30 giugno 2013

L'inganno dell'Euroamerica, che non porterà affatto più libero scambio





Nella distrazione generale, soprattutto della pubblica opinione, prosegue il lavorio internazionale, di Usa ed Europa, per la creazione di un’area di libero scambio tra le due unioni che non sarà né libera né paritaria. Si era detto che con la globalizzazione i confini fra gli Stati si sarebbero dissolti, poiché laddove circolano le merci depongono le armi gli eserciti, la civiltà dell’integrazione economica e sociale si estende determinando la nascita di un superiore modello culturale di partecipazione e di solidarietà mondiale, finalizzato alla prosperità generale. Ma, allora, come mai si rende necessario creare dei cortili di esclusività ristretta per rendere la libertà sempre più libera?

E’ un bel paradosso, in quanto un accordo di tale specie include alcuni ed esclude altri, oppure, per essere più chiari, può servire sia per imprigionare una parte di quelli che vi aderiscono, in primis le nazioni più deboli convinte di ricevere tutele subendo, invece, gravi condizionamenti, che per circondare ed isolare i nemici più forti. Dunque, per attivare forme subdole di protezionismo, che nascondono precisi piani politici, non c’è nulla di meglio che creare un’area circoscritta di privilegio e chiamarla free-trade talks, un dominio apparentemente aperto ma surrettiziamente coercitivo dove vige la legge del più prepotente.

Gli Stati Uniti, non a caso, stanno promuovendo dette intese in quelle zone del pianeta dove operano superpotenze che mettono a repentaglio la sua egemonia. In Europa si temono i russi e nel Pacifico i cinesi. Ed voilà che nascono spazi di commercio e di canali diplomatici facilitati per frenare l’avanzata degli Stati emergenti e riemergenti, i quali non si piegano a determinate prescrizioni geopolitiche unipolari.

Noi italiani, che siamo doppiamente autolesionisti, siamo entusiasti dell’iniziativa. Siamo da sempre un popolo di camerieri e servire è la nostra massima aspirazione. Non c’è bastata l’Ue che ha destabilizzato affari e sovranità nazionale, vogliamo proprio toccare il fondo per stare tranquilli e facciamo i salti di gioia per questa nuova opportunità nella quale daremo, sicuramente, il peggio di noi stessi.

Perché dico questo? Ho le prove del masochismo nostrano. Sentite un po’ cosa dice il sottosegretario allo sviluppo economico,  Carlo Calenda, ribattezzato per l’occasione segretario al sottosviluppo. Costui, dopo il tentativo francese di porre dei limiti all’audiovisivo per non perdere la partita con l'industria cinematografica Usa, teme ritorsioni da parte di Washington che potrebbe escludere dall’accordo alcuni ambiti chiave, danneggiando l’Italia. E quali sarebbero questi ambiti fondamentali? “...il tessile, l’oreficeria, la pelletteria…” dopodiché il viceministro è convinto dell’utilità di introdurre dazi sui prodotti cinesi, e chiede pure all’UE di sposare una linea condivisa e coerente su queste tematiche. Quindi il problema sarebbero i gialli che ci fanno neri in comparti industriali di precedenti ondate tecnologiche e non tutti quei tramatori alle nostre spalle, compresi i sedicenti partner più stretti, che vorrebbero smantellare i nostri asset strategici, a compartecipazione pubblica, nei settori di punta, dall’aerospaziale all’energetico.

I più grandi economisti euroamericani sono convinti che, grazie alla creazione dell’area di libero-scambio transatlantica, si aumenteranno i volumi di commercio internazionale di circa 100 mld annui. Può essere, ma occorre vedere come si distribuiranno i vantaggi tra i compartecipanti. Inoltre, trattandosi degli stessi dottori laureati che, appena qualche anno fa, non avevano previsto nessuna crisi sistemica, blaterando di piccole recessioni ricorsive, non c’è da stare troppo a sentirli. Più che la scienza triste l’economia è diventata la religione delle balle dove vince e fa carriera chi le spara più grosse.

Diciamo, pertanto, come stanno davvero le questioni. Questo patto, al quale gli statunitensi non credevano, difatti J. W. Bush lo aveva fatto naufragare poiché distante dalla sua visione strategica, è stato ripescato da Obama che teme l’estendersi dell’ascendente russo su determinati membri europei in difficoltà (ma non solo, si pensi agli affari del gas tra Berlino e Mosca e a quelli, purtroppo quasi naufragati, con l’Italia), e che vuole, al contempo, penetrare ancor più pesantemente nel vecchio continente per farne un punto d’osservazione e di controllo di teatri vicini, dove regna l’instabilità e l’incertezza.

Che la reale preoccupazione della Casa Bianca sia il Cremlino lo segnala anche il giornalista di Libero Carlo Pelanda il quale così ripercorre gli avvenimenti: “Nell’autunno del 2006 la Russia costrinse la Germania a definire confini certi della Ue affinché la loro estensione ad est non destabilizzasse la Federazione russa e sia Ucraina sia Bielorussia (nonché Georgia) ne restassero fuori per essere riassorbiti nel futuro dalla Russia stessa. Tale pressione fu fatta ricattando la Germania sul piano delle forniture di gas. Per inciso, Romania e Bulgaria furono incluse a razzo nella Ue, ma come segnale di fine dell’espansione europea. Una sorta di nuova Yalta. Questa storia è poco nota e penso mai sia apparsa sui giornali per nascondere una sconfitta storica della Ue a conduzione tedesca. Berlino cercò la sponda americana per segnalare ai russi che poteva contro-dissuadere ed alla fine Mosca e Berlino si accordarono. La mossa fu strumentale e lasciò freddi gli americani. Ora, appunto, è diverso: l’America è apertissima all’idea e la ha proposta…Perseguire l’Euroamerica significa creare l’organo di governo mondiale, basato sul criterio occidentale e non asiatico, del futuro. Ed anche dare un senso all’Europa fin qui fatta”.

Visto? Non c’è nulla di meglio dell'ideologia del libero-scambio per innalzare cortine di ferro e predisporsi, senza farsi notare, alla guerra. Il povero Frédéric Bastiat non aveva capito nulla



di Gianni Petrosillo 

29 giugno 2013

Josefa Imu


Siccome molto opportunamente e molto tardivamente la ministra delle Pari Opportunità, Josefa Idem (Pd), ha parlato alla stampa (senza domande, però) sugli scandali che la vedono coinvolta per tasse non pagate e una palestra abusiva, è giusto esaminare con cura le sue parole prima di trarne le conclusioni.
“Ero un’atleta, non ho studiato da commercialista. Ho delegato le questioni fiscali ed edili dando indicazione di fare tutto a regola d’arte”. Ma nessun contribuente ha studiato da commercialista, a parte i commercialisti. Se tutti i non commercialisti non pagassero le tasse staremmo freschi, o meglio ancor più freschi di quanto già non stiamo.
E comunque l’ignoranza delle leggi non può valere per scusare chi le viola: l’evasore a sua insaputa non ha né deve avere alcuna attenuante.
“Ho vinto 30 medaglie per l’Italia, ho partecipato a 8 Olimpiadi, ho fatto 2 figli, mi sono data alla politica per promuovere i diritti delle donne e difendere lo sport”. Con tutto il rispetto, chi se ne frega. Altrimenti chiunque abbia successo nel lavoro potrebbe
dire altrettanto. Le medaglie non sono detraibili dal 740.
“Non è vero che il ministro non ha pagato Ici e Imu – dice il suo avvocato-: c’è stato un ravvedimento operoso con l’Agenzia delle Entrate. Dunque le accuse sono inconsistenti e non c’è reato”. Ma il ravvedimento operoso lo fa chi non ha pagato le tasse,
dunque le accuse sono consistenti. Può darsi che non ci sia reato, ma solo perché in Italia gli evasori, per finire nel penale, devono superare soglie altissime, quasi insuperabili.
“Nei lavori edili – dice la Idem – ci sono stati irregolarità e ritardi”. Ma il problema della palestra “Jajo Gym” di Ravenna non è solo di lavori edili (abusivi, altrimenti perché la sanatoria?): spacciata per luogo di allenamento privato, la struttura ha agito per anni senza agibilità, non era segnalata alle autorità, eppure era aperta al pubblico, gestita da un’associazione sportiva con dipendenti
(pagati come?) che raccoglieva soci e quote d’iscrizione, citata nella lista degl’impianti comunali.
“Me ne scuso pubblicamente e sanerò quello che c’è da sanare. Come qualunque cittadino. Non sono infallibile, ma sono onesta e non permetto a nessuno di dubitarne”. Dipende dal concetto di onestà, piuttosto elastico in Italia. Non basta non commettere reati per essere onesti, anche perché non tutte le leggi prevedono sanzioni penali per chi le viola. E non è vero che “tutti i cittadini” siano costretti a sanare ex post, quando vengono beccati, le irregolarità commesse: c’è anche chi non ha nulla da sanare o chi non ha bisogno di finire sui giornali per correggere gli errori. La Idem, poi, non è un qualunque cittadino: è ministro di un governo che parla ogni giorno di Imu e tasse.
Con che faccia Letta & C. parleranno d’ora in poi di fisco, lotta all’evasione e all’abusivismo edilizio, avendo in squadra una signora che ha confessato di aver violato la legge?
“Non voglio darla vinta a questa montatura mediatica”.
Ma i fatti, come confermano la Idem e il suo legale, sono tutti veri. E non c’è stata alcuna montatura mediatica. A parte il Fatto e Libero , primi quotidiani nazionali a rivelare la notizia mercoledì, la stampa di destra e di sinistra che veglia sul governo-inciucio l’ha tenuta bassa o addirittura l’ha nascosta (la solita Unità).
“In Germania nessuno si sarebbe dimesso per una cosa simile”. In Germania s’è dimesso il presidente della Repubblica per una gaffe sull’Afghanistan e un ministro per aver copiato dal web parte della tesi di dottorato: figurarsi un ministro pizzicato per tasse non pagate e lavori abusivi.
Lasci stare la sua Germania, ministra Idem.
In Germania un ministro che dice “mi scuso e mi assumo tutte le responsabilità” si dimette un istante dopo. In Italia, un istante dopo, aggiunge: “Resto per non tradire i miei elettori e per il bene dell’Italia”. Da tedesca che era, la Idem è diventata una perfetta italiana alla velocità della luce. Roba da record. Anzi da medaglia d’oro. La trentunesima
 

di Marco Travaglio 

26 giugno 2013

La democrazia dei Droni



    

Nel corso di una delle audizioni promosse in questi giorni dal Congresso americano per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica dalle reali implicazioni dei programmi di intercettazione messi in atto dall’NSA, il direttore dell’FBI, Robert Mueller, ha per la prima volta ammesso l’utilizzo di droni sul territorio degli Stati Uniti con funzioni di sorveglianza.

Durante la sua testimonianza di fronte alla commissione Giustizia del Senato, il capo della polizia federale americana ha risposto affermativamente ad una domanda postagli dal senatore repubblicano dell’Iowa, Chuck Grassley, sul ricorso ai droni da parte dell’FBI. Quando, subito dopo, la senatrice democratica della California, Dianne Feinstein, ha chiesto a Mueller di chiarire la sua affermazione, quest’ultimo ha aggiunto che i droni negli USA “vengono usati molto raramente e in genere in caso di particolari incidenti nei quali si rendono necessarie le capacità” di questi strumenti.

Senza fornire esempi di questi “incidenti”, Mueller ha poi spiegato ai membri del Congresso che l’FBI sta elaborando delle linee guida per l’uso dei droni in territorio americano, anche se “alcune leggi sulla sorveglianza aerea e sulla privacy relativamente a elicotteri e piccoli velivoli potrebbero essere adattate ai droni”. Dalle parole di Mueller appare perciò chiaro come l’impiego di droni nei cieli USA venga attualmente deciso al di fuori di ogni regolamentazione legale. Un’eventuale legislazione che il numero uno dell’FBI ha detto di auspicare nel prossimo futuro, peraltro, servirebbe soltanto a dare una parvenza di legittimità ad una pratica gravemente lesiva della privacy e ancora una volta contraria ai principi costituzionali.

Per prevenire ovvie polemiche, lo stesso “Bureau” dopo la testimonianza di Mueller ha diffuso una dichiarazione ufficiale, spiegando che “i droni sono consentiti per ottenere informazioni cruciali che, diversamente, potrebbero essere reperite solo mettendo a rischio il personale di polizia”. Come esempio dell’uso fatto finora, l’FBI ha poi fatto riferimento ad un episodio accaduto quest’anno in Alabama, nel quale le forze di polizia, grazie ad un drone, sono venute a conoscenza di un nascondiglio dove veniva tenuto nascosto un ostaggio di 5 anni.

L’FBI, infine, ha fatto sapere che per il momento ogni operazione condotta con i droni sul suolo americano viene preventivamente approvata dalla Federal Aviation Administration (FAA), l’agenzia federale che regola e sovrintende all’aviazione civile negli Stati Uniti.

Come per i programmi di sorveglianza elettronica dell’NSA rivelati in questi giorni dall’ex contractor Edward Snowden, il governo americano giustifica ufficialmente anche l’uso dei droni con la necessità di avere a disposizione strumenti più efficaci per combattere la criminalità o la minaccia terroristica. Questi velivoli, tuttavia, forniscono uno strumento di controllo formidabile della vita e dell’attività di qualsiasi cittadino che venga considerato una “minaccia” per il paese.

Ugualmente, come la presunta legalità dei programmi dell’NSA si basa in gran parte sulle deliberazioni del cosiddetto Tribunale per la Sorveglianza dell’Intelligence Straniera (FISC), il quale opera in gran segreto assecondando ogni richiesta di intercettazione del governo, il ricorso ai droni avverrebbe solo dopo l’autorizzazione di un ente federale amministrativo come l’FAA. Questo espediente, a detta del direttore dell’FBI, sarebbe sufficiente a garantire la legittimità del programma.

Il tentativo di Mueller di minimizzare l’impiego dei droni con funzioni di sorveglianza negli Stati Uniti è comunque da considerare con estremo sospetto, visto che, quanto meno, a inizio anno l’FAA aveva fatto sapere di avere approvato in meno di sei anni quasi 1500 richieste di vari enti per operare questo genere di velivoli.

Da quanto si evince da alcune indagini giornalistiche e sparute dichiarazioni di politici o amministratori locali, l’uso dei droni in territorio americano viene oggi già consentito per i più svariati motivi, tra cui il monitoraggio del confine con il Messico per combattere l’immigrazione clandestina.

Gli Stati Uniti potrebbero però venire invasi a breve da un numero elevatissimo di droni, in gran parte con compiti di sorveglianza, dopo che il Congresso ha fissato al settembre 2015 l’apertura dei cieli a velivoli comandati a distanza che consentono un risparmio notevole di costi per le agenzie governative e per i singoli Stati. Entro questa data, l’FAA dovrà preparare un sistema di regolamentazione complessivo relativamente ai droni per uso domestico.

Significativamente poi, anche per i droni, come per i programmi di sorveglianza e intercettazione, il banco di prova per l’utilizzo domestico sono state le guerre condotte dagli Stati Uniti all’estero, in particolare in Pakistan e in Yemen dove questi strumenti di morte hanno causato migliaia di vittime civili.

Metodi di controllo e di repressione violenta di ogni forma di resistenza contro l’occupazione americana di un paese straniero oppure di rivolte contro regimi autoritari collusi con l’imperialismo di Washington, verranno perciò messi in atto con maggiore frequenza anche in patria per contrastare un dissenso interno destinato a crescere nel prossimo futuro con l’aumentare delle tensioni sociali.

Le dichiarazioni rilasciate mercoledì da Mueller, in ogni caso, potrebbero essere state orchestrate appositamente per prevenire lo shock di possibili nuove pubblicazioni di documenti passati da Snowden al quotidiano britannico Guardian proprio sull’uso dei droni negli USA con funzioni di sorveglianza.

Più in generale, l’intervento al Congresso del direttore dell’FBI, così come nei giorni precedenti di altre personalità dell’apparato della sicurezza degli Stati Uniti, a cominciare dal capo dell’NSA, generale Keith Alexander, fa parte della campagna in atto per difendere strenuamente il ricorso a programmi di sorveglianza palesemente illegali.

Lo zelo con cui i politici di entrambi gli schieramenti e gran parte dei media “mainstream” stanno cercando di giustificare la violazione sistematica dei principi costituzionali degli Stati Uniti e della privacy dei cittadini di tutto il mondo dimostrano il panico diffuso tra la classe dirigente americana dopo le rivelazioni di Snowden.

La tesi sostenuta a oltranza della necessità di accettare una trascurabile invasione della sfera privata per vivere in un paese sicuro serve infatti a nascondere la realtà di un governo sempre più autoritario e invasivo che può continuare a mettere in atto politiche profondamente impopolari sia sul fronte domestico che internazionale solo grazie all’inganno, alla segretezza e, appunto, all’adozione di colossali programmi di sorveglianza per reprimere il dissenso.

