03 aprile 2013

INPS al collasso: addio pensioni




  
   
Una azienda con un patrimonio di 41 miliardi che nel giro di un paio d'anni ne avesse persi così tanti da farlo scendere a soli 15, verrebbe considerata sana oppure oppure desterebbe se non altro l'interesse di andarne a capire il motivo? E ancora di più: nel caso in cui questa "azienda" fosse di importanza fondamentale non solo per i suoi azionisti ma per l'intero Paese del quale fa parte, sarebbe il caso, a livello informativo, di dare risalto alla notizia e di farla entrare nel dibattito pubblico? Le risposte sono scontate, ma le domande servono a introdurre l'argomento. Perché lo Stato del quale parliamo è l'Italia, e l'"azienda" con questi conti disastrati si chiama Inps.

L'istituto di previdenza, infatti, aveva a fine 2011 un patrimonio di 41 miliardi, come detto, il quale si è ridotto a soli 15 in 24 mesi. Ma è a livello tendenziale che le cose peggiorano e destano ancora più preoccupazione. 

Ci sono due elementi importanti da tenere in considerazione più un terzo che è addirittura determinante. 

Inpdap profondo rosso

Il primo, motivo principale di questo calo del patrimonio, è relativo alla fusione recente di Inpdap e Inps, cioè il fatto che il sistema pensionistico del settore pubblico sia stato fatto confluire all'interno di quello del settore privato (operazione datata appunto 2012). La fusione di questi due enti era stata prevista trionfalmente, comunicando che, per via dei tagli alle spese che tale operazione avrebbe comportato si sarebbero risparmiate alcune centinaia di milioni di euro. Cosa puntualmente ancora non verificata, visto che sia la prevista gestione unica degli immobili dei due enti sia la razionalizzazione del personale è ancora di là dal venire. 

Nel frattempo, però, questo matrimonio ha portato in dote al sistema pensionistico del settore privato oltre 10 miliardi di rosso, contribuendo ad affossare ancora di più le riserve originarie dell'Inps conteggiate a fine 2011.

Lo Stato moroso

Il secondo dato allarmante contiene una riflessione interessante, visto che, come si dice, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si prende. Dunque, il grande buco dell'Inpdap - che, ribadiamo, era l'ente pensionistico dei dipendenti del settore pubblico - dipende direttamente da un elemento chiave: le pubbliche amministrazioni, da tempo e in modo diffuso, non stanno pagando del tutto i contributi pensionistici dovuti dei propri dipendenti. Si tratta di una somma stimata in circa 30 miliardi, che grava ovviamente sul bilancio già fortemente compromesso dello Stato ma che, attenzione, non è ancora stato messo agli atti, visto che proprio mediante la fusione con l'Inps è stato, per il momento, occultato.

Ora, già il fatto che le amministrazioni pubbliche non stiano versando tutti i contributi dei dipendenti, cioè che lo Stato sia moroso verso se stesso e i suoi dipendenti, è cosa che dovrebbe chiarire da sola la situazione generale. Ma che ora - ed eccoci alla riflessione poco ortodossa accennata poc'anzi - vi sia stata questa misura di accorpamento tra Inpdap e Inps fa venire più di qualche dubbio. È come se - meglio: è - lo Stato avesse scelto di prendere un proprio ente in forte deficit (nel quale da una parte doveva far confluire alcune proprie spese, cioè i contributi dei dipendenti, e dall'altra far uscire altre spese, cioè l'erogazione delle pensioni) e lo avesse inserito, come un cavallo di troia malefico, nell'altro ente (l'Inps) in cui sono i privati a far confluire i propri contributi per unire il tutto in un calderone, prossimo al collasso, sul quale far gravare un fallimento complessivo. Tra un po', in altre parole, siccome l'Inps, con il patrimonio così drasticamente intaccato e con i conti tendenziali in rosso, non potrà più erogare le pensioni, si prenderà atto della cosa dimenticandosi che buona parte di questo scenario catastrofico dipende proprio dai mancati versamenti del settore pubblico. 

