07 ottobre 2013

L’altro miracolo italiano



  

Generalmente quando si sente parlare del Miracolo Italiano ci si riferisce ad un periodo storico tra gli anni Cinquanta e Sessanta in cui l'Italia si caratterizzò da una forte crescita economica affiancata da uno straordinario sviluppo tecnologico di profondo rilievo. In sé questa definizione da sussidiario delle scuole elementari di un tempo non aiuta più di tanto a mettere a fuoco il tutto: oggi ad esempio se usassimo gli stessi elementi di definizione potremmo contare almeno una dozzina di miracoli sul fronte economico da parte di altri paesi. Ciò che ha contraddistinto l'eccezionalità del risultato e della performance è infatti il contesto storico in cui tutto questo si è manifestato. Ricordiamo un paese sconfitto e dilaniato dal Secondo Conflitto Mondiale, ancora occupato da eserciti stranieri con  povertà e miseria che in qualche modo erano state mitigate con il programma di aiuto statunitensi, il noto Piano Marshall. Un paese ancora poco industrializzato e tecnologicamente arretrato con una ingente parte della popolazione  ancora a vocazione agricola. Ciò nonostante un insieme di circostanze aiutarono il nostro paese a realizzare quello che tutto il mondo ha prima ammirato e dopo battezzato il Miracolo Italiano. 

Per primo, la genetica italiana degli imprenditori italiani, unica al mondo per spirito di sacrificio e vocazione al rischio imprenditoriale: proprio in quel periodo vengono poste le basi per la nascita e lo sviluppo di grandi attività industriali. In secondo luogo abbiamo l'entrata dell'Italia nella Comunità Economica Europea che consente la rimozione dei vincoli protezionistici in numerosi settori produttivi: l'ingresso nel Mercato Comune genera una significativa spinta alle esportazioni italiani le quali diventano il volano principe di tutta l'economia nazionale. Infine la condizione più unica che rara dell'allora mercato del lavoro italiano costituito per la maggiore da disoccupati, braccianti e manovali dal basso costo di lavoro che rendevano pertanto molto competitiva e redditizia l'attività industriale: considerate che allora i sindacati non avevano un ruolo di ingerenza determinante e controproducente come avviene invece oggi. L'aumento della ricchezza delle famiglie generò un meccanismo virtuoso di ulteriore spinta economica indotta anche dai consumi interni (elettrodomestici, automobili, nuovo arredamento, nuove abitazioni e cosi via). 

Tutti in qualche modo hanno conosciuto il Miracolo Italiano, o sui libri di scuola o ne hanno visto le dimensioni all'interno di qualche videodocumentario storico, persino la stampa ed i media internazionali hanno riferimenti storici e socioeconomici sul Miracolo Italiano. In vero alcune testate giornalistiche sono anche profonde conoscitrici ed ammiratrici dell'Altro Miracolo Italiano, quel secondo miracolo per cui analizzando l'economia italiana non si capisce come mai quest'ultima non sia ancora fallita. Ci pensano e ci riflettono di continuo: qualsiasi altro paese al mondo sarebbe già fallito da anni e anni, ma l'Italia invece no, resiste ancora. Ecco l'Altro Miracolo Italiano. Solo grazie ad un miracolo è possibile spiegare come questa nazione non sia ancora fallita avendo avuto più di sessanta governi in oltre cinquant'anni, un paese in cui l'economia nazionale deve assecondare ed accettare la convivenza quotidiana con sei differenti mafie, un paese in cui i sindacati sono più potenti del governo, un paese in cui la giustizia non garantisce e tutela i creditori e gli investitori, un paese in cui vi sono ormai più di 4.5 milioni di immi-non-grati, un paese in cui gli imprenditori sono continuamente vessati dalla Pubblica Amministrazione. 

L'Altro Miracolo Italiano: come fa a non essere ancora fallito un paese con un sistema scolastico basato su ordinamenti ed insegnamenti medioevali in cui la maggior parte del corpo docente ha una preparazione ed impostazione da rivoluzionario sessantottino, un paese in cui la governance degli istituti bancari è detenuta da bancosauri e dalle fondazioni bancarie, un paese in cui nel panorama politico esistono ancora partiti che hanno come ideale politico il comunismo, un paese che  continua a dedicare attenzione a dismisura ad un decadente Silvio Berlusconi, un paese in cui la maggior parte degli anziani se ne strafegano del futuro di figli e nipoti tanto basta che ci sia la loro pensione e le cure gratis in ospedale, un paese che abroga il Ministero del Turismo avendo le potenzialità che tutto il mondo gli invidia, un paese che anno dopo anno sta subendo una lenta opera di penetrazione da parte dei suoi principali concorrenti ed infine un paese che si permette il lusso negli ultimi dodici mesi di dedicare tempo e riflessione politica per la stesura di leggi sull'omofobia ed il femminicidio al posto di redigere una nuova legge elettorale o un nuovo programma di defiscalizzazione per gli utili delle imprese.