Lo stesso presidente Obama, perciò, è da giorni in prima linea nel propagandare la presunta legalità dell’operato di agenzie come l’NSA. Sia alla vigilia della sua partenza per il G-8 in Irlanda del Nord, sia durante la recentissima visita a Berlino, l’inquilino della Casa Bianca si è sentito in dovere di difendere pubblicamente le intercettazioni e i programmi di sorveglianza.

Obama li ha così definiti strumenti fondamentali nella “guerra al terrore”, come dimostrerebbero i circa 50 attentati che essi, secondo la versione offerta al pubblico, hanno permesso di sventare negli ultimi anni. Ironicamente, le parole del presidente sono giunte solo pochi giorni dopo l’annuncio di un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto in Siria. Questa decisione si concretizzerà nella fornitura di armi letali proprio a formazioni dominate da gruppi terroristici, i quali, d’altra parte, da tempo vengono considerati alternativamente nemici o partner più o meno ufficiali a seconda delle necessità degli interessi strategici di Washington.


di Michele Paris -

25 giugno 2013

E se tornassimo un paese sovrano?






Che la luce costi meno è la buona notizia degli ultimi anni. Ma evitiamo di inseguire l’illusione dei prezzi svendita riservati ai militari Usa-Nato di guardia nelle 129 basi sparse lungo lo stivale da Aviano ai droni di Sigonella. Basi inventate 60 anni fa per lo spauracchio della cortina di ferro. Adesso che il comunismo non c’è più i missili sono girati verso sud-est indecisi su quale nuova invasione barbarica bruciare. Americani sempre lì, ed è giusto trattarli col rispetto di un regime fiscale concordato. Militari e civili Usa, mogli, figli comprano ogni ben di dio senza pagare l’Iva. Non la pagano su servizi, bollette elettriche, dazi, sbarco e imbarco merci, circolazione veicoli, imposte di registro, bolli, soprattutto carburanti.

Sul pieno risparmiano il 60 per cento, differenza che esce dalle nostre tasche. Numeri imprecisi, segreti invalicabili custoditi dal ministero della Difesa. Timidamente il Dipartimento di Washington ogni tanto fa sapere qualcosa. Le ultime notizie risalgono al 1999: l’Italia sborsava 530 milioni di dol- lari, 3 milioni cash, chissà perché. Nell’analisi degli esperti l’aggiornamento 2013 (pressione fiscale e aumento prezzi) sfiora i due miliardi dollari. Ipotesi di chi fa i conti al buio mentre la situazione cambia, esempio Vicenza che raddoppia per l’arrivo dalla Germania di militari e civili della brigata 173, com- preso un battaglione di artiglieri con “capacità nucleare”. La super Coop edilizia e un gran privato hanno scavato l’ospedale bunker: può accogliere la comunità Usa nel caso di attacco batterio- logico. I vicentini se la sbrighino da soli.

Sicilia ormai trasformata in portaerei con satelliti e radar che controllano inquietidini africane, coordinano Medio Oriente, Asie del petrolio, mezzo mondo. La colonizzazione militare gioca alla guerra per allenare gli aerei senza pilota a non sbagliare bersaglio. E i passeggeri delle vacanze arrivano frustrati per voli cancellati e cieli requisiti. E poi lo stress dell’inquinamento elettrico e sonoro: Tv impazzite, rimbombi che scuotono i palazzi. L’accordo internazionale prevede che alle immondizie della basi provvedano le amministrazioni locali. Se i rifiuti sono tossici ci pensano i marines, ma non sempre bonificano il territorio sconvolto dalle macchine di guerra. La Maddalena raccoglie 11 mila abitanti, 300-400 marinai Usa per 25 anni di guardia ai sommergibili nucleari. Se ne vanno lasciando l’eredità pe- santissima di un inquinamento (mare, terra) che seppellisce i bilanci municipali: rosso di 928 mila euro l’anno.

Negli Usa si diventa militari per vocazione, ma anche per soldi. Soldato arruolato da 6 anni, 2.300 dollari al mese; capitano 5.511. Stipendi per chi vive negli States. All’estero raddoppiano, quasi il triplo in prima linea. L’accordo con l’Italia prevede contributi tra il 30 e il 40 per cento. Sconosciuto il calcolo base, ma buona parte del gruzzolo la paghiamo noi. Accordo dell’Alleanza Atlantica che non vale per le così dette missioni di pace, paghe che cambiano se firmate Onu o firmate Nato. Per i no- stri soldati in Afghanistan solite 1.300 euro al mese più 130 o 170 euro al giorno, dipende dal tipo di missione. Intanto pensionati in agonia, operai e imprenditori si danno fuoco e chi impazzisce spara per strada, cronache quotidiane dell’Italia che sta scoppiando.

E se tornassimo un paese sovrano? 

Marines addio, militari che non escono dai confini, F-35 fuori dai nostri hangar. Meno retorici, meno inginocchiati. Normalmente umani.


di Maurizio Chierici 

23 giugno 2013

Le parole del papa Francesco




Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi vorrei soffermarmi sulla questione dell’ambiente, come ho avuto già modo di fare in diverse occasioni. Me lo suggerisce anche l’odierna Giornata Mondiale dell’Ambiente, promossa dalle Nazioni Unite, che lancia un forte richiamo alla necessità di eliminare gli sprechi e la distruzione di alimenti.
Quando parliamo di ambiente, del creato, il mio pensiero va alle prime pagine della Bibbia, al Libro della Genesi, dove si afferma che Dio pose l’uomo e la donna sulla terra perché la coltivassero e la custodissero (cfr 2,15). E mi sorgono le domande: Che cosa vuol dire coltivare e custodire la terra? Noi stiamo veramente coltivando e custodendo il creato? Oppure lo stiamo sfruttando e trascurando? Il verbo “coltivare” mi richiama alla mente la cura che l’agricoltore ha per la sua terra perché dia frutto ed esso sia condiviso: quanta attenzione, passione e dedizione! Coltivare e custodire il creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti. Benedetto XVI ha ricordato più volte che questo compito affidatoci da Dio Creatore richiede di cogliere il ritmo e la logica della creazione. Noi invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura. Stiamo perdendo l’atteggiamento dello stupore, della contemplazione, dell’ascolto della creazione; e così non riusciamo più a leggervi quello che Benedetto XVIchiama “il ritmo della storia di amore di Dio con l’uomo”. Perché avviene questo? Perché pensiamo e viviamo in modo orizzontale, ci siamo allontanati da Dio, non leggiamo i suoi segni.
Ma il “coltivare e custodire” non comprende solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’uomo e il creato, riguarda anche i rapporti umani. I Papi hanno parlato di ecologia umana, strettamente legata all’ecologia ambientale. Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo. La persona umana è in pericolo: questo è certo, la persona umana oggi è in pericolo, ecco l’urgenza dell’ecologia umana! E il pericolo è grave perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia, ma di etica e di antropologia. La Chiesa lo ha sottolineato più volte; e molti dicono: sì, è giusto, è vero… ma il sistema continua come prima, perché ciò che domina sono le dinamiche di un’economia e di una finanza carenti di etica. Quello che comanda oggi non è l'uomo, è il denaro, il denaro, i soldi comandano. E Dio nostro Padre ha dato il compito di custodire la terra non ai soldi, ma a noi: agli uomini e alle donne. noi abbiamo questo compito! Invece uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità. Se una notte di inverno, qui vicino in via Ottaviano, per esempio, muore una persona, quella non è notizia. Se in tante parti del mondo ci sono bambini che non hanno da mangiare, quella non è notizia, sembra normale. Non può essere così! Eppure queste cose entrano nella normalità: che alcune persone senza tetto muoiano di freddo per la strada non fa notizia. Al contrario, un abbassamento di dieci punti nelle borse di alcune città, costituisce una tragedia. Uno che muore non è una notizia, ma se si abbassano di dieci punti le borse è una tragedia! Così le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti.
Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro –, o non serve più – come l’anziano. Questa cultura dello scarto ci ha resi insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari, che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame e malnutrizione. Una volta i nostri nonni erano molto attenti a non gettare nulla del cibo avanzato. Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di dare il giusto valore, che va ben al di là dei meri parametri economici. Ricordiamo bene, però, che il cibo che si butta via è come se venisse rubato dalla mensa di chi è povero, di chi ha fame! Invito tutti a riflettere sul problema della perdita e dello spreco del cibo per individuare vie e modi che, affrontando seriamente tale problematica, siano veicolo di solidarietà e di condivisione con i più bisognosi.
Pochi giorni fa, nella Festa del Corpus Domini, abbiamo letto il racconto del miracolo dei pani: Gesù dà da mangiare alla folla con cinque pani e due pesci. E la conclusione del brano è importante: «Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi avanzati: dodici ceste» (Lc 9,17). Gesù chiede ai discepoli che nulla vada perduto: niente scarti! E c’è questo fatto delle dodici ceste: perché dodici? Che cosa significa? Dodici è il numero delle tribù d’Israele, rappresenta simbolicamente tutto il popolo. E questo ci dice che quando il cibo viene condiviso in modo equo, con solidarietà, nessuno è privo del necessario, ogni comunità può andare incontro ai bisogni dei più poveri. Ecologia umana ed ecologia ambientale camminano insieme.
Vorrei allora che prendessimo tutti il serio impegno di rispettare e custodire il creato, di essere attenti ad ogni persona, di contrastare la cultura dello spreco e dello scarto, per promuovere una cultura della solidarietà e dell’incontro. Grazie.

PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 5 giugno 2013

22 giugno 2013

L'inganno dell'Euroamerica, che non porterà affatto più libero scambio



Nella distrazione generale, soprattutto della pubblica opinione, prosegue il lavorio internazionale, di Usa ed Europa, per la creazione di un’area di libero scambio tra le due unioni che non sarà né libera né paritaria. Si era detto che con la globalizzazione i confini fra gli Stati si sarebbero dissolti, poiché laddove circolano le merci depongono le armi gli eserciti, la civiltà dell’integrazione economica e sociale si estende determinando la nascita di un superiore modello culturale di partecipazione e di solidarietà mondiale, finalizzato alla prosperità generale. Ma, allora, come mai si rende necessario creare dei cortili di esclusività ristretta per rendere la libertà sempre più libera?

E’ un bel paradosso, in quanto un accordo di tale specie include alcuni ed esclude altri, oppure, per essere più chiari, può servire sia per imprigionare una parte di quelli che vi aderiscono, in primis le nazioni più deboli convinte di ricevere tutele subendo, invece, gravi condizionamenti, che per circondare ed isolare i nemici più forti. Dunque, per attivare forme subdole di protezionismo, che nascondono precisi piani politici, non c’è nulla di meglio che creare un’area circoscritta di privilegio e chiamarla free-trade talks, un dominio apparentemente aperto ma surrettiziamente coercitivo dove vige la legge del più prepotente.

Gli Stati Uniti, non a caso, stanno promuovendo dette intese in quelle zone del pianeta dove operano superpotenze che mettono a repentaglio la sua egemonia. In Europa si temono i russi e nel Pacifico i cinesi. Ed voilà che nascono spazi di commercio e di canali diplomatici facilitati per frenare l’avanzata degli Stati emergenti e riemergenti, i quali non si piegano a determinate prescrizioni geopolitiche unipolari.

Noi italiani, che siamo doppiamente autolesionisti, siamo entusiasti dell’iniziativa. Siamo da sempre un popolo di camerieri e servire è la nostra massima aspirazione. Non c’è bastata l’Ue che ha destabilizzato affari e sovranità nazionale, vogliamo proprio toccare il fondo per stare tranquilli e facciamo i salti di gioia per questa nuova opportunità nella quale daremo, sicuramente, il peggio di noi stessi.

Perché dico questo? Ho le prove del masochismo nostrano. Sentite un po’ cosa dice il sottosegretario allo sviluppo economico,  Carlo Calenda, ribattezzato per l’occasione segretario al sottosviluppo. Costui, dopo il tentativo francese di porre dei limiti all’audiovisivo per non perdere la partita con l'industria cinematografica Usa, teme ritorsioni da parte di Washington che potrebbe escludere dall’accordo alcuni ambiti chiave, danneggiando l’Italia. E quali sarebbero questi ambiti fondamentali? “...il tessile, l’oreficeria, la pelletteria…” dopodiché il viceministro è convinto dell’utilità di introdurre dazi sui prodotti cinesi, e chiede pure all’UE di sposare una linea condivisa e coerente su queste tematiche. Quindi il problema sarebbero i gialli che ci fanno neri in comparti industriali di precedenti ondate tecnologiche e non tutti quei tramatori alle nostre spalle, compresi i sedicenti partner più stretti, che vorrebbero smantellare i nostri asset strategici, a compartecipazione pubblica, nei settori di punta, dall’aerospaziale all’energetico.

I più grandi economisti euroamericani sono convinti che, grazie alla creazione dell’area di libero-scambio transatlantica, si aumenteranno i volumi di commercio internazionale di circa 100 mld annui. Può essere, ma occorre vedere come si distribuiranno i vantaggi tra i compartecipanti. Inoltre, trattandosi degli stessi dottori laureati che, appena qualche anno fa, non avevano previsto nessuna crisi sistemica, blaterando di piccole recessioni ricorsive, non c’è da stare troppo a sentirli. Più che la scienza triste l’economia è diventata la religione delle balle dove vince e fa carriera chi le spara più grosse.

Diciamo, pertanto, come stanno davvero le questioni. Questo patto, al quale gli statunitensi non credevano, difatti J. W. Bush lo aveva fatto naufragare poiché distante dalla sua visione strategica, è stato ripescato da Obama che teme l’estendersi dell’ascendente russo su determinati membri europei in difficoltà (ma non solo, si pensi agli affari del gas tra Berlino e Mosca e a quelli, purtroppo quasi naufragati, con l’Italia), e che vuole, al contempo, penetrare ancor più pesantemente nel vecchio continente per farne un punto d’osservazione e di controllo di teatri vicini, dove regna l’instabilità e l’incertezza.

Che la reale preoccupazione della Casa Bianca sia il Cremlino lo segnala anche il giornalista di Libero Carlo Pelanda il quale così ripercorre gli avvenimenti: “Nell’autunno del 2006 la Russia costrinse la Germania a definire confini certi della Ue affinché la loro estensione ad est non destabilizzasse la Federazione russa e sia Ucraina sia Bielorussia (nonché Georgia) ne restassero fuori per essere riassorbiti nel futuro dalla Russia stessa. Tale pressione fu fatta ricattando la Germania sul piano delle forniture di gas. Per inciso, Romania e Bulgaria furono incluse a razzo nella Ue, ma come segnale di fine dell’espansione europea. Una sorta di nuova Yalta. Questa storia è poco nota e penso mai sia apparsa sui giornali per nascondere una sconfitta storica della Ue a conduzione tedesca. Berlino cercò la sponda americana per segnalare ai russi che poteva contro-dissuadere ed alla fine Mosca e Berlino si accordarono. La mossa fu strumentale e lasciò freddi gli americani. Ora, appunto, è diverso: l’America è apertissima all’idea e la ha proposta…Perseguire l’Euroamerica significa creare l’organo di governo mondiale, basato sul criterio occidentale e non asiatico, del futuro. Ed anche dare un senso all’Europa fin qui fatta”.