Baby boomers all'incasso (forse)

Il terzo elemento, anche in questo caso assente dal dibattito e dalle analisi attuali, risiede nella constatazione che proprio in questi anni, e per il prossimo quinquennio, c'è una enorme fetta del Paese a dover andare in pensione. Si tratta della generazione dei baby boomers. Di quelli, per intenderci, che negli anni Settanta tentarono la "rivoluzione" più celebrata che concreta. E che, "una volta al potere", al posto delle rivoluzioni si sono invece premurati di mettere al riparo i propri meri interessi. Oggi, in età pensionistica, appunto, sono in procinto di passare all'incasso. Se questa massa di persone fosse messa in grado di andare dritta in pensione così come giustamente previsto, l'Inps crollerebbe in modo definitivo nel giro di qualche anno appena. Ribadiamo, infatti, che già a fine 2013 il bilancio complessivo dell'Inps è atteso a poco oltre 15 miliardi. Dai 41 di fine 2011. 

Non solo: tutte le operazioni relative al sistema pensionistico degli ultimi anni a questo punto possono - e devono - essere interpretate alla luce dei dati che ora stanno venendo fuori, ma che evidentemente già anni addietro erano ben presenti all'interno degli ambienti politici. Nel luglio del 2010, sul Mensile, pubblicammo questo articolo: "In Pensione a 100 anni" . Oggi bisogna aggiornarlo. Il tentativo neanche troppo velato, almeno per chi voglia accorgersene, è quello di evitare proprio che persone possano andare in pensione. Il che si applica facendole lavorare il più a lungo possibile, spostando sempre in là la data in cui sarà possibile andare in pensione. Con questo si otterrà il risultato di aver fatto lavorare tutta la vita le persone, facendogli versare montagne di contributi, sino al punto in cui avranno davanti ancora pochissimi anni, una volta andate in pensione, per avere indietro dallo Stato solo una piccola parte di quanto versato. Sempre che non muoiano prima sulla scrivania del proprio posto di lavoro. 

I giovani sono completamente fuori

Parallelamente, il fatto che così tante persone non possano lasciare il posto di lavoro sino di fatto alla vecchiaia comporta anche l'assoluta mancanza di turnover, e dunque pochissimo accesso dei giovani al mondo del lavoro. Come stiamo puntualmente verificando. Questi, già penalizzati dalle riforme Fornero sul lavoro che hanno aumentato le già elevate sperequazioni precedenti, tra contratti da fame a 500 euro al mese e senza alcuna possibilità di accedere a un posto di lavoro degno di questo nome, in ogni caso, ora e domani, non saranno comunque in grado di versare contributi in quantità bastante a pagare le pensioni di chi, via via, in ritardo e alla fine, comunque (per ora: almeno secondo le norme attuali) in pensione poco alla volta ci sta andando.  

Il tutto, naturalmente, contribuisce a peggiorare il quadro già disastroso dell'Inps. 

Dobbiamo a questo punto necessariamente correggerci. A destare preoccupazione sono le cose incerte. Mentre qui si può tranquillamente parlare di una certezza: l'Inps sta finendo nel buco nero statale e dunque le pensioni non potranno essere più erogate a breve. Molto a breve, a meno di stravolgimenti sistemici (uscita dall'Euro e ripresa della sovranità monetaria, ad esempio) che per ora comunque non sono all'orizzonte. Il che apre scenari non preoccupanti, ma terrorizzanti. Nel silenzio generale di chi sa ma non vuole far sapere. 

