augurio insorgente a tutti voi.
Non negate la realtà, siate uomini, affrontatela: chi vi dice che risolverà i vostri problemi è li solo per crearli.

di Nando Dicè