di Eugenio Benetazzo

01 ottobre 2013

La Fed stampa dollari. I Brics comprano oro




Se bastasse creare dal nulla liquidità per rilanciare l’economia e uscire dalla crisi, saremmo da tempo nel paese di bengodi, soprattutto negli Usa. Ma così non è. 
Pertanto la recente decisione assunta della Federal Reserve di continuare ad immettere nel sistema nuova liquidità rivela semplicemente che essa non è più in grado di staccare la spina dell’alimentatore di risorse ad un sistema sempre più “drogato”. Certo le borse hanno risposto in modo vivace con l’aumento dei listini, ma non è detto che ciò sia un reale segnale positivo.
Infatti la stessa Fed, dopo il meeting del suo Open  Market Committee, ha dovuto ammettere che “se dovesse continuare l’irrigidimento delle condizioni finanziarie (con l’aumento dei tassi di interesse), osservato nei mesi recenti, il processo di miglioramento dell’economia e del mercato del lavoro potrebbe rallentare.”
L’inevitabile conseguenza di tale “filosofia”è che negli Usa si proseguirà con la “politica monetaria accomodante”, immettendo 85 miliardi di dollari al mese per comprare nuovi titoli del Tesoro e derivati asset-backed-security. 
Anche il governatore Bernanke, il cui mandato sta per scadere, ha ribadito che i “quantitative easing” continueranno fino a che negli Usa il tasso di disoccupazione non scenderà sotto il 6,5%. E questo si spera avvenga entro la fine del 2014, nel frattempo avremmo però circa 1.500 miliardi di nuovi dollari sui mercati internazionali.
Anche il bollettino trimestrale della Banca dei Regolamenti Internazionali di settembre solleva forti dubbi sugli “effetti benefici” dei “quantitative easing” e dettaglia invece le sue riverberazioni nefaste in particolare nelle economie emergenti. 
La BRI ricorda che quando lo scorso maggio la Fed ventilò appena l’ipotesi di un cambiamento di politica monetaria, gli interessi obbligazionari ebbero un’impennata con effetti negativi in molti settori finanziari e in varie parti del mondo. Vi fu una “corsa alla svendita” di titoli con una conseguente caduta dei prezzi. Il ritiro di capitali dai mercati emergenti provocò, come noto, una forte svalutazione di alcune loro monete. 
L’analisi della Bri sottolinea che, anche dopo le assicurazioni date dalla Fed, dalla Bce e dalla Bank of England lo scorso luglio, l’aumento dei tassi di interesse di lungo periodo è continuato in quanto i mercati si attendevano una stretta nelle condizioni finanziarie a livello mondiale.
La situazione è estremamente volatile. Nonostante questo aumento già di per sé destabilizzante, gli interessi a lungo termine restano comunque bassi e spingono la finanza a cercare prodotti e operazioni ad alto rischio. Di conseguenza è cresciuta l’immissione di bond e di prestiti nei settori finanziari più esposti e rischiosi. Proprio come accadde subito prima dell’esplosione della crisi finanziaria globale. Ad esempio, la percentuale dei “leveraged loans”, crediti molto simili ai subprime, e cioè quelli concessi a creditori già altamente indebitati e di dubbia affidabilità, ha già raggiunto il 45% del mercato dei “finanziamenti in pool” (quelli elargiti da un gruppo di banche). Si noti che tale percentuale è superiore del 10% rispetto ai precedenti massimi registrati prima del crac della Lehman. 
In contro tendenza, in verità bisogna osservare che le politiche monetarie dei Paesi del Brics e di altri importanti Paesi emergenti mirano ad aumentare le proprie riserve auree.
Si stima che nel 2013 la sola Cina dovrebbe comprare almeno 1.000 tonnellate di oro. Cina, Russia e India assieme potrebbero quindi acquistare circa il 70% di tutto l’oro prodotto nel 2013. Si rammenti che già nel 2012 la Russia ha aumentato le sue riserve aure dell’8,5% portandole ad un totale di circa 1.000 tonnellate. 
Non si tratta di una strana infatuazione per il metallo prezioso, ma di una coerente strategia monetaria e geo-economica. La maggioranza dei Paesi del mondo sa che il dollaro diventa ogni giorno più debole e instabile proprio per la continua creazione di nuovi biglietti verdi.
Siamo alla resa dei conti? Si arriverà in tempi brevi al famoso paniere di monete e di oro proposto dai Brics in sostituzione del dollaro? E l’Europa cos’ha da dire? 