Valerio Lo Monaco
Fonte: www.ilribelle.com

02 aprile 2013

I dieci saggi tra golpe Bilderberg e rivoluzione democratica






Che quello di Napolitano sia un mezzo golpe, un bis di quello che rovesciò Berlusconi nel novembre 2011, è credibile, anzi evidente: al di là del pasticcio del mezzo incarico a Bersani, l’affidare a 10 cosiddetti saggi la soluzione dello stallo parlamentare è una forzatura che punta ad ingabbiare la crisi entro i binari ristretti delle persone scelte per l’operazione:  5 o 6 esponenti targabili centrosinistra, e/o magistratura cosiddetta progressista, poteri bancari, establishment ufficiale. Nessun 5stelle, un solo Leghista e un piddiellino di nome Quagliarello, quello che pretende “più Europa” e non “più Italia” per uscire dalla crisi. Non c’è neanche, a mo’ di pendant più meno fittizio del piattino di re Giorgio, un sindacalista, un esponente dell’associazionismo dei consumatori, una qualche voce alternativa capace di parlare alla pancia del “Popolo sovrano”. Saggi a cui verrebbe affidata la designazione del nuovo ‘incaricato’, a loro immagine e somiglianza, finalizzata a una riedizione del governo Monti, con o senza Monti, facendo leva su quella sinistra e destra finanziarie che albergano sia nel PD che nel PDL. Ma …
Ma il golpe potrebbe trasformarsi anche nel suo contrario: in assenza di governo – come ha notato giustamente Grillo – si torna alla centralità del Parlamento, arena possibile per cominciare veramente ad affrontare i problemi dell’Italia giocando a carte scoperte.  Fuori i veri programmi ora, senza l’alibi della necessità di nuove elezioni per tornare a promettere l’abolizione dell’IMU che giusto ieri o l’altro ieri, in un talk show Gasparri ha svelato essere stata una falsa promessa elettorale.
A occhio e croce verranno fuori tre cose: primo, nel centrodestra e centrosinistra tradizionali, costretti a confrontarsi in aula su progetti concreti emergerà con più forza e più apertamente l’ala ‘finanziaria’ e ‘eurodogmatica’: una trasversalità meno compressa dai rispettivi vertici, più ‘libera’ di trescare assieme.
Secondo, verrà fuori la confusione dei e nei partiti: per esempio nel Pdl. E’ convincente l’editoriale de Il Giornale di Pasqua (la tesi del golpe, appunto), ma Sallusti a un certo punto scrive che Renzi è “avversario ben più ostico per il centrodestra”. Vero? Ma come mai allora è stata nominata  coordinatrice dell’organizzazione – in probabile concorrenza-alternativa sia ad Alfano sia al ‘congelato’ Sandro Bondi - proprio la Santanché, che durante le primarie PD tifava Renzi, in nome di un tragicomico ‘anticomunismo’ che aveva per obbiettivo il pericolosissimo bolscevico Bersani?  Che Sallusti menta o sbagli, bisogna vedere a ‘quale’ centrodestra si rivolge la sua battuta: quello dello “spirito del 94” quello opposto modello Abruzzo del banchiere Tancredi, il cui rinvio a giudizio per corruzione guarda caso non è citato nella inchiesta ‘regione per regione’ de l’Espresso  in edicola, o quello ‘elettorale’ di Berlusconi, lotta dura senza paura.
Infine è probabile un’ulteriore ascesa di Beppe Grillo. 5 stelle presenterà le proposte più radicali per uscire dalla crisi e su queste dovranno  confrontarsi gli altri partiti. Quanto poi durerà questo confronto in aula senza la formazione di un governo ‘vero’, che non sia quello Monti,  è da vedersi: è chiaro che re Giorgio  vede solo come un incidente di percorso la linea Grillo di dar la parola ai rappresentanti del popolo italiano. Forse aspetta solo che venga eletto il nuovo Presidente: i 10 saggi sono stati scelti probabilmente anche e soprattutto con questo obbiettivo, e c’è solo da sperare che i loro ‘consigli’ – Napolitano bis? D’Amato, il privatizzatore dell’industria di Stato nel 1992? Monti? O chi altro? – non trovino mai la maggioranza. Per l’Italia comincerebbero altri 7 anni di incubi, magari con una nuova guerra ‘legittima’ a cui partecipare. Come quella di Libia, che il Presidente sponsorizzo’ dall’inizio alla fine, la fine della guerra e la fine di Gheddafi, legittimamente linciato dai ‘liberatori’ della Jamahirya.