Visto? Non c’è nulla di meglio dell'ideologia del libero-scambio per innalzare cortine di ferro e predisporsi, senza farsi notare, alla guerra. Il povero Frédéric Bastiat non aveva capito nulla
 

di Gianni Petrosillo 

21 giugno 2013

Attiviamoci e Ripartiamo

Sono passati diversi mesi, ma continuo a crederci e a sperare. Perché in genere, quando prendo una decisione e faccio una scelta, è mia abitudine riflettere accuratamente, perché se sbaglio me ne assumo la responsabilità, non la scarico sugli altri. Il M5S non rappresentava e non rappresenta per me, solo “la protesta” o “l’unica alternativa possibile”.
Il M5S esprime quella volontà di Cambiamento Pragmatico, di Rivoluzione Culturale che parte dalle idee, dagli ideali, dai diritti ma lì non si ferma… La vocazione reale del movimento è tradurre in atti, in fatti delle bellissime e altisonanti parole svuotate di contenuto e credibilità, da parte di chi ne ha abusato senza prevedere che prima o poi sarebbero diventate inefficaci.
Ho votato Grillo e il Movimento perché in quell’ultimo comizio a San Giovanni rivolgendosi ad una piazza gremita e a quanti, come me, lo seguivano in diretta streaming, ha detto: “Se voti il Movimento 5 Stelle, ti metti in gioco in prima persona”. Tu diventi parte del cambiamento che vuoi attuare, te ne assumi la responsabilità, se vuoi il cambiamento, tu devi cambiare.
Vi sembrerà strano, ma sono state queste le parole che mi hanno convinta a votare.
Per la prima volta, qualcuno non mi stava dicendo “Dimmi che ti serve, che a te ci penso io”, ma faceva appello al mio senso critico e non mi stava chiedendo fiducia, ma mi stava dando fiducia, quindi il mio voto e il mio impegno quotidiano avrebbero contato.
Ciascuno di noi sarebbe stato riabilitato a pensare, a ragionare, sarebbe stato rispettato e avrebbe avuto la giusta importanza all’interno di quel Sistema che ci vuole solo sudditi. Quando leggo i post nel suo Blog credo di coglierne sempre il senso, perché non è una questione di interpretazione, ma di prospettiva.
L’utilizzo di un linguaggio forte che scuote e spaventa, è per me un invito ad andare oltre le parole, a provare ad interrogarsi sul perché. La continua denuncia da parte sua (mentre i Parlamentari stanno lavorando all’interno dell’Istituzione) è il tentativo di tenerci desti e concentrati, un invito a non abbassare la guardia, perché non abbiamo ancora finito, ma appena cominciato…
In molti non condividono perché avrebbero voglia di essere rassicurati, di ricevere delle buone notizie, di raccogliere già i frutti ….. ma quella X apposta sulla scheda elettorale era soltanto un seme che ciascuno di noi ha piantato… 9’000’000 di semi.
Possiamo scegliere di abbandonare i germogli spuntati alle intemperie, rinunciando completamente al raccolto o continuare a prendercene cura. Non è stato solo Grillo a sbagliare, abbiamo sbagliato tutti. Mi rivolgo soprattutto agli Attivisti, alla cosiddetta Base del Movimento, agli iscritti entro il 31/12/2012.
Ho sempre ritenuto giusto il criterio per cui a votare fossero le persone impegnate nel progetto fin da principio, perché certi diritti si conquistano e si acquisiscono combattendo sul campo le battaglie, perché così ne apprezzi davvero il valore. Salire sul carro del vincitore è facile, quanto saltare giù nel momento in cui la strada diventa impervia.
Tuttavia, diversi episodi accaduti recentemente, mi hanno portato a delle conclusioni. Chi deve cambiare toni e registro sono proprio quegli attivisti che avendo più diritto ad esprimere il loro pensiero, non hanno tenuto conto di noi altri che sommati siamo 8’950’000. “Liberarsi di pesi morti”, “Accuse di trolleraggio”, “Spammare o bannare”, “Espellere gente dai meetup” o “Creare più gruppi all’interno di uno stesso paese o città”, escludere dal dialogo chiunque la pensi in modo diverso (vi ricordo che essendo un movimento trasversale ci saranno spesso voci in disaccordo), non farà altro che dividerci e frammentare quella comunità che condivideva gli stessi sogni e gli stessi progetti… L’obiettivo non dovrebbe essere quello di ritagliarsi un piccolo spazio all’interno di un Sistema marcio, ma convincere le persone a cambiare, a continuare a credere nel progetto, a partecipare.
Sul caso “Gambaro”: nutrivo forti sospetti che la sua reale intenzione fosse quella di fare la martire ed uscirne pulita… bene, anzi male, non sapremo mai la verità, perché è stata espulsa. A chi ha giovato? A noi non di certo. Il mio è solo un appello: se Grillo è un megafono che dice ciò che in tanti pensano, mi auguro davvero che ciascuno pensi bene a ciò che sta facendo, anche a nome di chi ancora non ha la possibilità di far sentire la propria voce.
Non ci sono solo Grillo e i 163, ops, 159 eletti in Parlamento, ci sono circa 50’000 iscritti certificati… E a voi che mi rivolgo. Allo stato dell’arte la democrazia diretta è un sogno, un progetto difficilmente realizzabile, pertanto fino a quando ciascuno non avrà la possibilità di esprimersi, voi ci state rappresentando.
Se tenete al Movimento, dovreste tenere anche a tutti quelli che lo hanno votato. Se tenete al Movimento non potete farvi guidare solo dall’impulso personale e soggettivo, ma provare a valutare l’impatto e le conseguenze delle vostre scelte, provare a farvi interpreti anche di chi al momento è escluso dalle decisioni… provare ad includere e a incoraggiare le persone a resistere, a partecipare e a perseguire le battaglie che sono di tutti…
Se credete di esseri i soli a voler lottare per cambiare, rimarrete soli. Se il Movimento fallisce, non fallisce Grillo, falliamo tutti e anche quelli che non lo hanno votato perché non avranno più la possibilità di ricredersi e di farlo…
Se il Movimento è migliore deve dimostrare di esserlo..
Se tutti siamo il Movimento dobbiamo poter essere orgogliosi di farne parte.
Se tutti siamo in Movimento dobbiamo tirare dentro e non buttar fuori.
Prima di fare click… Pensiamoci!!!!!
 Stella Maria Dolores Giorgitto

20 giugno 2013

Il «leone impaziente» di sbranare






caccia tramonto
Quando il presidente Napolitano incontrò l’anno scorso in Giordania S.M. Re Abdallah II, gli espresse «l’alta considerazione con cui l’Italia guarda alla volontà di pace e alla linea di moderazione da sempre perseguita dalla dinastia hashemita». 

È in questo spirito, sicuramente, che l’Italia partecipa in Giordania all’esercitazione «Eager Lion» (leone impaziente) sotto comando Usa, in corso dal 9 al 20 giugno. Vi partecipano 19 paesi, uniti dal «comune scopo di rafforzare la sicurezza e stabilità regionale». Minacciate, non hanno dubbi, dalla Siria di Assad che usa armi chimiche per schiacciare la ribellione. Le «prove» sono state fornite dalla Cia, la stessa che dieci anni fa fornì la documentazione fotografica, mostrata da Colin Powell al Consiglio di sicurezza, sul possesso da parte dell’Iraq di 500 tonnellate di armi chimiche e biologiche e di laboratori mobili per la guerra biologica. Dopo si è scoperto, come ha riconosciuto lo stesso Powell, che tali armi non esistevano e che i laboratori mobili erano in realtà generatori di gas per palloni aerostatici ad uso meteorologico. I giochi però ormai erano fatti: le «prove» della Cia erano servite a giustificare la guerra contro l’Iraq. 

Poco importa quindi se, una volta vinta la guerra contro la Siria, si scoprirà che sono stati i «ribelli» a usare armi chimiche, come ha dichiarato Carla Del Ponte della Commissione Onu sui crimini di guerra. A insindacabile giudizio di Washington, la Siria ha superato la «linea rossa» e il presidente Obama, a malincuore, ha deciso di fornire armi ai «ribelli». Nascondendo il fatto, emerso dall’inchiesta del New York Times (26 marzo), che dal gennaio 2012 la Cia fornisce armi ai «ribelli», facendole arrivare con un ponte aereo in Turchia e Giordania e addestrando qui le forze infiltrate in Siria. 

Su questo sfondo si svolge la «Eager Lion», una vera propria esercitazione di guerra con forze aeree, aviotrasportate, navali, anfibie e terrestri, comprendenti oltre 8mila uomini. Tra cui militari italiani, incluso probabilmente il 185° reggimento Ricognizione Acquisizione Obiettivi della Brigata Folgore. A fianco di militari di specchiata fede democratica, come quelli sauditi, yemeniti, qatariani e altri. 

Tutti agli ordini del Comando centrale degli Stati uniti, la cui «area di responsabilità» abbraccia Medio Oriente e Asia Centrale (inclusi Siria, Iraq, Iran e Afghanistan), più l’Egitto. Quale sia il reale scopo della «Eager Lion» è dimostrato dal fatto che, finita l’esercitazione, il Pentagono lascerà in Giordania i caccia F-16 e i missili terra-aria Patriot. Questi si aggiungeranno ai Patriot statuniteni, tedeschi e olandesi già schierati in Turchia al confine con la Siria.

Tutto è pronto per una «limitata no-fly zone», estesa 40 km all’interno della Siria, che – secondo funzionari Usa intervistati dal Wall Street Journal – servirà a «proteggere i campi di addestramento dei ribelli e la fornitura delle armi». La no-fly zone sarà imposta dai caccia Usa che, decollando dalla Giordania e dalle portaerei, potranno distruggere con i loro missili gli aerei e le difese anti-aeree della Siria senza sorvolare il suo territorio. La no-fly zone, quindi, «non richiederà una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu». 

Il costo previsto è di «appena» 50 milioni di dollari (37 milioni di euro) al giorno che, assicura Washington, saranno pagati anche dagli alleati. Non si sa ancora quale sarà la quota italiana, ma il governo i soldi li troverà, spremendo le casse pubbliche e tagliando ancora le spese sociali.



di Manlio Dinucci

19 giugno 2013

E se tornassimo un paese sovrano?







Che la luce costi meno è la buona notizia degli ultimi anni. Ma evitiamo di inseguire l’illusione dei prezzi svendita riservati ai militari Usa-Nato di guardia nelle 129 basi sparse lungo lo stivale da Aviano ai droni di Sigonella. Basi inventate 60 anni fa per lo spauracchio della cortina di ferro. Adesso che il comunismo non c’è più i missili sono girati verso sud-est indecisi su quale nuova invasione barbarica bruciare. Americani sempre lì, ed è giusto trattarli col rispetto di un regime fiscale concordato. Militari e civili Usa, mogli, figli comprano ogni ben di dio senza pagare l’Iva. Non la pagano su servizi, bollette elettriche, dazi, sbarco e imbarco merci, circolazione veicoli, imposte di registro, bolli, soprattutto carburanti.

Sul pieno risparmiano il 60 per cento, differenza che esce dalle nostre tasche. Numeri imprecisi, segreti invalicabili custoditi dal ministero della Difesa. Timidamente il Dipartimento di Washington ogni tanto fa sapere qualcosa. Le ultime notizie risalgono al 1999: l’Italia sborsava 530 milioni di dol- lari, 3 milioni cash, chissà perché. Nell’analisi degli esperti l’aggiornamento 2013 (pressione fiscale e aumento prezzi) sfiora i due miliardi dollari. Ipotesi di chi fa i conti al buio mentre la situazione cambia, esempio Vicenza che raddoppia per l’arrivo dalla Germania di militari e civili della brigata 173, com- preso un battaglione di artiglieri con “capacità nucleare”. La super Coop edilizia e un gran privato hanno scavato l’ospedale bunker: può accogliere la comunità Usa nel caso di attacco batterio- logico. I vicentini se la sbrighino da soli.

Sicilia ormai trasformata in portaerei con satelliti e radar che controllano inquietidini africane, coordinano Medio Oriente, Asie del petrolio, mezzo mondo. La colonizzazione militare gioca alla guerra per allenare gli aerei senza pilota a non sbagliare bersaglio. E i passeggeri delle vacanze arrivano frustrati per voli cancellati e cieli requisiti. E poi lo stress dell’inquinamento elettrico e sonoro: Tv impazzite, rimbombi che scuotono i palazzi. L’accordo internazionale prevede che alle immondizie della basi provvedano le amministrazioni locali. Se i rifiuti sono tossici ci pensano i marines, ma non sempre bonificano il territorio sconvolto dalle macchine di guerra. La Maddalena raccoglie 11 mila abitanti, 300-400 marinai Usa per 25 anni di guardia ai sommergibili nucleari. Se ne vanno lasciando l’eredità pe- santissima di un inquinamento (mare, terra) che seppellisce i bilanci municipali: rosso di 928 mila euro l’anno.

Negli Usa si diventa militari per vocazione, ma anche per soldi. Soldato arruolato da 6 anni, 2.300 dollari al mese; capitano 5.511. Stipendi per chi vive negli States. All’estero raddoppiano, quasi il triplo in prima linea. L’accordo con l’Italia prevede contributi tra il 30 e il 40 per cento. Sconosciuto il calcolo base, ma buona parte del gruzzolo la paghiamo noi. Accordo dell’Alleanza Atlantica che non vale per le così dette missioni di pace, paghe che cambiano se firmate Onu o firmate Nato. Per i no- stri soldati in Afghanistan solite 1.300 euro al mese più 130 o 170 euro al giorno, dipende dal tipo di missione. Intanto pensionati in agonia, operai e imprenditori si danno fuoco e chi impazzisce spara per strada, cronache quotidiane dell’Italia che sta scoppiando.

E se tornassimo un paese sovrano? 

Marines addio, militari che non escono dai confini, F-35 fuori dai nostri hangar. Meno retorici, meno inginocchiati. Normalmente umani.


di Maurizio Chierici 

18 giugno 2013

PD+PDL: il Grillo è servito




 
Sento dire che è ingiusto prendersela con gli elettori italiani perché hanno penalizzato il 5stelle giudicandolo implacabilmente, dopo solo due mesi e mezzo di opposizione parlamentare, unico partito ad aver restituito allo Stato 42 milioni di euro di finanziamento pubblico alla politica, unico partito che si è reso disponibile all’applicazione della legge 361 del 1957 per l’ineleggibilità di Berlusconi, unico partito pronto a votare in aula per l’abrogazione del “Porcellum” e far riemergere la vecchia legge elettorale detta “Mattarellum” che almeno non è incostituzionale.
Invece io me la prendo proprio con gli elettori, a cominciare da quel 50% che non è andato a votare, e soprattutto con quegli imbecilli che hanno votato PD, un partito la cui parola vale zero, capace di prendere in giro gli elettori al punto di fare esattamente il contrario di ciò che aveva promesso in campagna elettorale (mai al governo con Berlusconi) offrendo uno spettacolo politico in cui le elezioni appaiono veramente inutili e il “popolo sovrano” una illusione per i gonzi.
Non solo, ma i responsabili maggiori dello sfascio e della crisi, i falsi antagonisti PD e PDL, sono soprattutto impegnati a spaccare il Movimento di Grillo, promettendo soldi e ricandidature, contando su infiltrati e fragilità umane, manovra che sarebbe impossibile se esistesse una norma di legge che impedisce durante la legislatura il passaggio da un partito ad un altro, in nome del rispetto della volontà degli elettori, che dovrebbe essere prevalente sulle scelte personali del singolo eletto.

Ma lo spettacolo più immondo degli elettori imbocconi e sudditi ce l’ha dato la campagna elettorale di Berlusconi, vissuta comodamente nelle sue televisioni e in quelle compiacenti della RAI, in cui, due promesse farlocche e prive di copertura economica, l’abolizione dell’IMU, addirittura la restituzione di quella già pagata, la cancellazione dell’aumento dell’iVA, e una velata promessa di condono edilizio, lo hanno fatto passare in poche settimane dal 10 al 25% dei consensi, resuscitandolo per l’ennesima volta.

Questi sono gli italiani, non tutti forse, ma in maggioranza infinocchiati da PDL e PD, che sono così furbi da mandare al potere chi li ha messi nei guai, con la complicità attiva di Re Giorgio Napolitano,e si dimenticano di punire i protagonisti di 20 anni di fallimenti, di ruberie, di malgoverno, di sprechi, dove il debito pubblico è sempre aumentato e il suo costo blocca qualsiasi possibilità di ripresa.
Nell’immediato il cemento del governo dell’inciucio è rappresentato dall’obbiettivo di espellere dalle istituzioni parlamentari il corpo estraneo che si chiama M5S, con ogni mezzo, affinchè la politica rimanga “cosa loro”, ben chiusa nel Palazzo e negli studi televisivi, foraggiata dallo Stato e dalle lobby private, impermeabile alle esigenze di disoccupati, senza casa, pensionati al minimo, problemi che nessuno vuole più affrontare.
La cosa triste è che questa lotta senza quartiere al M5S sta avendo successo e rialzarsi sarà dura,

Italiani “brava gente”.
di Paolo De Gregorio 

17 giugno 2013

Le banche centrali in crisi




Le voci sulla possibile riduzione di acquisti di bond dei Paesi europei più in difficoltà da parte della Banca Centrale Europea non dovrebbero sorprendere. Certo questi rumors potrebbero innescare nuovi impulsi speculativi. L’eventuale decisione della Bce, più che dipendere da quella della Corte Costituzionale tedesca chiamata a pronunciarsi sulla legittimità delle scelte fatte a suo tempo dalla Bce, avrebbe una ragione di valenza globale anche rispetto alle spiegazioni relative alle crisi regionali europee.

Il problema vero sta nell’effetto destabilizzante della crescita esponenziale dei bilanci della banche centrali dei Paesi industrializzati che, secondo i dati della Banca dei Regolamenti Internazionali, sono passati dai 4 trilioni di dollari registrati prima della crisi agli oltre 10 trilioni di dollari attuali!

Oltre a salvare il sistema bancario, questa enorme immissione di liquidità avrebbe dovuto favorire anche i crediti a sostegno degli investimenti per rimettere in moto l’economia. Entrambi gli obiettivi sono stati però drammaticamente mancati. Le banche, e l’Italia docet, hanno di fatto chiuso i rubinetti del credito e la desiderata ripresa ha lasciato spazio ad una profonda recessione.