di Mario Lettieri e Paolo Raimondi 

30 settembre 2013

Le armi chimiche segrete di Israele







Gli ispettori Onu, che controllano le armi chimiche della Siria, avrebbero molto più da fare se fossero inviati a controllare le armi nucleari, biologiche e chimiche (NBC) di Israele. Secondo le regole del «diritto internazionale», non possono però farlo. Israele non ha firmato il Trattato di non-proliferazione nucleare, né la Convenzione che vieta le armi biologiche, e ha firmato ma non ratificato quella che vieta le armi chimiche. Secondo «Jane's Defense Weekly», Israele - l'unica potenza nucleare in Medio Oriente - possiede da 100 a 300 testate e relativi vettori (missili balistici e da crociera e cacciabombardieri). Secondo stime Sipri, Israele ha prodotto 690-950 kg di plutonio, e continua a produrne tanto da fabbricare ogni anno 10-15 bombe tipo quella di Nagasaki. Produce anche trizio, gas radioattivo con cui si fabbricano testate neutroniche, che provocano minore contaminazione radioattiva ma più alta letalità. Secondo diversi rapporti internazionali, citati anche dal giornale israeliano «Haaretz», armi biologiche e chimiche vengono sviluppate all'Istituto per la ricerca biologica, situato a Ness-Ziona presso Tel Aviv. Ufficialmente fanno parte dello staff 160 scienziati e 170 tecnici, che da cinque decenni compiono ricerche di biologia, chimica, biochimica, biotecnologia, farmacologia, fisica e altre discipline scientifiche . L'Istituto, insieme al Centro nucleare di Dimona, è «una delle istituzioni più segrete di Israele» sotto la giurisdizione del primo ministro. La massima segretezza copre la ricerca sulle armi biologiche: batteri e virus che, disseminati nel paese nemico, possono scatenare epidemie. Tra questi il batterio della peste bubbonica (la «morte nera» del Medioevo) e il virus Ebola, contagioso e letale, per il quale non è disponibile alcuna terapia. Con la biotecnologia si possono produrre nuovi tipi di agenti patogeni verso i quali la popolazione bersaglio non è in grado di resistere, non disponendo del vaccino specifico. Vi sono anche seri indizi su ricerche per lo sviluppo di armi biologiche in grado di annientare nell'uomo il sistema immunitario. Ufficialmente l'Istituto israeliano compie ricerche su vaccini contro batteri e virus, come quelle sull'antrace finanziate dal Pentagono, ma è evidente che esse permettono di sviluppare nuovi agenti patogeni per uso bellico. Lo stesso espediente viene usato negli Stati uniti e in altri paesi per aggirare le Convenzioni che vietano le armi biologiche e chimiche. In Israele il manto di segretezza è stato in parte squarciato dall'inchiesta compiuta, con l'aiuto di scienziati, dal giornalista olandese Karel Knip. È emerso inoltre che sostanze tossiche sviluppate dall'Istituto sono state usate dal Mossad per assassinare dirigenti palestinesi. Testimonianze mediche indicano che, a Gaza e in Libano, le forze israeliane hanno usato armi di nuova concezione: lasciano intatto il corpo all'esterno ma, penetrandovi, devitalizzano i tessuti, carbonizzano il fegato e le ossa, coagulano il sangue. Ciò è possibile con la nanotecnologia, la scienza che progetta strutture microscopiche costruendole atomo per atomo. Allo sviluppo di tali armi contribuisce anche l'Italia, legata a Israele da un accordo di cooperazione militare e suo primo partner europeo nella ricerca & sviluppo. Nella finanziaria è previsto uno stanziamento annuo di 3 milioni di euro per progetti di ricerca congiunti italo-israeliani. Come quello, contenuto nell'ultimo bando della Farnesina, su «nuovi approcci per combattere gli agenti patogeni trattamento-resistenti». Così l'Istituto israeliano per la ricerca biologica potrà rendere gli agenti patogeni ancora più resistenti. 
di Manlio Dinucci 