di Claudio Moffa 

01 aprile 2013

Anche Slovenia e Bulgaria sono vittime della strategia dell'UE della "terra bruciata"



  La lealtà nei confronti della folle politica dell'Unione Europea ha fatto cadere altri due governi. Il 20 febbraio si è dimesso il governo bulgaro del Premier Boiko Borisov a seguito di tre settimane di proteste di massa contro la sua politica di austerità, mentre una settimana dopo il Parlamento sloveno ha costretto alle dimissioni il primo ministro conservatore Janez Jansa accusato di corruzione.
Dilaga lo scontento in Slovenia, la cui appartenenza all'Eurozona è stata premiata con una crisi bancaria, una disoccupazione del 12% ed un'economia che cade nella recessione più rapidamente dell'Eurozona. Girano voci che il paese sarà presto costretto a chiedere aiuti per poter pagare 2 miliardi di Euro di debiti nei prossimi mesi. Alenka Bratusek, leader del Partito Socialista che è stata incaricata di formare un nuovo governo, ha dichiarato di essere contraria all'austerità e che "non ci sarà uno scenario greco in Slovenia". Se il suo tentativo fallirà si andrà ad elezioni anticipate.
In Bulgaria, il paese più povero dell'UE, il salario medio è di 250 Euro e la pensione media è di 130 Euro, il che fa proclamare ai funzionari UE che il paese ora è "competitivo". Le manifestazioni di piazza sono state scatenate dagli aumenti delle bollette della luce, ed hanno condotto alle dimissioni del Premier Borisov, con le nuove elezioni previste per il 12 maggio.
Borisov e il suo partito di destra GERB attuavano fanaticamente la politica di austerità dell'UE, così come la sua politica anti-nucleare ed anti-russa, al punto che Borisov ha annunciato l'interesse della Bulgaria nello stazionamento del sistema antimissile USA in Europa prima ancora che glielo chiedessero.
Prima di entrare a far parte dell'UE, la Bulgaria esportava il 14% della propria elettricità in Macedonia, Serbia e Grecia, ma come requisito per entrare a far parte dell'Unione è stata costretta a chiudere i blocchi 3 e 4 della centrale nucleare di Kozlouduy, che produceva la metà dell'energia elettrica. Per compensare la perdita di energia, si avviarono i lavori per una nuova centrale nucleare a Belene, con reattori russi di terza generazione. Il progetto di Belene era stato approvato sia dall'Agenzia Atomica Internazionale che dall'UE, e la tecnologia era considerata tra le più sicure al mondo. Ma poi, nel marzo 2012, il partito GERB, nel mezzo di una campagna di Greenpeace, Friends of the Earth ed altre ONG ha chiuso il progetto, benché la maggioranza della popolazione avesse votato a suo favore in gennaio in un referendum non vincolante organizzato dal Partito Socialista. Il reattore 1 sarà completato e trasferito a Kozlouduy.
L'ex ministro socialista dell'Economia e dell'Energia Petar Dimitrov ha ammonite che la cancellazione del progetto della centrale di Belene provocherà un aumento dei prezzi ad un livello "intollerabile" e costringerà la Bulgaria a diventare importatrice netta di energia. Inoltre l'UE ha imposto che il 16% dell'energia del paese provenga da fonti rinnovabili molto costose. E sia l'UE che l'amministrazione Obama pretendono che il paese riduca i propri rapporti con la russa Gazprom.

by (MoviSol)

