22 settembre 2013

Mala tempora currunt








Tutti coloro fortemente convinti del fatto che l'Italia avesse toccato il fondo durante lo scorso autunno, quando il governo golpista di Mario Monti, dopo avere dissanguato il paese, si apprestava ad esalare l'ultimo respiro, devono avere ormai compreso come in realtà al peggio non ci sia mai fine ed esista sempre un buco più profondo nel quale sprofondare.
L'accanimento terapeutico con il quale il circo mediatico tenta di mantenere in vita il fantasma di Berlusconi, unitamente alle migliaia di pagine dedicate alle diatribe, in perfetto stile mafioso, che intercorrono all'interno del PD ed alla spettacolarizzazione di qualsiasi litigio da bar dello sport che abbia fra i protagonisti qualche esponente del bestiario politico nostrano, dimostrano inequivocabilmente come l'ordine impartito alla scuderia del mainstream sia in fondo uno solo. Nascondere la spazzatura sotto il tappeto ed inebetire il cervello (o quel che ne resta) degli italiani con un chiacchiericcio petulante, commisto ad alte dosi di disinformazione urlata, fino ad ottenere l'effetto cacofonico voluto....


Gli italiani devono continuare a vivere nel proprio mondo di fantasia, all'interno del quale scannarsi (metaforicamente) nell'attaccare o difendere il salapuzio di Arcore, quasi ne andasse della loro vita. Devono continuare a sentirsi di destra o di sinistra, attori di un mondo dicotomo dove gli altri sono sempre i "cattivi" e loro i "buoni". Devono vivere nel profondo convincimento che Enrico Letta guidi realmente il paese ed abbia titolo per decidere del loro futuro, per abbassare o alzare le tasse e prendere le decisioni economiche. Devono restare convinti del fatto che la loro crocetta conti veramente qualcosa, che il progetto europeo sia stato imbastito per il bene dei popoli, che a regolare le loro vite ci sia una carta chiamata Costituzione e che prima o poi sarà possibile scorgere una luce in fondo a quel tunnel che la TV chiama crisi.

Non esiste alcuno spazio per la realtà e agli italiani deve essere impedito con ogni mezzo di alzare il tappeto per guardare cosa c'è sotto. Potrebbero trovarci il progetto della nuova società globalizzata e mondialista, dove i governi servono a tavola una portata unica ed uguale per tutti, cucinata a Bruxelles ed a Washington. Potrebbero scoprire che Berlusconi, Letta, Renzi, Monti e qualsiasi altro mestierante della politica, non sono altro che marionette prive di qualsiasi potere che prescinda dal recitare il loro copione e rimpinguare il proprio conto in banca. Potrebbero realizzare che dopo l'esproprio coatto della sovranità nazionale, inizieranno gli espropri altrettanto coatti dei beni famigliari, perché nel mondo che verrà ( e sta arrivando a grandi falcate) ci sarà posto per due sole categorie: gli schiavi e coloro che usano la frusta, con pochissime fruste ed una moltitudine di schiene sanguinanti.

Molto meglio il mondo di fantasia, vissuto all'insegna dei facili convincimenti e con gli occhi fissi allo specchietto retrovisore. Ci sarà tempo per guardare avanti, quando le catene saranno strette per bene e non sarà più possibile alcun movimento.
 

di Marco Cedolin 

21 settembre 2013

L'Islanda non vuole più l'Europa, chiusi i negoziati con l'Ue





Il governo islandese sospende a tempo indeterminato le trattative per l'ingresso del paese nell'Unione europea. Lo stop ai colloqui di adesione ed un generale rifiuto delle politiche di austerità europee sono state il cavallo di battaglia della coalizione vincitrice durante la campagna elettorale e la promessa agli elettori e' stata mantenuta.

