22 marzo 2013

La strategia della tensione ritorna?

Che probabilità ci sono che il PD faccia un governo con il PDL? E quelle di farlo con il M5S?
 ... 29.5% governo PD + PDL; 24.0% governo PD + M5S. L'opzione largamente maggioritaria (46.5%), al momento, è il ritorno alle urne entro l'autunno. Vi invito ad osservare come si è dissolto il piano Merkel (Bersani + Monti) subito dopo l'esito elettorale che ha consegnato Monti all'archivio degli italiani da dimenticare, e la sua presenza sulla scena politica come un ricordo imbarazzante nella storia di questo paese. A dirlo, ancora una volta, è la Borsa che esprime le sue opinioni attraverso i prezzi e, dunque, sono "pareri informati e pesati". Le possibilità del M5S da andare al governo con il PD (l'ipotesi PDL+M5S, al momento, non esiste) sono, ovviamente, aumentate all'aumentare del consenso elettorale del Movimento di Grillo... impennandosi dopo lo scrutinio. Nonostante ciò, se governo sarà, al momento è ancora più probabile quello PD + PDL (5.5 punti di vantaggio sull'altra). Perché? I motivi sono "infinitamente grandi e numerosi". Vediamone qualcuno... Come fa il PD ad accettare l'azzeramento dei rimborsi elettorali che, di fatto, lo condannerebbe all'estinzione? Come fa il PD ad accettare l'azzeramento delle sovvenzioni pubbliche ai giornali, che farebbe incazzare (di brutto) il suo editore di riferimento (Carlo De Benedetti)? ... E potrei continuare con una lista pressoché inesauribile di temi cari al M5S ed inaccettabili dal PD. Dall'altra parte, Silvio Berlusconi ha disperato bisogno di una qualche immunità governativa per tentare di arginare la nuova offensiva della magistratura (... è pericolosissimo il nuovo processo di Napoli per la presunta corruzione verso De Gregorio ai tempi della caduta del governo Prodi) e, quindi, dove assolutamente tornare al governo... oppure essere indispensabile per la tenuta del governo che spera di formare con il centro-sinistra... Da una parte, quindi, l'accordo con Grillo è, allo stato dei fatti, pressoché impossibile... mentre, dall'altra, l'accordo con Berlusconi è, da quest'ultimo, caldeggiato e molto gradito... E' ovvio, tuttavia, che se il PD facesse l'accordo con il PDL, alle prossime elezioni rischierebbe di perdere altri 4 milioni di voti (a vantaggio di M5S) e, quindi, il ricorso alle urne entro l'autunno è, ad oggi, l'opzione più probabile. Ma se si andasse ancora all'elezioni, non sarebbe un disastro per l'economia? Ma quando mai...?? ... E' vero il contrario: al disastro ci hanno condotto tutti i governi che abbiamo avuto negli ultimi anni! Aldo Ravelli (il più grande ribassista di tutti i tempi della Borsa italiana) usava dire che le uniche occasioni quando si "sentiva" di comprare (piuttosto che vendere allo scoperto) erano quando cadevano i governi che, finalmente, non facevano più danni e, dunque, l'economia italiana poteva rifiatare... In effetti, nelle numerosissime crisi di governo della prima Repubblica, nel 72% dei casi la Borsa ha risposto con dei rialzi... L'esempio a noi più vicino, tuttavia, è il Belgio: recentemente è stata oltre un anno senza governo, sperimentando un ottimo anno (il migliore dal 1990) dal punto di vista della crescita economica... ... E, dunque, tranquillizzatevi: stare senza governo per sei mesi... meglio ancora se per dodici (o più), è una buona notizia. ... Ma Bersani, D'Alema, Berlusconi... etc... dicono che non avere un governo sarebbe una tragedia...!! Appunto; questa è la dimostrazione evidente che è vero il contrario. Non riuscire a fare il governo sarebbe una tragedia per loro. Picciotti, queste marmaglie che ci hanno condotto al baratro, non hanno ancora capito che il loro tempo è scaduto... Tentano ancora di "bidonarci" con le loro carrozze a cavalli, mentre John Ford sta già producendo le automobili in serie... Perché credete che abbiano "ceduto" le piazze a Grillo durante la campagna elettorali? I servizi segreti li hanno informati che era pericoloso "affrontare" il "popolo" all'aperto : non si potevano escludere atti di violenza contro di loro o veri e propri attentati... Quindi si sono "rinchiusi" negli studi televisivi o, al massimo, in qualche sala ben vigilata e protetta da schiere di guardie del corpo. ... E l'allarme non è ancora rientrato, anzi: si teme un'escalation della protesta popolare e, dunque, per tutti i "vecchi" politici più in vista, il consiglio (dei suddetti servizi segreti) è di evitare qualsiasi contatto con la gente... Ha ragione Grillo: sono accerchiati... e non gli resta che arrendersi... ... Altro che continuare con queste cazzate in politichese... Come faccio a sapere queste cose a proposito dei servizi segreti? ... Sono notizie d'agenzia riportate dalla stampa inglese... ma non da quella italiana... Dal che si capisce che tipo di giornalismo abbiamo in Italia... !!?? ... I nostri giornalisti sono "dipendenti"... esattamente come il contabile o la centralinista di un'azienda... Se il "padrone" gli dice di scrivere che le donne hanno il pisello, questi ti raccontano che un virus sconosciuto, nottetempo, le ha fatto diventare tutte trans... Giuliano Ferrara, a cinque giorni dal voto, ci raccontava che il M5S stava crollando e non avrebbe preso neanche il 13%... Eugenio Scalfari, Ferruccio De Bortoli e le altre "grandi firme" dei "grandi quotidiani", non hanno capito niente di quello che stava per succedere... e continuano a non avere la benché minima idea di quello che succederà... Nessuno di loro è abituato ad ascoltare... pensano e scrivono cose di altri tempi... di quando c'erano ancora le carrozze a cavalli e neanche loro si sono accorti che John Ford sta già producendo le automobili in serie... Tutti di parlano di spread senza avere capito che si tratta della svalutazione implicita di un paese "costretto" nell'euro... fin quando non sarà "costretto" ad uscirne... Appena accennano alla Borsa, riescono a dire sette minchiate in sei parole... Sull'economia hanno qualche "nozione usa e getta" rubata a qualche libro letto distrattamente... oppure si adeguano alle opinioni (interessi?) dei loro padroni... ... E tutti noi siamo costretti a "sostenere la loro ignoranza" (e più sono ignoranti e disponibili, e più i loro padroni li gradiscono) attraverso il finanziamento pubblico ai giornali... ... Come stupirsi se il numero di copie vendute è in continuo calo... e senza i soldi dello Stato sarebbero costretti tutti a chiudere? Capite perché il PD (e, a maggior ragione, il PDL) non può accettare l'agenda Grillo (che prevede anche l'azzeramento di quel finanziamento vergognoso... da parassiti... ai giornali)? Torniamo agli attentati: vi ricordate quelli degli anni 70-80'... la famosa strategia della tensione? Erano organi dello Stato, oppure paesi nostri alleati (nella Nato), ad organizzarli per creare paura, ansia, scontento... richiesta di ordine e pace sociale... Perché? Per fare passare l'idea del "pericolo rosso" e "imporre" leggi restrittive delle libertà individuali... Negli anni 70' io ero studente al Politecnico di Torino ed almeno una volta al mese, la Polizia veniva a "caricarci" alla maniera delle centurie romane (casco, scudo e manganello... bombe lacrimogene e, se necessario, pistole automatiche)... E più loro ci "caricavano", e più noi diventavamo "duri e violenti": non ti metti a discutere con chi viene a picchiarti; per prima cosa cerchi di non "prenderle" e, subito dopo, cerchi di fargli passare la voglia di farlo un'altra volta (significa che gliele suoni tu a lui)... Sicché gli scontri diventavano sempre più frequenti e brutali e, quindi, le città italiane di quegli anni, a volte si trasformavano in campi di battaglia dove polizia e studenti davano vita ad un'autentica guerriglia urbana. Questo dava ai mezzi di informazione ufficiali (Rai e grandi giornali) l'ulteriore pretesto per "raccontare" l'Italia come un posto di efferati attentati a cui bisognava dare risposte dure e ferme (e poneva ai nostri padri il dubbio se non fosse più giusto avviarci al lavoro dei campi, piuttosto che mandarci all'Università)... Poi abbiamo scoperto che quegli attentati (da cui partiva tutta quella violenza) erano organizzati dalla Stato stesso (o da nazioni amiche) per creare quel clima da guerra civile che doveva spegnere la "rivoluzione del 68" ed il pericolo di un enorme cambiamento planetario (che si temeva potesse essere un grande tsunami comunista)... ... E allora mi viene spontaneo pensare che, per far abortire la rivoluzione in atto (quella del M5S), basterebbe fare qualche attentato ben mirato... e farne ricadere la colpa sui simpatizzanti "grillini"... ... Magari inventando una fantomatica "Brigata stellare" che "firma" i suoi attentati lasciando il proprio simbolo: qualcosa tipo le 5 stelle che, se ricordate, ha molte affinità con la stella a cinque punte delle Brigate rosse... Cosa succederebbe a quel punto? Gran parte dei simpatizzanti del M5S avrebbe paura e, terrorizzata da quella prospettiva di sangue ed odio, tornerebbe nell'alveo dei partiti tradizionali che, saranno anche ladri ed inconcludenti, ma consentono di vivere nella relativa tranquillità del nulla... Fantascienza? Assolutamente no: roba già vista molte volte nei millenni della storia dell'uomo... Se non l'avete ancora fatto, vi consiglio di vedere l'ultimo film di Matt Damon "Promised land"... e scoprirete perché una ricca azienda energetica multinazionale, ha interesse a pagare qualcuno per avversarla e denunciarla con forza in pubblico... Guardatelo e capirete cosa voglio dire... Ricordatevi di ciò che sto qui scrivendo se tra qualche settimana (o mese) si comincerà a parlare di "clima di violenza"... "possibilità di attentati"... "necessità di intervenire con fermezza"... ... Paisani, se la rivoluzione a 5 stelle vince (soprattutto per il referendum sull'euro), la grande Germania è seriamente nella cacca. Non vi aspetterete mica che il fuhrer la faccia vincere senza "reagire"...??

