08 ottobre 2013

Lo storico Nico Perrone: “Salvare la Repubblica ritrovando la sovranità”







vittorianoEnrico Mattei ricompose – nell’Eni e nella sua galassia, incluso il quotidiano Il Giorno- la frattura del 1943. Fu anche merito suo se la patria, che non stava più tanto bene, sopravvisse fino al 1958, quando le urne dissero che la Dc avrebbe potuto governare solo con maggioranze a sinistra. Infatti era la Dc – non i suoi governi, tanto meno i suoi fatiscenti alleati del centro-destra – a dare il tono alla nazione, per la quale fu fatale la coalizione col Psi, con la conseguente reinvenzione della Resistenza come guerra civile, non come guerra patriottica di liberazione. L’alito letale di quell’operazione tardo-ciellenistica si diffuse con i telegiornali subito dopo il centenario (1961) dell’unità nazionale. Un anno dopo Mattei era morto: la crisi di Cuba, con incombente guerra nucleare, aveva infatti spinto certi Paesi a far pulizia in casa. Dagli spiriti liberi.
Restavano vivi i lacché, ma anche il ricordo dell’“ultimo fascista”, come definisce Mattei un eminente storico della I repubblica. E poi Mattei aveva lasciato allievi, che avevano lavorato con lui all’Eni, dove reduci di Rsi e Resistenza collaboravano come se il 1943 fosse – anche alla Farnesina lo si giudicava così – un incidente di percorso per una grande potenza, quale l’Italia si considerava ancora [quel che per la Francia era il 1940].
nico perroneNico Perrone era uno di loro. Finita quell’esperienza (senza Mattei, presto l’Eni non fu più la stessa cosa), Perrone divenne lo storico di quell’epoca non ancora di benessere, ma ancora certo di dignità, ciò che manca oggi ben più del denaro. Scrisse vite di Mattei in più riprese, per più editori, per più quotidiani, specie Il manifesto. Ogni volta con particolari in più, ogni volta con la stessa determinazione. Divenne docente di Storia dell’America all’Università di Bari. Ancor oggi lui, classe 1935, pubblica uno-due libri l’anno: l’ultimo è Progetto di un impero. 1823:perrone2l’annuncio dell’egemonia americana infiamma la Borsa (La città del sole, pp. 218, euro 20, ma su http://www.amazon.it/Progetto-Lannuncio-dellegemonia-americana-infiamma/dp/888292310X ). E’ la storia della “dottrina Monroe”, o l’America agli americani (degli Stati Uniti, ovviamente) e andrebbe letto insieme a Obama. Il peso delle promesse(edizionisettecolori@gmail.com): definiscono, insieme, le fondamenta teoriche del nostro presente e le sue conseguenze attuali. E ormai non si sa se sia bene superarle, perché ogni nuova egemonia è peggiore della precedente.obama

