30 settembre 2009

Se Cina e Giappone non acquistano il debito: l'Armageddon



Gli Stati Uniti sono troppo dipendenti dall’acquisto da parte di Cina e Giappone del debito nazionale e potrebbero dover affrontare seri problemi economici se questo cessasse, ha detto al CNBC il fondatore e presidente della Tiger Management Julian Robertson.

“È quasi un Armageddon se i Giapponesi e i Cinesi non acquistano il nostro debito”, ha detto Robertson in un’intervista. “Non so dove potremmo trovare il denaro. Credo che ci siamo messi in una situazione terribile e credo che dovremmo provare ad uscirne”.

Robertson ha detto che l’inflazione è un grosso rischio se i paesi esteri dovessero smettere di acquistare le obbligazioni.



“Se i Cinesi e i Giapponesi smettessero di acquistare le nostre obbligazioni, potremmo facilmente vedere [l’inflazione] andare dal 15 al 20 per cento” ha detto. “La questione non è l’economia. La questione è chi ci presterà il denaro se non lo faranno loro. Immaginatevi se ci trovassimo nella situazione di essere totalmente dipendenti da questi due paesi. È pazzesco”.

[Julian Robertson, fondatore della Tiger Management]

Robertson ha detto che anche se non crede che i Cinesi smetteranno di acquistare le obbligazioni degli USA, i Giapponesi potrebbero essere eventualmente costretti a vendere parte delle loro obbligazioni a lungo termine.

“Questo è molto peggio che non acquistare”, ha detto. “L’altra questione è che stanno acquistando quasi esclusivamente il debito a breve scadenza. Ed è quello che stiamo offrendo, perché non possiamo vendere il debito a lungo termine. E si sa, la storia insegna che chi contrae prestiti a breve termine si scotta sul serio”.

L’unico modo di evitare il problema, ha detto, è di “crescere e lasciarci una vita d’uscita”.

“Gli Stati Uniti devono smettere di spendere, incominciare a risparmiare, ridurre e ridimensionare” ha detto Robertson “finché non succederà questo, non credo che saremo affatto fuori dai guai”.

Robertson non è ottimista per il breve termine.

“Ci aspetta una slittata piuttosto violenta” ha detto. “penso realmente che la recessione sia finita, almeno temporaneamente. Ma non abbiamo preso in considerazione così tanti dei nostri problemi e stiamo prendendo in prestito così tanto denaro che non potremo possibilmente ripagarlo se i Cinesi e i Giapponesi non acquisteranno le nostre obbligazioni.”
Fonte: http://cnbc.com/

28 settembre 2009

Come la FED comprò gli economisti di professione



Stando all'indagine pubblicata sull'Huffington Post, la Riserva Federale ha esercitato così sistematicamente il suo controllo sui principali quotidiani economici della nazione americana che tiene in pugno quasi completamente gli economisti accademici. Benché l'articolo non lo dica, la Riserva Federale ha copiato quel che i britannici hanno fatto in altri campi del sapere, tra i quali spicca il campo delle scienze fisiche, nelle quali è impossibile pubblicare un proprio lavoro e dunque avanzare nella propria carriera, senza omaggiare quelle anti-scientifiche figure di culto come Sir Isaac Newton.

L'articolo intitolato "Senza prezzo: come la Riserva Federale comprò gli economisti di professione" dimostra in modo conclusivo che essa controlla gli economisti accademici attraverso le relazioni intrattenute con i guardiani dell’editoria. L'esempio emblematico è dato dal Journal of Monetary Economics, la cui redazione è per oltre la metà composta da membri sul libro paga della Riserva Federale, mentre il resto lo fu in passato.

La rassegna condotta da un gruppo di sette emimenti giornalisti presso l'Huffington Post ha trovato che 84 dei 190 membri di quella redazione erano affiliati, in un modo o nell'altro, alla Riserva Federale. "Provate a pubblicare un articolo critico della Riserva Federale con un direttore che lavora per essa", scrive James Galbraith. Periodici e pubblicazioni simili determinano, a turno, quali economisti debbano essere sostenuti e quali idee siano da considerarsi degne di rispetto.

L'articolo riferisce come Galbraith, un critico della "Fed", abbia sperimentato direttamente l'influenza dell'istituzione sull'accademia. Insieme a Olivier Giovannoni e Ann Russo, ha trovato che nell'anno precedente ogni elezione presidenziale si assiste ad un inasprimento della politica monetaria da parte della Riserva Federale se il presidente del momento è un democratico, mentre si assiste ad un addolcimento della stessa politica se si tratta di un repubblicano. Gli effetti sono entrambi significativi. Nel 2008 essi proposero alla Review of Economics and Statistics un articolo contenenti i loro risultati, che fu rifiutato.

Galbraith aggiunge: "Il redattore assegnato ad esso [l'articolo] si rivelò essere stipendiato dalla Fed e ciò accadde dopo che io ebbi richiesto che esso [l'articolo] non fosse assegnato a qualcuno affiliato con la Fed".

L'Huffington Post ha passato in rassegna le testate American Journal of Economics, Journal of Economic Perspectives, Journal of Economic Literature, American Economic Journal: Applied Economics, American Economic Journal: Economic Policy, Journal of Political Economy e Journal of Monetary Economics. Il gruppo di giornalisti ha anche verificato i legami con la Riserva Federale delle 190 persone impiegate da queste riviste. Delle 84 anzidette affiliate con la Riserva Federale in un certo momento della loro carriera, 21 erano sul libro paga mentre fungevano da gatekeeper di quelle riviste. Della redazione del Journal of Monetary Economics ogni singolo membro è o è stato affiliato con la Riserva Federale, mentre 14 dei 36 membri della redazione sono al momento nel suo libro paga.

by movisol

27 settembre 2009

In-formazione


Che cos'è l'informazione? L'informazione, pur essendo trasmessa attraverso un medium materiale, tende a sconfinare in una dimensione quasi immateriale. Moltissimi testi spiegano che il segno è composto da due parti inscindibili, ossia il significato ed il significante. Quest'ultimo è definito generalmente come la parte materiale del segno, ma tale interpretazione è, a mio parere, errata poiché sebbene il significante (la forma del segno) sia veicolato da un substrato materiale, esso è, però, un'immagine acustica, grafica, olfattiva del segno, una sorta di eco della materia.

Si aggiunga che il significato è immateriale, coincidendo con il concetto, con l'idea e si capirà per quale motivo il messaggio all'interno di un sistema comunicativo sia qualcosa di quasi-incorporeo. A rendere l'informazione una realtà molto labile, contribuiscono fattori spaziali e temporali: si pensi ai segnali luminosi cosmici che percepiamo o con gli occhi o con strumenti tecnologici. Sono segnali che, viaggiando alla velocità della luce, ci raggiungono dopo un tempo lunghissimo in relazione alle distanze siderali: talora sono "informazioni" di astri che non esistono più. E' quindi un messaggio inattuale. Si aggiunga all'interno del sistema della comunicazione il ruolo del rumore, ossia il disturbo sulla trasmissione del messaggio. Si consideri pure la difficoltà di connettere il pensiero alle leggi di natura, giacché l'attività ideativa è manifestata per mezzo di mezzi fisici, ma non può essere spiegata in toto in termini di reazioni chimiche e di dinamiche biologiche. Ancora una volta, siamo in presenza di uno iato tra sfera noetica (pensiero, idee, coscienza) e sfera materiale.

In un interessante articolo intitolato Il tempo, l'infinito, l'anima, Alex Torinesi congettura che l'anima sia il principio generatore dello spazio-tempo: l'autore concepisce l'anima come "pura informazione", nel senso, però, non tanto di trasmissione di un messaggio, ma di formazione delle coordinate spazio-temporali e della materia che ad esse soggiace. L'informazione è quindi, quasi aristotelicamente, forma. Tale forma genera la materia per evolvere nello spazio-tempo. La tesi dello studioso si può condividere o rifiutare in parte o del tutto, ma è degno di nota che l'autore colga il lato produttivo dell'informazione, non semplice segnale diffuso nello spazio-tempo, grazie ad un medium energetico (onde elettromagnetiche in primis). Forse potremmo accostare, consapevoli che è una metafora, ma la metafora non è solo una figura retorica, piuttosto il cuore del linguaggio, il concetto all'anima ed il significante (suono, lettere del segno) alla mente che, per esprimere idee, ha bisogno di un quid energetico (segnali bio-chimici). Tale modello interpretativo rispecchia la teoria di Torinesi sulla genesi della dimensione cronotopica per opera dell'anima.

La psicologia, le neuroscienze, la filosofia, la fisica quantistica... nei prossimi anni potranno forse riempire il vuoto concettuale che divide mente e materia, se si supereranno banali e riduttivi approcci scientisti.
by Zret

21 settembre 2009

Influenza suina: Garattini, su vaccino pressione delle aziende

Influenza A
Garattini: la vaccinazione al momento non è necessaria
ROMA - Lo dice senza mezzi termini il farmacologo Silvio Garattini: se il virus A/H1N1 della nuova influenza non muterà, acquisendo dunque una maggiore virulenza rispetto allo stato attuale, la vaccinazione di massa annunciata dal governo italiano e da quelli di molti altri paesi "non è necessaria". Una corsa al vaccino, quella determinatasi nelle ultime settimane - mentre i vari colossi farmaceutici impegnati nella produzione si preparano ad avviare la sperimentazione clinica sull'uomo da agosto - che Garattini considera quanto meno eccessiva. Tutto si basa, dice in una intervista all'ANSA, su "ipotesi, di cui non si sa se siano vere o meno".

Perplessità, dunque, sulla reale opportunità ed efficacia dei piani di vaccinazione di massa. Ma non solo. Dietro quella che l'esperto definisce, appunto, una "corsa", si cela altro. Si celano, afferma, enormi interessi economici. Ed anche questo Garattini lo dice in modo chiaro: "Al momento c'é, certamente, una grande pressione da parte delle industrie, che da tale corsa trarranno molte risorse economiche". Un'opinione fuori dal coro, quella del direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, che invita anche a un'ulteriore riflessione: l'attenzione è tutta sulla nuova influenza e "si dimenticano - denuncia - le altre tragedie sanitarie in atto" come l'Aids e la malaria.

- C'E' ALLARMISMO, QUESTO E' UN VIRUS MITE - Il virus A/H1N1, ha spiegato Garattini già nelle scorse settimane, "ha una virulenza mite. Bisogna informare, ma il pericolo - sostiene - é per quelli che vengono dalle zone colpite". Quanto ai farmaci antivirali da utilizzarsi in caso di contagio, come il Tamiflu, Garattini rileva che "in realtà l'attività del farmaco è poca. Nell'influenza normale si risparmia un giorno di malattia su cinque o sei. Però - avverte - ci sono effetti collaterali. Non è che si faccia un grande affare a prenderlo".

- SE VIRUS NON MUTA VACCINAZIONE DI MASSA NON SERVE - Se il virus A/H1N1 manterrà il livello di virulenza attuale con la bassa aggressività clinica sinora registrata, "non c'é la necessità di vaccinare tutta la popolazione" ma, afferma l'esperto, "sarebbe piuttosto opportuno valutare l'ipotesi di vaccinare solo gli operatori sanitari".

- L'OMBRA DEGLI INTERESSI DELLE AZIENDE - "Certamente - ha detto Garattini - c'é una grande pressione da parte dell'industria, che ne trarrà molte risorse economiche". Infatti, "solo fra alcuni mesi si potrà vedere se è veramente necessario questo quantitativo di vaccino in produzione oppure no. Ma se il virus rimane quello che è al momento, allora non ci sarà bisogno di vaccinazioni di massa".

- ANCHE SE VIRUS MUTASSE NON E' DETTO VACCINO FUNZIONI - Se invece il virus dovesse mutare, ha avvertito Garattini, "non è detto che il vaccino in produzione sia in grado di proteggere". Dunque, "realisticamente - ha commentato - quello che andrebbe fatto in questo momento è cercare di diminuire le possibilità di infezione, controllando le frontiere e invitando la gente ad evitare luoghi a rischio e affollati e ad adottare strette misure igieniche".

- SI DIMENTICANO TRAGEDIE VERE - Il punto, avverte, "é che si sta focalizzando l'attenzione solo sulla nuova influenza, dimenticando le altre emergenze sanitarie in atto, a partire dall'Aids". Al momento, ha concluso Garattini, "non siamo di fronte a un reale pericolo e il numero di contagio da virus A/H1N1 nel mondo, sebbene in crescita, resta comunque inferiore a quello relativo a una normale influenza stagionale".

by Terranauta

20 settembre 2009

Alchimia

Nel mondo profano, quando si parla di Alchimia, spesso si va con il pensiero ad evocare personaggi illustri di epoche passate che operavano segretamente in luoghi bui e nascosti, pieni di fumo, di fuochi ed alambicchi, personaggi che, per la loro dedizione alla Magia e spesso alla stesura di indecifrabili testi alchemici, sono stati avvolti in un aura di mistero che spesso sconfinava nella leggenda o addirittura nel mito.

Laboratorio alchemico

E’ l’esempio di alchimisti della caratura di Nicolas Flamel, Paracelso, Basilio Valentino, Raimondo Lullo, Cornelio Agrippa, Giordano Bruno, John Dee, William Blake, Cagliostro, Raimondo di Sangro principe di Sansevero, Fulcanelli, di donne alchimiste come Maria la profetessa, Ipazia d'Alessandria, Maria Cristina di Svezia e tantissimi altri ancora.

Moltissimi, per secoli, come la stessa Chiesa, hanno creduto che tali personaggi avessero, per certi versi, trovato la “formula magica” del potere sulla Natura e dell’eterna giovinezza, attraverso un patto col diavolo, credendo che l’Alchimia fosse legata a qualcosa di estremamente oscuro, arcano e di dubbia provenienza.

Quanti furono, infatti, gli alchimisti, uomini e donne, bruciati sui roghi dell’Inquisizione!

Ma ,ancora oggi, sono pochi quelli che sanno realmente di cosa realmente si tratti.

Quasi tutti credono che quest’Arte sia solamente legata alla “metallurgia”, al mito della trasformazione dei metalli vili in oro.

Alla scoperta di una pietra magica, la pietra filosofale, attraverso la quale tutto è possibile.

Credono che il fine di tutto questo si riduca all’esercizio di un potere magico destinato all’arricchimento materiale.

Testo alchemico del 1649

Ma in effetti è tutto il contrario.

L’Alchimia parte dalla Materia per arrivare allo Spirito, parte dall’Oscurità per arrivare alla Luce, parte dall’Uomo per arrivare a Dio.

L’Alchimia è la Via dell’Uomo che percorre e ripercorre il sentiero di se stesso, attraversando il proprio sangue e la propria anima, rettificandola attraverso il sacrificio del proprio principio vitale, liberandola dal giogo del “drago” attraverso la lancia della volontà e l’amore del ritmo.

L’Alchimia è la conoscenza diretta dell’Essere Uomo, la riscoperta del proprio corpo come laboratorio di vita, la consapevolezza di riconoscere in se stessi la chiave attraverso cui si aprono le porte del Cielo, il ponte attraverso il quale l’Uno abbraccia il molteplice e si rispecchia in esso.

L’Alchimia è la Riconciliazione con il proprio corpo, con la propria origine divina, con la Natura che lo compone, che da Matrigna torna ad essere Madre e Matrice di ogni cosa.

E’ difficile pensare a quanto grande sia il potere racchiuso all’interno del nostro corpo, a quante possibilità possa esso esprimere per la realizzazione della “Grande Opera”, la manifestazione del Cristo Trasfigurato nel corpo di Luce e di Gloria.

Eppure tutto questo è possibile. Possibile grazie alla profonda conoscenza di ciò che siamo.

Uomo conosci te stesso, e conoscerai l'universo e gli Dei”: così citava il motto inciso sopra l’ingresso dell’oracolo di Delfi.

E questa è tutta la Verità.

Abbiamo parlato in precedenza di laboratori, di alambicchi e di fuochi, ebbene, dove si trovano tutti questi elementi?

Nel nostro corpo, microcosmo del Creato.

E’ da qui che dobbiamo partire: da ciò che ci è più vicino, da ciò che noi siamo, dall’unico elemento con cui possiamo intimamente confrontarci: la nostra natura umana. Fisica, psichica e spirituale.

Ci si può chiedere: “Come può un essere così “limitato”, pieno di fragilità, di condizionamenti e contraddizioni divenire ed essere la “chiave di volta” del cambiamento?"

Può esserlo nel momento in cui è collegato alla Sorgente Universale e fruisce da questa la Forza e la Potenza per esprimerne il progetto.

Ma perché tutto ciò si realizzi è necessario creare il luogo perché questa stessa Forza sia in grado di abitarvi.

Per questo il “Tempio” va preparato, per accogliere lo Spirito.

Uomo microcosmo misura del macrocosmo

La Natura volgare e rozza della materia che ci compone perirebbe al solo contatto con questa Forza se non venisse sublimata e “purificata” dalle basse vibrazioni in cui è immersa.

Tutto ciò è possibile attraverso un lungo e lento processo di trasformazione e di elevazione vibratoria che comporta un adeguata modifica delle informazioni genetiche riposte nel nostro DNA.

L’elevazione spirituale passa quindi attraverso un “adeguamento” materiale alle alte frequenze della Luce che il corpo fisico dovrà ospitare.

Dobbiamo renderci conto che l’Uomo è un essere in evoluzione e che quello che ora siamo è soltanto una fase transitoria di ciò che diventeremo.

E’ interessante scoprire quanta bellezza vi sia all’interno del nostro “laboratorio” fisico.

Una macchina che rasenta la perfezione. Un sistema talmente sofisticato da non poter fare a meno di credere all’origine di una “Mente Eterna” matrice di tale perfezione.

A volte basta soltanto adottare la legge ermetica per eccellenza: “come è in alto così è in basso…” per scoprire i segreti inimmaginabili che abbiamo sempre dinanzi ai nostri occhi.

Ultimamente sono stato attratto da qualcosa che fino ad oggi non avevo mai considerato. Qualcosa che, approfondendo l’argomento, ha suscitato in me tanta meraviglia e stupore: le ghiandole endocrine.!

Le ghiandole endocrine

Mai avrei creduto all’importanza esoterica di queste ghiandole.

Ma andiamo a guardarle più da vicino.

Le ghiandole endocrine nell’essere umano sono fondamentalmente sette.

Sette come i Chakra , sette come i sigilli del libro dell’Apocalisse, sette come le Chiese e sette come colori dell’iride, effetto della scomposizione della Luce.

Ma tornando all’Alchimia sono sette anche i metalli, i pianeti, i vizi e le virtù!

E tutto ciò non è un caso.

Queste ghiandole sono, in effetti, importantissime poiché sono quelle che regolano la nostra vita dalla nascita alla morte attraverso la produzione di ormoni.

Ed è qui che il velo si squarcia!

Cosa sono gli ormoni?

Questa è la loro classificazione scientifica:”…Un ormone (dalla lingua greca όρμάω - "mettere in movimento") è un messaggero chimico che trasmette segnali da una cellula(o un gruppo di cellule) ad un'altra cellula (o altro gruppo di cellule). Tale sostanza è prodotta da un organismo con il compito di modularne il metabolismo. Gli ormoni sono prodotti da ghiandole endocrine, che li riversano nei liquidi corporei.Ogni ormone raggiunge attraverso il sangue tutti i punti dell'organismo, ma ha poi azione solo sulle cellule dotate di opportuni ricettori”.

Cosa ancora più interessante è l’accostamento di ogni ghiandola al flusso energetico delle “ruote” Chakras, che, come sappiamo, svolgono un’azione di regolazione in entrata e in uscita dal corpo del flusso energetico, dal micro al macrocosmo e viceversa.

Questi centri, in poche parole, sono le stesse “porte” o sigilli di cui si parla nel libro dell’Apocalisse di san Giovanni e sono delle autentiche ruote che, a seconda del loro movimento, centrifugo o centripeto, regolano le comunicazioni sottili tra la Sorgente e la Manifestazione.

E’ quindi fondamentale conoscerne il funzionamento e agire con metodo affinché se ne possano sfruttare le qualità.
Le sette ghiandole si classificano in:

  • Gonadi divise in testicoli (maschili) e ovaie (femminili), corrispondenti al Chakra basale detto “Muladhara”, colore rosso.
  • Ghiandole Surrenali corrispondenti al Chakra sacrale detto “Svadhisthana”, colore arancione.
  • Pancreas (isole di Lanngherans) corrispondente al Chakra del plesso solare detto “Manipura”, colore giallo.
  • Timo corrispondente al Chakra del plesso cardiaco detto “Anahata”, colore verde.
  • Tiroide e Paratiroidi corrispondenti al Chakra del plesso faringeo detto “Visuddha”, colore blu.
  • Pituitaria (Ipofisi) corrispondente al Chakra frontale detto “Ajna”, colore viola.
  • Pineale (Epifisi) corrispondente al Chakra coronale detto “Sahasrara”, colore indaco.

Ognuno di questi centri secernano ormoni differenti che, come abbiamo detto, vengono liberati nel sangue e, attraversando tutto il corpo, raggiungono la destinazione aderendo alle cellule “ricettori”.

Corrispondenze tra ghiandole, influenze planetarie e chakras

E’ affascinante il compito di questi “Messaggeri” che portano informazioni continue a tutto il corpo rendendo possibile la vita stessa dell’intero organismo.

Il sistema ormonale, a differenza di quello neurovegetativo, agisce con velocità e modalità diverse.

Mentre il secondo agisce in maniera diretta sulle cellule, in modo ravvicinato e ad alta velocità, il primo agisce a distanza e molto più lentamente e, a seconda della qualità della cellula “ricettore”, può provocare effetti diversi, a volte anche di tipo opposto.

Ma non voglio dilungarmi sul carattere scientifico della questione, ma addentrarmi nell’aspetto esoterico ed alchemico.

Quando mi addentrai nel mondo dei “centri ormonali” fui colpito subito dall’etimologia del nome “ormone” che come abbiamo detto significa “mettere in movimento”.

Ebbene mi colpì anche il termine scientifico con cui era descritto: “….messaggero chimico”!

Immediato fu il richiamo a qualcosa che è nell’anima dell’Apocalisse di Giovanni: la realizzazione del progetto e l’apertura del Libro della Vita attraverso lo scioglimento dei sette sigilli per mano di sette Angeli attraverso il suono di sette trombe!

Il libro dei Sette Sigilli

Ma gli angeli cosa sono se non Messaggeri? Come ci dice l'etimologia del nome.

A questo punto è naturale la trasposizione tra la visione macrocosmica a quella microcosmica come ci insegna Ermete Trismegisto nella Tavola Smeraldina.

