16 giugno 2013

Destra e sinistra sono destinate a perire









Lunedi' pomeriggio ho acceso la Tv alle tre su La7 perchè era la prima a fare una trasmissione sul secondo turno delle amministrative. Per cinquanta minuti Enrico Mentana si è destreggiato a parlare di tutto tranne che del dato che interessava di più, l'affluenza alle urne, a quell'ora già disponibile al Viminale. Spazientito ho girato sulla Rai che peraltro questa volta, a differenza di precedenti, interminabili, maratone, ha dato scarso spazio al turno elettorale (e anche questo è un segnale). Finalmente al Tg1 delle otto abbiamo saputo che il 51,5% degli italiani non era andato a votare. Un meno 25,5% rispetto alle recenti politiche. Un risultato che sarebbe stato ancor più impressionante se 5Stelle non fosse stato presente in tre ballottaggi, sia pur in piccoli comuni, e se alcuni grillini, cioè elettori al limite dell'astensione, non si fossero recati, per disperazione, alle urne turandosi montellianamente il naso. A cio' vanno aggiunte le schede bianche e nulle, che il Viminale prudentemente non dà o nasconde fra le righe, ma che storicamente oscillano fra il milione e il milione e mezzo. Ancora più clamorosi sono i dati di Roma dove ha votato il 44,9% degli aventi diritto. Clamorosi non solo perchè l'affluenza è stata particolarmente infima, ma perchè a Roma sono concentrati gli apparati dei partiti che sono obbligati a votare pena la perdita del posto di lavoro. Insomma molto più di un italiano su due ha disertato le urne (o le ha riempite di bianche e di insulti) ma anche parecchi di quelli che vi sono andati lo hanno fatto di malavoglia. Questo pone un problema di legittimità democratica. Che legittimità, che credibilità puo' avere un sindaco che puo' contare su meno della metà della metà del consenso dei suoi cittadini? E il discorso vale, a maggior ragione, per le elezioni politiche, dove i partiti percentualmente conservano i consensi, e quindi paiono ancora vivi, ma in termini assoluti non fanno che perdere voti. Bisognerebbe mettere un quorum, come nei referendum. Altrimenti, andando avanti di questo passo, potremmo trovarci di fronte al paradosso che un 10% degli italiani governa su un 90% che gli è ostile.

Naturalmente i politici e gli opinionisti al loro seguito, oltre a dire frasi scontate tipo «dobbiamo riflettere su questo fenomeno», trovano mille giustificazioni per questo tracollo del consenso. La più utilizzata è che negli altri Paesi democratici l'affluenza è ancora più bassa. Ma noi abbiamo una storia diversa, di passione politica. Fino al 1979 andava a votare il 90%. Da allora c'è stata prima una lenta poi una sempre più rapida e innarestabile discesa. Inoltre sono diverse le ragioni dell'astensione. In Svizzera, in Germania, in Danimarca, in Svezia i cittadini che non vanno a votare lo fanno perchè hanno fiducia nelle proprie classi dirigenti, pensano che chiunque governi curerà comunque gli interessi del loro Paese. La nostra invece è una crisi di sfiducia. Nei confronti del sistema, del regime dei partiti e, in definitiva, della democrazia rappresentativa.
Infine c'è una questione più profonda che non riguarda solo l'Italia ma tutte le democrazie occidentali. Destra e sinistra, in cui si dividono i partiti, sono categorie politiche vecchie di due secoli e mezzo che non sono più in grado di comprendere le vere esigenze dell'uomo contemporaneo. Che, per quanto cio' possa suonar strano, particolarmente oggi, non sono economiche ma esistenziali. E quindi destra e sinistra sono destinate a perire, a parer mio abbastanza alla svelta, con quel modello di sviluppo economicista, nato con la Rivoluzione industriale, in cui sono cresciute e si sono affermate.


di Massimo Fini 

15 giugno 2013

I nuovi schiavi della "globalizzazione di Stato"