Signor Perrone, nel 2011 furono 150 anni di Unità; nel 2012 furono 50 anni dalla fine di Mattei; nel 2013 sono 70 anni dalla resa… L’Italia nacque per interessi francesi, s’allargò per interessi inglesi e tedeschi, resse all’irruzione nel Mediterraneo degli Usa, che ora declinano. La Germania li rimpiazza. E noi?
“Concordo in parte che le potenze straniere influirono sulla nascita dell’Italia unita. Ma l’ampliamento del disegno di conquista, fino a comprendere tutti i territori del Regno delle Due Sicilie, avvenne – sorprendendo lo stesso Camillo Benso di Cavour – a opera di Liborio Romano, ministro di polizia dei Borbone”.
Perché nessuno lo dice, tranne lei che gli ha dedicato un libro importante?
“I piemontesi non lo riconobbero – dal diario di Giuseppe Massari, fac totum di Cavour, furono strappate le pagine chiarificatrici di quel passaggio – e non si vuole ancora dirlo. Ma il territorio delle Due Sicilie, enorme, fece lievitare all’improvviso l’intero progetto oltre ogni ipotesi”.
Restiamo a un passato meno remoto.
“Cioè agli ultimi 70 anni, quelli con l’Italia sotto influenza?”.
Sì.
“Quest’epilogo è derivato da una guerra sciagurata e perduta. Col Paese in tali condizioni di dipendenza, le investiture al vertice della politica ne hanno risentito. Una situazione che ancor pesa: lo indicano certe consonanze della presidenza della Repubblica coi ‘consigli’ provenienti da quelle parti. E perfino dalla Germania…”.
… Uscita peggio dell’Italia dalla guerra e che ha rimpiazzato la Gran Bretagna come junior partner degli Usa, verso i quali la nostra sudditanza fu, fino al 1991, arginata da Vaticano e Urss. Come ora lo è da Vaticano e… Russia.
“I ruoli da ascari neo-coloniali, dal 1982 in poi, non ce li hanno imposti: li hanno decisi i politici italiani, con la benedizione dei vari presidenti della Repubblica, che hanno consentito (talora sollecitato) interventi armati che violavano la Costituzione”.
Tasto dolente.
“Il reale ruolo che la Costituzione assegna al presidente della Repubblica andrebbe discusso di fronte al suo superare i limiti costituzionali”.
L’Italia è ora una repubblica ereditaria. Napolitano succede a se stesso, Enrico Letta succede allo zio Gianni come factotum governativo, Marina Berlusconi succederà al padre a capo di un partito determinante. Invece il papato non è più a vita, come del resto le monarchie nordiche, spesso protestanti…
“L’Italia non è divenuta una repubblica ereditaria per il rinnovo del mandato – legittimo e voluto dai partiti – di un presidente. Ma è una repubblica ora politicamente assai povera, incapace di trovare un’altra soluzione al momento del rinnovo di quel presidente: così il suo campo d’azione s’è ampliato oltre i limiti costituzionali. Il caso dei Letta ha invece aspetti ridicoli e ha mostrato l’inconsistenza del nipote, che ha governato su delega di Berlusconi”.
Vanno in tv solo avatar nostrani di repubblicani o democratici degli Usa, e gruppi nati col loro avallo. Morale: prima si poteva dir tutto, perché non serviva a nulla; ora non si può dire nulla, mentre parlare servirebbe.
“Al di là delle grandi aggregazioni, per le altre espressioni politiche ci sono in effetti solo spazi di tolleranza. Attenti però ai grillini, che non si contentano di tolleranza”.
Pseudonimo di Germania & C., l’Ue dovrebbe, per l’attuale capo dello Stato, limare le unghie alla Nato. Ma – s’è visto contro la Serbia – solo per affiancarla come secondario strumento egemonico.
“Dobbiamo badare alla caratteristica fondamentale dell’Ue: l’ anti-democrazia. Proprio così! I controllori generali che essa mette sulla testa degli Stati nazionali non li ha votati nessuno. Questo è il pericolo vero. E non se ne parla quasi mai”.
Impassibili, le Camere approvano ogni direttiva dell’Ue. Con questa passività l’Italia ha smarrito la sovranità, cara a pochi, e il benessere, caro a tutti.

“E qui torniamo al punto di prima: ci hanno tolto la democrazia. La sovranità italiana è perduta: se davvero essa interessa a pochi, la prego di considerarmi fra questi pochi”.
di Maurizio Cabona

07 ottobre 2013

L’altro miracolo italiano



  

Generalmente quando si sente parlare del Miracolo Italiano ci si riferisce ad un periodo storico tra gli anni Cinquanta e Sessanta in cui l'Italia si caratterizzò da una forte crescita economica affiancata da uno straordinario sviluppo tecnologico di profondo rilievo. In sé questa definizione da sussidiario delle scuole elementari di un tempo non aiuta più di tanto a mettere a fuoco il tutto: oggi ad esempio se usassimo gli stessi elementi di definizione potremmo contare almeno una dozzina di miracoli sul fronte economico da parte di altri paesi. Ciò che ha contraddistinto l'eccezionalità del risultato e della performance è infatti il contesto storico in cui tutto questo si è manifestato. Ricordiamo un paese sconfitto e dilaniato dal Secondo Conflitto Mondiale, ancora occupato da eserciti stranieri con  povertà e miseria che in qualche modo erano state mitigate con il programma di aiuto statunitensi, il noto Piano Marshall. Un paese ancora poco industrializzato e tecnologicamente arretrato con una ingente parte della popolazione  ancora a vocazione agricola. Ciò nonostante un insieme di circostanze aiutarono il nostro paese a realizzare quello che tutto il mondo ha prima ammirato e dopo battezzato il Miracolo Italiano. 