Abbiamo anche detto che a queste sette ghiandole corrispondono anche le sette porte, Chakras, attraverso cui avviene la fruizione in entrata dell’energia cosmica dalla Sorgente all’uomo.

E’ chiaro, quindi, per conseguenza, che l’informazione vitale portata dagli ormoni all’interno di tutto il corpo proviene direttamente dalla Sorgente e attraverso il sangue è destinata alle cellule che gli competono.

Attraverso la Scienza sappiamo anche che gli ormoni sono composti da atomi di carbonio e che questi variano nel numero a seconda del tipo ormonale , tra i più noti il testosterone, 19 atomi di carbonio, prodotto in maggior parte dal testicolo, e il progesterone, 21 atomi di carbonio, prodotto dalle ovaie e dalla placenta.

Quello che stimola il mio pensiero è che il carbonio è anche il componente atomico del diamante, prodotto “trasmutato”del carbone o grafite.

E’ affascinante a questo punto credere che dal nero e oscuro carbone possa crearsi il più splendido, cristallino e luminoso diamante!

Come dalla Terra più Nera, in Alchimia, si ricava la Luce!

Non a caso il “Corpo di Luce “è anche chiamato “Corpo di Diamante”!

Ma andando oltre, altra differenza tra il carbone/grafite e il diamante risiede nella struttura atomico molecolare.

Carbone/grafite e diamante

Infatti, mentre il carbone ha una struttura a reticolo esagonale, che gli conferisce la qualità di minerale più fragile in Natura, il diamante è dotato di una struttura atomica “tetraedrica” che, in poche parole, corrisponde alla forma piramidale, forma che gli conferisce la durezza e resistenza maggiore rispetto a qualsiasi minerale!

Da qui la spiegazione della forma della Grande Piramide, luogo dedicato alla Trasformazione dell’uomo in Dio!

Tutto ciò è straordinario se si pensa che il passaggio da carbone a diamante avviene proprio grazie a condizioni estreme di pressione e di calore.

Non a caso l’Alchimia si fonda sul lavoro del Fuoco, o meglio dei Fuochi Sacri.

Ma il lavoro del Fuoco è accompagnato da quello sul ritmo che, lavorando in attrito con le Forze planetarie, genera “pressione”.

In breve, abbiamo tutti gli ingredienti per trasformare il “Carbone” in “Diamante”.

La velocità di azione dell’ormone, messaggero chimico, abbiamo costatato che è piuttosto lenta, rispetto all’azione neurovegetativa.

Tale azione a volte può impiegare anche più di 24 ore perché si realizzi.

L'azione ritmata del lavoro alchemico rappresentato nella XIV lama dei Tarocchi

Questa modalità temporale è un altro richiamo al sistema operativo alchemico che, nella maggior parte dei casi, si serve della modulazione del ritmo e del tempo per regolare le “tempeste ormonali”.

Gli ormoni, nel momento in cui entrano in circolo, soprattutto tra le donne, sono spesso motivo di alterazioni emotive, che a seconda dei casi sono causa di ricettività estrema, fungendo da veri e propri potenziatori di “antenne”.

E’ chiaro che appropriarsi di tale qualità, gestendone il potere, può soltanto che far evolvere bio-tecnologicamente il proprio corpo, avendo la possibilità di captare appieno e in maniera più sensibile, tutte le informazioni provenienti dalla Sorgente Universale, accelerando così il processo evolutivo.

Tutto ciò fa supporre che attraverso un lavoro adeguato sul fisico, legato agli ormoni, Messaggeri della Sorgente, è possibile trasformare la Materia su cui essi vanno ad aderire.

E’ chiaro che il lavoro è piuttosto arduo, ma non impossibile!

Come detto, ormone viene dal verbo greco “όρμάω” e significa mettere in movimento.

Non è un caso, trasposto sul piano esoterico, che l’azione di un “Messaggero” è quasi sempre all’origine di un grande cambiamento.

La Bibbia è piena di episodi che lo testimoniano.

Basti pensare all’Annunciazione di Maria ad opera del’Arcangelo Gabriele.

L'annunciazione dell'arcangelo Gabriele a Maria

Da quel fatto si mise in moto tutto il processo epocale che porterà alla nascita di Gesù, colui che ha manifestato il Cristo.

Come anche nell’Apocalisse, ogni volta che uno dei sette Angeli scioglie uno dei sette sigilli innesca un processo che porterà, alla fine, al compimento dell’Opera.

Così, nel corpo umano, l’ormone prodotto dalla ghiandola, stimolata dalla vibrazione cosmica attraverso il Chakra corrispondente, si getta nel flusso sanguigno e attraverso di esso arriva a destinazione “annunciando” la nuova “nascita” e produzione di elementi finalizzati alla Vita del corpo.

Quello che però comporta il vero cambiamento, come sopra citato, è l’azione di sintesi dello stesso ormone attraverso il convogliamento di questo all’interno dell’Athanor.

Questo è il luogo vero e proprio della trasformazione, dove, attraverso l’azione del fuoco sacro e del ritmo, il messaggero chimico diventa alchemico, sublimando l’informazione ormonale, portandola ad un livello e frequenza più alti, modificandone l’informazione che nel tempo andrà a riprogrammare il DNA, accelerando la frequenza vibratoria degli atomi che, aumentando in pressione e calore, genereranno, dal corpo materiale denso, un corpo materiale di Luce che permetterà all’Uomo di fare il salto quantico per “abitare” nuove dimensioni, diventando lui stesso “Messaggero” della Sorgente.

by Eleazar

15 settembre 2009

Il Club Bilderberg: i veri controllori del mondo

daniel estulin
Daniel Estulin vive in Spagna ed è un prestigioso giornalista investigativo
Alcuni la ritengono un’invenzione, un’esagerazione dettata dalla paranoia, altri una struttura legittima e per certi versi necessaria, altri ancora – pochi, purtroppo – la conoscono da tempo e in qualche modo cercano di combatterla o per lo meno di non piegarsi a essa. La stragrande maggioranza della gente tuttavia – e questa è proprio la sua forza maggiore – non ha la minima idea di cosa si stia parlando. Questa idea ce la possiamo fare grazie all’ultimo, imponente lavoro del giornalista investigativo Daniel Estulin e l’oggetto misterioso a cui si fa allusione nelle prime righe di questo articolo è proprio il famigerato gruppo Bilderberg, protagonista del libro dell’autore spagnolo Il Club Bilderberg – La storia segreta dei padroni del mondo .

Questa storia ha inizio in un luogo e una data precisi, il 29 maggio del 1954 a Oosterbeek, una piccola cittadina dei Paesi Bassi, presso l’Hotel Bilderberg. Lì, su iniziativa del principe olandese Bernhard, si riunirono le maggiori personalità del mondo politico, di quello economico, industriale e militare, ponendo le basi per la creazione di una sorta di conferenza, o se volete di società segreta, che da quel momento ogni anno, per un fine settimana, si sarebbe riunita in un paesino del mondo occidentale per confrontarsi sulle problematiche del pianeta e studiare delle soluzioni a esse da attuare attraverso gli strumenti a propria disposizione, a ben vedere sostanzialmente illimitati dato che si trattava di presidenti, governatori, potenti industriali, affermati giornalisti e personalità di elevatissimo calibro.

Se vogliamo essere meno diplomatici e più schietti, possiamo dire che dal 1954 un gruppo di persone estremamente influenti prende tutte le decisioni più importanti che riguardano il destino di tutti noi e lo fa lontano da occhi indiscreti e, soprattutto, dal controllo popolare.

Già, perché i meeting del Bilderberg hanno caratteristiche molto particolari: si tengono generalmente in piccole cittadine, dove l’opinione pubblica e l’informazione non sono massicciamente presenti (nel 2004 la riunione ha avuto luogo a Stresa, un piccolo comune sul Lago Maggiore). L’accesso è rigorosamente a invito, il quale avviene secondo criteri che prendono in considerazione l’influenza della posizione dell’ospite e il grado di controllo che egli ha su determinati settori chiave.

clinton
Il gruppo include praticamente tutti i dirigenti delle istituzioni, delle aziende e delle organizzazioni più importanti del mondo
I partecipanti hanno il divieto assoluto di rilasciare dichiarazioni ai giornali, così come è tassativamente vietato ai giornalisti anche solo avvicinarsi al luogo di svolgimento della manifestazione, pena l’arresto (lo stesso Estulin è stato arrestato diverse volte nel corso delle sue indagini sul campo); ovviamente fanno eccezione i giornalisti regolarmente invitati, come lo era Katherine Graham, direttrice del Washington Post, e come lo fu Fehru Koru, un giornalista turco propugnatore di posizioni aspramente critiche nei confronti del Bilderberg che cambiò magicamente idea dopo essere stato invitato all’edizione del 2006.

Segretezza è dunque una delle parole chiave del Gruppo Bilderberg. Un’altra è sicuramente controllo; come detto, uno dei requisiti fondamentali per essere invitati è quello di occupare una posizione di prestigio e potere, che permetta appunto di controllare i punti nodali di determinati settori.

Grazie a questo criterio, il Bilderberg ha sviluppato una rete formata da molte componenti: una di esse è per esempio la RCA, Radio Corporations of America, colosso dell’informazione che comprende NBC, CBS e ABC, mentre il suo omologo dal punto di vista politico-militare è la NATO, uno dei bracci armati della struttura.

Più in generale, il gruppo include praticamente tutti i dirigenti delle istituzioni, delle aziende e delle organizzazioni più importanti del mondo: ne fanno infatti parte Romano prodi, ex Primo Ministro italiano, Bill Clinton, ex Presidente americano, Jean-Claude Trichet, governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, Peter Sutherland, presidente della British Petroleum, Robert Zoellick, presidente della Banca Mondiale, la Regina Beatrice d’Olanda, tanto per citarne alcuni, ma la lista include centinaia di nomi. Ognuno di essi ricopre un ruolo di assoluto controllo del suo settore di competenza e appare chiaro che una rete che mette in sinergia queste personalità può controllare con facilità il mondo intero.

Fra i membri del Bilderberg ve ne sono alcuni che hanno alle spalle una militanza decennale e che hanno acquisito notevole potere all’interno della stessa organizzazione, tanto da essere considerati come organizzatori e gestori dei meeting. Uno di essi è certamente il rappresentante della corona olandese, solitamente indicato come il chairman, il padrone di casa.

kissinger
All'interno del gruppo è di assoluta preminenza la posizione di Henry Kissinger
Di assoluta preminenza è poi la posizione di Henry Kissinger, che nella sua vita ha fatto praticamente di tutto, occupando sempre posizioni di potere; potere che è cresciuto sempre più – paradossalmente – dopo il suo ritiro dalla vita politica e pubblica in generale. Un altro pezzo grosso del Bilderberg è David Rockfeller, ultimo discendente di John e rappresentante di una famiglia che da sempre, mascherandosi dietro organizzazioni umanitarie e iniziative benefiche, ha perseguito l’ambizioso intento di instaurare il cosiddetto nuovo ordine mondiale.

Altri membri importanti e influenti del Bilderberg sono Zbigniew Brzezinski, Vernon Jordan, Cyrus Vance e altre personalità che ciclicamente vengono impiegate nei posti chiave delle amministrazioni politiche americane e internazionali, indipendentemente dal loro schieramento


Il Bilderberg può inoltre contare su altre organizzazioni parallele che cooperano con esso per la realizzazione dei suoi intenti. Una di queste è il CFR, Council on Foreign Relations, creato nel 1921 su iniziativa di Edward House, potente e influente consigliere del presidente Wilson (già avvezzo a questo tipo di iniziative, come testimonia la sua idea della Lega delle Nazioni), e massicciamente finanziato guarda caso dalla Fondazione Rockfeller. Inizialmente il CFR fu concepito come distaccamento americano della Tavola Rotonda Mondiale, ma sin da subito i suoi intenti erano chiari: «creare un governo unico mondiale, basato su un sistema finanziario centralizzato, caratterizzato da un particolare mix di capitalismo e socialismo, di opportunismo e di idealismo».

Inutile dirlo, tutti i più importanti protagonisti della recente storia politica americana – da Colin Powell a Madaleine Albright, da Condoleezza Rice a Donald Rumsfeld, da Dick Cheney a Richard Perle, ma non Gorge W. Bush – fanno parte del CFR. Così come facevano parte del CFR Bill Clinton, personaggio secondario nella scena politica statunitense fino al momento della sua elezione, e John Kerry, sfidante di Bush alle elezioni presidenziali del 2004 (della serie: proponendo un proprio candidato e appoggiando comunque quell’altro è impossibile perdere).

Un’altra organizzazione analoga, che si differenzia dal CFR per essere internazionale e non riservata agli americani, è la Trilateral Commission. La Trilateral è stata fondata e finanziata, ancora una volta, da David Rockfeller, che ebbe l’idea e la propose al meeting del Bilderberg del 1972, in Belgio. Pur privilegiando il settore della finanza e del commercio, l’obiettivo della Trilateral è sempre lo stesso: creare un governo unico mondiale.

il club bilderberg

La storia raccontata da Estulin ha inizio in un luogo e una data precisi, il 29 maggio del 1954 a Oosterbeek, una piccola cittadina dei Paesi Bassi, presso l’Hotel Bilderberg
Questo è dunque un breve schizzo dell’ampio e articolato quadro che Estulin delinea nel suo libro. Con particolare perizia, il giornalista spagnolo evita il qualunquismo che caratterizza spesso gli autori che affrontano queste tematiche e che inevitabilmente frutta loro le etichette di complottisti, paranoici e visionari. Il Club Bilderberg è infatti dotato di un’ampia ed esauriente appendice che propone fotografie, stralci di documenti, liste di partecipanti, verbali e resoconti riguardanti i meeting del Bilderberg che si sono tenuti dal 1954 a oggi.

Il reperimento di questo interessantissimo materiale è stato possibile grazie a una fitta rete di contatti che Estulin ha sapientemente intessuto, coinvolgendo funzionari, giornalisti, addetti ai lavori, fino ad agenti segreti e membri dei servizi di vari paesi. Interessanti e attuali – ma anche assai inquietanti – sono poi i collegamenti che vengono evidenziati fra importanti avvenimenti della seconda parte del ventesimo secolo e l’azione segreta del gruppo Bilderberg: il Piano Marshall, l’uccisione di Aldo Moro, il Watergate, il caso Iran-Contra, la guerra in Afghanistan e tanti altri episodi – incluso un presunto e clamoroso piano di annessione del Canada agli Stati Uniti – determinanti appartenenti alla recente storia mondiale vedono lo zampino dei propugnatori del nuovo ordine mondiale.

Estulin colpisce quindi questa organizzazione proprio dove fa più male: la priva della segretezza, della discrezione e dell’ombra di cui si è sempre servita e di cui necessita per attuare i suoi piani. La prova di ciò ce la fornisce lo stesso autore con la frase che fa da intestazione a Il Club Bilderberg: «Nel 1996 cercarono di uccidermi, nel 1998 di sequestrarmi, nel 1999 di corrompermi, nel 2000 di arrestarmi e l’anno dopo mi offrirono un assegno in bianco se avessi taciuto una volta per tutte». Per nostra fortuna, quell’assegno Estulin non lo accettò mai.

di Francesco Bevilacqua

14 settembre 2009

Mussolini doveva morire perché una intera classe dirigente potesse autoassolversi