Ci aspettavamo francamente qualche reazione in più alle ultime notizie  sulle “morti bianche”,  provenienti dalla Cina. Muore un ragazzino  di 14 anni, Liu Fuzong, stroncato dai ritmi del lavoro, dodici ore al giorno, fino a quindici se la produzione lo richiede. Muoiono, suicidi, tre lavoratori della Foxcomm, azienda che assembla telefonini, per i ritmi alti e le pessime condizioni di lavoro. Punte d’iceberg di un’autentica mattanza che, nel 2010, ha provocato, in Cina, seicentomila morti per cause riconducibili a “stress da lavoro”. Numeri grandiosi  e storie terribili  su cui in Occidente il silenzio regna sovrano:  giusto la notizia e niente di più. Nessuna mobilitazione dei mass media, nessun commento preoccupato, nessuna manifestazione di solidarietà da parte dei sindacati. L’imbarazzo domina  sovrano, quasi che la Cina goda di un regime speciale, di una sorta di salvacondotto con duplice firma: quella di un capitalismo internazionale, a cui le delocalizzazioni servono per abbattere i costi di produzione e quella di una sinistra per la quale le vecchie appartenenze contano ancora e pesano psicologicamente (visto che comunque a governare è il Partito Comunista).
In  questo mondo, globalizzato e dove le notizie sono in presa diretta, la questione etica non può non dilatare i suoi confini, costringendo le nostre coscienze ad interrogarsi e a turbarsi per avvenimenti che sono apparentemente  lontani eppure ci sono vicinissimi, non solo perché li vediamo sui nostri schermi ma perché quelle merci, prodotte  nelle regioni della Cina profonda, fanno bella mostra nelle vetrine delle nostre città, per poi venire  da noi acquistate.
Non è di moda parlare di schiavitù. Eppure non c’è altro termine per definire la penosa condizione di milioni di lavoratori e lavoratrici costretti a “vendersi” per qualche spicciolo e per questo rischiare la vita, sotto la pressione dei ritmi imposti dalla produzione. Come per Liu Fuzong, il ragazzino di 14 anni. 
Formalmente la schiavitù non esiste. Ricacciata com’è stata negli oscuri meandri della storia, nelle immagini cinematografiche dei colossal d’annata, tra catene avvilenti e punizioni a colpi di frusta. Sotto la coltre rassicurante dei “diritti dell’uomo”, garantiti per tutti, il fenomeno più che scomparire sì è però modificato, adattandosi alle mutate condizioni socio-economiche del nuovo millennio.
Si è “aggiornato” non perdendo  la sua essenza dominatrice. Perciò ci appare ancora più  brutale di quanto non lo fosse nell’antichità, con il suo insinuarsi e dissimularsi tra le pieghe deboli del mondo moderno; “globale” proprio per la sua capacità di pervadere popoli lontani e diversi tra loro, di segnare destini individuali ed intere comunità (di giovani e di adulti, di uomini e di donne); “cinico” come le reti stese, sotto i balconi delle fabbriche cinesi,  per attutire i lanci suicidi; “anodino” come i formicai produttivi dai colori pastello.
E’ il grande paradosso schiavista di questi anni, così generosamente “liberal”. E’ il paradosso delle centinaia di migliaia di suicidi, dove ad essere polverizzato, insieme alle vite degli operai cinesi, è il falso umanitarismo occidentale, l’incapacità di uscire fuori dal perbenismo dei valori, il silenzio dei vertici istituzionali, tanto insensibili da arrivare a dire – come ha fatto la presidente della Camera, Laura Boldrini – di amare la Cina e di vestire cinese (“Camera con Laura”, intervista a “D-la Repubblica”, 26 aprile 2013).
Un maestro della cultura nazional-sociale, Ernesto Massi, alla fine degli Anni Quaranta del Novecento, così fissava la “questione sociale”: “Potremo ragionare di orientamenti economici quando ci saremo bene intesi sui fini sociali da raggiungere, che sono fini etici: perché il fine di ogni società è il perfezionamento dell’uomo e il bene comune. L’economia invece è la scienza dei mezzi, rispetto all’etica che è la scienza dei fini”.
Di questo “finalismo”, di fronte alle nuove, grandi questioni poste dalla globalizzazione, è inderogabile, oggi, farsi carico. E non solo per prenderne coscienza. Occorre finalmente attivare adeguati strumenti di controllo internazionale. Occorre che anche i sindacati occidentali facciano la loro parte, non lasciando da soli i “nuovi schiavi” del produttivismo globalizzato. Occorre mobilitare tutti gli strumenti informativi perché non siano  il silenzio o peggio il disincanto a trionfare.
Se il campo del confronto è il mercato, esso non può essere insomma lasciato, su scala mondiale, in balia di una lotta senza regole, dove a soccombere saranno sempre i più deboli, uccisi da un profitto senza  regole.



                                                                   di    Mario Bozzi Sentieri  

13 giugno 2013

Se la FED si "compra" l'Europa




La notizia è uscita molto in sordina qualche giorno addietro, e l'abbiamo commentata immediatamente in trasmissione su Raz24: la Fed, Banca Centrale Usa, starebbe pensando seriamente di intervenire sui mercati per acquistare dei titoli di Stato dei Paesi europei in difficoltà. 

