30 aprile 2009

L'inevitabile default impero USA





Mentre Tremonti e la Marcegaglia affermano che ormai la crisi è passata, sempre fedeli a rilanciare ogni flebile sussurro della troppo-grande-per-fallire Goldman Sachs (vedremo fino a quando), le Borse rispondono con una netta caduta come non se ne vedevano da un po’. Mentre scriviamo, infatti, Milano perde il 4%. Oltreoceano, Citigroup prosegue le montagne russe con una perdita del 15% ed un ritorno a 3 dollari per azione.

Ampio risalto viene anche dato dai media alle dichiarazioni iraniane su Israele stato razzista. Ci sarebbe davvero molto da approfondire a riguardo, ma un post non basterebbe.

Nessuna parola invece sul GEAB Report numero 34, che eppure parla di cose molto interessanti, a partire dal prossimo default degli USA sul loro debito.

Come promesso nel post precedente, eccovi la seconda parte di tre. Se vi siete persi la prima parte, leggetela prima di procedere: racconta quella che sarà la Grande Fuga della Cina dal Dollaro.

Inevitabile default degli USA - GEAB 34 parte II

Tutti coloro che hanno letto la nostra Lettera Aperta ai leader del G20 pubblicata sul Financial Times il 24 Marzo (qui la nostra traduzione della lettera, NDFC) hanno già un’idea della nostra analisi di questo Summit di Londra. Ma dobbiamo ammettere che i risultati sono ancora peggiori di quanto immaginato.

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Secondo LEAP/Europe2020, durante l’attuale crisi gli USA stanno scivolando giorno dopo giorno in una depressione che non ha pari nella storia della nazione e che sta arrivando ora al suo punto di rottura politico e sociale.

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L’ipotetico appuntamento (del prossimo G20, NDFC) che hanno scelto per il loro prossimo incontro: a New York il prossimo Settembre, con l’occasione della Assemblea Generale annuale dell’ONU, è decisamente rivelatore.

Non hanno nemmeno concordato su uno specifico (tema dell’) incontro, per paura di dover tenere conto di quanto dichiarato a Londra, e perchè sanno per certo che non possono aggiungere altro a quanto detto a Londra.

All’interno della cornice delle Nazioni Unite, il G20 passerà sotto silenzio.

Inconsciamente, i leader del G20 hanno deciso di radunarsi a New York, a Settembre, al centro della crisi attuale, a pochi isolati da Wall Street e da Ground Zero… molto simbolico!

Il nostro team anticipa che, anzichè imbrigliare il processo della dislocazione geopolitica globale, probabilmente vedreanno i primi caotici passi dell’era postdollaro.

A New York, nel Settembre 2009, i leader del G20, così come tutti i leader che prenderanno parte alla Assemblea generale dell’ONU, saranno solo in grado di riconoscere la gravità della crisi che sta sopraffacendo gli USA, alle prese con povertà sociale (non è una buona notizia quando un cittadino americano su 2 dichiara di essere a due stipendi di distanza dalla bancarotta), violenza urbana e omicidi in crescita, peggioramento della recessione economica (già visibile nelle vie di manhattan)

…senza dubbio si focalizzeranno sul fallimento del piano di Obama di stimolo all’economia, volontariamente preso in ostaggio dai finanzieri di Wall Street, e punteranno ai prestiti del governo fuori controllo sotto gli effetti combinati di aumento della spesa e diminuzione dei redditi da tasse, come descritto in questo report.


Senza dubbio, questa processo riguarderà loro direttamente attraverso la crisi monetaria internazionale indotta dal default americano e dalla crisi del dollaro.

Ci concentreremo ora su quale sarà la forma che prenderà questo default.

[...]

Le 4 più probabili modalità di default USA

Il default americano puo’ prendere diverse forme in funzione di come sarà anticipato dalle autorità americane e dai loro principali creditori.

Abbiamo deciso di concentrarci su 4 di queste modalità, che probabilmente si combineranno tra loro. Le prime due si riferiscono a processi organizzati, mentre le ultime due sono processi caotici.

1) il FMI porta il budget federale sotto la sua ala (come fa sempre) e impone severi tagli di budget (probabilmente sulla spesa militare e sui programmi sociali) - questa è una opzione altamente improbabile a questo livello per ragioni politiche, con un significativo rischio di colpo di stato durante il processo.

2) il dipartimento del Tesoro decide di emettere buoni del Tesoro denominati in Euro, Yuan o Yen anzichè denominati in dollari. Questo è già accaduto (emissioni in Marchi e Yen) su scala minore alla fine degli anni 70, durante una precendente crisi del dollaro (incomparabile con quella attuale) - questa è l’opzione più soft, ma probabilmente insufficiente, perchè la quantità di bond da emettere provocherebbe seri problemi alle nazioni interessate. [...]

3) il valore del dollaro viene improvvisamente dimezzato nei confronti delle altre monete così che il governo americano puo’ finanziare il budget federale ed i suoi titoli in mani straniere con dollari deprezzati - questa opzione creerebbe un parallelo tra Obama e Nixon, anzichè Kennedy. Comunque, questa opzione ha certamente dei sostenitori a Washington perchè potrebbe essere la meno dolorosa in politica interna USA nel breve periodo.

4) a causa delle crescenti difficoltà nel vendere buoni del tesoro all’estero, la Fed deve aumentare il programma TARP, automaticamente avviando la svalutazione del dollaro, in cambio riducendo l’appetito degli investitori per i beni denominati in dollari - questa opzione è già avviata. La domanda è: finirà nel modo qui descritto o una o più delle altre opzioni si materializzeranno prima?

Le prime due opzioni necessitano una comunità internazionale coinvolta e ferma nel suo impegno.

Il G20 non mostra ottimismo a riguardo. Le ultime due, in pratica, consistono nel lasciare che gli eventi seguano il percorso della minore resistenza.

Questo tipo di approccio finisce sempre in disastro, ma è il più facile per tutti in fase iniziale.

di Felice Capretta

29 aprile 2009

Ecco come l'impero tesse la sua ragnatela

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Intervista a Eva Gollinger
«L'ingerenza Usa in Venezuela assumerà forme più insidiose: la nuova amministrazione ha già aumentato del 35% il finanziamento alla Usaid e alla Ned». Al centro sociale milanese Vittoria, l'avvocata statunitense-venezuelana Eva Golinger parla senza illusioni del nuovo governo Obama. Da anni, indaga il lato occulto di organizzazioni e fondazioni come l'United States Agency for International Development (Usaid), o la National Endowment for Democracy (il fondo nazionale per la democrazia, la Ned). L'ultimo suo libro in tema, scritto con il giornalista Romani Migus, s'intitola La teleraña imperial (La ragnatela dell'impero). Dopo Il codice Chavez «un'enciclopedia dell'ingerenza e della sovversione». Non si tratta però di un libro «di complotti - spiega l'autrice al manifesto -, ma di una mappa interattiva della complessa rete di fondazioni, imprese, forze armate, mezzi di comunicazione, organizzazioni non governative che difendono le classi dominanti: il lato oscuro del capitale. Stiamo organizzando - aggiunge - un centro di studi strategici, si accettano suggerimenti (fundacioncese@gmail.com)»

Come si evidenzia la ragnatela?

Nel direttivo di grandi multinazionali come Chevron o Carlyle Group figurano membri di organismi che si dicono indipendenti come Human Rights watch, Ford foundation, Freedom house, National endowment for democracy. Vi si ritrovano alti funzionari della Cia, del Dipartimento di stato, del Pentagono, che utilizzano ong come Sumate in Venezuela o altri partiti politici per i loro piani destabilizzanti, e li finanziano attraverso i loro alleati: l'Istituto repubblicano internazionale (Iri), la Fondazione Konrad Adenauer in Germania, la Fondacion Faes in Spagna... Istituti e agenzie come Usaid e Ned filtrano denaro a diversi gruppi in Venezuela, Bolivia, Ecuador e in oltre 70 paesi del mondo. In Venezuela oltre 350 organizzazioni, partiti politici, ong ricevono finanziamenti.

Dieci anni di governo Chavez e un nuovo corso per l'America latina. Cosa farà Obama?

Nel libro precedente ho mostrato le responsabilità di Washington nel colpo di stato dell'11 aprile 2002 in Venezuela. Nel 2004, gli Usa finanziarono con 10 milioni di dollari il referendum contro il presidente Chavez, che però vinse con un ampio margine. Perciò, nel 2005 Washington modificò la propria strategia, che oggi si basa su tre assi principali: politico, psicologico e militare. L'asse politico dell'ingerenza poggia sul cosiddetto sviluppo della democrazia: la Ned crea il movimento mondiale per la democrazia, e dentro una gran quantità di organizzazioni spagnole, tedesche, norvegesi portano avanti il loro lavoro di sovversione. Il secondo aspetto poggia sulla guerra mediatica: demonizzare Chavez serve a preparare l'opinione pubblica a un'eventuale aggressione militare. Contro il Venezuela in soli 4 anni di questa strategia, a forza di titoloni sui giornali, Chavez risulta un «dittatore», dagli Usa all'Europa. Nel 2008, Bush voleva inserire il Venezuela fra i paesi canaglia, ma c'era un problema serio: il petrolio. Il terzo aspetto è quello militare: l'anno scorso gli Usa hanno riattivato la Quarta flotta, un comando regionale che non era più presente dal 1950. Nel rapporto del nuovo capo della Cia, nominato da Obama, il Venezuela resta una minaccia.

Contro il Venezuela - lei scrive - gli Usa stanno organizzando un «golpe suave», un golpe morbido. In che modo?

Il modello è quello della rivoluzione arancione, inaugurata in Serbia, ripetuta in Georgia, in Ucraina, in Libano, tentata senza successo in Bielorussia nel 2007. Un processo di più lunga durata in cui attori e scopi non si identificano subito. In Serbia è comparso a un certo punto un simpatico movimento di giovani che lottava per la libertà e la democrazia, il gruppo si chiamava Otpor, Resistenza, ed era finanziato dalla Ned, la Usaid, l'Iri, l'Ndi, la Cia. C'era anche la Albert Einstein Institution (Aei), fondata da Gene Sharp, autore di libri sulla non-violenza. Solo che il direttore della fondazione è un colonnello dell'esercito Usa. Alcuni giovani venezuelani della classe medio-alta nel 2008 sono andati in Bolivia a sostenere il referendum separatista contro Morales a Santa Cruz. Poi comparve un gruppo simile alla Otpor anche in Venezuela: dietro, sempre Usaid, Ned e altre istituzioni europee come la Faes, vicina ad Aznar, a finanziare una massiccia strategia di marketing «giovane».

Anche Obama vuole balcanizzare l'America latina?

Il golpe morbido viene portato avanti sempre in paesi che hanno importanti risorse naturali, soffiando sul fuoco di conflitti regionali preesistenti, fomentando i separatismi, come nella ex-Yugoslavia. Nel caso del Venezuela, questa strategia si è concentrata nello stato petrolifero dello Zulia, il bastione dell'opposizione, e lì c'è un movimento indipendentista. In Bolivia nella zona della mezzaluna dove si trova Santa Cruz e sono concentrate tutte le risorse di gas e di acqua. In Ecuador il movimento separatista è a Guayaquil, sede del potere economico.



Perché il Venezuela resta una minaccia per gli Usa?

Perché possiede la maggior riserva petrolifera al mondo. Perché la politica estera del Venezuela è basata su integrazione, cooperazione e solidarietà e non sullo sfruttamento modello Fmi. Perché, come dice Chomsky, è la minaccia del buon esempio: in Venezuela milioni di invisibili oggi si fanno sentire.

28 aprile 2009

Democrazia capovolta

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Secondo la Costituzione il voto è un “dovere civico”. Ma poteva andare bene nel 1948.
Oggi è il non-voto a essere un dovere. Morale
Oggi di italiani contenti se ne trovano pochi.

Che siano di destra, di sinistra o indecisi, ormai quasi tutti sentono il fiato della crisi economica sul collo, e si lamentano sistematicamente ai quattro venti.“Paese di merda!” “Io me ne vado, qui non si può vivere”. “Siamo governati da una banda di delinquenti”.

Naturalmente lo sappiamo tutti che quella “banda di delinquenti” la votiamo noi, ma se qualcuno prova solo a suggerire di smettere di votarli, si sente rispondere con disdegno che "tanto non cambia nulla".

Il problema è tutto qui.

Cinismo, pigrizia mentale e pochezza morale concorrono ad una situazione paradossale che si potrebbe sintetizzare in questo modo: mi faccio del male da solo, ma non ho alternative, e quindi continuo a farmelo. Apparentemente, la cosa può sembrare vera: anche se uno non vota lo fanno tutti gli altri, e quindi il problema rimane. Un pò come agli incroci cittadini, che nell’ora di punta tutti occupano disordinatamente, pur di arrivare a casa “prima dell’altro”, invece di rispettare il semaforo. Se lo facessero tutti – dice ciascuno – io sarei il primo a rispettare il semaforo. Se invece lo fai da solo, non solo non serve a niente, ma ti prendi anche del cretino da quello dietro, che ti suona per farti passare a tutti i costi, nonostante il rosso. Dall’alto del suo palazzo il potente osserva soddisfatto i suoi popolani, che si scannano fra di loro invece di organizzarsi per un vantaggio comune.

Ora, finchè si tratta di intasare un incrocio “perchè tanto lo fanno tutti”, si perde al massimo un pò di tempo sulla strada di casa. Quando invece continui a votare dei delinquenti, “perchè tanto lo fanno tutti”, diventi un delinquente come loro. Il motivo è molto semplice: la nostra è una democrazia rappresentativa, nella quale tu eleggi un tuo concittadino perchè vada a rappresentare la tua volontà in parlamento. Se poi quel parlamento decide, ad esempio, di privatizzare l’acqua, lo avrà fatto in tuo nome, e quindi sarai tu a dover rispondere alla storia per aver rinunciato al libero uso di uno dei beni più essenziali di cui disponga l’umanità. E la cosa più divertente è che non solo non trarrai il minimo beneficio economico da questa privatizzazione, ma sarai proprio tu ad arricchire la nuova società dell’acqua, che da oggi dovrai pagare a peso d’oro.

Pensa che meraviglia: hai scelto qualcuno che rappresentasse la tua volontà, e costui ha deciso di danneggiarti in modo palese, sostanziale e duraturo. E tu alla fine del mandato, invece di chiedergli conto di quello che ha fatto, torni a votarlo dicendo che “tanto non c’è alternativa”. Nemmeno il peggiore dei masochisti arriverebbe a tanto. Qualcuno potrà obiettare che in realtà lui ha votato un partito, e che è stato il partito a scegliere chi mandare in parlamento. Ma il problema non cambia: se torni a votare un partito che in passato ha mandato delinquenti in parlamento, a) lo stai autorizzando a fare la stessa cosa, e b) implicitamente approvi quello che hanno fatto in passato.

E finora abbiamo parlato solo di acqua, ma quello che hanno fatto i nostri governi – sia di destra che di sinistra, indistintamente – negli ultimi 20 anni va ben oltre la privatizzazione di un bene comune. A partire dagli anni ‘90 i nostri governi hanno sistematicamente svenduto l’Italia agli stranieri, rendendoci ancora più schiavi del capitale estero, invece di liberarci una volta per tutte dalla morsa del piano Marshall.

A partire dagli anni ‘90 i nostri governi hanno sistematicamente soggiaciuto al potere del Vaticano, invece di liberarci una volta per tutte da una schiavitù – psicologica, morale e materiale – che dura da millenni. A partire dagli anni ’90, invece di proseguire sulla strada indicata da Tangentopoli, i nostri politici hanno ripreso, incrementato e perfezionato il sistema di spartizione del denaro pubblico, moltiplicando il livello di corruzione fino quasi ad istituzionalizzarlo: oggi non c’è pubblico incarico che non si muova senza un equivalente movimento di denaro, come naturalmente non c’è spesa pubblica che non contenga una quota sostanziale di tangenti, per ciascuno dei livelli coinvolti. Ne risulta che da una parte il cittadino lavora per mandare soldi allo stato, e dall’altra manda al governo gente che sistematicamente glielo ruba. A partire dagli anni ‘90 i nostri governi hanno mandato più volte in guerra i nostri soldati in palese violazione della nostra Costituzione. Ogni volta che l’Italia ha partecipato ad attacchi o invasioni di nazioni sovrane, inoltre, violava i più importanti accordi internazionali, e i più fondamentali principi del rispetto della vita umana.

Le chiamavano missioni di pace, ma da Aviano partivano bombardieri carichi di ordigni all’uranio impoverito, che venivano sganciati senza pietà sui civili della ex-Jugoslavia. Persino in una guerra convenzionale – per quanto legittima la si possa considerare - questo tipo di azioni sarebbe severamente proibito dalla Convenzione di Ginevra, a cui l’Italia ha aderito sin dal primo giorno. Abbiamo scelto a rappresentarci delle persone che hanno violato leggi, convenzioni e costituzioni, e che hanno ucciso distrutto e devastato nel nostro nome – rendendo noi stessi degli assassini - e noi torniamo tranquillamente a votarle, perchè “tanto non c’è alternativa”. La democrazia - ti dirà il solito cinico – è solo una presa in giro. In realtà è un sistema di controllo inventato apposta per illudere le masse di gestire il potere, mentre al potere ci saranno le stesse persone di sempre, alle quali delle masse non può importare di meno.

Ma siamo proprio sicuri, che non esista una alternativa? La democrazia infatti non è un obbligo, che ti impone di votare qualcuno a tutti costi, ma un privilegio, che ti permette di scegliere da chi vuoi essere rappresentato nella gestione della cosa pubblica. Se quindi vai alle urne, e non trovi nessuno degno di rappresentarti, semplicemente non voti per nessuno e torni a casa. Al massimo, avrai fatto una bella passeggiata fino alla scuola comunale.

è il principio di accettare per buona la rosa dei candidati che ci viene offerta, a farci concludere che “tanto non c’è niente da fare”. Certo, con quei candidati non ci sarà mai nulla da fare, che discorsi! Sono figli di un sistema marcio alla radice, che non poteva che generare gente dello stesso spessore morale. Quando mai uno scarafaggio ha dato luce a una farfalla? Ma non sta scritto da nessuna parte che si debbano accettare per forza quei candidati, nè i partiti che poi li sceglieranno. Se nessuno ti soddisfa, trattieni il tuo voto e torni a casa.

A questo punto il cinico dice: “non votare non serve a nulla, perchè tanto votano gli altri”. La prima risposta è questa: non importa se serve o non serve. Innanzitutto, non votare una classe politica criminale significa a) non approvare i loro crimini passati, e b) non autorizzarla a commetterne di nuovi. Questo già dovrebbe bastare, ad un individuo con un minimo di rettitudine morale.

In secondo luogo, bisogna vedere se davvero “non serve a nulla” trattenere il nostro voto, o se sia invece questo ragionamento a nullificare l’intero concetto di rappresentatività popolare. Perchè mai credete che i politici, che ignorano sistematicamente le nostre necessità quando stanno al governo, ci corrono dietro come delle mammolette appena inizia il periodo elettorale? Come si spiega che per cinque anni rubino svendano e distruggano a piacimento, senza minimamente curarsi di noi, ma poi diventino degli angioletti, pieni di belle parole e di buone intenzioni, in campagna elettorale? Proprio perchè la nostra è una democrazia rappresentativa, e senza il nostro voto loro non possono più fare nulla. Senza il nostro voto loro non esistono più.

A questo punto anche un bambino capirebbe che il coltello dalla parte del manico l’abbiamo noi, e che quindi saremmo perfettamente in grado di dettare le nostre condizioni, prima di dare quel voto. Invece ci sediamo incantati ad ascoltare le loro favolette, che parlano vagamente di “riforme”, di “crescita” e di “posti di lavoro”, e poi ci torturiamo per intere settimane per decidere chi sia meglio e chi sia peggio. Alla fine regaliamo il nostro voto al “meno peggio” – pur di non rinunciare a dire la nostra - e corriamo a casa per iniziare a bestemmiare contro di lui.

Questa non è democrazia. è criminalità organizzata. E le elezioni non sono un mandato a governare, ma un’autorizzazione a delinquere. Che firmiamo noi di nostro pugno, legislatura dopo legislatura.

Certo che la democrazia è una presa in giro, se praticata in questo modo, ma siamo noi a renderla tale, usandola senza ragionare, e senza il minimo senso di responsabilità. Se il politico ha un bisognotalmente disperato del nostro voto da arrivare a rendersi ridicolo, con le sue favolette elettorali, come si può pensare che non cambi nulla nel non darglielo? Se questa gente corre su e giù per l’Italia come un criceto impazzito, pur di raggranellare mezzo voto in più, vorrà dire che quei voti le servono a qualcosa, non credete? Le servono per tornare in quel posto meraviglioso dove prendi uno stipendio esorbitante per non fare nulla di utile, mentre gestisci con grande “elasticità” milioni di miliardi di euro prodotti dal sudore della gente che lavora. Chi non vorrebbe tornarci, in un posto del genere? E chi non sarebbe disposto a calpestare persino la madre, la moglie o la sorella, pur di farlo? Cosa vuoi che sia, firmare una leggiucola che privatizza l’acqua sorgiva, quando ho la possibilità di entrare in quota nella nuova società che la venderà a peso d’oro? Tanto - ragiona il politico - fra cinque anni chi mi ha votato non se ne ricorderà più, e al massimo sto fuori un turno, che mi serve per preparare meglio la mia rete di contatti, e rientrare alla grande in quello successivo. La vera alternanza politica è questa: chi ruba, e chi sta all’asciutto. Facciamo un po’ per uno, e lasciamo che sia il popolo a decidere ogni volta a chi tocca.