Per primo, la genetica italiana degli imprenditori italiani, unica al mondo per spirito di sacrificio e vocazione al rischio imprenditoriale: proprio in quel periodo vengono poste le basi per la nascita e lo sviluppo di grandi attività industriali. In secondo luogo abbiamo l'entrata dell'Italia nella Comunità Economica Europea che consente la rimozione dei vincoli protezionistici in numerosi settori produttivi: l'ingresso nel Mercato Comune genera una significativa spinta alle esportazioni italiani le quali diventano il volano principe di tutta l'economia nazionale. Infine la condizione più unica che rara dell'allora mercato del lavoro italiano costituito per la maggiore da disoccupati, braccianti e manovali dal basso costo di lavoro che rendevano pertanto molto competitiva e redditizia l'attività industriale: considerate che allora i sindacati non avevano un ruolo di ingerenza determinante e controproducente come avviene invece oggi. L'aumento della ricchezza delle famiglie generò un meccanismo virtuoso di ulteriore spinta economica indotta anche dai consumi interni (elettrodomestici, automobili, nuovo arredamento, nuove abitazioni e cosi via). 

Tutti in qualche modo hanno conosciuto il Miracolo Italiano, o sui libri di scuola o ne hanno visto le dimensioni all'interno di qualche videodocumentario storico, persino la stampa ed i media internazionali hanno riferimenti storici e socioeconomici sul Miracolo Italiano. In vero alcune testate giornalistiche sono anche profonde conoscitrici ed ammiratrici dell'Altro Miracolo Italiano, quel secondo miracolo per cui analizzando l'economia italiana non si capisce come mai quest'ultima non sia ancora fallita. Ci pensano e ci riflettono di continuo: qualsiasi altro paese al mondo sarebbe già fallito da anni e anni, ma l'Italia invece no, resiste ancora. Ecco l'Altro Miracolo Italiano. Solo grazie ad un miracolo è possibile spiegare come questa nazione non sia ancora fallita avendo avuto più di sessanta governi in oltre cinquant'anni, un paese in cui l'economia nazionale deve assecondare ed accettare la convivenza quotidiana con sei differenti mafie, un paese in cui i sindacati sono più potenti del governo, un paese in cui la giustizia non garantisce e tutela i creditori e gli investitori, un paese in cui vi sono ormai più di 4.5 milioni di immi-non-grati, un paese in cui gli imprenditori sono continuamente vessati dalla Pubblica Amministrazione. 

L'Altro Miracolo Italiano: come fa a non essere ancora fallito un paese con un sistema scolastico basato su ordinamenti ed insegnamenti medioevali in cui la maggior parte del corpo docente ha una preparazione ed impostazione da rivoluzionario sessantottino, un paese in cui la governance degli istituti bancari è detenuta da bancosauri e dalle fondazioni bancarie, un paese in cui nel panorama politico esistono ancora partiti che hanno come ideale politico il comunismo, un paese che  continua a dedicare attenzione a dismisura ad un decadente Silvio Berlusconi, un paese in cui la maggior parte degli anziani se ne strafegano del futuro di figli e nipoti tanto basta che ci sia la loro pensione e le cure gratis in ospedale, un paese che abroga il Ministero del Turismo avendo le potenzialità che tutto il mondo gli invidia, un paese che anno dopo anno sta subendo una lenta opera di penetrazione da parte dei suoi principali concorrenti ed infine un paese che si permette il lusso negli ultimi dodici mesi di dedicare tempo e riflessione politica per la stesura di leggi sull'omofobia ed il femminicidio al posto di redigere una nuova legge elettorale o un nuovo programma di defiscalizzazione per gli utili delle imprese.