Mentre in Europa si discute a non finire sull'operato della Banca Centrale Europea in merito agli "aiuti" indiretti agli Stati per calmierare l'ascesa dei tassi di interesse, proprio mediante l'acquisto di parte del debito pubblico dei vari Paesi, ora parrebbe che anche la Fed stia per intervenire in "nostro" soccorso.

Tutto parte, e per ora finisce, da una frase pronunciata da Ben Bernanke un po' di tempo addietro. Questa: «La Fed ha l'autorità per acquistare sia debito pubblico nazionale sia debito pubblico straniero»
In Italia è stata riportata pochissimo a suo tempo, ma ora iniziano alcune timide analisi in concomitanza con le turbolenze europee proprio su questo tema. Al di là della possibilità o meno che tale operazione possa avere inizio in grande stile, visto che è difficile che la Fed, una volta presa la decisione, lo faccia con interventi a basso profilo, è però tema che va analizzato a fondo. Perché nel caso le implicazioni per i Paesi europei sarebbero enormi.
Intanto chiariamo un punto: al momento, noi, non abbiamo ulteriori conferme dell'operazione, dunque invece di dare la cosa per certa salvo poi fare finta di nulla ove il tutto non dovesse concretizzarsi, preferiamo invece dedicarci ad alcune supposizioni in punta di logica. Anche perché queste, da sole, come vedremo sono più che sufficienti per avvalorare la tesi e le parole di Bernanke.
La cosa ha più di qualche reale possibilità, chiariamolo. Intanto perché la Federal Reserve, oltre alle operazioni monstre interne, cioè l'immissione di enormi masse di liquidità in Usa, già è attiva e praticamente da sempre sui mercati esteri. Poi perché, come cercheremo di spiegare, l'operazione rientra in una logica cristallina. 
Già a suo tempo la Fed intervenne in Europa concedendo denaro a varie Banche in difficoltà. Ma il passaggio ipotizzato verso un intervento anche sui titoli di Stato apre diversi altri scenari. Un conto è intervenire per acquistare parte delle Banche, un conto differente, come si intuisce, è invece andare ad acquistare parte dei debiti sovrani degli Stati. Questi ultimi, tra i quali il nostro, si troverebbero di fatto a essere "posseduti", quota parte, proprio dalla Fed. Nel momento in cui firmiamo delle cambiali, cioè, nello specifico, dei titoli di Stato, diventiamo debitori verso qualcuno, il che di fatto ha enorme influenza su di noi.
Prima sintesi parziale: se la Fed acquista il nostro debito pubblico, a meno che un giorno, o prima o poi, per un verso o per un altro, con un meccanismo o un altro, non decidiamo di ripudiarlo (cosa assai improbabile, vista la classe politica che ci governa e la cittadinanza che la vota) ciò significa che diveniamo in quota parte proprietà degli Stati Uniti d'America, attraverso la Banca Centrale Usa. Basta questo per far capire l'importanza di questa indiscrezione?
Detto dell'urgenza del tema, resta ora da capire, ma non è difficile farlo, il motivo per il quale la Federal Reserve sarebbe ben pronta a intervenire in Europa. Una volta snocciolati i vari motivi per i quali sarebbe in procinto di farlo non ci si stupirà più nel prendere tale indiscrezione come, in realtà, una operazione ormai già messa in cantiere.
Che motivi e benefici avrebbe dunque la Fed ad acquistare debito pubblico europeo? 
Tanti. Differenti. Importanti. E alla fine dei conti, decisivi.
Intanto per fare spese da noi dovrebbe acquistare Euro, visto che non potrebbe comperare direttamente in Dollari. Questo non solo non è un problema per la Fed, visto che può stampare Dollari secondo necessità, ma diventa anche un beneficio diretto. Dopo aver fatto un accordo di swap con la Bce per proseguire con l'operazione, semplicemente stamperebbe denaro per andare ad acquistare Euro che poi userebbe per comperare i titoli di Stato. Il beneficio diretto, sempre per loro, sia chiaro, è quello che così facendo si creerebbe una situazione di ulteriore aumento di circolazione per il Dollaro, peraltro senza creare, in questo caso, problemi inflazionistici. Aumentare la circolazione del Dollaro, ricordiamolo, gli sarebbe utile per evitare che salgano troppo i prezzi delle materie prime e del petrolio, che è un altro problema che al momento si trova a dover fronteggiare. Potrebbe, in tal caso, ridurre un po' il pompaggio interno di liquidità, che enormi pericolosità comunque le ha, e allo stesso tempo mantenere alto il valore di cambio delle altre monete rispetto al Dollaro. Ergo, gli Usa sarebbero, come effetto indiretto, avvantaggiati nelle esportazioni, con i benefici connessi all'economia interna.