07 ottobre 2013

L’altro miracolo italiano



  

Generalmente quando si sente parlare del Miracolo Italiano ci si riferisce ad un periodo storico tra gli anni Cinquanta e Sessanta in cui l'Italia si caratterizzò da una forte crescita economica affiancata da uno straordinario sviluppo tecnologico di profondo rilievo. In sé questa definizione da sussidiario delle scuole elementari di un tempo non aiuta più di tanto a mettere a fuoco il tutto: oggi ad esempio se usassimo gli stessi elementi di definizione potremmo contare almeno una dozzina di miracoli sul fronte economico da parte di altri paesi. Ciò che ha contraddistinto l'eccezionalità del risultato e della performance è infatti il contesto storico in cui tutto questo si è manifestato. Ricordiamo un paese sconfitto e dilaniato dal Secondo Conflitto Mondiale, ancora occupato da eserciti stranieri con  povertà e miseria che in qualche modo erano state mitigate con il programma di aiuto statunitensi, il noto Piano Marshall. Un paese ancora poco industrializzato e tecnologicamente arretrato con una ingente parte della popolazione  ancora a vocazione agricola. Ciò nonostante un insieme di circostanze aiutarono il nostro paese a realizzare quello che tutto il mondo ha prima ammirato e dopo battezzato il Miracolo Italiano. 

Per primo, la genetica italiana degli imprenditori italiani, unica al mondo per spirito di sacrificio e vocazione al rischio imprenditoriale: proprio in quel periodo vengono poste le basi per la nascita e lo sviluppo di grandi attività industriali. In secondo luogo abbiamo l'entrata dell'Italia nella Comunità Economica Europea che consente la rimozione dei vincoli protezionistici in numerosi settori produttivi: l'ingresso nel Mercato Comune genera una significativa spinta alle esportazioni italiani le quali diventano il volano principe di tutta l'economia nazionale. Infine la condizione più unica che rara dell'allora mercato del lavoro italiano costituito per la maggiore da disoccupati, braccianti e manovali dal basso costo di lavoro che rendevano pertanto molto competitiva e redditizia l'attività industriale: considerate che allora i sindacati non avevano un ruolo di ingerenza determinante e controproducente come avviene invece oggi. L'aumento della ricchezza delle famiglie generò un meccanismo virtuoso di ulteriore spinta economica indotta anche dai consumi interni (elettrodomestici, automobili, nuovo arredamento, nuove abitazioni e cosi via). 

Tutti in qualche modo hanno conosciuto il Miracolo Italiano, o sui libri di scuola o ne hanno visto le dimensioni all'interno di qualche videodocumentario storico, persino la stampa ed i media internazionali hanno riferimenti storici e socioeconomici sul Miracolo Italiano. In vero alcune testate giornalistiche sono anche profonde conoscitrici ed ammiratrici dell'Altro Miracolo Italiano, quel secondo miracolo per cui analizzando l'economia italiana non si capisce come mai quest'ultima non sia ancora fallita. Ci pensano e ci riflettono di continuo: qualsiasi altro paese al mondo sarebbe già fallito da anni e anni, ma l'Italia invece no, resiste ancora. Ecco l'Altro Miracolo Italiano. Solo grazie ad un miracolo è possibile spiegare come questa nazione non sia ancora fallita avendo avuto più di sessanta governi in oltre cinquant'anni, un paese in cui l'economia nazionale deve assecondare ed accettare la convivenza quotidiana con sei differenti mafie, un paese in cui i sindacati sono più potenti del governo, un paese in cui la giustizia non garantisce e tutela i creditori e gli investitori, un paese in cui vi sono ormai più di 4.5 milioni di immi-non-grati, un paese in cui gli imprenditori sono continuamente vessati dalla Pubblica Amministrazione. 

L'Altro Miracolo Italiano: come fa a non essere ancora fallito un paese con un sistema scolastico basato su ordinamenti ed insegnamenti medioevali in cui la maggior parte del corpo docente ha una preparazione ed impostazione da rivoluzionario sessantottino, un paese in cui la governance degli istituti bancari è detenuta da bancosauri e dalle fondazioni bancarie, un paese in cui nel panorama politico esistono ancora partiti che hanno come ideale politico il comunismo, un paese che  continua a dedicare attenzione a dismisura ad un decadente Silvio Berlusconi, un paese in cui la maggior parte degli anziani se ne strafegano del futuro di figli e nipoti tanto basta che ci sia la loro pensione e le cure gratis in ospedale, un paese che abroga il Ministero del Turismo avendo le potenzialità che tutto il mondo gli invidia, un paese che anno dopo anno sta subendo una lenta opera di penetrazione da parte dei suoi principali concorrenti ed infine un paese che si permette il lusso negli ultimi dodici mesi di dedicare tempo e riflessione politica per la stesura di leggi sull'omofobia ed il femminicidio al posto di redigere una nuova legge elettorale o un nuovo programma di defiscalizzazione per gli utili delle imprese.