Ma questa non è democrazia, è criminalità organizzata, e le elezioni non sono un mandato a governare, ma una vera e propria autorizzazione a delinquere. Che firmiamo noi, di nostro pugno, legislatura dopo legislatura. D’altronde, finchè continueremo a dare il voto a questa gente, senza pretendere nulla in cambio, non potremo illuderci che costoro si sforzino di fare meglio la volta successiva. Perchè mai dovrebbero provarci? è quindi “votando comunque”, casomai, che non cambia niente. La democrazia prevede una forte responsabilità in chi demanda il proprio potere decisionale, e una responsabilità ancora maggiore in chi viene incaricato di esercitarlo. è quindi naturale che fra le due parti debba esserci prima un accordo chiaro e dettagliato, in modo da poter rispondere ciascuno delle proprie responsabilità, alla fine del mandato. Non si può mandare al governo gente che dice “farò le riforme” mentre si mette annoiata le dita nel naso, senza chiedergli di specificare tempi, modalità e termini precisi di tali riforme.

- Quali riforme farai, se vieni eletto?
- Farò la riforma della scuola.
- Bravo, ci voleva. E come la farai?
- Darò più soldi agli insegnanti, e aumenterò il budget per i libri scolastici.
- Benissimo, ma non mi basta. Toglierai i crocefissi dalle aule?
- Beh, insomma, proprio toglierli…. mi sembra un pò troppo.
- Perchè troppo? Non sei d’accordo che la loro presenza viola il diritto costituzionale delle altre religioni?
- Si va beh, tecnicamente parlando…
- La costituzione va rispettata, e se tu non intendi farlo io non ti voto.
- E per chi voti allora? Non credo che troverai qualcuno disposto a togliere i crocefissi dalle aule, in questo momento.
- Vorrà dire che aspetterò. Io non ho fretta. Sei tu che sbavi per avere il mio voto a tutti i costi, ma per me dartelo o non dartelo non cambia nulla, perchè si continuerà comunque con la stessa merda. Quindi me lo tengo, e ti faccio tanti auguri. Se fra cinque anni ci hai ripensato, fatti sentire.
- Ma scusa, se hai detto che per te non cambia niente, non potresti darmelo comunque il voto? Cosa ti costa, scusa?
- Mi costa che non voglio sentirmi responsabile di tutti i disastri che combinate. Saluti.
A quel punto magari succede che ti allontani, e dopo un pò ti senti richiamare.
- Senti, scusa…. Mi è venuta un’idea – ti dice il candidato, raggiungendoti ansimante.
- Dimmi.
- E se i crocefissi li facessimo spostare nei corridoi, invece che toglierli del tutto? Perchè sai, toglierli proprio la Chiesa non ci sta, e lì viene giù un casino. Se invece li convinciamo a spostarli nei corridoi, intanto abbiamo fatto un passo avanti, no?
- Si può fare. Ma tu sei in grado di convincerli a spostarli?
- Guarda, al 100% non te lo posso garantire, però a naso direi che la cosa è fattibile. Con la giusta delicatezza, e con i tempi giusti, credo che sia possibile.
- Entro cinque anni?
- Entro cinque anni.
- Va bene, ti do il voto. Fra cinque anni vedremo cosa sei riuscito a fare. Se li hai fatti spostare in corridoio, ti voto di nuovo per toglierli del tutto. Altrimenti comprati una canna da pesca, perchè hai finito di rappresentare la gente come me.

Ecco chi comanda, in democrazia. Siamo noi ad avere il coltello dalla parte del manico. Però dobbiamo sapere con precisione cosa vogliamo, prima di scegliere qualcuno che vada a farlo per nostro conto. Per poter utilizzare quel coltello nel modo giusto, infatti, dobbiamo poter chiedere conto al candidato del suo operato con estrema precisione, alla fine del mandato, e questo è possibile solo se i suoi impegni iniziali erano stati altrettanto precisi e dettagliati.

Sia chiaro: per non-voto non si intende affatto non andare a votare, ma recarsi regolarmente al seggio e ritirare la scheda. E poi riconsegnarla in bianco. O, ancora meglio, annullata. Così da evitare ogni rischio di “appropriamenti indebiti”.

Non c’è bisogno di limitare per legge - a due, o tre legislature - la presenza in parlamento dei deputati. Saremo noi a rimandarceli se ci hanno soddisfatto in quella precedente, e a cancellarli per sempre dalla lista dei “deputabili”, se invece hanno tradito i loro impegni. (Idem per i partiti, se votassimo quelli). Invece ce ne stiamo qui seduti come degli imbecilli a farci raccontare delle favolette senza senso, durante le campagne elettorali, e poi mandiamo questa gente al governo con un impegno talmente vago che non solo loro si fanno i porci comodi, ma alla fine noi non sappiamo nemmeno più con chi prendercela. Se ciascun cittadino rispettasse il semplice principio della democrazia rappresentativa, che prevede di eleggere chi si impegni a fare per tuo conto ciò che tu ritieni giusto – e non “il meno peggio” - i non-voti sarebbero talmente tanti che i politici sarebbero immediatamente obbligati a scendere a patti con il proprio elettorato. Sia chiaro: per non-voto si intende schede bianche, o preferibilmente nulle (per evitare “appropriamenti indebiti”), non si intende assolutamente di non andare a votare. Alle urne bisogna recarsi fisicamente, per fare la propria parte. Se poi non c’è nessuno che riteniamo degno di rappresentarci (persona o partito fa poca differenza), annulliamo semplicemente la scheda e torniamo a casa.

Certo, non è facile rinunciare al diritto di far sentire la propria voce, ma dobbiamo renderci conto che un non-voto di questo tipo è forse la voce più potente che si possa esprimere nella nostra attuale situazione, mentre usufruire di quel diritto senza avere una reale scelta di fronte è solo una colossale presa in giro. Inizialmente, le bianche e le nulle potranno anche finire nel calderone degli altri (si dividono persino quelle, pur di rafforzare la loro legittimazione), ma quando le quote di voti effettivi cominciassero davvero a calare, nessun politico potrebbe permettersi di andare al governo senza un reale mandato.

Lo strumento per governare correttamente ce l’abbiamo, dobbiamo solo capovolgerlo prima dell’uso.

Massimo Mazzucco -

27 aprile 2009

Israele, siluro sull'inchiesta Onu

onu

CRIMINI DI GUERRA A GAZA - «Commissione non imparziale», Tel Aviv chiude la porta a Goldstone

Nessuna collaborazione con gli ispettori che indagheranno su Piombo fuso
Tel Aviv non collaborerà con l'inchiesta delle Nazioni Unite sull'operazione «Piombo fuso», l'offensiva delle truppe israeliane che tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009 ha causato la morte di oltre 1.417 palestinesi (la maggior parte dei quali civili) nella Striscia di Gaza. «Israele ha informato il Consiglio dei diritti umani dell'Onu che non coopererà con un'indagine basata su una risoluzione non imparziale» ha dichiarato alla France presse un funzionario dello Stato ebraico che ha chiesto di restare anonimo. Hamas al contrario - riferisce il quotidiano Ha'aretz - ha fatto sapere di essere pronta a cooperare con la squadra guidata da Richard Goldstone, il giudice sudafricano (ex procuratore dei tribunali per i crimini di guerra commessi in Ruanda ed Ex Yugoslavia) che guiderà gli investigatori attesi tra qualche settimana nella regione e il cui rapporto al Consiglio è previsto per il luglio prossimo.
La lettera che ufficializza il diniego è stata spedita, attraverso l'ambasciata israeliana a Ginevra, a Goldstone e alla sede dell'Agenzia dell'Onu che si occupa dei diritti umani. Senza la collaborazione da parte delle autorità israeliane, per gli investigatori di Goldstone sarà più difficile raccogliere prove sulle armi utilizzate contro Gaza, su condotte criminali da parte dei soldati e su eventuali ordini che le hanno causate. Già da qualche giorno si era capito che i responsabili dei massacri di Gaza avevano intenzione di mettere il bastone tra le ruote all'iniziativa del Consiglio, di cui fanno parte 47 paesi: «L'indagine non ha alcuna base morale, perché già prima di essere iniziata ha deciso chi è colpevole e di cosa» aveva tagliato corto qualche giorno fa Yigal Palmor, il portavoce del ministero degli esteri.
All'allora governo Olmert proprio non era andata giù la risoluzione, adottata dal Consiglio dei diritti umani il 12 gennaio scorso, che condannava l'offensiva militare e chiedeva la fine dei bombardamenti. Eppure Goldstone, che si era detto «scioccato» per l'incarico affidatogli - a causa della sua collaborazione con istituzioni israeliane (tra cui l'università ebraica di Gerusalemme) - aveva fatto di tutto per non suscitare il sospetto delle autorità israeliane. Mentre il mandato gli chiede d'indagare sulla condotta delle truppe di Tel Aviv nei 22 giorni di attacco a Gaza, il giudice aveva dichiarato di voler prendere in esame tutte le presunte violazioni (anche i lanci di razzi da parte di Hamas) e di voler estendere il raggio temporale dell'inchiesta al periodo precedente l'attacco, per spiegarne il contesto.
Le organizzazioni non governative palestinesi e internazionali - tra cui Amnesty international e Human rights watch - hanno raccolto indizi che accusano l'esercito di aver bombardato aree densamente popolate, utilizzato munizioni al fosforo bianco su zone abitate, impiegato palestinesi come scudi umani, aver effettuato esecuzioni extragiudiziali. Anche Hamas è stata accusata per il lancio di razzi in territorio israeliano e di aver utilizzato scudi umani.
Per le stesse accuse il procuratore della Corte penale internazionale (Icc) Luis Moreno Ocampo sta tuttora valutando se sussiste la possibilità di aprire un'indagine contro Tel Aviv in base alle denunce presentate da decine di ong.
Intanto continua l'opera di sdoganamento di Hamas, considerata «organizzazione terroristica» dalla Comunità internazionale ma con cui sempre più governi iniziano a intavolare trattative. Ieri il leader palestinese Khaled Meshaal, a capo dell'ufficio politico del movimento islamico in esilio, ha incontrato a Damasco una nuova delegazione parlamentare britannica, nel terzo meeting del genere nell'arco di un mese. In un comunicato, Hamas precisa che la delegazione guidata dall'onorevole Roger Godsiff ha incontrato Meshaal e altri rappresentanti di Hamas.

«È una visita che s'inserisce nel quadro degli sforzi europei per aprire canali di dialogo con Hamas al fine di comprendere nel profondo, attraverso un dialogo diretto col movimento, la nostra causa», si legge nel testo. Hamas figura dal 2003 nella lista dell'Unione europea delle organizzazioni terroristiche, eppure Meshaal aveva già incontrato a Damasco nel marzo scorso deputati europei. «I membri della delegazione britannica - prosegue il comunicato - hanno espresso la loro convinzione che nella regione non si può arrivare alla pace senza un dialogo con Hamas che si è conquistato la fiducia del popolo palestinese in modo democratico trasparente».


di Michelangelo Cocco

26 aprile 2009

Si delinea un confronto tra gli Stati Uniti ed Israele

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Si sta delineando un notevole confronto tra gli Stati Uniti ed Israele sulle scelte politiche che variano dalla Palestina all’Iran, secondo fonti dello State Department.

Il nuovo governo Likud / Yisrael Beiteinu d'Israele sta portando avanti un'agenda che va contro le politiche che gli Stati Uniti da lunga data stanno riservando al Medio Oriente. Il presidente del partito Yisrael Beiteinu, Avigdor Lieberman, nuovo Ministro degli Esteri israeliano, è considerato da una fonte dello State Department un “fascista est-europeo che pratica il razzismo”.

Le fonti dello State Department ora sono convinte che quello che a Washington è stato chiamato “Israel Lobby” presto si trasformerà in una “Likud / Lieberman Lobby”, ancor più problematica, che spingerà una politica pro-guerra e pro-coloni all'interno del Congresso e dell’Amministrazione di Barack Obama. Questa lobby, nuova e più aggressiva, userà il suo controllo soprattutto attraverso i deputati Steve Israele (Democratico-New York) e Mark Kirk (Repubblicano-Illinois), come anche attraverso il Senatore Charles Schumer (Democratico-New York), per assicurarsi che le nuove politiche d’Israele saranno trasmesse al Capo dello Staff della Casa Bianca, Rahm Emanuel ed al consulente capo di Obama, David Axelrod, e che loro agiranno di conseguenza.

Ci sono, in ogni modo, molti punti di potenziale rottura tra l'amministrazione Obama ed il nuovo governo israeliano, secondo le fonti dello State Department. Uno sarà l’interazione degli Stati Uniti con Hamas, il legittimo governo eletto della Palestina. Il termine del Presidente palestinese Mahmoud Abbas è scaduto ed attualmente il potere legittimo in Palestina appartiene a Hamas. Questo fatto politico significa che gli Stati Uniti hanno nessun’alternativa che parlare direttamente con Hamas.

C'è anche il fatto che Hamas è un partito che favorisce le urne elettorali e non i tradizionali modi medio-orientali di impossessarsi del potere, siano questi principi, generali, figure religiose, o semplici furfanti. Secondo fonti dello State Department, Hamas ha dato una lavata di capo anche agli Hezbollah del Libano, che in passato si erano opposti alla presa di potere attraverso elezioni nel Libano, affinché divenissero generalmente più democratici. Questo cambio si è realizzato, secondo le fonti, con Hezbollah ora completamente impegnato nel processo democratico.

La popolarità di Hamas, specialmente in seguito alla guerra genocida d'Israele contro Gaza, ha agitato i governi dell'Egitto, d’Arabia Saudita e, in minor modo, della Giordania, a causa del suo zelo a guadagnare il potere attraverso elezioni e non attraverso un colpo di stato. Fonti dello State Department dicono che se l'Egitto avesse oneste e democratiche elezioni, la Fratellanza Musulmana (Muslim Brotherhood), che dava vita a Hamas in Palestina, vincerebbe comodamente e la dittatura di Hosni Mubarak avrebbe presto fine. La stessa situazione esiste in Arabia Saudita, dove c’è nervosismo nella famiglia Saud a causa della popolarità di Hamas, che è vista come potenziale minaccia alla Casata dei Saud.

Il personale dello State Department, da osservazioni sul campo, è consapevole che il movimento Fatah di Abbas in Palestina è visto dalla maggioranza dei Palestinesi come corrotto e truffaldino, mentre Hamas è visto come pulito, vigoroso, ed attraente.

Un altro confronto che si mette in evidenza tra gli Stati Uniti e l'Israele riguarda le 200 testate nucleari di Israele. Con gli Stati Uniti occupati in trattative dirette sul nucleare con Iran ed Arabia Saudita, che richiedono un regime internazionale per l’approvvigionamento di combustibile per centrali nucleari, assieme alla tutela che tale tecnologia non può essere convertita per lo sviluppo di armi, c'è anche la probabilità che ci sarà una notevole spinta per creare nel Medio Oriente una zona libera dal nucleare. Se gli Stati Uniti investono in tale piano, vuol dire che l'Israele dovrà smantellare il suo arsenale nucleare. Dato il fatto, che funzionari dello State Department descrivono come “complesso suicida di Masada” d’Israele, tale piano sarà pressoché impossibile da realizzare, dato la svolta corrente d'Israele verso regole più teocratiche e di destra. Una fonte dello State Department lo mise così: "Noi non possiamo indirizzare il programma nucleare iraniano senza indirizzare il programma d’armamento nucleare israeliano."

Funzionari dei Servizi Segreti statunitensi sono anche preparati a smettere di considerare informazioni che arrivano alla CIA ed alle altre agenzie dal Mossad e dalle altre agenzie d’intelligenza israeliane. La nuova squadra che si sta insediando nel Directorate of National Intelligence e nella CIA è acutamente consapevole che gli israeliani hanno, come un membro lo mise, "una lunga storia di disseminazione ingannevole di disinformazione" a funzionari dei Servizi statunitensi, aggiungendo che mentre alcune fonti straniere hanno offerto "cattiva intelligenza distrattamente, Israele è stato intenzionalmente disonesto".

Ufficiali della Difesa statunitense fanno notare che Israele non può attaccare l'Iran senza collusione con gli Stati Uniti, che controllano lo spazio aereo sopra l’Iraq ed il Golfo Persico e qualsiasi aggressione aerea israeliana richiederebbe l’approvazione degli Stati Uniti. Sotto l'amministrazione presente questo scenario è improbabile, come viene riferito a WMR (Wayne Madsen Report).

"L'unico modo di Bibi Netanyahu per attaccare l'Iran è, se lui fosse rassicurato che l'Iran risponderà colpendo forze militari statunitensi nella regione, che costringerebbe gli Stati Uniti ad una risposta militare", disse un funzionario a WMR. Poi aggiunse, "Israele, da solo, non può intraprendere un attacco aereo sostenuto contro l'Iran".

Il Vicepresidente Joe Biden recentemente ha messo in guardia Israele dal condurre qualsiasi azione militare contro l'Iran.

Wayne Madsen

25 aprile 2009

La finanza pigliatutto con i soldi degli altri

Ora che i buoi sono scappati dalla stalla, le librerie sono piene di dotte riflessioni sui danni della finanziarizzazione sull’economia mondiale. Non sono però molti gli analisti che possono rivendicare coerenza di pensiero nella interpretazione dei fatti che hanno condotto alla attuale crisi.
Ronald Dore e Luciano Gallino sono tra quelli che, in tempi non sospetti, mentre prevaleva ancora il pensiero unico del liberismo dominante, avevano lucidamente messo in evidenza le distorsioni che si stavano determinando nella organizzazione delle economie e dei sistemi sociali, per effetto della prevalenza di un modello di capitalismo basato sulla deregolamentazione, sullo smantellamento degli istituti di welfare e sulla dominanza della rendita finanziaria rispetto all’industria.
Proprio per questa ragione, leggere i loro recenti contributi può essere un utile esercizio, non solo per approfondire l’analisi sui fattori fondamentali alla base della crisi economica in corso, ma anche per cercare di capire quale ricetta venga proposta ora da parte di chi, con maggiore credibilità rispetto ad altri, aveva colto i segni di una condizione di insostenibilità nascosta tra le pieghe della globalizzazione a senso unico.
Ronald Dore, nelle sue analisi sui diversi modelli di capitalismo, aveva già da tempo evidenziato le debolezze strutturali del sistema anglosassone, fondato sulla instabilità di meccanismi finanziari fortemente deregolamentati, rispetto al sistema europeo di welfare, proprio negli anni in cui, a cavallo tra il vecchio ed il nuovo secolo, si operava una sistematica demolizione delle reti di protezione sociale che sono state alla base del capitalismo ben temperato, tipico dell’approccio sociale dell’Europa continentale. Tra capitalismo di borsa e capitalismo di welfare, Dore chiedeva di scegliere la seconda opzione, quando invece il pensiero dominante esprimeva la convinzione di una irreversibile deriva verso il modello anglosassone.

Nel suo recente libro ("Finanza pigliatutto", Il Mulino, 2009, 9 euro) Ronald Dore torna su questi temi, partendo da una analisi delle ragioni strutturali che hanno condotto, nei passati decenni, ad una prevalenza della finanza sull’industria. Innanzitutto, occorre sottolineare che le attività finanziarie hanno assicurato, per diversi decenni, un livello di redditività tale da attrarre investimenti e risorse, in un processo di causazione cumulativa che è stato poi alla base della bolla finanziaria, alimentata dalla creazione di prodotti finanziari a rischio così elevato da non poter essere nemmeno dimensionato.
Analizzando la serie storica del reddito nazionale statunitense, Ronald Dore mostra che, fino al 1950, la quota dei profitti delle imprese finanziarie sul totale dei profitti era pari in media al 9,5%. Da allora è cominciata una accelerazione, sino a raggiungere il valore massimo nel 2002 (45%), con una successiva stabilizzazione ed un leggero arretramento negli anni più recenti, dovuto al manifestarsi dei primi segni della crisi finanziaria internazionale.
Si è affermata, nel capitalismo anglosassone prima e poi nel sistema economico internazionale, una cultura azionaria fondata sul profitto di breve periodo, sulla ricerca di opportunità di arricchimento rapido, sulla capacità di cogliere opportunità tattiche di massimizzazione della redditività rispetto a progetti di investimenti industriale a redditività differita. Gli stessi governi hanno promosso questa tendenza verso una apparente democratizzazione dell’azionariato, nella convinzione che un’offerta abbondante di capitale azionario avrebbe promosso l’innovazione e quindi la competitività. Nelle scelte delle imprese hanno cominciato a contare in modo decisivo le pressioni degli investitori istituzionali, che muovevano masse enormi di capitali alla continua ricerca della migliore redditività, schiacciando la prospettiva temporale del profitto atteso, sino a far governare in modo indiscusso il rendiconto trimestrale rispetto persino al bilancio annuale dell’impresa.

Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca la riflessione di Luciano Gallino, in "Con i soldi degli altri", (Einaudi, 2009, euro 17). I dati del processo di finanziarizzazione sono impressionanti: alla fine del 2007 il Pil del mondo ha superato i 54 trilioni di dollari, mentre la capitalizzazione delle borse mondiali ammontava a 61 trilioni e le obbligazioni pubbliche e private superavano i 60 trilioni. A giugno del 2008 il valore nominale della quota di derivati trattati nelle borse toccavano gli 80 trilioni di dollari, mentre quelli scambiati fuori mercato sfiorava i 684 trilioni: la somma dei derivati era quindi complessivamente pari a 764 trilioni di dollari, pari a 14 volte il Pil del mondo.
Il gioco della finanziarizzazione ha tracimato verso l’economia reale, influenzando le strategie delle imprese in modo decisivo e spostando la struttura dei risparmi degli individui verso scelte fortemente rischiose, spesso senza informare correttamente i cittadini sulle conseguenze di questi cambiamenti nelle strategie di portafoglio. I piani pensionistici sono passati su larga scala da schemi a beneficio definito a piani a contributo definito: mentre nel primo caso il contribuente sa di poter contare su un valore certo del proprio corrispettivo pensionistico, nel secondo tutto dipende dalla volatilità dei rendimenti assicurati dai fondi pensione.
Si è innescata in questo modo una ulteriore spirale perversa di avvitamento che oggi incide fortemente sulla crisi delle imprese industriali. Basti citare il caso della General Motors, la quale si è trovata nel 2009 ad avere solo 85.000 occupati negli Stati Uniti, mentre ai suoi fondi pensione fanno capo un milione di ex-dipendenti. Nel 1962 la GM aveva 460.000 dipendenti, la maggior parte in Usa, ed appena 40.000 pensionati. Nella previdenza privata di stampo anglosassone, l’incrocio tra squilibrio strutturale di dipendenti attivi e numero dei pensionati, unito alla volatilità al ribasso dei rendimenti delle attività finanziarie costituisce una mina vagante i cui effetti non sono ancora pienamente dispiegati.
Mentre cambiava radicalmente la struttura dei mercati finanziari, non si sono introdotte regole adeguate a fronteggiare con disciplina le trasformazioni intervenute. E oggi le banconote e le monete costituiscono solo il 3% del denaro circolante, mentre il restante 97% è interamente simbolico, a cominciare da quello depositato nei conti correnti o sui libretti di risparmio. Siamo in presenza di una mutazione genetica del sistema bancario in assenza di un tessuto di norme a protezione degli altissimi rischi che sono stati assunti in nome solo del profitto di brevissimo periodo. Scrive Gallino: “La funzione originaria del sistema bancario stava nel prendere in prestito da molti clienti piccole somme a un dato tasso di interesse, al fine di prestare grosse somme a pochi a un tasso di interesse più alto – contando sul fatto che è improbabile che i molti accorrano tutti assieme, nello stesso momento, a ritirare i loro depositi. Da tempo, per vari aspetti, tale funzione è caduta in secondo piano a fronte della possibilità assai più lucrosa di trasformare i prestiti in titoli commerciabili”.
Luciano Gallino propone una ricetta che consiste nell’indirizzare i capitali nelle mani degli investitori istituzionali verso investimenti socialmente responsabili, ed innanzitutto nella produzione di beni pubblici, a cominciare da infrastrutture di vario genere, dalle scuole ai trasporti. Inoltre, dovrebbero essere privilegiati investimenti produttivi a lungo termine, impiegando in questo modo ingenti risorse per migliorare la condizione del lavoro nel mondo, per farla uscire progressivamente dal percorso di mercificazione e di precarizzazione che ha caratterizzato la storia del lavoro negli ultimi decenni.
Insomma, dalle analisi di Ronald Dore e di Luciano Gallino torna di attualità la questione delle riforme di struttura, che per lungo tempo sono state messe in soffitta ipotizzando che il capitalismo della finanza e del profitto di breve periodo fossero l’unica opzione possibile. Ora, con la crisi squadernata davanti a noi, si tratta di tornare a disegnare forme di organizzazione economica maggiormente attente ai bisogni collettivi.


by megachip

I pirati del XXI secolo

Chi immaginava che nel 2009, i governi del mondo avrebbero dichiarato una nuova Guerra ai Pirati? Mentre leggete questo, la Marina Reale Britannica - appoggiata dalle navi di più di due dozzine di paesi, dagli USA alla Cina - sta navigando nelle acque somale per combattere degli uomini che ancora raffiguriamo come furfanti della pantomima del pappagallo sulla spalla. Presto combatteranno le navi somale ed anche inseguiranno i pirati sulla terraferma, in uno dei più disintegrati paesi sulla terra.

Ma dietro le stranezze da linguaggio dei pirati di questa storia, vi è uno scandalo non rivelato. La gente che i nostri governi etichettano come "una delle grandi minacce dei nostri tempi" hanno una storia straordinaria da raccontare - e qualche buon diritto dalla loro parte.

I pirati non sono mai stati affatto quel che pensiamo siano. Durante l'"età d'oro della pirateria" - dal 1650 al 1730 - l'idea del pirata come rapinatore insensato e selvaggio che oggi persiste è stata creata dal governo britannico in un grande sforzo di propaganda. Molte persone comuni la ritenevano falsa: i pirati erano spesso liberati con la forza dalla forca da folle sostenitrici. Perché? Cosa potevano capire che noi non possiamo?

Nel suo libro "Furfanti di tutti i paesi", lo storico Marcus Rediker studia attentamente le testimonianze per scoprirlo. Se allora diventavi un mercante o un marinaio - strappato dalle banchine dell'East End di Londra, giovane ed affamato - finivi in un inferno di legno galleggiante. Lavoravi tutte le ore su una nave ristretta e mezza affamata e se rallentavi il ritmo per un secondo, l'onnipotente capitano ti avrebbe frustato con il gatto a nove code. Se ti rilassavi regolarmente, potevi essere gettato in mare. Ed alla fine di mesi o anni di questo, eri spesso truffato sui tuoi salari.

I pirati sono state le prime persone a ribellarsi contro questo mondo. Si sono ammutinati contro i loro tirannici capitani - e hanno creato un modo diverso di operare sui mari. Una volta che avevano una nave, i pirati eleggevano i loro capitani e prendevano tutte le loro decisioni collettivamente. Suddividevano le loro ricompense in ciò che Rediker chiama "uno dei progetti più egualitari per la disposizione delle risorse che si trovi in qualsiasi luogo nel 18° secolo".

Comprendevano persino schiavi africani fuggiti e vivevano con loro come pari. I pirati dimostravano "piuttosto chiaramente" - e sovversivamente - che le navi non dovevano essere dirette nella maniera brutale ed oppressiva della marina mercantile e della marina reale". E' per questo che erano popolari, nonostante fossero dei ladri improduttivi.

Le parole di un pirata dell'età perduta - un giovane britannico di nome William Scott - dovrebbero risonare in questa nuova età della pirateria. Giusto prima di essere impiccato a Charleston, Sud Carolina, disse: "Quello che ho fatto è stato di impedire a me stesso di perire. Sono stato costretto ad entrare nella pirateria per vivere".

Nel 1991, il governo della Somalia - nel Corno d'Africa - crollò. Da allora i suoi 9 milioni di abitanti barcollano nell'inedia - e molte delle forze più ignobili del mondo occidentale hanno visto questo come una grande opportunità per rubare la riserva alimentare del paese e per scaricare i nostri residui radioattivi nei loro mari.

Si: residui radioattivi. Appena il governo era finito, delle misteriose navi europee cominciarono ad apparire al largo delle coste della Somalia, a scaricare grandi serbatoi nell'oceano. La popolazione costiera ad ammalarsi. Al principio soffrivano di strane infiammazioni della pelle, nausea e bambini deformi. Quindi, dopo lo tsunami del 2005, centinaia dei barili scaricati e sgocciolanti si depositarono sulla spiaggia. La gente cominciò a soffrire di malattie causate dall'irradiamento e più di 300 morirono.

Ahmedou Ould-Abdallah, l'inviato dell'ONU in Somalia, mi racconta: "Qualcuno sta scaricando qui materiale nucleare. Vi sono anche piombo e metalli pesanti come cadmio e mercurio - dite voi". Molto di questo è rintracciabile agli ospedali ed alle fabbriche europee, che pare lo passino alla mafia italiana perché lo "sistemi" a buon prezzo. Quando ho chiesto a Ould-Abdallah cosa stessero facendo su questo i governi europei, ha affermato con un sospiro: "Nulla. Non vi sono state nessuna rimozione, nessun risarcimento e nessuna prevenzione".

Allo stesso tempo, altre navi europee depredano i mari della Somalia della loro maggiore risorsa: il pesce. Abbiamo distrutto le nostre riserve di pesce con il sovrasfruttamento - ed ora siamo passati alle loro. Oltre $300 milioni di valore di tonno, gamberetti, aragoste ed altri animali marini vengono rubati ogni anno da grandi pescherecci che assalgono illegalmente i non protetti mari della Somalia.

I pescatori locali hanno perduto improvvisamente i loro mezzi di sussistenza e stanno soffrendo la fame. Mohammed Hussein, un pescatore della città di Marka, 100 km a sud di Mogadiscio, ha raccontato alla Reuters: "Se non si fa niente, presto non vi sarà molto pesce rimasto nelle nostre acque costiere".

Questo è il contesto del quale sono emersi gli uomini che chiamiamo "pirati". Tutti concordano che erano dei comuni pescatori somali che al principio hanno preso i motoscafi per cercare di dissuadere i trasportatori ed i pescherecci, o almeno levare su di essi una "tassa". Chiamano se stessi la Guardia Costiera Volontaria della Somalia - e non è difficile capire perché.

In una surreale intervista telefonica, uno dei leader dei pirati, Sugule Ali, ha dichiarato che il loro motivo era "fermare la pesca e lo scarico illegali nelle nostre acque ... Non ci consideriamo banditi del mare. Consideriamo che i banditi del mare siano quelli che pescano e scaricano illegalmente nei nostri mari e gettano immondizia nei nostri mari e portano armi nei nostri mari". William Scott comprenderebbe queste parole.

Non, questo non rende giustificabile la presa di ostaggi e, si, alcuni sono chiaramente soltanto dei banditi - specialmente quelli che hanno ritardato il traffico delle vettovaglie del Programma Mondiale Alimentare. Ma i "pirati" hanno l'appoggio schiacciante della popolazione locale per una ragione. Il sito di notizie somalo indipendente WardherNews ha condotto la migliore ricerca che abbiamo su quello che pensano i somali comuni - e ha scoperto che il 70% "appoggiava fortemente la pirateria come una forma di difesa nazionale delle acque territoriali del paese".

In America, durante la guerra rivoluzionaria, George Washington ed i padri fondatori dell'America pagavano dei pirati per proteggere le acque territoriali americane, perché non avevano nessuna marina o guardia costiera proprie. La maggior parte degli americani li appoggiava. E' così differente?

Ci aspettavamo che i somali affamati stessero fermi passivamente sulle loro spiagge, a remare con la pagaia nei nostri rifiuti nucleari e a guardarci portar via il loro pesce da mangiare nei ristoranti di Londra, Parigi e Roma? Non abbiamo agito per quei crimini - ma quando alcuni dei pescatori hanno reagito scompigliando il corridoio di transito per il 20% del rifornimento petrolifero mondiale, abbiamo cominciato a strillare dei "cattivi". Se vogliamo veramente occuparci della pirateria, dobbiamo fermarne la causa alla radice - i nostri crimini - prima di mandare le cannoniere ad estirpare i criminali della Somalia.

La storia della guerra alla pirateria del 2009 è stata riassunta nel modo migliore da un altro pirata, che visse e morì nel quarto secolo A.C. Fu catturato e portato da Alessandro Magno, che chiese di sapere "cosa intendesse prendendo possesso del mare". Il pirata sorrise e rispose: "Quel che tu intendi prendendo l'intera terra: ma poiché io lo compio con una piccola nave, vengo chiamato un ladro, mentre tu, che lo fai con una grande flotta, sei chiamato un imperatore".

Ancora una volta, oggi entrano in porto le nostre grandi flotte imperiali - ma chi è il rapinatore?

Johann Hari

24 aprile 2009

La crisi nel 2009 e il crollo del 2010



Molti analisti americani sostengono che il crollo definitivo dell’ economia americana potrebbe avere luogo alla fine di quest’ anno e sará ricordato come il crollo del 2009, ritengono gli esperti. Altri ancora, tra cui un esperto in scienze politiche russo, prevedono la stessa situazione. L’ America è senza dubbio in condizioni disperate, ma ció che piú lascia perplessi è la continua tendenza da parte degli stessi Stati Uniti a negare seccamente la gravitá della situazione ed a peggiorare le cose attraverso inutili piani di salvataggio e conflitti col resto del mondo, invece di affrontare la realtá che vuole la fine dell’ America come superpotenza, in conseguenza del fallimento del sistema economico. A questo punto sarebbe auspicabile che la nazione ponesse fine alle guerre (peraltro perse) col minor danno e massimo onore possibile. Non c’è nessuna ragione per perseverare in una linea politica che non vede vie d’ uscita. la cosa piú sensata per la sopravvivenza consiste nel delineare una nuova morale politica economica e finanziaria.

La profonda recessione che rasenta la depressione economica, di cui siamo stati testimoni fino ad ora, è causata dal crac del mercato immobiliare degli USA. Dal momento che altre nazioni industrializzate, specialmente in Europa, hanno tentato di imitare i sotterfugi dei dissoluti banchieri e finanzieri americani, il crollo dei sistemi economici, compresi i mercati e le banche delle suddette nazioni è stata la conseguenza piú immediata. L’ Islanda è stata la prima nazione a dichiarare bancarotta; il suo Prodotto Interno Lordo gravita intorno ai 6.5 miliardi di dollari, ma le banche hanno preso in prestito qualcosa come 65 miliardi di dollari, mentre i manager continuavano per la loro strada per inerzia. La Gran Bretagna, al contrario, non ha dichiarato bancarotta ufficialmente, ma tutti sanno che effettivamente di bancarotta si tratta in quanto sia le banche che le istituzioni finanziarie sono a terra.

In ogni caso questo è soltanto l’ inizio; per l’ autunno di quest’ anno gli esperti prevedono il crollo degli immobili commerciali per gli USA: i negozi chiudono e non c’è nessuno che li voglia prendere in affitto. Le aziende stanno riducendo al massimo le spese e sgombrando molti uffici, o chiudono definitivamente i battenti. Altissimi grattacieli stanno diventando edifici fantasma. Tutti questi beni immobiliari vengono ipotecati al limite, ma senza la prospettiva di entrate i prestiti risultano inefficaci, con le conseguenti temutissime perdite. Qui si tratta di assicurazione e riassicurazione, e le cifre di cui si parla sono da capogiro. È pressoché impossibile progettare un piano che si avvicini anche di poco alla risoluzione del problema. Col crollo del settore immobiliare si scatenerá l’ inferno, e se multinazionali come la General Motors e la Ford decideranno di chiudere i battenti, non si tratterá solamente di migliaia di migliaia di disoccupati ( anche se in questo caso l’ uso della parola ‘solamente’ puó sembrare privo di tatto). Due interi centri diventeranno centri fantasma. La situazione é terribile, ma se si conta il numero di mogli, bambini e genitori che dipendono da quelle rendite, è piú che terribile: diventa una situazione inimmaginabile. Tutto questo mentre corrotti e avidi banchieri della Bernie Madoff continuano a guadagnare miliardi (o forse milioni di miliardi) di dollari perché cosi sta scritto nei loro contratti.

Per di piú c’è addirittura il professor Igor Nikolavich Panarin che in un articolo del dicembre 2008 di Andrew Osborne del Wall Street Journal, non l’ ultimo dei furfanti quindi, sostiene che l’ anno prossimo sará ricordato come l’ anno del crollo, per cui gli USA saranno spaccati in sei entitá separate. Sempre secondo il professor Panarin, queste saranno costituite dalla Repubblica della California, la Repubblica dell’ America del Centro Nord, l’ America Atlantica e la Repubblica del Texas, mentre le Hawaii e l’ Alaska torneranno nelle mani della Russia.

Con i milioni di cinesi che vivono nella costa occidentale* (dove il numero giornaliero di persone che vi circolano è di oltre 5 milioni), la California sará, sempre secondo Panarin, sotto il controllo della Cina, mentre la Repubblica dell’ America Centro Nord fará parte del Canada, o comunque sará fortemente influenzata da quest’ ultima. L’ America Atlantica potrebbe essere annessa all’ Unione Europea, il Texas potrebbe far parte del Messico e le Hawaii potrebbero diventare parte della Cina o del Giappone.

Il professor Panarin è stato un esperto del KGB nonché professore in scienze politiche in Russia, decano dell’ Accademia Diplomatica del Ministero degli Esteri a Mosca e autore di diversi libri di geopolitica. Non si puó quindi dire che sia un inetto. In realtá aveva previsto questa situazione prima del tracollo economico iniziato l’ anno scorso, precisamente a Linz in Austria, nel settembre del 1998, davanti a 400 delegati, durante una conferenza sull’ utilizzo in guerra delle informazioni per ottenere vantaggi sul nemico. I presenti alla conferenza rimasero costernati; come lo stesso Panarin riferisce, vedendo sullo schermo la mappa degli Stati Uniti frammentata, centinaia di persone tra il pubblico rimasero alquanto sorprese. Piú tardi molti dei delegati gli chiesero di firmare copie della mappa. Il quadro è lo stesso di quando il dottore in scienze politiche Emmanuel Todd in 1976 fece la previsione del crollo dell’ Unione Sovietica 15 anni prima che il fatto avesse luogo, previsione che al tempo provocó le risa di molti.

Panarin non dice che la sua sia una conclusione inevitabile, ma soltanto che al momento c’è un 55-45 per cento di possibilitá che la disintegrazione si verifichi. Se effettivamente avrá luogo, sará caratterizzata da tre fattori; immigrazione di massa e declino economico e morale potrebbero scatenare una guerra civile e il crollo del dollaro giá il prossimo autunno. Intorno alla fine del giugno 2010, o i primi di luglio, gli USA saranno divisi in sei parti e si prevede una crisi politica e sociale provocata dalla situazione economica, finanziaria e demografica. Quando la situazione tenderá a degenerare, sostiene Panarin, gli stati piú ricchi rifiuteranno i fondi da parte del governo federale e ci sará la secessione: sommosse e infine la guerra civile saranno le conseguenze di tutto ció. Gli USA si divideranno per substrati etnici e ci sará la prevaricazione all’ interno del territorio da parte di poteri extranazionali. Tutto quello che i pachistani devono fare a quel punto è aspettare un pó finché l’ America non cesserá di impicciarsi nei loro affari, mentre il consigliere del generale Petraeus, David kilcullen, ritiene che il Pakistan potrebbe cadere nel giro di pochi mesi.

Non è facile concepire il crollo di un impero o di una superpotenza. Quando i suoi organi vitali vengono corrosi da termiti nel corso degli anni i risultati si vedono a lungo termine, soprattutto se la gente è asservita al potere e sfoggio di ricchezza da parte di chi governa. Quando il crollo arriva è dunque subitaneo e coglie la gente di sorpresa. ‘’Sono andato a dormire la notte scorsa e la mattina dopo al risveglio l’ Unione Sovietica non esisteva piú’’; nemmeno la piú potente macchina da guerra mai costruita ha potuto salvare quella nazione. Ricordate l’ impero britannico, su cui ‘’il sole non sarebbe mai potuto tramontare’’? Al contrario, il sole è decisamente tramontato, e soltanto 60 anni dopo la Gran Bretagna non solo è in bancarotta, ma è anche un supplemento degli USA: un potere di terz’ ordine che a sua volta potrebbe presto disintegrarsi con la secessione della Scozia. La storia è segnata dal crollo delle civiltá, imperi e superpotenze; le ossa delle quali pullulano nei mausolei nazionali.

Parte delle affermazioni del professor Panarin è supportata dal fatto che l’ amministrazione Bush ha approvato piani per l’ imposizione della corte marziale in caso di crollo economico o rivolte sociali che comportino l’ uso delle armi. Le previsioni di Panarin sembrano non solo plausibili, ma anche probabili se, come peraltro è risultato fino ad ora, questo scenario di decadenza diventerá reale. Stando a quanto dice Rand Clifford, gli USA hanno giá creato piani per recludere i cittadini ribelli in campi chiamati ‘’Rex 84’’, e servizi d’ emergenza per i membri del parlamento e le loro famiglie. In un comunicato del Phoenix Business Journal si dice:’’ Un comunicato dell’ esercito americano ed il War College parla della possibilitá di utilizzare le truppe statunitensi in caso di rivolte civili date dalla crisi economica, come nel caso di proteste contro le imprese ed il governo, oppure di corsa alle banche assediate. L’ articolo del giornale riporta le parole del War College:’’violenza di massa negli USA da parte dei cittadini costringerebbe la difesa a rivedere le prioritá al fine di garantire l’ ordine interno e la sicurezza delle persone’’. Bisogna peró dire che l’ esercito studia regolarmente piani da attuare in caso di situazioni estreme, pur risultando queste inverosimili.

L’ ultima parola a Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter e sostenitore di Obama:’’gli Stati Uniti stanno per avere milioni di disoccupati che dovranno affrontare difficoltá estreme, e questa situazione dovrebbe durare per un bel po’ di tempo, con la speranza che le cose prima o poi migliorino. Nello stesso tempo l’ opinione pubblica è consapevole che una parte considerevole di ricchezza è stata messa a disposizione di pochi, a livelli che non hanno precedenti nella storia degli USA: rivolte civili sono proprio verosimili’’.