Le banche centrali si sono invece orientate verso il mercato dei bond, anche quello dei paesi emergenti, generando una forte volatilità dei prezzi che a sua volta ha aumentato la propensione al rischio. Negli ultimi mesi le obbligazioni cosiddette “non investment grade”, cioè quelle speculative e non affidabili per gli investitori istituzionali, e quelle emesse per la prima volta dai Paesi emergenti hanno infatti registrato una domanda spropositata, addirittura di 10 volte superiore all’offerta.

I tassi d’interesse praticati dalle banche centrali vicino allo zero hanno determinato anche il calo dei rendimenti delle obbligazioni. Di fatto si è raggiunto un livello di grande destabilizzazione, invece dell’auspicata stabilità finanziaria. L’investitore che ha acquistato bond è sostanzialmente punito. I privati possono essere spinti a sganciarsi da questo mercato e le stesse banche centrali, che hanno massicciamente acquistato bond, si trovano ora in difficoltà.

Non è un caso, quindi, che in contemporanea con le voci sulla Bce già menzionate, anche il mercato americano dei bond abbia registrato un calo significativo. Ciò è avvenuto perché i maggiori hedge fund, motivati dalle aspettative circa possibili cambiamenti nella politica di “liquidità facile” della Fed, hanno iniziato a dismettere parte dei loro pacchetti obbligazionari.

L’immissione di nuova liquidità da parte delle banche centrali ha determinato anche l’aumento di crediti in valuta estera, in dollari e in euro, nei Paesi emergenti. Quelli in dollari hanno raggiunto il picco di 7 trilioni di dollari, pari a circa il 10% del Pil mondiale. Tali crediti crescono al ritmo del 10% annuo.

Quelli in euro, invece, stanno crescendo ad un tasso annuo del 15%, anche se il loro totale è intorno ai 2,5 trilioni di dollari.

La crescita dei crediti in valuta, purtroppo, non va a sostegno degli investimenti ma crea sempre più pericolose bolle speculative, a cominciare da quella immobiliare.

In Cina, per esempio, nonostante siano stati introdotti limiti e quote per ogni banca, negli ultimi 12 mesi i crediti in valuta sono aumentati del 35%. Perciò molti settori finanziari di alcuni Paesi emergenti dell’Asia stanno nuovamente raggiungendo le rischiose punte massime delle crisi degli anni novanta.

E’ tempo quindi che sia la Bce che la Banca d’Italia riconoscano che la politica di elargizione di liquidità alle banche per sostenere imprese e famiglie è sostanzialmente fallita.


E’ necessario un profondo cambiamento nella politica del credito a livello Ue.  Nel nostro Paese la situazione economica e creditizia è drammatica. Lo Stato deve intervenire con ogni mezzo, anche direttamente, per sostenere nuovi investimenti e per rendere più competitive le nostre aziende anche sui mercati internazionali.


di Mario Lettieri e Paolo Raimondi 

Masse disintegrate, corpo elettorale e astensione



Ludopatia, droga, psicofarmaci, istruzione scadente, intontimento mediatico si sono combinati con disoccupazione di lungo periodo, sotto-occupazione, svalutazione del lavoro, precarietà e redditi reali in picchiata sostituendo al cittadino il neoschiavo precario, o l’escluso, e alle vecchie classi dominate le masse disintegrate, culturalmente, politicamente e socialmente.
Questo è quanto è accaduto in Italia negli ultimi decenni, in un processo di adattamento dell’ordine sociale e della popolazione alle esigenze sovrane del grande capitale finanziario, in vista di un irreversibile cambiamento storico che comporta la perdita della sovranità – e la sua cessione “volontaria” al mercato – nonché l’instaurazione di una “società aperta di mercato” sul modello nordamericano.
Sappiamo che in America pochi sono coloro che votano, partecipando al rito fondamentale della democrazia, e che non vanno a votare milioni di poveri senza speranza, di emarginati, di esclusi dai “diritti” che un sistema definito democratico, liberale, avanzato dovrebbe sempre e comunque assicurare a tutti. Inoltre, in America l’ordine classista è sempre stato incerto, ambiguo, sfumato, profondamente diverso da quello europeo, tanto che, semplificando molto, forse un po’ troppo, si può dire che là vale da sempre la brutale dicotomia fra ricchi e poveri, fra coloro che i soldi li hanno e quelli che arrancano dormendo in roulotte, o addirittura nei vicoli. Fra quelli che possiedono ricchezza e patrimoni e milioni di disperati che vivono di scampoli di assistenza pubblica, di carità privata o di espedienti, c’è sempre stato un robusto ceto medio a fare da “cuscinetto”. Se non che, la crisi iniziata nel 2006 ed esplosa l’anno successivo ha ridotto i numeri dell’area di relativo, moderato benessere, espresso in forme rigorosamente consumistiche, anche nel cuore del neocapitalismo trionfante, cioè in Nord America. Anzi, i numeri del ceto medio statunitense, che in parte significativa va alle urne giustificando il “sistema democratico” e liberale, hanno iniziato a ridursi fin da prima della cosiddetta “crisi subprime”, man mano che si affermavano le logiche finanziarie neocapitalistiche e avanzava la globalizzazione economica. Per la verità, la brutale e semplificatrice dicotomia fra ricchi e poveri, che sembra non basarsi sulla “mediazione” di classi sociali definite e intese come mondi culturali, nasconde una nuova strutturazione della società, un ordine classista ancor peggiore di quello imposto dal capitalismo dello scorso millennio. La dicotomia fra global class e pauper class, pesando sempre meno la presenza, sul piano sociale, del ceto medio figlio del welfare. Un ordine dai tratti inequivocabilmente neofeudali.
I poveri, gli impoveriti, coloro che vivono quotidianamente situazioni di marginalità e di difficoltà e che possono sperare al più in lavori temporanei mal pagati, sono poco propensi a votare, a partecipare, a entusiasmarsi per contese politiche posticce, sempre più simili a partite di calcio (football americano, per l’oltre oceano capitalistico) o a corse dei cani truccate con la finta lepre che gli corre davanti, che avvantaggiano soltanto allibratori (bookmakers) e grossi scommettitori. Sanno per istinto ed esperienza i poveri senza speranza, immersi in un ordine sociale che gli è estraneo e nemico, disintegrati culturalmente e privati anche delle loro origini, che nessun politico e nessun “comitato elettorale”, una volta incassato i voti, prenderà le loro parti e cercherà di migliorarne le condizioni di vita. Capiscono che gli attoruncoli della politica, ben pettinati, coperti di cerone, truccati come puttane da bordello che mentono nascondendo le loro vere intenzioni, sono lì per fare ben altri interessi. Gli stessi che hanno ridotto tutti loro, i loro padri e i loro figli in quelle condizioni. Pur non avendone piena coscienza e pur non rivoltandosi come dovrebbero, i poveri, le neoplebi, le masse disintegrate da questo capitalismo, sanno che la politica liberaldemocratica e tutti i suoi attori sono al servizio di forze determinate e molto concrete, d'interessi di classe avversi a quelli della maggioranza della popolazione. Non sono certo al servizio di una “volontà popolare” ipotetica e non meglio identificata, o di uno stato ridotto a puro testimonial dei mercati e alla loro completa mercé.
Sia ben chiaro. Una cosa è non votare perché s'intuisce, quasi d’istinto, che la democrazia liberale è una truffa e perché le necessità di sopravvivenza prendono il sopravvento su tutto. Altra cosa è opporsi al sistema avendo alle spalle un’organizzazione antagonista e uno straccio di progetto politico. I poveri schiacciati dai ricchi, come nella società nordamericana, le neoplebi e le masse culturalmente disintegrate alle loro spalle, in questo momento, non hanno proprio nulla. Sono abbandonate a se stesse, in balia del controllo e della manipolazione sistemici. E soprattutto della “legge del mercato”.
Non troppo dissimile da questa è la situazione sociopolitica che oggi caratterizza l’Italia. Un intenso processo di trasformazione dell’ordine sociale, inasprito e velocizzato dalla crisi economica strutturale, dalla dipendenza dall’euro, dal ricatto del debito e dalla “cessione” della sovranità nazionale ha fatalmente trasformato il paese in “società aperta di mercato”, attraversata da flussi migratori e caratterizzata dal dilatarsi dei differenziali di ricchezza, potere e prestigio fra ricchi e poveri. Anche qui, come in America, il ceto medio arretra, risucchiato verso il basso dall’applicazione delle dinamiche neocapitalistiche. Anche qui la povertà dilaga e fanno capolino problemi alimentari per una parte significativa, ma sempre più invisibile, della popolazione. Eppure costoro, i cui interessi vitali sono calpestati, godono delle “libertà civili” e dei “diritti politici”. Sembra una beffa, un’insopportabile ipocrisia, ma è la sostanza del sistema liberaldemocratico, puntello politico del neocapitalismo.
Non c’è da stupirsi, alla luce delle precedenti considerazioni, che nei ballottaggi per le comunali del 9 e del 10 giugno abbia votato meno della metà degli aventi diritto: solo il 48,5% a livello nazionale. Davanti al dato dell’astensione in crescita, fino a superare la soglia della metà più uno degli aventi diritto, i giornalisti e i politici, come il solito, stendono cortine fumogene, danno interpretazioni capziose del fenomeno, cercano di giustificare quel sistema e quegli interessi dominanti che hanno prodotto l’astensionismo di massa. Ne prendiamo in considerazione due. 1) Secondo alcuni il segnale non sarebbe poi negativo come si crede, perché testimonierebbe una “maturazione” nella società italiana in senso nordamericano (sempre più simili agli Usa, infatti), in cui alcuni votano e altri se ne stanno “alla finestra” a guardare quel che succede. L’astensione non sarebbe un male, secondo questa interpretazione, ma un segnale che stiamo raggiungendo finalmente la piena “maturità democratica”, testimoniata dal numero di votanti sempre più basso. 2) Altri, più banalmente, pongono l’accento sulla distanza fra “i problemi della gente”, ossia quelle bazzecole come il lavoro che non c’è, il reddito che cala, i costi della vita che salgono, l’insicurezza materiale e psicologica che tende a esplodere, e le cose, meno concrete ma forse più nobili, più eteree (come il “sesso degli angeli” nella Costantinopoli assediata dagli ottomani), di cui suole occuparsi la politica di questi tempi. In tal caso, la conclusione di rito di politici e giornalisti d’apparato è che la politica deve tornare a occuparsi “dei problemi della gente”, affinché tutto si sistemi per il meglio e l’astensionismo diminuisca. Ben sapendo, però, che ciò non è possibile se non a livello di puro annuncio, perché la politica risponde esclusivamente ai centri di dominio neocapitalistici, come Bruxelles, Francoforte, la City londinese, Washington e Wall Street. Non importa se il calo della partecipazione al voto, che ha spaccato letteralmente in due il cosiddetto corpo elettorale, si registra in occasione di consultazioni comunali, e quindi amministrative, di rango e interesse inferiore rispetto alle politiche. La “disaffezione” nei confronti del voto liberaldemocratico, del sistema politico ascaro del mercato e della finanza, dei politici opportunisti, incapaci, servi e corrotti si manifesta, ormai, in ogni occasione elettorale. Solo l’effimero exploit di Grillo e delle sue liste, un po’ di tempo fa alle ultime politiche, è sembrato invertire la tendenza, calmierando l’astensione, ma ormai è acqua passata e gli effetti concreti dei meccanismi di dominazione neocapitalistica, nel corpo elettorale e nel paese, hanno ripreso il sopravvento. Prova ne sia che in Sicilia, regione in cui il movimento aveva avuto notevoli affermazioni, i candidati cinque stelle deludono e l’astensione aumenta. 
Delle due giustificazioni in merito fenomeno dell’astensionismo la prima (1) sembra essere la migliore, perché originaria, andando alla sorgente del problema, e la seconda (2) soltanto derivata, in quanto effetto delle grandi trasformazioni socioeconomiche, culturali e politiche verificatesi in Italia nell’ultimo ventennio. Infatti, se l’astensionismo in occasione delle elezioni politiche del 27-28 marzo 1994 che hanno incoronato “premier” Berlusconi per la prima volta era di poco inferiore al 14% degli aventi diritto (facendo base sul proporzionale), nelle ultime politiche del 24-25 febbraio 2013, con altra e famigerata legge elettorale, il dato della non partecipazione è cresciuto alla camera fino a quasi il 25%, nonostante la presenza “recupera-astensioni” di Grillo. Naturalmente la situazione economica e sociale del 1994 era incomparabilmente migliore dell’attuale, nonostante il passaggio del ciclone “Tangentopoli/ Mani pulite”, l’avvio delle privatizzazioni e il crollo del sistema di cambi europeo a stretti margini di oscillazione valutaria (Sme), nel settembre del 1992, che travolse letteralmente la lira. Ma è nelle ultime comunali che si è raggiunto un minimo storico di partecipazione del corpo elettorale alla ritualità del voto liberale e democratico. Questo perché il processo di trasformazione in senso neocapitalistico della società italiana, che diventa “società aperta di mercato” più simile a quella modello nordamericana, è già a buon punto, e di ciò si compiacciono, facendo credere che sia una cosa positiva per tutti, i servi mediatici e politici delle aristocrazie finanziarie. Pochi ricchi, infedeli nei confronti dei luoghi d’origine, un piccolo strato intermedio integrato dal neocapitalismo nel sistema e un oceano sempre più vasto di poveri, fra i quali un certo numero di immigrati, i cui interessi non hanno e non avranno rappresentanza alcuna. Il fatto, poi, che la politica indigena costosa e bizantina, arroccata in “zone rosse” ben protette, si occupi del “sesso degli angeli” anziché dei “problemi della gente” (con brutta espressione politico-giornalistica), è una conseguenza della predetta trasformazione in senso neocapitalistico, che ha tolto alla politica nazionale il bastone del comando (e l’autonomia decisionale particolarmente in campo monetario) per offrirlo a Bruxelles, Francoforte, alla City londinese, Washington e Wall Street. Dei “problemi della gente” in Italia, quindi, si occupano gli organismi sopranazionali che ci controllano, in armonia con gli interessi elitistici. I politici indigeni devono soltanto obbedire ed eseguire.
Come chiarito in precedenza, i poveri tendono a non votare, se intuiscono (pur senza poterselo spiegare con analisi articolate) di essere completamente invisibili e dimenticati nel nuovo ordine, di non avere alcuna possibilità di tutela dei propri interessi dentro il sistema. Le masse disintegrate almeno una cosa l’hanno intuita. Quelli che dovrebbero eleggere, recandosi alle urne, non saranno mai i loro rappresentanti, ma sono e resteranno soltanto dei nemici. Dei collaborazionisti al servizio dell’occupatore del paese il cui compito è mentire, dissimulare, annunciare miglioramenti che non si verificheranno, continuando a spremerli per conto dei padroni globali. I sindaci dei capoluoghi di provincia eletti nell’ultima tornata di amministrative (undici in totale, tutti “di sinistra”, ossia del pd e appendici) non sfuggono alla regola dell’asservimento della politica ai poteri esterni, al mercato, alle capitali del nuovo “impero del male” in occidente. Così Ignazio Marino a Roma, il burocrate piddino del “daje” che gongola sorridendo per la vittoria, ma piagnucola un po’ per l’astensione, così Enzo Bianco ex senatore del pd a Catania e vecchia volpe della politica (già sindaco della città siciliana nel lontano 1988). Persino Letta è intervenuto pro domo sua, dichiarando che queste elezioni rafforzano l’attuale esecutivo, nato da un inciucio e dal tradimento delle promesse elettorali. Quel che è più grave è che nonostante alcune affermazioni apparentemente preoccupate, per l’elevata astensione dal voto delle masse, questi farabutti (intendiamo sia i politici come Marino, Bianco e Letta, sia i giornalisti prezzolati) sanno che non v’è pericolo imminente. Infatti, non esistono movimenti alternativi organizzati, disposti a dar battaglia al sistema, né, tantomeno, vi sono tracce di programmi politici nuovi, antiliberisti e antieuro. Così, almeno per ora, la rabbia e il dissenso delle masse disintegrate si manifestano con la crescita dell’astensionismo, quando non si “stemperano” attraverso l’adesione ai distruttivi circenses offerti dal sistema, come ad esempio il gioco d’azzardo diffuso e la droga. Peccato, però, che i giochi ci sono, sono irresistibili e coinvolgenti, ma il pane manca sempre di più. I farabutti politici e giornalistici sanno che le esplosioni di follia individuale e i suicidi per ragioni economiche segnano quest’epoca, in cui antagonismo vero e lotta armata sono pressoché assenti. Quindi capiscono di non correre particolari rischi. Perciò è molto probabile che il sistema potrà sopportare, o addirittura volgere a suo favore, elevati tassi di astensione dal voto nel corpo elettorale, che altro non è, in parte significativa, se non la massa di dominati culturalmente disintegrata, soggetta a privazioni crescenti in termini di risorse e di diritti, che al pari di molti poveracci nella società “modello” nordamericana può fare una sola cosa: non andare a votare e continuare ad arrancare.