La filosofia di fondo delle Brigate Rosse e, in generale, del terrorismo di sinistra degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, partiva dal presupposto che la Resistenza fosse stata tradita; che i soliti, avvolgenti «poteri forti» (Chiesa, finanza, grande industria, alta burocrazia, esercito) avessero trovato il modo di affossarla, subdolamente e silenziosamente; che, dopo il 1945, fosse stata vanificata una occasione unica, non solo di avviare una profonda riforma sociale, ma anche una vera e propria rinascita morale della nazione.
Questa filosofia, anche se non sembra, era figlia della teoria crociana e liberale sulla genesi del fascismo come «malattia temporanea» del Paese, malattia che avrebbe colpito un corpo sostanzialmente sano. Pietosa menzogna: perché l'Italia, nel 1919, era tutt'altro che un Paese sano, una democrazia compiuta; e, se il fascismo andò al potere con il consenso della monarchia e delle classi dirigenti, qualche motivo ci sarà pure stato; come ci sarà stato se, ancora nel 1924, dopo il delitto Matteotti, molti liberali - Croce compreso - consigliavano gli Italiani di fidarsi del fascismo e di scommettere sulla sua capacità di rientrare nella piena legalità, portando il Paese fuori dalla crisi del dopoguerra.
Ma come e perché è nata la leggenda del fascismo come malattia dolorosa, ma passeggera; chi aveva interesse a diffonderla, chi a divulgare il mito dell'Italia tradita, come recita il titolo di un famoso saggio di Ruggero Zangrandi (uno che di salti mortali se ne intendeva, essendo passato da una giovinezza da intellettuale fascista, ad una maturità da acerrimo e intransigente paladino della Vulgata storiografica antifascista)?
È nata perché la classe dirigente italiana potesse autoassolversi dalle proprie responsabilità; e, con essa, l'intero popolo italiano, che, nella stragrande maggioranza, aveva accettato il fascismo e, ad un certo punto - diciamo con la conquista dell'Impero, nel 1936 - lo aveva entusiasticamente appoggiato.
La verità è che, se Mussolini non avesse fatto la scelta sbagliata nel giugno del 1940, nessuno gli avrebbe presentato il conto della sua ventennale dittatura: sul piatto della bilancia, i meriti del suo regime - legislazione sociale, riassestamento dell'economia, aumento dell'occupazione e dell'industria, bonifica delle paludi, successi in politica estera - avrebbero finito per far scomparire tutte le ombre e per consegnarlo alla storia come il più abile e fortunato capo di governo dell'Italia, dalla morte di Cavour in poi.
Una volta messo bene a fuoco questo punto, si arriva anche a comprendere le ragioni per cui Mussolini venne ucciso in maniera così frettolosa e, per molti aspetti, così misteriosa; perché lo si volle sottrarre, ad ogni costo, ad un pubblico processo, sul tipo di quelli che la Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja ha riservato ai dirigenti serbo-bosniaci, e poi anche a quelli serbi (Milosveic), dopo la fine della guerra civile nella ex Jugoslavia.
Mussolini doveva morire perché, se fosse stato sottoposto ad un pubblico processo, l'intera classe dirigente italiana, anzi, l'intero popolo italiano, sarebbero stati chiamati in causa per il lungo e caloroso sostegno accordato al suo regime. Ciò avrebbe inferto un colpo irreparabile alla teoria del fascismo come malattia temporanea in un corpo sociale sostanzialmente sano, cara alla Vulgata antifascista; e avrebbe posto ciascuno, compreso l'uomo della strada, davanti alle proprie responsabilità.
Invece, con il colpo di stato del 25 luglio e con l'obbrobrioso armistizio dell'8 settembre 1943, classi dirigenti e popolo italiano vollero passare un colpo di spugna sulle proprie responsabilità e fabbricarsi una verginità democratica nuova di zecca.
Tutti: i liberali, che nel primo dopoguerra non avevano saputo o voluto fare nulla per allargare la propria base di consenso, coinvolgendo le masse nella vita dello Stato; i socialisti, che avevano carezzato velleitari progetti di rivoluzione, senza mai pensare seriamente a farla; i cattolici, che avevano creduto di poter fare parte per se stessi, coltivando solo l'orticello dei loro interessi particolari; i comunisti, che sognavano di replicare il colpo dei bolscevichi russi e di instaurare una dittatura, al cui confronto quella fascista sarebbe impallidita: tutti costoro avevano i propri ingombranti scheletri nell'armadio, e non desideravano altro che di far sparire le tracce di ciò che avevano fatto per spingere la democrazia italiana nel vicoli cieco del 1919-22.
Allora sorse la leggenda dell'Italia tradita: l'Italia non aveva voluto il fascismo, lo aveva subito; i fascisti erano dei Marziani sbarcati dalle loro astronavi e, al servizio degli industriali e degli agrari, avevano messo la museruola alle masse lavoratrici, ormai sul punto di realizzare chissà qual magnifiche sorti e progressive; ma poi era giunta la Resistenza, che, restituendo dignità al popolo italiano, aveva tenuto a battesimo la rinascita della democrazia.
Già, l'Italia tradita. Ma tradita da chi? Dagli altri, sempre dagli altri: da Mussolini, dai fascisti, da Hitler e, magari, anche dal Mikado; insomma, da quelli che la Vulgata storica antifascista ha inequivocabilmente schedato fra i cattivi (mentre Churchill, Roosevelt e perfino Stalin erano i buoni). Così è anche oggi: di qualunque problema sociale e morale si parli: dalla mafia alla 'ndrangheta, dall'evasione fiscale alla corruzione, dalla speculazione edilizia al malcostume dilagante di politici e pubblici amministratori, i responsabili di ogni stortura e di ogni crimine sono sempre gli altri.
Una cosa appariva chiara: se l'Italia, nel 1943, era stata tradita, allora essa, nel suo complesso, era pura e innocente: era vittima, non colpevole. I traditori erano coloro che avevano trascinato l'Italia in guerra; e, più tardi, coloro che, manovrando nell'ombra, vanificarono la preziosa occasione di rinnovamento morale portata dal «vento del Nord»: una esigua minoranza, comunque. La classe dirigente, nel suo complesso, non era messa in discussione; né, meno ancora, lo era il popolo italiano: l'una e l'altro erano stati traditi da pochi ribaldi, senza loro colpa.
Sì: più tardi - nei due, tre decenni successivi - i poteri forti avevano ripreso a tramare come prima, instaurando un fascismo larvato e mascherato, sempre allo scopo di garantirsi i loro sporchi affari; ma, di nuovo, il popolo era stato ingannato e defraudato dei frutti della Resistenza; e anche la classe dirigente, tutto sommato, era stata vittima di un tradimento: specialmente i quadri del partito socialista e di quello comunista, che erano stati raggirati dalla perfidia democristiana e dalle oscure manovre del Vaticano e degli Stati Uniti.
L'ideologia dell'antifascismo permanente, come strumento per mantenere in piedi una surrettizia divisione degli Italiani in buoni e cattivi, con la ferma e feroce volontà di includere se stessi fra i primi e nell'avocare a sé tutti i vantaggi derivanti dallo status morale di essere i vincitori della seconda guerra mondiale (?) e della guerra civile del 1943-45.
Uno dei più lucidi interpreti di questo processo, è stato l'ambasciatore e politologo Sergio Romano, che ha levato una delle poche voci libere e dignitose nel coro servile dei conformisti e dei menestrelli di regime.
Ha scritto, dunque, Sergio Romano, nel suo saggio «Le Italie parallele. Perché l'Italia non riesce a diventare un paese moderno» (Milano, TEA, 1996, pp. Se le tracce d'arsenico rinvenute nei capelli di Napoleone rilanciano periodicamente la tesi dell'avvelenamento, è facile prevedere che della fucilazione di Mussolini le cronache si occuperanno per molto tempo.
Ma l'aspetto più importante della vicenda è perfettamente chiaro. Possono esservi dubbi sul modo in cui il capo del fascismo fu ucciso, ma non può esservene alcuno sulle ragioni della sua morte. Fu ucciso perché il suo processo, se egli fosse rimasto in vita, si sarebbe inevitabilmente trasformato in un processo al fascismo. il nome dei ministri liberal-democatici che parteciparono al suo primo governo, il risultato delle elezioni del 1924, il voto di fiducia al Senato dopo l'assassinio di Matteotti, il velleitarismo degli aventiniani, il "plebiscito" del 1929,, i meriti sociali del regime, , l'ammirazione internazionale per le sue realizzazioni, lo straordinario consenso dopo la guerra d'Etiopia, l'atto di omaggio che egli aveva ricevuto da molti vecchi antifascisti dopo la conquista dell'impero. Molte delle sue affermazioni sarebbero state contestabili, ma il risultato del processo sarebbe stato pur sempre un grande dibattito nazionale sul fascismo e sulle sue responsabilità storiche.
I partiti del Comitato di liberazione nazionale, e in particolare il partito comunista, vollero evitarlo. L'Italia, in tal modo, esce dal fascismo e rientra in democrazia senza chiedersi perché è stata fascista. Sulla realtà censurata e rimossa prevale da allora nella vita politica italiana una versione ortodossa: il fascismo è "un regime reazionario di massa" imposto con un violento "colpo di coda" dagli ambienti più retrivi del paese in un momento in cui, cessati ormai i torbidi dell'immediato dopoguerra, esistevano le condizioni per il ripristino della normalità. Alla definizione di questa ortodossia concorse una sorta di patto tacito fra l'antifascismo militante, da poco rientrato in patria, e la grande maggioranza degli italiani.
La democrazia restaurata aveva bisogno dei veri e propri eroi e ogni partito era fortemente interessato alla ricostruzione della propria dinastia.
Furono dimenticati i duri articoli di Gramsci nell'"Ordine Nuovo" contro i socialisti riformisti e furono taciuti i contrasti che avevano diviso i comunisti italiani, persino in carcere, tra la fine degli anni 20 e l'inizio degli anni '30. Furono dimenticati l'imbelle riformismo di Turati, il massimalismo declamatorio di Serrati, il velleitarismo degli aventiniani, il narcisismo intellettuale di Nitti. La verità canonica voleva che le libertà degli italiani fossero state violate da una sorta di complotto fra la monarchia, i gradi industriali, gli agrari e alcune squadre di teppisti o avventurieri con la complicità della burocrazia e delle forze armate.
Tale versione conveniva alla grande maggioranza degli italiani. L'uomo della strada poteva sostenere che egli era stato spettatore passivo di un regime in cui non aveva creduto. I burocrati e i professori, che si erano iscritti al partito per esigenze di vita. I generali, che non avevano alcuna responsabilità nell'impreparazione delle forze armate allo scoppio del conflitto. La prima conseguenza del patto tacito che gli antifascisti militanti strinsero con la grande maggioranza dei loro connazionali fu la rinuncia all'epurazione. Il tentativo di ripulire l'Italia dalle sue scorie fasciste durò quattro anni, dalla fine del 1943 al febbraio del 1948. Il primo provvedimento fu una decisione del governo Badoglio del 28 dicembre 1943, ma l'operazione cominciò con un regio decreto del 12 aprile 1944 che istituì un Alto commissariato per la "defascistizzazione delle amministrazioni pubbliche".[…]
L'amnistia e la fine dell'epurazione furono una prova di realismo e di buon senso. Mani veri motivi della decisione furono taciuti e la tesi su cui poggiava la filosofia della punizione continuò a essere proclamata come verità ufficiale. Per la storia politica e civile degli italiani questa ipocrisia fu una bomba a scoppio ritardato, destinata a provocare gravi danni alla società e allo Stato. Nell'immediato dopoguerra, quando i provvedimenti furono adottati, tutti sapevano che la politica della punizione sarebbe stata iniqua e selettiva; e tutti capirono perfettamente, quindi, le ragioni dell'amnistia e dell'archiviazione de procedimenti d'epurazione. Come aruspici che s'incontrano nel foro, la maggior parte degli italiani avrebbe sorriso del proprio antifascismo e di quello del proprio interlocutore. Ma col passare del tempo, a mano a ,mano che nuove generazioni si affacciavano nella società, la verità canonica divenne verità storica e fu persa memoria delle ragioni per cui la punizione era stata impossibile. Martellata nei giornali, nei manuali e nelle celebrazioni ufficiali della Repubblica, l'ortodossia antifascista divenne l'ideologia fondatrice della Repubblica italiana e proclamò come articolo di fede l'esistenza di uno Stato nato dalla Resistenza in cui un popolo schiavo aveva finalmente spezzato le catene di un regime minoritario e poliziesco. La tesi divenne la piattaforma morale del partito comunista che se ne servì per presentarsi al paese come il più legittimo erede dell'antifascismo militante, come l'unico partito che avesse sempre combattuto contro il fascismo, dalle origini ai suoi più recenti camuffamenti. È la stessa tesi che ispirò più tardi, nella sua versione più truce e radicale, alcuni movimenti terroristici degli anni '70. Ed è questa la ragione, in ultima analisi, per cui il partito comunista ne porta l'indiretta responsabilità.»Non fu una decisione dettata dal buon senso (quando mai la classe dirigente italiana si è fatta dettare il copione da considerazioni di buon senso?), e nemmeno da umanità e generosità (merci ancora più rare sul mercato della politica nazionale), ma solo da cinico opportunismo: tutti assolti, nessun colpevole, tranne quelli che avevano già pagato.
Ecco perché Mussolini doveva morire, e doveva morire in quel modo: e, con lui, i gerarchi di Salò, a dispetto del fatto che, in molti casi, non erano stati né peggiori, né più colpevoli di quelli del Ventennio; e sorvolando su particolari imbarazzanti, come, ad esempio, la presenza di un comunista della prima ora, come Nicola Bombacci, tra i fedelissimi del Duce che pagarono con la vita, o di un uomo di provata fede democratica, come Carlo Silvestri, fra coloro i quali cercarono di fare da intermediari affinché lo spargimento di sangue fratricida fosse ridotto al minimo, almeno nelle ultime settimane di guerra.
Si trattava di un fatto, non di una pia intenzione: ma come farlo quadrare con la Vulgata antifascista, che vedeva nel fascismo, appunto, soltanto un regime reazionario di massa, al soldo di industriali, finanzieri e agrari senza scrupoli? Semplice: sostenendo che si era trattato di un'operazione di facciata, insincera e puramente propagandistica. L'Italia democratica, nata dalla Resistenza, non seppe fare in circa mezzo secolo di vita pacifica, quello che la Repubblica Sociale aveva cercato di fare in pochi mesi, con la duplice invasione del territorio nazionale, in mezzo a difficoltà e distruzioni inimmaginabili, durante la fase più crudele della seconda guerra mondiale e della guerra civile.
Ma questo, non lo si poteva dire: bisognava che i repubblicani di Salò fossero, tutti senza eccezione, dei volgari «repubblichini»: gente senza onore, senza dignità, senza patria, al soldo dell'occupante tedesco. Solo delegittimando costoro, si poteva far rifulgere la nobiltà delle intenzioni della parte avversa; e, con ciò, conferire l'eterno imprimatur democratico ai partiti antifascisti, usciti dalle catacombe nel 1943-45 e ben decisi a far valere le loro vecchie logiche di potere: quelle stesse che avevano gettato l'Italia nella guerra civile «de facto» del 1919-22 e, infine, l'avevano consegnata al fascismo.
Soprattutto, bisognava che la memoria di Mussolini fosse inchiodata alla perpetua infamia di aver servito per due decenni gli egoistici interessi di un pugno di biechi capitalisti reazionari: proprio lui, che era stato sempre un uomo dell'estrema sinistra: il figlio del fabbro, socialista da sempre e ammiratore, a sua volta ammirato, di Lenin (che lo considerava l'unico rivoluzionario serio esistente in Italia nel primo dopoguerra).
Quanti scheletri nell'armadio, nella casa della sinistra italiana! Quanta ipocrisia nel voler negare a Mussolini, fino all'ultimo, la legittimità delle sue origini socialiste, della sua lunga e accanita militanza socialista; per ridurre la storia d'Italia fra il 1919 e il 1945 al delirio di onnipotenza di un pazzo megalomane, per di più squallidamente inserito sul libro paga dei capitalisti reazionari. Quanta ipocrisia, in tutti quegli uomini di partito e di sindacato, in tutti quegli intellettuali che, dopo aver collaborato più o meno entusiasticamente col fascismo, o dopo aver avuto tanta responsabilità nella sua vittoria (e che dire della politica filo-nazista dei comunisti, dopo il patto Molotov-Ribbentrop dell'agosto 1939?), nel 1945 fecero disinvoltamente il salto della quaglia e s'improvvisarono campioni integerrimi dell'antifascismo, magari sostenendo - come fece, ridicolmente, Ruggero Zangrandi - che essi avevano solo finto di aderire al fascio, per poterlo meglio indebolire e disgregare dall'interno?
A ben guardare, si tratta di una costante culturale, politica e morale del popolo italiano e della sua classe dirigente. I cattivi sono sempre gli altri, appunto; noi, siamo solo dei poveri traditi.

di Francesco Lamendola

13 settembre 2009

Il "compagno Tremonti" e la "sinistra finanziaria"


Vent’anni di politica di destra del centrosinistra, a favore delle privatizzazioni e del grande capitale finanziario

Le nuove tendenze sociali e economiche insorte dopo la svolta dei primi
anni Novanta – privatizzazioni, lavoro precario, pensioni, effetti dell’euro – e
la “finanziarizzazione” dell’economia (rapporto 10 a 1 col capitale produttivo
alla svolta del secolo) con tutte le sue conseguenze sul mondo della
produzione, lavoratori dipendenti compresi: sono questi i due momenti
chiave su cui misurare la politica del centrosinistra, per cercare di capire cosa
ancora nell’odierna opposizione sopravvive del suo essere “di sinistra”.
Un discorso eccezionale e coraggioso,
quello del ministro dell’economia, interprete di una diffusa tradizione della
“destra sociale”: sia per quel riferimento alla compartecipazione dei lavoratori
agli utili aziendali – che comunque simboleggia il nodo strategico della
possibile alleanza fra ceti produttivi: per inciso, tema-slogan già caro, sia pure
con altre configurazioni, al vecchio PCI di Togliatti – sia per il giudizio netto
sulla differenza fra la politica di Roosevelt post-29 – un debito pubblico, ha
detto Tremonti, per dar soldi e lavoro al popolo 1- e quella dei loro falsi
imitatori odierni: un debito pubblico per sanare e ingrassare le banche, le
principali responsabili della crisi planetaria odierna. Come si legge ne Il Capitale: “il capitale esiste come
capitale, nel movimento reale, non nel processo di circolazione ma soltanto
nel processo di produzione, nel processo di sfruttamento della forza-lavoro”.
Come dire, George Soros, i grandi finanzieri come lui e le grandi banche non
sono veri capitalisti, nei quali individuare una contraddizione se non
“principale” comunque forte con la classe dei salariati: la vera e unica
controparte del “proletariato” - cioè a dire delle forze produttive che,
entrando in conflitto con i rapporti di produzione, aprono la strada alla
“rivoluzione” - sono i capitalisti industriali.
La breve citazione di Marx prima
riportata ha delle conseguenze paradossali per quel che riguarda la
capacità di incidenza e la funzione storica effettive dei capitalisti mercantili,
bancari e finanziari: infatti, poiché dogma vuole che il capitale “vero” sia solo
quello produttivo, che cioè il plusvalore abbia una origine solo nella sfera
della produzione, ecco che il commerciante – anche il grande commerciante -
è una sorta di salariato del capitalista industriale, un suo “commesso” (sic 3)
incaricato semplicemente di completare e riavviare il cerchio del ciclo
produttivo con la vendita della merce e il suo pagamento al produttore 4.
Ed ecco che anche banchieri e finanzieri – “il capitale per il
commercio di denaro” – assumono una funzione solo “tecnica”,
completamente subalterna a quella del capitale industriale sia dal
punto di vista economico sia da quello storico. Nella quarta
sezione del III Libro de Il Capitale, Marx descrive il “capitale per il
commercio di denaro” come mera “parte del capitale industriale”
che da questo “si stacca” per eseguire “operazioni monetarie per
tutta la classe dei capitalisti industriali”: il capitale finanziario è
cioè solo “capitale industriale … che esce dal processo di
produzione”: esso perciò “rappresenta un costo di circolazione,
ma non crea valore” ed è manovrato da una “categoria speciale di
agenti o di capitalisti” che agisce “per tutta la classe di
capitalisti”. Il capitale finanziario non è un possibile
concorrente e avversario di quello produttivo industriale come alcune volte
appare nella realtà storica (vedi la dialettica forte oggi fra imprese e banche),
ma una sua articolazione interna, tanto che i suoi protagonisti vengono ridotti
ne Il Capitale se non proprio a commessi (come nel caso del capitale
mercantile), comunque a suoi “agenti”. Il passaggio cruciale sta nel citato
“costo di circolazione” (una banca in effetti ha i suoi costi) ma esso
meriterebbe una definizione più precisa: quale “costo”? Quale interesse sul
denaro? Chi lo determina? Perché se banchieri e finanzieri sono “agenti” del

3 Per Marx il “capitale commerciale” ha la funzione di “semplice commesso del produttore” (Libro III, I, p.
329)
4 “… nel processo di circolazione non viene creato alcun valore, quindi alcun plusvalore … Se in conseguenza
della vendita della merce prodotta viene realizzato un plusvalore, ciò avviene perché tale plusvalore si trovava
già fin da prima in essa contenuto” (Ivi, p. 339).

E’ proprio così? La marginalizzazione del capitale bancario e
finanziario era assolutamente tale ed evidente nell’Ottocento, almeno fino alla
morte dell’autore de il Capitale, nel 1883?
Eccoci dunque al secondo corno del problema: in verità, contro il Marx
dogmatico de Il Capitale (fino all’incompiutezza dell’opera, “rattoppata” qui e
là dal buon Engels) emerge dalla sua vastissima produzione un Marx diverso,
giovane, lettore acuto e “immediato” (senza pretese cioè da filosofo della
storia) della realtà che lo circondava. Come quello che descrive, una ventina
di anni prima della stesura del primo libro della principale opera marxiana
(1867), “Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1950”:
“Dopo la rivoluzione di luglio il banchiere liberale Laffitte,
accompagnando il suo compare, il duca di Orléans, in trionfo all'Hôtel de
Ville, lasciava cadere queste parole: "D'ora innanzi regneranno i banchieri".
Laffitte aveva tradito il segreto della rivoluzione.
Sotto Luigi Filippo non era la borghesia francese che regnava, ma una
frazione di essa: banchieri, re della Borsa, re delle ferrovie, proprietari di
foreste, e una parte della proprietà fondiaria rappattumata con essi;
insomma la cosiddetta aristocrazia della finanza. Parigi era inondata di libelli – La Dynastie Rothschild … Les juifs,
rois de l’èpoque – nei quali il dominio dell’aristocrazia finanziaria, veniva,
con maggiore o minor spirito, denunciato e stigmatizzato” 5
Andiamo dritti alle questioni che suscita questo scritto di Marx, antologia di
articoli per la Neue Rheinische Zeitung:
Prima questione, il paradigma marxiano è qui rovesciato rispetto a
quello de Il Capitale: ne Il Capitale la contraddizione principale è fra classe
operaia e capitalisti industriali, e anzi Marx, come più tardi Hilferding –
diversamente da un altro classico della saggistica sull’Imperialismo, Hobson -
teorizza in qualche pagina della sua principale opera, una funzione addirittura
anticapitalista del capitale finanziario, potenziale artefice della “soppressione
del modo di produzione capitalistico nell’ambito dello stesso modo di
produzione capitalistico … una contraddizione che si distrugge da se stessa,
che prima facie si presenta come un semplice momento di transizione verso
una nuova forma di produzione” 6. Dunque l’ “aristocrazia finanziaria”
poteva diventare compagna di strada del progetto rivoluzionario, così come
oggi il popperiano George Soros sarebbe il levatore mondiale della
rivoluzione: invero non più rossa e proletaria, ma piuttosto globalcapitalista e
arancione o verde. “Rivoluzioni” che non a caso attraggono molto i tragici
residui “marxisti” del postbipolarismo in Italia e in Occidente.
Un Marx che faceva del capitale finanziario il protagonista
della Politica e della Storia della Francia di Filippo II, e che per
questa sua lettura ricorda quel che avrebbe scritto nel 1902 John Atkinson
Hobson in uno scritto – Imperialism: a Study – che, nonostante la matrice
culturale diversa del suo autore, fa parte anch’esso della tradizione di
pensiero marxista:
“Questi grandi interessi finanziari … formano il nucleo centrale del
capitalismo internazionale. 8 Leggi il testo della relazione nel link sul sito
9 Claudio Moffa, Quale identità comunista?, L’Ernesto, pp. 15-16 (vedi il link sul sito), IV, n. 8, ottobre 1996.

variegata diaspora post 1998 ma semmai – se la ricognizione dei “paradisi
fiscali” dovesse diventare una costante, e se tutte le parole dette si
trasformeranno in fatti – Tremonti e … il G8-G20, che hanno posto il
problema di regole da imporre alla globalizzazione finanziaria, e del
necessario primato dei Governi – cioè della Politica – sulle Banche e sul
capitale finanziario transnazionale. Senza il quale i fondamenti della
democrazia, cioè del governo del popolo, sono minacciati in tutto il mondo.
E’ vero, dietro tutto questo potrebbero esserci solo esigenze di
imbellettamento dei “potenti” della Terra di fronte agli effetti della crisi
economica mondiale. Ma potrebbe esserci anche dell’altro: ad
esempio l’esperienza diffusa di una Politica che ha perso ogni
autonomia a fronte del ricatto dei sempre più potenti mass media,
i quali eccezioni a parte, e in particolare nella loro versione
“progressista”, sono un articolazione fondamentale del potere del
capitale finanziario; e ci potrebbe essere, in tempi recentissimi, la
colossale truffa di Madoff ai danni del mondo intero correligionari
compresi. Se si applicasse la “lente di Marx” (del 1848) alla fase
postbipolare in Italia e nel mondo …
Seconda questione, dunque: il valore euristico del paradigma de Le lotte
di classe in Francia per la comprensione della storia, la storia attuale.
Lasciamo infatti perdere l’Ottocento nel corso del quale comunque, anche
prima della svolta di fine secolo tratteggiata da Engels nella prefazione al III

10 James Petras
11 La Casa Bianca su Soros: “conta come uno Stato”, il Corriere della Sera 19 gennaio 1995: “Lavorare con
Soros è come lavorare con un’entità amica, alleata indipendente, se non con uno Stato – dice Strobe
Talbotto, sottosegretario di Stato americano, il numero due della politica estera di Clinton – Noi cerchiamo
di sincronizzare il nostro approccio ai Paesi ex comunisti con la Germania, la Francia, la Gran Bretagna. E
con George Soros”

Libro de Il Capitale da lui “corretto” e pubblicato nel 1894, “pare” che il
capitale finanziario e bancario abbia avuto un ruolo determinante in eventi e
fenomeni cruciali dell’epoca: la sconfitta di Napoleone, la conquista
dell’Algeria del 1830, la costruzione del Canale di Suez con la sua funzione
geopolitica centrale per tutta l’ “età dell’imperialismo”; l’acquisto delle azioni
del Canale, grazie a un prestito dei Rothchilds alla Corona inglese, mediatore
Disraeli, al khedivé d’Egitto; il meccanismo dell’indebitamento finanziario
come chiave principale di intervento del colonialismo europeo anche nel resto
del Nordafrica; lo scramble for Africa; e per finire la conquista della Libia con
l’intervento del Banco di Roma.
Lasciamo perdere tutto questo: proviamo invece ad applicare il Marx
del 1848 a fatti, problemi, fenomeni degli ultimi vent’anni. La
prima domanda è: chi determina oggi gli eventi cruciali del
pianeta? Quale capitale pretende di fare e in buona parte fa la
Storia all’alba del nuovo secolo? Quale capitale è protagonista
delle terribili guerre che hanno assassinato la Jugoslavia e l‘Iraq?
La risposta dei maghi zurlì dell’ economia “marxista” è che
capitale finanziario, bancario e industriale sono fusi in un unicum
inscindibile, alibi per disinteressarsi (e restare al servizio sia pure
indiretto) del capitale finanziario e bancario: e se i fatti (il conflitto in
Confindustria, lo scontro Berlusconi- De Benedetti 12, la dialettica banche
piccola e media industria, il controllo finanziario di molti paesi ex socialisti)
dimostrano il contrario, gli stessi fatti vengono trasformati con un colpo di
bacchetta magica in “parole”, o in contraddizione secondaria del “blocco
borghese”, o in semplice “vetrina”, come da battuta militante bernocchiano
alla manifestazione contro il G8 aquilano: “er Gi-otto è ‘na vetrina, volemo
vedé le case”.
La constatazione è duplice: primo, è proprio il
capitale-gruzzolo, il capitale che nasce e si sviluppa nel cielo della
speculazione, che è cioè massa di denaro liquido enorme e libera proprio
perché non costretta a essere impiegata nei macchinari e nel salari della “sfera
della produzione”: è proprio questo capitale marginalizzato da Marx nel III
Libro, ad avere la possibilità di determinare gli eventi cruciali della storia del
mondo. Non si può dire che quella valigetta – come quelle dispensate a re e
12 Uno scontro del quale un trafiletto di una quindicina d’anni fa su La Stampa, p. 2, da un significato
simbolico per due concezioni (radicalmente?) diverse del capitalismo e del connesso “rischio
imprenditoriali”. E’ capace di finanziare persino la “giustizia internazionale”, come nel
caso del Tribunale per il Ruanda la cui Procura (l’accusa cioè) gode di
contributi sostanziosi della Fondazione Rockfeller e (di nuovo) di George
Soros. Già
Hobson ricordava il ruolo determinante della stampa nel provocare le guerre
della sua epoca, la classica età dell’imperialismo secondo titolo di un libro di
Fieldhouse. Ma agli inizi del ‘900 i quotidiani erano fogli per piccole élités:
oggi ci sono tutte le tecnologie della multimedialità, grande strumento di
liberazione e comunicazione ma anche di propaganda e di omologazione al
“pensiero unico” sull’Islam e sulla “democrazia”.
Le riforme economiche e sociali del centrosinistra
post-tangentopoli: ma che sinistra è?
La “sinistra finanziaria”, a costo del suo snaturamento 15, non “vede” o non
vuole vedere questa dimensione del conflitto economico in Italia e nel mondo,
l’importanza cioè del problema banche e finanza negli equilibri sociali e di
reddito anche per i lavoratori salariati e stipendiati: i moderati perché