Islanda no Ue
A partire dal 12 settembre i negoziati per l’ingresso dell’isola all’interno della Ue sono ufficialmente sospesi a tempo indeterminato
L’Islanda e l’Europa si allontanano. Non geograficamente, s’intende: l’isoletta spersa nel mare del Nord resta sempre lì, a circa 1500 chilometri dalla Gran Bretagna. Ma politicamente, quello sì. Dall’interno dell’Althingi, il parlamento islandese, Bragi Sveinsson, ministro degli Esteri della coalizione di centro-destra al governo da aprile, ha messo un freno alla procedura di adesione dell’Isola all’Unione europea.
A partire dal 12 settembre i negoziati per l’ingresso dell’isola all’interno della Ue sono ufficialmente sospesi a tempo indeterminato. Lo stop ai colloqui di adesione ed un generale rifiuto delle politiche di austerità europee erano stato il cavallo di battaglia dei vincitori durante la campagna elettorale e la promessa agli elettori è stata mantenuta.
I negoziati non erano mai stati facili: c'erano alcune questioni spinose sulle quali l'isola avrebbe dovuto fare delle concessioni economiche a Bruxelles. L’Europa chiedeva all’Islanda di aderire alle normative europee relativamente a 30 punti, fra cui figuravano la libera circolazione di capitali, la politica economica e monetaria, le politiche di pesca e di sviluppo agricolo e rurale. Tutti punti su cui gli islandesi non sono più disposti a negoziare. Non dopo la crisi e le rivolte.
E poi c’era la denuncia pendente alla Corte di giustizia Ue per la bancarotta del 2008. E la questione del debito Icesave, per la quale l’Ue si era schierata a spada tratta a fianco di Inghilterra ed Olanda nel pretendere che il debito contratto dalla Landsbanki, banca privata ripubblicizzata in seguito alla crisi, venisse socializzato e gravasse sulle spalle dell’intera popolazione isolana.
La vittoria della coalizione di centro-destra alle ultime elezioni è passata anche, soprattutto, per la diffidenza degli islandesi nei confronti dell’Unione. Quella sovranità popolare che gli isolani si sono ripresi di fatto dopo la crisi, con le proteste prolungate che hanno portato alla caduta del governo nel 2009 ed il rifiuto di socializzare un debito ingiusto contratto da banche private, non verrà certo ceduta di nuovo in favore di Bruxelles.
Certo, è strano che a prendere questo genere di decisioni siano gli stessi partiti – e in parte gli stessi soggetti – che condussero il paese sull’orlo del baratro nel 2008. Ed il rischio che la questione europea venga strumentalizzata c’è. Ad esempio rischia di passare inosservato il fatto che, a distanza di quasi un anno, la nuova costituzione partecipata, simbolo stesso della “nuova Islanda”, approvata con un referendum dal popolo islandese nell’ottobre 2012, non abbia ancora passato il vaglio dell’Althingi. “Quale sarà il suo destino?”, si chiedono in molti; riuscirà mai ad entrare in vigore?

Tuttavia la decisione di sospendere i negoziati per entrare a far parte dell’Unione non può non essere condivisa. Nell’ottica degli islandesi, entrare in Europa rappresenterebbe una nuova fuga del potere e della sovranitàverso l’alto, verso luoghi distanti chilometri e chilometri di oceano. Una fuga che gli islandesi non vogliono permettere.
di Andrea Degl'Innocenti 

20 settembre 2013

Gli Stati Uniti giocano a monopoli, la Russia a scacchi




Gli Americani guardano ai vari pezzi del patrimonio immobiliare geopolitico come oggetti distinti l’uno dall’altro, mentre i Russi seguono l’interazione di tutte le loro sfere di interesse nel mondo. 

La Siria non è di alcun interesse strategico per la Russia e per altri. E’ un rottame di paese, con un economia irrimediabilmente compromessa, senza energia, acqua o cibo sufficienti da poter sostenere una fattibilità economica a lungo termine. 

Il miscuglio etnico lasciato dai cartografi britannici e francesi dopo la prima guerra mondiale, ha inevitabilmente prodotto, in seguito, una guerra di reciproco sterminio, che poteva avere come unico risultato il forte calo demografico e la spartizione territoriale sul modello iugoslavo. 



La sola importanza che ha la Siria risiede nella minaccia che la sua crisi possa debordare nelle aree limitrofe di maggiore importanza strategica. 

Vivaio di movimenti jihad, la Siria rischia di diventare terreno di addestramento di una nuova generazione di terroristi, lo stesso ruolo che ebbe l’Afghanistan negli anni ’90 e 2000.

Banco di prova per l’utilizzo di armi di distruzione di massa, la Siria rappresenta un laboratorio diplomatico, per verificare, con minimo rischio per le parti in causa, la risposta dei poteri mondiali ad atroci azioni criminali. 

E’ inoltre un’incubatrice di movimenti nazionali: esempio, la nuova libertà di azione conquistata dai due milioni di curdi nel paese rappresenta uno strumento di destabilizzazione per la Turchia e di altri paesi che hanno al loro interno minoranze curde. Inoltre, come fosse un ponte di comando per le guerre confessionali tra sunniti e sciiti, la Siria potrebbe diventare il trampolino di lancio per conflitti più estesi che potrebbero riguardare l’Iraq ed altri paesi dell’area. 

Io non so cosa cerchi Putin in Siria. A questo punto penso che il Presidente della Russia non lo sappia neanche lui. Un bravo giocatore di scacchi che si mette contro un avversario a lui inferiore, creerebbe delle complicazione senza un immediato obiettivo strategico, per provocare sbandamenti dell’altra parte e trarne vantaggi opportunistici. 

Ci sono molte cose che Putin vuole. Ma più di tutte, ce n’e’ una grossa a cui ambisce, e cioè ripristinare il ruolo di superpotenza della Russia. Ed il ruolo diplomatico della Russia in Siria apre la porta a diverse opzioni per il raggiungimento di questo scopo. 