di Eugenio Benetazzo

01 ottobre 2013

La Fed stampa dollari. I Brics comprano oro




Se bastasse creare dal nulla liquidità per rilanciare l’economia e uscire dalla crisi, saremmo da tempo nel paese di bengodi, soprattutto negli Usa. Ma così non è. 
Pertanto la recente decisione assunta della Federal Reserve di continuare ad immettere nel sistema nuova liquidità rivela semplicemente che essa non è più in grado di staccare la spina dell’alimentatore di risorse ad un sistema sempre più “drogato”. Certo le borse hanno risposto in modo vivace con l’aumento dei listini, ma non è detto che ciò sia un reale segnale positivo.
Infatti la stessa Fed, dopo il meeting del suo Open  Market Committee, ha dovuto ammettere che “se dovesse continuare l’irrigidimento delle condizioni finanziarie (con l’aumento dei tassi di interesse), osservato nei mesi recenti, il processo di miglioramento dell’economia e del mercato del lavoro potrebbe rallentare.”
L’inevitabile conseguenza di tale “filosofia”è che negli Usa si proseguirà con la “politica monetaria accomodante”, immettendo 85 miliardi di dollari al mese per comprare nuovi titoli del Tesoro e derivati asset-backed-security. 
Anche il governatore Bernanke, il cui mandato sta per scadere, ha ribadito che i “quantitative easing” continueranno fino a che negli Usa il tasso di disoccupazione non scenderà sotto il 6,5%. E questo si spera avvenga entro la fine del 2014, nel frattempo avremmo però circa 1.500 miliardi di nuovi dollari sui mercati internazionali.
Anche il bollettino trimestrale della Banca dei Regolamenti Internazionali di settembre solleva forti dubbi sugli “effetti benefici” dei “quantitative easing” e dettaglia invece le sue riverberazioni nefaste in particolare nelle economie emergenti. 
La BRI ricorda che quando lo scorso maggio la Fed ventilò appena l’ipotesi di un cambiamento di politica monetaria, gli interessi obbligazionari ebbero un’impennata con effetti negativi in molti settori finanziari e in varie parti del mondo. Vi fu una “corsa alla svendita” di titoli con una conseguente caduta dei prezzi. Il ritiro di capitali dai mercati emergenti provocò, come noto, una forte svalutazione di alcune loro monete. 
L’analisi della Bri sottolinea che, anche dopo le assicurazioni date dalla Fed, dalla Bce e dalla Bank of England lo scorso luglio, l’aumento dei tassi di interesse di lungo periodo è continuato in quanto i mercati si attendevano una stretta nelle condizioni finanziarie a livello mondiale.
La situazione è estremamente volatile. Nonostante questo aumento già di per sé destabilizzante, gli interessi a lungo termine restano comunque bassi e spingono la finanza a cercare prodotti e operazioni ad alto rischio. Di conseguenza è cresciuta l’immissione di bond e di prestiti nei settori finanziari più esposti e rischiosi. Proprio come accadde subito prima dell’esplosione della crisi finanziaria globale. Ad esempio, la percentuale dei “leveraged loans”, crediti molto simili ai subprime, e cioè quelli concessi a creditori già altamente indebitati e di dubbia affidabilità, ha già raggiunto il 45% del mercato dei “finanziamenti in pool” (quelli elargiti da un gruppo di banche). Si noti che tale percentuale è superiore del 10% rispetto ai precedenti massimi registrati prima del crac della Lehman. 
In contro tendenza, in verità bisogna osservare che le politiche monetarie dei Paesi del Brics e di altri importanti Paesi emergenti mirano ad aumentare le proprie riserve auree.
Si stima che nel 2013 la sola Cina dovrebbe comprare almeno 1.000 tonnellate di oro. Cina, Russia e India assieme potrebbero quindi acquistare circa il 70% di tutto l’oro prodotto nel 2013. Si rammenti che già nel 2012 la Russia ha aumentato le sue riserve aure dell’8,5% portandole ad un totale di circa 1.000 tonnellate. 
Non si tratta di una strana infatuazione per il metallo prezioso, ma di una coerente strategia monetaria e geo-economica. La maggioranza dei Paesi del mondo sa che il dollaro diventa ogni giorno più debole e instabile proprio per la continua creazione di nuovi biglietti verdi.
Siamo alla resa dei conti? Si arriverà in tempi brevi al famoso paniere di monete e di oro proposto dai Brics in sostituzione del dollaro? E l’Europa cos’ha da dire? 