15 Giulio Tremonti, L' imposta progressiva? un mito " reazionario". necessario il passaggio dalle tasse sulle persone a quelle sulle cose, Corriere
della Sera, 26 aprile 1994

subalterni nei fatti alla catena mediatica di Repubblica. A quale miseria si è ridotto certo
marxleninismo del Terzo millennio! 16

16 Dopo aver scritto queste righe polemiche sul “marxleninismo” attiale, leggo un articolo di Leonardo Mazzei
del Campo antimperialista sulla competizione economica e geopolitica fra gli oleodotti South Stream e
Nabucco, che si conclude con il riconoscimento della serietà della contraddizione e delle scelte (obbligate?)
del governo Berlusconi ad Ankara, e dunque con la sconfessione di quella che lui stesso definisce
interpretazione gossipara della vicenda: vale a dire, udite udite, uno scambio fra “bionde” russe e South
Stream, con Putin che incassa l’opzione pro-Gazprom e il Berlusca che fa il pieno di escort per le sue ville. E’
veramente pazzesco! Lo spazio che Mazzei dedica a questa ipotesi “interpretativa” potrebbe indicare un mio
eccessivo pessimismo sullo stato di salute della sinistra marxisteggiante in Italia, e invece ne è la conferma:
un’area fino in fondo succube del giornale-serva del progressismo italiano. Ci vorrebbe ancora molto spazio per una analisi completa: ma si può
dire telegraficamente, credo, che non c’è stata controriforma a danno
del mondo del lavoro, dell’occupazione e della lotta al precariato,
della sicurezza nei luoghi di lavoro, delle privatizzazioni che non
porti l’imprimatur del centrosinistra post-bipolare e postcomunista.
Lo jus primae noctis della mattanza della classe operaia italiana
e del mondo del lavoro dipendente è stato esercitato, di tappa in tappa, dai
vari don Rodrigo del centrosinistra. Fa in effetti sorridere vedere Franceschini in mezzo ai precari della scuola,
quando si pensa che nel 1993 era stato il governo Amato a privatizzare
l’impiego pubblico e nel 1997 il governo Prodi e il suo ministro Treu a
codificare il “lavoro interinale”. Solo Berlusconi è l’ostacolo per la cultura
chic dell’Italia “progressista”? Nel 1997 è mancato loro il là di un appello
redatto dal loro giornale-partito? Non sanno pensare da soli?
La cronologia secca delle leggi, decreti legge e decreti legislativi
mostra con ogni evidenza che è stata la sinistra finanziaria a
distruggere in pochi anni il patrimonio costruito in decenni di lotte
parlamentari e di piazza della sinistra, nel quale peraltro (vedi il
caso dell’Agip e della Banca d’Italia) erano stati opportunamente
conservate alcune misure e istituti di epoca fascista: 2 giugno 1992, è
nato da poco il governo Amato, incontro sul panfilo reale Britannia fra
finanzieri, banchieri e managers italiani inglesi e di altri paesi europei, per
delineare la strategia delle privatizzazioni delle economie europee; 18 luglio
(ancora governo Amato) un DPR codifica definitivamente l’autonomia del
Governatore della Banca d’Italia dal Ministero del Tesoro, che non può
intervenire per co-definire il tasso di sconto; 31 luglio, il golpe notturno delle
privatizzazioni degli Enti pubblici, dopo la campagna della Repubblica contro
i “boiardi”, dove assieme all’acqua sporca degli enti parassitari si svendono
anche gioielli dell’industria: ENEL e ENI, IRI. Sempre nel 1993, il nuovo
governo Ciampi dispone la separazione di Agip e Snam dall’ENI spa e la
dismissione delle partecipazioni del Tesoro dall’Agip, Ina, Enel, e dalle
banche IMI, Commerciale e Credito italiano. 1997, le già ricordate
privatizzazioni di enti culturali da parte di Prodi, e il pacchetto Treu sul lavoro
interinale con la legge 196 del 24 giugno.
Poi un secondo provvedimento cruciale: poi, il 17 maggio il governo
D’Alema permette anche alle fondazioni bancarie di diventare azioniste della
Banca d’Italia, che si trasforma così completamente in un ente di fatto
privatistico, i cui azionisti saranno occultati all’opinione pubblica fino a che
una inchiesta di Famiglia cristiana del 2004, non svela gli altarini: più
dell’84 per cento del capitale della Banca “di stato” è in mano a privati! La
filosofia che sta dietro questo smantellamento della peraltro moderata
strutturazione del sistema bancario italiano, oggetto di campagne durissime
da parte della stampa della sinistra finanziaria – vedi l’assalto del Corriere di
Mieli al cattolico Fazio nel 2005, mentre stava per andare in porto una legge
destinata a riportare in mano pubblica il capitale della BdI - è la solita solfa
dell’ “autonomia”. E’ lo stesso leitmotiv utilizzato per la riforma Berlinguer
dell’Università (altra perla del centrosinistra, a cui Moratti e Gelmini hanno
portato qualche miglioramento in positivo): anche l’ “autonomia” degli Atenei
è solo presunta, ed è un modo per “liberare” l’autorità e il bilancio centrale
dello Stato dal costituzionale obbligo del finanziamento dell’Istruzione
pubblica, abbandonando le Università o al degrado e al declino, o alla
sottomissione al capitale privato e a gruppi di potere più o meno massonici. Il
tutto mentre la vera autonomia degli Atenei – intesa come autonomia del
corpo docente e dei propri organi di rappresentanza collegiale - rischia di
venire cancellata progressivamente.
Rispetto alla deriva liberista e antioperaia di tutti i governi del
centrosinistra dagli anni Novanta ad oggi, Berlusconi e il centrodestra o
hanno ereditato i “frutti” per loro più comoda gestione magari evitando di
prendere necessari provvedimenti (come il blocco-controllo dei prezzi dopo il
disastroso cambio dell’euro ad opera di Prodi) oppure hanno cercato di porre
qualche piccolo o meno piccolo rimedio a vantaggio del mondo del lavoro e
dei cittadini. Cerca solo lo scontro frontale, nato sul
nulla, cioè sulla vicenda delle escort, in un momento in cui il governo stava
mostrando le sue effettive capacità di risolvere alcuni problemi chiave del
paese, dall’immondizia a Napoli al terremoto d’Abruzzo.
Alle spalle
della vostra “rivoluzione” ci sarebbe il capitalista De Benedetti: con le sue
profezie recenti sulle “spese proletarie” nei supermarket, con i suoi passati
licenziamenti all’Olivetti, 2-3000 operai in un sol colpo, e con la vicenda SME
emblema della svendita del patrimonio pubblico al capitale privato. La prima
Tangentopoli è stata esaltata dalla sinistra estrema (tranne piccole, marginali,
inutili eccezioni) poi è arrivata la riflessione e il quasi pentimento vista la
macchina delle privatizzazioni e del maggioritario messe in moto dalla
“rivoluzione” dipietrista.

di Claudio Moffa

12 settembre 2009

Il picco dell'acqua

Picco acqua
Le risorse idriche si stanno esaurendo. E' il picco dell'acqua
La lasciamo scorrere distrattamente dai rubinetti, eppure l’acqua si sta esaurendo. Mentre il mondo discute del picco del petrolio, il Pacific Institute della California, nel volume The World’s Water introduce, per la prima volta nella storia, il concetto di “peak water”.

Il volume 2008-2009 del rapporto biennale evidenzia che l’inquinamento, l’abuso e la cattiva gestione delle risorse idriche minacciano la produttività economica, la salute umana, gli ecosistemi e la sopravvivenza stessa.

Il testo, che peraltro presenta una serie di dati sulla disponibilità di acqua nelle varie parti del mondo, offre, in un capitolo, una valutazione della difficile situazione idrica della Cina, dovuta al suo rapido sviluppo. Non è ancora possibile prevedere se questo Paese arriverà ad una catastrofe ma è necessario comprendere che esiste un limite alla disponibilità di acqua. Alcune zone si stanno già avvicinando ai limiti sostenibili di estrazione e uso delle risorse idriche. Conoscere gli effetti che il superamento di tali limiti comporta per la produzione di alimenti, per il benessere economico e per l’ambiente, può aiutare a sviluppare nuove modalità di gestione e di utilizzo di acqua. Nel testo, quindi, vengono illustrate le strategie, le tecnologie e le modalità che le città possono adottare per soddisfare la crescente domanda di acqua.

Peter Gleick
Peter Gleick, direttore del Pacific Institute of California

Come sottolinea nella prefazione al volume Malin Falkenmark, professore del Stockolm International Water Institute e del Stockolm Resilience Center, in molti paesi la percezione della sicurezza dell’acqua sta iniziando a dissolversi.

Allarmante è il fatto che per la prima volta si parli di “picco dell’acqua”: il mondo ha consumato più della metà dell’acqua disponibile ed il rischio è quello che in futuro scoppino altre guerre per l’approvvigionamento di tale risorsa, come è già avvenuto in passato.

“C’è tanta acqua nel pianeta ma stiamo per fare i conti con una crisi per il venir meno di acqua gestita in maniera sostenibile”, ha dichiarato Peter Gleick, direttore del Pacific Institute.

Crediamo che alcune risorse, quelle di cui usufruiamo quotidianamente e a cui possiamo accedere con estrema facilità, siano infinite. Le consumiamo indiscriminatamente, senza fermarci mai a riflettere, dando per scontato che, così come oggi, anche domani saranno disponibili a noi, ai nostri figli, ai nostri nipoti.

acqua limpida
E' necessaria una migliore gestione delle risorse idriche per evitare che queste si esauriscano

Un giorno però succede qualcosa e ci accorgiamo che la nostra era soltanto una falsa credenza e che anche ciò che consideriamo eterno in realtà ha un limite. È quello che è successo con l’ oro nero ed è lo stesso che sta accadendo adesso con l’oro blu, tesoro ben più prezioso.

L’era dell’accesso facile alle risorse idriche sta per finire e, come è accaduto per il petrolio, siamo giunti adesso al “picco dell’acqua”.

La teoria del picco, proposta nel 1956 dal geofisico Marian King Hubbert, riguarda l’evoluzione temporale della produzione di una qualsiasi risorsa minerale o fonte fossile esauribile o fisicamente limitata: il punto di produzione massima oltre il quale la produzione può soltanto diminuire, viene detto picco di Hubbert. Raggiunto il picco ha inizio il declino, prima lento poi via via sempre più rapido.

Marian King Hubbert
Marian King Hubbert, il geofisico che nel 1956 propose la teoria del picco

Inizialmente nessuno diede credito alla teoria di Hubbert. Negli anni ’70 però cambiò tutto e le due crisi petrolifere che misero in ginocchio l’America (nel 1973 e nel 1979) resero Hubbert uno dei più celebri geofisici del mondo: 48 Stati raggiunsero, effettivamente, il loro picco di produzione.

Il petrolio rappresenta oggi circa il 40% dell’energia primaria ed il 90% di quella utilizzata nei trasporti. Percentuali altissime, non c’dubbio. Eppure il petrolio non è insostituibile. All’oro nero, in molti campi, potranno subentrare le fonti rinnovabili (come il solare o l’eolico) o sostituti con un maggior impatto ambientale (come il nucleare). Soluzioni migliori o peggiori ma, in ogni caso, esistenti. L'uso di petrolio, inoltre, non è essenziale alla vita umana. Già ridurre sprechi e consumi inutili ci permetterebbe di affrancarci da gran parte dei suoi utilizzi.

Con cosa, invece, sostituiremo l’acqua quando questa finirà o sarà riservata ai ricchi e ai potenti? Come potremmo continuare a vivere senz’acqua?

di Alessandra Profilio

11 settembre 2009

Destra e sinistra: sempre più una convenzione


1. Da tempo ormai sta diventando opinione comune che la distinzione tra destra e sinistra è sempre più labile e indistinta. Adesso poi, con certi atteggiamenti smaccati di Fini, le nette separazioni sembrano cadute. Anch’io ho parlato spesso di “gioco degli specchi”, volendo ricordare che, pur nella confusione tra i due schieramenti, possono a volte sussistere differenze di “fisionomia”. Tuttavia, ho l’impressione che spesso l’attuale non distinzione venga presa come una diversità netta rispetto soprattutto a presunti antagonismi di un tempo. Bisognerebbe invece ricordare che, in Italia, il trasformismo della sinistra risale addirittura al Governo Depretis del 1876. Non si creda però che altrove si sia avuta una chiara divaricazione tra i due schieramenti; non sempre almeno.

Cominciamo con il dire che sinistra e destra sono considerate, per chi viene da una tradizione effettivamente antagonistica, correnti “borghesi”, comunque dei dominanti nelle società di tipologia capitalistica; correnti del tutto integrate nella riproduzione sistemica di tale forma di società, di cui hanno sempre rappresentato alternative riguardanti modalità di poco diseguali per conseguire le medesime finalità. Se immaginiamo che la politica, nel capitalismo, sia un fiume, potremmo pensare a due suoi rami che corrono grosso modo paralleli, dirigendosi verso la stessa foce. Nel bel film La villeggiatura (di Marco Leto), rivolgendosi al “villeggiante” (condannato al confino) prof. Rossini, inizialmente liberale, che teneva lezioni sulla storia d’Italia fino alla presa del potere da parte del fascismo, l’operaio comunista ad un certo punto sbotta (cito il senso, non le autentiche parole pronunciate nel film): “perché lei continua a parlare della destra e della sinistra? Ci sono la destra, la sinistra e la sinistra di classe”.
Mi permetto di rilevare un errore, giacché la sinistra di classe è il comunismo. In ogni caso, il senso è chiaro: le prime due correnti fluiscono lungo alvei paralleli, l’unica che si distacca e vuol dirigersi altrove è la terza. Da una parte, dunque, due forme differenti di lubrificazione della stessa “macchina” sociale; dall’altra, la volontà di inceppare la stessa e di proporre, per via rivoluzionaria, una sua drastica trasformazione, indirizzandola verso la riproduzione di rapporti sociali pensati come comunisti. Qui arriviamo al punto decisivo. In altre parti d’Europa, molto prima che in Italia (e per certi versi in Francia e paesi latini), ma in modo assai netto nel mondo anglosassone e scandinavo, ecc., il comunismo è sparito da gran tempo e le due correnti “borghesi” (uso apposta un termine un po’ vetusto) appaiono quale unico orizzonte politico; per cui ci si è pigramente adattati alla distinzione tra destra e sinistra – sempre più esile di senso – senza troppi problemi.

2. In Italia è stato diverso poiché esisteva alcuni decenni fa, nella coscienza di strati popolari (operai e contadini) non esigui, il sentimento dell’antagonismo tra comunismo (non semplicemente “sinistra di classe”) e le correnti “borghesi”. Solo che, come si evince anche dal bell’articolo di Berlendis, la prima corrente, per ragioni internazionali (patto di Yalta con divisione del mondo in due “campi”, ecc.) e interne, si è andata progressivamente adattando, nei suoi vertici dirigenti, alla riproduzione dei rapporti capitalistici. Così, insensibilmente, il comunismo è stato via via pensato quale semplice parte della sinistra; un po’ più radicale dell’altra, ma progressivamente sempre meno radicale. Si è prodotto uno iato crescente tra gruppi dirigenti del Pci e base popolare, in cui – sia pure in modo viepiù sbiadito – rimaneva una “memoria” dell’antagonismo “al sistema”. La rottura più netta si è prodotta tra ceti intellettuali e assimilati – in specie quelli dei settori improduttivi (non dico inutili, pur se spesso sono anche questo, anzi nocivi) del settore “pubblico” o da questo alimentati finanziariamente – e la base popolare.

In Italia, dunque, la sempre più scarsa distinguibilità, e la trasversalità, tra destra e sinistra è frutto di una sorta di “mutazione genetica” subita dal comunismo italiano. Quando poi si è verificato il crollo del campo detto socialista – cui il Pci era ormai lontano, non avendo però ancora rotto con esso ogni legame ombelicale (quasi soltanto finanziario) – è avvenuto “l’ultimo scatto” verso il pieno schieramento atlantico, cioè filoamericano, perdendo ogni pur piccola “eco” di ciò che fu il comunismo, quanto meno come ideologia e presa di posizione antisistema; “scatto” sanzionato da ripetuti cambi di nome e di sostanza, cioè di iscritti e base elettorale. Così, qualcuno ha vissuto gli ultimi anni come si trattasse di un’autentica confusione tra destra e sinistra. La confusione, l’illanguidirsi di una distinzione, c’è senz’altro e non solo in Italia; tuttavia, qui da noi l’impressione è stata decisamente superiore per il fatto di questa graduale trasformazione del comunismo in sinistra, che ha cancellato ogni vestigia della critica anticapitalistica e antistatunitense (salvo che in pochi zombi, più dannosi ancora nella loro vetustà).

3. Pensare di invertire oggi il flusso della trasformazione storica, ricostituendo forme esangui e utopiche di comunismo e antiquato antimperialismo, è pura illusione (quando non sia solo un ulteriore “tradimento” a scoppi successivi e ritardati, utili a impedire ogni sano ripensamento). Intendiamoci bene: il laido viso del tradimento è ben limpido davanti a chi vuol vedere. La “sinistra – cioè il comunismo divenuto sinistra – è questo viso; per il semplice motivo che ogni processo oggettivo forgia i suoi agenti. E’ certo il tradimento a creare i traditori. Tuttavia, bisogna tenere ben presenti le due lame della forbice se si vuol tagliare (e non tagliarsi). Il tradimento è stato oggettivamente provocato dall’impossibilità di costruzione del socialismo (e comunismo) per errori pratici indotti da gravi errori di teoria. Quest’ultima aveva indicato la possibilità (anzi certezza) di mettere in moto dati processi, possibilità invece oggettivamente insussistente. La conseguente incapacità degli agenti, di dare vita ad un’effettiva transizione al socialismo, ha indotto gli stessi (in quanto guida della “schiera” che credeva di marciare in quella direzione) a coprire gli insuccessi – spesso inconsapevolmente, almeno all’inizio del loro tentativo – con la pura ideologia, magari gridando al sabotaggio dei commilitoni e seguaci. Alla fine però, quando si è capito o intuito che tutto era perduto, gli ultimi dirigenti del movimento diventarono reali traditori; in quel momento, assunsero il comando i più spregevoli, i più meschini, i veri ignobili individui dall’animo nero come la pece.

E’ obbligo morale denunciare e combattere i traditori, indicarli come esempio di bassezza senza limiti. Tuttavia, tale atteggiamento va accompagnato dall’analisi del processo che ha condotto al tradimento, e che difficilmente avrebbe potuto produrre qualcosa di positivo. In ogni caso, però, dobbiamo oggi concludere per l’impossibilità di una qualsiasi ripresa di una critica “antisistema”, in assenza di un ripensamento generale che solo in pochi hanno iniziato, mentre la maggioranza è passata al “sistema” e una piccola minoranza di ritardatari si ostina a sguazzare nel vecchio pantano. Sul comunismo stendiamo momentaneamente (una fase storica) il silenzio; perché parlarne senza analisi – e senza nuove categorie d’analisi – è da sciocchi o da mascalzoni; significa produrre idee fantasmagoriche della “novella società”, che non hanno una qualsiasi possibilità di convincere se non pochi dissennati.

4. In questo senso, e solo in questo, va inteso il programma di studiare e comprendere la transizione d’epoca che sembra in corso di svolgimento adesso. In tale passaggio storico, permangono alcune forme di lotta dei raggruppamenti sociali (non classi) subordinati che, pur con forme apparentemente nuove, ripetono invece il sostanziale “tradunionismo” delle vecchie. Non si tratta di contrastare tali lotte; anzi, nei limiti del possibile, di appoggiarle. Senza però illusioni. Non sono forme di lotta che spostano reali equilibri nei rapporti di forza tra chi sta sopra e chi sta sotto. Sono le lotte tra dominanti – e soprattutto nei loro effetti di conflitto tra più compartimenti degli stessi sul piano internazionale – a provocare effettivi mutamenti fortemente dinamici in questa fase storica. La crisi economica è solo la “passerella” su cui sfilano attori reali che tuttavia coprono quelli decisivi e assai meno appariscenti (non però del tutto nascosti).

Ciò che appare non è. Formula che tuttavia può indurre in errore. Diciamo meglio: ciò che è in vivida luce attira i nostri sguardi e così non vediamo quanto sarebbe più essenziale vedere. Chi manovra i riflettori illumina gli attori (spesso guitti da avanspettacolo) e lascia in (pen)ombra i ben più efficaci suggeritori. In questo nostro paese, tra gli attori illuminati chi troviamo? Vecchie conoscenze: i traditori del comunismo. Quel vecchio tradimento è ormai consumato; utile riparlarne solo in sede storica per comprendere le radici del tradimento odierno. Con animo immutato, infatti, questi deformi nanetti vogliono ripetere lo stesso “scherzo” nell’attuale fase di transizione ad altra epoca, in attuazione mediante la nuova lotta tra dominanti in campo internazionale; mi riferisco alle più volte da noi trattata conflittualità tendenzialmente multipolare che si va instaurando.
E ancora una volta ripeto: questo tradimento va studiato nelle sue determinanti oggettive: quelle del conflitto che – grazie alla “legge” dello sviluppo ineguale delle varie formazioni particolari – si sta instaurando tra Usa e nuove potenze in gestazione. Dobbiamo comprendere le forme di tale conflitto, rifarci a quello precedente (epoca dell’imperialismo) per individuarne le differenze, che implicano diversità della strutturazione sociale dei capitalismi in lotta. Senza mai dimenticare però i traditori, quelli che intendono mettere in svendita gli interessi del paese. E’ a mio avviso superficiale sostenere che tutto ciò riguarda solo i dominanti, mentre noi dovremmo interessarci soltanto dei dominati. Questi ultimi, lo si capisca infine, resteranno a lungo a lottare in quanto dominati, e per di più a livelli di vita in peggioramento, che non ha mai favorito – di per sé, in mancanza di un conflitto lacerante tra i dominanti di vari paesi – la trasformazione anticapitalistica. Intanto, individuiamo i caratteri del conflitto nella fase attuale e come si muovono in esso i traditori degli interessi di ogni dato paese (che sia tra quelli delle rivoluzioni “colorate”, o uno di quelli europei in apnea, o il nostro a rischio di collasso).
di Gianfranco La Grassa

30 settembre 2009

Se Cina e Giappone non acquistano il debito: l'Armageddon



Gli Stati Uniti sono troppo dipendenti dall’acquisto da parte di Cina e Giappone del debito nazionale e potrebbero dover affrontare seri problemi economici se questo cessasse, ha detto al CNBC il fondatore e presidente della Tiger Management Julian Robertson.