Come maggioer produttore mondiale di energia, la Russia vuole accrescere il suo potere contrattuale verso l’Europa Occidentale, della quale è anche il maggior fornitore. 

Vuole influenzare il mercato del gas naturale prodotto da Israele e altri paesi del Mediterraneo orientale. 

Vuole che altri paesi produttori di energia diventino suoi dipendenti per quanto riguarda la sicurezza delle loro esportazioni. Vuole accrescere il suo ruolo di fornitore di attrezzature militari per sfidare gli F-35 e gli F-22 Americani specialmente con il suo nuovo caccia Sukhoi T-50. 

Vuole carta bianca nel controllo del terrorismo tra le minoranze musulmane nel Caucaso. 

E vuole mantenere la sua posizione d’influenza con la vicina Asia Centrale.

Alcuni commentatori americani si sono mostrati sorpresi e in alcuni casi sconvolti dalla pretesa della Russia di ergersi ad arbitro della crisi siriana. In effetti, il ruolo sempre più influente della Russia nell’area era già chiaro al momento in cui il Capo dell’Intelligence Saudita, il Principe Bandar, era volato a Mosca durante la prima settimana di Agosto per incontrare Putin. 

I Russi e i Sauditi hanno poi annunciato che avrebbero collaborato per stabilizzare il nuovo governo militare in Egitto, al contrario dell’amministrazione Obama. 
La Russia si è poi offerta di vendere all’Egitto qualsiasi arma che gli U.S.A. non gli avrebbe venduto, e l’Arabia Saudita si è offerta di pagarla.

E’ stata una vera rivoluzione diplomatica (1) senza precedenti. Non solo i Russi sono tornati in Egitto dopo 40 anni, dopo essere stati da lì cacciati durante la seconda guerra mondiale; ma ci sono tornati con un’alleanza tattica insieme all’Arabia Saudita, fino ad allora nemico storico nell’area.

L’Arabia Saudita ha un urgente bisogno di dare stabilità all’Egitto e di sopprimere i Fratelli Musulmani, che la monarchia saudita vede come un rischio alla sua legittimazione. 

Il sostegno Saudita all’esercito egiziano contro i Fratelli non deve sorprendere. Quello che invece sorprende è che i Sauditi abbiano sentito il bisogno di coinvolgere i Russi.

Benché ci siano delle ovvie ragioni di collaborazione tra Sauditi e Russi, ad esempio il controllo degli jihad all’interno dell’opposizione siriana, non si riescono ancora a capire tutte le implicazioni del loro riavvicinamento.

I Sauditi hanno fatto circolare la notizia che gli era stato chiesto dai Russi di comprare armi russe per un valore di $15 miliardi in cambio dell’aiuto con Assad. Voci di questo tipo non andrebbero prese alla lettera. Potrebbero essere fuorvianti. Ma fuorvianti verso cosa? 

La scacchiera di Putin comprende tutto il pianeta. Comprende cose come la sicurezza delle esportazioni di energia dal Golfo Persico, la trasmissione di petrolio e gas attraverso l’Asia Centrale; il mercato delle esportazioni di armi russe; contrattazioni energetiche tra Russia e Cina, ora in corso; la vulnerabilità delle forniture energetiche europee; e la stabilità interna di paesi limitrofi, compresa la Turchia, l’Iraq e l’Iran.

Per gli analisti americani, la gran parte di questa scacchiera potrebbe essere pure sul lato oscuro della luna. Noi vediamo solo quello che i russi ci permettono di vedere. 

Ad esempio, Mosca è stata la prima a offrire alla Siria un sistema di difesa aereo (S-300), ma poi ritirò l’offerta. Nei primi giorni di Agosto l’Arabia Saudita fece sapere che era pronta ad acquistare le armi russe del valore di 15 miliardi di dollari in cambio di supporto in Siria. E’ in corso quindi una trattativa di qualche tipo, ma non abbiamo alcuna idea di quanti e quali “bastoni e carote” essa comporti.

Quello che possiamo certamente desumere è che la Russia ha ora una maggiore influenza negli avvenimenti in Medio Oriente, compresa la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, cosa che ha sempre avuto fino dalla Guerra dello Yom Kippur del 1973. Per il momento, è negli interessi della Russia mantenere questo suo ruolo interlocutorio e far accrescere, nel frattempo, le sue varie opzioni strategiche. La Russia, in effetti, si è liberata del fardello dell’incertezza, scaricandolo addosso al resto del mondo, in particolare su quelle grandi economie che dipendono fortemente dalle esportazioni di energia dal Golfo Persico.

Evidentemente il Presidente Obama considera questa sistemazione favorevole per la sua “agenda”. Il Presidente non alcun interesse a promuovere ulteriormente nel mondo le posizioni strategiche dell’America; il suo scopo potrebbe forse essere quello di diminuirlo, come ha accusato Norman Podhoretz (2) la settimana scorsa sul Wall Street Journal, e come io stesso anticipai cinque anni fa (3). Obama è concentrato sulla sua agenda interna. 