Ma c'è anche il lato geopolitico, prima di passare a quello prettamente economico, finanziario e predatorio.
Andiamo per ordine. Gli Usa, soprattutto oggi, hanno assoluto bisogno che l'Europa non collassi economicamente e politicamente. La situazione attuale europea, disastrata dal punto di vista dell'occupazione e dunque della società nel suo complesso, è un problema enorme per gli Usa nel caso in cui essi dovessero intervenire militarmente in tanti scenari di guerra che si stanno aprendo, o che intende aprire per continuare a perseguire interessi da noi e in Medio Oriente. 
Rammentiamo cosa è successo con la Libia, ad esempio, o in Mali, dove complici le situazioni non felici dei Paesi europei ci sono state adesioni piuttosto timide agli interventi di fatto decisi dagli Usa. Ecco, ciò gli Stati Uniti non possono permetterselo. E ancora meno possono permettersi che l'Europa diventi a guida prettamente tedesca come in pratica avviene già da anni.
Per gli Usa l'Europa deve essere in buona salute e stabile, sia per essere utilizzata come mercato di sbocco per i prodotti statunitensi sia per essere usata alla bisogna come alleato strategico per perseguire gli interessi a stelle e strisce nel vecchio continente e ancora più a Oriente.
Dal punto di vista economico e finanziario, inoltre, le cose sono ancora più chiare. E più spietate, ovviamente: in Europa gli Usa possono venire a fare un mucchio di denaro. L'economia statunitense è alla strenua ricerca del rilancio e dell'aumento dell'occupazione. Ora, aprendo e tenendo vivi i mercati europei, sostenendo i debiti pubblici acquistando i titoli di Stato come ventilato da Bernanke, gli Usa beneficerebbero di milioni di nuovi posti di lavoro in patria. Da loro si produce di più, e si crea occupazione, perché l'Europa può iniziare nuovamente ad acquistare. Chiaro, no?
Ma non solo. Il punto dirimente, e pericoloso, è un altro. Questo: se la Fed "ci compera", allora la finanza statunitense può attivarsi ancora di più nella gestione delle nostre economie. Ribadiamolo: se il nostro debito pubblico è in loro mani, sono quelle mani che ci inizieranno a guidare sempre più direttamente. Da noi c'è da fare enormi affari a prezzi di saldo: le sofferenze bancarie e quelle immobiliari, ad esempio, sono note. E su queste si avventerebbero ancora di più gli Usa. Ma ancora: entrando a gamba tesa nel nostro continente, e facendolo forti dell'aiuto concessoci con l'acquisto dei titoli di Stato, gli Usa avrebbero gioco facile a imporsi presso di noi rispetto la deriva del momento. Spieghiamo: al momento tra Fondi sovrani arabi e investitori cinesi e russi, l'Europa sta finendo spacchettata nelle mani orientali. Gli Usa non solo non vogliono permetterlo, ma vogliono partecipare alla spartizione e fare fuori gli altri il più possibile.
Tradotto in parole semplici: gli Usa, mediante la Fed, userebbero come moneta di scambio, o meglio come ricatto, il fatto di sostenerci con l'acquisto dei titoli di Stato dei Paesi di difficoltà. E noi ci caleremmo le braghe su tutto il fronte.
Altro aspetto, anzi due, collegati all'operazione. Il primo: se si realizzasse questo scenario, tutto il rigore tedesco andrebbe a farsi benedire e la Germania sarebbe fatta fuori, dal punto di vista politico ed economico, rispetto allo scenario europeo che invece adesso domina. Resteranno calmi, dalle parti del Bundestag? Difficile crederlo. Il secondo: potrebbe innescarsi una "corsa all'aiuto". Perché mai, di fronte alle spese della Fed, dovrebbero rimanere ferme invece la Cina o il Giappone? E che effetti avrebbe una nuova corsa a sostenerci sull'economia interna?
Facile: tornerebbe una sorta di euforia e gli europei tornerebbero a fare acquisti felici, contenti e soprattutto ignari. Inconsapevoli di aver subito un nuovo piano Marshall, magari a doppia tenaglia - Usa e Cina - e questa volta con effetti definitivi sulla propria sovranità.
Ultima cosa, en passant. Non perdiamo di vista un punto cardine: la Fed starebbe per venire a fare acquisti in Europa con una operazione estremamente semplice e indolore per gli Usa e invece molto dolorosa per noi. Loro ci comprerebbero semplicemente stampando moneta dal nulla. Come le banconote del Monopoli, mentre noi saremmo legati a quel punto mani e piedi molto di più rispetto a quanto già non siamo adesso, dopo l'invasione europea della seconda guerra mondiale.