 di G. Migliorino

21 marzo 2013

La sindrome dei Balcani

Per alcuni anni il partito di maggioranza relativa in Svizzera (Unione democratica di centro, fondata dall'industriale Christoph Blocher) è stato una forza politica intollerante, xenofoba, attraversata da umori razzisti e pregiudizialmente ostile a qualsiasi forma di integrazione europea. Le sue posizioni non erano condivise dagli altri maggiori partiti democratici (cristiano-sociali, socialisti, liberali) ma non hanno impedito che fra questi fratelli nemici si stabilisse un pragmatico rapporto di collaborazione nell'interesse del Paese. È accaduto perché tutti, anche Blocher, hanno capito che un dissidio interno, portato alle sue estreme conseguenze, avrebbe impedito alla Confederazione di affrontare e superare le grandi crisi economiche e finanziarie degli ultimi anni. Il risultato della convivenza fra i maggiori partiti svizzeri, nell'ambito di una grande coalizione, è un Paese prospero in cui le grandi banche hanno risanato i propri conti, la maggiore preoccupazione della Banca centrale è quella di evitare che l'eccessivo apprezzamento della moneta nazionale pregiudichi le esportazioni, il tasso di disoccupazione è al 3,1%, i cittadini elettori dicono no alla riduzione delle ore di lavoro e sì a quella dei bonus con cui i banchieri gratificano se stessi L'Italia ha imboccato la strada opposta. I partiti e persino le istituzioni (fra cui la stessa magistratura) non hanno altro orizzonte fuorché quello della propria sopravvivenza, della propria identità, della difesa delle proprie prerogative. Conosciamo bene i nostri mali: spese inutili, un Parlamento pletorico, una classe politica avida, una burocrazia e una giustizia paralizzanti, un gettito fiscale che non giova alla crescita perché serve in buona parte a pagare i debiti del Paese. Ma ogniqualvolta un governo cerca di prendere il toro per le corna, quasi tutti vedono nelle riforme soltanto il danno che potrebbe derivarne per la famiglia politica o sindacale a cui appartengono. Come nella penisola balcanica all'inizio degli anni Novanta, il desiderio di sfogare la propria rabbia e punire il «nemico» prevale su qualsiasi altra riflessione. Per un breve periodo (i primi mesi del governo Monti) abbiamo sperato che le maggiori forze politiche avrebbero assicurato all'esecutivo la loro collaborazione. Più recentemente abbiamo sperato che il risultato inconcludente delle elezioni avrebbe costretto i maggiori partiti (quelli che hanno grosso modo programmi convergenti) ad accantonare i loro dissensi. Avrebbero dato al Paese un governo e al Movimento 5 Stelle lo spettacolo di una classe dirigente ancora capace di un soprassalto di orgoglio e buon senso. È accaduto esattamente il contrario. Nessuno è disposto a sacrificare qualcosa o a fare un passo indietro. Come nei Balcani, durante il decennio degli anni Novanta, si è perduto, a quanto sembra, il sentimento di un destino comune. I primi ad accorgersene saranno i partner europei e, naturalmente, i mercati. Quando constateranno che l'Italia balcanizzata è soltanto un campo di battaglia fra corporazioni economiche e istituzionali, tutti smetteranno di attendere il suo risanamento e cominceranno a scommettere sul suo collasso. Il costo del debito aumenterà e tutto diventerà ancora più difficile. Beninteso, quel giorno le battaglie corporative che hanno paralizzato il Paese avranno perduto qualsiasi significato: non vi sarà più niente da spartire. La sindrome dei Balcani Per alcuni anni il partito di maggioranza relativa in Svizzera (Unione democratica di centro, fondata dall'industriale Christoph Blocher) è stato una forza politica intollerante, xenofoba, attraversata da umori razzisti e pregiudizialmente ostile a qualsiasi forma di integrazione europea. Le sue posizioni non erano condivise dagli altri maggiori partiti democratici (cristiano-sociali, socialisti, liberali) ma non hanno impedito che fra questi fratelli nemici si stabilisse un pragmatico rapporto di collaborazione nell'interesse del Paese. È accaduto perché tutti, anche Blocher, hanno capito che un dissidio interno, portato alle sue estreme conseguenze, avrebbe impedito alla Confederazione di affrontare e superare le grandi crisi economiche e finanziarie degli ultimi anni. Il risultato della convivenza fra i maggiori partiti svizzeri, nell'ambito di una grande coalizione, è un Paese prospero in cui le grandi banche hanno risanato i propri conti, la maggiore preoccupazione della Banca centrale è quella di evitare che l'eccessivo apprezzamento della moneta nazionale pregiudichi le esportazioni, il tasso di disoccupazione è al 3,1%, i cittadini elettori dicono no alla riduzione delle ore di lavoro e sì a quella dei bonus con cui i banchieri gratificano se stessi L'Italia ha imboccato la strada opposta. I partiti e persino le istituzioni (fra cui la stessa magistratura) non hanno altro orizzonte fuorché quello della propria sopravvivenza, della propria identità, della difesa delle proprie prerogative. Conosciamo bene i nostri mali: spese inutili, un Parlamento pletorico, una classe politica avida, una burocrazia e una giustizia paralizzanti, un gettito fiscale che non giova alla crescita perché serve in buona parte a pagare i debiti del Paese. Ma ogniqualvolta un governo cerca di prendere il toro per le corna, quasi tutti vedono nelle riforme soltanto il danno che potrebbe derivarne per la famiglia politica o sindacale a cui appartengono. Come nella penisola balcanica all'inizio degli anni Novanta, il desiderio di sfogare la propria rabbia e punire il «nemico» prevale su qualsiasi altra riflessione. Per un breve periodo (i primi mesi del governo Monti) abbiamo sperato che le maggiori forze politiche avrebbero assicurato all'esecutivo la loro collaborazione. Più recentemente abbiamo sperato che il risultato inconcludente delle elezioni avrebbe costretto i maggiori partiti (quelli che hanno grosso modo programmi convergenti) ad accantonare i loro dissensi. Avrebbero dato al Paese un governo e al Movimento 5 Stelle lo spettacolo di una classe dirigente ancora capace di un soprassalto di orgoglio e buon senso. È accaduto esattamente il contrario. Nessuno è disposto a sacrificare qualcosa o a fare un passo indietro. Come nei Balcani, durante il decennio degli anni Novanta, si è perduto, a quanto sembra, il sentimento di un destino comune. I primi ad accorgersene saranno i partner europei e, naturalmente, i mercati. Quando constateranno che l'Italia balcanizzata è soltanto un campo di battaglia fra corporazioni economiche e istituzionali, tutti smetteranno di attendere il suo risanamento e cominceranno a scommettere sul suo collasso. Il costo del debito aumenterà e tutto diventerà ancora più difficile. Beninteso, quel giorno le battaglie corporative che hanno paralizzato il Paese avranno perduto qualsiasi significato: non vi sarà più niente da spartire.
 di Sergio Romano