Con profonda tristezza

di Eugenio Orso e Anatolio Anatoli 

30 giugno 2013

L'inganno dell'Euroamerica, che non porterà affatto più libero scambio





Nella distrazione generale, soprattutto della pubblica opinione, prosegue il lavorio internazionale, di Usa ed Europa, per la creazione di un’area di libero scambio tra le due unioni che non sarà né libera né paritaria. Si era detto che con la globalizzazione i confini fra gli Stati si sarebbero dissolti, poiché laddove circolano le merci depongono le armi gli eserciti, la civiltà dell’integrazione economica e sociale si estende determinando la nascita di un superiore modello culturale di partecipazione e di solidarietà mondiale, finalizzato alla prosperità generale. Ma, allora, come mai si rende necessario creare dei cortili di esclusività ristretta per rendere la libertà sempre più libera?

E’ un bel paradosso, in quanto un accordo di tale specie include alcuni ed esclude altri, oppure, per essere più chiari, può servire sia per imprigionare una parte di quelli che vi aderiscono, in primis le nazioni più deboli convinte di ricevere tutele subendo, invece, gravi condizionamenti, che per circondare ed isolare i nemici più forti. Dunque, per attivare forme subdole di protezionismo, che nascondono precisi piani politici, non c’è nulla di meglio che creare un’area circoscritta di privilegio e chiamarla free-trade talks, un dominio apparentemente aperto ma surrettiziamente coercitivo dove vige la legge del più prepotente.

Gli Stati Uniti, non a caso, stanno promuovendo dette intese in quelle zone del pianeta dove operano superpotenze che mettono a repentaglio la sua egemonia. In Europa si temono i russi e nel Pacifico i cinesi. Ed voilà che nascono spazi di commercio e di canali diplomatici facilitati per frenare l’avanzata degli Stati emergenti e riemergenti, i quali non si piegano a determinate prescrizioni geopolitiche unipolari.

Noi italiani, che siamo doppiamente autolesionisti, siamo entusiasti dell’iniziativa. Siamo da sempre un popolo di camerieri e servire è la nostra massima aspirazione. Non c’è bastata l’Ue che ha destabilizzato affari e sovranità nazionale, vogliamo proprio toccare il fondo per stare tranquilli e facciamo i salti di gioia per questa nuova opportunità nella quale daremo, sicuramente, il peggio di noi stessi.

Perché dico questo? Ho le prove del masochismo nostrano. Sentite un po’ cosa dice il sottosegretario allo sviluppo economico,  Carlo Calenda, ribattezzato per l’occasione segretario al sottosviluppo. Costui, dopo il tentativo francese di porre dei limiti all’audiovisivo per non perdere la partita con l'industria cinematografica Usa, teme ritorsioni da parte di Washington che potrebbe escludere dall’accordo alcuni ambiti chiave, danneggiando l’Italia. E quali sarebbero questi ambiti fondamentali? “...il tessile, l’oreficeria, la pelletteria…” dopodiché il viceministro è convinto dell’utilità di introdurre dazi sui prodotti cinesi, e chiede pure all’UE di sposare una linea condivisa e coerente su queste tematiche. Quindi il problema sarebbero i gialli che ci fanno neri in comparti industriali di precedenti ondate tecnologiche e non tutti quei tramatori alle nostre spalle, compresi i sedicenti partner più stretti, che vorrebbero smantellare i nostri asset strategici, a compartecipazione pubblica, nei settori di punta, dall’aerospaziale all’energetico.

I più grandi economisti euroamericani sono convinti che, grazie alla creazione dell’area di libero-scambio transatlantica, si aumenteranno i volumi di commercio internazionale di circa 100 mld annui. Può essere, ma occorre vedere come si distribuiranno i vantaggi tra i compartecipanti. Inoltre, trattandosi degli stessi dottori laureati che, appena qualche anno fa, non avevano previsto nessuna crisi sistemica, blaterando di piccole recessioni ricorsive, non c’è da stare troppo a sentirli. Più che la scienza triste l’economia è diventata la religione delle balle dove vince e fa carriera chi le spara più grosse.

Diciamo, pertanto, come stanno davvero le questioni. Questo patto, al quale gli statunitensi non credevano, difatti J. W. Bush lo aveva fatto naufragare poiché distante dalla sua visione strategica, è stato ripescato da Obama che teme l’estendersi dell’ascendente russo su determinati membri europei in difficoltà (ma non solo, si pensi agli affari del gas tra Berlino e Mosca e a quelli, purtroppo quasi naufragati, con l’Italia), e che vuole, al contempo, penetrare ancor più pesantemente nel vecchio continente per farne un punto d’osservazione e di controllo di teatri vicini, dove regna l’instabilità e l’incertezza.

Che la reale preoccupazione della Casa Bianca sia il Cremlino lo segnala anche il giornalista di Libero Carlo Pelanda il quale così ripercorre gli avvenimenti: “Nell’autunno del 2006 la Russia costrinse la Germania a definire confini certi della Ue affinché la loro estensione ad est non destabilizzasse la Federazione russa e sia Ucraina sia Bielorussia (nonché Georgia) ne restassero fuori per essere riassorbiti nel futuro dalla Russia stessa. Tale pressione fu fatta ricattando la Germania sul piano delle forniture di gas. Per inciso, Romania e Bulgaria furono incluse a razzo nella Ue, ma come segnale di fine dell’espansione europea. Una sorta di nuova Yalta. Questa storia è poco nota e penso mai sia apparsa sui giornali per nascondere una sconfitta storica della Ue a conduzione tedesca. Berlino cercò la sponda americana per segnalare ai russi che poteva contro-dissuadere ed alla fine Mosca e Berlino si accordarono. La mossa fu strumentale e lasciò freddi gli americani. Ora, appunto, è diverso: l’America è apertissima all’idea e la ha proposta…Perseguire l’Euroamerica significa creare l’organo di governo mondiale, basato sul criterio occidentale e non asiatico, del futuro. Ed anche dare un senso all’Europa fin qui fatta”.

Visto? Non c’è nulla di meglio dell'ideologia del libero-scambio per innalzare cortine di ferro e predisporsi, senza farsi notare, alla guerra. Il povero Frédéric Bastiat non aveva capito nulla



di Gianni Petrosillo 

29 giugno 2013

Josefa Imu


Siccome molto opportunamente e molto tardivamente la ministra delle Pari Opportunità, Josefa Idem (Pd), ha parlato alla stampa (senza domande, però) sugli scandali che la vedono coinvolta per tasse non pagate e una palestra abusiva, è giusto esaminare con cura le sue parole prima di trarne le conclusioni.
“Ero un’atleta, non ho studiato da commercialista. Ho delegato le questioni fiscali ed edili dando indicazione di fare tutto a regola d’arte”. Ma nessun contribuente ha studiato da commercialista, a parte i commercialisti. Se tutti i non commercialisti non pagassero le tasse staremmo freschi, o meglio ancor più freschi di quanto già non stiamo.
E comunque l’ignoranza delle leggi non può valere per scusare chi le viola: l’evasore a sua insaputa non ha né deve avere alcuna attenuante.
“Ho vinto 30 medaglie per l’Italia, ho partecipato a 8 Olimpiadi, ho fatto 2 figli, mi sono data alla politica per promuovere i diritti delle donne e difendere lo sport”. Con tutto il rispetto, chi se ne frega. Altrimenti chiunque abbia successo nel lavoro potrebbe
dire altrettanto. Le medaglie non sono detraibili dal 740.
“Non è vero che il ministro non ha pagato Ici e Imu – dice il suo avvocato-: c’è stato un ravvedimento operoso con l’Agenzia delle Entrate. Dunque le accuse sono inconsistenti e non c’è reato”. Ma il ravvedimento operoso lo fa chi non ha pagato le tasse,
dunque le accuse sono consistenti. Può darsi che non ci sia reato, ma solo perché in Italia gli evasori, per finire nel penale, devono superare soglie altissime, quasi insuperabili.
“Nei lavori edili – dice la Idem – ci sono stati irregolarità e ritardi”. Ma il problema della palestra “Jajo Gym” di Ravenna non è solo di lavori edili (abusivi, altrimenti perché la sanatoria?): spacciata per luogo di allenamento privato, la struttura ha agito per anni senza agibilità, non era segnalata alle autorità, eppure era aperta al pubblico, gestita da un’associazione sportiva con dipendenti
(pagati come?) che raccoglieva soci e quote d’iscrizione, citata nella lista degl’impianti comunali.
“Me ne scuso pubblicamente e sanerò quello che c’è da sanare. Come qualunque cittadino. Non sono infallibile, ma sono onesta e non permetto a nessuno di dubitarne”. Dipende dal concetto di onestà, piuttosto elastico in Italia. Non basta non commettere reati per essere onesti, anche perché non tutte le leggi prevedono sanzioni penali per chi le viola. E non è vero che “tutti i cittadini” siano costretti a sanare ex post, quando vengono beccati, le irregolarità commesse: c’è anche chi non ha nulla da sanare o chi non ha bisogno di finire sui giornali per correggere gli errori. La Idem, poi, non è un qualunque cittadino: è ministro di un governo che parla ogni giorno di Imu e tasse.
Con che faccia Letta & C. parleranno d’ora in poi di fisco, lotta all’evasione e all’abusivismo edilizio, avendo in squadra una signora che ha confessato di aver violato la legge?
“Non voglio darla vinta a questa montatura mediatica”.
Ma i fatti, come confermano la Idem e il suo legale, sono tutti veri. E non c’è stata alcuna montatura mediatica. A parte il Fatto e Libero , primi quotidiani nazionali a rivelare la notizia mercoledì, la stampa di destra e di sinistra che veglia sul governo-inciucio l’ha tenuta bassa o addirittura l’ha nascosta (la solita Unità).
“In Germania nessuno si sarebbe dimesso per una cosa simile”. In Germania s’è dimesso il presidente della Repubblica per una gaffe sull’Afghanistan e un ministro per aver copiato dal web parte della tesi di dottorato: figurarsi un ministro pizzicato per tasse non pagate e lavori abusivi.
Lasci stare la sua Germania, ministra Idem.
In Germania un ministro che dice “mi scuso e mi assumo tutte le responsabilità” si dimette un istante dopo. In Italia, un istante dopo, aggiunge: “Resto per non tradire i miei elettori e per il bene dell’Italia”. Da tedesca che era, la Idem è diventata una perfetta italiana alla velocità della luce. Roba da record. Anzi da medaglia d’oro. La trentunesima
 

di Marco Travaglio 

26 giugno 2013

La democrazia dei Droni



    

Nel corso di una delle audizioni promosse in questi giorni dal Congresso americano per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica dalle reali implicazioni dei programmi di intercettazione messi in atto dall’NSA, il direttore dell’FBI, Robert Mueller, ha per la prima volta ammesso l’utilizzo di droni sul territorio degli Stati Uniti con funzioni di sorveglianza.

Durante la sua testimonianza di fronte alla commissione Giustizia del Senato, il capo della polizia federale americana ha risposto affermativamente ad una domanda postagli dal senatore repubblicano dell’Iowa, Chuck Grassley, sul ricorso ai droni da parte dell’FBI. Quando, subito dopo, la senatrice democratica della California, Dianne Feinstein, ha chiesto a Mueller di chiarire la sua affermazione, quest’ultimo ha aggiunto che i droni negli USA “vengono usati molto raramente e in genere in caso di particolari incidenti nei quali si rendono necessarie le capacità” di questi strumenti.

Senza fornire esempi di questi “incidenti”, Mueller ha poi spiegato ai membri del Congresso che l’FBI sta elaborando delle linee guida per l’uso dei droni in territorio americano, anche se “alcune leggi sulla sorveglianza aerea e sulla privacy relativamente a elicotteri e piccoli velivoli potrebbero essere adattate ai droni”. Dalle parole di Mueller appare perciò chiaro come l’impiego di droni nei cieli USA venga attualmente deciso al di fuori di ogni regolamentazione legale. Un’eventuale legislazione che il numero uno dell’FBI ha detto di auspicare nel prossimo futuro, peraltro, servirebbe soltanto a dare una parvenza di legittimità ad una pratica gravemente lesiva della privacy e ancora una volta contraria ai principi costituzionali.

Per prevenire ovvie polemiche, lo stesso “Bureau” dopo la testimonianza di Mueller ha diffuso una dichiarazione ufficiale, spiegando che “i droni sono consentiti per ottenere informazioni cruciali che, diversamente, potrebbero essere reperite solo mettendo a rischio il personale di polizia”. Come esempio dell’uso fatto finora, l’FBI ha poi fatto riferimento ad un episodio accaduto quest’anno in Alabama, nel quale le forze di polizia, grazie ad un drone, sono venute a conoscenza di un nascondiglio dove veniva tenuto nascosto un ostaggio di 5 anni.

L’FBI, infine, ha fatto sapere che per il momento ogni operazione condotta con i droni sul suolo americano viene preventivamente approvata dalla Federal Aviation Administration (FAA), l’agenzia federale che regola e sovrintende all’aviazione civile negli Stati Uniti.

Come per i programmi di sorveglianza elettronica dell’NSA rivelati in questi giorni dall’ex contractor Edward Snowden, il governo americano giustifica ufficialmente anche l’uso dei droni con la necessità di avere a disposizione strumenti più efficaci per combattere la criminalità o la minaccia terroristica. Questi velivoli, tuttavia, forniscono uno strumento di controllo formidabile della vita e dell’attività di qualsiasi cittadino che venga considerato una “minaccia” per il paese.

Ugualmente, come la presunta legalità dei programmi dell’NSA si basa in gran parte sulle deliberazioni del cosiddetto Tribunale per la Sorveglianza dell’Intelligence Straniera (FISC), il quale opera in gran segreto assecondando ogni richiesta di intercettazione del governo, il ricorso ai droni avverrebbe solo dopo l’autorizzazione di un ente federale amministrativo come l’FAA. Questo espediente, a detta del direttore dell’FBI, sarebbe sufficiente a garantire la legittimità del programma.

Il tentativo di Mueller di minimizzare l’impiego dei droni con funzioni di sorveglianza negli Stati Uniti è comunque da considerare con estremo sospetto, visto che, quanto meno, a inizio anno l’FAA aveva fatto sapere di avere approvato in meno di sei anni quasi 1500 richieste di vari enti per operare questo genere di velivoli.

Da quanto si evince da alcune indagini giornalistiche e sparute dichiarazioni di politici o amministratori locali, l’uso dei droni in territorio americano viene oggi già consentito per i più svariati motivi, tra cui il monitoraggio del confine con il Messico per combattere l’immigrazione clandestina.

Gli Stati Uniti potrebbero però venire invasi a breve da un numero elevatissimo di droni, in gran parte con compiti di sorveglianza, dopo che il Congresso ha fissato al settembre 2015 l’apertura dei cieli a velivoli comandati a distanza che consentono un risparmio notevole di costi per le agenzie governative e per i singoli Stati. Entro questa data, l’FAA dovrà preparare un sistema di regolamentazione complessivo relativamente ai droni per uso domestico.

Significativamente poi, anche per i droni, come per i programmi di sorveglianza e intercettazione, il banco di prova per l’utilizzo domestico sono state le guerre condotte dagli Stati Uniti all’estero, in particolare in Pakistan e in Yemen dove questi strumenti di morte hanno causato migliaia di vittime civili.

Metodi di controllo e di repressione violenta di ogni forma di resistenza contro l’occupazione americana di un paese straniero oppure di rivolte contro regimi autoritari collusi con l’imperialismo di Washington, verranno perciò messi in atto con maggiore frequenza anche in patria per contrastare un dissenso interno destinato a crescere nel prossimo futuro con l’aumentare delle tensioni sociali.

Le dichiarazioni rilasciate mercoledì da Mueller, in ogni caso, potrebbero essere state orchestrate appositamente per prevenire lo shock di possibili nuove pubblicazioni di documenti passati da Snowden al quotidiano britannico Guardian proprio sull’uso dei droni negli USA con funzioni di sorveglianza.

Più in generale, l’intervento al Congresso del direttore dell’FBI, così come nei giorni precedenti di altre personalità dell’apparato della sicurezza degli Stati Uniti, a cominciare dal capo dell’NSA, generale Keith Alexander, fa parte della campagna in atto per difendere strenuamente il ricorso a programmi di sorveglianza palesemente illegali.

Lo zelo con cui i politici di entrambi gli schieramenti e gran parte dei media “mainstream” stanno cercando di giustificare la violazione sistematica dei principi costituzionali degli Stati Uniti e della privacy dei cittadini di tutto il mondo dimostrano il panico diffuso tra la classe dirigente americana dopo le rivelazioni di Snowden.

La tesi sostenuta a oltranza della necessità di accettare una trascurabile invasione della sfera privata per vivere in un paese sicuro serve infatti a nascondere la realtà di un governo sempre più autoritario e invasivo che può continuare a mettere in atto politiche profondamente impopolari sia sul fronte domestico che internazionale solo grazie all’inganno, alla segretezza e, appunto, all’adozione di colossali programmi di sorveglianza per reprimere il dissenso.