Humayun Gahuar (esperto di scienze politiche di alto livello- e-mail: humayun.gauhar@gmail.com)

23 aprile 2009

Ripensare il mondo, per bio-regioni


Le città non devono sparire, ma cambiare, mettendosi al servizio delle loro bio-regioni. Così parlò Giuseppe Moretti, referente italiano dei bioregionalisti, intervistato da Daniel Tarozzi per Terranauta. Bioregionalismo? «E’ la possibilità di rinnovare la nostra cittadinanza sulla Terra, rispettando tutti gli esseri viventi». Da Francesco d’Assisi alla spirale della crisi planetaria: «La nostra non è un’ideologia, ma un’attitudine di buon senso e di umiltà». Meglio allora considerare la Terra come un insieme naturale di bio-regioni, regolate dal ciclo dell’acqua malgrado le devastazioni dell’homo tecnologicus: «Da quando l’uomo ha imparato a scheggiare le rocce per ricavarne punte di lancia, la tecnologia non ci ha mai lasciato. Ma la tecnologia, di per sé, è neutra: dipende dall’uso che ne se fa. E oggi, finalmente, possiamo scegliere».




Nata negli Usa negli anni ‘90 e i primi 250 gruppi e poi sviluppatasi in Messico, Canada, Sud America, Australia, Asia ed Europa, la corrente bioregionalista che vede tra i suoi terra-mondo1massimi interpreti l’inglese Etain Addey (autrice di “Una gioia silenziosa”) annovera tra i suoi antenati italiani i fondatori della rivista “AAM Terra Nuova”, aggregazione informale ora sfociata nella Rete Bioregionale Italiana, che ad ogni solstizio pubblica i “Quaderni di vita bioregionale” ed ogni equinozio il giornale “Lato selvatico”. «Appartengo alla cosiddetta generazione degli anni ’60, non ho mai smesso di scrutare le idee dei movimenti alternativi», racconta Moretti. «Conobbi l’idea bioregionale quando avevo già scelto di ritornare alla terra, dopo una parentesi di lavoro dipendente in città». Decisivi i contatti coi pionieri americani, come Peter Berg e Judy Golhaft.

Il bioregionalismo, spiega Moretti, considera il pianeta come un unico organismo vivente, suddiviso in bioregioni. «Sono le regioni naturali della terra, luoghi definiti per continuità di flora e di fauna o per interezza fluviale, grandi a sufficienza da sostenere un’ampia e complessa comunità di esseri viventi. L’uomo è parte integrante di tutto questo, non il suo signore e padrone: l’umiltà è saggezza, visto il divario tra la mente umana e quella della natura». Ri-abitare la terra con occhi nuovi, dunque. Percepire «l’importanza di vivere in un ambiente sano e diversificato» e comprendere che «dalla salute delle acque, dei boschi e del mondo animale dipende la nostra stessa salute», e che «dal diritto di libertà e giustizia sociale dei popoli dipende la nostra stessa libertà e giustizia».

«Ogni cosa è connessa l’una all’altra, su questa terra». Convizione che i buddisti fanno propria da migliaia di anni (i biologi da molto meno) e che ora i bioregionalisti ribadiscono, partendo dall’elemento più vitale: l’acqua. «Il ciclo dell’acqua – dice Moretti – fa della terra un unico grande bacino idrografico. E il bacino idrografico in cui ognuno etain-addey1di noi vive è il contesto della nostra pratica: un bacino idrografico è di fatto una bioregione, e viceversa. Prendersi cura del proprio bacino idrografico, della propria bioregione, significa quindi assumersi le proprie responsabilità, qui e ora, di fronte ai problemi che sono ormai su scala globale: ecco perché oggi è importante ri-abitare la terra in senso bioregionale».

Naturalmente, senza rifiutare scienza e tecnologia. «Oggi possiamo scegliere: di scaldare l’acqua con la legna o coi pannelli solari piuttosto che con l’energia fossile; possiamo scegliere di coltivarci parte del nostro cibo o acquistarlo da produttori ecologicamente consapevoli e liberi dagli ingranaggi speculativi globali, piuttosto che dalla grande distribuzione; possiamo scegliere di ignorare le mode e comprare solo le cose di cui abbiamo effettivamente bisogno, piuttosto che essere succubi di un sistema che fa del consumismo la propria ragione di essere. Dobbiamo ri-ascoltare la nostra natura selvatica: consumare senza sprecare, produrre senza distruggere, vivere e lasciar vivere».

Giuseppe Moretti e i bioregionalisti tifano per la Decrescita Felice, gli ecovillaggi, i seedsavers che custodiscono varietà antiche di semi; partecipano ai gruppi d’acquisto solidale e alla finanza etica, promuovono eco-tecnologie e prodotti a chilometri zero. «Le sorti del cambiamento non sono prerogativa di pochi, tutti possono incidere». Inutile aspettarsi miracoli dagli economisti: non hanno soluzioni, dice Moretti, a parte inventarsi «guazzabugli» grazie ai quali «a perderci sono sempre i più deboli». Non c’è da stare allegri: «Il mondo oggi è talmente imbevuto nel mito del potere, sia politico che economico o religioso, che difficilmente rinuncerà ai privilegi acquisiti».

Una rivoluzione culturale: a questo punta il bioregionalismo. «Non un cambiamento a livello di governi, ma un rivoltamento completo nel modo di intendere il nostro essere qui sulla terra». Illusioni da ex hippy? «Siamo una evoluzione di tutti quelli che con immaginazione, creatività e caparbietà hanno, nel corso del tempo, cercato di migliorare, sia spiritualmente che mentalmente, se stessi prima e la società poi, così da ridurre sia l’impronta umana sul pianeta che l’arroganza del potere e l’avidità di pochi sulla gente e sulla natura», constata Moretti. «Abbiamo fallito? Da quello che si vede sembra di sì, ma è vero anche che questo è un percorso lungo, che richiede tempo, pazienza e dedizione. L’importante è non smettere di ‘seminare’».

di Giuseppe Moretti

22 aprile 2009

Niels Harrit: «Altro che “pistola fumante”, c’è la “pistola carica” dell’11/9»



Harrit-Niels

Abbiamo visto di recente la
ricerca sulle polveri del WTC firmata tra gli altri dal professor Niels Harrit dell’Università di Copenaghen, un professore che ha la vocazione della nano-chimica, di cui è un esperto. Il clamore suscitato da questa ricerca ha portato il 6 aprile 2009 a una intervista di Harrit sul canale TV2 della tv pubblica danese, in seconda serata. Harrit è stato intervistato per 10 minuti durante il tg.
L’8 aprile, Harrit è stato di nuovo intervistato per sei minuti durante un programma del mattino di notizie e intrattenimento in diretta sulla stessa rete. In entrambe le occasioni Harrit ha potuto argomentare bene le proprie tesi con intervistatori aperti e corretti.

La prima intervista è stata sottotitolata in inglese e caricata su YouTube. Di seguito si può vedere l’intervista e la sua traduzione in italiano:

http://www.youtube.com/watch?v=8_tf25lx_3o





Intervista a Niels Harrit su TV2 News, Danimarca.


Alcuni ricercatori internazionali hanno trovato tracce di esplosivi in mezzo ai detriti del World Trade Center.
Un nuovo articolo scientifico conclude che gli impatti dei due aerei dirottati non causarono i crolli nel 2001.
Rivolgiamo la nostra attenzione all’11/9, il grande attacco su New York. Apparentemente i due impatti degli aeroplani non cagionarono il crollo delle torri, secondo quanto afferma un articolo scientifico da poco pubblicato.
I ricercatori hanno trovato dell’esplosivo detto nano-termite fra i resti, e non può provenire dagli aerei. Ritengono che svariate tonnellate di esplosivi siano state collocate negli edifici in precedenza.

Niels Harrit, lei e altri otto ricercatori stabilite in questo articolo che sia stata la nano-termite a far sì che questi edifici crollassero. Che cos’è la nano-termite?

«Abbiamo trovato nano-termite nei detriti. Non stiamo dicendo che sia stata usata soltanto nano-termite. La termite stessa risale al 1893. È una mistura di alluminio e polvere di ruggine, che reagisce fino a creare intenso calore. La reazione produce ferro, scaldato a 2500 °C. Questo può essere usato per fare saldature. Può essere anche usato per fondere altro ferro. Siccome le nanotecnologie rendono le cose più piccole, nella nano-termite, questa polvere del 1893 è ridotta in particelle minuscole, perfettamente mescolate. Quando queste reagiscono, l’intenso calore si sviluppa molto più velocemente. La nano-termite può essere mischiata con additivi per sprigionare un calore intenso, o fungere da efficacissimo esplosivo. Contiene più energia della dinamite, e può essere usata come combustibile per razzi.»

Ho cercato con Google “nano-termite”, e non è che si sia scritto molto su di essa. Si tratta di una sostanza scientifica ampiamente conosciuta? O è così nuova che gli altri scienziati la conoscono a malapena?

«È un nome collettivo per una classe di sostanze con alti livelli di energia. Se dei ricercatori civili (come lo sono io) non la conoscono abbastanza, è probabilmente perché non lavorano granché con gli esplosivi, come invece fanno gli scienziati militari. Dovrebbe chiedere a loro. Io non so quanta familiarità abbiano con le nanotecnologie.»

Quindi lei ha trovato questa sostanza nel WTC, perché pensa che abbia causato i crolli?

«Be’, è un esplosivo. Per cos’altro sarebbe dovuto essere lì?»

Lei ritiene che l’intenso calore abbia fuso la struttura di sostegno in acciaio dell’edificio, e abbia causato che gli edifici collassassero come un castello di carte?

«Non posso dire di preciso, visto che questa sostanza serve a entrambi gli scopi. Può esplodere e frantumare le cose, e può fonderle. Entrambi gli effetti furono probabilmente utilizzati, per come ho visto. Del metallo fuso si riversa fuori dalla Torre Sud diversi minuti prima del crollo. Questo indica che l’intera struttura era stata indebolita in precedenza. Poi i normali esplosivi entrarono in gioco. L’effettiva sequenza del crollo doveva essere sincronizzata alla perfezione, fin giù.»

Di quali quantità stiamo parlando?

«Grandi quantità. C’erano solo due aerei, ma tre grattacieli sono crollati. Sappiamo grosso modo quanta polvere fu generata. Le foto mostrano enormi quantità: tranne l’acciaio tutto fu polverizzato. E sappiamo grosso modo quanta termite incombusta abbiamo trovato. Questa è la “pistola carica”, un materiale che non si è acceso per qualche ragione. Stiamo parlando di tonnellate. Oltre 10 tonnellate, può darsi 100 tonnellate.»

Dieci tonnellate, può darsi cento tonnellate, in tre edifici? E queste sostanze non si trovano normalmente in simili edifici?

«No, no. Questi materiali sono estremamente avanzati.»

Come si fa a collocare un tale materiale in un grattacielo, su tutti i piani?

«Cioè come si fa a portarlo dentro?»

Sì.

«Con i pallet. Se dovessi trasportarlo i quelle quantità userei i pallet. Prenderei un carrello e li movimenterei su pallet.»

Perché questo non è stato scoperto prima?

«Da chi?»

Dai portieri, per esempio. Se sta facendo passare da 10 a 100 tonnellate di nano-termite, e la sta piazzando su tutti i piani, sono solo sorpreso che nessuno l’abbia notata.

«Da giornalista, dovrebbe indirizzare tale domanda alla società responsabile della sicurezza al WTC.»

Dunque lei non ha alcun dubbio che il materiale era presente?

«Non si può contraffare questo tipo di scienza. L’abbiamo trovata. Termite non ancora soggetta a reazioni.»

Quale accoglienza ha ricevuto il suo articolo nel mondo? Per me si tratta di conoscenza del tutto nuova.

«È stato pubblicato appena venerdì scorso. Perciò è troppo presto per dirlo. Ma l’articolo potrebbe non essere così inedito e singolare come le sembra. Centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo sanno da molto che i tre edifici sono stati demoliti. Questo era lampante. La nostra ricerca è solo l’ultimo chiodo sulla bara. Questa non è la “pistola fumante”, è la “pistola carica”. Ogni giorno, migliaia di persone comprendono che il WTC fu demolito. Questo è qualcosa che non si può fermare.»

Perché nessuno ha scoperto da prima che c’era nano-termite negli edifici? Son passati quasi dieci anni.

«Lei intende nella polvere?»

Sì.

«È stato per caso che qualcuno ha osservato la polvere al microscopio. Si tratta di minuscoli frammenti rossi. I più grandi misurano 1 mm, e possono essere visti a occhio nudo. Ma occorre il microscopio per vedere la maggior parte. È stato per caso che qualcuno li ha scoperti due anni fa. Ci sono voluti 18 mesi per preparare l’articolo scientifico cui lei si riferisce. È un articolo davvero completo basato su una ricerca minuziosa.»

Lei ha lavorato su questo per diversi anni, perché la cosa non le tornava?

«Sì, oltre due anni in effetti. Tutto è cominciato quando ho visto il crollo dell’Edificio 7, il terzo grattacielo. È crollato sette ore dopo le torri gemelle. E c’erano solo due aeroplani. Quando vedi un edificio di 47 piani, alto 186 metri, crollare in 6,5 secondi, e sei uno scienziato, pensi “cosa?”. Ho dovuto guardarlo ancora, e ancora. Ho toccato il tasto dieci volte, e la mia mandibola scendeva sempre più giù. Per prima cosa, non avevo mai sentito prima di quell’edificio. E non c’era nessuna ragione visibile per cui dovesse crollare in quel modo, direttamente giù, in 6,5 secondi. Non mi son dato pace da quel giorno.»

Sin dall’11/9 ci sono state speculazioni, e teorie del complotto. Cosa ha da dire ai telespettatori che sentono della sua ricerca e dicono “questa l’abbiamo già sentita, ci sono tante teorie del complotto”. Cosa direbbe per convincerli che questa è diversa?

«Penso che ci sia una sola teoria del complotto di cui valga la pena parlare, quella che riguarda i 19 dirottatori. Ritengo che i telespettatori debbano domandarsi quali prove abbiano visto a sostegno della teoria del complotto ufficiale. Se qualcuno ha visto delle prove, mi piacerebbe sentirlo in merito. Nessuno è stato formalmente incriminato. Nessuno è “wanted”. Il nostro lavoro dovrebbe portare a richiedere un’appropriata inchiesta criminale sugli attacchi terroristici dell’11/9, perché finora non c’è stata. La stiamo ancora aspettando. Noi speriamo che i nostri risultati saranno usati come una prova tecnica quando quel giorno verrà».

Niels Harrit, avvincente, grazie per essere intervenuto.

«È stato un piacere.»


di Pino Cabras

21 aprile 2009

Scoperto Echelon Italia

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Prove generali di stretto controllo telematico nei tribunali e Procure di tutta Italia. Genchi lo aveva capito: un grande orecchio e' in ascolto e con il nuovo Registro Generale Web l'operazione sara' completata. A realizzare gli apparati per conto di Via Arenula sono alcune big finite nelle inchieste Why Not e Poseidone. Ecco in esclusiva la storia vera dei protagonisti di questo inedito Echelon a Palazzo di Giustizia. Vicende che ci riportano lontano. Fino a misteri di Stato come la strage di Ustica ed il massacro di via D'Amelio.

C'erano una volta i rendez vous segreti nelle suite super riservate dei grandi alberghi. A Roma era l'Excelsior, a Napoli una fra le quattro-cinque perle del lungomare. Nella capitale ricevevano gli uomini di Licio Gelli - quando non direttamente il Venerabile in persona - per impartire quelle direttive stabilite in luoghi ancora piu' elevati che poi i diversi referenti, tutti d'altissimo rango (compresi capi dei governi e della magistratura)... dovevano portare avanti per orientare il corso della storia. Cos'altro era, per esempio, il summit che si tenne al largo di Civitavecchia sul panfilo Britannia della regina Elisabetta il 2 giugno del 1992, quando fu decisa quella colonizzazione selvaggia dell'Italia - attuata a suon di privatizzazioni senza soluzioni di continuita' prima da Prodi e poi da Berlusconi - di cui ancora oggi scontiamo gli effetti? E cos'altro fu a Napoli, dentro il prive' a un passo dal cielo con vista sul golfo, quella sorta di “tribunale preventivo” nel quale, al primo scoppio serio di Tangentopoli, nel 1993 vennero convocati i proconsoli democristiani e socialisti per imporre loro di accettare un lauto vitalizio dopo essersi accollati le malefatte giudiziarie dei rispettivi leader politici?

Piccoli squarci di luce sotto un velame oscuro che si e' fatto nel tempo sempre piu' plumbeo, ma anche piu' sofisticato grazie all'uso ardito e sapiente di tecnologie solo vent'anni fa impensabili. Cosi' a fine anni ottanta, mentre gli americani sperimentavano il controllo a tappeto dei miliardi di abitanti del pianeta collaudando la piu' straordinaria rete spionistica telematica che fosse mai stata immaginata - Echelon - prima solo in ambito militare, poi estesa anche ad usi civili, in Italia per decidere le sorti della giustizia ed incanalare il destino dei processi era ancora necessario ricorrere ad incontri vis a vis, sfruttando canali di mediazione come le agape massoniche o i pizzini orali, passati di bocca in bocca tra colletti bianchi e intermediari mafiosi.
Da tempo non e' piu' cosi'. Almeno da quando, una decina di anni fa, il controllo telematico dei palazzi di giustizia italiani ha cominciato a diventare una rete che avviluppa, scruta e controlla tutto, dai piani alti della Cassazione alla scrivania dell'ultimo cancelliere, dalle Alpi alla Sicilia. Dopo il monitoraggio minuto per minuto delle operazioni finanziarie - che avvengono ormai esclusivamente on line da un capo all'altro del mondo - ora qualcuno sta cercando di tracciare ed orientare definitivamente anche le sorti dell'intero sistema giudiziario nel Belpaese. Al punto che, a distanza di appena quattro-cinque anni dagli spionaggi alla Pio Pompa o alla Tavaroli, il quadro e' un altro: oggi non serve piu' spiare, basta entrare nella rete dalla porta giusta, mettersi in ascolto. E poi decidere.


Ne e' passata insomma di acqua sotto i ponti da quel quel luglio del 1992, quando per coprire errori ed omissioni nel massacro di Capaci si rese “necessario” far saltare in aria anche Paolo Borsellino con tutta la sua scorta, lasciandoci dietro, ancora una volta, tutta una serie di tracce insanguinate, piccoli e grandi particolari cartacei fatti sparire troppo in fretta, come l'agenda rossa, portata via clamorosamente sotto gli occhi di tutti dal colonnello Arcangioli solo pochi minuti dopo l'eccidio. Un sistema, del resto, quello della “pulizia totale”, che compare come un macabro rituale anche in omicidi di quel tempo, quale quello del giornalista antimafia Beppe Alfano, nel 1993, la cui figlia Sonia racconta di quegli autentici plotoni di polizia e carabinieri entrati per ore a devastare armadi e cassetti di una famiglia ammutolita da un dolore lancinante ed improvviso, alla ricerca di carte, documenti, fascicoli, «quasi che il criminale fosse mio padre - racconta oggi Sonia - ancora a terra in una pozza di sangue, e non coloro che lo avevano atteso per ammmazzarlo».
Quella volta pero', quel 19 luglio 1992, era gia' in azione un vicequestore siciliano che nell'uso delle tecnologie informatiche era piu' avanti delle stesse barbe finte nostrane, ancora costrette a perquisizioni, pulizie, furti per occultare le prove dei crimini di Stato. Quel vicequestore si chiamava Gioacchino Genchi. E la sua storia, i violenti tentativi di zittirlo e delegittimarlo fino all'annientamento (come la repentina sospensione dal corpo di Polizia, che ha fatto sollevare l'opinione pubblica in tutta Italia), ci fa ripiombare di colpo dentro l'Italia di oggi, in un Paese dove per uccidere uno o due magistrati non e' piu' necessario spargere sangue. Perche' a tutto pensa il grande Echelon del sistema giudiziario italiano, Che ha - come vedremo - nomi, volti e terminali ben precisi.


IL PADRE DI ECHELON

E partiamo da un uomo che Echelon ha confessato di averlo realizzato per davvero. O, almeno, ha ammesso di aver collaborato alla messa a punto del Grande Orecchio americano. Quest'uomo si chiama Maurizio Poerio, e' un imprenditore nei sistemi informatici ad altissima specializzazione e su di lui si soffermano a lungo i pubblici ministeri salernitani che indagavano sui loro colleghi della procura di Catanzaro, messi sotto accusa con una mole impressionante di rilevanze investigative raccolte dall'allora pm Luigi De Magistris grazie anche alla consulenza prestata da Gioacchino Genchi.
Un nome, Poerio, una scatola nera che racchiude mille misteri. Ma cominciamo dall'oggi. E cominciamo dalle tante verbalizzazioni nelle quali De Magistris a Salerno dichiara apertamente che potrebbe essere stato spiato, che tutta la sua attivita' investigativa era stata probabilmente - o quasi certamente - monitorata fin dall'inizio. Non attraverso gli 007 dei Servizi, ma in maniera semplice e naturale, vale a dire attraverso la societa' privata che gestisce i sistemi informatici dell'intero pianeta giustizia in Italia. Questa societa' e' la la CM Sistemi. Appunto. Con una potentissima e storica diramazione - la CM Sistemi Sud - proprio in Calabria, regione dalla quale la attuale corporate aveva avuto origine negli anni ottanta. Ma anche la regione dove questa societa' si aggiudica da sempre l'appalto per la “cura” degli uffici giudiziari. E in cui risiede il suo amministratore delegato: quella stessa Enza Bruno Bossio, moglie del plenipotenziario Ds Nicola Adamo ma, soprattutto, pesantemente indagata prima nell'inchiesta Poseidone (il bubbone avocato a De Magistris in circostanze ancora tutte da chiarire sul piano della legittimita') e poi in Why Not. Perche' del colosso CM Sistemi Maurizio Poerio e' una colonna portante, capace di tessere ed orientare i rapporti con la pubblica amministrazione - leggi in particolare Via Arenula - come e' scritto, fra l'altro, nell'indicazione specifica delle sue mansioni: “consigliere delegato ai rapporti istituzionali”.