20 marzo 2013

O le banche o la vita. Meglio nazionalizzare



  

«Nessun governo in tempo di pace ha sprecato tante risorse quante ne ha sprecate il sistema finanziario privato americano.» 


La notizia che la nazionalizzazione delle banche potrebbe essere necessaria anche secondo Alan Greenspan dimostra quanto la situazione sia disperata. Come è evidente da tempo, l'unica soluzione è che il nostro sistema bancario sia rilevato dal governo, forse sulla falsariga di quanto fecero Norvegia e Svezia negli anni '90. Bisogna farlo, e farlo in fretta, prima che altri soldi vadano sprecati in manovre di salvataggio. 
Il problema delle banche americane non è solo un problema di liquidità. Anni di comportamenti sconsiderati, tra cui la concessione di crediti inesigibili e l'avere giocato d'azzardo con i derivati, le hanno ridotte in bancarotta. 

Se il nostro governo rispettasse le regole del gioco - che prevedono tra l'altro la chiusura delle banche il cui capitale è inadeguato - sono molte, se non moltissime, le banche che uscirebbero dal mercato. 

Nessuno sa con certezza quanto sia grande il buco; secondo alcune stime la cifra ammonterebbe a duemila o tremila miliardi di dollari o più. 

Dunque la domanda è: chi si farà carico della perdite? Wall Street non chiederebbe di meglio che uno stillicidio continuo del denaro dei contribuenti. Ma l'esperienza di altri paesi suggerisce che quando sono i mercati finanziari a comandare, i costi possono essere enormi. Paesi come l'Argentina, il Cile, l'Indonesia, per salvare le proprie banche hanno speso il 40% e oltre del loro prodotto interno lordo. 

Il costo per il governo è di particolare importanza, dato l'indebitamento ereditato dall'amministrazione Bush, che ha visto il debito nazionale lievitare da 5.700 miliari di dollari a oltre 10.000 miliardi di dollari. 

Se non stiamo attenti, la spesa pubblica per il salvataggio determinerà l'esclusione di altri programmi essenziali del governo, dalla previdenza sociale ai futuri investimenti in campo tecnologico. 

C'è un principio fondamentale nell'economia dell'ambiente, detto «l'inquinatore paga»: gli inquinatori devono farsi carico del costo necessario a eliminare l'inquinamento da essi prodotto. Le banche americane hanno inquinato l'economia globale di rifiuti tossici; è una questione di equità ed efficienza che esse vengano costrette, prima o poi, a pagare il prezzo della bonifica. Solo facendo sì che il settore paghi i costi delle sue azioni, recupereremo efficienza. 

L'amministrazione Obama ha lanciato una serie di idee, dal comprare i bad assets (detti anche «asset tossici», ndt) e metterli in una bad bank, lasciando che sia il governo a disporne; all'assicurare le banche; all'aiutare gli investitori privati (come gli hedge funds) a comprare i bad assets, presumibilmente prestando denaro agli investitori a condizioni di favore. Causa la mancanza di dettagli, il mercato ha accolto con perplessità l'annuncio dell'amministrazione Obama del suo cosiddetto piano. Il diavolo è nei dettagli, e senza i dettagli non possiamo essere certi di come si presenteranno le cose. 

Una delle prime idee lanciate da Paulson era che il governo comprasse i bad assets dalle banche. Naturalmente, Wall Street era entusiasta di questa idea. Chi non vorrebbe scaricare la propria spazzatura sul governo a prezzi gonfiati? Le banche potrebbero liberarsi di alcuni di questi asset «cattivi» anche adesso, ma non al prezzo che vorrebbero. 

Poi ci sono altri asset con cui il settore privato non vuole avere niente a che fare. Il 15 settembre il colosso delle assicurazioni Aig ha annunciato che era sotto di 20 miliardi di dollari. Il giorno successivo, le sue perdite erano salite a circa 85 miliardi di dollari. Un po' dopo, quando nessuno ci faceva caso, c'è stata una ulteriore sovvenzione, che ha portato il totale a 150 miliardi di dollari. Poi il 1° marzo il governo ha stanziato per l'Aig altri 30 miliardi di dollari di soldi dei contribuenti: il quarto intervento in meno di sei mesi. 