di Eugenio Benetazzo

01 ottobre 2013

La Fed stampa dollari. I Brics comprano oro




Se bastasse creare dal nulla liquidità per rilanciare l’economia e uscire dalla crisi, saremmo da tempo nel paese di bengodi, soprattutto negli Usa. Ma così non è. 
Pertanto la recente decisione assunta della Federal Reserve di continuare ad immettere nel sistema nuova liquidità rivela semplicemente che essa non è più in grado di staccare la spina dell’alimentatore di risorse ad un sistema sempre più “drogato”. Certo le borse hanno risposto in modo vivace con l’aumento dei listini, ma non è detto che ciò sia un reale segnale positivo.
Infatti la stessa Fed, dopo il meeting del suo Open  Market Committee, ha dovuto ammettere che “se dovesse continuare l’irrigidimento delle condizioni finanziarie (con l’aumento dei tassi di interesse), osservato nei mesi recenti, il processo di miglioramento dell’economia e del mercato del lavoro potrebbe rallentare.”
L’inevitabile conseguenza di tale “filosofia”è che negli Usa si proseguirà con la “politica monetaria accomodante”, immettendo 85 miliardi di dollari al mese per comprare nuovi titoli del Tesoro e derivati asset-backed-security. 
Anche il governatore Bernanke, il cui mandato sta per scadere, ha ribadito che i “quantitative easing” continueranno fino a che negli Usa il tasso di disoccupazione non scenderà sotto il 6,5%. E questo si spera avvenga entro la fine del 2014, nel frattempo avremmo però circa 1.500 miliardi di nuovi dollari sui mercati internazionali.
Anche il bollettino trimestrale della Banca dei Regolamenti Internazionali di settembre solleva forti dubbi sugli “effetti benefici” dei “quantitative easing” e dettaglia invece le sue riverberazioni nefaste in particolare nelle economie emergenti. 
La BRI ricorda che quando lo scorso maggio la Fed ventilò appena l’ipotesi di un cambiamento di politica monetaria, gli interessi obbligazionari ebbero un’impennata con effetti negativi in molti settori finanziari e in varie parti del mondo. Vi fu una “corsa alla svendita” di titoli con una conseguente caduta dei prezzi. Il ritiro di capitali dai mercati emergenti provocò, come noto, una forte svalutazione di alcune loro monete. 
L’analisi della Bri sottolinea che, anche dopo le assicurazioni date dalla Fed, dalla Bce e dalla Bank of England lo scorso luglio, l’aumento dei tassi di interesse di lungo periodo è continuato in quanto i mercati si attendevano una stretta nelle condizioni finanziarie a livello mondiale.
La situazione è estremamente volatile. Nonostante questo aumento già di per sé destabilizzante, gli interessi a lungo termine restano comunque bassi e spingono la finanza a cercare prodotti e operazioni ad alto rischio. Di conseguenza è cresciuta l’immissione di bond e di prestiti nei settori finanziari più esposti e rischiosi. Proprio come accadde subito prima dell’esplosione della crisi finanziaria globale. Ad esempio, la percentuale dei “leveraged loans”, crediti molto simili ai subprime, e cioè quelli concessi a creditori già altamente indebitati e di dubbia affidabilità, ha già raggiunto il 45% del mercato dei “finanziamenti in pool” (quelli elargiti da un gruppo di banche). Si noti che tale percentuale è superiore del 10% rispetto ai precedenti massimi registrati prima del crac della Lehman. 
In contro tendenza, in verità bisogna osservare che le politiche monetarie dei Paesi del Brics e di altri importanti Paesi emergenti mirano ad aumentare le proprie riserve auree.
Si stima che nel 2013 la sola Cina dovrebbe comprare almeno 1.000 tonnellate di oro. Cina, Russia e India assieme potrebbero quindi acquistare circa il 70% di tutto l’oro prodotto nel 2013. Si rammenti che già nel 2012 la Russia ha aumentato le sue riserve aure dell’8,5% portandole ad un totale di circa 1.000 tonnellate. 
Non si tratta di una strana infatuazione per il metallo prezioso, ma di una coerente strategia monetaria e geo-economica. La maggioranza dei Paesi del mondo sa che il dollaro diventa ogni giorno più debole e instabile proprio per la continua creazione di nuovi biglietti verdi.
Siamo alla resa dei conti? Si arriverà in tempi brevi al famoso paniere di monete e di oro proposto dai Brics in sostituzione del dollaro? E l’Europa cos’ha da dire? 