16 giugno 2013

Destra e sinistra sono destinate a perire









Lunedi' pomeriggio ho acceso la Tv alle tre su La7 perchè era la prima a fare una trasmissione sul secondo turno delle amministrative. Per cinquanta minuti Enrico Mentana si è destreggiato a parlare di tutto tranne che del dato che interessava di più, l'affluenza alle urne, a quell'ora già disponibile al Viminale. Spazientito ho girato sulla Rai che peraltro questa volta, a differenza di precedenti, interminabili, maratone, ha dato scarso spazio al turno elettorale (e anche questo è un segnale). Finalmente al Tg1 delle otto abbiamo saputo che il 51,5% degli italiani non era andato a votare. Un meno 25,5% rispetto alle recenti politiche. Un risultato che sarebbe stato ancor più impressionante se 5Stelle non fosse stato presente in tre ballottaggi, sia pur in piccoli comuni, e se alcuni grillini, cioè elettori al limite dell'astensione, non si fossero recati, per disperazione, alle urne turandosi montellianamente il naso. A cio' vanno aggiunte le schede bianche e nulle, che il Viminale prudentemente non dà o nasconde fra le righe, ma che storicamente oscillano fra il milione e il milione e mezzo. Ancora più clamorosi sono i dati di Roma dove ha votato il 44,9% degli aventi diritto. Clamorosi non solo perchè l'affluenza è stata particolarmente infima, ma perchè a Roma sono concentrati gli apparati dei partiti che sono obbligati a votare pena la perdita del posto di lavoro. Insomma molto più di un italiano su due ha disertato le urne (o le ha riempite di bianche e di insulti) ma anche parecchi di quelli che vi sono andati lo hanno fatto di malavoglia. Questo pone un problema di legittimità democratica. Che legittimità, che credibilità puo' avere un sindaco che puo' contare su meno della metà della metà del consenso dei suoi cittadini? E il discorso vale, a maggior ragione, per le elezioni politiche, dove i partiti percentualmente conservano i consensi, e quindi paiono ancora vivi, ma in termini assoluti non fanno che perdere voti. Bisognerebbe mettere un quorum, come nei referendum. Altrimenti, andando avanti di questo passo, potremmo trovarci di fronte al paradosso che un 10% degli italiani governa su un 90% che gli è ostile.

Naturalmente i politici e gli opinionisti al loro seguito, oltre a dire frasi scontate tipo «dobbiamo riflettere su questo fenomeno», trovano mille giustificazioni per questo tracollo del consenso. La più utilizzata è che negli altri Paesi democratici l'affluenza è ancora più bassa. Ma noi abbiamo una storia diversa, di passione politica. Fino al 1979 andava a votare il 90%. Da allora c'è stata prima una lenta poi una sempre più rapida e innarestabile discesa. Inoltre sono diverse le ragioni dell'astensione. In Svizzera, in Germania, in Danimarca, in Svezia i cittadini che non vanno a votare lo fanno perchè hanno fiducia nelle proprie classi dirigenti, pensano che chiunque governi curerà comunque gli interessi del loro Paese. La nostra invece è una crisi di sfiducia. Nei confronti del sistema, del regime dei partiti e, in definitiva, della democrazia rappresentativa.
Infine c'è una questione più profonda che non riguarda solo l'Italia ma tutte le democrazie occidentali. Destra e sinistra, in cui si dividono i partiti, sono categorie politiche vecchie di due secoli e mezzo che non sono più in grado di comprendere le vere esigenze dell'uomo contemporaneo. Che, per quanto cio' possa suonar strano, particolarmente oggi, non sono economiche ma esistenziali. E quindi destra e sinistra sono destinate a perire, a parer mio abbastanza alla svelta, con quel modello di sviluppo economicista, nato con la Rivoluzione industriale, in cui sono cresciute e si sono affermate.


di Massimo Fini 

15 giugno 2013

I nuovi schiavi della "globalizzazione di Stato"