“È quasi un Armageddon se i Giapponesi e i Cinesi non acquistano il nostro debito”, ha detto Robertson in un’intervista. “Non so dove potremmo trovare il denaro. Credo che ci siamo messi in una situazione terribile e credo che dovremmo provare ad uscirne”.

Robertson ha detto che l’inflazione è un grosso rischio se i paesi esteri dovessero smettere di acquistare le obbligazioni.



“Se i Cinesi e i Giapponesi smettessero di acquistare le nostre obbligazioni, potremmo facilmente vedere [l’inflazione] andare dal 15 al 20 per cento” ha detto. “La questione non è l’economia. La questione è chi ci presterà il denaro se non lo faranno loro. Immaginatevi se ci trovassimo nella situazione di essere totalmente dipendenti da questi due paesi. È pazzesco”.

[Julian Robertson, fondatore della Tiger Management]

Robertson ha detto che anche se non crede che i Cinesi smetteranno di acquistare le obbligazioni degli USA, i Giapponesi potrebbero essere eventualmente costretti a vendere parte delle loro obbligazioni a lungo termine.

“Questo è molto peggio che non acquistare”, ha detto. “L’altra questione è che stanno acquistando quasi esclusivamente il debito a breve scadenza. Ed è quello che stiamo offrendo, perché non possiamo vendere il debito a lungo termine. E si sa, la storia insegna che chi contrae prestiti a breve termine si scotta sul serio”.

L’unico modo di evitare il problema, ha detto, è di “crescere e lasciarci una vita d’uscita”.

“Gli Stati Uniti devono smettere di spendere, incominciare a risparmiare, ridurre e ridimensionare” ha detto Robertson “finché non succederà questo, non credo che saremo affatto fuori dai guai”.

Robertson non è ottimista per il breve termine.

“Ci aspetta una slittata piuttosto violenta” ha detto. “penso realmente che la recessione sia finita, almeno temporaneamente. Ma non abbiamo preso in considerazione così tanti dei nostri problemi e stiamo prendendo in prestito così tanto denaro che non potremo possibilmente ripagarlo se i Cinesi e i Giapponesi non acquisteranno le nostre obbligazioni.”
Fonte: http://cnbc.com/

28 settembre 2009

Come la FED comprò gli economisti di professione



Stando all'indagine pubblicata sull'Huffington Post, la Riserva Federale ha esercitato così sistematicamente il suo controllo sui principali quotidiani economici della nazione americana che tiene in pugno quasi completamente gli economisti accademici. Benché l'articolo non lo dica, la Riserva Federale ha copiato quel che i britannici hanno fatto in altri campi del sapere, tra i quali spicca il campo delle scienze fisiche, nelle quali è impossibile pubblicare un proprio lavoro e dunque avanzare nella propria carriera, senza omaggiare quelle anti-scientifiche figure di culto come Sir Isaac Newton.

L'articolo intitolato "Senza prezzo: come la Riserva Federale comprò gli economisti di professione" dimostra in modo conclusivo che essa controlla gli economisti accademici attraverso le relazioni intrattenute con i guardiani dell’editoria. L'esempio emblematico è dato dal Journal of Monetary Economics, la cui redazione è per oltre la metà composta da membri sul libro paga della Riserva Federale, mentre il resto lo fu in passato.

La rassegna condotta da un gruppo di sette emimenti giornalisti presso l'Huffington Post ha trovato che 84 dei 190 membri di quella redazione erano affiliati, in un modo o nell'altro, alla Riserva Federale. "Provate a pubblicare un articolo critico della Riserva Federale con un direttore che lavora per essa", scrive James Galbraith. Periodici e pubblicazioni simili determinano, a turno, quali economisti debbano essere sostenuti e quali idee siano da considerarsi degne di rispetto.

L'articolo riferisce come Galbraith, un critico della "Fed", abbia sperimentato direttamente l'influenza dell'istituzione sull'accademia. Insieme a Olivier Giovannoni e Ann Russo, ha trovato che nell'anno precedente ogni elezione presidenziale si assiste ad un inasprimento della politica monetaria da parte della Riserva Federale se il presidente del momento è un democratico, mentre si assiste ad un addolcimento della stessa politica se si tratta di un repubblicano. Gli effetti sono entrambi significativi. Nel 2008 essi proposero alla Review of Economics and Statistics un articolo contenenti i loro risultati, che fu rifiutato.

Galbraith aggiunge: "Il redattore assegnato ad esso [l'articolo] si rivelò essere stipendiato dalla Fed e ciò accadde dopo che io ebbi richiesto che esso [l'articolo] non fosse assegnato a qualcuno affiliato con la Fed".

L'Huffington Post ha passato in rassegna le testate American Journal of Economics, Journal of Economic Perspectives, Journal of Economic Literature, American Economic Journal: Applied Economics, American Economic Journal: Economic Policy, Journal of Political Economy e Journal of Monetary Economics. Il gruppo di giornalisti ha anche verificato i legami con la Riserva Federale delle 190 persone impiegate da queste riviste. Delle 84 anzidette affiliate con la Riserva Federale in un certo momento della loro carriera, 21 erano sul libro paga mentre fungevano da gatekeeper di quelle riviste. Della redazione del Journal of Monetary Economics ogni singolo membro è o è stato affiliato con la Riserva Federale, mentre 14 dei 36 membri della redazione sono al momento nel suo libro paga.

by movisol

27 settembre 2009

In-formazione


Che cos'è l'informazione? L'informazione, pur essendo trasmessa attraverso un medium materiale, tende a sconfinare in una dimensione quasi immateriale. Moltissimi testi spiegano che il segno è composto da due parti inscindibili, ossia il significato ed il significante. Quest'ultimo è definito generalmente come la parte materiale del segno, ma tale interpretazione è, a mio parere, errata poiché sebbene il significante (la forma del segno) sia veicolato da un substrato materiale, esso è, però, un'immagine acustica, grafica, olfattiva del segno, una sorta di eco della materia.

Si aggiunga che il significato è immateriale, coincidendo con il concetto, con l'idea e si capirà per quale motivo il messaggio all'interno di un sistema comunicativo sia qualcosa di quasi-incorporeo. A rendere l'informazione una realtà molto labile, contribuiscono fattori spaziali e temporali: si pensi ai segnali luminosi cosmici che percepiamo o con gli occhi o con strumenti tecnologici. Sono segnali che, viaggiando alla velocità della luce, ci raggiungono dopo un tempo lunghissimo in relazione alle distanze siderali: talora sono "informazioni" di astri che non esistono più. E' quindi un messaggio inattuale. Si aggiunga all'interno del sistema della comunicazione il ruolo del rumore, ossia il disturbo sulla trasmissione del messaggio. Si consideri pure la difficoltà di connettere il pensiero alle leggi di natura, giacché l'attività ideativa è manifestata per mezzo di mezzi fisici, ma non può essere spiegata in toto in termini di reazioni chimiche e di dinamiche biologiche. Ancora una volta, siamo in presenza di uno iato tra sfera noetica (pensiero, idee, coscienza) e sfera materiale.

In un interessante articolo intitolato Il tempo, l'infinito, l'anima, Alex Torinesi congettura che l'anima sia il principio generatore dello spazio-tempo: l'autore concepisce l'anima come "pura informazione", nel senso, però, non tanto di trasmissione di un messaggio, ma di formazione delle coordinate spazio-temporali e della materia che ad esse soggiace. L'informazione è quindi, quasi aristotelicamente, forma. Tale forma genera la materia per evolvere nello spazio-tempo. La tesi dello studioso si può condividere o rifiutare in parte o del tutto, ma è degno di nota che l'autore colga il lato produttivo dell'informazione, non semplice segnale diffuso nello spazio-tempo, grazie ad un medium energetico (onde elettromagnetiche in primis). Forse potremmo accostare, consapevoli che è una metafora, ma la metafora non è solo una figura retorica, piuttosto il cuore del linguaggio, il concetto all'anima ed il significante (suono, lettere del segno) alla mente che, per esprimere idee, ha bisogno di un quid energetico (segnali bio-chimici). Tale modello interpretativo rispecchia la teoria di Torinesi sulla genesi della dimensione cronotopica per opera dell'anima.

La psicologia, le neuroscienze, la filosofia, la fisica quantistica... nei prossimi anni potranno forse riempire il vuoto concettuale che divide mente e materia, se si supereranno banali e riduttivi approcci scientisti.
by Zret

21 settembre 2009

Influenza suina: Garattini, su vaccino pressione delle aziende

Influenza A
Garattini: la vaccinazione al momento non è necessaria
ROMA - Lo dice senza mezzi termini il farmacologo Silvio Garattini: se il virus A/H1N1 della nuova influenza non muterà, acquisendo dunque una maggiore virulenza rispetto allo stato attuale, la vaccinazione di massa annunciata dal governo italiano e da quelli di molti altri paesi "non è necessaria". Una corsa al vaccino, quella determinatasi nelle ultime settimane - mentre i vari colossi farmaceutici impegnati nella produzione si preparano ad avviare la sperimentazione clinica sull'uomo da agosto - che Garattini considera quanto meno eccessiva. Tutto si basa, dice in una intervista all'ANSA, su "ipotesi, di cui non si sa se siano vere o meno".

Perplessità, dunque, sulla reale opportunità ed efficacia dei piani di vaccinazione di massa. Ma non solo. Dietro quella che l'esperto definisce, appunto, una "corsa", si cela altro. Si celano, afferma, enormi interessi economici. Ed anche questo Garattini lo dice in modo chiaro: "Al momento c'é, certamente, una grande pressione da parte delle industrie, che da tale corsa trarranno molte risorse economiche". Un'opinione fuori dal coro, quella del direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, che invita anche a un'ulteriore riflessione: l'attenzione è tutta sulla nuova influenza e "si dimenticano - denuncia - le altre tragedie sanitarie in atto" come l'Aids e la malaria.

- C'E' ALLARMISMO, QUESTO E' UN VIRUS MITE - Il virus A/H1N1, ha spiegato Garattini già nelle scorse settimane, "ha una virulenza mite. Bisogna informare, ma il pericolo - sostiene - é per quelli che vengono dalle zone colpite". Quanto ai farmaci antivirali da utilizzarsi in caso di contagio, come il Tamiflu, Garattini rileva che "in realtà l'attività del farmaco è poca. Nell'influenza normale si risparmia un giorno di malattia su cinque o sei. Però - avverte - ci sono effetti collaterali. Non è che si faccia un grande affare a prenderlo".

- SE VIRUS NON MUTA VACCINAZIONE DI MASSA NON SERVE - Se il virus A/H1N1 manterrà il livello di virulenza attuale con la bassa aggressività clinica sinora registrata, "non c'é la necessità di vaccinare tutta la popolazione" ma, afferma l'esperto, "sarebbe piuttosto opportuno valutare l'ipotesi di vaccinare solo gli operatori sanitari".

- L'OMBRA DEGLI INTERESSI DELLE AZIENDE - "Certamente - ha detto Garattini - c'é una grande pressione da parte dell'industria, che ne trarrà molte risorse economiche". Infatti, "solo fra alcuni mesi si potrà vedere se è veramente necessario questo quantitativo di vaccino in produzione oppure no. Ma se il virus rimane quello che è al momento, allora non ci sarà bisogno di vaccinazioni di massa".

- ANCHE SE VIRUS MUTASSE NON E' DETTO VACCINO FUNZIONI - Se invece il virus dovesse mutare, ha avvertito Garattini, "non è detto che il vaccino in produzione sia in grado di proteggere". Dunque, "realisticamente - ha commentato - quello che andrebbe fatto in questo momento è cercare di diminuire le possibilità di infezione, controllando le frontiere e invitando la gente ad evitare luoghi a rischio e affollati e ad adottare strette misure igieniche".

- SI DIMENTICANO TRAGEDIE VERE - Il punto, avverte, "é che si sta focalizzando l'attenzione solo sulla nuova influenza, dimenticando le altre emergenze sanitarie in atto, a partire dall'Aids". Al momento, ha concluso Garattini, "non siamo di fronte a un reale pericolo e il numero di contagio da virus A/H1N1 nel mondo, sebbene in crescita, resta comunque inferiore a quello relativo a una normale influenza stagionale".

by Terranauta

20 settembre 2009

Alchimia

Nel mondo profano, quando si parla di Alchimia, spesso si va con il pensiero ad evocare personaggi illustri di epoche passate che operavano segretamente in luoghi bui e nascosti, pieni di fumo, di fuochi ed alambicchi, personaggi che, per la loro dedizione alla Magia e spesso alla stesura di indecifrabili testi alchemici, sono stati avvolti in un aura di mistero che spesso sconfinava nella leggenda o addirittura nel mito.

Laboratorio alchemico

E’ l’esempio di alchimisti della caratura di Nicolas Flamel, Paracelso, Basilio Valentino, Raimondo Lullo, Cornelio Agrippa, Giordano Bruno, John Dee, William Blake, Cagliostro, Raimondo di Sangro principe di Sansevero, Fulcanelli, di donne alchimiste come Maria la profetessa, Ipazia d'Alessandria, Maria Cristina di Svezia e tantissimi altri ancora.

Moltissimi, per secoli, come la stessa Chiesa, hanno creduto che tali personaggi avessero, per certi versi, trovato la “formula magica” del potere sulla Natura e dell’eterna giovinezza, attraverso un patto col diavolo, credendo che l’Alchimia fosse legata a qualcosa di estremamente oscuro, arcano e di dubbia provenienza.

Quanti furono, infatti, gli alchimisti, uomini e donne, bruciati sui roghi dell’Inquisizione!

Ma ,ancora oggi, sono pochi quelli che sanno realmente di cosa realmente si tratti.

Quasi tutti credono che quest’Arte sia solamente legata alla “metallurgia”, al mito della trasformazione dei metalli vili in oro.

Alla scoperta di una pietra magica, la pietra filosofale, attraverso la quale tutto è possibile.

Credono che il fine di tutto questo si riduca all’esercizio di un potere magico destinato all’arricchimento materiale.

Testo alchemico del 1649

Ma in effetti è tutto il contrario.

L’Alchimia parte dalla Materia per arrivare allo Spirito, parte dall’Oscurità per arrivare alla Luce, parte dall’Uomo per arrivare a Dio.

L’Alchimia è la Via dell’Uomo che percorre e ripercorre il sentiero di se stesso, attraversando il proprio sangue e la propria anima, rettificandola attraverso il sacrificio del proprio principio vitale, liberandola dal giogo del “drago” attraverso la lancia della volontà e l’amore del ritmo.

L’Alchimia è la conoscenza diretta dell’Essere Uomo, la riscoperta del proprio corpo come laboratorio di vita, la consapevolezza di riconoscere in se stessi la chiave attraverso cui si aprono le porte del Cielo, il ponte attraverso il quale l’Uno abbraccia il molteplice e si rispecchia in esso.

L’Alchimia è la Riconciliazione con il proprio corpo, con la propria origine divina, con la Natura che lo compone, che da Matrigna torna ad essere Madre e Matrice di ogni cosa.

E’ difficile pensare a quanto grande sia il potere racchiuso all’interno del nostro corpo, a quante possibilità possa esso esprimere per la realizzazione della “Grande Opera”, la manifestazione del Cristo Trasfigurato nel corpo di Luce e di Gloria.

Eppure tutto questo è possibile. Possibile grazie alla profonda conoscenza di ciò che siamo.

Uomo conosci te stesso, e conoscerai l'universo e gli Dei”: così citava il motto inciso sopra l’ingresso dell’oracolo di Delfi.

E questa è tutta la Verità.

Abbiamo parlato in precedenza di laboratori, di alambicchi e di fuochi, ebbene, dove si trovano tutti questi elementi?

Nel nostro corpo, microcosmo del Creato.

E’ da qui che dobbiamo partire: da ciò che ci è più vicino, da ciò che noi siamo, dall’unico elemento con cui possiamo intimamente confrontarci: la nostra natura umana. Fisica, psichica e spirituale.

Ci si può chiedere: “Come può un essere così “limitato”, pieno di fragilità, di condizionamenti e contraddizioni divenire ed essere la “chiave di volta” del cambiamento?"

Può esserlo nel momento in cui è collegato alla Sorgente Universale e fruisce da questa la Forza e la Potenza per esprimerne il progetto.

Ma perché tutto ciò si realizzi è necessario creare il luogo perché questa stessa Forza sia in grado di abitarvi.

Per questo il “Tempio” va preparato, per accogliere lo Spirito.

Uomo microcosmo misura del macrocosmo

La Natura volgare e rozza della materia che ci compone perirebbe al solo contatto con questa Forza se non venisse sublimata e “purificata” dalle basse vibrazioni in cui è immersa.

Tutto ciò è possibile attraverso un lungo e lento processo di trasformazione e di elevazione vibratoria che comporta un adeguata modifica delle informazioni genetiche riposte nel nostro DNA.

L’elevazione spirituale passa quindi attraverso un “adeguamento” materiale alle alte frequenze della Luce che il corpo fisico dovrà ospitare.

Dobbiamo renderci conto che l’Uomo è un essere in evoluzione e che quello che ora siamo è soltanto una fase transitoria di ciò che diventeremo.

E’ interessante scoprire quanta bellezza vi sia all’interno del nostro “laboratorio” fisico.

Una macchina che rasenta la perfezione. Un sistema talmente sofisticato da non poter fare a meno di credere all’origine di una “Mente Eterna” matrice di tale perfezione.

A volte basta soltanto adottare la legge ermetica per eccellenza: “come è in alto così è in basso…” per scoprire i segreti inimmaginabili che abbiamo sempre dinanzi ai nostri occhi.

Ultimamente sono stato attratto da qualcosa che fino ad oggi non avevo mai considerato. Qualcosa che, approfondendo l’argomento, ha suscitato in me tanta meraviglia e stupore: le ghiandole endocrine.!

Le ghiandole endocrine

Mai avrei creduto all’importanza esoterica di queste ghiandole.

Ma andiamo a guardarle più da vicino.

Le ghiandole endocrine nell’essere umano sono fondamentalmente sette.

Sette come i Chakra , sette come i sigilli del libro dell’Apocalisse, sette come le Chiese e sette come colori dell’iride, effetto della scomposizione della Luce.

Ma tornando all’Alchimia sono sette anche i metalli, i pianeti, i vizi e le virtù!

E tutto ciò non è un caso.

Queste ghiandole sono, in effetti, importantissime poiché sono quelle che regolano la nostra vita dalla nascita alla morte attraverso la produzione di ormoni.

Ed è qui che il velo si squarcia!

Cosa sono gli ormoni?

Questa è la loro classificazione scientifica:”…Un ormone (dalla lingua greca όρμάω - "mettere in movimento") è un messaggero chimico che trasmette segnali da una cellula(o un gruppo di cellule) ad un'altra cellula (o altro gruppo di cellule). Tale sostanza è prodotta da un organismo con il compito di modularne il metabolismo. Gli ormoni sono prodotti da ghiandole endocrine, che li riversano nei liquidi corporei.Ogni ormone raggiunge attraverso il sangue tutti i punti dell'organismo, ma ha poi azione solo sulle cellule dotate di opportuni ricettori”.

Cosa ancora più interessante è l’accostamento di ogni ghiandola al flusso energetico delle “ruote” Chakras, che, come sappiamo, svolgono un’azione di regolazione in entrata e in uscita dal corpo del flusso energetico, dal micro al macrocosmo e viceversa.

Questi centri, in poche parole, sono le stesse “porte” o sigilli di cui si parla nel libro dell’Apocalisse di san Giovanni e sono delle autentiche ruote che, a seconda del loro movimento, centrifugo o centripeto, regolano le comunicazioni sottili tra la Sorgente e la Manifestazione.

E’ quindi fondamentale conoscerne il funzionamento e agire con metodo affinché se ne possano sfruttare le qualità.
Le sette ghiandole si classificano in:

  • Gonadi divise in testicoli (maschili) e ovaie (femminili), corrispondenti al Chakra basale detto “Muladhara”, colore rosso.
  • Ghiandole Surrenali corrispondenti al Chakra sacrale detto “Svadhisthana”, colore arancione.
  • Pancreas (isole di Lanngherans) corrispondente al Chakra del plesso solare detto “Manipura”, colore giallo.
  • Timo corrispondente al Chakra del plesso cardiaco detto “Anahata”, colore verde.
  • Tiroide e Paratiroidi corrispondenti al Chakra del plesso faringeo detto “Visuddha”, colore blu.
  • Pituitaria (Ipofisi) corrispondente al Chakra frontale detto “Ajna”, colore viola.
  • Pineale (Epifisi) corrispondente al Chakra coronale detto “Sahasrara”, colore indaco.

Ognuno di questi centri secernano ormoni differenti che, come abbiamo detto, vengono liberati nel sangue e, attraversando tutto il corpo, raggiungono la destinazione aderendo alle cellule “ricettori”.

Corrispondenze tra ghiandole, influenze planetarie e chakras

E’ affascinante il compito di questi “Messaggeri” che portano informazioni continue a tutto il corpo rendendo possibile la vita stessa dell’intero organismo.

Il sistema ormonale, a differenza di quello neurovegetativo, agisce con velocità e modalità diverse.

Mentre il secondo agisce in maniera diretta sulle cellule, in modo ravvicinato e ad alta velocità, il primo agisce a distanza e molto più lentamente e, a seconda della qualità della cellula “ricettore”, può provocare effetti diversi, a volte anche di tipo opposto.

Ma non voglio dilungarmi sul carattere scientifico della questione, ma addentrarmi nell’aspetto esoterico ed alchemico.

Quando mi addentrai nel mondo dei “centri ormonali” fui colpito subito dall’etimologia del nome “ormone” che come abbiamo detto significa “mettere in movimento”.

Ebbene mi colpì anche il termine scientifico con cui era descritto: “….messaggero chimico”!

Immediato fu il richiamo a qualcosa che è nell’anima dell’Apocalisse di Giovanni: la realizzazione del progetto e l’apertura del Libro della Vita attraverso lo scioglimento dei sette sigilli per mano di sette Angeli attraverso il suono di sette trombe!

Il libro dei Sette Sigilli

Ma gli angeli cosa sono se non Messaggeri? Come ci dice l'etimologia del nome.

A questo punto è naturale la trasposizione tra la visione macrocosmica a quella microcosmica come ci insegna Ermete Trismegisto nella Tavola Smeraldina.