Lo stesso presidente Obama, perciò, è da giorni in prima linea nel propagandare la presunta legalità dell’operato di agenzie come l’NSA. Sia alla vigilia della sua partenza per il G-8 in Irlanda del Nord, sia durante la recentissima visita a Berlino, l’inquilino della Casa Bianca si è sentito in dovere di difendere pubblicamente le intercettazioni e i programmi di sorveglianza.

Obama li ha così definiti strumenti fondamentali nella “guerra al terrore”, come dimostrerebbero i circa 50 attentati che essi, secondo la versione offerta al pubblico, hanno permesso di sventare negli ultimi anni. Ironicamente, le parole del presidente sono giunte solo pochi giorni dopo l’annuncio di un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto in Siria. Questa decisione si concretizzerà nella fornitura di armi letali proprio a formazioni dominate da gruppi terroristici, i quali, d’altra parte, da tempo vengono considerati alternativamente nemici o partner più o meno ufficiali a seconda delle necessità degli interessi strategici di Washington.


di Michele Paris -

25 giugno 2013

E se tornassimo un paese sovrano?






Che la luce costi meno è la buona notizia degli ultimi anni. Ma evitiamo di inseguire l’illusione dei prezzi svendita riservati ai militari Usa-Nato di guardia nelle 129 basi sparse lungo lo stivale da Aviano ai droni di Sigonella. Basi inventate 60 anni fa per lo spauracchio della cortina di ferro. Adesso che il comunismo non c’è più i missili sono girati verso sud-est indecisi su quale nuova invasione barbarica bruciare. Americani sempre lì, ed è giusto trattarli col rispetto di un regime fiscale concordato. Militari e civili Usa, mogli, figli comprano ogni ben di dio senza pagare l’Iva. Non la pagano su servizi, bollette elettriche, dazi, sbarco e imbarco merci, circolazione veicoli, imposte di registro, bolli, soprattutto carburanti.

Sul pieno risparmiano il 60 per cento, differenza che esce dalle nostre tasche. Numeri imprecisi, segreti invalicabili custoditi dal ministero della Difesa. Timidamente il Dipartimento di Washington ogni tanto fa sapere qualcosa. Le ultime notizie risalgono al 1999: l’Italia sborsava 530 milioni di dol- lari, 3 milioni cash, chissà perché. Nell’analisi degli esperti l’aggiornamento 2013 (pressione fiscale e aumento prezzi) sfiora i due miliardi dollari. Ipotesi di chi fa i conti al buio mentre la situazione cambia, esempio Vicenza che raddoppia per l’arrivo dalla Germania di militari e civili della brigata 173, com- preso un battaglione di artiglieri con “capacità nucleare”. La super Coop edilizia e un gran privato hanno scavato l’ospedale bunker: può accogliere la comunità Usa nel caso di attacco batterio- logico. I vicentini se la sbrighino da soli.

Sicilia ormai trasformata in portaerei con satelliti e radar che controllano inquietidini africane, coordinano Medio Oriente, Asie del petrolio, mezzo mondo. La colonizzazione militare gioca alla guerra per allenare gli aerei senza pilota a non sbagliare bersaglio. E i passeggeri delle vacanze arrivano frustrati per voli cancellati e cieli requisiti. E poi lo stress dell’inquinamento elettrico e sonoro: Tv impazzite, rimbombi che scuotono i palazzi. L’accordo internazionale prevede che alle immondizie della basi provvedano le amministrazioni locali. Se i rifiuti sono tossici ci pensano i marines, ma non sempre bonificano il territorio sconvolto dalle macchine di guerra. La Maddalena raccoglie 11 mila abitanti, 300-400 marinai Usa per 25 anni di guardia ai sommergibili nucleari. Se ne vanno lasciando l’eredità pe- santissima di un inquinamento (mare, terra) che seppellisce i bilanci municipali: rosso di 928 mila euro l’anno.

Negli Usa si diventa militari per vocazione, ma anche per soldi. Soldato arruolato da 6 anni, 2.300 dollari al mese; capitano 5.511. Stipendi per chi vive negli States. All’estero raddoppiano, quasi il triplo in prima linea. L’accordo con l’Italia prevede contributi tra il 30 e il 40 per cento. Sconosciuto il calcolo base, ma buona parte del gruzzolo la paghiamo noi. Accordo dell’Alleanza Atlantica che non vale per le così dette missioni di pace, paghe che cambiano se firmate Onu o firmate Nato. Per i no- stri soldati in Afghanistan solite 1.300 euro al mese più 130 o 170 euro al giorno, dipende dal tipo di missione. Intanto pensionati in agonia, operai e imprenditori si danno fuoco e chi impazzisce spara per strada, cronache quotidiane dell’Italia che sta scoppiando.

E se tornassimo un paese sovrano? 

Marines addio, militari che non escono dai confini, F-35 fuori dai nostri hangar. Meno retorici, meno inginocchiati. Normalmente umani.


di Maurizio Chierici 

23 giugno 2013

Le parole del papa Francesco




Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi vorrei soffermarmi sulla questione dell’ambiente, come ho avuto già modo di fare in diverse occasioni. Me lo suggerisce anche l’odierna Giornata Mondiale dell’Ambiente, promossa dalle Nazioni Unite, che lancia un forte richiamo alla necessità di eliminare gli sprechi e la distruzione di alimenti.
Quando parliamo di ambiente, del creato, il mio pensiero va alle prime pagine della Bibbia, al Libro della Genesi, dove si afferma che Dio pose l’uomo e la donna sulla terra perché la coltivassero e la custodissero (cfr 2,15). E mi sorgono le domande: Che cosa vuol dire coltivare e custodire la terra? Noi stiamo veramente coltivando e custodendo il creato? Oppure lo stiamo sfruttando e trascurando? Il verbo “coltivare” mi richiama alla mente la cura che l’agricoltore ha per la sua terra perché dia frutto ed esso sia condiviso: quanta attenzione, passione e dedizione! Coltivare e custodire il creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti. Benedetto XVI ha ricordato più volte che questo compito affidatoci da Dio Creatore richiede di cogliere il ritmo e la logica della creazione. Noi invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura. Stiamo perdendo l’atteggiamento dello stupore, della contemplazione, dell’ascolto della creazione; e così non riusciamo più a leggervi quello che Benedetto XVIchiama “il ritmo della storia di amore di Dio con l’uomo”. Perché avviene questo? Perché pensiamo e viviamo in modo orizzontale, ci siamo allontanati da Dio, non leggiamo i suoi segni.
Ma il “coltivare e custodire” non comprende solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’uomo e il creato, riguarda anche i rapporti umani. I Papi hanno parlato di ecologia umana, strettamente legata all’ecologia ambientale. Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo. La persona umana è in pericolo: questo è certo, la persona umana oggi è in pericolo, ecco l’urgenza dell’ecologia umana! E il pericolo è grave perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia, ma di etica e di antropologia. La Chiesa lo ha sottolineato più volte; e molti dicono: sì, è giusto, è vero… ma il sistema continua come prima, perché ciò che domina sono le dinamiche di un’economia e di una finanza carenti di etica. Quello che comanda oggi non è l'uomo, è il denaro, il denaro, i soldi comandano. E Dio nostro Padre ha dato il compito di custodire la terra non ai soldi, ma a noi: agli uomini e alle donne. noi abbiamo questo compito! Invece uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità. Se una notte di inverno, qui vicino in via Ottaviano, per esempio, muore una persona, quella non è notizia. Se in tante parti del mondo ci sono bambini che non hanno da mangiare, quella non è notizia, sembra normale. Non può essere così! Eppure queste cose entrano nella normalità: che alcune persone senza tetto muoiano di freddo per la strada non fa notizia. Al contrario, un abbassamento di dieci punti nelle borse di alcune città, costituisce una tragedia. Uno che muore non è una notizia, ma se si abbassano di dieci punti le borse è una tragedia! Così le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti.
Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro –, o non serve più – come l’anziano. Questa cultura dello scarto ci ha resi insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari, che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame e malnutrizione. Una volta i nostri nonni erano molto attenti a non gettare nulla del cibo avanzato. Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di dare il giusto valore, che va ben al di là dei meri parametri economici. Ricordiamo bene, però, che il cibo che si butta via è come se venisse rubato dalla mensa di chi è povero, di chi ha fame! Invito tutti a riflettere sul problema della perdita e dello spreco del cibo per individuare vie e modi che, affrontando seriamente tale problematica, siano veicolo di solidarietà e di condivisione con i più bisognosi.
Pochi giorni fa, nella Festa del Corpus Domini, abbiamo letto il racconto del miracolo dei pani: Gesù dà da mangiare alla folla con cinque pani e due pesci. E la conclusione del brano è importante: «Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi avanzati: dodici ceste» (Lc 9,17). Gesù chiede ai discepoli che nulla vada perduto: niente scarti! E c’è questo fatto delle dodici ceste: perché dodici? Che cosa significa? Dodici è il numero delle tribù d’Israele, rappresenta simbolicamente tutto il popolo. E questo ci dice che quando il cibo viene condiviso in modo equo, con solidarietà, nessuno è privo del necessario, ogni comunità può andare incontro ai bisogni dei più poveri. Ecologia umana ed ecologia ambientale camminano insieme.
Vorrei allora che prendessimo tutti il serio impegno di rispettare e custodire il creato, di essere attenti ad ogni persona, di contrastare la cultura dello spreco e dello scarto, per promuovere una cultura della solidarietà e dell’incontro. Grazie.

PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 5 giugno 2013

22 giugno 2013

L'inganno dell'Euroamerica, che non porterà affatto più libero scambio



Nella distrazione generale, soprattutto della pubblica opinione, prosegue il lavorio internazionale, di Usa ed Europa, per la creazione di un’area di libero scambio tra le due unioni che non sarà né libera né paritaria. Si era detto che con la globalizzazione i confini fra gli Stati si sarebbero dissolti, poiché laddove circolano le merci depongono le armi gli eserciti, la civiltà dell’integrazione economica e sociale si estende determinando la nascita di un superiore modello culturale di partecipazione e di solidarietà mondiale, finalizzato alla prosperità generale. Ma, allora, come mai si rende necessario creare dei cortili di esclusività ristretta per rendere la libertà sempre più libera?

E’ un bel paradosso, in quanto un accordo di tale specie include alcuni ed esclude altri, oppure, per essere più chiari, può servire sia per imprigionare una parte di quelli che vi aderiscono, in primis le nazioni più deboli convinte di ricevere tutele subendo, invece, gravi condizionamenti, che per circondare ed isolare i nemici più forti. Dunque, per attivare forme subdole di protezionismo, che nascondono precisi piani politici, non c’è nulla di meglio che creare un’area circoscritta di privilegio e chiamarla free-trade talks, un dominio apparentemente aperto ma surrettiziamente coercitivo dove vige la legge del più prepotente.

Gli Stati Uniti, non a caso, stanno promuovendo dette intese in quelle zone del pianeta dove operano superpotenze che mettono a repentaglio la sua egemonia. In Europa si temono i russi e nel Pacifico i cinesi. Ed voilà che nascono spazi di commercio e di canali diplomatici facilitati per frenare l’avanzata degli Stati emergenti e riemergenti, i quali non si piegano a determinate prescrizioni geopolitiche unipolari.

Noi italiani, che siamo doppiamente autolesionisti, siamo entusiasti dell’iniziativa. Siamo da sempre un popolo di camerieri e servire è la nostra massima aspirazione. Non c’è bastata l’Ue che ha destabilizzato affari e sovranità nazionale, vogliamo proprio toccare il fondo per stare tranquilli e facciamo i salti di gioia per questa nuova opportunità nella quale daremo, sicuramente, il peggio di noi stessi.

Perché dico questo? Ho le prove del masochismo nostrano. Sentite un po’ cosa dice il sottosegretario allo sviluppo economico,  Carlo Calenda, ribattezzato per l’occasione segretario al sottosviluppo. Costui, dopo il tentativo francese di porre dei limiti all’audiovisivo per non perdere la partita con l'industria cinematografica Usa, teme ritorsioni da parte di Washington che potrebbe escludere dall’accordo alcuni ambiti chiave, danneggiando l’Italia. E quali sarebbero questi ambiti fondamentali? “...il tessile, l’oreficeria, la pelletteria…” dopodiché il viceministro è convinto dell’utilità di introdurre dazi sui prodotti cinesi, e chiede pure all’UE di sposare una linea condivisa e coerente su queste tematiche. Quindi il problema sarebbero i gialli che ci fanno neri in comparti industriali di precedenti ondate tecnologiche e non tutti quei tramatori alle nostre spalle, compresi i sedicenti partner più stretti, che vorrebbero smantellare i nostri asset strategici, a compartecipazione pubblica, nei settori di punta, dall’aerospaziale all’energetico.

I più grandi economisti euroamericani sono convinti che, grazie alla creazione dell’area di libero-scambio transatlantica, si aumenteranno i volumi di commercio internazionale di circa 100 mld annui. Può essere, ma occorre vedere come si distribuiranno i vantaggi tra i compartecipanti. Inoltre, trattandosi degli stessi dottori laureati che, appena qualche anno fa, non avevano previsto nessuna crisi sistemica, blaterando di piccole recessioni ricorsive, non c’è da stare troppo a sentirli. Più che la scienza triste l’economia è diventata la religione delle balle dove vince e fa carriera chi le spara più grosse.

Diciamo, pertanto, come stanno davvero le questioni. Questo patto, al quale gli statunitensi non credevano, difatti J. W. Bush lo aveva fatto naufragare poiché distante dalla sua visione strategica, è stato ripescato da Obama che teme l’estendersi dell’ascendente russo su determinati membri europei in difficoltà (ma non solo, si pensi agli affari del gas tra Berlino e Mosca e a quelli, purtroppo quasi naufragati, con l’Italia), e che vuole, al contempo, penetrare ancor più pesantemente nel vecchio continente per farne un punto d’osservazione e di controllo di teatri vicini, dove regna l’instabilità e l’incertezza.

Che la reale preoccupazione della Casa Bianca sia il Cremlino lo segnala anche il giornalista di Libero Carlo Pelanda il quale così ripercorre gli avvenimenti: “Nell’autunno del 2006 la Russia costrinse la Germania a definire confini certi della Ue affinché la loro estensione ad est non destabilizzasse la Federazione russa e sia Ucraina sia Bielorussia (nonché Georgia) ne restassero fuori per essere riassorbiti nel futuro dalla Russia stessa. Tale pressione fu fatta ricattando la Germania sul piano delle forniture di gas. Per inciso, Romania e Bulgaria furono incluse a razzo nella Ue, ma come segnale di fine dell’espansione europea. Una sorta di nuova Yalta. Questa storia è poco nota e penso mai sia apparsa sui giornali per nascondere una sconfitta storica della Ue a conduzione tedesca. Berlino cercò la sponda americana per segnalare ai russi che poteva contro-dissuadere ed alla fine Mosca e Berlino si accordarono. La mossa fu strumentale e lasciò freddi gli americani. Ora, appunto, è diverso: l’America è apertissima all’idea e la ha proposta…Perseguire l’Euroamerica significa creare l’organo di governo mondiale, basato sul criterio occidentale e non asiatico, del futuro. Ed anche dare un senso all’Europa fin qui fatta”.