03 aprile 2013

INPS al collasso: addio pensioni




  
   
Una azienda con un patrimonio di 41 miliardi che nel giro di un paio d'anni ne avesse persi così tanti da farlo scendere a soli 15, verrebbe considerata sana oppure oppure desterebbe se non altro l'interesse di andarne a capire il motivo? E ancora di più: nel caso in cui questa "azienda" fosse di importanza fondamentale non solo per i suoi azionisti ma per l'intero Paese del quale fa parte, sarebbe il caso, a livello informativo, di dare risalto alla notizia e di farla entrare nel dibattito pubblico? Le risposte sono scontate, ma le domande servono a introdurre l'argomento. Perché lo Stato del quale parliamo è l'Italia, e l'"azienda" con questi conti disastrati si chiama Inps.

L'istituto di previdenza, infatti, aveva a fine 2011 un patrimonio di 41 miliardi, come detto, il quale si è ridotto a soli 15 in 24 mesi. Ma è a livello tendenziale che le cose peggiorano e destano ancora più preoccupazione. 

Ci sono due elementi importanti da tenere in considerazione più un terzo che è addirittura determinante. 

Inpdap profondo rosso

Il primo, motivo principale di questo calo del patrimonio, è relativo alla fusione recente di Inpdap e Inps, cioè il fatto che il sistema pensionistico del settore pubblico sia stato fatto confluire all'interno di quello del settore privato (operazione datata appunto 2012). La fusione di questi due enti era stata prevista trionfalmente, comunicando che, per via dei tagli alle spese che tale operazione avrebbe comportato si sarebbero risparmiate alcune centinaia di milioni di euro. Cosa puntualmente ancora non verificata, visto che sia la prevista gestione unica degli immobili dei due enti sia la razionalizzazione del personale è ancora di là dal venire. 

Nel frattempo, però, questo matrimonio ha portato in dote al sistema pensionistico del settore privato oltre 10 miliardi di rosso, contribuendo ad affossare ancora di più le riserve originarie dell'Inps conteggiate a fine 2011.

Lo Stato moroso

Il secondo dato allarmante contiene una riflessione interessante, visto che, come si dice, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si prende. Dunque, il grande buco dell'Inpdap - che, ribadiamo, era l'ente pensionistico dei dipendenti del settore pubblico - dipende direttamente da un elemento chiave: le pubbliche amministrazioni, da tempo e in modo diffuso, non stanno pagando del tutto i contributi pensionistici dovuti dei propri dipendenti. Si tratta di una somma stimata in circa 30 miliardi, che grava ovviamente sul bilancio già fortemente compromesso dello Stato ma che, attenzione, non è ancora stato messo agli atti, visto che proprio mediante la fusione con l'Inps è stato, per il momento, occultato.

Ora, già il fatto che le amministrazioni pubbliche non stiano versando tutti i contributi dei dipendenti, cioè che lo Stato sia moroso verso se stesso e i suoi dipendenti, è cosa che dovrebbe chiarire da sola la situazione generale. Ma che ora - ed eccoci alla riflessione poco ortodossa accennata poc'anzi - vi sia stata questa misura di accorpamento tra Inpdap e Inps fa venire più di qualche dubbio. È come se - meglio: è - lo Stato avesse scelto di prendere un proprio ente in forte deficit (nel quale da una parte doveva far confluire alcune proprie spese, cioè i contributi dei dipendenti, e dall'altra far uscire altre spese, cioè l'erogazione delle pensioni) e lo avesse inserito, come un cavallo di troia malefico, nell'altro ente (l'Inps) in cui sono i privati a far confluire i propri contributi per unire il tutto in un calderone, prossimo al collasso, sul quale far gravare un fallimento complessivo. Tra un po', in altre parole, siccome l'Inps, con il patrimonio così drasticamente intaccato e con i conti tendenziali in rosso, non potrà più erogare le pensioni, si prenderà atto della cosa dimenticandosi che buona parte di questo scenario catastrofico dipende proprio dai mancati versamenti del settore pubblico. 