Abbiamo anche detto che a queste sette ghiandole corrispondono anche le sette porte, Chakras, attraverso cui avviene la fruizione in entrata dell’energia cosmica dalla Sorgente all’uomo.

E’ chiaro, quindi, per conseguenza, che l’informazione vitale portata dagli ormoni all’interno di tutto il corpo proviene direttamente dalla Sorgente e attraverso il sangue è destinata alle cellule che gli competono.

Attraverso la Scienza sappiamo anche che gli ormoni sono composti da atomi di carbonio e che questi variano nel numero a seconda del tipo ormonale , tra i più noti il testosterone, 19 atomi di carbonio, prodotto in maggior parte dal testicolo, e il progesterone, 21 atomi di carbonio, prodotto dalle ovaie e dalla placenta.

Quello che stimola il mio pensiero è che il carbonio è anche il componente atomico del diamante, prodotto “trasmutato”del carbone o grafite.

E’ affascinante a questo punto credere che dal nero e oscuro carbone possa crearsi il più splendido, cristallino e luminoso diamante!

Come dalla Terra più Nera, in Alchimia, si ricava la Luce!

Non a caso il “Corpo di Luce “è anche chiamato “Corpo di Diamante”!

Ma andando oltre, altra differenza tra il carbone/grafite e il diamante risiede nella struttura atomico molecolare.

Carbone/grafite e diamante

Infatti, mentre il carbone ha una struttura a reticolo esagonale, che gli conferisce la qualità di minerale più fragile in Natura, il diamante è dotato di una struttura atomica “tetraedrica” che, in poche parole, corrisponde alla forma piramidale, forma che gli conferisce la durezza e resistenza maggiore rispetto a qualsiasi minerale!

Da qui la spiegazione della forma della Grande Piramide, luogo dedicato alla Trasformazione dell’uomo in Dio!

Tutto ciò è straordinario se si pensa che il passaggio da carbone a diamante avviene proprio grazie a condizioni estreme di pressione e di calore.

Non a caso l’Alchimia si fonda sul lavoro del Fuoco, o meglio dei Fuochi Sacri.

Ma il lavoro del Fuoco è accompagnato da quello sul ritmo che, lavorando in attrito con le Forze planetarie, genera “pressione”.

In breve, abbiamo tutti gli ingredienti per trasformare il “Carbone” in “Diamante”.

La velocità di azione dell’ormone, messaggero chimico, abbiamo costatato che è piuttosto lenta, rispetto all’azione neurovegetativa.

Tale azione a volte può impiegare anche più di 24 ore perché si realizzi.

L'azione ritmata del lavoro alchemico rappresentato nella XIV lama dei Tarocchi

Questa modalità temporale è un altro richiamo al sistema operativo alchemico che, nella maggior parte dei casi, si serve della modulazione del ritmo e del tempo per regolare le “tempeste ormonali”.

Gli ormoni, nel momento in cui entrano in circolo, soprattutto tra le donne, sono spesso motivo di alterazioni emotive, che a seconda dei casi sono causa di ricettività estrema, fungendo da veri e propri potenziatori di “antenne”.

E’ chiaro che appropriarsi di tale qualità, gestendone il potere, può soltanto che far evolvere bio-tecnologicamente il proprio corpo, avendo la possibilità di captare appieno e in maniera più sensibile, tutte le informazioni provenienti dalla Sorgente Universale, accelerando così il processo evolutivo.

Tutto ciò fa supporre che attraverso un lavoro adeguato sul fisico, legato agli ormoni, Messaggeri della Sorgente, è possibile trasformare la Materia su cui essi vanno ad aderire.

E’ chiaro che il lavoro è piuttosto arduo, ma non impossibile!

Come detto, ormone viene dal verbo greco “όρμάω” e significa mettere in movimento.

Non è un caso, trasposto sul piano esoterico, che l’azione di un “Messaggero” è quasi sempre all’origine di un grande cambiamento.

La Bibbia è piena di episodi che lo testimoniano.

Basti pensare all’Annunciazione di Maria ad opera del’Arcangelo Gabriele.

L'annunciazione dell'arcangelo Gabriele a Maria

Da quel fatto si mise in moto tutto il processo epocale che porterà alla nascita di Gesù, colui che ha manifestato il Cristo.

Come anche nell’Apocalisse, ogni volta che uno dei sette Angeli scioglie uno dei sette sigilli innesca un processo che porterà, alla fine, al compimento dell’Opera.

Così, nel corpo umano, l’ormone prodotto dalla ghiandola, stimolata dalla vibrazione cosmica attraverso il Chakra corrispondente, si getta nel flusso sanguigno e attraverso di esso arriva a destinazione “annunciando” la nuova “nascita” e produzione di elementi finalizzati alla Vita del corpo.

Quello che però comporta il vero cambiamento, come sopra citato, è l’azione di sintesi dello stesso ormone attraverso il convogliamento di questo all’interno dell’Athanor.

Questo è il luogo vero e proprio della trasformazione, dove, attraverso l’azione del fuoco sacro e del ritmo, il messaggero chimico diventa alchemico, sublimando l’informazione ormonale, portandola ad un livello e frequenza più alti, modificandone l’informazione che nel tempo andrà a riprogrammare il DNA, accelerando la frequenza vibratoria degli atomi che, aumentando in pressione e calore, genereranno, dal corpo materiale denso, un corpo materiale di Luce che permetterà all’Uomo di fare il salto quantico per “abitare” nuove dimensioni, diventando lui stesso “Messaggero” della Sorgente.

by Eleazar

15 settembre 2009

Il Club Bilderberg: i veri controllori del mondo

daniel estulin
Daniel Estulin vive in Spagna ed è un prestigioso giornalista investigativo
Alcuni la ritengono un’invenzione, un’esagerazione dettata dalla paranoia, altri una struttura legittima e per certi versi necessaria, altri ancora – pochi, purtroppo – la conoscono da tempo e in qualche modo cercano di combatterla o per lo meno di non piegarsi a essa. La stragrande maggioranza della gente tuttavia – e questa è proprio la sua forza maggiore – non ha la minima idea di cosa si stia parlando. Questa idea ce la possiamo fare grazie all’ultimo, imponente lavoro del giornalista investigativo Daniel Estulin e l’oggetto misterioso a cui si fa allusione nelle prime righe di questo articolo è proprio il famigerato gruppo Bilderberg, protagonista del libro dell’autore spagnolo Il Club Bilderberg – La storia segreta dei padroni del mondo .

Questa storia ha inizio in un luogo e una data precisi, il 29 maggio del 1954 a Oosterbeek, una piccola cittadina dei Paesi Bassi, presso l’Hotel Bilderberg. Lì, su iniziativa del principe olandese Bernhard, si riunirono le maggiori personalità del mondo politico, di quello economico, industriale e militare, ponendo le basi per la creazione di una sorta di conferenza, o se volete di società segreta, che da quel momento ogni anno, per un fine settimana, si sarebbe riunita in un paesino del mondo occidentale per confrontarsi sulle problematiche del pianeta e studiare delle soluzioni a esse da attuare attraverso gli strumenti a propria disposizione, a ben vedere sostanzialmente illimitati dato che si trattava di presidenti, governatori, potenti industriali, affermati giornalisti e personalità di elevatissimo calibro.

Se vogliamo essere meno diplomatici e più schietti, possiamo dire che dal 1954 un gruppo di persone estremamente influenti prende tutte le decisioni più importanti che riguardano il destino di tutti noi e lo fa lontano da occhi indiscreti e, soprattutto, dal controllo popolare.

Già, perché i meeting del Bilderberg hanno caratteristiche molto particolari: si tengono generalmente in piccole cittadine, dove l’opinione pubblica e l’informazione non sono massicciamente presenti (nel 2004 la riunione ha avuto luogo a Stresa, un piccolo comune sul Lago Maggiore). L’accesso è rigorosamente a invito, il quale avviene secondo criteri che prendono in considerazione l’influenza della posizione dell’ospite e il grado di controllo che egli ha su determinati settori chiave.

clinton
Il gruppo include praticamente tutti i dirigenti delle istituzioni, delle aziende e delle organizzazioni più importanti del mondo
I partecipanti hanno il divieto assoluto di rilasciare dichiarazioni ai giornali, così come è tassativamente vietato ai giornalisti anche solo avvicinarsi al luogo di svolgimento della manifestazione, pena l’arresto (lo stesso Estulin è stato arrestato diverse volte nel corso delle sue indagini sul campo); ovviamente fanno eccezione i giornalisti regolarmente invitati, come lo era Katherine Graham, direttrice del Washington Post, e come lo fu Fehru Koru, un giornalista turco propugnatore di posizioni aspramente critiche nei confronti del Bilderberg che cambiò magicamente idea dopo essere stato invitato all’edizione del 2006.

Segretezza è dunque una delle parole chiave del Gruppo Bilderberg. Un’altra è sicuramente controllo; come detto, uno dei requisiti fondamentali per essere invitati è quello di occupare una posizione di prestigio e potere, che permetta appunto di controllare i punti nodali di determinati settori.

Grazie a questo criterio, il Bilderberg ha sviluppato una rete formata da molte componenti: una di esse è per esempio la RCA, Radio Corporations of America, colosso dell’informazione che comprende NBC, CBS e ABC, mentre il suo omologo dal punto di vista politico-militare è la NATO, uno dei bracci armati della struttura.

Più in generale, il gruppo include praticamente tutti i dirigenti delle istituzioni, delle aziende e delle organizzazioni più importanti del mondo: ne fanno infatti parte Romano prodi, ex Primo Ministro italiano, Bill Clinton, ex Presidente americano, Jean-Claude Trichet, governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, Peter Sutherland, presidente della British Petroleum, Robert Zoellick, presidente della Banca Mondiale, la Regina Beatrice d’Olanda, tanto per citarne alcuni, ma la lista include centinaia di nomi. Ognuno di essi ricopre un ruolo di assoluto controllo del suo settore di competenza e appare chiaro che una rete che mette in sinergia queste personalità può controllare con facilità il mondo intero.

Fra i membri del Bilderberg ve ne sono alcuni che hanno alle spalle una militanza decennale e che hanno acquisito notevole potere all’interno della stessa organizzazione, tanto da essere considerati come organizzatori e gestori dei meeting. Uno di essi è certamente il rappresentante della corona olandese, solitamente indicato come il chairman, il padrone di casa.

kissinger
All'interno del gruppo è di assoluta preminenza la posizione di Henry Kissinger
Di assoluta preminenza è poi la posizione di Henry Kissinger, che nella sua vita ha fatto praticamente di tutto, occupando sempre posizioni di potere; potere che è cresciuto sempre più – paradossalmente – dopo il suo ritiro dalla vita politica e pubblica in generale. Un altro pezzo grosso del Bilderberg è David Rockfeller, ultimo discendente di John e rappresentante di una famiglia che da sempre, mascherandosi dietro organizzazioni umanitarie e iniziative benefiche, ha perseguito l’ambizioso intento di instaurare il cosiddetto nuovo ordine mondiale.

Altri membri importanti e influenti del Bilderberg sono Zbigniew Brzezinski, Vernon Jordan, Cyrus Vance e altre personalità che ciclicamente vengono impiegate nei posti chiave delle amministrazioni politiche americane e internazionali, indipendentemente dal loro schieramento


Il Bilderberg può inoltre contare su altre organizzazioni parallele che cooperano con esso per la realizzazione dei suoi intenti. Una di queste è il CFR, Council on Foreign Relations, creato nel 1921 su iniziativa di Edward House, potente e influente consigliere del presidente Wilson (già avvezzo a questo tipo di iniziative, come testimonia la sua idea della Lega delle Nazioni), e massicciamente finanziato guarda caso dalla Fondazione Rockfeller. Inizialmente il CFR fu concepito come distaccamento americano della Tavola Rotonda Mondiale, ma sin da subito i suoi intenti erano chiari: «creare un governo unico mondiale, basato su un sistema finanziario centralizzato, caratterizzato da un particolare mix di capitalismo e socialismo, di opportunismo e di idealismo».

Inutile dirlo, tutti i più importanti protagonisti della recente storia politica americana – da Colin Powell a Madaleine Albright, da Condoleezza Rice a Donald Rumsfeld, da Dick Cheney a Richard Perle, ma non Gorge W. Bush – fanno parte del CFR. Così come facevano parte del CFR Bill Clinton, personaggio secondario nella scena politica statunitense fino al momento della sua elezione, e John Kerry, sfidante di Bush alle elezioni presidenziali del 2004 (della serie: proponendo un proprio candidato e appoggiando comunque quell’altro è impossibile perdere).

Un’altra organizzazione analoga, che si differenzia dal CFR per essere internazionale e non riservata agli americani, è la Trilateral Commission. La Trilateral è stata fondata e finanziata, ancora una volta, da David Rockfeller, che ebbe l’idea e la propose al meeting del Bilderberg del 1972, in Belgio. Pur privilegiando il settore della finanza e del commercio, l’obiettivo della Trilateral è sempre lo stesso: creare un governo unico mondiale.

il club bilderberg

La storia raccontata da Estulin ha inizio in un luogo e una data precisi, il 29 maggio del 1954 a Oosterbeek, una piccola cittadina dei Paesi Bassi, presso l’Hotel Bilderberg
Questo è dunque un breve schizzo dell’ampio e articolato quadro che Estulin delinea nel suo libro. Con particolare perizia, il giornalista spagnolo evita il qualunquismo che caratterizza spesso gli autori che affrontano queste tematiche e che inevitabilmente frutta loro le etichette di complottisti, paranoici e visionari. Il Club Bilderberg è infatti dotato di un’ampia ed esauriente appendice che propone fotografie, stralci di documenti, liste di partecipanti, verbali e resoconti riguardanti i meeting del Bilderberg che si sono tenuti dal 1954 a oggi.

Il reperimento di questo interessantissimo materiale è stato possibile grazie a una fitta rete di contatti che Estulin ha sapientemente intessuto, coinvolgendo funzionari, giornalisti, addetti ai lavori, fino ad agenti segreti e membri dei servizi di vari paesi. Interessanti e attuali – ma anche assai inquietanti – sono poi i collegamenti che vengono evidenziati fra importanti avvenimenti della seconda parte del ventesimo secolo e l’azione segreta del gruppo Bilderberg: il Piano Marshall, l’uccisione di Aldo Moro, il Watergate, il caso Iran-Contra, la guerra in Afghanistan e tanti altri episodi – incluso un presunto e clamoroso piano di annessione del Canada agli Stati Uniti – determinanti appartenenti alla recente storia mondiale vedono lo zampino dei propugnatori del nuovo ordine mondiale.

Estulin colpisce quindi questa organizzazione proprio dove fa più male: la priva della segretezza, della discrezione e dell’ombra di cui si è sempre servita e di cui necessita per attuare i suoi piani. La prova di ciò ce la fornisce lo stesso autore con la frase che fa da intestazione a Il Club Bilderberg: «Nel 1996 cercarono di uccidermi, nel 1998 di sequestrarmi, nel 1999 di corrompermi, nel 2000 di arrestarmi e l’anno dopo mi offrirono un assegno in bianco se avessi taciuto una volta per tutte». Per nostra fortuna, quell’assegno Estulin non lo accettò mai.

di Francesco Bevilacqua

14 settembre 2009

Mussolini doveva morire perché una intera classe dirigente potesse autoassolversi