Ma Poerio non e' solo un manager dell'ICT (Information and Communication Technology) prestato alla CM. Il suo ruolo, come dimostra la perquisizione di De Magistris presso i suoi uffici romani, va ben oltre. L'11 settembre del 2006, interrogato nell'ambito di Poseidone, l'imprenditore calabrese prova a prendere le distanze da quella societa', che appare gia' dentro fino al collo nell'inchiesta giudiziaria. «Conosco molto bene - affermava rispondendo ad una precisa domanda - Marcello Pacifico, presidente della CM Sistemi, societa' per la quale ho collaborato attraverso un contratto di consulenza professionale». Un tentativo estremo di prendere il largo: da buon commercialista (e' iscritto all'ordine di Catanzaro) Poerio sapeva bene che sarebbe bastata una semplice visura camerale a smentirlo. Della romana CM Sistemi spa, infatti, oltre un milione e mezzo di capitale nel motore, il manager calabrese e' a tutti gli effetti consigliere d'amministrazione, all'interno di un organigramma che risulta quasi identico a quello della sua costola meridionale, la stessa CM Sistemi Sud capitanata dalla Bruno Bossio. Perche' allora parlare di semplici “consulenze”? Il fatto e' che la faccenda si stava facendo complicata. Dal momento che per la prima volta quel grande orecchio invisibile capace di scrutare dentro tutti gli uffici giudiziari italiani stava dando segnali concreti della sua esistenza. E in gioco - cominciava a capire De Magistris, ma ne era ben consapevole da tempo lo stesso Poerio - non c'era solo la storia degli appalti pilotati a Procure e tribunali della Calabria (gara “regolarmente” aggiudicata per l'ennesima voltra alla CM Sistemi Sud), ma la credibilita' dell'intero pianeta giustizia nel nostro Paese, se non addirittura i destini del sistema Italia. E questo, soprattutto per due principali motivi.


E' il consulente del pubblico ministero De Magistris, Pietro Sagona, ad illuminare i pm salernitani su alcune circostanze a dir poco imbarazzanti che riguardano la CM Sistemi (siamo al 7 aprile 2008, ma Sagona riferisce particolari che evidentemente erano gia' ben noti a Poerio e company): «Nell'ambito degli accertamenti da me espletati e' emersa la rilevanza del consorzio Tecnesud, destinatario di un finanziamento pubblico gia' in fase di stipula della convezione con il Ministero delle Attivita' Produttive, non stipulato soltanto a causa della mancanza di uno dei cinque certificati antimafia richiesti e pervenuti relativo alla societa' Forest srl titolare di un'iniziativa consorziata ed agevolata. Il finanziamento era di sessanta milioni di euro complessivi, otto dei quali a carico della Regione Calabria, il residuo a carico dello Stato». Del consorzio faceva parte anche la CM Sistemi. Ma perche' alla socia Forest non era stato rilasciato il certificato antimafia? Risponde Sagona: «Presidente della Forest era tale avvocato Giuseppe Luppino, nato a Gioia Tauro il 5 marzo 1959, nipote di Sorridente Emilio, classe 1927, ritenuto organicamente inserito nella consorteria mafiosa dei Piromalli-Mole'». E non e' finita: «il predetto Luppino risultava esser stato denunciato per gravi reati quali turbata liberta' degli incanti, favoreggiamento personale, falsita' ideologica ed associazione per delinquere di stampo mafioso» e sottoposto a procedimento penale a Palmi.


Ricapitolando: la CM Sistemi, talmente affidabile da vincere la gara d'appalto per l'informatizzazione di tutti gli uffici giudiziari nella regione Calabria, sedeva nel consorzio Tecnesud accanto ad una sigla, la Forest, riconducibile ad una fra le piu' pericolose cosche della ‘ndrangheta.
Una circostanza allarmante. Ma non l'unica. In quello stesso, fatidico interrogatorio dell'11 settembre 2006 Poerio, per accrescere la propria credibilita' di manager in rapporti transnazionali, non manco' di aggiungere: «Mi sono occupato per conto della I.T.S. di una serie di progetti per l'utilizzo di tecnologie per le informazioni satellitari per uso civile, quale ad esempio il progetto Echelon negli Stati Uniti d'America e GIS in Italia». Di sicuro, insomma, Poerio era un personaggio che in fatto di “controllo a distanza” poteva considerarsi fra i massimi esperti mondiali.


I FRATELLI DEL RE.GE.

Fu probabilmente proprio allora che la sensazione di essere spiato divento' per De Magistris qualcosa di piu' d'una semplice impressione. Con elementi che nel tempo andavano ad incastrarsi come tessere di un mosaico per confermare quella ipotesi. Sara' lo stesso ex pm a raccontarlo piu' volte ai colleghi salernitani, come si legge in alcune pagine delle sue lunghe verbalizzazioni riportate per esteso nell'ordinanza di perquisizione e sequestro emessa a carico della Procura di Catanzaro.
Il 24 settembre del 2008 De Magistris contestualizza innanzitutto tempi e personaggi di quel “sistema” che aveva il suo terminale dentro il ministero della Giustizia, retto nel 2007 dall'indagato di Why Not Clemente Mastella. Ed arriva al collegamento fra quest'ultimo e la CM Sistemi. Ci arriva attraverso un altro carrozzone politico destinatario di enormi provvidenze pubbliche in Calabria, il consorzio TESI, del quale faceva parte la societa' della Bruno Bossio (e quindi di Poerio): sempre lei, la regina CM. «Personaggio che ritenevo centrale quale anello di collegamento tra il Mastella ed ambienti politici ed istituzionali, oltre che professionali, in Calabria ed anche a Roma - dichiara De Magistris - era l'avvocato Fabrizio Criscuolo, il cui nominativo emergeva anche nelle agende e rubriche rinvenute durante le perquisizioni effettuate nei confronti del Saladino (il principale inquisito di Why Not Antonio Saladino, ndr). Nello studio associato Criscuolo presta servizio quale avvocato anche Pellegrino Mastella, figlio dell'ex-ministro». Ma non basta. «Il predetto Criscuolo risulta aver coperto la carica di consigliere d'amministrazione della Aeroporto Sant'Anna spa, con sede in Isola Capo Rizzuto, il cui presidente era il professor Giorgio Sganga, coinvolto nelle indagini Poseidone e Why Not in quanto compariva nell'ambito della compagine della societa' TESI» in compagnia, appunto, della CM. Insomma, da Mastella a Criscuolo, da Criscuolo a Sganga fino a TESI, dove ritroviamo la CM e gli appalti negli uffici giudiziari. Compresa la realizzazione del RE.GE, vale a dire lo strategico Registro Generale centralizzato nel quale pm e gip sono tenuti a riversare tutte le risultanze del loro lavoro, ma anche ad anticipare le iniziative giudiziarie (perquisizioni, sequestri etc.) che andranno ad effettuare di li' a poco.
Altro trait d'union fra gli artefici del Grande Orecchio in Procura e l'allora titolare di Via Arenula lo si rintraccia seguendo la carriera del secondo figlio di Mastella, Elio. «Dalle attivita' investigative che stavo espletando - precisa De Magistris - era emerso che Elio Mastella era dipendente, quale ingegnere, nella societa' Finmeccanica, oggetto di investigazioni nell'inchiesta Poseidone, societa' interessata anche ad ottenere il controllo, proprio durante il dicastero Mastella, dell'intero settore delle intercettazioni telefoniche». Ma in Finmeccanica «si evidenzia anche il ruolo di Franco Bonferroni (legatissimo a piduisti come Giancarlo Elia Valori e Luigi Bisignani, ndr) gia' destinatario di decreto di perquisizione e coinvolto nelle inchieste Poseidone e Why Not, nonche' il genero del gia' direttore del Sismi, il generale della GdF Nicolo' Pollari». E dire Finmeccanica significava in qualche modo tornare a Maurizio Poerio, che proprio insieme a quella societa' aveva preso parte a numerosi progetti internazionali, in primis quello denominato “Galileo”.


IL NEMICO TI ASCOLTA

Il 16 novembre 2007 De Magistris dichiara di aver acquisito elementi sull'attivita' di “monitoraggio” che andava avanti ai suoi danni (e questo spiegherebbe fra l'altro anche il rincorrersi di strane “anticipazioni”, come quando il pm apprese dell'avocazione del fascicolo Poseidone dalla telefonata di un giornalista dell'Ansa dopo che, a sua totale insaputa, la notizia era addirittura gia' stata pubblicata da un quotidiano locale): «spesso ho avuto l'impressione di essere anticipato, e questo sia in “Poseidone che in Why Not; si e' verificato, cioe' proprio mentre... appena arrivo al punto finale, le indagini vengono sottratte. Poi... intervenivano le interrogazioni parlamentari, e arrivavano gli ispettori, e arrivavano le missive. Cioe' sempre o di pari passo, o qualche volta addirittura in anticipo su quelle che potevano essere poi le mosse formali successive».
Ma le “fughe di notizie”, una volta trovato il sistema per realizzarle, potevano anche essere sapientemente pilotate: «ad un certo punto - dice De Magistris ai colleghi di Salerno nelle dichiarazioni rese a dicembre 2007 - penso che sia stata utilizzata la tecnica di “pilotare” una serie di fughe di notizie per poi attribuirle a me. Si facevano avere notizie anche a giornalisti che avevo conosciuto in modo tale da attribuire poi a me il ruolo di “fonte” di questi ultimi. Per non parlare delle gravi e reiterate fughe di notizie sulle audizioni al Csm anche in articoli pubblicati dal Corriere della Sera e da La Stampa: perfino la mia memoria, depositata con il crisma del protocollo riservato, e' stata riportata, in parte, virgolettata».
E cosi', grazie allo stesso, collaudato “orecchio”, puo' accadere anche che, alla vigilia di importanti e riservatissimi provvedimenti cautelari, i destinatari siano gia' ampiamente informati e mettano in atto adeguate contromisure. E se il metodo funziona, perche' non adottarlo anche in altre Procure, come a Santa Maria Capua Vetere? Torniamo a fine 2007, ai giorni caldi che precedettero le dimissioni di Mastella, il ritiro della fiducia al governo da parte dell'Udeur e la conseguente caduta dell'esecutivo Prodi. «Taluni quotidiani nazionali - osserva De Magistris - hanno riportato fatti dai quali si evincerebbe che lo stesso senatore Mastella o ambienti a lui vicinissimi abbiano contribuito, forse anche con l'ausilio di soggetti ricoprenti posti apicali al Ministero della Giustizia, a far trapelare la notizia degli imminenti arresti da parte della magistratura di Santa Maria Capua Vetere, o che comunque fossero al corrente del fatto e si adoperassero per predisporre una “strategia difensiva”. Del resto resoconti giornalistici informano che il senatore Mastella avesse gia' pronto un “ricco” discorso in Parlamento ed il consuocero (Bruno Camilleri, cui stava per essere notificata un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, ndr), la sera prima, si fosse ricoverato in una clinica».


DA POSEIDONE A USTICA

Come abbiamo visto, l'Echelon del 2000 non e' piu' la creatura misteriosa messa in piedi negli anni della guerra fredda dai pionieri della tecnologia. Oggi le apparecchiature avvolgono in una rete invisibile praticamente tutti i palazzi di giustizia. Ed il controllo e' centralizzato. Ovvio, allora, che se si intende “gestire” questo sistema garantendosi ogni possibilita' di accesso occulto (la parola spionaggio a questo punto perde anche di senso) occorre poter contare su garanti fidati. Persone che, per il loro passato, offrano i massimi requisiti di affidabilita' e riservatezza. E torniamo a Maurizio Poerio, le cui origini ci conducono lontano nel tempo. Fino a quel 27 giugno del 1980 quando il DC 9 Itavia caduto nei mari di Ustica con 81 persone a bordo avrebbe dovuto mostrare agli occhi del mondo le attivita' di terrorismo internazionale messe in atto dal nemico numero uno degli americani, il leader libico Muammar Gheddafi. Un punto chiave dentro quelle complesse indagini (che ancora oggi attendono una risposta univoca sui mandanti) fu il piccolo aereo libico, un MIG, caduto in quelle stesse ore nel territorio di Villaggio Mancuso, sulla Sila, comune di Castelsilano, al quale l'inchiesta di Rosario Priore dedica alcune centinaia di pagine. Perche' dalla data precisa del suo abbattimento (deducibile anche dai frammenti presenti sul posto) discendeva tutta la ricostruzione dello scenario di guerra in atto quella notte nei cieli d'Italia. Di particolare rilevanza per le indagini il fatto che quel territorio era assai vicino alla base logistica dell'Itavia e degli F16 militari. Un luogo scottante, dunque. Tanto che anche il capitolo sull'impresa che si aggiudico' i lavori per la raccolta e lo stoccaggio dei frammenti del velivolo libico presenta ancora oggi molti punti oscuri. A cominciare dal fatto che quella ditta fu chiamata a trattativa privata. Ed era in forte odor di mafia.
Passano alcuni anni. Nel ‘93, nell'ambito del Gruppo Mancuso, nasce la Minerva Airlines. «La societa', di proprieta' di Maurizio Poerio - annotano i cronisti qualche anno piu' tardi - si propone di valorizzare l'aeroporto di Crotone, ridotto ad “aeroprato” dopo essere stato base di Itavia e degli F16 militari».
47 anni, nato a Catanzaro (e verosimilmente imparentato col catanzarese Luigi Poerio, classe 1954, ingegnere edile ed iscritto alla Massoneria), Maurizio Poerio si laurea in economia a Bologna, poi si butta nell'alimentazione del bestiame: torna in Calabria e rileva la Mangimi Sila, piattaforma di lancio per i vertici di Confindustria dove restera' a lungo (al pm De Magistris racconta, fra l'altro, dei suoi rapporti professionali e d'amicizia con l'attuale leader Emma Marcegaglia). Minerva Airlines viene dichiarata fallita dal tribunale di Catanzaro a febbraio 2004. E Poerio andra' a rivestire ruoli sempre piu' apicali nelle principali business company dell'ICT, proiettando al tempo stesso la “sua” CM Sistemi dentro il cuore degli uffici giudiziari italiani.


DA WHY NOT A VIA D'AMELIO

«Altro che Grande Orecchio nei computer di Giacchino Genchi - dice un esperto in riferimento alle accuse rivolte al principale consulente informatico di De Magistris - la verita' e' che la centrale di ascolto ha oggi i suoi terminali al Ministero, nei Palazzi di Giustizia. E che Genchi tutto questo lo aveva scoperto da tempo». Il tempo che basta per capire le tante, impressionanti ricorrenze tra fatti e personaggi delle attuali inchieste calabresi ed il contesto di omissioni ed omerta' dentro cui maturarono, nel 1992, la strage di via D'Amelio e le successive, tortuose indagini. Alle quali prese parte proprio Gioacchino Genchi.
E' stato lui ad indicare senza mezzi termini l'allucinante sequenza delle “similitudini”, senza tuttavia fornire ulteriori particolari. E allora proviamo a ricostruirne qualcuno noi.
Cominciando magari dai Gesuiti, da quella Compagnia delle Opere onnipresente nelle inchieste di Catanzaro (basti pensare alla figura centrale di Antonio Saladino) che all'epoca di Falcone e Borsellino era incarnata a Palermo da padre Ennio Pintacuda, fondatore del Cerisdi, il Centro Ricerche e Studi Direzionali con sede in quello stesso Castello Utveggio che sovrasta Palermo. E nel quale aveva una sede di copertura, nel ‘92, anche quell'ufficio riservato del Sisde che avrebbe rivestito una parte rilevantissima nella strage. Fino al punto che - secondo molte accreditate ricostruzioni - il telecomando che innesco' l'autobomba poteva essere posizionato proprio all'interno del castello. Pochi minuti dopo l'eccidio Genchi effettua un sopralluogo proprio sul monte Pellegrino, a Castello Utveggio. Si legge nella sentenza del Borsellino bis: «Il dr. Genchi ha chiarito che l'ipotesi che il commando stragista potesse essere appostato nel castello Utevggio era stata formulata come ipotesi di lavoro investigativo che il suo gruppo considerava assai utile per ulteriori sviluppi».
Oggi il Cerisdi svolge rilevanti attivita' formative su incarico della Pubblica Amministrazione, prime fra tutti la Regione Calabria e la citta' di Palermo. Suo vicepresidente (per il numero uno va avanti da anni la disputa e la poltrona risulta vacante) e' un penalista palermitano, Raffaele Bonsignore, difensore di pezzi da novanta di Cosa Nostra. Ma anche del “giudice ammazzasentenze” Corrado Carnevale.


Co-fondatore del Centro Studi era stato negli anni novanta l'allora presidente dc della Regione Sicilia Rino Nicolosi: se la sua era un'investitura di carattere politico, di tutto rilievo operativo nel Cerisdi risultava invece la figura del suo braccio destro Sandro Musco, che si occupava fra l'altro di rapporti istituzionali e con le imprese. Massone, docente di filosofia, Musco e' oggi tra i principali referenti dell'Udeur in Sicilia.
Mastella, ancora lui. Il suo nome ricorre, non meno di quello del pentito Francesco Campanella, che ritroviamo nelle carte di Why Not. Fu proprio Musco a consegnare nelle mani di Mastella, durante la convention di Telese del 2005, la lettera privata in cui Campanella si gettava ai piedi del leader: «Carissimo Clemente, ti scrivo con il cuore gonfio di tantissime emozioni, esclusivamente per ringraziarti di cuore poiche' nella mia vita ho frequentato tantissima gente e intrattenuto innumerevoli rapporti, tanti evidentemente errati. Sei l'unica persona del mondo politico che ricordo con affetto, con stima, con estremo rispetto, perche' sei sempre stato come un padre per me, e resta in me enorme l'insegnamento della vita politica che mi hai trasmesso. (...) Affido questa lettera a Sandro che tra i tanti e' una persona che nella disgrazia mi e' stata vicina. Sappi che ripongo in lui speranza e fiducia per quello che potra' darti in termini di contributo. È certamente una persona integra di cui potersi fidare».

Il 3 gennaio 2008 Luigi De Magistris chiarisce ai pubblici ministeri salernitani Gabriella Nuzzi e Dionigi Verasani le circostanze in cui compare il nome di Francesco Campanella nell'inchiesta Poseidone: «venni a sapere che poteva essere utile escutere il collaboratore di giustizia Francesco Campanella che ha ricoperto un importante ruolo politico in Sicilia e che risultava essere anche in contatto con esponenti politici di primo piano, in particolare dell'Udc e dell'Udeur. Tale collaboratore mi rilascio' significative dichiarazioni con riguardo al finanziamento del partito dell'Udc e le modalita' con le quali veniva “reinvestito” il denaro, dalla “politica”, in circuiti di apparente legalita'. Dovevo escutere il Campanella, persona affiliata alla massoneria - che si stava ponendo in una posizione di assoluta rilevanza nell'ambito dell'organizzazione mafiosa denominata Cosa Nostra - del quale l'attuale Ministro della Giustizia e' stato testimone di nozze, in quanto aveva rilasciato all'autorita' giudiziaria di Palermo dichiarazioni con riguardo a presunte dazioni di denaro illecite con riferimento alle licenze Umts che vedevano, in qualche modo, coinvolti sia l'attuale Ministro della Giustizia Clemente Mastella che l'allora Presidente del Consiglio Massimo D'Alema».
Una circostanza che Mastella, quando era ministro della Giustizia, ha dovuto smentire in aula rispondendo alla domanda di un avvocato. Era Raffaele Bonsignore, vertice del Cerisdi. E difensore dell'imputato di Cosa Nostra Nino Mandala'.

da Rita Pennarola

30 aprile 2009

L'inevitabile default impero USA





Mentre Tremonti e la Marcegaglia affermano che ormai la crisi è passata, sempre fedeli a rilanciare ogni flebile sussurro della troppo-grande-per-fallire Goldman Sachs (vedremo fino a quando), le Borse rispondono con una netta caduta come non se ne vedevano da un po’. Mentre scriviamo, infatti, Milano perde il 4%. Oltreoceano, Citigroup prosegue le montagne russe con una perdita del 15% ed un ritorno a 3 dollari per azione.

Ampio risalto viene anche dato dai media alle dichiarazioni iraniane su Israele stato razzista. Ci sarebbe davvero molto da approfondire a riguardo, ma un post non basterebbe.

Nessuna parola invece sul GEAB Report numero 34, che eppure parla di cose molto interessanti, a partire dal prossimo default degli USA sul loro debito.

Come promesso nel post precedente, eccovi la seconda parte di tre. Se vi siete persi la prima parte, leggetela prima di procedere: racconta quella che sarà la Grande Fuga della Cina dal Dollaro.

Inevitabile default degli USA - GEAB 34 parte II

Tutti coloro che hanno letto la nostra Lettera Aperta ai leader del G20 pubblicata sul Financial Times il 24 Marzo (qui la nostra traduzione della lettera, NDFC) hanno già un’idea della nostra analisi di questo Summit di Londra. Ma dobbiamo ammettere che i risultati sono ancora peggiori di quanto immaginato.

[...]