Baby boomers all'incasso (forse)

Il terzo elemento, anche in questo caso assente dal dibattito e dalle analisi attuali, risiede nella constatazione che proprio in questi anni, e per il prossimo quinquennio, c'è una enorme fetta del Paese a dover andare in pensione. Si tratta della generazione dei baby boomers. Di quelli, per intenderci, che negli anni Settanta tentarono la "rivoluzione" più celebrata che concreta. E che, "una volta al potere", al posto delle rivoluzioni si sono invece premurati di mettere al riparo i propri meri interessi. Oggi, in età pensionistica, appunto, sono in procinto di passare all'incasso. Se questa massa di persone fosse messa in grado di andare dritta in pensione così come giustamente previsto, l'Inps crollerebbe in modo definitivo nel giro di qualche anno appena. Ribadiamo, infatti, che già a fine 2013 il bilancio complessivo dell'Inps è atteso a poco oltre 15 miliardi. Dai 41 di fine 2011. 

Non solo: tutte le operazioni relative al sistema pensionistico degli ultimi anni a questo punto possono - e devono - essere interpretate alla luce dei dati che ora stanno venendo fuori, ma che evidentemente già anni addietro erano ben presenti all'interno degli ambienti politici. Nel luglio del 2010, sul Mensile, pubblicammo questo articolo: "In Pensione a 100 anni" . Oggi bisogna aggiornarlo. Il tentativo neanche troppo velato, almeno per chi voglia accorgersene, è quello di evitare proprio che persone possano andare in pensione. Il che si applica facendole lavorare il più a lungo possibile, spostando sempre in là la data in cui sarà possibile andare in pensione. Con questo si otterrà il risultato di aver fatto lavorare tutta la vita le persone, facendogli versare montagne di contributi, sino al punto in cui avranno davanti ancora pochissimi anni, una volta andate in pensione, per avere indietro dallo Stato solo una piccola parte di quanto versato. Sempre che non muoiano prima sulla scrivania del proprio posto di lavoro. 

I giovani sono completamente fuori

Parallelamente, il fatto che così tante persone non possano lasciare il posto di lavoro sino di fatto alla vecchiaia comporta anche l'assoluta mancanza di turnover, e dunque pochissimo accesso dei giovani al mondo del lavoro. Come stiamo puntualmente verificando. Questi, già penalizzati dalle riforme Fornero sul lavoro che hanno aumentato le già elevate sperequazioni precedenti, tra contratti da fame a 500 euro al mese e senza alcuna possibilità di accedere a un posto di lavoro degno di questo nome, in ogni caso, ora e domani, non saranno comunque in grado di versare contributi in quantità bastante a pagare le pensioni di chi, via via, in ritardo e alla fine, comunque (per ora: almeno secondo le norme attuali) in pensione poco alla volta ci sta andando.  

Il tutto, naturalmente, contribuisce a peggiorare il quadro già disastroso dell'Inps. 

Dobbiamo a questo punto necessariamente correggerci. A destare preoccupazione sono le cose incerte. Mentre qui si può tranquillamente parlare di una certezza: l'Inps sta finendo nel buco nero statale e dunque le pensioni non potranno essere più erogate a breve. Molto a breve, a meno di stravolgimenti sistemici (uscita dall'Euro e ripresa della sovranità monetaria, ad esempio) che per ora comunque non sono all'orizzonte. Il che apre scenari non preoccupanti, ma terrorizzanti. Nel silenzio generale di chi sa ma non vuole far sapere. 