Quasi tutte le varianti della proposta «cash for trash» («soldi in cambio di spazzatura») si basano sull'idea di mettere i bad assets in una bad bank (i fautori del piano preferiscono il termine più gentile «banca aggregatrice»). 

Ma le banche, anche se avessero solo gli asset «buoni», probabilmente non disporrebbero di liquidità neanche dopo che i contribuenti avessero strapagato la spazzatura. 

Io credo che la bad bank, senza nazionalizzazione, sia una cattiva idea. Dobbiamo respingere qualunque piano di tipo «soldi in cambio di spazzatura». È un altro esempio dell'economia voodoo che ha segnato il settore finanziario: il tipo di alchimia che ha consentito alle banche di sminuzzare i mutui subprime, che avevano rating F, trasferendoli in titoli presunti sicuri con rating A. 

Ancora peggiori sono le proposte di cercare di spingere il settore privato a comprare la spazzatura. In questo momento i prezzi che esso è disposto a pagare sono così bassi che le banche non sono interessate - la dimensione del buco nei loro bilanci verrebbe allo scoperto. Ma se il governo assicurasse gli investitori del settore privato - e inoltre concedesse prestiti a condizioni favorevoli - il settore privato sarebbe disposto a pagare un prezzo più alto. Con una sufficiente assicurazione e termini per i prestiti favorevoli, oplà! Possiamo rendere le nostre banche solvibili. Questa proposta, come molte altre provenienti dagli ambienti bancari, si basa in parte sulla speranza che, se le banche renderanno le cose sufficientemente complesse e opache, nessuno noterà il regalo al settore bancario finché non sarà troppo tardi. 

Le imprese spesso si mettono nei guai - accumulando più debiti di quanti ne possano ripagare. Da sempre c'è un modo di risolvere il problema, chiamato «riorganizzazione finanziaria», o bancarotta. 

La bancarotta spaventa molte persone, ma non dovrebbe. Tutto quello che succede è che le pretese finanziarie nei confronti dell'impresa vengono ristrutturate. Quando l'impresa naviga in acque molto brutte, gli azionisti vengono spazzati via, e gli obbligazionisti diventano i nuovi azionisti. Quando la situazione è meno grave, una parte del debito viene convertita in capitale netto. In ogni caso, senza il fardello dei pagamenti mensili del debito, l'impresa può tornare alla redditività. 

Le banche differiscono sotto un solo aspetto. Il fallimento di una banca si traduce in un particolare stato di sofferenza per i correntisti e può portare a problemi più ampi sul piano economico. 

Ancor peggio, la lunga esperienza ci ha insegnato che quando le banche rischiano di fallire, i loro dirigenti mettono in atto comportamenti che comportano il rischio di far perdere ancora più soldi ai contribuenti. 

Ad esempio, possono fare grosse scommesse: se vincono, si tengono il ricavato; se perdono - e allora? tanto sarebbero morti comunque. 

Ecco perché abbiamo leggi che dicono che quando il capitale di una banca è poco, questa deve essere chiusa. Non aspettiamo che la cassa sia vuota. 

L'amministrazione Obama sembra proporre una via d'uscita da questo pasticcio: vi sottoporremo a uno «stress sotto sforzo». Vediamo come ve la cavate. Se superate il test, vi aiutiamo a uscire dalle vostre difficoltà temporanee. Il ricorso a test sotto sforzo comporta l'utilizzo di modelli matematici per vedere che cosa succede nei diversi scenari. Le banche dovevano sottoporsi esse stesse a questo tipo di test regolarmente. I loro modelli dicevano che tutto andava bene. Sappiamo che quei modelli hanno fallito. 

Quello che non sappiamo è se i modelli che userà l'amministrazione saranno migliori. Ci è stato detto che servirà del tempo per fare il test, e mentre aspettiamo, metteremo altri soldi in istituzioni che stanno fallendo, soldi buoni in cambio di cattivi, con un debito nazionale sempre maggiore. 

Gradualmente l'America sta capendo che dobbiamo fare qualcosa, adesso. 

Abbiamo già una cornice di riferimento per quanto riguarda il modo di trattare con le banche il cui capitale è inadeguato. Dovremmo usarla, e velocemente, forse con alcune modifiche necessarie ad affrontare la natura inusuale dei problemi odierni. Possiamo procedere in molti modi. Una proposta innovativa (varianti della quale sono state lanciate da Willem Buiter alla London School of Economics e da George Soros) prevede la creazione di una good bank (una «banca buona»). Invece di riversare gli asset tossici sul governo, dovremmo estrarre quelli buoni - quelli a cui si può facilmente assegnare un prezzo. Se il valore delle pretese dei correntisti e di altre pretese che riteniamo debbano ricevere tutela è minore del valore degli asset, allora il governo firmerà un assegno alla vecchia banca (la chiameremmo bad bank). Se accade il contrario, allora il governo potrebbe vantare una pretesa prioritaria nei confronti della vecchia banca. In tempi normali, sarebbe facile ricapitalizzare la banca «buona» privatamente. Ma questi non sono tempi normali, perciò il governo potrebbe dover gestire la banca per un po' di tempo. 

Di questi tempi, non suonano convincenti coloro che dicono che non si può confidare nel fatto che il governo allochi il capitale in modo efficiente. Dopo tutto, il settore privato non si è comportato molto bene. Nessun governo in tempo di pace ha sprecato tante risorse quante ne ha sprecate il sistema finanziario privato americano. Gli incentivi di Wall Street erano studiati per incoraggiare un comportamento miope ed eccessivamente rischioso. 

C'è ogni motivo per credere che una banca temporaneamente nazionalizzata si comporterà molto meglio - anche se la maggior parte dei dipendenti saranno comunque gli stessi - semplicemente perché avremo cambiato gli incentivi perversi. 

L'esperienza maturata in altri paesi, compresi quelli scandinavi, dimostra che l'intera operazione può essere condotta bene - e quando alla fine l'economia torna alla prosperità, le banche in grado di fornire un utile possono essere restituite al settore privato. 

Non servono soluzioni mirabolanti. Le banche, semplicemente, devono tornare a ciò a cui servono: prestare soldi, con prudenza, alle imprese e alle famiglie, sulla base di una valutazione buona - e non marginale - dell'utilizzo cui è destinato il prestito e della possibilità per chi lo ha ricevuto di restituirlo. 

Ogni fase di flessione prima o poi termina. Alla fine potremo vendere le banche ristrutturate a un buon prezzo - anche se, è sperabile, non a un prezzo basato sull'aspettativa esuberante e irrazionale di un'altra bolla finanziaria. L'idea che trarremo profitto dalle manovre di salvataggio - il settore finanziario ha cercato di spacciarcele per «investimenti» - sembra essere caduta dal discorso pubblico. Ma almeno possiamo usare i proventi della vendita finale delle banche ristrutturare per ripagare l'enorme deficit che questa debacle finanziaria avrà causato al nostro paese.

di Joseph Stiglitz 

Fonte: http://www.thenation.com/doc/20090323/stiglitz?rel=hp_currently 

Versione italiana abbreviata: il manifesto, 8 marzo 2013. Traduzione a cura di Marina Impallomeni.