Visto? Non c’è nulla di meglio dell'ideologia del libero-scambio per innalzare cortine di ferro e predisporsi, senza farsi notare, alla guerra. Il povero Frédéric Bastiat non aveva capito nulla
 

di Gianni Petrosillo 

21 giugno 2013

Attiviamoci e Ripartiamo

Sono passati diversi mesi, ma continuo a crederci e a sperare. Perché in genere, quando prendo una decisione e faccio una scelta, è mia abitudine riflettere accuratamente, perché se sbaglio me ne assumo la responsabilità, non la scarico sugli altri. Il M5S non rappresentava e non rappresenta per me, solo “la protesta” o “l’unica alternativa possibile”.
Il M5S esprime quella volontà di Cambiamento Pragmatico, di Rivoluzione Culturale che parte dalle idee, dagli ideali, dai diritti ma lì non si ferma… La vocazione reale del movimento è tradurre in atti, in fatti delle bellissime e altisonanti parole svuotate di contenuto e credibilità, da parte di chi ne ha abusato senza prevedere che prima o poi sarebbero diventate inefficaci.
Ho votato Grillo e il Movimento perché in quell’ultimo comizio a San Giovanni rivolgendosi ad una piazza gremita e a quanti, come me, lo seguivano in diretta streaming, ha detto: “Se voti il Movimento 5 Stelle, ti metti in gioco in prima persona”. Tu diventi parte del cambiamento che vuoi attuare, te ne assumi la responsabilità, se vuoi il cambiamento, tu devi cambiare.
Vi sembrerà strano, ma sono state queste le parole che mi hanno convinta a votare.
Per la prima volta, qualcuno non mi stava dicendo “Dimmi che ti serve, che a te ci penso io”, ma faceva appello al mio senso critico e non mi stava chiedendo fiducia, ma mi stava dando fiducia, quindi il mio voto e il mio impegno quotidiano avrebbero contato.
Ciascuno di noi sarebbe stato riabilitato a pensare, a ragionare, sarebbe stato rispettato e avrebbe avuto la giusta importanza all’interno di quel Sistema che ci vuole solo sudditi. Quando leggo i post nel suo Blog credo di coglierne sempre il senso, perché non è una questione di interpretazione, ma di prospettiva.
L’utilizzo di un linguaggio forte che scuote e spaventa, è per me un invito ad andare oltre le parole, a provare ad interrogarsi sul perché. La continua denuncia da parte sua (mentre i Parlamentari stanno lavorando all’interno dell’Istituzione) è il tentativo di tenerci desti e concentrati, un invito a non abbassare la guardia, perché non abbiamo ancora finito, ma appena cominciato…
In molti non condividono perché avrebbero voglia di essere rassicurati, di ricevere delle buone notizie, di raccogliere già i frutti ….. ma quella X apposta sulla scheda elettorale era soltanto un seme che ciascuno di noi ha piantato… 9’000’000 di semi.
Possiamo scegliere di abbandonare i germogli spuntati alle intemperie, rinunciando completamente al raccolto o continuare a prendercene cura. Non è stato solo Grillo a sbagliare, abbiamo sbagliato tutti. Mi rivolgo soprattutto agli Attivisti, alla cosiddetta Base del Movimento, agli iscritti entro il 31/12/2012.
Ho sempre ritenuto giusto il criterio per cui a votare fossero le persone impegnate nel progetto fin da principio, perché certi diritti si conquistano e si acquisiscono combattendo sul campo le battaglie, perché così ne apprezzi davvero il valore. Salire sul carro del vincitore è facile, quanto saltare giù nel momento in cui la strada diventa impervia.
Tuttavia, diversi episodi accaduti recentemente, mi hanno portato a delle conclusioni. Chi deve cambiare toni e registro sono proprio quegli attivisti che avendo più diritto ad esprimere il loro pensiero, non hanno tenuto conto di noi altri che sommati siamo 8’950’000. “Liberarsi di pesi morti”, “Accuse di trolleraggio”, “Spammare o bannare”, “Espellere gente dai meetup” o “Creare più gruppi all’interno di uno stesso paese o città”, escludere dal dialogo chiunque la pensi in modo diverso (vi ricordo che essendo un movimento trasversale ci saranno spesso voci in disaccordo), non farà altro che dividerci e frammentare quella comunità che condivideva gli stessi sogni e gli stessi progetti… L’obiettivo non dovrebbe essere quello di ritagliarsi un piccolo spazio all’interno di un Sistema marcio, ma convincere le persone a cambiare, a continuare a credere nel progetto, a partecipare.
Sul caso “Gambaro”: nutrivo forti sospetti che la sua reale intenzione fosse quella di fare la martire ed uscirne pulita… bene, anzi male, non sapremo mai la verità, perché è stata espulsa. A chi ha giovato? A noi non di certo. Il mio è solo un appello: se Grillo è un megafono che dice ciò che in tanti pensano, mi auguro davvero che ciascuno pensi bene a ciò che sta facendo, anche a nome di chi ancora non ha la possibilità di far sentire la propria voce.
Non ci sono solo Grillo e i 163, ops, 159 eletti in Parlamento, ci sono circa 50’000 iscritti certificati… E a voi che mi rivolgo. Allo stato dell’arte la democrazia diretta è un sogno, un progetto difficilmente realizzabile, pertanto fino a quando ciascuno non avrà la possibilità di esprimersi, voi ci state rappresentando.
Se tenete al Movimento, dovreste tenere anche a tutti quelli che lo hanno votato. Se tenete al Movimento non potete farvi guidare solo dall’impulso personale e soggettivo, ma provare a valutare l’impatto e le conseguenze delle vostre scelte, provare a farvi interpreti anche di chi al momento è escluso dalle decisioni… provare ad includere e a incoraggiare le persone a resistere, a partecipare e a perseguire le battaglie che sono di tutti…
Se credete di esseri i soli a voler lottare per cambiare, rimarrete soli. Se il Movimento fallisce, non fallisce Grillo, falliamo tutti e anche quelli che non lo hanno votato perché non avranno più la possibilità di ricredersi e di farlo…
Se il Movimento è migliore deve dimostrare di esserlo..
Se tutti siamo il Movimento dobbiamo poter essere orgogliosi di farne parte.
Se tutti siamo in Movimento dobbiamo tirare dentro e non buttar fuori.
Prima di fare click… Pensiamoci!!!!!
 Stella Maria Dolores Giorgitto

20 giugno 2013

Il «leone impaziente» di sbranare






caccia tramonto
Quando il presidente Napolitano incontrò l’anno scorso in Giordania S.M. Re Abdallah II, gli espresse «l’alta considerazione con cui l’Italia guarda alla volontà di pace e alla linea di moderazione da sempre perseguita dalla dinastia hashemita». 

È in questo spirito, sicuramente, che l’Italia partecipa in Giordania all’esercitazione «Eager Lion» (leone impaziente) sotto comando Usa, in corso dal 9 al 20 giugno. Vi partecipano 19 paesi, uniti dal «comune scopo di rafforzare la sicurezza e stabilità regionale». Minacciate, non hanno dubbi, dalla Siria di Assad che usa armi chimiche per schiacciare la ribellione. Le «prove» sono state fornite dalla Cia, la stessa che dieci anni fa fornì la documentazione fotografica, mostrata da Colin Powell al Consiglio di sicurezza, sul possesso da parte dell’Iraq di 500 tonnellate di armi chimiche e biologiche e di laboratori mobili per la guerra biologica. Dopo si è scoperto, come ha riconosciuto lo stesso Powell, che tali armi non esistevano e che i laboratori mobili erano in realtà generatori di gas per palloni aerostatici ad uso meteorologico. I giochi però ormai erano fatti: le «prove» della Cia erano servite a giustificare la guerra contro l’Iraq. 

Poco importa quindi se, una volta vinta la guerra contro la Siria, si scoprirà che sono stati i «ribelli» a usare armi chimiche, come ha dichiarato Carla Del Ponte della Commissione Onu sui crimini di guerra. A insindacabile giudizio di Washington, la Siria ha superato la «linea rossa» e il presidente Obama, a malincuore, ha deciso di fornire armi ai «ribelli». Nascondendo il fatto, emerso dall’inchiesta del New York Times (26 marzo), che dal gennaio 2012 la Cia fornisce armi ai «ribelli», facendole arrivare con un ponte aereo in Turchia e Giordania e addestrando qui le forze infiltrate in Siria. 

Su questo sfondo si svolge la «Eager Lion», una vera propria esercitazione di guerra con forze aeree, aviotrasportate, navali, anfibie e terrestri, comprendenti oltre 8mila uomini. Tra cui militari italiani, incluso probabilmente il 185° reggimento Ricognizione Acquisizione Obiettivi della Brigata Folgore. A fianco di militari di specchiata fede democratica, come quelli sauditi, yemeniti, qatariani e altri. 

Tutti agli ordini del Comando centrale degli Stati uniti, la cui «area di responsabilità» abbraccia Medio Oriente e Asia Centrale (inclusi Siria, Iraq, Iran e Afghanistan), più l’Egitto. Quale sia il reale scopo della «Eager Lion» è dimostrato dal fatto che, finita l’esercitazione, il Pentagono lascerà in Giordania i caccia F-16 e i missili terra-aria Patriot. Questi si aggiungeranno ai Patriot statuniteni, tedeschi e olandesi già schierati in Turchia al confine con la Siria.

Tutto è pronto per una «limitata no-fly zone», estesa 40 km all’interno della Siria, che – secondo funzionari Usa intervistati dal Wall Street Journal – servirà a «proteggere i campi di addestramento dei ribelli e la fornitura delle armi». La no-fly zone sarà imposta dai caccia Usa che, decollando dalla Giordania e dalle portaerei, potranno distruggere con i loro missili gli aerei e le difese anti-aeree della Siria senza sorvolare il suo territorio. La no-fly zone, quindi, «non richiederà una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu». 

Il costo previsto è di «appena» 50 milioni di dollari (37 milioni di euro) al giorno che, assicura Washington, saranno pagati anche dagli alleati. Non si sa ancora quale sarà la quota italiana, ma il governo i soldi li troverà, spremendo le casse pubbliche e tagliando ancora le spese sociali.



di Manlio Dinucci

19 giugno 2013

E se tornassimo un paese sovrano?







Che la luce costi meno è la buona notizia degli ultimi anni. Ma evitiamo di inseguire l’illusione dei prezzi svendita riservati ai militari Usa-Nato di guardia nelle 129 basi sparse lungo lo stivale da Aviano ai droni di Sigonella. Basi inventate 60 anni fa per lo spauracchio della cortina di ferro. Adesso che il comunismo non c’è più i missili sono girati verso sud-est indecisi su quale nuova invasione barbarica bruciare. Americani sempre lì, ed è giusto trattarli col rispetto di un regime fiscale concordato. Militari e civili Usa, mogli, figli comprano ogni ben di dio senza pagare l’Iva. Non la pagano su servizi, bollette elettriche, dazi, sbarco e imbarco merci, circolazione veicoli, imposte di registro, bolli, soprattutto carburanti.

Sul pieno risparmiano il 60 per cento, differenza che esce dalle nostre tasche. Numeri imprecisi, segreti invalicabili custoditi dal ministero della Difesa. Timidamente il Dipartimento di Washington ogni tanto fa sapere qualcosa. Le ultime notizie risalgono al 1999: l’Italia sborsava 530 milioni di dol- lari, 3 milioni cash, chissà perché. Nell’analisi degli esperti l’aggiornamento 2013 (pressione fiscale e aumento prezzi) sfiora i due miliardi dollari. Ipotesi di chi fa i conti al buio mentre la situazione cambia, esempio Vicenza che raddoppia per l’arrivo dalla Germania di militari e civili della brigata 173, com- preso un battaglione di artiglieri con “capacità nucleare”. La super Coop edilizia e un gran privato hanno scavato l’ospedale bunker: può accogliere la comunità Usa nel caso di attacco batterio- logico. I vicentini se la sbrighino da soli.

Sicilia ormai trasformata in portaerei con satelliti e radar che controllano inquietidini africane, coordinano Medio Oriente, Asie del petrolio, mezzo mondo. La colonizzazione militare gioca alla guerra per allenare gli aerei senza pilota a non sbagliare bersaglio. E i passeggeri delle vacanze arrivano frustrati per voli cancellati e cieli requisiti. E poi lo stress dell’inquinamento elettrico e sonoro: Tv impazzite, rimbombi che scuotono i palazzi. L’accordo internazionale prevede che alle immondizie della basi provvedano le amministrazioni locali. Se i rifiuti sono tossici ci pensano i marines, ma non sempre bonificano il territorio sconvolto dalle macchine di guerra. La Maddalena raccoglie 11 mila abitanti, 300-400 marinai Usa per 25 anni di guardia ai sommergibili nucleari. Se ne vanno lasciando l’eredità pe- santissima di un inquinamento (mare, terra) che seppellisce i bilanci municipali: rosso di 928 mila euro l’anno.

Negli Usa si diventa militari per vocazione, ma anche per soldi. Soldato arruolato da 6 anni, 2.300 dollari al mese; capitano 5.511. Stipendi per chi vive negli States. All’estero raddoppiano, quasi il triplo in prima linea. L’accordo con l’Italia prevede contributi tra il 30 e il 40 per cento. Sconosciuto il calcolo base, ma buona parte del gruzzolo la paghiamo noi. Accordo dell’Alleanza Atlantica che non vale per le così dette missioni di pace, paghe che cambiano se firmate Onu o firmate Nato. Per i no- stri soldati in Afghanistan solite 1.300 euro al mese più 130 o 170 euro al giorno, dipende dal tipo di missione. Intanto pensionati in agonia, operai e imprenditori si danno fuoco e chi impazzisce spara per strada, cronache quotidiane dell’Italia che sta scoppiando.

E se tornassimo un paese sovrano? 

Marines addio, militari che non escono dai confini, F-35 fuori dai nostri hangar. Meno retorici, meno inginocchiati. Normalmente umani.


di Maurizio Chierici 

18 giugno 2013

PD+PDL: il Grillo è servito




 
Sento dire che è ingiusto prendersela con gli elettori italiani perché hanno penalizzato il 5stelle giudicandolo implacabilmente, dopo solo due mesi e mezzo di opposizione parlamentare, unico partito ad aver restituito allo Stato 42 milioni di euro di finanziamento pubblico alla politica, unico partito che si è reso disponibile all’applicazione della legge 361 del 1957 per l’ineleggibilità di Berlusconi, unico partito pronto a votare in aula per l’abrogazione del “Porcellum” e far riemergere la vecchia legge elettorale detta “Mattarellum” che almeno non è incostituzionale.
Invece io me la prendo proprio con gli elettori, a cominciare da quel 50% che non è andato a votare, e soprattutto con quegli imbecilli che hanno votato PD, un partito la cui parola vale zero, capace di prendere in giro gli elettori al punto di fare esattamente il contrario di ciò che aveva promesso in campagna elettorale (mai al governo con Berlusconi) offrendo uno spettacolo politico in cui le elezioni appaiono veramente inutili e il “popolo sovrano” una illusione per i gonzi.
Non solo, ma i responsabili maggiori dello sfascio e della crisi, i falsi antagonisti PD e PDL, sono soprattutto impegnati a spaccare il Movimento di Grillo, promettendo soldi e ricandidature, contando su infiltrati e fragilità umane, manovra che sarebbe impossibile se esistesse una norma di legge che impedisce durante la legislatura il passaggio da un partito ad un altro, in nome del rispetto della volontà degli elettori, che dovrebbe essere prevalente sulle scelte personali del singolo eletto.

Ma lo spettacolo più immondo degli elettori imbocconi e sudditi ce l’ha dato la campagna elettorale di Berlusconi, vissuta comodamente nelle sue televisioni e in quelle compiacenti della RAI, in cui, due promesse farlocche e prive di copertura economica, l’abolizione dell’IMU, addirittura la restituzione di quella già pagata, la cancellazione dell’aumento dell’iVA, e una velata promessa di condono edilizio, lo hanno fatto passare in poche settimane dal 10 al 25% dei consensi, resuscitandolo per l’ennesima volta.

Questi sono gli italiani, non tutti forse, ma in maggioranza infinocchiati da PDL e PD, che sono così furbi da mandare al potere chi li ha messi nei guai, con la complicità attiva di Re Giorgio Napolitano,e si dimenticano di punire i protagonisti di 20 anni di fallimenti, di ruberie, di malgoverno, di sprechi, dove il debito pubblico è sempre aumentato e il suo costo blocca qualsiasi possibilità di ripresa.
Nell’immediato il cemento del governo dell’inciucio è rappresentato dall’obbiettivo di espellere dalle istituzioni parlamentari il corpo estraneo che si chiama M5S, con ogni mezzo, affinchè la politica rimanga “cosa loro”, ben chiusa nel Palazzo e negli studi televisivi, foraggiata dallo Stato e dalle lobby private, impermeabile alle esigenze di disoccupati, senza casa, pensionati al minimo, problemi che nessuno vuole più affrontare.
La cosa triste è che questa lotta senza quartiere al M5S sta avendo successo e rialzarsi sarà dura,

Italiani “brava gente”.
di Paolo De Gregorio 

17 giugno 2013

Le banche centrali in crisi




Le voci sulla possibile riduzione di acquisti di bond dei Paesi europei più in difficoltà da parte della Banca Centrale Europea non dovrebbero sorprendere. Certo questi rumors potrebbero innescare nuovi impulsi speculativi. L’eventuale decisione della Bce, più che dipendere da quella della Corte Costituzionale tedesca chiamata a pronunciarsi sulla legittimità delle scelte fatte a suo tempo dalla Bce, avrebbe una ragione di valenza globale anche rispetto alle spiegazioni relative alle crisi regionali europee.

Il problema vero sta nell’effetto destabilizzante della crescita esponenziale dei bilanci della banche centrali dei Paesi industrializzati che, secondo i dati della Banca dei Regolamenti Internazionali, sono passati dai 4 trilioni di dollari registrati prima della crisi agli oltre 10 trilioni di dollari attuali!

Oltre a salvare il sistema bancario, questa enorme immissione di liquidità avrebbe dovuto favorire anche i crediti a sostegno degli investimenti per rimettere in moto l’economia. Entrambi gli obiettivi sono stati però drammaticamente mancati. Le banche, e l’Italia docet, hanno di fatto chiuso i rubinetti del credito e la desiderata ripresa ha lasciato spazio ad una profonda recessione.