Ci aspettavamo francamente qualche reazione in più alle ultime notizie  sulle “morti bianche”,  provenienti dalla Cina. Muore un ragazzino  di 14 anni, Liu Fuzong, stroncato dai ritmi del lavoro, dodici ore al giorno, fino a quindici se la produzione lo richiede. Muoiono, suicidi, tre lavoratori della Foxcomm, azienda che assembla telefonini, per i ritmi alti e le pessime condizioni di lavoro. Punte d’iceberg di un’autentica mattanza che, nel 2010, ha provocato, in Cina, seicentomila morti per cause riconducibili a “stress da lavoro”. Numeri grandiosi  e storie terribili  su cui in Occidente il silenzio regna sovrano:  giusto la notizia e niente di più. Nessuna mobilitazione dei mass media, nessun commento preoccupato, nessuna manifestazione di solidarietà da parte dei sindacati. L’imbarazzo domina  sovrano, quasi che la Cina goda di un regime speciale, di una sorta di salvacondotto con duplice firma: quella di un capitalismo internazionale, a cui le delocalizzazioni servono per abbattere i costi di produzione e quella di una sinistra per la quale le vecchie appartenenze contano ancora e pesano psicologicamente (visto che comunque a governare è il Partito Comunista).
In  questo mondo, globalizzato e dove le notizie sono in presa diretta, la questione etica non può non dilatare i suoi confini, costringendo le nostre coscienze ad interrogarsi e a turbarsi per avvenimenti che sono apparentemente  lontani eppure ci sono vicinissimi, non solo perché li vediamo sui nostri schermi ma perché quelle merci, prodotte  nelle regioni della Cina profonda, fanno bella mostra nelle vetrine delle nostre città, per poi venire  da noi acquistate.
Non è di moda parlare di schiavitù. Eppure non c’è altro termine per definire la penosa condizione di milioni di lavoratori e lavoratrici costretti a “vendersi” per qualche spicciolo e per questo rischiare la vita, sotto la pressione dei ritmi imposti dalla produzione. Come per Liu Fuzong, il ragazzino di 14 anni. 
Formalmente la schiavitù non esiste. Ricacciata com’è stata negli oscuri meandri della storia, nelle immagini cinematografiche dei colossal d’annata, tra catene avvilenti e punizioni a colpi di frusta. Sotto la coltre rassicurante dei “diritti dell’uomo”, garantiti per tutti, il fenomeno più che scomparire sì è però modificato, adattandosi alle mutate condizioni socio-economiche del nuovo millennio.
Si è “aggiornato” non perdendo  la sua essenza dominatrice. Perciò ci appare ancora più  brutale di quanto non lo fosse nell’antichità, con il suo insinuarsi e dissimularsi tra le pieghe deboli del mondo moderno; “globale” proprio per la sua capacità di pervadere popoli lontani e diversi tra loro, di segnare destini individuali ed intere comunità (di giovani e di adulti, di uomini e di donne); “cinico” come le reti stese, sotto i balconi delle fabbriche cinesi,  per attutire i lanci suicidi; “anodino” come i formicai produttivi dai colori pastello.
E’ il grande paradosso schiavista di questi anni, così generosamente “liberal”. E’ il paradosso delle centinaia di migliaia di suicidi, dove ad essere polverizzato, insieme alle vite degli operai cinesi, è il falso umanitarismo occidentale, l’incapacità di uscire fuori dal perbenismo dei valori, il silenzio dei vertici istituzionali, tanto insensibili da arrivare a dire – come ha fatto la presidente della Camera, Laura Boldrini – di amare la Cina e di vestire cinese (“Camera con Laura”, intervista a “D-la Repubblica”, 26 aprile 2013).
Un maestro della cultura nazional-sociale, Ernesto Massi, alla fine degli Anni Quaranta del Novecento, così fissava la “questione sociale”: “Potremo ragionare di orientamenti economici quando ci saremo bene intesi sui fini sociali da raggiungere, che sono fini etici: perché il fine di ogni società è il perfezionamento dell’uomo e il bene comune. L’economia invece è la scienza dei mezzi, rispetto all’etica che è la scienza dei fini”.
Di questo “finalismo”, di fronte alle nuove, grandi questioni poste dalla globalizzazione, è inderogabile, oggi, farsi carico. E non solo per prenderne coscienza. Occorre finalmente attivare adeguati strumenti di controllo internazionale. Occorre che anche i sindacati occidentali facciano la loro parte, non lasciando da soli i “nuovi schiavi” del produttivismo globalizzato. Occorre mobilitare tutti gli strumenti informativi perché non siano  il silenzio o peggio il disincanto a trionfare.
Se il campo del confronto è il mercato, esso non può essere insomma lasciato, su scala mondiale, in balia di una lotta senza regole, dove a soccombere saranno sempre i più deboli, uccisi da un profitto senza  regole.



                                                                   di    Mario Bozzi Sentieri  

13 giugno 2013

Se la FED si "compra" l'Europa




La notizia è uscita molto in sordina qualche giorno addietro, e l'abbiamo commentata immediatamente in trasmissione su Raz24: la Fed, Banca Centrale Usa, starebbe pensando seriamente di intervenire sui mercati per acquistare dei titoli di Stato dei Paesi europei in difficoltà. 