22 marzo 2013

La strategia della tensione ritorna?

Che probabilità ci sono che il PD faccia un governo con il PDL? E quelle di farlo con il M5S?
 ... 29.5% governo PD + PDL; 24.0% governo PD + M5S. L'opzione largamente maggioritaria (46.5%), al momento, è il ritorno alle urne entro l'autunno. Vi invito ad osservare come si è dissolto il piano Merkel (Bersani + Monti) subito dopo l'esito elettorale che ha consegnato Monti all'archivio degli italiani da dimenticare, e la sua presenza sulla scena politica come un ricordo imbarazzante nella storia di questo paese. A dirlo, ancora una volta, è la Borsa che esprime le sue opinioni attraverso i prezzi e, dunque, sono "pareri informati e pesati". Le possibilità del M5S da andare al governo con il PD (l'ipotesi PDL+M5S, al momento, non esiste) sono, ovviamente, aumentate all'aumentare del consenso elettorale del Movimento di Grillo... impennandosi dopo lo scrutinio. Nonostante ciò, se governo sarà, al momento è ancora più probabile quello PD + PDL (5.5 punti di vantaggio sull'altra). Perché? I motivi sono "infinitamente grandi e numerosi". Vediamone qualcuno... Come fa il PD ad accettare l'azzeramento dei rimborsi elettorali che, di fatto, lo condannerebbe all'estinzione? Come fa il PD ad accettare l'azzeramento delle sovvenzioni pubbliche ai giornali, che farebbe incazzare (di brutto) il suo editore di riferimento (Carlo De Benedetti)? ... E potrei continuare con una lista pressoché inesauribile di temi cari al M5S ed inaccettabili dal PD. Dall'altra parte, Silvio Berlusconi ha disperato bisogno di una qualche immunità governativa per tentare di arginare la nuova offensiva della magistratura (... è pericolosissimo il nuovo processo di Napoli per la presunta corruzione verso De Gregorio ai tempi della caduta del governo Prodi) e, quindi, dove assolutamente tornare al governo... oppure essere indispensabile per la tenuta del governo che spera di formare con il centro-sinistra... Da una parte, quindi, l'accordo con Grillo è, allo stato dei fatti, pressoché impossibile... mentre, dall'altra, l'accordo con Berlusconi è, da quest'ultimo, caldeggiato e molto gradito... E' ovvio, tuttavia, che se il PD facesse l'accordo con il PDL, alle prossime elezioni rischierebbe di perdere altri 4 milioni di voti (a vantaggio di M5S) e, quindi, il ricorso alle urne entro l'autunno è, ad oggi, l'opzione più probabile. Ma se si andasse ancora all'elezioni, non sarebbe un disastro per l'economia? Ma quando mai...?? ... E' vero il contrario: al disastro ci hanno condotto tutti i governi che abbiamo avuto negli ultimi anni! Aldo Ravelli (il più grande ribassista di tutti i tempi della Borsa italiana) usava dire che le uniche occasioni quando si "sentiva" di comprare (piuttosto che vendere allo scoperto) erano quando cadevano i governi che, finalmente, non facevano più danni e, dunque, l'economia italiana poteva rifiatare... In effetti, nelle numerosissime crisi di governo della prima Repubblica, nel 72% dei casi la Borsa ha risposto con dei rialzi... L'esempio a noi più vicino, tuttavia, è il Belgio: recentemente è stata oltre un anno senza governo, sperimentando un ottimo anno (il migliore dal 1990) dal punto di vista della crescita economica... ... E, dunque, tranquillizzatevi: stare senza governo per sei mesi... meglio ancora se per dodici (o più), è una buona notizia. ... Ma Bersani, D'Alema, Berlusconi... etc... dicono che non avere un governo sarebbe una tragedia...!! Appunto; questa è la dimostrazione evidente che è vero il contrario. Non riuscire a fare il governo sarebbe una tragedia per loro. Picciotti, queste marmaglie che ci hanno condotto al baratro, non hanno ancora capito che il loro tempo è scaduto... Tentano ancora di "bidonarci" con le loro carrozze a cavalli, mentre John Ford sta già producendo le automobili in serie... Perché credete che abbiano "ceduto" le piazze a Grillo durante la campagna elettorali? I servizi segreti li hanno informati che era pericoloso "affrontare" il "popolo" all'aperto : non si potevano escludere atti di violenza contro di loro o veri e propri attentati... Quindi si sono "rinchiusi" negli studi televisivi o, al massimo, in qualche sala ben vigilata e protetta da schiere di guardie del corpo. ... E l'allarme non è ancora rientrato, anzi: si teme un'escalation della protesta popolare e, dunque, per tutti i "vecchi" politici più in vista, il consiglio (dei suddetti servizi segreti) è di evitare qualsiasi contatto con la gente... Ha ragione Grillo: sono accerchiati... e non gli resta che arrendersi... ... Altro che continuare con queste cazzate in politichese... Come faccio a sapere queste cose a proposito dei servizi segreti? ... Sono notizie d'agenzia riportate dalla stampa inglese... ma non da quella italiana... Dal che si capisce che tipo di giornalismo abbiamo in Italia... !!?? ... I nostri giornalisti sono "dipendenti"... esattamente come il contabile o la centralinista di un'azienda... Se il "padrone" gli dice di scrivere che le donne hanno il pisello, questi ti raccontano che un virus sconosciuto, nottetempo, le ha fatto diventare tutte trans... Giuliano Ferrara, a cinque giorni dal voto, ci raccontava che il M5S stava crollando e non avrebbe preso neanche il 13%... Eugenio Scalfari, Ferruccio De Bortoli e le altre "grandi firme" dei "grandi quotidiani", non hanno capito niente di quello che stava per succedere... e continuano a non avere la benché minima idea di quello che succederà... Nessuno di loro è abituato ad ascoltare... pensano e scrivono cose di altri tempi... di quando c'erano ancora le carrozze a cavalli e neanche loro si sono accorti che John Ford sta già producendo le automobili in serie... Tutti di parlano di spread senza avere capito che si tratta della svalutazione implicita di un paese "costretto" nell'euro... fin quando non sarà "costretto" ad uscirne... Appena accennano alla Borsa, riescono a dire sette minchiate in sei parole... Sull'economia hanno qualche "nozione usa e getta" rubata a qualche libro letto distrattamente... oppure si adeguano alle opinioni (interessi?) dei loro padroni... ... E tutti noi siamo costretti a "sostenere la loro ignoranza" (e più sono ignoranti e disponibili, e più i loro padroni li gradiscono) attraverso il finanziamento pubblico ai giornali... ... Come stupirsi se il numero di copie vendute è in continuo calo... e senza i soldi dello Stato sarebbero costretti tutti a chiudere? Capite perché il PD (e, a maggior ragione, il PDL) non può accettare l'agenda Grillo (che prevede anche l'azzeramento di quel finanziamento vergognoso... da parassiti... ai giornali)? Torniamo agli attentati: vi ricordate quelli degli anni 70-80'... la famosa strategia della tensione? Erano organi dello Stato, oppure paesi nostri alleati (nella Nato), ad organizzarli per creare paura, ansia, scontento... richiesta di ordine e pace sociale... Perché? Per fare passare l'idea del "pericolo rosso" e "imporre" leggi restrittive delle libertà individuali... Negli anni 70' io ero studente al Politecnico di Torino ed almeno una volta al mese, la Polizia veniva a "caricarci" alla maniera delle centurie romane (casco, scudo e manganello... bombe lacrimogene e, se necessario, pistole automatiche)... E più loro ci "caricavano", e più noi diventavamo "duri e violenti": non ti metti a discutere con chi viene a picchiarti; per prima cosa cerchi di non "prenderle" e, subito dopo, cerchi di fargli passare la voglia di farlo un'altra volta (significa che gliele suoni tu a lui)... Sicché gli scontri diventavano sempre più frequenti e brutali e, quindi, le città italiane di quegli anni, a volte si trasformavano in campi di battaglia dove polizia e studenti davano vita ad un'autentica guerriglia urbana. Questo dava ai mezzi di informazione ufficiali (Rai e grandi giornali) l'ulteriore pretesto per "raccontare" l'Italia come un posto di efferati attentati a cui bisognava dare risposte dure e ferme (e poneva ai nostri padri il dubbio se non fosse più giusto avviarci al lavoro dei campi, piuttosto che mandarci all'Università)... Poi abbiamo scoperto che quegli attentati (da cui partiva tutta quella violenza) erano organizzati dalla Stato stesso (o da nazioni amiche) per creare quel clima da guerra civile che doveva spegnere la "rivoluzione del 68" ed il pericolo di un enorme cambiamento planetario (che si temeva potesse essere un grande tsunami comunista)... ... E allora mi viene spontaneo pensare che, per far abortire la rivoluzione in atto (quella del M5S), basterebbe fare qualche attentato ben mirato... e farne ricadere la colpa sui simpatizzanti "grillini"... ... Magari inventando una fantomatica "Brigata stellare" che "firma" i suoi attentati lasciando il proprio simbolo: qualcosa tipo le 5 stelle che, se ricordate, ha molte affinità con la stella a cinque punte delle Brigate rosse... Cosa succederebbe a quel punto? Gran parte dei simpatizzanti del M5S avrebbe paura e, terrorizzata da quella prospettiva di sangue ed odio, tornerebbe nell'alveo dei partiti tradizionali che, saranno anche ladri ed inconcludenti, ma consentono di vivere nella relativa tranquillità del nulla... Fantascienza? Assolutamente no: roba già vista molte volte nei millenni della storia dell'uomo... Se non l'avete ancora fatto, vi consiglio di vedere l'ultimo film di Matt Damon "Promised land"... e scoprirete perché una ricca azienda energetica multinazionale, ha interesse a pagare qualcuno per avversarla e denunciarla con forza in pubblico... Guardatelo e capirete cosa voglio dire... Ricordatevi di ciò che sto qui scrivendo se tra qualche settimana (o mese) si comincerà a parlare di "clima di violenza"... "possibilità di attentati"... "necessità di intervenire con fermezza"... ... Paisani, se la rivoluzione a 5 stelle vince (soprattutto per il referendum sull'euro), la grande Germania è seriamente nella cacca. Non vi aspetterete mica che il fuhrer la faccia vincere senza "reagire"...??