di Mario Lettieri e Paolo Raimondi 

08 ottobre 2013

Lo storico Nico Perrone: “Salvare la Repubblica ritrovando la sovranità”







vittorianoEnrico Mattei ricompose – nell’Eni e nella sua galassia, incluso il quotidiano Il Giorno- la frattura del 1943. Fu anche merito suo se la patria, che non stava più tanto bene, sopravvisse fino al 1958, quando le urne dissero che la Dc avrebbe potuto governare solo con maggioranze a sinistra. Infatti era la Dc – non i suoi governi, tanto meno i suoi fatiscenti alleati del centro-destra – a dare il tono alla nazione, per la quale fu fatale la coalizione col Psi, con la conseguente reinvenzione della Resistenza come guerra civile, non come guerra patriottica di liberazione. L’alito letale di quell’operazione tardo-ciellenistica si diffuse con i telegiornali subito dopo il centenario (1961) dell’unità nazionale. Un anno dopo Mattei era morto: la crisi di Cuba, con incombente guerra nucleare, aveva infatti spinto certi Paesi a far pulizia in casa. Dagli spiriti liberi.
Restavano vivi i lacché, ma anche il ricordo dell’“ultimo fascista”, come definisce Mattei un eminente storico della I repubblica. E poi Mattei aveva lasciato allievi, che avevano lavorato con lui all’Eni, dove reduci di Rsi e Resistenza collaboravano come se il 1943 fosse – anche alla Farnesina lo si giudicava così – un incidente di percorso per una grande potenza, quale l’Italia si considerava ancora [quel che per la Francia era il 1940].
nico perroneNico Perrone era uno di loro. Finita quell’esperienza (senza Mattei, presto l’Eni non fu più la stessa cosa), Perrone divenne lo storico di quell’epoca non ancora di benessere, ma ancora certo di dignità, ciò che manca oggi ben più del denaro. Scrisse vite di Mattei in più riprese, per più editori, per più quotidiani, specie Il manifesto. Ogni volta con particolari in più, ogni volta con la stessa determinazione. Divenne docente di Storia dell’America all’Università di Bari. Ancor oggi lui, classe 1935, pubblica uno-due libri l’anno: l’ultimo è Progetto di un impero. 1823:perrone2l’annuncio dell’egemonia americana infiamma la Borsa (La città del sole, pp. 218, euro 20, ma su http://www.amazon.it/Progetto-Lannuncio-dellegemonia-americana-infiamma/dp/888292310X ). E’ la storia della “dottrina Monroe”, o l’America agli americani (degli Stati Uniti, ovviamente) e andrebbe letto insieme a Obama. Il peso delle promesse(edizionisettecolori@gmail.com): definiscono, insieme, le fondamenta teoriche del nostro presente e le sue conseguenze attuali. E ormai non si sa se sia bene superarle, perché ogni nuova egemonia è peggiore della precedente.obama