Da questo punto di vista, scaricarsi la responsabilità del caos siriano è un esercizio semplice e senza alcun rischio. L’avversione degli americani per gli interventi militari esterni è talmente forte che accetterebbero qualsiasi cosa pur di ridurre la responsabilità statunitense all’estero. Anche se l’élite del Partito Democratico è internazionalista-liberale, l’elettorato di Obama non ha alcun interesse alla Siria.

Date le circostanze, i commenti pubblici sulla politica estera sono invece un esercizio altamente frustrante. Poichè l’America è una democrazia, e un importante impegno di risorse richiede un minimo di consenso pubblico, e finchè l’America ha dominato il campo, la diplomazia è stata piuttosto trasparente. Gruppi di studio, accademici e mezzi d’informazione fungevano da casse di risonanza per qualsiasi iniziativa importante, in modo che le decisioni cruciali fossero prese, almeno in parte, con il consenso del pubblico. Questo non accadrà sulla scacchiera di Vladimir Putin. La Russia perseguirà una serie di obbiettivi strategici, ma noi, occidentali, non sapremo quali fino a cose fatte, se mai lo sapremo davvero. 

Complicazioni potrebbero giungere dalla risposta degli altri “giocatori” possibili, in particolare, la Cina, ma anche il Giappone. L’auto-riduzione da parte dell’America della propria posizione strategica consente alla Russia di poter scegliere tra più opzioni, non solo una. Al contrario, la Russia può veder crescere la sua posizione e i suoi obiettivi strategici tra cui scegliere liberamente. E Putin, seduto, in silenzio, su un lato della scacchiera, farà andare l’orologio per la mossa del suo avversario. 

Putin, agendo in questo modo, ha prevenuto una simile strategia da parte dell’Occidente. Fyodor Lukanov (4) ha scritto in Marzo scorso sul sito Al Monitor: 

Dal punto di vista della leadership russa, la guerra in Iraq sembra essere stata l’inizio di un’accelerata distruzione della stabilità regionale e globale, un attacco agli ultimi principi di un ordine mondiale sostenibile. Tutto quello che è accaduto da allora - compreso il simpatizzare con gli Islamisti durante la Primavera Araba, le politiche statunitensi in Libia e quelle attuali in Siria – sono la prova della follia strategica che si è impossessata dell’ultima superpotenza rimasta.

La persistenza della Russia nel problema siriano è il prodotto di questa percezione. Il punto non è la simpatia per il dittatore siriano, tantomeno gli interessi commerciali e neanche le basi navali a Tartus.

Mosca è certa che se il continuo crollo dei regimi autoritari secolari avviene perchè l’America e l’Occidente sostengono la “democrazia”, si arriverà a un punto di tale destabilizzazione che tutti ne verranno compromessi, Russia compresa. Per la Russia è quindi necessario resistere, soprattutto in un momento in cui l’Occidente e gli Stati Uniti sono colti da dubbi crescenti.


E’ tipico dei Russi pensare che gli Americani pensano nel modo in cui agiscono, valutando ogni mossa nella misura in cui questa possa influenzare la loro posizione generale sulla scacchiera. La nozione che è l’incompetenza, più che la cospirazione, che spiega la maggior parte delle azioni americane è piuttosto estranea al pensiero russo. Qualsiasi cosa stia pensando il leader russo, in ogni caso, se la terrà per se stesso.

Dopo dodici anni di articoli di politica estera in quest’area, non ho davvero altro da dire. L’Amministrazione Obama ha consegnato l’iniziativa strategica nelle mani di paesi in cui le politiche vengono portate avanti notoriamente dietro un muro di opacità. Mi vengono in mente le parole di Robert Frost:

E per le brutte notizie, 
della destituzione di Belshazzar,
Perché mai correre a dirlo a Belshazzar 
se presto lo saprà lui stesso?


O una vecchia scenetta del primo Robin Williams che impersonava Jimmy Carter in un suo discorso alla nazione nell’imminenza della Terza Guerra Mondiale: “E’ tutto, buona notte, ora ve la vedete voi”.


di David P Goldman

Spengler è trasmesso da David P Goldman, Ricercatore Emerito al Centro di Ricerche Politiche di Londra, e Membro Associato del Forum sul Medio Oriente. Il suo libro: Come muoiono le civiltà (e perchè anche l’Islam sta morendo) è stato pubblicato da Regnery Press nel Settembre del 2011. Un suo volume di saggi su cultura, religione ed economia, Non è la fine del mondo, è solo la tua fine, è stato pubblicato nello stesso periodo da Van Praag Press.