Secondo LEAP/Europe2020, durante l’attuale crisi gli USA stanno scivolando giorno dopo giorno in una depressione che non ha pari nella storia della nazione e che sta arrivando ora al suo punto di rottura politico e sociale.

[...]



L’ipotetico appuntamento (del prossimo G20, NDFC) che hanno scelto per il loro prossimo incontro: a New York il prossimo Settembre, con l’occasione della Assemblea Generale annuale dell’ONU, è decisamente rivelatore.

Non hanno nemmeno concordato su uno specifico (tema dell’) incontro, per paura di dover tenere conto di quanto dichiarato a Londra, e perchè sanno per certo che non possono aggiungere altro a quanto detto a Londra.

All’interno della cornice delle Nazioni Unite, il G20 passerà sotto silenzio.

Inconsciamente, i leader del G20 hanno deciso di radunarsi a New York, a Settembre, al centro della crisi attuale, a pochi isolati da Wall Street e da Ground Zero… molto simbolico!

Il nostro team anticipa che, anzichè imbrigliare il processo della dislocazione geopolitica globale, probabilmente vedreanno i primi caotici passi dell’era postdollaro.

A New York, nel Settembre 2009, i leader del G20, così come tutti i leader che prenderanno parte alla Assemblea generale dell’ONU, saranno solo in grado di riconoscere la gravità della crisi che sta sopraffacendo gli USA, alle prese con povertà sociale (non è una buona notizia quando un cittadino americano su 2 dichiara di essere a due stipendi di distanza dalla bancarotta), violenza urbana e omicidi in crescita, peggioramento della recessione economica (già visibile nelle vie di manhattan)

…senza dubbio si focalizzeranno sul fallimento del piano di Obama di stimolo all’economia, volontariamente preso in ostaggio dai finanzieri di Wall Street, e punteranno ai prestiti del governo fuori controllo sotto gli effetti combinati di aumento della spesa e diminuzione dei redditi da tasse, come descritto in questo report.


Senza dubbio, questa processo riguarderà loro direttamente attraverso la crisi monetaria internazionale indotta dal default americano e dalla crisi del dollaro.

Ci concentreremo ora su quale sarà la forma che prenderà questo default.

[...]

Le 4 più probabili modalità di default USA

Il default americano puo’ prendere diverse forme in funzione di come sarà anticipato dalle autorità americane e dai loro principali creditori.

Abbiamo deciso di concentrarci su 4 di queste modalità, che probabilmente si combineranno tra loro. Le prime due si riferiscono a processi organizzati, mentre le ultime due sono processi caotici.

1) il FMI porta il budget federale sotto la sua ala (come fa sempre) e impone severi tagli di budget (probabilmente sulla spesa militare e sui programmi sociali) - questa è una opzione altamente improbabile a questo livello per ragioni politiche, con un significativo rischio di colpo di stato durante il processo.

2) il dipartimento del Tesoro decide di emettere buoni del Tesoro denominati in Euro, Yuan o Yen anzichè denominati in dollari. Questo è già accaduto (emissioni in Marchi e Yen) su scala minore alla fine degli anni 70, durante una precendente crisi del dollaro (incomparabile con quella attuale) - questa è l’opzione più soft, ma probabilmente insufficiente, perchè la quantità di bond da emettere provocherebbe seri problemi alle nazioni interessate. [...]

3) il valore del dollaro viene improvvisamente dimezzato nei confronti delle altre monete così che il governo americano puo’ finanziare il budget federale ed i suoi titoli in mani straniere con dollari deprezzati - questa opzione creerebbe un parallelo tra Obama e Nixon, anzichè Kennedy. Comunque, questa opzione ha certamente dei sostenitori a Washington perchè potrebbe essere la meno dolorosa in politica interna USA nel breve periodo.

4) a causa delle crescenti difficoltà nel vendere buoni del tesoro all’estero, la Fed deve aumentare il programma TARP, automaticamente avviando la svalutazione del dollaro, in cambio riducendo l’appetito degli investitori per i beni denominati in dollari - questa opzione è già avviata. La domanda è: finirà nel modo qui descritto o una o più delle altre opzioni si materializzeranno prima?

Le prime due opzioni necessitano una comunità internazionale coinvolta e ferma nel suo impegno.

Il G20 non mostra ottimismo a riguardo. Le ultime due, in pratica, consistono nel lasciare che gli eventi seguano il percorso della minore resistenza.

Questo tipo di approccio finisce sempre in disastro, ma è il più facile per tutti in fase iniziale.

di Felice Capretta

29 aprile 2009

Ecco come l'impero tesse la sua ragnatela

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Intervista a Eva Gollinger
«L'ingerenza Usa in Venezuela assumerà forme più insidiose: la nuova amministrazione ha già aumentato del 35% il finanziamento alla Usaid e alla Ned». Al centro sociale milanese Vittoria, l'avvocata statunitense-venezuelana Eva Golinger parla senza illusioni del nuovo governo Obama. Da anni, indaga il lato occulto di organizzazioni e fondazioni come l'United States Agency for International Development (Usaid), o la National Endowment for Democracy (il fondo nazionale per la democrazia, la Ned). L'ultimo suo libro in tema, scritto con il giornalista Romani Migus, s'intitola La teleraña imperial (La ragnatela dell'impero). Dopo Il codice Chavez «un'enciclopedia dell'ingerenza e della sovversione». Non si tratta però di un libro «di complotti - spiega l'autrice al manifesto -, ma di una mappa interattiva della complessa rete di fondazioni, imprese, forze armate, mezzi di comunicazione, organizzazioni non governative che difendono le classi dominanti: il lato oscuro del capitale. Stiamo organizzando - aggiunge - un centro di studi strategici, si accettano suggerimenti (fundacioncese@gmail.com)»

Come si evidenzia la ragnatela?

Nel direttivo di grandi multinazionali come Chevron o Carlyle Group figurano membri di organismi che si dicono indipendenti come Human Rights watch, Ford foundation, Freedom house, National endowment for democracy. Vi si ritrovano alti funzionari della Cia, del Dipartimento di stato, del Pentagono, che utilizzano ong come Sumate in Venezuela o altri partiti politici per i loro piani destabilizzanti, e li finanziano attraverso i loro alleati: l'Istituto repubblicano internazionale (Iri), la Fondazione Konrad Adenauer in Germania, la Fondacion Faes in Spagna... Istituti e agenzie come Usaid e Ned filtrano denaro a diversi gruppi in Venezuela, Bolivia, Ecuador e in oltre 70 paesi del mondo. In Venezuela oltre 350 organizzazioni, partiti politici, ong ricevono finanziamenti.

Dieci anni di governo Chavez e un nuovo corso per l'America latina. Cosa farà Obama?

Nel libro precedente ho mostrato le responsabilità di Washington nel colpo di stato dell'11 aprile 2002 in Venezuela. Nel 2004, gli Usa finanziarono con 10 milioni di dollari il referendum contro il presidente Chavez, che però vinse con un ampio margine. Perciò, nel 2005 Washington modificò la propria strategia, che oggi si basa su tre assi principali: politico, psicologico e militare. L'asse politico dell'ingerenza poggia sul cosiddetto sviluppo della democrazia: la Ned crea il movimento mondiale per la democrazia, e dentro una gran quantità di organizzazioni spagnole, tedesche, norvegesi portano avanti il loro lavoro di sovversione. Il secondo aspetto poggia sulla guerra mediatica: demonizzare Chavez serve a preparare l'opinione pubblica a un'eventuale aggressione militare. Contro il Venezuela in soli 4 anni di questa strategia, a forza di titoloni sui giornali, Chavez risulta un «dittatore», dagli Usa all'Europa. Nel 2008, Bush voleva inserire il Venezuela fra i paesi canaglia, ma c'era un problema serio: il petrolio. Il terzo aspetto è quello militare: l'anno scorso gli Usa hanno riattivato la Quarta flotta, un comando regionale che non era più presente dal 1950. Nel rapporto del nuovo capo della Cia, nominato da Obama, il Venezuela resta una minaccia.

Contro il Venezuela - lei scrive - gli Usa stanno organizzando un «golpe suave», un golpe morbido. In che modo?

Il modello è quello della rivoluzione arancione, inaugurata in Serbia, ripetuta in Georgia, in Ucraina, in Libano, tentata senza successo in Bielorussia nel 2007. Un processo di più lunga durata in cui attori e scopi non si identificano subito. In Serbia è comparso a un certo punto un simpatico movimento di giovani che lottava per la libertà e la democrazia, il gruppo si chiamava Otpor, Resistenza, ed era finanziato dalla Ned, la Usaid, l'Iri, l'Ndi, la Cia. C'era anche la Albert Einstein Institution (Aei), fondata da Gene Sharp, autore di libri sulla non-violenza. Solo che il direttore della fondazione è un colonnello dell'esercito Usa. Alcuni giovani venezuelani della classe medio-alta nel 2008 sono andati in Bolivia a sostenere il referendum separatista contro Morales a Santa Cruz. Poi comparve un gruppo simile alla Otpor anche in Venezuela: dietro, sempre Usaid, Ned e altre istituzioni europee come la Faes, vicina ad Aznar, a finanziare una massiccia strategia di marketing «giovane».

Anche Obama vuole balcanizzare l'America latina?

Il golpe morbido viene portato avanti sempre in paesi che hanno importanti risorse naturali, soffiando sul fuoco di conflitti regionali preesistenti, fomentando i separatismi, come nella ex-Yugoslavia. Nel caso del Venezuela, questa strategia si è concentrata nello stato petrolifero dello Zulia, il bastione dell'opposizione, e lì c'è un movimento indipendentista. In Bolivia nella zona della mezzaluna dove si trova Santa Cruz e sono concentrate tutte le risorse di gas e di acqua. In Ecuador il movimento separatista è a Guayaquil, sede del potere economico.



Perché il Venezuela resta una minaccia per gli Usa?

Perché possiede la maggior riserva petrolifera al mondo. Perché la politica estera del Venezuela è basata su integrazione, cooperazione e solidarietà e non sullo sfruttamento modello Fmi. Perché, come dice Chomsky, è la minaccia del buon esempio: in Venezuela milioni di invisibili oggi si fanno sentire.

28 aprile 2009

Democrazia capovolta

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Secondo la Costituzione il voto è un “dovere civico”. Ma poteva andare bene nel 1948.
Oggi è il non-voto a essere un dovere. Morale
Oggi di italiani contenti se ne trovano pochi.

Che siano di destra, di sinistra o indecisi, ormai quasi tutti sentono il fiato della crisi economica sul collo, e si lamentano sistematicamente ai quattro venti.“Paese di merda!” “Io me ne vado, qui non si può vivere”. “Siamo governati da una banda di delinquenti”.

Naturalmente lo sappiamo tutti che quella “banda di delinquenti” la votiamo noi, ma se qualcuno prova solo a suggerire di smettere di votarli, si sente rispondere con disdegno che "tanto non cambia nulla".

Il problema è tutto qui.

Cinismo, pigrizia mentale e pochezza morale concorrono ad una situazione paradossale che si potrebbe sintetizzare in questo modo: mi faccio del male da solo, ma non ho alternative, e quindi continuo a farmelo. Apparentemente, la cosa può sembrare vera: anche se uno non vota lo fanno tutti gli altri, e quindi il problema rimane. Un pò come agli incroci cittadini, che nell’ora di punta tutti occupano disordinatamente, pur di arrivare a casa “prima dell’altro”, invece di rispettare il semaforo. Se lo facessero tutti – dice ciascuno – io sarei il primo a rispettare il semaforo. Se invece lo fai da solo, non solo non serve a niente, ma ti prendi anche del cretino da quello dietro, che ti suona per farti passare a tutti i costi, nonostante il rosso. Dall’alto del suo palazzo il potente osserva soddisfatto i suoi popolani, che si scannano fra di loro invece di organizzarsi per un vantaggio comune.

Ora, finchè si tratta di intasare un incrocio “perchè tanto lo fanno tutti”, si perde al massimo un pò di tempo sulla strada di casa. Quando invece continui a votare dei delinquenti, “perchè tanto lo fanno tutti”, diventi un delinquente come loro. Il motivo è molto semplice: la nostra è una democrazia rappresentativa, nella quale tu eleggi un tuo concittadino perchè vada a rappresentare la tua volontà in parlamento. Se poi quel parlamento decide, ad esempio, di privatizzare l’acqua, lo avrà fatto in tuo nome, e quindi sarai tu a dover rispondere alla storia per aver rinunciato al libero uso di uno dei beni più essenziali di cui disponga l’umanità. E la cosa più divertente è che non solo non trarrai il minimo beneficio economico da questa privatizzazione, ma sarai proprio tu ad arricchire la nuova società dell’acqua, che da oggi dovrai pagare a peso d’oro.

Pensa che meraviglia: hai scelto qualcuno che rappresentasse la tua volontà, e costui ha deciso di danneggiarti in modo palese, sostanziale e duraturo. E tu alla fine del mandato, invece di chiedergli conto di quello che ha fatto, torni a votarlo dicendo che “tanto non c’è alternativa”. Nemmeno il peggiore dei masochisti arriverebbe a tanto. Qualcuno potrà obiettare che in realtà lui ha votato un partito, e che è stato il partito a scegliere chi mandare in parlamento. Ma il problema non cambia: se torni a votare un partito che in passato ha mandato delinquenti in parlamento, a) lo stai autorizzando a fare la stessa cosa, e b) implicitamente approvi quello che hanno fatto in passato.

E finora abbiamo parlato solo di acqua, ma quello che hanno fatto i nostri governi – sia di destra che di sinistra, indistintamente – negli ultimi 20 anni va ben oltre la privatizzazione di un bene comune. A partire dagli anni ‘90 i nostri governi hanno sistematicamente svenduto l’Italia agli stranieri, rendendoci ancora più schiavi del capitale estero, invece di liberarci una volta per tutte dalla morsa del piano Marshall.

A partire dagli anni ‘90 i nostri governi hanno sistematicamente soggiaciuto al potere del Vaticano, invece di liberarci una volta per tutte da una schiavitù – psicologica, morale e materiale – che dura da millenni. A partire dagli anni ’90, invece di proseguire sulla strada indicata da Tangentopoli, i nostri politici hanno ripreso, incrementato e perfezionato il sistema di spartizione del denaro pubblico, moltiplicando il livello di corruzione fino quasi ad istituzionalizzarlo: oggi non c’è pubblico incarico che non si muova senza un equivalente movimento di denaro, come naturalmente non c’è spesa pubblica che non contenga una quota sostanziale di tangenti, per ciascuno dei livelli coinvolti. Ne risulta che da una parte il cittadino lavora per mandare soldi allo stato, e dall’altra manda al governo gente che sistematicamente glielo ruba. A partire dagli anni ‘90 i nostri governi hanno mandato più volte in guerra i nostri soldati in palese violazione della nostra Costituzione. Ogni volta che l’Italia ha partecipato ad attacchi o invasioni di nazioni sovrane, inoltre, violava i più importanti accordi internazionali, e i più fondamentali principi del rispetto della vita umana.

Le chiamavano missioni di pace, ma da Aviano partivano bombardieri carichi di ordigni all’uranio impoverito, che venivano sganciati senza pietà sui civili della ex-Jugoslavia. Persino in una guerra convenzionale – per quanto legittima la si possa considerare - questo tipo di azioni sarebbe severamente proibito dalla Convenzione di Ginevra, a cui l’Italia ha aderito sin dal primo giorno. Abbiamo scelto a rappresentarci delle persone che hanno violato leggi, convenzioni e costituzioni, e che hanno ucciso distrutto e devastato nel nostro nome – rendendo noi stessi degli assassini - e noi torniamo tranquillamente a votarle, perchè “tanto non c’è alternativa”. La democrazia - ti dirà il solito cinico – è solo una presa in giro. In realtà è un sistema di controllo inventato apposta per illudere le masse di gestire il potere, mentre al potere ci saranno le stesse persone di sempre, alle quali delle masse non può importare di meno.

Ma siamo proprio sicuri, che non esista una alternativa? La democrazia infatti non è un obbligo, che ti impone di votare qualcuno a tutti costi, ma un privilegio, che ti permette di scegliere da chi vuoi essere rappresentato nella gestione della cosa pubblica. Se quindi vai alle urne, e non trovi nessuno degno di rappresentarti, semplicemente non voti per nessuno e torni a casa. Al massimo, avrai fatto una bella passeggiata fino alla scuola comunale.

è il principio di accettare per buona la rosa dei candidati che ci viene offerta, a farci concludere che “tanto non c’è niente da fare”. Certo, con quei candidati non ci sarà mai nulla da fare, che discorsi! Sono figli di un sistema marcio alla radice, che non poteva che generare gente dello stesso spessore morale. Quando mai uno scarafaggio ha dato luce a una farfalla? Ma non sta scritto da nessuna parte che si debbano accettare per forza quei candidati, nè i partiti che poi li sceglieranno. Se nessuno ti soddisfa, trattieni il tuo voto e torni a casa.

A questo punto il cinico dice: “non votare non serve a nulla, perchè tanto votano gli altri”. La prima risposta è questa: non importa se serve o non serve. Innanzitutto, non votare una classe politica criminale significa a) non approvare i loro crimini passati, e b) non autorizzarla a commetterne di nuovi. Questo già dovrebbe bastare, ad un individuo con un minimo di rettitudine morale.

In secondo luogo, bisogna vedere se davvero “non serve a nulla” trattenere il nostro voto, o se sia invece questo ragionamento a nullificare l’intero concetto di rappresentatività popolare. Perchè mai credete che i politici, che ignorano sistematicamente le nostre necessità quando stanno al governo, ci corrono dietro come delle mammolette appena inizia il periodo elettorale? Come si spiega che per cinque anni rubino svendano e distruggano a piacimento, senza minimamente curarsi di noi, ma poi diventino degli angioletti, pieni di belle parole e di buone intenzioni, in campagna elettorale? Proprio perchè la nostra è una democrazia rappresentativa, e senza il nostro voto loro non possono più fare nulla. Senza il nostro voto loro non esistono più.

A questo punto anche un bambino capirebbe che il coltello dalla parte del manico l’abbiamo noi, e che quindi saremmo perfettamente in grado di dettare le nostre condizioni, prima di dare quel voto. Invece ci sediamo incantati ad ascoltare le loro favolette, che parlano vagamente di “riforme”, di “crescita” e di “posti di lavoro”, e poi ci torturiamo per intere settimane per decidere chi sia meglio e chi sia peggio. Alla fine regaliamo il nostro voto al “meno peggio” – pur di non rinunciare a dire la nostra - e corriamo a casa per iniziare a bestemmiare contro di lui.

Questa non è democrazia. è criminalità organizzata. E le elezioni non sono un mandato a governare, ma un’autorizzazione a delinquere. Che firmiamo noi di nostro pugno, legislatura dopo legislatura.

Certo che la democrazia è una presa in giro, se praticata in questo modo, ma siamo noi a renderla tale, usandola senza ragionare, e senza il minimo senso di responsabilità. Se il politico ha un bisognotalmente disperato del nostro voto da arrivare a rendersi ridicolo, con le sue favolette elettorali, come si può pensare che non cambi nulla nel non darglielo? Se questa gente corre su e giù per l’Italia come un criceto impazzito, pur di raggranellare mezzo voto in più, vorrà dire che quei voti le servono a qualcosa, non credete? Le servono per tornare in quel posto meraviglioso dove prendi uno stipendio esorbitante per non fare nulla di utile, mentre gestisci con grande “elasticità” milioni di miliardi di euro prodotti dal sudore della gente che lavora. Chi non vorrebbe tornarci, in un posto del genere? E chi non sarebbe disposto a calpestare persino la madre, la moglie o la sorella, pur di farlo? Cosa vuoi che sia, firmare una leggiucola che privatizza l’acqua sorgiva, quando ho la possibilità di entrare in quota nella nuova società che la venderà a peso d’oro? Tanto - ragiona il politico - fra cinque anni chi mi ha votato non se ne ricorderà più, e al massimo sto fuori un turno, che mi serve per preparare meglio la mia rete di contatti, e rientrare alla grande in quello successivo. La vera alternanza politica è questa: chi ruba, e chi sta all’asciutto. Facciamo un po’ per uno, e lasciamo che sia il popolo a decidere ogni volta a chi tocca.

Ma questa non è democrazia, è criminalità organizzata, e le elezioni non sono un mandato a governare, ma una vera e propria autorizzazione a delinquere. Che firmiamo noi, di nostro pugno, legislatura dopo legislatura. D’altronde, finchè continueremo a dare il voto a questa gente, senza pretendere nulla in cambio, non potremo illuderci che costoro si sforzino di fare meglio la volta successiva. Perchè mai dovrebbero provarci? è quindi “votando comunque”, casomai, che non cambia niente. La democrazia prevede una forte responsabilità in chi demanda il proprio potere decisionale, e una responsabilità ancora maggiore in chi viene incaricato di esercitarlo. è quindi naturale che fra le due parti debba esserci prima un accordo chiaro e dettagliato, in modo da poter rispondere ciascuno delle proprie responsabilità, alla fine del mandato. Non si può mandare al governo gente che dice “farò le riforme” mentre si mette annoiata le dita nel naso, senza chiedergli di specificare tempi, modalità e termini precisi di tali riforme.