di Mario Lettieri e Paolo Raimondi 

30 settembre 2013

Le armi chimiche segrete di Israele







Gli ispettori Onu, che controllano le armi chimiche della Siria, avrebbero molto più da fare se fossero inviati a controllare le armi nucleari, biologiche e chimiche (NBC) di Israele. Secondo le regole del «diritto internazionale», non possono però farlo. Israele non ha firmato il Trattato di non-proliferazione nucleare, né la Convenzione che vieta le armi biologiche, e ha firmato ma non ratificato quella che vieta le armi chimiche. Secondo «Jane's Defense Weekly», Israele - l'unica potenza nucleare in Medio Oriente - possiede da 100 a 300 testate e relativi vettori (missili balistici e da crociera e cacciabombardieri). Secondo stime Sipri, Israele ha prodotto 690-950 kg di plutonio, e continua a produrne tanto da fabbricare ogni anno 10-15 bombe tipo quella di Nagasaki. Produce anche trizio, gas radioattivo con cui si fabbricano testate neutroniche, che provocano minore contaminazione radioattiva ma più alta letalità. Secondo diversi rapporti internazionali, citati anche dal giornale israeliano «Haaretz», armi biologiche e chimiche vengono sviluppate all'Istituto per la ricerca biologica, situato a Ness-Ziona presso Tel Aviv. Ufficialmente fanno parte dello staff 160 scienziati e 170 tecnici, che da cinque decenni compiono ricerche di biologia, chimica, biochimica, biotecnologia, farmacologia, fisica e altre discipline scientifiche . L'Istituto, insieme al Centro nucleare di Dimona, è «una delle istituzioni più segrete di Israele» sotto la giurisdizione del primo ministro. La massima segretezza copre la ricerca sulle armi biologiche: batteri e virus che, disseminati nel paese nemico, possono scatenare epidemie. Tra questi il batterio della peste bubbonica (la «morte nera» del Medioevo) e il virus Ebola, contagioso e letale, per il quale non è disponibile alcuna terapia. Con la biotecnologia si possono produrre nuovi tipi di agenti patogeni verso i quali la popolazione bersaglio non è in grado di resistere, non disponendo del vaccino specifico. Vi sono anche seri indizi su ricerche per lo sviluppo di armi biologiche in grado di annientare nell'uomo il sistema immunitario. Ufficialmente l'Istituto israeliano compie ricerche su vaccini contro batteri e virus, come quelle sull'antrace finanziate dal Pentagono, ma è evidente che esse permettono di sviluppare nuovi agenti patogeni per uso bellico. Lo stesso espediente viene usato negli Stati uniti e in altri paesi per aggirare le Convenzioni che vietano le armi biologiche e chimiche. In Israele il manto di segretezza è stato in parte squarciato dall'inchiesta compiuta, con l'aiuto di scienziati, dal giornalista olandese Karel Knip. È emerso inoltre che sostanze tossiche sviluppate dall'Istituto sono state usate dal Mossad per assassinare dirigenti palestinesi. Testimonianze mediche indicano che, a Gaza e in Libano, le forze israeliane hanno usato armi di nuova concezione: lasciano intatto il corpo all'esterno ma, penetrandovi, devitalizzano i tessuti, carbonizzano il fegato e le ossa, coagulano il sangue. Ciò è possibile con la nanotecnologia, la scienza che progetta strutture microscopiche costruendole atomo per atomo. Allo sviluppo di tali armi contribuisce anche l'Italia, legata a Israele da un accordo di cooperazione militare e suo primo partner europeo nella ricerca & sviluppo. Nella finanziaria è previsto uno stanziamento annuo di 3 milioni di euro per progetti di ricerca congiunti italo-israeliani. Come quello, contenuto nell'ultimo bando della Farnesina, su «nuovi approcci per combattere gli agenti patogeni trattamento-resistenti». Così l'Istituto israeliano per la ricerca biologica potrà rendere gli agenti patogeni ancora più resistenti. 
di Manlio Dinucci