Fonte: www.atimes.com
Link: http://www.atimes.com/atimes/World/WOR-01-160913.html
16.09.2013

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63

22 settembre 2013

Mala tempora currunt








Tutti coloro fortemente convinti del fatto che l'Italia avesse toccato il fondo durante lo scorso autunno, quando il governo golpista di Mario Monti, dopo avere dissanguato il paese, si apprestava ad esalare l'ultimo respiro, devono avere ormai compreso come in realtà al peggio non ci sia mai fine ed esista sempre un buco più profondo nel quale sprofondare.
L'accanimento terapeutico con il quale il circo mediatico tenta di mantenere in vita il fantasma di Berlusconi, unitamente alle migliaia di pagine dedicate alle diatribe, in perfetto stile mafioso, che intercorrono all'interno del PD ed alla spettacolarizzazione di qualsiasi litigio da bar dello sport che abbia fra i protagonisti qualche esponente del bestiario politico nostrano, dimostrano inequivocabilmente come l'ordine impartito alla scuderia del mainstream sia in fondo uno solo. Nascondere la spazzatura sotto il tappeto ed inebetire il cervello (o quel che ne resta) degli italiani con un chiacchiericcio petulante, commisto ad alte dosi di disinformazione urlata, fino ad ottenere l'effetto cacofonico voluto....


Gli italiani devono continuare a vivere nel proprio mondo di fantasia, all'interno del quale scannarsi (metaforicamente) nell'attaccare o difendere il salapuzio di Arcore, quasi ne andasse della loro vita. Devono continuare a sentirsi di destra o di sinistra, attori di un mondo dicotomo dove gli altri sono sempre i "cattivi" e loro i "buoni". Devono vivere nel profondo convincimento che Enrico Letta guidi realmente il paese ed abbia titolo per decidere del loro futuro, per abbassare o alzare le tasse e prendere le decisioni economiche. Devono restare convinti del fatto che la loro crocetta conti veramente qualcosa, che il progetto europeo sia stato imbastito per il bene dei popoli, che a regolare le loro vite ci sia una carta chiamata Costituzione e che prima o poi sarà possibile scorgere una luce in fondo a quel tunnel che la TV chiama crisi.

Non esiste alcuno spazio per la realtà e agli italiani deve essere impedito con ogni mezzo di alzare il tappeto per guardare cosa c'è sotto. Potrebbero trovarci il progetto della nuova società globalizzata e mondialista, dove i governi servono a tavola una portata unica ed uguale per tutti, cucinata a Bruxelles ed a Washington. Potrebbero scoprire che Berlusconi, Letta, Renzi, Monti e qualsiasi altro mestierante della politica, non sono altro che marionette prive di qualsiasi potere che prescinda dal recitare il loro copione e rimpinguare il proprio conto in banca. Potrebbero realizzare che dopo l'esproprio coatto della sovranità nazionale, inizieranno gli espropri altrettanto coatti dei beni famigliari, perché nel mondo che verrà ( e sta arrivando a grandi falcate) ci sarà posto per due sole categorie: gli schiavi e coloro che usano la frusta, con pochissime fruste ed una moltitudine di schiene sanguinanti.

Molto meglio il mondo di fantasia, vissuto all'insegna dei facili convincimenti e con gli occhi fissi allo specchietto retrovisore. Ci sarà tempo per guardare avanti, quando le catene saranno strette per bene e non sarà più possibile alcun movimento.
 

di Marco Cedolin 

21 settembre 2013

L'Islanda non vuole più l'Europa, chiusi i negoziati con l'Ue





Il governo islandese sospende a tempo indeterminato le trattative per l'ingresso del paese nell'Unione europea. Lo stop ai colloqui di adesione ed un generale rifiuto delle politiche di austerità europee sono state il cavallo di battaglia della coalizione vincitrice durante la campagna elettorale e la promessa agli elettori e' stata mantenuta.