 di G. Migliorino

21 marzo 2013

La sindrome dei Balcani

Per alcuni anni il partito di maggioranza relativa in Svizzera (Unione democratica di centro, fondata dall'industriale Christoph Blocher) è stato una forza politica intollerante, xenofoba, attraversata da umori razzisti e pregiudizialmente ostile a qualsiasi forma di integrazione europea. Le sue posizioni non erano condivise dagli altri maggiori partiti democratici (cristiano-sociali, socialisti, liberali) ma non hanno impedito che fra questi fratelli nemici si stabilisse un pragmatico rapporto di collaborazione nell'interesse del Paese. È accaduto perché tutti, anche Blocher, hanno capito che un dissidio interno, portato alle sue estreme conseguenze, avrebbe impedito alla Confederazione di affrontare e superare le grandi crisi economiche e finanziarie degli ultimi anni. Il risultato della convivenza fra i maggiori partiti svizzeri, nell'ambito di una grande coalizione, è un Paese prospero in cui le grandi banche hanno risanato i propri conti, la maggiore preoccupazione della Banca centrale è quella di evitare che l'eccessivo apprezzamento della moneta nazionale pregiudichi le esportazioni, il tasso di disoccupazione è al 3,1%, i cittadini elettori dicono no alla riduzione delle ore di lavoro e sì a quella dei bonus con cui i banchieri gratificano se stessi L'Italia ha imboccato la strada opposta. I partiti e persino le istituzioni (fra cui la stessa magistratura) non hanno altro orizzonte fuorché quello della propria sopravvivenza, della propria identità, della difesa delle proprie prerogative. Conosciamo bene i nostri mali: spese inutili, un Parlamento pletorico, una classe politica avida, una burocrazia e una giustizia paralizzanti, un gettito fiscale che non giova alla crescita perché serve in buona parte a pagare i debiti del Paese. Ma ogniqualvolta un governo cerca di prendere il toro per le corna, quasi tutti vedono nelle riforme soltanto il danno che potrebbe derivarne per la famiglia politica o sindacale a cui appartengono. Come nella penisola balcanica all'inizio degli anni Novanta, il desiderio di sfogare la propria rabbia e punire il «nemico» prevale su qualsiasi altra riflessione. Per un breve periodo (i primi mesi del governo Monti) abbiamo sperato che le maggiori forze politiche avrebbero assicurato all'esecutivo la loro collaborazione. Più recentemente abbiamo sperato che il risultato inconcludente delle elezioni avrebbe costretto i maggiori partiti (quelli che hanno grosso modo programmi convergenti) ad accantonare i loro dissensi. Avrebbero dato al Paese un governo e al Movimento 5 Stelle lo spettacolo di una classe dirigente ancora capace di un soprassalto di orgoglio e buon senso. È accaduto esattamente il contrario. Nessuno è disposto a sacrificare qualcosa o a fare un passo indietro. Come nei Balcani, durante il decennio degli anni Novanta, si è perduto, a quanto sembra, il sentimento di un destino comune. I primi ad accorgersene saranno i partner europei e, naturalmente, i mercati. Quando constateranno che l'Italia balcanizzata è soltanto un campo di battaglia fra corporazioni economiche e istituzionali, tutti smetteranno di attendere il suo risanamento e cominceranno a scommettere sul suo collasso. Il costo del debito aumenterà e tutto diventerà ancora più difficile. Beninteso, quel giorno le battaglie corporative che hanno paralizzato il Paese avranno perduto qualsiasi significato: non vi sarà più niente da spartire. La sindrome dei Balcani Per alcuni anni il partito di maggioranza relativa in Svizzera (Unione democratica di centro, fondata dall'industriale Christoph Blocher) è stato una forza politica intollerante, xenofoba, attraversata da umori razzisti e pregiudizialmente ostile a qualsiasi forma di integrazione europea. Le sue posizioni non erano condivise dagli altri maggiori partiti democratici (cristiano-sociali, socialisti, liberali) ma non hanno impedito che fra questi fratelli nemici si stabilisse un pragmatico rapporto di collaborazione nell'interesse del Paese. È accaduto perché tutti, anche Blocher, hanno capito che un dissidio interno, portato alle sue estreme conseguenze, avrebbe impedito alla Confederazione di affrontare e superare le grandi crisi economiche e finanziarie degli ultimi anni. Il risultato della convivenza fra i maggiori partiti svizzeri, nell'ambito di una grande coalizione, è un Paese prospero in cui le grandi banche hanno risanato i propri conti, la maggiore preoccupazione della Banca centrale è quella di evitare che l'eccessivo apprezzamento della moneta nazionale pregiudichi le esportazioni, il tasso di disoccupazione è al 3,1%, i cittadini elettori dicono no alla riduzione delle ore di lavoro e sì a quella dei bonus con cui i banchieri gratificano se stessi L'Italia ha imboccato la strada opposta. I partiti e persino le istituzioni (fra cui la stessa magistratura) non hanno altro orizzonte fuorché quello della propria sopravvivenza, della propria identità, della difesa delle proprie prerogative. Conosciamo bene i nostri mali: spese inutili, un Parlamento pletorico, una classe politica avida, una burocrazia e una giustizia paralizzanti, un gettito fiscale che non giova alla crescita perché serve in buona parte a pagare i debiti del Paese. Ma ogniqualvolta un governo cerca di prendere il toro per le corna, quasi tutti vedono nelle riforme soltanto il danno che potrebbe derivarne per la famiglia politica o sindacale a cui appartengono. Come nella penisola balcanica all'inizio degli anni Novanta, il desiderio di sfogare la propria rabbia e punire il «nemico» prevale su qualsiasi altra riflessione. Per un breve periodo (i primi mesi del governo Monti) abbiamo sperato che le maggiori forze politiche avrebbero assicurato all'esecutivo la loro collaborazione. Più recentemente abbiamo sperato che il risultato inconcludente delle elezioni avrebbe costretto i maggiori partiti (quelli che hanno grosso modo programmi convergenti) ad accantonare i loro dissensi. Avrebbero dato al Paese un governo e al Movimento 5 Stelle lo spettacolo di una classe dirigente ancora capace di un soprassalto di orgoglio e buon senso. È accaduto esattamente il contrario. Nessuno è disposto a sacrificare qualcosa o a fare un passo indietro. Come nei Balcani, durante il decennio degli anni Novanta, si è perduto, a quanto sembra, il sentimento di un destino comune. I primi ad accorgersene saranno i partner europei e, naturalmente, i mercati. Quando constateranno che l'Italia balcanizzata è soltanto un campo di battaglia fra corporazioni economiche e istituzionali, tutti smetteranno di attendere il suo risanamento e cominceranno a scommettere sul suo collasso. Il costo del debito aumenterà e tutto diventerà ancora più difficile. Beninteso, quel giorno le battaglie corporative che hanno paralizzato il Paese avranno perduto qualsiasi significato: non vi sarà più niente da spartire.
 di Sergio Romano