Valerio Lo Monaco
Fonte: www.ilribelle.com

02 aprile 2013

I dieci saggi tra golpe Bilderberg e rivoluzione democratica






Che quello di Napolitano sia un mezzo golpe, un bis di quello che rovesciò Berlusconi nel novembre 2011, è credibile, anzi evidente: al di là del pasticcio del mezzo incarico a Bersani, l’affidare a 10 cosiddetti saggi la soluzione dello stallo parlamentare è una forzatura che punta ad ingabbiare la crisi entro i binari ristretti delle persone scelte per l’operazione:  5 o 6 esponenti targabili centrosinistra, e/o magistratura cosiddetta progressista, poteri bancari, establishment ufficiale. Nessun 5stelle, un solo Leghista e un piddiellino di nome Quagliarello, quello che pretende “più Europa” e non “più Italia” per uscire dalla crisi. Non c’è neanche, a mo’ di pendant più meno fittizio del piattino di re Giorgio, un sindacalista, un esponente dell’associazionismo dei consumatori, una qualche voce alternativa capace di parlare alla pancia del “Popolo sovrano”. Saggi a cui verrebbe affidata la designazione del nuovo ‘incaricato’, a loro immagine e somiglianza, finalizzata a una riedizione del governo Monti, con o senza Monti, facendo leva su quella sinistra e destra finanziarie che albergano sia nel PD che nel PDL. Ma …
Ma il golpe potrebbe trasformarsi anche nel suo contrario: in assenza di governo – come ha notato giustamente Grillo – si torna alla centralità del Parlamento, arena possibile per cominciare veramente ad affrontare i problemi dell’Italia giocando a carte scoperte.  Fuori i veri programmi ora, senza l’alibi della necessità di nuove elezioni per tornare a promettere l’abolizione dell’IMU che giusto ieri o l’altro ieri, in un talk show Gasparri ha svelato essere stata una falsa promessa elettorale.
A occhio e croce verranno fuori tre cose: primo, nel centrodestra e centrosinistra tradizionali, costretti a confrontarsi in aula su progetti concreti emergerà con più forza e più apertamente l’ala ‘finanziaria’ e ‘eurodogmatica’: una trasversalità meno compressa dai rispettivi vertici, più ‘libera’ di trescare assieme.
Secondo, verrà fuori la confusione dei e nei partiti: per esempio nel Pdl. E’ convincente l’editoriale de Il Giornale di Pasqua (la tesi del golpe, appunto), ma Sallusti a un certo punto scrive che Renzi è “avversario ben più ostico per il centrodestra”. Vero? Ma come mai allora è stata nominata  coordinatrice dell’organizzazione – in probabile concorrenza-alternativa sia ad Alfano sia al ‘congelato’ Sandro Bondi - proprio la Santanché, che durante le primarie PD tifava Renzi, in nome di un tragicomico ‘anticomunismo’ che aveva per obbiettivo il pericolosissimo bolscevico Bersani?  Che Sallusti menta o sbagli, bisogna vedere a ‘quale’ centrodestra si rivolge la sua battuta: quello dello “spirito del 94” quello opposto modello Abruzzo del banchiere Tancredi, il cui rinvio a giudizio per corruzione guarda caso non è citato nella inchiesta ‘regione per regione’ de l’Espresso  in edicola, o quello ‘elettorale’ di Berlusconi, lotta dura senza paura.
Infine è probabile un’ulteriore ascesa di Beppe Grillo. 5 stelle presenterà le proposte più radicali per uscire dalla crisi e su queste dovranno  confrontarsi gli altri partiti. Quanto poi durerà questo confronto in aula senza la formazione di un governo ‘vero’, che non sia quello Monti,  è da vedersi: è chiaro che re Giorgio  vede solo come un incidente di percorso la linea Grillo di dar la parola ai rappresentanti del popolo italiano. Forse aspetta solo che venga eletto il nuovo Presidente: i 10 saggi sono stati scelti probabilmente anche e soprattutto con questo obbiettivo, e c’è solo da sperare che i loro ‘consigli’ – Napolitano bis? D’Amato, il privatizzatore dell’industria di Stato nel 1992? Monti? O chi altro? – non trovino mai la maggioranza. Per l’Italia comincerebbero altri 7 anni di incubi, magari con una nuova guerra ‘legittima’ a cui partecipare. Come quella di Libia, che il Presidente sponsorizzo’ dall’inizio alla fine, la fine della guerra e la fine di Gheddafi, legittimamente linciato dai ‘liberatori’ della Jamahirya.