Islanda no Ue
A partire dal 12 settembre i negoziati per l’ingresso dell’isola all’interno della Ue sono ufficialmente sospesi a tempo indeterminato
L’Islanda e l’Europa si allontanano. Non geograficamente, s’intende: l’isoletta spersa nel mare del Nord resta sempre lì, a circa 1500 chilometri dalla Gran Bretagna. Ma politicamente, quello sì. Dall’interno dell’Althingi, il parlamento islandese, Bragi Sveinsson, ministro degli Esteri della coalizione di centro-destra al governo da aprile, ha messo un freno alla procedura di adesione dell’Isola all’Unione europea.
A partire dal 12 settembre i negoziati per l’ingresso dell’isola all’interno della Ue sono ufficialmente sospesi a tempo indeterminato. Lo stop ai colloqui di adesione ed un generale rifiuto delle politiche di austerità europee erano stato il cavallo di battaglia dei vincitori durante la campagna elettorale e la promessa agli elettori è stata mantenuta.
I negoziati non erano mai stati facili: c'erano alcune questioni spinose sulle quali l'isola avrebbe dovuto fare delle concessioni economiche a Bruxelles. L’Europa chiedeva all’Islanda di aderire alle normative europee relativamente a 30 punti, fra cui figuravano la libera circolazione di capitali, la politica economica e monetaria, le politiche di pesca e di sviluppo agricolo e rurale. Tutti punti su cui gli islandesi non sono più disposti a negoziare. Non dopo la crisi e le rivolte.
E poi c’era la denuncia pendente alla Corte di giustizia Ue per la bancarotta del 2008. E la questione del debito Icesave, per la quale l’Ue si era schierata a spada tratta a fianco di Inghilterra ed Olanda nel pretendere che il debito contratto dalla Landsbanki, banca privata ripubblicizzata in seguito alla crisi, venisse socializzato e gravasse sulle spalle dell’intera popolazione isolana.
La vittoria della coalizione di centro-destra alle ultime elezioni è passata anche, soprattutto, per la diffidenza degli islandesi nei confronti dell’Unione. Quella sovranità popolare che gli isolani si sono ripresi di fatto dopo la crisi, con le proteste prolungate che hanno portato alla caduta del governo nel 2009 ed il rifiuto di socializzare un debito ingiusto contratto da banche private, non verrà certo ceduta di nuovo in favore di Bruxelles.
Certo, è strano che a prendere questo genere di decisioni siano gli stessi partiti – e in parte gli stessi soggetti – che condussero il paese sull’orlo del baratro nel 2008. Ed il rischio che la questione europea venga strumentalizzata c’è. Ad esempio rischia di passare inosservato il fatto che, a distanza di quasi un anno, la nuova costituzione partecipata, simbolo stesso della “nuova Islanda”, approvata con un referendum dal popolo islandese nell’ottobre 2012, non abbia ancora passato il vaglio dell’Althingi. “Quale sarà il suo destino?”, si chiedono in molti; riuscirà mai ad entrare in vigore?

Tuttavia la decisione di sospendere i negoziati per entrare a far parte dell’Unione non può non essere condivisa. Nell’ottica degli islandesi, entrare in Europa rappresenterebbe una nuova fuga del potere e della sovranitàverso l’alto, verso luoghi distanti chilometri e chilometri di oceano. Una fuga che gli islandesi non vogliono permettere.
di Andrea Degl'Innocenti 

20 settembre 2013

Gli Stati Uniti giocano a monopoli, la Russia a scacchi




Gli Americani guardano ai vari pezzi del patrimonio immobiliare geopolitico come oggetti distinti l’uno dall’altro, mentre i Russi seguono l’interazione di tutte le loro sfere di interesse nel mondo. 

La Siria non è di alcun interesse strategico per la Russia e per altri. E’ un rottame di paese, con un economia irrimediabilmente compromessa, senza energia, acqua o cibo sufficienti da poter sostenere una fattibilità economica a lungo termine. 

Il miscuglio etnico lasciato dai cartografi britannici e francesi dopo la prima guerra mondiale, ha inevitabilmente prodotto, in seguito, una guerra di reciproco sterminio, che poteva avere come unico risultato il forte calo demografico e la spartizione territoriale sul modello iugoslavo. 



La sola importanza che ha la Siria risiede nella minaccia che la sua crisi possa debordare nelle aree limitrofe di maggiore importanza strategica. 

Vivaio di movimenti jihad, la Siria rischia di diventare terreno di addestramento di una nuova generazione di terroristi, lo stesso ruolo che ebbe l’Afghanistan negli anni ’90 e 2000.

Banco di prova per l’utilizzo di armi di distruzione di massa, la Siria rappresenta un laboratorio diplomatico, per verificare, con minimo rischio per le parti in causa, la risposta dei poteri mondiali ad atroci azioni criminali. 

E’ inoltre un’incubatrice di movimenti nazionali: esempio, la nuova libertà di azione conquistata dai due milioni di curdi nel paese rappresenta uno strumento di destabilizzazione per la Turchia e di altri paesi che hanno al loro interno minoranze curde. Inoltre, come fosse un ponte di comando per le guerre confessionali tra sunniti e sciiti, la Siria potrebbe diventare il trampolino di lancio per conflitti più estesi che potrebbero riguardare l’Iraq ed altri paesi dell’area. 

Io non so cosa cerchi Putin in Siria. A questo punto penso che il Presidente della Russia non lo sappia neanche lui. Un bravo giocatore di scacchi che si mette contro un avversario a lui inferiore, creerebbe delle complicazione senza un immediato obiettivo strategico, per provocare sbandamenti dell’altra parte e trarne vantaggi opportunistici. 

Ci sono molte cose che Putin vuole. Ma più di tutte, ce n’e’ una grossa a cui ambisce, e cioè ripristinare il ruolo di superpotenza della Russia. Ed il ruolo diplomatico della Russia in Siria apre la porta a diverse opzioni per il raggiungimento di questo scopo. 