Le banche centrali si sono invece orientate verso il mercato dei bond, anche quello dei paesi emergenti, generando una forte volatilità dei prezzi che a sua volta ha aumentato la propensione al rischio. Negli ultimi mesi le obbligazioni cosiddette “non investment grade”, cioè quelle speculative e non affidabili per gli investitori istituzionali, e quelle emesse per la prima volta dai Paesi emergenti hanno infatti registrato una domanda spropositata, addirittura di 10 volte superiore all’offerta.

I tassi d’interesse praticati dalle banche centrali vicino allo zero hanno determinato anche il calo dei rendimenti delle obbligazioni. Di fatto si è raggiunto un livello di grande destabilizzazione, invece dell’auspicata stabilità finanziaria. L’investitore che ha acquistato bond è sostanzialmente punito. I privati possono essere spinti a sganciarsi da questo mercato e le stesse banche centrali, che hanno massicciamente acquistato bond, si trovano ora in difficoltà.

Non è un caso, quindi, che in contemporanea con le voci sulla Bce già menzionate, anche il mercato americano dei bond abbia registrato un calo significativo. Ciò è avvenuto perché i maggiori hedge fund, motivati dalle aspettative circa possibili cambiamenti nella politica di “liquidità facile” della Fed, hanno iniziato a dismettere parte dei loro pacchetti obbligazionari.

L’immissione di nuova liquidità da parte delle banche centrali ha determinato anche l’aumento di crediti in valuta estera, in dollari e in euro, nei Paesi emergenti. Quelli in dollari hanno raggiunto il picco di 7 trilioni di dollari, pari a circa il 10% del Pil mondiale. Tali crediti crescono al ritmo del 10% annuo.

Quelli in euro, invece, stanno crescendo ad un tasso annuo del 15%, anche se il loro totale è intorno ai 2,5 trilioni di dollari.

La crescita dei crediti in valuta, purtroppo, non va a sostegno degli investimenti ma crea sempre più pericolose bolle speculative, a cominciare da quella immobiliare.

In Cina, per esempio, nonostante siano stati introdotti limiti e quote per ogni banca, negli ultimi 12 mesi i crediti in valuta sono aumentati del 35%. Perciò molti settori finanziari di alcuni Paesi emergenti dell’Asia stanno nuovamente raggiungendo le rischiose punte massime delle crisi degli anni novanta.

E’ tempo quindi che sia la Bce che la Banca d’Italia riconoscano che la politica di elargizione di liquidità alle banche per sostenere imprese e famiglie è sostanzialmente fallita.


E’ necessario un profondo cambiamento nella politica del credito a livello Ue.  Nel nostro Paese la situazione economica e creditizia è drammatica. Lo Stato deve intervenire con ogni mezzo, anche direttamente, per sostenere nuovi investimenti e per rendere più competitive le nostre aziende anche sui mercati internazionali.


di Mario Lettieri e Paolo Raimondi 

Masse disintegrate, corpo elettorale e astensione



Ludopatia, droga, psicofarmaci, istruzione scadente, intontimento mediatico si sono combinati con disoccupazione di lungo periodo, sotto-occupazione, svalutazione del lavoro, precarietà e redditi reali in picchiata sostituendo al cittadino il neoschiavo precario, o l’escluso, e alle vecchie classi dominate le masse disintegrate, culturalmente, politicamente e socialmente.
Questo è quanto è accaduto in Italia negli ultimi decenni, in un processo di adattamento dell’ordine sociale e della popolazione alle esigenze sovrane del grande capitale finanziario, in vista di un irreversibile cambiamento storico che comporta la perdita della sovranità – e la sua cessione “volontaria” al mercato – nonché l’instaurazione di una “società aperta di mercato” sul modello nordamericano.
Sappiamo che in America pochi sono coloro che votano, partecipando al rito fondamentale della democrazia, e che non vanno a votare milioni di poveri senza speranza, di emarginati, di esclusi dai “diritti” che un sistema definito democratico, liberale, avanzato dovrebbe sempre e comunque assicurare a tutti. Inoltre, in America l’ordine classista è sempre stato incerto, ambiguo, sfumato, profondamente diverso da quello europeo, tanto che, semplificando molto, forse un po’ troppo, si può dire che là vale da sempre la brutale dicotomia fra ricchi e poveri, fra coloro che i soldi li hanno e quelli che arrancano dormendo in roulotte, o addirittura nei vicoli. Fra quelli che possiedono ricchezza e patrimoni e milioni di disperati che vivono di scampoli di assistenza pubblica, di carità privata o di espedienti, c’è sempre stato un robusto ceto medio a fare da “cuscinetto”. Se non che, la crisi iniziata nel 2006 ed esplosa l’anno successivo ha ridotto i numeri dell’area di relativo, moderato benessere, espresso in forme rigorosamente consumistiche, anche nel cuore del neocapitalismo trionfante, cioè in Nord America. Anzi, i numeri del ceto medio statunitense, che in parte significativa va alle urne giustificando il “sistema democratico” e liberale, hanno iniziato a ridursi fin da prima della cosiddetta “crisi subprime”, man mano che si affermavano le logiche finanziarie neocapitalistiche e avanzava la globalizzazione economica. Per la verità, la brutale e semplificatrice dicotomia fra ricchi e poveri, che sembra non basarsi sulla “mediazione” di classi sociali definite e intese come mondi culturali, nasconde una nuova strutturazione della società, un ordine classista ancor peggiore di quello imposto dal capitalismo dello scorso millennio. La dicotomia fra global class e pauper class, pesando sempre meno la presenza, sul piano sociale, del ceto medio figlio del welfare. Un ordine dai tratti inequivocabilmente neofeudali.
I poveri, gli impoveriti, coloro che vivono quotidianamente situazioni di marginalità e di difficoltà e che possono sperare al più in lavori temporanei mal pagati, sono poco propensi a votare, a partecipare, a entusiasmarsi per contese politiche posticce, sempre più simili a partite di calcio (football americano, per l’oltre oceano capitalistico) o a corse dei cani truccate con la finta lepre che gli corre davanti, che avvantaggiano soltanto allibratori (bookmakers) e grossi scommettitori. Sanno per istinto ed esperienza i poveri senza speranza, immersi in un ordine sociale che gli è estraneo e nemico, disintegrati culturalmente e privati anche delle loro origini, che nessun politico e nessun “comitato elettorale”, una volta incassato i voti, prenderà le loro parti e cercherà di migliorarne le condizioni di vita. Capiscono che gli attoruncoli della politica, ben pettinati, coperti di cerone, truccati come puttane da bordello che mentono nascondendo le loro vere intenzioni, sono lì per fare ben altri interessi. Gli stessi che hanno ridotto tutti loro, i loro padri e i loro figli in quelle condizioni. Pur non avendone piena coscienza e pur non rivoltandosi come dovrebbero, i poveri, le neoplebi, le masse disintegrate da questo capitalismo, sanno che la politica liberaldemocratica e tutti i suoi attori sono al servizio di forze determinate e molto concrete, d'interessi di classe avversi a quelli della maggioranza della popolazione. Non sono certo al servizio di una “volontà popolare” ipotetica e non meglio identificata, o di uno stato ridotto a puro testimonial dei mercati e alla loro completa mercé.
Sia ben chiaro. Una cosa è non votare perché s'intuisce, quasi d’istinto, che la democrazia liberale è una truffa e perché le necessità di sopravvivenza prendono il sopravvento su tutto. Altra cosa è opporsi al sistema avendo alle spalle un’organizzazione antagonista e uno straccio di progetto politico. I poveri schiacciati dai ricchi, come nella società nordamericana, le neoplebi e le masse culturalmente disintegrate alle loro spalle, in questo momento, non hanno proprio nulla. Sono abbandonate a se stesse, in balia del controllo e della manipolazione sistemici. E soprattutto della “legge del mercato”.
Non troppo dissimile da questa è la situazione sociopolitica che oggi caratterizza l’Italia. Un intenso processo di trasformazione dell’ordine sociale, inasprito e velocizzato dalla crisi economica strutturale, dalla dipendenza dall’euro, dal ricatto del debito e dalla “cessione” della sovranità nazionale ha fatalmente trasformato il paese in “società aperta di mercato”, attraversata da flussi migratori e caratterizzata dal dilatarsi dei differenziali di ricchezza, potere e prestigio fra ricchi e poveri. Anche qui, come in America, il ceto medio arretra, risucchiato verso il basso dall’applicazione delle dinamiche neocapitalistiche. Anche qui la povertà dilaga e fanno capolino problemi alimentari per una parte significativa, ma sempre più invisibile, della popolazione. Eppure costoro, i cui interessi vitali sono calpestati, godono delle “libertà civili” e dei “diritti politici”. Sembra una beffa, un’insopportabile ipocrisia, ma è la sostanza del sistema liberaldemocratico, puntello politico del neocapitalismo.
Non c’è da stupirsi, alla luce delle precedenti considerazioni, che nei ballottaggi per le comunali del 9 e del 10 giugno abbia votato meno della metà degli aventi diritto: solo il 48,5% a livello nazionale. Davanti al dato dell’astensione in crescita, fino a superare la soglia della metà più uno degli aventi diritto, i giornalisti e i politici, come il solito, stendono cortine fumogene, danno interpretazioni capziose del fenomeno, cercano di giustificare quel sistema e quegli interessi dominanti che hanno prodotto l’astensionismo di massa. Ne prendiamo in considerazione due. 1) Secondo alcuni il segnale non sarebbe poi negativo come si crede, perché testimonierebbe una “maturazione” nella società italiana in senso nordamericano (sempre più simili agli Usa, infatti), in cui alcuni votano e altri se ne stanno “alla finestra” a guardare quel che succede. L’astensione non sarebbe un male, secondo questa interpretazione, ma un segnale che stiamo raggiungendo finalmente la piena “maturità democratica”, testimoniata dal numero di votanti sempre più basso. 2) Altri, più banalmente, pongono l’accento sulla distanza fra “i problemi della gente”, ossia quelle bazzecole come il lavoro che non c’è, il reddito che cala, i costi della vita che salgono, l’insicurezza materiale e psicologica che tende a esplodere, e le cose, meno concrete ma forse più nobili, più eteree (come il “sesso degli angeli” nella Costantinopoli assediata dagli ottomani), di cui suole occuparsi la politica di questi tempi. In tal caso, la conclusione di rito di politici e giornalisti d’apparato è che la politica deve tornare a occuparsi “dei problemi della gente”, affinché tutto si sistemi per il meglio e l’astensionismo diminuisca. Ben sapendo, però, che ciò non è possibile se non a livello di puro annuncio, perché la politica risponde esclusivamente ai centri di dominio neocapitalistici, come Bruxelles, Francoforte, la City londinese, Washington e Wall Street. Non importa se il calo della partecipazione al voto, che ha spaccato letteralmente in due il cosiddetto corpo elettorale, si registra in occasione di consultazioni comunali, e quindi amministrative, di rango e interesse inferiore rispetto alle politiche. La “disaffezione” nei confronti del voto liberaldemocratico, del sistema politico ascaro del mercato e della finanza, dei politici opportunisti, incapaci, servi e corrotti si manifesta, ormai, in ogni occasione elettorale. Solo l’effimero exploit di Grillo e delle sue liste, un po’ di tempo fa alle ultime politiche, è sembrato invertire la tendenza, calmierando l’astensione, ma ormai è acqua passata e gli effetti concreti dei meccanismi di dominazione neocapitalistica, nel corpo elettorale e nel paese, hanno ripreso il sopravvento. Prova ne sia che in Sicilia, regione in cui il movimento aveva avuto notevoli affermazioni, i candidati cinque stelle deludono e l’astensione aumenta. 
Delle due giustificazioni in merito fenomeno dell’astensionismo la prima (1) sembra essere la migliore, perché originaria, andando alla sorgente del problema, e la seconda (2) soltanto derivata, in quanto effetto delle grandi trasformazioni socioeconomiche, culturali e politiche verificatesi in Italia nell’ultimo ventennio. Infatti, se l’astensionismo in occasione delle elezioni politiche del 27-28 marzo 1994 che hanno incoronato “premier” Berlusconi per la prima volta era di poco inferiore al 14% degli aventi diritto (facendo base sul proporzionale), nelle ultime politiche del 24-25 febbraio 2013, con altra e famigerata legge elettorale, il dato della non partecipazione è cresciuto alla camera fino a quasi il 25%, nonostante la presenza “recupera-astensioni” di Grillo. Naturalmente la situazione economica e sociale del 1994 era incomparabilmente migliore dell’attuale, nonostante il passaggio del ciclone “Tangentopoli/ Mani pulite”, l’avvio delle privatizzazioni e il crollo del sistema di cambi europeo a stretti margini di oscillazione valutaria (Sme), nel settembre del 1992, che travolse letteralmente la lira. Ma è nelle ultime comunali che si è raggiunto un minimo storico di partecipazione del corpo elettorale alla ritualità del voto liberale e democratico. Questo perché il processo di trasformazione in senso neocapitalistico della società italiana, che diventa “società aperta di mercato” più simile a quella modello nordamericana, è già a buon punto, e di ciò si compiacciono, facendo credere che sia una cosa positiva per tutti, i servi mediatici e politici delle aristocrazie finanziarie. Pochi ricchi, infedeli nei confronti dei luoghi d’origine, un piccolo strato intermedio integrato dal neocapitalismo nel sistema e un oceano sempre più vasto di poveri, fra i quali un certo numero di immigrati, i cui interessi non hanno e non avranno rappresentanza alcuna. Il fatto, poi, che la politica indigena costosa e bizantina, arroccata in “zone rosse” ben protette, si occupi del “sesso degli angeli” anziché dei “problemi della gente” (con brutta espressione politico-giornalistica), è una conseguenza della predetta trasformazione in senso neocapitalistico, che ha tolto alla politica nazionale il bastone del comando (e l’autonomia decisionale particolarmente in campo monetario) per offrirlo a Bruxelles, Francoforte, alla City londinese, Washington e Wall Street. Dei “problemi della gente” in Italia, quindi, si occupano gli organismi sopranazionali che ci controllano, in armonia con gli interessi elitistici. I politici indigeni devono soltanto obbedire ed eseguire.
Come chiarito in precedenza, i poveri tendono a non votare, se intuiscono (pur senza poterselo spiegare con analisi articolate) di essere completamente invisibili e dimenticati nel nuovo ordine, di non avere alcuna possibilità di tutela dei propri interessi dentro il sistema. Le masse disintegrate almeno una cosa l’hanno intuita. Quelli che dovrebbero eleggere, recandosi alle urne, non saranno mai i loro rappresentanti, ma sono e resteranno soltanto dei nemici. Dei collaborazionisti al servizio dell’occupatore del paese il cui compito è mentire, dissimulare, annunciare miglioramenti che non si verificheranno, continuando a spremerli per conto dei padroni globali. I sindaci dei capoluoghi di provincia eletti nell’ultima tornata di amministrative (undici in totale, tutti “di sinistra”, ossia del pd e appendici) non sfuggono alla regola dell’asservimento della politica ai poteri esterni, al mercato, alle capitali del nuovo “impero del male” in occidente. Così Ignazio Marino a Roma, il burocrate piddino del “daje” che gongola sorridendo per la vittoria, ma piagnucola un po’ per l’astensione, così Enzo Bianco ex senatore del pd a Catania e vecchia volpe della politica (già sindaco della città siciliana nel lontano 1988). Persino Letta è intervenuto pro domo sua, dichiarando che queste elezioni rafforzano l’attuale esecutivo, nato da un inciucio e dal tradimento delle promesse elettorali. Quel che è più grave è che nonostante alcune affermazioni apparentemente preoccupate, per l’elevata astensione dal voto delle masse, questi farabutti (intendiamo sia i politici come Marino, Bianco e Letta, sia i giornalisti prezzolati) sanno che non v’è pericolo imminente. Infatti, non esistono movimenti alternativi organizzati, disposti a dar battaglia al sistema, né, tantomeno, vi sono tracce di programmi politici nuovi, antiliberisti e antieuro. Così, almeno per ora, la rabbia e il dissenso delle masse disintegrate si manifestano con la crescita dell’astensionismo, quando non si “stemperano” attraverso l’adesione ai distruttivi circenses offerti dal sistema, come ad esempio il gioco d’azzardo diffuso e la droga. Peccato, però, che i giochi ci sono, sono irresistibili e coinvolgenti, ma il pane manca sempre di più. I farabutti politici e giornalistici sanno che le esplosioni di follia individuale e i suicidi per ragioni economiche segnano quest’epoca, in cui antagonismo vero e lotta armata sono pressoché assenti. Quindi capiscono di non correre particolari rischi. Perciò è molto probabile che il sistema potrà sopportare, o addirittura volgere a suo favore, elevati tassi di astensione dal voto nel corpo elettorale, che altro non è, in parte significativa, se non la massa di dominati culturalmente disintegrata, soggetta a privazioni crescenti in termini di risorse e di diritti, che al pari di molti poveracci nella società “modello” nordamericana può fare una sola cosa: non andare a votare e continuare ad arrancare.

Con profonda tristezza

di Eugenio Orso e Anatolio Anatoli