di Claudio Moffa 

01 aprile 2013

Anche Slovenia e Bulgaria sono vittime della strategia dell'UE della "terra bruciata"



  La lealtà nei confronti della folle politica dell'Unione Europea ha fatto cadere altri due governi. Il 20 febbraio si è dimesso il governo bulgaro del Premier Boiko Borisov a seguito di tre settimane di proteste di massa contro la sua politica di austerità, mentre una settimana dopo il Parlamento sloveno ha costretto alle dimissioni il primo ministro conservatore Janez Jansa accusato di corruzione.
Dilaga lo scontento in Slovenia, la cui appartenenza all'Eurozona è stata premiata con una crisi bancaria, una disoccupazione del 12% ed un'economia che cade nella recessione più rapidamente dell'Eurozona. Girano voci che il paese sarà presto costretto a chiedere aiuti per poter pagare 2 miliardi di Euro di debiti nei prossimi mesi. Alenka Bratusek, leader del Partito Socialista che è stata incaricata di formare un nuovo governo, ha dichiarato di essere contraria all'austerità e che "non ci sarà uno scenario greco in Slovenia". Se il suo tentativo fallirà si andrà ad elezioni anticipate.
In Bulgaria, il paese più povero dell'UE, il salario medio è di 250 Euro e la pensione media è di 130 Euro, il che fa proclamare ai funzionari UE che il paese ora è "competitivo". Le manifestazioni di piazza sono state scatenate dagli aumenti delle bollette della luce, ed hanno condotto alle dimissioni del Premier Borisov, con le nuove elezioni previste per il 12 maggio.
Borisov e il suo partito di destra GERB attuavano fanaticamente la politica di austerità dell'UE, così come la sua politica anti-nucleare ed anti-russa, al punto che Borisov ha annunciato l'interesse della Bulgaria nello stazionamento del sistema antimissile USA in Europa prima ancora che glielo chiedessero.
Prima di entrare a far parte dell'UE, la Bulgaria esportava il 14% della propria elettricità in Macedonia, Serbia e Grecia, ma come requisito per entrare a far parte dell'Unione è stata costretta a chiudere i blocchi 3 e 4 della centrale nucleare di Kozlouduy, che produceva la metà dell'energia elettrica. Per compensare la perdita di energia, si avviarono i lavori per una nuova centrale nucleare a Belene, con reattori russi di terza generazione. Il progetto di Belene era stato approvato sia dall'Agenzia Atomica Internazionale che dall'UE, e la tecnologia era considerata tra le più sicure al mondo. Ma poi, nel marzo 2012, il partito GERB, nel mezzo di una campagna di Greenpeace, Friends of the Earth ed altre ONG ha chiuso il progetto, benché la maggioranza della popolazione avesse votato a suo favore in gennaio in un referendum non vincolante organizzato dal Partito Socialista. Il reattore 1 sarà completato e trasferito a Kozlouduy.
L'ex ministro socialista dell'Economia e dell'Energia Petar Dimitrov ha ammonite che la cancellazione del progetto della centrale di Belene provocherà un aumento dei prezzi ad un livello "intollerabile" e costringerà la Bulgaria a diventare importatrice netta di energia. Inoltre l'UE ha imposto che il 16% dell'energia del paese provenga da fonti rinnovabili molto costose. E sia l'UE che l'amministrazione Obama pretendono che il paese riduca i propri rapporti con la russa Gazprom.

by (MoviSol)