Signor Perrone, nel 2011 furono 150 anni di Unità; nel 2012 furono 50 anni dalla fine di Mattei; nel 2013 sono 70 anni dalla resa… L’Italia nacque per interessi francesi, s’allargò per interessi inglesi e tedeschi, resse all’irruzione nel Mediterraneo degli Usa, che ora declinano. La Germania li rimpiazza. E noi?
“Concordo in parte che le potenze straniere influirono sulla nascita dell’Italia unita. Ma l’ampliamento del disegno di conquista, fino a comprendere tutti i territori del Regno delle Due Sicilie, avvenne – sorprendendo lo stesso Camillo Benso di Cavour – a opera di Liborio Romano, ministro di polizia dei Borbone”.
Perché nessuno lo dice, tranne lei che gli ha dedicato un libro importante?
“I piemontesi non lo riconobbero – dal diario di Giuseppe Massari, fac totum di Cavour, furono strappate le pagine chiarificatrici di quel passaggio – e non si vuole ancora dirlo. Ma il territorio delle Due Sicilie, enorme, fece lievitare all’improvviso l’intero progetto oltre ogni ipotesi”.
Restiamo a un passato meno remoto.
“Cioè agli ultimi 70 anni, quelli con l’Italia sotto influenza?”.
Sì.
“Quest’epilogo è derivato da una guerra sciagurata e perduta. Col Paese in tali condizioni di dipendenza, le investiture al vertice della politica ne hanno risentito. Una situazione che ancor pesa: lo indicano certe consonanze della presidenza della Repubblica coi ‘consigli’ provenienti da quelle parti. E perfino dalla Germania…”.
… Uscita peggio dell’Italia dalla guerra e che ha rimpiazzato la Gran Bretagna come junior partner degli Usa, verso i quali la nostra sudditanza fu, fino al 1991, arginata da Vaticano e Urss. Come ora lo è da Vaticano e… Russia.
“I ruoli da ascari neo-coloniali, dal 1982 in poi, non ce li hanno imposti: li hanno decisi i politici italiani, con la benedizione dei vari presidenti della Repubblica, che hanno consentito (talora sollecitato) interventi armati che violavano la Costituzione”.
Tasto dolente.
“Il reale ruolo che la Costituzione assegna al presidente della Repubblica andrebbe discusso di fronte al suo superare i limiti costituzionali”.
L’Italia è ora una repubblica ereditaria. Napolitano succede a se stesso, Enrico Letta succede allo zio Gianni come factotum governativo, Marina Berlusconi succederà al padre a capo di un partito determinante. Invece il papato non è più a vita, come del resto le monarchie nordiche, spesso protestanti…
“L’Italia non è divenuta una repubblica ereditaria per il rinnovo del mandato – legittimo e voluto dai partiti – di un presidente. Ma è una repubblica ora politicamente assai povera, incapace di trovare un’altra soluzione al momento del rinnovo di quel presidente: così il suo campo d’azione s’è ampliato oltre i limiti costituzionali. Il caso dei Letta ha invece aspetti ridicoli e ha mostrato l’inconsistenza del nipote, che ha governato su delega di Berlusconi”.
Vanno in tv solo avatar nostrani di repubblicani o democratici degli Usa, e gruppi nati col loro avallo. Morale: prima si poteva dir tutto, perché non serviva a nulla; ora non si può dire nulla, mentre parlare servirebbe.
“Al di là delle grandi aggregazioni, per le altre espressioni politiche ci sono in effetti solo spazi di tolleranza. Attenti però ai grillini, che non si contentano di tolleranza”.
Pseudonimo di Germania & C., l’Ue dovrebbe, per l’attuale capo dello Stato, limare le unghie alla Nato. Ma – s’è visto contro la Serbia – solo per affiancarla come secondario strumento egemonico.
“Dobbiamo badare alla caratteristica fondamentale dell’Ue: l’ anti-democrazia. Proprio così! I controllori generali che essa mette sulla testa degli Stati nazionali non li ha votati nessuno. Questo è il pericolo vero. E non se ne parla quasi mai”.
Impassibili, le Camere approvano ogni direttiva dell’Ue. Con questa passività l’Italia ha smarrito la sovranità, cara a pochi, e il benessere, caro a tutti.

“E qui torniamo al punto di prima: ci hanno tolto la democrazia. La sovranità italiana è perduta: se davvero essa interessa a pochi, la prego di considerarmi fra questi pochi”.
di Maurizio Cabona

07 ottobre 2013

L’altro miracolo italiano



  

Generalmente quando si sente parlare del Miracolo Italiano ci si riferisce ad un periodo storico tra gli anni Cinquanta e Sessanta in cui l'Italia si caratterizzò da una forte crescita economica affiancata da uno straordinario sviluppo tecnologico di profondo rilievo. In sé questa definizione da sussidiario delle scuole elementari di un tempo non aiuta più di tanto a mettere a fuoco il tutto: oggi ad esempio se usassimo gli stessi elementi di definizione potremmo contare almeno una dozzina di miracoli sul fronte economico da parte di altri paesi. Ciò che ha contraddistinto l'eccezionalità del risultato e della performance è infatti il contesto storico in cui tutto questo si è manifestato. Ricordiamo un paese sconfitto e dilaniato dal Secondo Conflitto Mondiale, ancora occupato da eserciti stranieri con  povertà e miseria che in qualche modo erano state mitigate con il programma di aiuto statunitensi, il noto Piano Marshall. Un paese ancora poco industrializzato e tecnologicamente arretrato con una ingente parte della popolazione  ancora a vocazione agricola. Ciò nonostante un insieme di circostanze aiutarono il nostro paese a realizzare quello che tutto il mondo ha prima ammirato e dopo battezzato il Miracolo Italiano. 