20 marzo 2013

O le banche o la vita. Meglio nazionalizzare



  

«Nessun governo in tempo di pace ha sprecato tante risorse quante ne ha sprecate il sistema finanziario privato americano.» 


La notizia che la nazionalizzazione delle banche potrebbe essere necessaria anche secondo Alan Greenspan dimostra quanto la situazione sia disperata. Come è evidente da tempo, l'unica soluzione è che il nostro sistema bancario sia rilevato dal governo, forse sulla falsariga di quanto fecero Norvegia e Svezia negli anni '90. Bisogna farlo, e farlo in fretta, prima che altri soldi vadano sprecati in manovre di salvataggio. 
Il problema delle banche americane non è solo un problema di liquidità. Anni di comportamenti sconsiderati, tra cui la concessione di crediti inesigibili e l'avere giocato d'azzardo con i derivati, le hanno ridotte in bancarotta. 

Se il nostro governo rispettasse le regole del gioco - che prevedono tra l'altro la chiusura delle banche il cui capitale è inadeguato - sono molte, se non moltissime, le banche che uscirebbero dal mercato. 

Nessuno sa con certezza quanto sia grande il buco; secondo alcune stime la cifra ammonterebbe a duemila o tremila miliardi di dollari o più. 

Dunque la domanda è: chi si farà carico della perdite? Wall Street non chiederebbe di meglio che uno stillicidio continuo del denaro dei contribuenti. Ma l'esperienza di altri paesi suggerisce che quando sono i mercati finanziari a comandare, i costi possono essere enormi. Paesi come l'Argentina, il Cile, l'Indonesia, per salvare le proprie banche hanno speso il 40% e oltre del loro prodotto interno lordo. 

Il costo per il governo è di particolare importanza, dato l'indebitamento ereditato dall'amministrazione Bush, che ha visto il debito nazionale lievitare da 5.700 miliari di dollari a oltre 10.000 miliardi di dollari. 

Se non stiamo attenti, la spesa pubblica per il salvataggio determinerà l'esclusione di altri programmi essenziali del governo, dalla previdenza sociale ai futuri investimenti in campo tecnologico. 

C'è un principio fondamentale nell'economia dell'ambiente, detto «l'inquinatore paga»: gli inquinatori devono farsi carico del costo necessario a eliminare l'inquinamento da essi prodotto. Le banche americane hanno inquinato l'economia globale di rifiuti tossici; è una questione di equità ed efficienza che esse vengano costrette, prima o poi, a pagare il prezzo della bonifica. Solo facendo sì che il settore paghi i costi delle sue azioni, recupereremo efficienza. 

L'amministrazione Obama ha lanciato una serie di idee, dal comprare i bad assets (detti anche «asset tossici», ndt) e metterli in una bad bank, lasciando che sia il governo a disporne; all'assicurare le banche; all'aiutare gli investitori privati (come gli hedge funds) a comprare i bad assets, presumibilmente prestando denaro agli investitori a condizioni di favore. Causa la mancanza di dettagli, il mercato ha accolto con perplessità l'annuncio dell'amministrazione Obama del suo cosiddetto piano. Il diavolo è nei dettagli, e senza i dettagli non possiamo essere certi di come si presenteranno le cose. 

Una delle prime idee lanciate da Paulson era che il governo comprasse i bad assets dalle banche. Naturalmente, Wall Street era entusiasta di questa idea. Chi non vorrebbe scaricare la propria spazzatura sul governo a prezzi gonfiati? Le banche potrebbero liberarsi di alcuni di questi asset «cattivi» anche adesso, ma non al prezzo che vorrebbero. 

Poi ci sono altri asset con cui il settore privato non vuole avere niente a che fare. Il 15 settembre il colosso delle assicurazioni Aig ha annunciato che era sotto di 20 miliardi di dollari. Il giorno successivo, le sue perdite erano salite a circa 85 miliardi di dollari. Un po' dopo, quando nessuno ci faceva caso, c'è stata una ulteriore sovvenzione, che ha portato il totale a 150 miliardi di dollari. Poi il 1° marzo il governo ha stanziato per l'Aig altri 30 miliardi di dollari di soldi dei contribuenti: il quarto intervento in meno di sei mesi. 