Mentre in Europa si discute a non finire sull'operato della Banca Centrale Europea in merito agli "aiuti" indiretti agli Stati per calmierare l'ascesa dei tassi di interesse, proprio mediante l'acquisto di parte del debito pubblico dei vari Paesi, ora parrebbe che anche la Fed stia per intervenire in "nostro" soccorso.

Tutto parte, e per ora finisce, da una frase pronunciata da Ben Bernanke un po' di tempo addietro. Questa: «La Fed ha l'autorità per acquistare sia debito pubblico nazionale sia debito pubblico straniero»
In Italia è stata riportata pochissimo a suo tempo, ma ora iniziano alcune timide analisi in concomitanza con le turbolenze europee proprio su questo tema. Al di là della possibilità o meno che tale operazione possa avere inizio in grande stile, visto che è difficile che la Fed, una volta presa la decisione, lo faccia con interventi a basso profilo, è però tema che va analizzato a fondo. Perché nel caso le implicazioni per i Paesi europei sarebbero enormi.
Intanto chiariamo un punto: al momento, noi, non abbiamo ulteriori conferme dell'operazione, dunque invece di dare la cosa per certa salvo poi fare finta di nulla ove il tutto non dovesse concretizzarsi, preferiamo invece dedicarci ad alcune supposizioni in punta di logica. Anche perché queste, da sole, come vedremo sono più che sufficienti per avvalorare la tesi e le parole di Bernanke.
La cosa ha più di qualche reale possibilità, chiariamolo. Intanto perché la Federal Reserve, oltre alle operazioni monstre interne, cioè l'immissione di enormi masse di liquidità in Usa, già è attiva e praticamente da sempre sui mercati esteri. Poi perché, come cercheremo di spiegare, l'operazione rientra in una logica cristallina. 
Già a suo tempo la Fed intervenne in Europa concedendo denaro a varie Banche in difficoltà. Ma il passaggio ipotizzato verso un intervento anche sui titoli di Stato apre diversi altri scenari. Un conto è intervenire per acquistare parte delle Banche, un conto differente, come si intuisce, è invece andare ad acquistare parte dei debiti sovrani degli Stati. Questi ultimi, tra i quali il nostro, si troverebbero di fatto a essere "posseduti", quota parte, proprio dalla Fed. Nel momento in cui firmiamo delle cambiali, cioè, nello specifico, dei titoli di Stato, diventiamo debitori verso qualcuno, il che di fatto ha enorme influenza su di noi.
Prima sintesi parziale: se la Fed acquista il nostro debito pubblico, a meno che un giorno, o prima o poi, per un verso o per un altro, con un meccanismo o un altro, non decidiamo di ripudiarlo (cosa assai improbabile, vista la classe politica che ci governa e la cittadinanza che la vota) ciò significa che diveniamo in quota parte proprietà degli Stati Uniti d'America, attraverso la Banca Centrale Usa. Basta questo per far capire l'importanza di questa indiscrezione?
Detto dell'urgenza del tema, resta ora da capire, ma non è difficile farlo, il motivo per il quale la Federal Reserve sarebbe ben pronta a intervenire in Europa. Una volta snocciolati i vari motivi per i quali sarebbe in procinto di farlo non ci si stupirà più nel prendere tale indiscrezione come, in realtà, una operazione ormai già messa in cantiere.
Che motivi e benefici avrebbe dunque la Fed ad acquistare debito pubblico europeo? 
Tanti. Differenti. Importanti. E alla fine dei conti, decisivi.
Intanto per fare spese da noi dovrebbe acquistare Euro, visto che non potrebbe comperare direttamente in Dollari. Questo non solo non è un problema per la Fed, visto che può stampare Dollari secondo necessità, ma diventa anche un beneficio diretto. Dopo aver fatto un accordo di swap con la Bce per proseguire con l'operazione, semplicemente stamperebbe denaro per andare ad acquistare Euro che poi userebbe per comperare i titoli di Stato. Il beneficio diretto, sempre per loro, sia chiaro, è quello che così facendo si creerebbe una situazione di ulteriore aumento di circolazione per il Dollaro, peraltro senza creare, in questo caso, problemi inflazionistici. Aumentare la circolazione del Dollaro, ricordiamolo, gli sarebbe utile per evitare che salgano troppo i prezzi delle materie prime e del petrolio, che è un altro problema che al momento si trova a dover fronteggiare. Potrebbe, in tal caso, ridurre un po' il pompaggio interno di liquidità, che enormi pericolosità comunque le ha, e allo stesso tempo mantenere alto il valore di cambio delle altre monete rispetto al Dollaro. Ergo, gli Usa sarebbero, come effetto indiretto, avvantaggiati nelle esportazioni, con i benefici connessi all'economia interna.