Per primo, la genetica italiana degli imprenditori italiani, unica al mondo per spirito di sacrificio e vocazione al rischio imprenditoriale: proprio in quel periodo vengono poste le basi per la nascita e lo sviluppo di grandi attività industriali. In secondo luogo abbiamo l'entrata dell'Italia nella Comunità Economica Europea che consente la rimozione dei vincoli protezionistici in numerosi settori produttivi: l'ingresso nel Mercato Comune genera una significativa spinta alle esportazioni italiani le quali diventano il volano principe di tutta l'economia nazionale. Infine la condizione più unica che rara dell'allora mercato del lavoro italiano costituito per la maggiore da disoccupati, braccianti e manovali dal basso costo di lavoro che rendevano pertanto molto competitiva e redditizia l'attività industriale: considerate che allora i sindacati non avevano un ruolo di ingerenza determinante e controproducente come avviene invece oggi. L'aumento della ricchezza delle famiglie generò un meccanismo virtuoso di ulteriore spinta economica indotta anche dai consumi interni (elettrodomestici, automobili, nuovo arredamento, nuove abitazioni e cosi via). 

Tutti in qualche modo hanno conosciuto il Miracolo Italiano, o sui libri di scuola o ne hanno visto le dimensioni all'interno di qualche videodocumentario storico, persino la stampa ed i media internazionali hanno riferimenti storici e socioeconomici sul Miracolo Italiano. In vero alcune testate giornalistiche sono anche profonde conoscitrici ed ammiratrici dell'Altro Miracolo Italiano, quel secondo miracolo per cui analizzando l'economia italiana non si capisce come mai quest'ultima non sia ancora fallita. Ci pensano e ci riflettono di continuo: qualsiasi altro paese al mondo sarebbe già fallito da anni e anni, ma l'Italia invece no, resiste ancora. Ecco l'Altro Miracolo Italiano. Solo grazie ad un miracolo è possibile spiegare come questa nazione non sia ancora fallita avendo avuto più di sessanta governi in oltre cinquant'anni, un paese in cui l'economia nazionale deve assecondare ed accettare la convivenza quotidiana con sei differenti mafie, un paese in cui i sindacati sono più potenti del governo, un paese in cui la giustizia non garantisce e tutela i creditori e gli investitori, un paese in cui vi sono ormai più di 4.5 milioni di immi-non-grati, un paese in cui gli imprenditori sono continuamente vessati dalla Pubblica Amministrazione. 

L'Altro Miracolo Italiano: come fa a non essere ancora fallito un paese con un sistema scolastico basato su ordinamenti ed insegnamenti medioevali in cui la maggior parte del corpo docente ha una preparazione ed impostazione da rivoluzionario sessantottino, un paese in cui la governance degli istituti bancari è detenuta da bancosauri e dalle fondazioni bancarie, un paese in cui nel panorama politico esistono ancora partiti che hanno come ideale politico il comunismo, un paese che  continua a dedicare attenzione a dismisura ad un decadente Silvio Berlusconi, un paese in cui la maggior parte degli anziani se ne strafegano del futuro di figli e nipoti tanto basta che ci sia la loro pensione e le cure gratis in ospedale, un paese che abroga il Ministero del Turismo avendo le potenzialità che tutto il mondo gli invidia, un paese che anno dopo anno sta subendo una lenta opera di penetrazione da parte dei suoi principali concorrenti ed infine un paese che si permette il lusso negli ultimi dodici mesi di dedicare tempo e riflessione politica per la stesura di leggi sull'omofobia ed il femminicidio al posto di redigere una nuova legge elettorale o un nuovo programma di defiscalizzazione per gli utili delle imprese.