Quasi tutte le varianti della proposta «cash for trash» («soldi in cambio di spazzatura») si basano sull'idea di mettere i bad assets in una bad bank (i fautori del piano preferiscono il termine più gentile «banca aggregatrice»). 

Ma le banche, anche se avessero solo gli asset «buoni», probabilmente non disporrebbero di liquidità neanche dopo che i contribuenti avessero strapagato la spazzatura. 

Io credo che la bad bank, senza nazionalizzazione, sia una cattiva idea. Dobbiamo respingere qualunque piano di tipo «soldi in cambio di spazzatura». È un altro esempio dell'economia voodoo che ha segnato il settore finanziario: il tipo di alchimia che ha consentito alle banche di sminuzzare i mutui subprime, che avevano rating F, trasferendoli in titoli presunti sicuri con rating A. 

Ancora peggiori sono le proposte di cercare di spingere il settore privato a comprare la spazzatura. In questo momento i prezzi che esso è disposto a pagare sono così bassi che le banche non sono interessate - la dimensione del buco nei loro bilanci verrebbe allo scoperto. Ma se il governo assicurasse gli investitori del settore privato - e inoltre concedesse prestiti a condizioni favorevoli - il settore privato sarebbe disposto a pagare un prezzo più alto. Con una sufficiente assicurazione e termini per i prestiti favorevoli, oplà! Possiamo rendere le nostre banche solvibili. Questa proposta, come molte altre provenienti dagli ambienti bancari, si basa in parte sulla speranza che, se le banche renderanno le cose sufficientemente complesse e opache, nessuno noterà il regalo al settore bancario finché non sarà troppo tardi. 

Le imprese spesso si mettono nei guai - accumulando più debiti di quanti ne possano ripagare. Da sempre c'è un modo di risolvere il problema, chiamato «riorganizzazione finanziaria», o bancarotta. 

La bancarotta spaventa molte persone, ma non dovrebbe. Tutto quello che succede è che le pretese finanziarie nei confronti dell'impresa vengono ristrutturate. Quando l'impresa naviga in acque molto brutte, gli azionisti vengono spazzati via, e gli obbligazionisti diventano i nuovi azionisti. Quando la situazione è meno grave, una parte del debito viene convertita in capitale netto. In ogni caso, senza il fardello dei pagamenti mensili del debito, l'impresa può tornare alla redditività. 

Le banche differiscono sotto un solo aspetto. Il fallimento di una banca si traduce in un particolare stato di sofferenza per i correntisti e può portare a problemi più ampi sul piano economico. 

Ancor peggio, la lunga esperienza ci ha insegnato che quando le banche rischiano di fallire, i loro dirigenti mettono in atto comportamenti che comportano il rischio di far perdere ancora più soldi ai contribuenti. 

Ad esempio, possono fare grosse scommesse: se vincono, si tengono il ricavato; se perdono - e allora? tanto sarebbero morti comunque. 

Ecco perché abbiamo leggi che dicono che quando il capitale di una banca è poco, questa deve essere chiusa. Non aspettiamo che la cassa sia vuota. 

L'amministrazione Obama sembra proporre una via d'uscita da questo pasticcio: vi sottoporremo a uno «stress sotto sforzo». Vediamo come ve la cavate. Se superate il test, vi aiutiamo a uscire dalle vostre difficoltà temporanee. Il ricorso a test sotto sforzo comporta l'utilizzo di modelli matematici per vedere che cosa succede nei diversi scenari. Le banche dovevano sottoporsi esse stesse a questo tipo di test regolarmente. I loro modelli dicevano che tutto andava bene. Sappiamo che quei modelli hanno fallito. 

Quello che non sappiamo è se i modelli che userà l'amministrazione saranno migliori. Ci è stato detto che servirà del tempo per fare il test, e mentre aspettiamo, metteremo altri soldi in istituzioni che stanno fallendo, soldi buoni in cambio di cattivi, con un debito nazionale sempre maggiore. 

Gradualmente l'America sta capendo che dobbiamo fare qualcosa, adesso. 

Abbiamo già una cornice di riferimento per quanto riguarda il modo di trattare con le banche il cui capitale è inadeguato. Dovremmo usarla, e velocemente, forse con alcune modifiche necessarie ad affrontare la natura inusuale dei problemi odierni. Possiamo procedere in molti modi. Una proposta innovativa (varianti della quale sono state lanciate da Willem Buiter alla London School of Economics e da George Soros) prevede la creazione di una good bank (una «banca buona»). Invece di riversare gli asset tossici sul governo, dovremmo estrarre quelli buoni - quelli a cui si può facilmente assegnare un prezzo. Se il valore delle pretese dei correntisti e di altre pretese che riteniamo debbano ricevere tutela è minore del valore degli asset, allora il governo firmerà un assegno alla vecchia banca (la chiameremmo bad bank). Se accade il contrario, allora il governo potrebbe vantare una pretesa prioritaria nei confronti della vecchia banca. In tempi normali, sarebbe facile ricapitalizzare la banca «buona» privatamente. Ma questi non sono tempi normali, perciò il governo potrebbe dover gestire la banca per un po' di tempo. 

Di questi tempi, non suonano convincenti coloro che dicono che non si può confidare nel fatto che il governo allochi il capitale in modo efficiente. Dopo tutto, il settore privato non si è comportato molto bene. Nessun governo in tempo di pace ha sprecato tante risorse quante ne ha sprecate il sistema finanziario privato americano. Gli incentivi di Wall Street erano studiati per incoraggiare un comportamento miope ed eccessivamente rischioso. 

C'è ogni motivo per credere che una banca temporaneamente nazionalizzata si comporterà molto meglio - anche se la maggior parte dei dipendenti saranno comunque gli stessi - semplicemente perché avremo cambiato gli incentivi perversi. 

L'esperienza maturata in altri paesi, compresi quelli scandinavi, dimostra che l'intera operazione può essere condotta bene - e quando alla fine l'economia torna alla prosperità, le banche in grado di fornire un utile possono essere restituite al settore privato. 

Non servono soluzioni mirabolanti. Le banche, semplicemente, devono tornare a ciò a cui servono: prestare soldi, con prudenza, alle imprese e alle famiglie, sulla base di una valutazione buona - e non marginale - dell'utilizzo cui è destinato il prestito e della possibilità per chi lo ha ricevuto di restituirlo. 

Ogni fase di flessione prima o poi termina. Alla fine potremo vendere le banche ristrutturate a un buon prezzo - anche se, è sperabile, non a un prezzo basato sull'aspettativa esuberante e irrazionale di un'altra bolla finanziaria. L'idea che trarremo profitto dalle manovre di salvataggio - il settore finanziario ha cercato di spacciarcele per «investimenti» - sembra essere caduta dal discorso pubblico. Ma almeno possiamo usare i proventi della vendita finale delle banche ristrutturare per ripagare l'enorme deficit che questa debacle finanziaria avrà causato al nostro paese.

di Joseph Stiglitz 

Fonte: http://www.thenation.com/doc/20090323/stiglitz?rel=hp_currently 

Versione italiana abbreviata: il manifesto, 8 marzo 2013. Traduzione a cura di Marina Impallomeni.