La filosofia di fondo delle Brigate Rosse e, in generale, del terrorismo di sinistra degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, partiva dal presupposto che la Resistenza fosse stata tradita; che i soliti, avvolgenti «poteri forti» (Chiesa, finanza, grande industria, alta burocrazia, esercito) avessero trovato il modo di affossarla, subdolamente e silenziosamente; che, dopo il 1945, fosse stata vanificata una occasione unica, non solo di avviare una profonda riforma sociale, ma anche una vera e propria rinascita morale della nazione.
Questa filosofia, anche se non sembra, era figlia della teoria crociana e liberale sulla genesi del fascismo come «malattia temporanea» del Paese, malattia che avrebbe colpito un corpo sostanzialmente sano. Pietosa menzogna: perché l'Italia, nel 1919, era tutt'altro che un Paese sano, una democrazia compiuta; e, se il fascismo andò al potere con il consenso della monarchia e delle classi dirigenti, qualche motivo ci sarà pure stato; come ci sarà stato se, ancora nel 1924, dopo il delitto Matteotti, molti liberali - Croce compreso - consigliavano gli Italiani di fidarsi del fascismo e di scommettere sulla sua capacità di rientrare nella piena legalità, portando il Paese fuori dalla crisi del dopoguerra.
Ma come e perché è nata la leggenda del fascismo come malattia dolorosa, ma passeggera; chi aveva interesse a diffonderla, chi a divulgare il mito dell'Italia tradita, come recita il titolo di un famoso saggio di Ruggero Zangrandi (uno che di salti mortali se ne intendeva, essendo passato da una giovinezza da intellettuale fascista, ad una maturità da acerrimo e intransigente paladino della Vulgata storiografica antifascista)?
È nata perché la classe dirigente italiana potesse autoassolversi dalle proprie responsabilità; e, con essa, l'intero popolo italiano, che, nella stragrande maggioranza, aveva accettato il fascismo e, ad un certo punto - diciamo con la conquista dell'Impero, nel 1936 - lo aveva entusiasticamente appoggiato.
La verità è che, se Mussolini non avesse fatto la scelta sbagliata nel giugno del 1940, nessuno gli avrebbe presentato il conto della sua ventennale dittatura: sul piatto della bilancia, i meriti del suo regime - legislazione sociale, riassestamento dell'economia, aumento dell'occupazione e dell'industria, bonifica delle paludi, successi in politica estera - avrebbero finito per far scomparire tutte le ombre e per consegnarlo alla storia come il più abile e fortunato capo di governo dell'Italia, dalla morte di Cavour in poi.
Una volta messo bene a fuoco questo punto, si arriva anche a comprendere le ragioni per cui Mussolini venne ucciso in maniera così frettolosa e, per molti aspetti, così misteriosa; perché lo si volle sottrarre, ad ogni costo, ad un pubblico processo, sul tipo di quelli che la Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja ha riservato ai dirigenti serbo-bosniaci, e poi anche a quelli serbi (Milosveic), dopo la fine della guerra civile nella ex Jugoslavia.
Mussolini doveva morire perché, se fosse stato sottoposto ad un pubblico processo, l'intera classe dirigente italiana, anzi, l'intero popolo italiano, sarebbero stati chiamati in causa per il lungo e caloroso sostegno accordato al suo regime. Ciò avrebbe inferto un colpo irreparabile alla teoria del fascismo come malattia temporanea in un corpo sociale sostanzialmente sano, cara alla Vulgata antifascista; e avrebbe posto ciascuno, compreso l'uomo della strada, davanti alle proprie responsabilità.
Invece, con il colpo di stato del 25 luglio e con l'obbrobrioso armistizio dell'8 settembre 1943, classi dirigenti e popolo italiano vollero passare un colpo di spugna sulle proprie responsabilità e fabbricarsi una verginità democratica nuova di zecca.
Tutti: i liberali, che nel primo dopoguerra non avevano saputo o voluto fare nulla per allargare la propria base di consenso, coinvolgendo le masse nella vita dello Stato; i socialisti, che avevano carezzato velleitari progetti di rivoluzione, senza mai pensare seriamente a farla; i cattolici, che avevano creduto di poter fare parte per se stessi, coltivando solo l'orticello dei loro interessi particolari; i comunisti, che sognavano di replicare il colpo dei bolscevichi russi e di instaurare una dittatura, al cui confronto quella fascista sarebbe impallidita: tutti costoro avevano i propri ingombranti scheletri nell'armadio, e non desideravano altro che di far sparire le tracce di ciò che avevano fatto per spingere la democrazia italiana nel vicoli cieco del 1919-22.
Allora sorse la leggenda dell'Italia tradita: l'Italia non aveva voluto il fascismo, lo aveva subito; i fascisti erano dei Marziani sbarcati dalle loro astronavi e, al servizio degli industriali e degli agrari, avevano messo la museruola alle masse lavoratrici, ormai sul punto di realizzare chissà qual magnifiche sorti e progressive; ma poi era giunta la Resistenza, che, restituendo dignità al popolo italiano, aveva tenuto a battesimo la rinascita della democrazia.
Già, l'Italia tradita. Ma tradita da chi? Dagli altri, sempre dagli altri: da Mussolini, dai fascisti, da Hitler e, magari, anche dal Mikado; insomma, da quelli che la Vulgata storica antifascista ha inequivocabilmente schedato fra i cattivi (mentre Churchill, Roosevelt e perfino Stalin erano i buoni). Così è anche oggi: di qualunque problema sociale e morale si parli: dalla mafia alla 'ndrangheta, dall'evasione fiscale alla corruzione, dalla speculazione edilizia al malcostume dilagante di politici e pubblici amministratori, i responsabili di ogni stortura e di ogni crimine sono sempre gli altri.
Una cosa appariva chiara: se l'Italia, nel 1943, era stata tradita, allora essa, nel suo complesso, era pura e innocente: era vittima, non colpevole. I traditori erano coloro che avevano trascinato l'Italia in guerra; e, più tardi, coloro che, manovrando nell'ombra, vanificarono la preziosa occasione di rinnovamento morale portata dal «vento del Nord»: una esigua minoranza, comunque. La classe dirigente, nel suo complesso, non era messa in discussione; né, meno ancora, lo era il popolo italiano: l'una e l'altro erano stati traditi da pochi ribaldi, senza loro colpa.
Sì: più tardi - nei due, tre decenni successivi - i poteri forti avevano ripreso a tramare come prima, instaurando un fascismo larvato e mascherato, sempre allo scopo di garantirsi i loro sporchi affari; ma, di nuovo, il popolo era stato ingannato e defraudato dei frutti della Resistenza; e anche la classe dirigente, tutto sommato, era stata vittima di un tradimento: specialmente i quadri del partito socialista e di quello comunista, che erano stati raggirati dalla perfidia democristiana e dalle oscure manovre del Vaticano e degli Stati Uniti.
L'ideologia dell'antifascismo permanente, come strumento per mantenere in piedi una surrettizia divisione degli Italiani in buoni e cattivi, con la ferma e feroce volontà di includere se stessi fra i primi e nell'avocare a sé tutti i vantaggi derivanti dallo status morale di essere i vincitori della seconda guerra mondiale (?) e della guerra civile del 1943-45.
Uno dei più lucidi interpreti di questo processo, è stato l'ambasciatore e politologo Sergio Romano, che ha levato una delle poche voci libere e dignitose nel coro servile dei conformisti e dei menestrelli di regime.
Ha scritto, dunque, Sergio Romano, nel suo saggio «Le Italie parallele. Perché l'Italia non riesce a diventare un paese moderno» (Milano, TEA, 1996, pp. Se le tracce d'arsenico rinvenute nei capelli di Napoleone rilanciano periodicamente la tesi dell'avvelenamento, è facile prevedere che della fucilazione di Mussolini le cronache si occuperanno per molto tempo.
Ma l'aspetto più importante della vicenda è perfettamente chiaro. Possono esservi dubbi sul modo in cui il capo del fascismo fu ucciso, ma non può esservene alcuno sulle ragioni della sua morte. Fu ucciso perché il suo processo, se egli fosse rimasto in vita, si sarebbe inevitabilmente trasformato in un processo al fascismo. il nome dei ministri liberal-democatici che parteciparono al suo primo governo, il risultato delle elezioni del 1924, il voto di fiducia al Senato dopo l'assassinio di Matteotti, il velleitarismo degli aventiniani, il "plebiscito" del 1929,, i meriti sociali del regime, , l'ammirazione internazionale per le sue realizzazioni, lo straordinario consenso dopo la guerra d'Etiopia, l'atto di omaggio che egli aveva ricevuto da molti vecchi antifascisti dopo la conquista dell'impero. Molte delle sue affermazioni sarebbero state contestabili, ma il risultato del processo sarebbe stato pur sempre un grande dibattito nazionale sul fascismo e sulle sue responsabilità storiche.
I partiti del Comitato di liberazione nazionale, e in particolare il partito comunista, vollero evitarlo. L'Italia, in tal modo, esce dal fascismo e rientra in democrazia senza chiedersi perché è stata fascista. Sulla realtà censurata e rimossa prevale da allora nella vita politica italiana una versione ortodossa: il fascismo è "un regime reazionario di massa" imposto con un violento "colpo di coda" dagli ambienti più retrivi del paese in un momento in cui, cessati ormai i torbidi dell'immediato dopoguerra, esistevano le condizioni per il ripristino della normalità. Alla definizione di questa ortodossia concorse una sorta di patto tacito fra l'antifascismo militante, da poco rientrato in patria, e la grande maggioranza degli italiani.
La democrazia restaurata aveva bisogno dei veri e propri eroi e ogni partito era fortemente interessato alla ricostruzione della propria dinastia.
Furono dimenticati i duri articoli di Gramsci nell'"Ordine Nuovo" contro i socialisti riformisti e furono taciuti i contrasti che avevano diviso i comunisti italiani, persino in carcere, tra la fine degli anni 20 e l'inizio degli anni '30. Furono dimenticati l'imbelle riformismo di Turati, il massimalismo declamatorio di Serrati, il velleitarismo degli aventiniani, il narcisismo intellettuale di Nitti. La verità canonica voleva che le libertà degli italiani fossero state violate da una sorta di complotto fra la monarchia, i gradi industriali, gli agrari e alcune squadre di teppisti o avventurieri con la complicità della burocrazia e delle forze armate.
Tale versione conveniva alla grande maggioranza degli italiani. L'uomo della strada poteva sostenere che egli era stato spettatore passivo di un regime in cui non aveva creduto. I burocrati e i professori, che si erano iscritti al partito per esigenze di vita. I generali, che non avevano alcuna responsabilità nell'impreparazione delle forze armate allo scoppio del conflitto. La prima conseguenza del patto tacito che gli antifascisti militanti strinsero con la grande maggioranza dei loro connazionali fu la rinuncia all'epurazione. Il tentativo di ripulire l'Italia dalle sue scorie fasciste durò quattro anni, dalla fine del 1943 al febbraio del 1948. Il primo provvedimento fu una decisione del governo Badoglio del 28 dicembre 1943, ma l'operazione cominciò con un regio decreto del 12 aprile 1944 che istituì un Alto commissariato per la "defascistizzazione delle amministrazioni pubbliche".[…]
L'amnistia e la fine dell'epurazione furono una prova di realismo e di buon senso. Mani veri motivi della decisione furono taciuti e la tesi su cui poggiava la filosofia della punizione continuò a essere proclamata come verità ufficiale. Per la storia politica e civile degli italiani questa ipocrisia fu una bomba a scoppio ritardato, destinata a provocare gravi danni alla società e allo Stato. Nell'immediato dopoguerra, quando i provvedimenti furono adottati, tutti sapevano che la politica della punizione sarebbe stata iniqua e selettiva; e tutti capirono perfettamente, quindi, le ragioni dell'amnistia e dell'archiviazione de procedimenti d'epurazione. Come aruspici che s'incontrano nel foro, la maggior parte degli italiani avrebbe sorriso del proprio antifascismo e di quello del proprio interlocutore. Ma col passare del tempo, a mano a ,mano che nuove generazioni si affacciavano nella società, la verità canonica divenne verità storica e fu persa memoria delle ragioni per cui la punizione era stata impossibile. Martellata nei giornali, nei manuali e nelle celebrazioni ufficiali della Repubblica, l'ortodossia antifascista divenne l'ideologia fondatrice della Repubblica italiana e proclamò come articolo di fede l'esistenza di uno Stato nato dalla Resistenza in cui un popolo schiavo aveva finalmente spezzato le catene di un regime minoritario e poliziesco. La tesi divenne la piattaforma morale del partito comunista che se ne servì per presentarsi al paese come il più legittimo erede dell'antifascismo militante, come l'unico partito che avesse sempre combattuto contro il fascismo, dalle origini ai suoi più recenti camuffamenti. È la stessa tesi che ispirò più tardi, nella sua versione più truce e radicale, alcuni movimenti terroristici degli anni '70. Ed è questa la ragione, in ultima analisi, per cui il partito comunista ne porta l'indiretta responsabilità.»Non fu una decisione dettata dal buon senso (quando mai la classe dirigente italiana si è fatta dettare il copione da considerazioni di buon senso?), e nemmeno da umanità e generosità (merci ancora più rare sul mercato della politica nazionale), ma solo da cinico opportunismo: tutti assolti, nessun colpevole, tranne quelli che avevano già pagato.
Ecco perché Mussolini doveva morire, e doveva morire in quel modo: e, con lui, i gerarchi di Salò, a dispetto del fatto che, in molti casi, non erano stati né peggiori, né più colpevoli di quelli del Ventennio; e sorvolando su particolari imbarazzanti, come, ad esempio, la presenza di un comunista della prima ora, come Nicola Bombacci, tra i fedelissimi del Duce che pagarono con la vita, o di un uomo di provata fede democratica, come Carlo Silvestri, fra coloro i quali cercarono di fare da intermediari affinché lo spargimento di sangue fratricida fosse ridotto al minimo, almeno nelle ultime settimane di guerra.
Si trattava di un fatto, non di una pia intenzione: ma come farlo quadrare con la Vulgata antifascista, che vedeva nel fascismo, appunto, soltanto un regime reazionario di massa, al soldo di industriali, finanzieri e agrari senza scrupoli? Semplice: sostenendo che si era trattato di un'operazione di facciata, insincera e puramente propagandistica. L'Italia democratica, nata dalla Resistenza, non seppe fare in circa mezzo secolo di vita pacifica, quello che la Repubblica Sociale aveva cercato di fare in pochi mesi, con la duplice invasione del territorio nazionale, in mezzo a difficoltà e distruzioni inimmaginabili, durante la fase più crudele della seconda guerra mondiale e della guerra civile.
Ma questo, non lo si poteva dire: bisognava che i repubblicani di Salò fossero, tutti senza eccezione, dei volgari «repubblichini»: gente senza onore, senza dignità, senza patria, al soldo dell'occupante tedesco. Solo delegittimando costoro, si poteva far rifulgere la nobiltà delle intenzioni della parte avversa; e, con ciò, conferire l'eterno imprimatur democratico ai partiti antifascisti, usciti dalle catacombe nel 1943-45 e ben decisi a far valere le loro vecchie logiche di potere: quelle stesse che avevano gettato l'Italia nella guerra civile «de facto» del 1919-22 e, infine, l'avevano consegnata al fascismo.
Soprattutto, bisognava che la memoria di Mussolini fosse inchiodata alla perpetua infamia di aver servito per due decenni gli egoistici interessi di un pugno di biechi capitalisti reazionari: proprio lui, che era stato sempre un uomo dell'estrema sinistra: il figlio del fabbro, socialista da sempre e ammiratore, a sua volta ammirato, di Lenin (che lo considerava l'unico rivoluzionario serio esistente in Italia nel primo dopoguerra).
Quanti scheletri nell'armadio, nella casa della sinistra italiana! Quanta ipocrisia nel voler negare a Mussolini, fino all'ultimo, la legittimità delle sue origini socialiste, della sua lunga e accanita militanza socialista; per ridurre la storia d'Italia fra il 1919 e il 1945 al delirio di onnipotenza di un pazzo megalomane, per di più squallidamente inserito sul libro paga dei capitalisti reazionari. Quanta ipocrisia, in tutti quegli uomini di partito e di sindacato, in tutti quegli intellettuali che, dopo aver collaborato più o meno entusiasticamente col fascismo, o dopo aver avuto tanta responsabilità nella sua vittoria (e che dire della politica filo-nazista dei comunisti, dopo il patto Molotov-Ribbentrop dell'agosto 1939?), nel 1945 fecero disinvoltamente il salto della quaglia e s'improvvisarono campioni integerrimi dell'antifascismo, magari sostenendo - come fece, ridicolmente, Ruggero Zangrandi - che essi avevano solo finto di aderire al fascio, per poterlo meglio indebolire e disgregare dall'interno?
A ben guardare, si tratta di una costante culturale, politica e morale del popolo italiano e della sua classe dirigente. I cattivi sono sempre gli altri, appunto; noi, siamo solo dei poveri traditi.

di Francesco Lamendola

13 settembre 2009

Il "compagno Tremonti" e la "sinistra finanziaria"


Vent’anni di politica di destra del centrosinistra, a favore delle privatizzazioni e del grande capitale finanziario

Le nuove tendenze sociali e economiche insorte dopo la svolta dei primi
anni Novanta – privatizzazioni, lavoro precario, pensioni, effetti dell’euro – e
la “finanziarizzazione” dell’economia (rapporto 10 a 1 col capitale produttivo
alla svolta del secolo) con tutte le sue conseguenze sul mondo della
produzione, lavoratori dipendenti compresi: sono questi i due momenti
chiave su cui misurare la politica del centrosinistra, per cercare di capire cosa
ancora nell’odierna opposizione sopravvive del suo essere “di sinistra”.
Un discorso eccezionale e coraggioso,
quello del ministro dell’economia, interprete di una diffusa tradizione della
“destra sociale”: sia per quel riferimento alla compartecipazione dei lavoratori
agli utili aziendali – che comunque simboleggia il nodo strategico della
possibile alleanza fra ceti produttivi: per inciso, tema-slogan già caro, sia pure
con altre configurazioni, al vecchio PCI di Togliatti – sia per il giudizio netto
sulla differenza fra la politica di Roosevelt post-29 – un debito pubblico, ha
detto Tremonti, per dar soldi e lavoro al popolo 1- e quella dei loro falsi
imitatori odierni: un debito pubblico per sanare e ingrassare le banche, le
principali responsabili della crisi planetaria odierna. Come si legge ne Il Capitale: “il capitale esiste come
capitale, nel movimento reale, non nel processo di circolazione ma soltanto
nel processo di produzione, nel processo di sfruttamento della forza-lavoro”.
Come dire, George Soros, i grandi finanzieri come lui e le grandi banche non
sono veri capitalisti, nei quali individuare una contraddizione se non
“principale” comunque forte con la classe dei salariati: la vera e unica
controparte del “proletariato” - cioè a dire delle forze produttive che,
entrando in conflitto con i rapporti di produzione, aprono la strada alla
“rivoluzione” - sono i capitalisti industriali.
La breve citazione di Marx prima
riportata ha delle conseguenze paradossali per quel che riguarda la
capacità di incidenza e la funzione storica effettive dei capitalisti mercantili,
bancari e finanziari: infatti, poiché dogma vuole che il capitale “vero” sia solo
quello produttivo, che cioè il plusvalore abbia una origine solo nella sfera
della produzione, ecco che il commerciante – anche il grande commerciante -
è una sorta di salariato del capitalista industriale, un suo “commesso” (sic 3)
incaricato semplicemente di completare e riavviare il cerchio del ciclo
produttivo con la vendita della merce e il suo pagamento al produttore 4.
Ed ecco che anche banchieri e finanzieri – “il capitale per il
commercio di denaro” – assumono una funzione solo “tecnica”,
completamente subalterna a quella del capitale industriale sia dal
punto di vista economico sia da quello storico. Nella quarta
sezione del III Libro de Il Capitale, Marx descrive il “capitale per il
commercio di denaro” come mera “parte del capitale industriale”
che da questo “si stacca” per eseguire “operazioni monetarie per
tutta la classe dei capitalisti industriali”: il capitale finanziario è
cioè solo “capitale industriale … che esce dal processo di
produzione”: esso perciò “rappresenta un costo di circolazione,
ma non crea valore” ed è manovrato da una “categoria speciale di
agenti o di capitalisti” che agisce “per tutta la classe di
capitalisti”. Il capitale finanziario non è un possibile
concorrente e avversario di quello produttivo industriale come alcune volte
appare nella realtà storica (vedi la dialettica forte oggi fra imprese e banche),
ma una sua articolazione interna, tanto che i suoi protagonisti vengono ridotti
ne Il Capitale se non proprio a commessi (come nel caso del capitale
mercantile), comunque a suoi “agenti”. Il passaggio cruciale sta nel citato
“costo di circolazione” (una banca in effetti ha i suoi costi) ma esso
meriterebbe una definizione più precisa: quale “costo”? Quale interesse sul
denaro? Chi lo determina? Perché se banchieri e finanzieri sono “agenti” del

3 Per Marx il “capitale commerciale” ha la funzione di “semplice commesso del produttore” (Libro III, I, p.
329)
4 “… nel processo di circolazione non viene creato alcun valore, quindi alcun plusvalore … Se in conseguenza
della vendita della merce prodotta viene realizzato un plusvalore, ciò avviene perché tale plusvalore si trovava
già fin da prima in essa contenuto” (Ivi, p. 339).

E’ proprio così? La marginalizzazione del capitale bancario e
finanziario era assolutamente tale ed evidente nell’Ottocento, almeno fino alla
morte dell’autore de il Capitale, nel 1883?
Eccoci dunque al secondo corno del problema: in verità, contro il Marx
dogmatico de Il Capitale (fino all’incompiutezza dell’opera, “rattoppata” qui e
là dal buon Engels) emerge dalla sua vastissima produzione un Marx diverso,
giovane, lettore acuto e “immediato” (senza pretese cioè da filosofo della
storia) della realtà che lo circondava. Come quello che descrive, una ventina
di anni prima della stesura del primo libro della principale opera marxiana
(1867), “Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1950”:
“Dopo la rivoluzione di luglio il banchiere liberale Laffitte,
accompagnando il suo compare, il duca di Orléans, in trionfo all'Hôtel de
Ville, lasciava cadere queste parole: "D'ora innanzi regneranno i banchieri".
Laffitte aveva tradito il segreto della rivoluzione.
Sotto Luigi Filippo non era la borghesia francese che regnava, ma una
frazione di essa: banchieri, re della Borsa, re delle ferrovie, proprietari di
foreste, e una parte della proprietà fondiaria rappattumata con essi;
insomma la cosiddetta aristocrazia della finanza. Parigi era inondata di libelli – La Dynastie Rothschild … Les juifs,
rois de l’èpoque – nei quali il dominio dell’aristocrazia finanziaria, veniva,
con maggiore o minor spirito, denunciato e stigmatizzato” 5
Andiamo dritti alle questioni che suscita questo scritto di Marx, antologia di
articoli per la Neue Rheinische Zeitung:
Prima questione, il paradigma marxiano è qui rovesciato rispetto a
quello de Il Capitale: ne Il Capitale la contraddizione principale è fra classe
operaia e capitalisti industriali, e anzi Marx, come più tardi Hilferding –
diversamente da un altro classico della saggistica sull’Imperialismo, Hobson -
teorizza in qualche pagina della sua principale opera, una funzione addirittura
anticapitalista del capitale finanziario, potenziale artefice della “soppressione
del modo di produzione capitalistico nell’ambito dello stesso modo di
produzione capitalistico … una contraddizione che si distrugge da se stessa,
che prima facie si presenta come un semplice momento di transizione verso
una nuova forma di produzione” 6. Dunque l’ “aristocrazia finanziaria”
poteva diventare compagna di strada del progetto rivoluzionario, così come
oggi il popperiano George Soros sarebbe il levatore mondiale della
rivoluzione: invero non più rossa e proletaria, ma piuttosto globalcapitalista e
arancione o verde. “Rivoluzioni” che non a caso attraggono molto i tragici
residui “marxisti” del postbipolarismo in Italia e in Occidente.
Un Marx che faceva del capitale finanziario il protagonista
della Politica e della Storia della Francia di Filippo II, e che per
questa sua lettura ricorda quel che avrebbe scritto nel 1902 John Atkinson
Hobson in uno scritto – Imperialism: a Study – che, nonostante la matrice
culturale diversa del suo autore, fa parte anch’esso della tradizione di
pensiero marxista:
“Questi grandi interessi finanziari … formano il nucleo centrale del
capitalismo internazionale. 8 Leggi il testo della relazione nel link sul sito
9 Claudio Moffa, Quale identità comunista?, L’Ernesto, pp. 15-16 (vedi il link sul sito), IV, n. 8, ottobre 1996.

variegata diaspora post 1998 ma semmai – se la ricognizione dei “paradisi
fiscali” dovesse diventare una costante, e se tutte le parole dette si
trasformeranno in fatti – Tremonti e … il G8-G20, che hanno posto il
problema di regole da imporre alla globalizzazione finanziaria, e del
necessario primato dei Governi – cioè della Politica – sulle Banche e sul
capitale finanziario transnazionale. Senza il quale i fondamenti della
democrazia, cioè del governo del popolo, sono minacciati in tutto il mondo.
E’ vero, dietro tutto questo potrebbero esserci solo esigenze di
imbellettamento dei “potenti” della Terra di fronte agli effetti della crisi
economica mondiale. Ma potrebbe esserci anche dell’altro: ad
esempio l’esperienza diffusa di una Politica che ha perso ogni
autonomia a fronte del ricatto dei sempre più potenti mass media,
i quali eccezioni a parte, e in particolare nella loro versione
“progressista”, sono un articolazione fondamentale del potere del
capitale finanziario; e ci potrebbe essere, in tempi recentissimi, la
colossale truffa di Madoff ai danni del mondo intero correligionari
compresi. Se si applicasse la “lente di Marx” (del 1848) alla fase
postbipolare in Italia e nel mondo …
Seconda questione, dunque: il valore euristico del paradigma de Le lotte
di classe in Francia per la comprensione della storia, la storia attuale.
Lasciamo infatti perdere l’Ottocento nel corso del quale comunque, anche
prima della svolta di fine secolo tratteggiata da Engels nella prefazione al III

10 James Petras
11 La Casa Bianca su Soros: “conta come uno Stato”, il Corriere della Sera 19 gennaio 1995: “Lavorare con
Soros è come lavorare con un’entità amica, alleata indipendente, se non con uno Stato – dice Strobe
Talbotto, sottosegretario di Stato americano, il numero due della politica estera di Clinton – Noi cerchiamo
di sincronizzare il nostro approccio ai Paesi ex comunisti con la Germania, la Francia, la Gran Bretagna. E
con George Soros”

Libro de Il Capitale da lui “corretto” e pubblicato nel 1894, “pare” che il
capitale finanziario e bancario abbia avuto un ruolo determinante in eventi e
fenomeni cruciali dell’epoca: la sconfitta di Napoleone, la conquista
dell’Algeria del 1830, la costruzione del Canale di Suez con la sua funzione
geopolitica centrale per tutta l’ “età dell’imperialismo”; l’acquisto delle azioni
del Canale, grazie a un prestito dei Rothchilds alla Corona inglese, mediatore
Disraeli, al khedivé d’Egitto; il meccanismo dell’indebitamento finanziario
come chiave principale di intervento del colonialismo europeo anche nel resto
del Nordafrica; lo scramble for Africa; e per finire la conquista della Libia con
l’intervento del Banco di Roma.
Lasciamo perdere tutto questo: proviamo invece ad applicare il Marx
del 1848 a fatti, problemi, fenomeni degli ultimi vent’anni. La
prima domanda è: chi determina oggi gli eventi cruciali del
pianeta? Quale capitale pretende di fare e in buona parte fa la
Storia all’alba del nuovo secolo? Quale capitale è protagonista
delle terribili guerre che hanno assassinato la Jugoslavia e l‘Iraq?
La risposta dei maghi zurlì dell’ economia “marxista” è che
capitale finanziario, bancario e industriale sono fusi in un unicum
inscindibile, alibi per disinteressarsi (e restare al servizio sia pure
indiretto) del capitale finanziario e bancario: e se i fatti (il conflitto in
Confindustria, lo scontro Berlusconi- De Benedetti 12, la dialettica banche
piccola e media industria, il controllo finanziario di molti paesi ex socialisti)
dimostrano il contrario, gli stessi fatti vengono trasformati con un colpo di
bacchetta magica in “parole”, o in contraddizione secondaria del “blocco
borghese”, o in semplice “vetrina”, come da battuta militante bernocchiano
alla manifestazione contro il G8 aquilano: “er Gi-otto è ‘na vetrina, volemo
vedé le case”.
La constatazione è duplice: primo, è proprio il
capitale-gruzzolo, il capitale che nasce e si sviluppa nel cielo della
speculazione, che è cioè massa di denaro liquido enorme e libera proprio
perché non costretta a essere impiegata nei macchinari e nel salari della “sfera
della produzione”: è proprio questo capitale marginalizzato da Marx nel III
Libro, ad avere la possibilità di determinare gli eventi cruciali della storia del
mondo. Non si può dire che quella valigetta – come quelle dispensate a re e
12 Uno scontro del quale un trafiletto di una quindicina d’anni fa su La Stampa, p. 2, da un significato
simbolico per due concezioni (radicalmente?) diverse del capitalismo e del connesso “rischio
imprenditoriali”. E’ capace di finanziare persino la “giustizia internazionale”, come nel
caso del Tribunale per il Ruanda la cui Procura (l’accusa cioè) gode di
contributi sostanziosi della Fondazione Rockfeller e (di nuovo) di George
Soros. Già
Hobson ricordava il ruolo determinante della stampa nel provocare le guerre
della sua epoca, la classica età dell’imperialismo secondo titolo di un libro di
Fieldhouse. Ma agli inizi del ‘900 i quotidiani erano fogli per piccole élités:
oggi ci sono tutte le tecnologie della multimedialità, grande strumento di
liberazione e comunicazione ma anche di propaganda e di omologazione al
“pensiero unico” sull’Islam e sulla “democrazia”.
Le riforme economiche e sociali del centrosinistra
post-tangentopoli: ma che sinistra è?
La “sinistra finanziaria”, a costo del suo snaturamento 15, non “vede” o non
vuole vedere questa dimensione del conflitto economico in Italia e nel mondo,
l’importanza cioè del problema banche e finanza negli equilibri sociali e di
reddito anche per i lavoratori salariati e stipendiati: i moderati perché