di Eugenio Benetazzo

01 ottobre 2013

La Fed stampa dollari. I Brics comprano oro




Se bastasse creare dal nulla liquidità per rilanciare l’economia e uscire dalla crisi, saremmo da tempo nel paese di bengodi, soprattutto negli Usa. Ma così non è. 
Pertanto la recente decisione assunta della Federal Reserve di continuare ad immettere nel sistema nuova liquidità rivela semplicemente che essa non è più in grado di staccare la spina dell’alimentatore di risorse ad un sistema sempre più “drogato”. Certo le borse hanno risposto in modo vivace con l’aumento dei listini, ma non è detto che ciò sia un reale segnale positivo.
Infatti la stessa Fed, dopo il meeting del suo Open  Market Committee, ha dovuto ammettere che “se dovesse continuare l’irrigidimento delle condizioni finanziarie (con l’aumento dei tassi di interesse), osservato nei mesi recenti, il processo di miglioramento dell’economia e del mercato del lavoro potrebbe rallentare.”
L’inevitabile conseguenza di tale “filosofia”è che negli Usa si proseguirà con la “politica monetaria accomodante”, immettendo 85 miliardi di dollari al mese per comprare nuovi titoli del Tesoro e derivati asset-backed-security. 
Anche il governatore Bernanke, il cui mandato sta per scadere, ha ribadito che i “quantitative easing” continueranno fino a che negli Usa il tasso di disoccupazione non scenderà sotto il 6,5%. E questo si spera avvenga entro la fine del 2014, nel frattempo avremmo però circa 1.500 miliardi di nuovi dollari sui mercati internazionali.
Anche il bollettino trimestrale della Banca dei Regolamenti Internazionali di settembre solleva forti dubbi sugli “effetti benefici” dei “quantitative easing” e dettaglia invece le sue riverberazioni nefaste in particolare nelle economie emergenti. 
La BRI ricorda che quando lo scorso maggio la Fed ventilò appena l’ipotesi di un cambiamento di politica monetaria, gli interessi obbligazionari ebbero un’impennata con effetti negativi in molti settori finanziari e in varie parti del mondo. Vi fu una “corsa alla svendita” di titoli con una conseguente caduta dei prezzi. Il ritiro di capitali dai mercati emergenti provocò, come noto, una forte svalutazione di alcune loro monete. 
L’analisi della Bri sottolinea che, anche dopo le assicurazioni date dalla Fed, dalla Bce e dalla Bank of England lo scorso luglio, l’aumento dei tassi di interesse di lungo periodo è continuato in quanto i mercati si attendevano una stretta nelle condizioni finanziarie a livello mondiale.
La situazione è estremamente volatile. Nonostante questo aumento già di per sé destabilizzante, gli interessi a lungo termine restano comunque bassi e spingono la finanza a cercare prodotti e operazioni ad alto rischio. Di conseguenza è cresciuta l’immissione di bond e di prestiti nei settori finanziari più esposti e rischiosi. Proprio come accadde subito prima dell’esplosione della crisi finanziaria globale. Ad esempio, la percentuale dei “leveraged loans”, crediti molto simili ai subprime, e cioè quelli concessi a creditori già altamente indebitati e di dubbia affidabilità, ha già raggiunto il 45% del mercato dei “finanziamenti in pool” (quelli elargiti da un gruppo di banche). Si noti che tale percentuale è superiore del 10% rispetto ai precedenti massimi registrati prima del crac della Lehman. 
In contro tendenza, in verità bisogna osservare che le politiche monetarie dei Paesi del Brics e di altri importanti Paesi emergenti mirano ad aumentare le proprie riserve auree.
Si stima che nel 2013 la sola Cina dovrebbe comprare almeno 1.000 tonnellate di oro. Cina, Russia e India assieme potrebbero quindi acquistare circa il 70% di tutto l’oro prodotto nel 2013. Si rammenti che già nel 2012 la Russia ha aumentato le sue riserve aure dell’8,5% portandole ad un totale di circa 1.000 tonnellate. 
Non si tratta di una strana infatuazione per il metallo prezioso, ma di una coerente strategia monetaria e geo-economica. La maggioranza dei Paesi del mondo sa che il dollaro diventa ogni giorno più debole e instabile proprio per la continua creazione di nuovi biglietti verdi.
Siamo alla resa dei conti? Si arriverà in tempi brevi al famoso paniere di monete e di oro proposto dai Brics in sostituzione del dollaro? E l’Europa cos’ha da dire? 


di Mario Lettieri e Paolo Raimondi