Come maggioer produttore mondiale di energia, la Russia vuole accrescere il suo potere contrattuale verso l’Europa Occidentale, della quale è anche il maggior fornitore. 

Vuole influenzare il mercato del gas naturale prodotto da Israele e altri paesi del Mediterraneo orientale. 

Vuole che altri paesi produttori di energia diventino suoi dipendenti per quanto riguarda la sicurezza delle loro esportazioni. Vuole accrescere il suo ruolo di fornitore di attrezzature militari per sfidare gli F-35 e gli F-22 Americani specialmente con il suo nuovo caccia Sukhoi T-50. 

Vuole carta bianca nel controllo del terrorismo tra le minoranze musulmane nel Caucaso. 

E vuole mantenere la sua posizione d’influenza con la vicina Asia Centrale.

Alcuni commentatori americani si sono mostrati sorpresi e in alcuni casi sconvolti dalla pretesa della Russia di ergersi ad arbitro della crisi siriana. In effetti, il ruolo sempre più influente della Russia nell’area era già chiaro al momento in cui il Capo dell’Intelligence Saudita, il Principe Bandar, era volato a Mosca durante la prima settimana di Agosto per incontrare Putin. 

I Russi e i Sauditi hanno poi annunciato che avrebbero collaborato per stabilizzare il nuovo governo militare in Egitto, al contrario dell’amministrazione Obama. 
La Russia si è poi offerta di vendere all’Egitto qualsiasi arma che gli U.S.A. non gli avrebbe venduto, e l’Arabia Saudita si è offerta di pagarla.

E’ stata una vera rivoluzione diplomatica (1) senza precedenti. Non solo i Russi sono tornati in Egitto dopo 40 anni, dopo essere stati da lì cacciati durante la seconda guerra mondiale; ma ci sono tornati con un’alleanza tattica insieme all’Arabia Saudita, fino ad allora nemico storico nell’area.

L’Arabia Saudita ha un urgente bisogno di dare stabilità all’Egitto e di sopprimere i Fratelli Musulmani, che la monarchia saudita vede come un rischio alla sua legittimazione. 

Il sostegno Saudita all’esercito egiziano contro i Fratelli non deve sorprendere. Quello che invece sorprende è che i Sauditi abbiano sentito il bisogno di coinvolgere i Russi.

Benché ci siano delle ovvie ragioni di collaborazione tra Sauditi e Russi, ad esempio il controllo degli jihad all’interno dell’opposizione siriana, non si riescono ancora a capire tutte le implicazioni del loro riavvicinamento.

I Sauditi hanno fatto circolare la notizia che gli era stato chiesto dai Russi di comprare armi russe per un valore di $15 miliardi in cambio dell’aiuto con Assad. Voci di questo tipo non andrebbero prese alla lettera. Potrebbero essere fuorvianti. Ma fuorvianti verso cosa? 

La scacchiera di Putin comprende tutto il pianeta. Comprende cose come la sicurezza delle esportazioni di energia dal Golfo Persico, la trasmissione di petrolio e gas attraverso l’Asia Centrale; il mercato delle esportazioni di armi russe; contrattazioni energetiche tra Russia e Cina, ora in corso; la vulnerabilità delle forniture energetiche europee; e la stabilità interna di paesi limitrofi, compresa la Turchia, l’Iraq e l’Iran.

Per gli analisti americani, la gran parte di questa scacchiera potrebbe essere pure sul lato oscuro della luna. Noi vediamo solo quello che i russi ci permettono di vedere. 

Ad esempio, Mosca è stata la prima a offrire alla Siria un sistema di difesa aereo (S-300), ma poi ritirò l’offerta. Nei primi giorni di Agosto l’Arabia Saudita fece sapere che era pronta ad acquistare le armi russe del valore di 15 miliardi di dollari in cambio di supporto in Siria. E’ in corso quindi una trattativa di qualche tipo, ma non abbiamo alcuna idea di quanti e quali “bastoni e carote” essa comporti.

Quello che possiamo certamente desumere è che la Russia ha ora una maggiore influenza negli avvenimenti in Medio Oriente, compresa la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, cosa che ha sempre avuto fino dalla Guerra dello Yom Kippur del 1973. Per il momento, è negli interessi della Russia mantenere questo suo ruolo interlocutorio e far accrescere, nel frattempo, le sue varie opzioni strategiche. La Russia, in effetti, si è liberata del fardello dell’incertezza, scaricandolo addosso al resto del mondo, in particolare su quelle grandi economie che dipendono fortemente dalle esportazioni di energia dal Golfo Persico.

Evidentemente il Presidente Obama considera questa sistemazione favorevole per la sua “agenda”. Il Presidente non alcun interesse a promuovere ulteriormente nel mondo le posizioni strategiche dell’America; il suo scopo potrebbe forse essere quello di diminuirlo, come ha accusato Norman Podhoretz (2) la settimana scorsa sul Wall Street Journal, e come io stesso anticipai cinque anni fa (3). Obama è concentrato sulla sua agenda interna. 