15 Giulio Tremonti, L' imposta progressiva? un mito " reazionario". necessario il passaggio dalle tasse sulle persone a quelle sulle cose, Corriere
della Sera, 26 aprile 1994

subalterni nei fatti alla catena mediatica di Repubblica. A quale miseria si è ridotto certo
marxleninismo del Terzo millennio! 16

16 Dopo aver scritto queste righe polemiche sul “marxleninismo” attiale, leggo un articolo di Leonardo Mazzei
del Campo antimperialista sulla competizione economica e geopolitica fra gli oleodotti South Stream e
Nabucco, che si conclude con il riconoscimento della serietà della contraddizione e delle scelte (obbligate?)
del governo Berlusconi ad Ankara, e dunque con la sconfessione di quella che lui stesso definisce
interpretazione gossipara della vicenda: vale a dire, udite udite, uno scambio fra “bionde” russe e South
Stream, con Putin che incassa l’opzione pro-Gazprom e il Berlusca che fa il pieno di escort per le sue ville. E’
veramente pazzesco! Lo spazio che Mazzei dedica a questa ipotesi “interpretativa” potrebbe indicare un mio
eccessivo pessimismo sullo stato di salute della sinistra marxisteggiante in Italia, e invece ne è la conferma:
un’area fino in fondo succube del giornale-serva del progressismo italiano. Ci vorrebbe ancora molto spazio per una analisi completa: ma si può
dire telegraficamente, credo, che non c’è stata controriforma a danno
del mondo del lavoro, dell’occupazione e della lotta al precariato,
della sicurezza nei luoghi di lavoro, delle privatizzazioni che non
porti l’imprimatur del centrosinistra post-bipolare e postcomunista.
Lo jus primae noctis della mattanza della classe operaia italiana
e del mondo del lavoro dipendente è stato esercitato, di tappa in tappa, dai
vari don Rodrigo del centrosinistra. Fa in effetti sorridere vedere Franceschini in mezzo ai precari della scuola,
quando si pensa che nel 1993 era stato il governo Amato a privatizzare
l’impiego pubblico e nel 1997 il governo Prodi e il suo ministro Treu a
codificare il “lavoro interinale”. Solo Berlusconi è l’ostacolo per la cultura
chic dell’Italia “progressista”? Nel 1997 è mancato loro il là di un appello
redatto dal loro giornale-partito? Non sanno pensare da soli?
La cronologia secca delle leggi, decreti legge e decreti legislativi
mostra con ogni evidenza che è stata la sinistra finanziaria a
distruggere in pochi anni il patrimonio costruito in decenni di lotte
parlamentari e di piazza della sinistra, nel quale peraltro (vedi il
caso dell’Agip e della Banca d’Italia) erano stati opportunamente
conservate alcune misure e istituti di epoca fascista: 2 giugno 1992, è
nato da poco il governo Amato, incontro sul panfilo reale Britannia fra
finanzieri, banchieri e managers italiani inglesi e di altri paesi europei, per
delineare la strategia delle privatizzazioni delle economie europee; 18 luglio
(ancora governo Amato) un DPR codifica definitivamente l’autonomia del
Governatore della Banca d’Italia dal Ministero del Tesoro, che non può
intervenire per co-definire il tasso di sconto; 31 luglio, il golpe notturno delle
privatizzazioni degli Enti pubblici, dopo la campagna della Repubblica contro
i “boiardi”, dove assieme all’acqua sporca degli enti parassitari si svendono
anche gioielli dell’industria: ENEL e ENI, IRI. Sempre nel 1993, il nuovo
governo Ciampi dispone la separazione di Agip e Snam dall’ENI spa e la
dismissione delle partecipazioni del Tesoro dall’Agip, Ina, Enel, e dalle
banche IMI, Commerciale e Credito italiano. 1997, le già ricordate
privatizzazioni di enti culturali da parte di Prodi, e il pacchetto Treu sul lavoro
interinale con la legge 196 del 24 giugno.
Poi un secondo provvedimento cruciale: poi, il 17 maggio il governo
D’Alema permette anche alle fondazioni bancarie di diventare azioniste della
Banca d’Italia, che si trasforma così completamente in un ente di fatto
privatistico, i cui azionisti saranno occultati all’opinione pubblica fino a che
una inchiesta di Famiglia cristiana del 2004, non svela gli altarini: più
dell’84 per cento del capitale della Banca “di stato” è in mano a privati! La
filosofia che sta dietro questo smantellamento della peraltro moderata
strutturazione del sistema bancario italiano, oggetto di campagne durissime
da parte della stampa della sinistra finanziaria – vedi l’assalto del Corriere di
Mieli al cattolico Fazio nel 2005, mentre stava per andare in porto una legge
destinata a riportare in mano pubblica il capitale della BdI - è la solita solfa
dell’ “autonomia”. E’ lo stesso leitmotiv utilizzato per la riforma Berlinguer
dell’Università (altra perla del centrosinistra, a cui Moratti e Gelmini hanno
portato qualche miglioramento in positivo): anche l’ “autonomia” degli Atenei
è solo presunta, ed è un modo per “liberare” l’autorità e il bilancio centrale
dello Stato dal costituzionale obbligo del finanziamento dell’Istruzione
pubblica, abbandonando le Università o al degrado e al declino, o alla
sottomissione al capitale privato e a gruppi di potere più o meno massonici. Il
tutto mentre la vera autonomia degli Atenei – intesa come autonomia del
corpo docente e dei propri organi di rappresentanza collegiale - rischia di
venire cancellata progressivamente.
Rispetto alla deriva liberista e antioperaia di tutti i governi del
centrosinistra dagli anni Novanta ad oggi, Berlusconi e il centrodestra o
hanno ereditato i “frutti” per loro più comoda gestione magari evitando di
prendere necessari provvedimenti (come il blocco-controllo dei prezzi dopo il
disastroso cambio dell’euro ad opera di Prodi) oppure hanno cercato di porre
qualche piccolo o meno piccolo rimedio a vantaggio del mondo del lavoro e
dei cittadini. Cerca solo lo scontro frontale, nato sul
nulla, cioè sulla vicenda delle escort, in un momento in cui il governo stava
mostrando le sue effettive capacità di risolvere alcuni problemi chiave del
paese, dall’immondizia a Napoli al terremoto d’Abruzzo.
Alle spalle
della vostra “rivoluzione” ci sarebbe il capitalista De Benedetti: con le sue
profezie recenti sulle “spese proletarie” nei supermarket, con i suoi passati
licenziamenti all’Olivetti, 2-3000 operai in un sol colpo, e con la vicenda SME
emblema della svendita del patrimonio pubblico al capitale privato. La prima
Tangentopoli è stata esaltata dalla sinistra estrema (tranne piccole, marginali,
inutili eccezioni) poi è arrivata la riflessione e il quasi pentimento vista la
macchina delle privatizzazioni e del maggioritario messe in moto dalla
“rivoluzione” dipietrista.

di Claudio Moffa

12 settembre 2009

Il picco dell'acqua

Picco acqua
Le risorse idriche si stanno esaurendo. E' il picco dell'acqua
La lasciamo scorrere distrattamente dai rubinetti, eppure l’acqua si sta esaurendo. Mentre il mondo discute del picco del petrolio, il Pacific Institute della California, nel volume The World’s Water introduce, per la prima volta nella storia, il concetto di “peak water”.

Il volume 2008-2009 del rapporto biennale evidenzia che l’inquinamento, l’abuso e la cattiva gestione delle risorse idriche minacciano la produttività economica, la salute umana, gli ecosistemi e la sopravvivenza stessa.

Il testo, che peraltro presenta una serie di dati sulla disponibilità di acqua nelle varie parti del mondo, offre, in un capitolo, una valutazione della difficile situazione idrica della Cina, dovuta al suo rapido sviluppo. Non è ancora possibile prevedere se questo Paese arriverà ad una catastrofe ma è necessario comprendere che esiste un limite alla disponibilità di acqua. Alcune zone si stanno già avvicinando ai limiti sostenibili di estrazione e uso delle risorse idriche. Conoscere gli effetti che il superamento di tali limiti comporta per la produzione di alimenti, per il benessere economico e per l’ambiente, può aiutare a sviluppare nuove modalità di gestione e di utilizzo di acqua. Nel testo, quindi, vengono illustrate le strategie, le tecnologie e le modalità che le città possono adottare per soddisfare la crescente domanda di acqua.

Peter Gleick
Peter Gleick, direttore del Pacific Institute of California

Come sottolinea nella prefazione al volume Malin Falkenmark, professore del Stockolm International Water Institute e del Stockolm Resilience Center, in molti paesi la percezione della sicurezza dell’acqua sta iniziando a dissolversi.

Allarmante è il fatto che per la prima volta si parli di “picco dell’acqua”: il mondo ha consumato più della metà dell’acqua disponibile ed il rischio è quello che in futuro scoppino altre guerre per l’approvvigionamento di tale risorsa, come è già avvenuto in passato.

“C’è tanta acqua nel pianeta ma stiamo per fare i conti con una crisi per il venir meno di acqua gestita in maniera sostenibile”, ha dichiarato Peter Gleick, direttore del Pacific Institute.

Crediamo che alcune risorse, quelle di cui usufruiamo quotidianamente e a cui possiamo accedere con estrema facilità, siano infinite. Le consumiamo indiscriminatamente, senza fermarci mai a riflettere, dando per scontato che, così come oggi, anche domani saranno disponibili a noi, ai nostri figli, ai nostri nipoti.

acqua limpida
E' necessaria una migliore gestione delle risorse idriche per evitare che queste si esauriscano

Un giorno però succede qualcosa e ci accorgiamo che la nostra era soltanto una falsa credenza e che anche ciò che consideriamo eterno in realtà ha un limite. È quello che è successo con l’ oro nero ed è lo stesso che sta accadendo adesso con l’oro blu, tesoro ben più prezioso.

L’era dell’accesso facile alle risorse idriche sta per finire e, come è accaduto per il petrolio, siamo giunti adesso al “picco dell’acqua”.

La teoria del picco, proposta nel 1956 dal geofisico Marian King Hubbert, riguarda l’evoluzione temporale della produzione di una qualsiasi risorsa minerale o fonte fossile esauribile o fisicamente limitata: il punto di produzione massima oltre il quale la produzione può soltanto diminuire, viene detto picco di Hubbert. Raggiunto il picco ha inizio il declino, prima lento poi via via sempre più rapido.

Marian King Hubbert
Marian King Hubbert, il geofisico che nel 1956 propose la teoria del picco

Inizialmente nessuno diede credito alla teoria di Hubbert. Negli anni ’70 però cambiò tutto e le due crisi petrolifere che misero in ginocchio l’America (nel 1973 e nel 1979) resero Hubbert uno dei più celebri geofisici del mondo: 48 Stati raggiunsero, effettivamente, il loro picco di produzione.

Il petrolio rappresenta oggi circa il 40% dell’energia primaria ed il 90% di quella utilizzata nei trasporti. Percentuali altissime, non c’dubbio. Eppure il petrolio non è insostituibile. All’oro nero, in molti campi, potranno subentrare le fonti rinnovabili (come il solare o l’eolico) o sostituti con un maggior impatto ambientale (come il nucleare). Soluzioni migliori o peggiori ma, in ogni caso, esistenti. L'uso di petrolio, inoltre, non è essenziale alla vita umana. Già ridurre sprechi e consumi inutili ci permetterebbe di affrancarci da gran parte dei suoi utilizzi.

Con cosa, invece, sostituiremo l’acqua quando questa finirà o sarà riservata ai ricchi e ai potenti? Come potremmo continuare a vivere senz’acqua?

di Alessandra Profilio

11 settembre 2009

Destra e sinistra: sempre più una convenzione


1. Da tempo ormai sta diventando opinione comune che la distinzione tra destra e sinistra è sempre più labile e indistinta. Adesso poi, con certi atteggiamenti smaccati di Fini, le nette separazioni sembrano cadute. Anch’io ho parlato spesso di “gioco degli specchi”, volendo ricordare che, pur nella confusione tra i due schieramenti, possono a volte sussistere differenze di “fisionomia”. Tuttavia, ho l’impressione che spesso l’attuale non distinzione venga presa come una diversità netta rispetto soprattutto a presunti antagonismi di un tempo. Bisognerebbe invece ricordare che, in Italia, il trasformismo della sinistra risale addirittura al Governo Depretis del 1876. Non si creda però che altrove si sia avuta una chiara divaricazione tra i due schieramenti; non sempre almeno.

Cominciamo con il dire che sinistra e destra sono considerate, per chi viene da una tradizione effettivamente antagonistica, correnti “borghesi”, comunque dei dominanti nelle società di tipologia capitalistica; correnti del tutto integrate nella riproduzione sistemica di tale forma di società, di cui hanno sempre rappresentato alternative riguardanti modalità di poco diseguali per conseguire le medesime finalità. Se immaginiamo che la politica, nel capitalismo, sia un fiume, potremmo pensare a due suoi rami che corrono grosso modo paralleli, dirigendosi verso la stessa foce. Nel bel film La villeggiatura (di Marco Leto), rivolgendosi al “villeggiante” (condannato al confino) prof. Rossini, inizialmente liberale, che teneva lezioni sulla storia d’Italia fino alla presa del potere da parte del fascismo, l’operaio comunista ad un certo punto sbotta (cito il senso, non le autentiche parole pronunciate nel film): “perché lei continua a parlare della destra e della sinistra? Ci sono la destra, la sinistra e la sinistra di classe”.
Mi permetto di rilevare un errore, giacché la sinistra di classe è il comunismo. In ogni caso, il senso è chiaro: le prime due correnti fluiscono lungo alvei paralleli, l’unica che si distacca e vuol dirigersi altrove è la terza. Da una parte, dunque, due forme differenti di lubrificazione della stessa “macchina” sociale; dall’altra, la volontà di inceppare la stessa e di proporre, per via rivoluzionaria, una sua drastica trasformazione, indirizzandola verso la riproduzione di rapporti sociali pensati come comunisti. Qui arriviamo al punto decisivo. In altre parti d’Europa, molto prima che in Italia (e per certi versi in Francia e paesi latini), ma in modo assai netto nel mondo anglosassone e scandinavo, ecc., il comunismo è sparito da gran tempo e le due correnti “borghesi” (uso apposta un termine un po’ vetusto) appaiono quale unico orizzonte politico; per cui ci si è pigramente adattati alla distinzione tra destra e sinistra – sempre più esile di senso – senza troppi problemi.

2. In Italia è stato diverso poiché esisteva alcuni decenni fa, nella coscienza di strati popolari (operai e contadini) non esigui, il sentimento dell’antagonismo tra comunismo (non semplicemente “sinistra di classe”) e le correnti “borghesi”. Solo che, come si evince anche dal bell’articolo di Berlendis, la prima corrente, per ragioni internazionali (patto di Yalta con divisione del mondo in due “campi”, ecc.) e interne, si è andata progressivamente adattando, nei suoi vertici dirigenti, alla riproduzione dei rapporti capitalistici. Così, insensibilmente, il comunismo è stato via via pensato quale semplice parte della sinistra; un po’ più radicale dell’altra, ma progressivamente sempre meno radicale. Si è prodotto uno iato crescente tra gruppi dirigenti del Pci e base popolare, in cui – sia pure in modo viepiù sbiadito – rimaneva una “memoria” dell’antagonismo “al sistema”. La rottura più netta si è prodotta tra ceti intellettuali e assimilati – in specie quelli dei settori improduttivi (non dico inutili, pur se spesso sono anche questo, anzi nocivi) del settore “pubblico” o da questo alimentati finanziariamente – e la base popolare.

In Italia, dunque, la sempre più scarsa distinguibilità, e la trasversalità, tra destra e sinistra è frutto di una sorta di “mutazione genetica” subita dal comunismo italiano. Quando poi si è verificato il crollo del campo detto socialista – cui il Pci era ormai lontano, non avendo però ancora rotto con esso ogni legame ombelicale (quasi soltanto finanziario) – è avvenuto “l’ultimo scatto” verso il pieno schieramento atlantico, cioè filoamericano, perdendo ogni pur piccola “eco” di ciò che fu il comunismo, quanto meno come ideologia e presa di posizione antisistema; “scatto” sanzionato da ripetuti cambi di nome e di sostanza, cioè di iscritti e base elettorale. Così, qualcuno ha vissuto gli ultimi anni come si trattasse di un’autentica confusione tra destra e sinistra. La confusione, l’illanguidirsi di una distinzione, c’è senz’altro e non solo in Italia; tuttavia, qui da noi l’impressione è stata decisamente superiore per il fatto di questa graduale trasformazione del comunismo in sinistra, che ha cancellato ogni vestigia della critica anticapitalistica e antistatunitense (salvo che in pochi zombi, più dannosi ancora nella loro vetustà).

3. Pensare di invertire oggi il flusso della trasformazione storica, ricostituendo forme esangui e utopiche di comunismo e antiquato antimperialismo, è pura illusione (quando non sia solo un ulteriore “tradimento” a scoppi successivi e ritardati, utili a impedire ogni sano ripensamento). Intendiamoci bene: il laido viso del tradimento è ben limpido davanti a chi vuol vedere. La “sinistra – cioè il comunismo divenuto sinistra – è questo viso; per il semplice motivo che ogni processo oggettivo forgia i suoi agenti. E’ certo il tradimento a creare i traditori. Tuttavia, bisogna tenere ben presenti le due lame della forbice se si vuol tagliare (e non tagliarsi). Il tradimento è stato oggettivamente provocato dall’impossibilità di costruzione del socialismo (e comunismo) per errori pratici indotti da gravi errori di teoria. Quest’ultima aveva indicato la possibilità (anzi certezza) di mettere in moto dati processi, possibilità invece oggettivamente insussistente. La conseguente incapacità degli agenti, di dare vita ad un’effettiva transizione al socialismo, ha indotto gli stessi (in quanto guida della “schiera” che credeva di marciare in quella direzione) a coprire gli insuccessi – spesso inconsapevolmente, almeno all’inizio del loro tentativo – con la pura ideologia, magari gridando al sabotaggio dei commilitoni e seguaci. Alla fine però, quando si è capito o intuito che tutto era perduto, gli ultimi dirigenti del movimento diventarono reali traditori; in quel momento, assunsero il comando i più spregevoli, i più meschini, i veri ignobili individui dall’animo nero come la pece.

E’ obbligo morale denunciare e combattere i traditori, indicarli come esempio di bassezza senza limiti. Tuttavia, tale atteggiamento va accompagnato dall’analisi del processo che ha condotto al tradimento, e che difficilmente avrebbe potuto produrre qualcosa di positivo. In ogni caso, però, dobbiamo oggi concludere per l’impossibilità di una qualsiasi ripresa di una critica “antisistema”, in assenza di un ripensamento generale che solo in pochi hanno iniziato, mentre la maggioranza è passata al “sistema” e una piccola minoranza di ritardatari si ostina a sguazzare nel vecchio pantano. Sul comunismo stendiamo momentaneamente (una fase storica) il silenzio; perché parlarne senza analisi – e senza nuove categorie d’analisi – è da sciocchi o da mascalzoni; significa produrre idee fantasmagoriche della “novella società”, che non hanno una qualsiasi possibilità di convincere se non pochi dissennati.

4. In questo senso, e solo in questo, va inteso il programma di studiare e comprendere la transizione d’epoca che sembra in corso di svolgimento adesso. In tale passaggio storico, permangono alcune forme di lotta dei raggruppamenti sociali (non classi) subordinati che, pur con forme apparentemente nuove, ripetono invece il sostanziale “tradunionismo” delle vecchie. Non si tratta di contrastare tali lotte; anzi, nei limiti del possibile, di appoggiarle. Senza però illusioni. Non sono forme di lotta che spostano reali equilibri nei rapporti di forza tra chi sta sopra e chi sta sotto. Sono le lotte tra dominanti – e soprattutto nei loro effetti di conflitto tra più compartimenti degli stessi sul piano internazionale – a provocare effettivi mutamenti fortemente dinamici in questa fase storica. La crisi economica è solo la “passerella” su cui sfilano attori reali che tuttavia coprono quelli decisivi e assai meno appariscenti (non però del tutto nascosti).

Ciò che appare non è. Formula che tuttavia può indurre in errore. Diciamo meglio: ciò che è in vivida luce attira i nostri sguardi e così non vediamo quanto sarebbe più essenziale vedere. Chi manovra i riflettori illumina gli attori (spesso guitti da avanspettacolo) e lascia in (pen)ombra i ben più efficaci suggeritori. In questo nostro paese, tra gli attori illuminati chi troviamo? Vecchie conoscenze: i traditori del comunismo. Quel vecchio tradimento è ormai consumato; utile riparlarne solo in sede storica per comprendere le radici del tradimento odierno. Con animo immutato, infatti, questi deformi nanetti vogliono ripetere lo stesso “scherzo” nell’attuale fase di transizione ad altra epoca, in attuazione mediante la nuova lotta tra dominanti in campo internazionale; mi riferisco alle più volte da noi trattata conflittualità tendenzialmente multipolare che si va instaurando.
E ancora una volta ripeto: questo tradimento va studiato nelle sue determinanti oggettive: quelle del conflitto che – grazie alla “legge” dello sviluppo ineguale delle varie formazioni particolari – si sta instaurando tra Usa e nuove potenze in gestazione. Dobbiamo comprendere le forme di tale conflitto, rifarci a quello precedente (epoca dell’imperialismo) per individuarne le differenze, che implicano diversità della strutturazione sociale dei capitalismi in lotta. Senza mai dimenticare però i traditori, quelli che intendono mettere in svendita gli interessi del paese. E’ a mio avviso superficiale sostenere che tutto ciò riguarda solo i dominanti, mentre noi dovremmo interessarci soltanto dei dominati. Questi ultimi, lo si capisca infine, resteranno a lungo a lottare in quanto dominati, e per di più a livelli di vita in peggioramento, che non ha mai favorito – di per sé, in mancanza di un conflitto lacerante tra i dominanti di vari paesi – la trasformazione anticapitalistica. Intanto, individuiamo i caratteri del conflitto nella fase attuale e come si muovono in esso i traditori degli interessi di ogni dato paese (che sia tra quelli delle rivoluzioni “colorate”, o uno di quelli europei in apnea, o il nostro a rischio di collasso).
di Gianfranco La Grassa