Ma c'è anche il lato geopolitico, prima di passare a quello prettamente economico, finanziario e predatorio.
Andiamo per ordine. Gli Usa, soprattutto oggi, hanno assoluto bisogno che l'Europa non collassi economicamente e politicamente. La situazione attuale europea, disastrata dal punto di vista dell'occupazione e dunque della società nel suo complesso, è un problema enorme per gli Usa nel caso in cui essi dovessero intervenire militarmente in tanti scenari di guerra che si stanno aprendo, o che intende aprire per continuare a perseguire interessi da noi e in Medio Oriente. 
Rammentiamo cosa è successo con la Libia, ad esempio, o in Mali, dove complici le situazioni non felici dei Paesi europei ci sono state adesioni piuttosto timide agli interventi di fatto decisi dagli Usa. Ecco, ciò gli Stati Uniti non possono permetterselo. E ancora meno possono permettersi che l'Europa diventi a guida prettamente tedesca come in pratica avviene già da anni.
Per gli Usa l'Europa deve essere in buona salute e stabile, sia per essere utilizzata come mercato di sbocco per i prodotti statunitensi sia per essere usata alla bisogna come alleato strategico per perseguire gli interessi a stelle e strisce nel vecchio continente e ancora più a Oriente.
Dal punto di vista economico e finanziario, inoltre, le cose sono ancora più chiare. E più spietate, ovviamente: in Europa gli Usa possono venire a fare un mucchio di denaro. L'economia statunitense è alla strenua ricerca del rilancio e dell'aumento dell'occupazione. Ora, aprendo e tenendo vivi i mercati europei, sostenendo i debiti pubblici acquistando i titoli di Stato come ventilato da Bernanke, gli Usa beneficerebbero di milioni di nuovi posti di lavoro in patria. Da loro si produce di più, e si crea occupazione, perché l'Europa può iniziare nuovamente ad acquistare. Chiaro, no?
Ma non solo. Il punto dirimente, e pericoloso, è un altro. Questo: se la Fed "ci compera", allora la finanza statunitense può attivarsi ancora di più nella gestione delle nostre economie. Ribadiamolo: se il nostro debito pubblico è in loro mani, sono quelle mani che ci inizieranno a guidare sempre più direttamente. Da noi c'è da fare enormi affari a prezzi di saldo: le sofferenze bancarie e quelle immobiliari, ad esempio, sono note. E su queste si avventerebbero ancora di più gli Usa. Ma ancora: entrando a gamba tesa nel nostro continente, e facendolo forti dell'aiuto concessoci con l'acquisto dei titoli di Stato, gli Usa avrebbero gioco facile a imporsi presso di noi rispetto la deriva del momento. Spieghiamo: al momento tra Fondi sovrani arabi e investitori cinesi e russi, l'Europa sta finendo spacchettata nelle mani orientali. Gli Usa non solo non vogliono permetterlo, ma vogliono partecipare alla spartizione e fare fuori gli altri il più possibile.
Tradotto in parole semplici: gli Usa, mediante la Fed, userebbero come moneta di scambio, o meglio come ricatto, il fatto di sostenerci con l'acquisto dei titoli di Stato dei Paesi di difficoltà. E noi ci caleremmo le braghe su tutto il fronte.
Altro aspetto, anzi due, collegati all'operazione. Il primo: se si realizzasse questo scenario, tutto il rigore tedesco andrebbe a farsi benedire e la Germania sarebbe fatta fuori, dal punto di vista politico ed economico, rispetto allo scenario europeo che invece adesso domina. Resteranno calmi, dalle parti del Bundestag? Difficile crederlo. Il secondo: potrebbe innescarsi una "corsa all'aiuto". Perché mai, di fronte alle spese della Fed, dovrebbero rimanere ferme invece la Cina o il Giappone? E che effetti avrebbe una nuova corsa a sostenerci sull'economia interna?
Facile: tornerebbe una sorta di euforia e gli europei tornerebbero a fare acquisti felici, contenti e soprattutto ignari. Inconsapevoli di aver subito un nuovo piano Marshall, magari a doppia tenaglia - Usa e Cina - e questa volta con effetti definitivi sulla propria sovranità.
Ultima cosa, en passant. Non perdiamo di vista un punto cardine: la Fed starebbe per venire a fare acquisti in Europa con una operazione estremamente semplice e indolore per gli Usa e invece molto dolorosa per noi. Loro ci comprerebbero semplicemente stampando moneta dal nulla. Come le banconote del Monopoli, mentre noi saremmo legati a quel punto mani e piedi molto di più rispetto a quanto già non siamo adesso, dopo l'invasione europea della seconda guerra mondiale.