Da questo punto di vista, scaricarsi la responsabilità del caos siriano è un esercizio semplice e senza alcun rischio. L’avversione degli americani per gli interventi militari esterni è talmente forte che accetterebbero qualsiasi cosa pur di ridurre la responsabilità statunitense all’estero. Anche se l’élite del Partito Democratico è internazionalista-liberale, l’elettorato di Obama non ha alcun interesse alla Siria.

Date le circostanze, i commenti pubblici sulla politica estera sono invece un esercizio altamente frustrante. Poichè l’America è una democrazia, e un importante impegno di risorse richiede un minimo di consenso pubblico, e finchè l’America ha dominato il campo, la diplomazia è stata piuttosto trasparente. Gruppi di studio, accademici e mezzi d’informazione fungevano da casse di risonanza per qualsiasi iniziativa importante, in modo che le decisioni cruciali fossero prese, almeno in parte, con il consenso del pubblico. Questo non accadrà sulla scacchiera di Vladimir Putin. La Russia perseguirà una serie di obbiettivi strategici, ma noi, occidentali, non sapremo quali fino a cose fatte, se mai lo sapremo davvero. 

Complicazioni potrebbero giungere dalla risposta degli altri “giocatori” possibili, in particolare, la Cina, ma anche il Giappone. L’auto-riduzione da parte dell’America della propria posizione strategica consente alla Russia di poter scegliere tra più opzioni, non solo una. Al contrario, la Russia può veder crescere la sua posizione e i suoi obiettivi strategici tra cui scegliere liberamente. E Putin, seduto, in silenzio, su un lato della scacchiera, farà andare l’orologio per la mossa del suo avversario. 

Putin, agendo in questo modo, ha prevenuto una simile strategia da parte dell’Occidente. Fyodor Lukanov (4) ha scritto in Marzo scorso sul sito Al Monitor: 

Dal punto di vista della leadership russa, la guerra in Iraq sembra essere stata l’inizio di un’accelerata distruzione della stabilità regionale e globale, un attacco agli ultimi principi di un ordine mondiale sostenibile. Tutto quello che è accaduto da allora - compreso il simpatizzare con gli Islamisti durante la Primavera Araba, le politiche statunitensi in Libia e quelle attuali in Siria – sono la prova della follia strategica che si è impossessata dell’ultima superpotenza rimasta.

La persistenza della Russia nel problema siriano è il prodotto di questa percezione. Il punto non è la simpatia per il dittatore siriano, tantomeno gli interessi commerciali e neanche le basi navali a Tartus.

Mosca è certa che se il continuo crollo dei regimi autoritari secolari avviene perchè l’America e l’Occidente sostengono la “democrazia”, si arriverà a un punto di tale destabilizzazione che tutti ne verranno compromessi, Russia compresa. Per la Russia è quindi necessario resistere, soprattutto in un momento in cui l’Occidente e gli Stati Uniti sono colti da dubbi crescenti.


E’ tipico dei Russi pensare che gli Americani pensano nel modo in cui agiscono, valutando ogni mossa nella misura in cui questa possa influenzare la loro posizione generale sulla scacchiera. La nozione che è l’incompetenza, più che la cospirazione, che spiega la maggior parte delle azioni americane è piuttosto estranea al pensiero russo. Qualsiasi cosa stia pensando il leader russo, in ogni caso, se la terrà per se stesso.

Dopo dodici anni di articoli di politica estera in quest’area, non ho davvero altro da dire. L’Amministrazione Obama ha consegnato l’iniziativa strategica nelle mani di paesi in cui le politiche vengono portate avanti notoriamente dietro un muro di opacità. Mi vengono in mente le parole di Robert Frost:

E per le brutte notizie, 
della destituzione di Belshazzar,
Perché mai correre a dirlo a Belshazzar 
se presto lo saprà lui stesso?


O una vecchia scenetta del primo Robin Williams che impersonava Jimmy Carter in un suo discorso alla nazione nell’imminenza della Terza Guerra Mondiale: “E’ tutto, buona notte, ora ve la vedete voi”.


di David P Goldman

Spengler è trasmesso da David P Goldman, Ricercatore Emerito al Centro di Ricerche Politiche di Londra, e Membro Associato del Forum sul Medio Oriente. Il suo libro: Come muoiono le civiltà (e perchè anche l’Islam sta morendo) è stato pubblicato da Regnery Press nel Settembre del 2011. Un suo volume di saggi su cultura, religione ed economia, Non è la fine del mondo, è solo la tua fine, è stato pubblicato nello stesso periodo da Van Praag Press.

Fonte: www.atimes.com
Link: http://www.atimes.com/atimes/World/WOR-01-160913.html
16.09.2013

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63