- Quali riforme farai, se vieni eletto?
- Farò la riforma della scuola.
- Bravo, ci voleva. E come la farai?
- Darò più soldi agli insegnanti, e aumenterò il budget per i libri scolastici.
- Benissimo, ma non mi basta. Toglierai i crocefissi dalle aule?
- Beh, insomma, proprio toglierli…. mi sembra un pò troppo.
- Perchè troppo? Non sei d’accordo che la loro presenza viola il diritto costituzionale delle altre religioni?
- Si va beh, tecnicamente parlando…
- La costituzione va rispettata, e se tu non intendi farlo io non ti voto.
- E per chi voti allora? Non credo che troverai qualcuno disposto a togliere i crocefissi dalle aule, in questo momento.
- Vorrà dire che aspetterò. Io non ho fretta. Sei tu che sbavi per avere il mio voto a tutti i costi, ma per me dartelo o non dartelo non cambia nulla, perchè si continuerà comunque con la stessa merda. Quindi me lo tengo, e ti faccio tanti auguri. Se fra cinque anni ci hai ripensato, fatti sentire.
- Ma scusa, se hai detto che per te non cambia niente, non potresti darmelo comunque il voto? Cosa ti costa, scusa?
- Mi costa che non voglio sentirmi responsabile di tutti i disastri che combinate. Saluti.
A quel punto magari succede che ti allontani, e dopo un pò ti senti richiamare.
- Senti, scusa…. Mi è venuta un’idea – ti dice il candidato, raggiungendoti ansimante.
- Dimmi.
- E se i crocefissi li facessimo spostare nei corridoi, invece che toglierli del tutto? Perchè sai, toglierli proprio la Chiesa non ci sta, e lì viene giù un casino. Se invece li convinciamo a spostarli nei corridoi, intanto abbiamo fatto un passo avanti, no?
- Si può fare. Ma tu sei in grado di convincerli a spostarli?
- Guarda, al 100% non te lo posso garantire, però a naso direi che la cosa è fattibile. Con la giusta delicatezza, e con i tempi giusti, credo che sia possibile.
- Entro cinque anni?
- Entro cinque anni.
- Va bene, ti do il voto. Fra cinque anni vedremo cosa sei riuscito a fare. Se li hai fatti spostare in corridoio, ti voto di nuovo per toglierli del tutto. Altrimenti comprati una canna da pesca, perchè hai finito di rappresentare la gente come me.

Ecco chi comanda, in democrazia. Siamo noi ad avere il coltello dalla parte del manico. Però dobbiamo sapere con precisione cosa vogliamo, prima di scegliere qualcuno che vada a farlo per nostro conto. Per poter utilizzare quel coltello nel modo giusto, infatti, dobbiamo poter chiedere conto al candidato del suo operato con estrema precisione, alla fine del mandato, e questo è possibile solo se i suoi impegni iniziali erano stati altrettanto precisi e dettagliati.

Sia chiaro: per non-voto non si intende affatto non andare a votare, ma recarsi regolarmente al seggio e ritirare la scheda. E poi riconsegnarla in bianco. O, ancora meglio, annullata. Così da evitare ogni rischio di “appropriamenti indebiti”.

Non c’è bisogno di limitare per legge - a due, o tre legislature - la presenza in parlamento dei deputati. Saremo noi a rimandarceli se ci hanno soddisfatto in quella precedente, e a cancellarli per sempre dalla lista dei “deputabili”, se invece hanno tradito i loro impegni. (Idem per i partiti, se votassimo quelli). Invece ce ne stiamo qui seduti come degli imbecilli a farci raccontare delle favolette senza senso, durante le campagne elettorali, e poi mandiamo questa gente al governo con un impegno talmente vago che non solo loro si fanno i porci comodi, ma alla fine noi non sappiamo nemmeno più con chi prendercela. Se ciascun cittadino rispettasse il semplice principio della democrazia rappresentativa, che prevede di eleggere chi si impegni a fare per tuo conto ciò che tu ritieni giusto – e non “il meno peggio” - i non-voti sarebbero talmente tanti che i politici sarebbero immediatamente obbligati a scendere a patti con il proprio elettorato. Sia chiaro: per non-voto si intende schede bianche, o preferibilmente nulle (per evitare “appropriamenti indebiti”), non si intende assolutamente di non andare a votare. Alle urne bisogna recarsi fisicamente, per fare la propria parte. Se poi non c’è nessuno che riteniamo degno di rappresentarci (persona o partito fa poca differenza), annulliamo semplicemente la scheda e torniamo a casa.

Certo, non è facile rinunciare al diritto di far sentire la propria voce, ma dobbiamo renderci conto che un non-voto di questo tipo è forse la voce più potente che si possa esprimere nella nostra attuale situazione, mentre usufruire di quel diritto senza avere una reale scelta di fronte è solo una colossale presa in giro. Inizialmente, le bianche e le nulle potranno anche finire nel calderone degli altri (si dividono persino quelle, pur di rafforzare la loro legittimazione), ma quando le quote di voti effettivi cominciassero davvero a calare, nessun politico potrebbe permettersi di andare al governo senza un reale mandato.

Lo strumento per governare correttamente ce l’abbiamo, dobbiamo solo capovolgerlo prima dell’uso.

Massimo Mazzucco -

27 aprile 2009

Israele, siluro sull'inchiesta Onu

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CRIMINI DI GUERRA A GAZA - «Commissione non imparziale», Tel Aviv chiude la porta a Goldstone

Nessuna collaborazione con gli ispettori che indagheranno su Piombo fuso
Tel Aviv non collaborerà con l'inchiesta delle Nazioni Unite sull'operazione «Piombo fuso», l'offensiva delle truppe israeliane che tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009 ha causato la morte di oltre 1.417 palestinesi (la maggior parte dei quali civili) nella Striscia di Gaza. «Israele ha informato il Consiglio dei diritti umani dell'Onu che non coopererà con un'indagine basata su una risoluzione non imparziale» ha dichiarato alla France presse un funzionario dello Stato ebraico che ha chiesto di restare anonimo. Hamas al contrario - riferisce il quotidiano Ha'aretz - ha fatto sapere di essere pronta a cooperare con la squadra guidata da Richard Goldstone, il giudice sudafricano (ex procuratore dei tribunali per i crimini di guerra commessi in Ruanda ed Ex Yugoslavia) che guiderà gli investigatori attesi tra qualche settimana nella regione e il cui rapporto al Consiglio è previsto per il luglio prossimo.
La lettera che ufficializza il diniego è stata spedita, attraverso l'ambasciata israeliana a Ginevra, a Goldstone e alla sede dell'Agenzia dell'Onu che si occupa dei diritti umani. Senza la collaborazione da parte delle autorità israeliane, per gli investigatori di Goldstone sarà più difficile raccogliere prove sulle armi utilizzate contro Gaza, su condotte criminali da parte dei soldati e su eventuali ordini che le hanno causate. Già da qualche giorno si era capito che i responsabili dei massacri di Gaza avevano intenzione di mettere il bastone tra le ruote all'iniziativa del Consiglio, di cui fanno parte 47 paesi: «L'indagine non ha alcuna base morale, perché già prima di essere iniziata ha deciso chi è colpevole e di cosa» aveva tagliato corto qualche giorno fa Yigal Palmor, il portavoce del ministero degli esteri.
All'allora governo Olmert proprio non era andata giù la risoluzione, adottata dal Consiglio dei diritti umani il 12 gennaio scorso, che condannava l'offensiva militare e chiedeva la fine dei bombardamenti. Eppure Goldstone, che si era detto «scioccato» per l'incarico affidatogli - a causa della sua collaborazione con istituzioni israeliane (tra cui l'università ebraica di Gerusalemme) - aveva fatto di tutto per non suscitare il sospetto delle autorità israeliane. Mentre il mandato gli chiede d'indagare sulla condotta delle truppe di Tel Aviv nei 22 giorni di attacco a Gaza, il giudice aveva dichiarato di voler prendere in esame tutte le presunte violazioni (anche i lanci di razzi da parte di Hamas) e di voler estendere il raggio temporale dell'inchiesta al periodo precedente l'attacco, per spiegarne il contesto.
Le organizzazioni non governative palestinesi e internazionali - tra cui Amnesty international e Human rights watch - hanno raccolto indizi che accusano l'esercito di aver bombardato aree densamente popolate, utilizzato munizioni al fosforo bianco su zone abitate, impiegato palestinesi come scudi umani, aver effettuato esecuzioni extragiudiziali. Anche Hamas è stata accusata per il lancio di razzi in territorio israeliano e di aver utilizzato scudi umani.
Per le stesse accuse il procuratore della Corte penale internazionale (Icc) Luis Moreno Ocampo sta tuttora valutando se sussiste la possibilità di aprire un'indagine contro Tel Aviv in base alle denunce presentate da decine di ong.
Intanto continua l'opera di sdoganamento di Hamas, considerata «organizzazione terroristica» dalla Comunità internazionale ma con cui sempre più governi iniziano a intavolare trattative. Ieri il leader palestinese Khaled Meshaal, a capo dell'ufficio politico del movimento islamico in esilio, ha incontrato a Damasco una nuova delegazione parlamentare britannica, nel terzo meeting del genere nell'arco di un mese. In un comunicato, Hamas precisa che la delegazione guidata dall'onorevole Roger Godsiff ha incontrato Meshaal e altri rappresentanti di Hamas.

«È una visita che s'inserisce nel quadro degli sforzi europei per aprire canali di dialogo con Hamas al fine di comprendere nel profondo, attraverso un dialogo diretto col movimento, la nostra causa», si legge nel testo. Hamas figura dal 2003 nella lista dell'Unione europea delle organizzazioni terroristiche, eppure Meshaal aveva già incontrato a Damasco nel marzo scorso deputati europei. «I membri della delegazione britannica - prosegue il comunicato - hanno espresso la loro convinzione che nella regione non si può arrivare alla pace senza un dialogo con Hamas che si è conquistato la fiducia del popolo palestinese in modo democratico trasparente».


di Michelangelo Cocco

26 aprile 2009

Si delinea un confronto tra gli Stati Uniti ed Israele

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Si sta delineando un notevole confronto tra gli Stati Uniti ed Israele sulle scelte politiche che variano dalla Palestina all’Iran, secondo fonti dello State Department.

Il nuovo governo Likud / Yisrael Beiteinu d'Israele sta portando avanti un'agenda che va contro le politiche che gli Stati Uniti da lunga data stanno riservando al Medio Oriente. Il presidente del partito Yisrael Beiteinu, Avigdor Lieberman, nuovo Ministro degli Esteri israeliano, è considerato da una fonte dello State Department un “fascista est-europeo che pratica il razzismo”.

Le fonti dello State Department ora sono convinte che quello che a Washington è stato chiamato “Israel Lobby” presto si trasformerà in una “Likud / Lieberman Lobby”, ancor più problematica, che spingerà una politica pro-guerra e pro-coloni all'interno del Congresso e dell’Amministrazione di Barack Obama. Questa lobby, nuova e più aggressiva, userà il suo controllo soprattutto attraverso i deputati Steve Israele (Democratico-New York) e Mark Kirk (Repubblicano-Illinois), come anche attraverso il Senatore Charles Schumer (Democratico-New York), per assicurarsi che le nuove politiche d’Israele saranno trasmesse al Capo dello Staff della Casa Bianca, Rahm Emanuel ed al consulente capo di Obama, David Axelrod, e che loro agiranno di conseguenza.

Ci sono, in ogni modo, molti punti di potenziale rottura tra l'amministrazione Obama ed il nuovo governo israeliano, secondo le fonti dello State Department. Uno sarà l’interazione degli Stati Uniti con Hamas, il legittimo governo eletto della Palestina. Il termine del Presidente palestinese Mahmoud Abbas è scaduto ed attualmente il potere legittimo in Palestina appartiene a Hamas. Questo fatto politico significa che gli Stati Uniti hanno nessun’alternativa che parlare direttamente con Hamas.

C'è anche il fatto che Hamas è un partito che favorisce le urne elettorali e non i tradizionali modi medio-orientali di impossessarsi del potere, siano questi principi, generali, figure religiose, o semplici furfanti. Secondo fonti dello State Department, Hamas ha dato una lavata di capo anche agli Hezbollah del Libano, che in passato si erano opposti alla presa di potere attraverso elezioni nel Libano, affinché divenissero generalmente più democratici. Questo cambio si è realizzato, secondo le fonti, con Hezbollah ora completamente impegnato nel processo democratico.

La popolarità di Hamas, specialmente in seguito alla guerra genocida d'Israele contro Gaza, ha agitato i governi dell'Egitto, d’Arabia Saudita e, in minor modo, della Giordania, a causa del suo zelo a guadagnare il potere attraverso elezioni e non attraverso un colpo di stato. Fonti dello State Department dicono che se l'Egitto avesse oneste e democratiche elezioni, la Fratellanza Musulmana (Muslim Brotherhood), che dava vita a Hamas in Palestina, vincerebbe comodamente e la dittatura di Hosni Mubarak avrebbe presto fine. La stessa situazione esiste in Arabia Saudita, dove c’è nervosismo nella famiglia Saud a causa della popolarità di Hamas, che è vista come potenziale minaccia alla Casata dei Saud.

Il personale dello State Department, da osservazioni sul campo, è consapevole che il movimento Fatah di Abbas in Palestina è visto dalla maggioranza dei Palestinesi come corrotto e truffaldino, mentre Hamas è visto come pulito, vigoroso, ed attraente.

Un altro confronto che si mette in evidenza tra gli Stati Uniti e l'Israele riguarda le 200 testate nucleari di Israele. Con gli Stati Uniti occupati in trattative dirette sul nucleare con Iran ed Arabia Saudita, che richiedono un regime internazionale per l’approvvigionamento di combustibile per centrali nucleari, assieme alla tutela che tale tecnologia non può essere convertita per lo sviluppo di armi, c'è anche la probabilità che ci sarà una notevole spinta per creare nel Medio Oriente una zona libera dal nucleare. Se gli Stati Uniti investono in tale piano, vuol dire che l'Israele dovrà smantellare il suo arsenale nucleare. Dato il fatto, che funzionari dello State Department descrivono come “complesso suicida di Masada” d’Israele, tale piano sarà pressoché impossibile da realizzare, dato la svolta corrente d'Israele verso regole più teocratiche e di destra. Una fonte dello State Department lo mise così: "Noi non possiamo indirizzare il programma nucleare iraniano senza indirizzare il programma d’armamento nucleare israeliano."

Funzionari dei Servizi Segreti statunitensi sono anche preparati a smettere di considerare informazioni che arrivano alla CIA ed alle altre agenzie dal Mossad e dalle altre agenzie d’intelligenza israeliane. La nuova squadra che si sta insediando nel Directorate of National Intelligence e nella CIA è acutamente consapevole che gli israeliani hanno, come un membro lo mise, "una lunga storia di disseminazione ingannevole di disinformazione" a funzionari dei Servizi statunitensi, aggiungendo che mentre alcune fonti straniere hanno offerto "cattiva intelligenza distrattamente, Israele è stato intenzionalmente disonesto".

Ufficiali della Difesa statunitense fanno notare che Israele non può attaccare l'Iran senza collusione con gli Stati Uniti, che controllano lo spazio aereo sopra l’Iraq ed il Golfo Persico e qualsiasi aggressione aerea israeliana richiederebbe l’approvazione degli Stati Uniti. Sotto l'amministrazione presente questo scenario è improbabile, come viene riferito a WMR (Wayne Madsen Report).

"L'unico modo di Bibi Netanyahu per attaccare l'Iran è, se lui fosse rassicurato che l'Iran risponderà colpendo forze militari statunitensi nella regione, che costringerebbe gli Stati Uniti ad una risposta militare", disse un funzionario a WMR. Poi aggiunse, "Israele, da solo, non può intraprendere un attacco aereo sostenuto contro l'Iran".

Il Vicepresidente Joe Biden recentemente ha messo in guardia Israele dal condurre qualsiasi azione militare contro l'Iran.

Wayne Madsen

25 aprile 2009

La finanza pigliatutto con i soldi degli altri

Ora che i buoi sono scappati dalla stalla, le librerie sono piene di dotte riflessioni sui danni della finanziarizzazione sull’economia mondiale. Non sono però molti gli analisti che possono rivendicare coerenza di pensiero nella interpretazione dei fatti che hanno condotto alla attuale crisi.
Ronald Dore e Luciano Gallino sono tra quelli che, in tempi non sospetti, mentre prevaleva ancora il pensiero unico del liberismo dominante, avevano lucidamente messo in evidenza le distorsioni che si stavano determinando nella organizzazione delle economie e dei sistemi sociali, per effetto della prevalenza di un modello di capitalismo basato sulla deregolamentazione, sullo smantellamento degli istituti di welfare e sulla dominanza della rendita finanziaria rispetto all’industria.
Proprio per questa ragione, leggere i loro recenti contributi può essere un utile esercizio, non solo per approfondire l’analisi sui fattori fondamentali alla base della crisi economica in corso, ma anche per cercare di capire quale ricetta venga proposta ora da parte di chi, con maggiore credibilità rispetto ad altri, aveva colto i segni di una condizione di insostenibilità nascosta tra le pieghe della globalizzazione a senso unico.
Ronald Dore, nelle sue analisi sui diversi modelli di capitalismo, aveva già da tempo evidenziato le debolezze strutturali del sistema anglosassone, fondato sulla instabilità di meccanismi finanziari fortemente deregolamentati, rispetto al sistema europeo di welfare, proprio negli anni in cui, a cavallo tra il vecchio ed il nuovo secolo, si operava una sistematica demolizione delle reti di protezione sociale che sono state alla base del capitalismo ben temperato, tipico dell’approccio sociale dell’Europa continentale. Tra capitalismo di borsa e capitalismo di welfare, Dore chiedeva di scegliere la seconda opzione, quando invece il pensiero dominante esprimeva la convinzione di una irreversibile deriva verso il modello anglosassone.

Nel suo recente libro ("Finanza pigliatutto", Il Mulino, 2009, 9 euro) Ronald Dore torna su questi temi, partendo da una analisi delle ragioni strutturali che hanno condotto, nei passati decenni, ad una prevalenza della finanza sull’industria. Innanzitutto, occorre sottolineare che le attività finanziarie hanno assicurato, per diversi decenni, un livello di redditività tale da attrarre investimenti e risorse, in un processo di causazione cumulativa che è stato poi alla base della bolla finanziaria, alimentata dalla creazione di prodotti finanziari a rischio così elevato da non poter essere nemmeno dimensionato.
Analizzando la serie storica del reddito nazionale statunitense, Ronald Dore mostra che, fino al 1950, la quota dei profitti delle imprese finanziarie sul totale dei profitti era pari in media al 9,5%. Da allora è cominciata una accelerazione, sino a raggiungere il valore massimo nel 2002 (45%), con una successiva stabilizzazione ed un leggero arretramento negli anni più recenti, dovuto al manifestarsi dei primi segni della crisi finanziaria internazionale.
Si è affermata, nel capitalismo anglosassone prima e poi nel sistema economico internazionale, una cultura azionaria fondata sul profitto di breve periodo, sulla ricerca di opportunità di arricchimento rapido, sulla capacità di cogliere opportunità tattiche di massimizzazione della redditività rispetto a progetti di investimenti industriale a redditività differita. Gli stessi governi hanno promosso questa tendenza verso una apparente democratizzazione dell’azionariato, nella convinzione che un’offerta abbondante di capitale azionario avrebbe promosso l’innovazione e quindi la competitività. Nelle scelte delle imprese hanno cominciato a contare in modo decisivo le pressioni degli investitori istituzionali, che muovevano masse enormi di capitali alla continua ricerca della migliore redditività, schiacciando la prospettiva temporale del profitto atteso, sino a far governare in modo indiscusso il rendiconto trimestrale rispetto persino al bilancio annuale dell’impresa.

Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca la riflessione di Luciano Gallino, in "Con i soldi degli altri", (Einaudi, 2009, euro 17). I dati del processo di finanziarizzazione sono impressionanti: alla fine del 2007 il Pil del mondo ha superato i 54 trilioni di dollari, mentre la capitalizzazione delle borse mondiali ammontava a 61 trilioni e le obbligazioni pubbliche e private superavano i 60 trilioni. A giugno del 2008 il valore nominale della quota di derivati trattati nelle borse toccavano gli 80 trilioni di dollari, mentre quelli scambiati fuori mercato sfiorava i 684 trilioni: la somma dei derivati era quindi complessivamente pari a 764 trilioni di dollari, pari a 14 volte il Pil del mondo.
Il gioco della finanziarizzazione ha tracimato verso l’economia reale, influenzando le strategie delle imprese in modo decisivo e spostando la struttura dei risparmi degli individui verso scelte fortemente rischiose, spesso senza informare correttamente i cittadini sulle conseguenze di questi cambiamenti nelle strategie di portafoglio. I piani pensionistici sono passati su larga scala da schemi a beneficio definito a piani a contributo definito: mentre nel primo caso il contribuente sa di poter contare su un valore certo del proprio corrispettivo pensionistico, nel secondo tutto dipende dalla volatilità dei rendimenti assicurati dai fondi pensione.
Si è innescata in questo modo una ulteriore spirale perversa di avvitamento che oggi incide fortemente sulla crisi delle imprese industriali. Basti citare il caso della General Motors, la quale si è trovata nel 2009 ad avere solo 85.000 occupati negli Stati Uniti, mentre ai suoi fondi pensione fanno capo un milione di ex-dipendenti. Nel 1962 la GM aveva 460.000 dipendenti, la maggior parte in Usa, ed appena 40.000 pensionati. Nella previdenza privata di stampo anglosassone, l’incrocio tra squilibrio strutturale di dipendenti attivi e numero dei pensionati, unito alla volatilità al ribasso dei rendimenti delle attività finanziarie costituisce una mina vagante i cui effetti non sono ancora pienamente dispiegati.
Mentre cambiava radicalmente la struttura dei mercati finanziari, non si sono introdotte regole adeguate a fronteggiare con disciplina le trasformazioni intervenute. E oggi le banconote e le monete costituiscono solo il 3% del denaro circolante, mentre il restante 97% è interamente simbolico, a cominciare da quello depositato nei conti correnti o sui libretti di risparmio. Siamo in presenza di una mutazione genetica del sistema bancario in assenza di un tessuto di norme a protezione degli altissimi rischi che sono stati assunti in nome solo del profitto di brevissimo periodo. Scrive Gallino: “La funzione originaria del sistema bancario stava nel prendere in prestito da molti clienti piccole somme a un dato tasso di interesse, al fine di prestare grosse somme a pochi a un tasso di interesse più alto – contando sul fatto che è improbabile che i molti accorrano tutti assieme, nello stesso momento, a ritirare i loro depositi. Da tempo, per vari aspetti, tale funzione è caduta in secondo piano a fronte della possibilità assai più lucrosa di trasformare i prestiti in titoli commerciabili”.
Luciano Gallino propone una ricetta che consiste nell’indirizzare i capitali nelle mani degli investitori istituzionali verso investimenti socialmente responsabili, ed innanzitutto nella produzione di beni pubblici, a cominciare da infrastrutture di vario genere, dalle scuole ai trasporti. Inoltre, dovrebbero essere privilegiati investimenti produttivi a lungo termine, impiegando in questo modo ingenti risorse per migliorare la condizione del lavoro nel mondo, per farla uscire progressivamente dal percorso di mercificazione e di precarizzazione che ha caratterizzato la storia del lavoro negli ultimi decenni.
Insomma, dalle analisi di Ronald Dore e di Luciano Gallino torna di attualità la questione delle riforme di struttura, che per lungo tempo sono state messe in soffitta ipotizzando che il capitalismo della finanza e del profitto di breve periodo fossero l’unica opzione possibile. Ora, con la crisi squadernata davanti a noi, si tratta di tornare a disegnare forme di organizzazione economica maggiormente attente ai bisogni collettivi.


by megachip

I pirati del XXI secolo

Chi immaginava che nel 2009, i governi del mondo avrebbero dichiarato una nuova Guerra ai Pirati? Mentre leggete questo, la Marina Reale Britannica - appoggiata dalle navi di più di due dozzine di paesi, dagli USA alla Cina - sta navigando nelle acque somale per combattere degli uomini che ancora raffiguriamo come furfanti della pantomima del pappagallo sulla spalla. Presto combatteranno le navi somale ed anche inseguiranno i pirati sulla terraferma, in uno dei più disintegrati paesi sulla terra.

Ma dietro le stranezze da linguaggio dei pirati di questa storia, vi è uno scandalo non rivelato. La gente che i nostri governi etichettano come "una delle grandi minacce dei nostri tempi" hanno una storia straordinaria da raccontare - e qualche buon diritto dalla loro parte.

I pirati non sono mai stati affatto quel che pensiamo siano. Durante l'"età d'oro della pirateria" - dal 1650 al 1730 - l'idea del pirata come rapinatore insensato e selvaggio che oggi persiste è stata creata dal governo britannico in un grande sforzo di propaganda. Molte persone comuni la ritenevano falsa: i pirati erano spesso liberati con la forza dalla forca da folle sostenitrici. Perché? Cosa potevano capire che noi non possiamo?

Nel suo libro "Furfanti di tutti i paesi", lo storico Marcus Rediker studia attentamente le testimonianze per scoprirlo. Se allora diventavi un mercante o un marinaio - strappato dalle banchine dell'East End di Londra, giovane ed affamato - finivi in un inferno di legno galleggiante. Lavoravi tutte le ore su una nave ristretta e mezza affamata e se rallentavi il ritmo per un secondo, l'onnipotente capitano ti avrebbe frustato con il gatto a nove code. Se ti rilassavi regolarmente, potevi essere gettato in mare. Ed alla fine di mesi o anni di questo, eri spesso truffato sui tuoi salari.

I pirati sono state le prime persone a ribellarsi contro questo mondo. Si sono ammutinati contro i loro tirannici capitani - e hanno creato un modo diverso di operare sui mari. Una volta che avevano una nave, i pirati eleggevano i loro capitani e prendevano tutte le loro decisioni collettivamente. Suddividevano le loro ricompense in ciò che Rediker chiama "uno dei progetti più egualitari per la disposizione delle risorse che si trovi in qualsiasi luogo nel 18° secolo".

Comprendevano persino schiavi africani fuggiti e vivevano con loro come pari. I pirati dimostravano "piuttosto chiaramente" - e sovversivamente - che le navi non dovevano essere dirette nella maniera brutale ed oppressiva della marina mercantile e della marina reale". E' per questo che erano popolari, nonostante fossero dei ladri improduttivi.

Le parole di un pirata dell'età perduta - un giovane britannico di nome William Scott - dovrebbero risonare in questa nuova età della pirateria. Giusto prima di essere impiccato a Charleston, Sud Carolina, disse: "Quello che ho fatto è stato di impedire a me stesso di perire. Sono stato costretto ad entrare nella pirateria per vivere".

Nel 1991, il governo della Somalia - nel Corno d'Africa - crollò. Da allora i suoi 9 milioni di abitanti barcollano nell'inedia - e molte delle forze più ignobili del mondo occidentale hanno visto questo come una grande opportunità per rubare la riserva alimentare del paese e per scaricare i nostri residui radioattivi nei loro mari.

Si: residui radioattivi. Appena il governo era finito, delle misteriose navi europee cominciarono ad apparire al largo delle coste della Somalia, a scaricare grandi serbatoi nell'oceano. La popolazione costiera ad ammalarsi. Al principio soffrivano di strane infiammazioni della pelle, nausea e bambini deformi. Quindi, dopo lo tsunami del 2005, centinaia dei barili scaricati e sgocciolanti si depositarono sulla spiaggia. La gente cominciò a soffrire di malattie causate dall'irradiamento e più di 300 morirono.

Ahmedou Ould-Abdallah, l'inviato dell'ONU in Somalia, mi racconta: "Qualcuno sta scaricando qui materiale nucleare. Vi sono anche piombo e metalli pesanti come cadmio e mercurio - dite voi". Molto di questo è rintracciabile agli ospedali ed alle fabbriche europee, che pare lo passino alla mafia italiana perché lo "sistemi" a buon prezzo. Quando ho chiesto a Ould-Abdallah cosa stessero facendo su questo i governi europei, ha affermato con un sospiro: "Nulla. Non vi sono state nessuna rimozione, nessun risarcimento e nessuna prevenzione".

Allo stesso tempo, altre navi europee depredano i mari della Somalia della loro maggiore risorsa: il pesce. Abbiamo distrutto le nostre riserve di pesce con il sovrasfruttamento - ed ora siamo passati alle loro. Oltre $300 milioni di valore di tonno, gamberetti, aragoste ed altri animali marini vengono rubati ogni anno da grandi pescherecci che assalgono illegalmente i non protetti mari della Somalia.

I pescatori locali hanno perduto improvvisamente i loro mezzi di sussistenza e stanno soffrendo la fame. Mohammed Hussein, un pescatore della città di Marka, 100 km a sud di Mogadiscio, ha raccontato alla Reuters: "Se non si fa niente, presto non vi sarà molto pesce rimasto nelle nostre acque costiere".

Questo è il contesto del quale sono emersi gli uomini che chiamiamo "pirati". Tutti concordano che erano dei comuni pescatori somali che al principio hanno preso i motoscafi per cercare di dissuadere i trasportatori ed i pescherecci, o almeno levare su di essi una "tassa". Chiamano se stessi la Guardia Costiera Volontaria della Somalia - e non è difficile capire perché.

In una surreale intervista telefonica, uno dei leader dei pirati, Sugule Ali, ha dichiarato che il loro motivo era "fermare la pesca e lo scarico illegali nelle nostre acque ... Non ci consideriamo banditi del mare. Consideriamo che i banditi del mare siano quelli che pescano e scaricano illegalmente nei nostri mari e gettano immondizia nei nostri mari e portano armi nei nostri mari". William Scott comprenderebbe queste parole.

Non, questo non rende giustificabile la presa di ostaggi e, si, alcuni sono chiaramente soltanto dei banditi - specialmente quelli che hanno ritardato il traffico delle vettovaglie del Programma Mondiale Alimentare. Ma i "pirati" hanno l'appoggio schiacciante della popolazione locale per una ragione. Il sito di notizie somalo indipendente WardherNews ha condotto la migliore ricerca che abbiamo su quello che pensano i somali comuni - e ha scoperto che il 70% "appoggiava fortemente la pirateria come una forma di difesa nazionale delle acque territoriali del paese".

In America, durante la guerra rivoluzionaria, George Washington ed i padri fondatori dell'America pagavano dei pirati per proteggere le acque territoriali americane, perché non avevano nessuna marina o guardia costiera proprie. La maggior parte degli americani li appoggiava. E' così differente?

Ci aspettavamo che i somali affamati stessero fermi passivamente sulle loro spiagge, a remare con la pagaia nei nostri rifiuti nucleari e a guardarci portar via il loro pesce da mangiare nei ristoranti di Londra, Parigi e Roma? Non abbiamo agito per quei crimini - ma quando alcuni dei pescatori hanno reagito scompigliando il corridoio di transito per il 20% del rifornimento petrolifero mondiale, abbiamo cominciato a strillare dei "cattivi". Se vogliamo veramente occuparci della pirateria, dobbiamo fermarne la causa alla radice - i nostri crimini - prima di mandare le cannoniere ad estirpare i criminali della Somalia.

La storia della guerra alla pirateria del 2009 è stata riassunta nel modo migliore da un altro pirata, che visse e morì nel quarto secolo A.C. Fu catturato e portato da Alessandro Magno, che chiese di sapere "cosa intendesse prendendo possesso del mare". Il pirata sorrise e rispose: "Quel che tu intendi prendendo l'intera terra: ma poiché io lo compio con una piccola nave, vengo chiamato un ladro, mentre tu, che lo fai con una grande flotta, sei chiamato un imperatore".

Ancora una volta, oggi entrano in porto le nostre grandi flotte imperiali - ma chi è il rapinatore?

Johann Hari

24 aprile 2009

La crisi nel 2009 e il crollo del 2010



Molti analisti americani sostengono che il crollo definitivo dell’ economia americana potrebbe avere luogo alla fine di quest’ anno e sará ricordato come il crollo del 2009, ritengono gli esperti. Altri ancora, tra cui un esperto in scienze politiche russo, prevedono la stessa situazione. L’ America è senza dubbio in condizioni disperate, ma ció che piú lascia perplessi è la continua tendenza da parte degli stessi Stati Uniti a negare seccamente la gravitá della situazione ed a peggiorare le cose attraverso inutili piani di salvataggio e conflitti col resto del mondo, invece di affrontare la realtá che vuole la fine dell’ America come superpotenza, in conseguenza del fallimento del sistema economico. A questo punto sarebbe auspicabile che la nazione ponesse fine alle guerre (peraltro perse) col minor danno e massimo onore possibile. Non c’è nessuna ragione per perseverare in una linea politica che non vede vie d’ uscita. la cosa piú sensata per la sopravvivenza consiste nel delineare una nuova morale politica economica e finanziaria.

La profonda recessione che rasenta la depressione economica, di cui siamo stati testimoni fino ad ora, è causata dal crac del mercato immobiliare degli USA. Dal momento che altre nazioni industrializzate, specialmente in Europa, hanno tentato di imitare i sotterfugi dei dissoluti banchieri e finanzieri americani, il crollo dei sistemi economici, compresi i mercati e le banche delle suddette nazioni è stata la conseguenza piú immediata. L’ Islanda è stata la prima nazione a dichiarare bancarotta; il suo Prodotto Interno Lordo gravita intorno ai 6.5 miliardi di dollari, ma le banche hanno preso in prestito qualcosa come 65 miliardi di dollari, mentre i manager continuavano per la loro strada per inerzia. La Gran Bretagna, al contrario, non ha dichiarato bancarotta ufficialmente, ma tutti sanno che effettivamente di bancarotta si tratta in quanto sia le banche che le istituzioni finanziarie sono a terra.

In ogni caso questo è soltanto l’ inizio; per l’ autunno di quest’ anno gli esperti prevedono il crollo degli immobili commerciali per gli USA: i negozi chiudono e non c’è nessuno che li voglia prendere in affitto. Le aziende stanno riducendo al massimo le spese e sgombrando molti uffici, o chiudono definitivamente i battenti. Altissimi grattacieli stanno diventando edifici fantasma. Tutti questi beni immobiliari vengono ipotecati al limite, ma senza la prospettiva di entrate i prestiti risultano inefficaci, con le conseguenti temutissime perdite. Qui si tratta di assicurazione e riassicurazione, e le cifre di cui si parla sono da capogiro. È pressoché impossibile progettare un piano che si avvicini anche di poco alla risoluzione del problema. Col crollo del settore immobiliare si scatenerá l’ inferno, e se multinazionali come la General Motors e la Ford decideranno di chiudere i battenti, non si tratterá solamente di migliaia di migliaia di disoccupati ( anche se in questo caso l’ uso della parola ‘solamente’ puó sembrare privo di tatto). Due interi centri diventeranno centri fantasma. La situazione é terribile, ma se si conta il numero di mogli, bambini e genitori che dipendono da quelle rendite, è piú che terribile: diventa una situazione inimmaginabile. Tutto questo mentre corrotti e avidi banchieri della Bernie Madoff continuano a guadagnare miliardi (o forse milioni di miliardi) di dollari perché cosi sta scritto nei loro contratti.

Per di piú c’è addirittura il professor Igor Nikolavich Panarin che in un articolo del dicembre 2008 di Andrew Osborne del Wall Street Journal, non l’ ultimo dei furfanti quindi, sostiene che l’ anno prossimo sará ricordato come l’ anno del crollo, per cui gli USA saranno spaccati in sei entitá separate. Sempre secondo il professor Panarin, queste saranno costituite dalla Repubblica della California, la Repubblica dell’ America del Centro Nord, l’ America Atlantica e la Repubblica del Texas, mentre le Hawaii e l’ Alaska torneranno nelle mani della Russia.

Con i milioni di cinesi che vivono nella costa occidentale* (dove il numero giornaliero di persone che vi circolano è di oltre 5 milioni), la California sará, sempre secondo Panarin, sotto il controllo della Cina, mentre la Repubblica dell’ America Centro Nord fará parte del Canada, o comunque sará fortemente influenzata da quest’ ultima. L’ America Atlantica potrebbe essere annessa all’ Unione Europea, il Texas potrebbe far parte del Messico e le Hawaii potrebbero diventare parte della Cina o del Giappone.

Il professor Panarin è stato un esperto del KGB nonché professore in scienze politiche in Russia, decano dell’ Accademia Diplomatica del Ministero degli Esteri a Mosca e autore di diversi libri di geopolitica. Non si puó quindi dire che sia un inetto. In realtá aveva previsto questa situazione prima del tracollo economico iniziato l’ anno scorso, precisamente a Linz in Austria, nel settembre del 1998, davanti a 400 delegati, durante una conferenza sull’ utilizzo in guerra delle informazioni per ottenere vantaggi sul nemico. I presenti alla conferenza rimasero costernati; come lo stesso Panarin riferisce, vedendo sullo schermo la mappa degli Stati Uniti frammentata, centinaia di persone tra il pubblico rimasero alquanto sorprese. Piú tardi molti dei delegati gli chiesero di firmare copie della mappa. Il quadro è lo stesso di quando il dottore in scienze politiche Emmanuel Todd in 1976 fece la previsione del crollo dell’ Unione Sovietica 15 anni prima che il fatto avesse luogo, previsione che al tempo provocó le risa di molti.

Panarin non dice che la sua sia una conclusione inevitabile, ma soltanto che al momento c’è un 55-45 per cento di possibilitá che la disintegrazione si verifichi. Se effettivamente avrá luogo, sará caratterizzata da tre fattori; immigrazione di massa e declino economico e morale potrebbero scatenare una guerra civile e il crollo del dollaro giá il prossimo autunno. Intorno alla fine del giugno 2010, o i primi di luglio, gli USA saranno divisi in sei parti e si prevede una crisi politica e sociale provocata dalla situazione economica, finanziaria e demografica. Quando la situazione tenderá a degenerare, sostiene Panarin, gli stati piú ricchi rifiuteranno i fondi da parte del governo federale e ci sará la secessione: sommosse e infine la guerra civile saranno le conseguenze di tutto ció. Gli USA si divideranno per substrati etnici e ci sará la prevaricazione all’ interno del territorio da parte di poteri extranazionali. Tutto quello che i pachistani devono fare a quel punto è aspettare un pó finché l’ America non cesserá di impicciarsi nei loro affari, mentre il consigliere del generale Petraeus, David kilcullen, ritiene che il Pakistan potrebbe cadere nel giro di pochi mesi.

Non è facile concepire il crollo di un impero o di una superpotenza. Quando i suoi organi vitali vengono corrosi da termiti nel corso degli anni i risultati si vedono a lungo termine, soprattutto se la gente è asservita al potere e sfoggio di ricchezza da parte di chi governa. Quando il crollo arriva è dunque subitaneo e coglie la gente di sorpresa. ‘’Sono andato a dormire la notte scorsa e la mattina dopo al risveglio l’ Unione Sovietica non esisteva piú’’; nemmeno la piú potente macchina da guerra mai costruita ha potuto salvare quella nazione. Ricordate l’ impero britannico, su cui ‘’il sole non sarebbe mai potuto tramontare’’? Al contrario, il sole è decisamente tramontato, e soltanto 60 anni dopo la Gran Bretagna non solo è in bancarotta, ma è anche un supplemento degli USA: un potere di terz’ ordine che a sua volta potrebbe presto disintegrarsi con la secessione della Scozia. La storia è segnata dal crollo delle civiltá, imperi e superpotenze; le ossa delle quali pullulano nei mausolei nazionali.

Parte delle affermazioni del professor Panarin è supportata dal fatto che l’ amministrazione Bush ha approvato piani per l’ imposizione della corte marziale in caso di crollo economico o rivolte sociali che comportino l’ uso delle armi. Le previsioni di Panarin sembrano non solo plausibili, ma anche probabili se, come peraltro è risultato fino ad ora, questo scenario di decadenza diventerá reale. Stando a quanto dice Rand Clifford, gli USA hanno giá creato piani per recludere i cittadini ribelli in campi chiamati ‘’Rex 84’’, e servizi d’ emergenza per i membri del parlamento e le loro famiglie. In un comunicato del Phoenix Business Journal si dice:’’ Un comunicato dell’ esercito americano ed il War College parla della possibilitá di utilizzare le truppe statunitensi in caso di rivolte civili date dalla crisi economica, come nel caso di proteste contro le imprese ed il governo, oppure di corsa alle banche assediate. L’ articolo del giornale riporta le parole del War College:’’violenza di massa negli USA da parte dei cittadini costringerebbe la difesa a rivedere le prioritá al fine di garantire l’ ordine interno e la sicurezza delle persone’’. Bisogna peró dire che l’ esercito studia regolarmente piani da attuare in caso di situazioni estreme, pur risultando queste inverosimili.

L’ ultima parola a Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter e sostenitore di Obama:’’gli Stati Uniti stanno per avere milioni di disoccupati che dovranno affrontare difficoltá estreme, e questa situazione dovrebbe durare per un bel po’ di tempo, con la speranza che le cose prima o poi migliorino. Nello stesso tempo l’ opinione pubblica è consapevole che una parte considerevole di ricchezza è stata messa a disposizione di pochi, a livelli che non hanno precedenti nella storia degli USA: rivolte civili sono proprio verosimili’’.

Humayun Gahuar (esperto di scienze politiche di alto livello- e-mail: humayun.gauhar@gmail.com)

23 aprile 2009

Ripensare il mondo, per bio-regioni


Le città non devono sparire, ma cambiare, mettendosi al servizio delle loro bio-regioni. Così parlò Giuseppe Moretti, referente italiano dei bioregionalisti, intervistato da Daniel Tarozzi per Terranauta. Bioregionalismo? «E’ la possibilità di rinnovare la nostra cittadinanza sulla Terra, rispettando tutti gli esseri viventi». Da Francesco d’Assisi alla spirale della crisi planetaria: «La nostra non è un’ideologia, ma un’attitudine di buon senso e di umiltà». Meglio allora considerare la Terra come un insieme naturale di bio-regioni, regolate dal ciclo dell’acqua malgrado le devastazioni dell’homo tecnologicus: «Da quando l’uomo ha imparato a scheggiare le rocce per ricavarne punte di lancia, la tecnologia non ci ha mai lasciato. Ma la tecnologia, di per sé, è neutra: dipende dall’uso che ne se fa. E oggi, finalmente, possiamo scegliere».




Nata negli Usa negli anni ‘90 e i primi 250 gruppi e poi sviluppatasi in Messico, Canada, Sud America, Australia, Asia ed Europa, la corrente bioregionalista che vede tra i suoi terra-mondo1massimi interpreti l’inglese Etain Addey (autrice di “Una gioia silenziosa”) annovera tra i suoi antenati italiani i fondatori della rivista “AAM Terra Nuova”, aggregazione informale ora sfociata nella Rete Bioregionale Italiana, che ad ogni solstizio pubblica i “Quaderni di vita bioregionale” ed ogni equinozio il giornale “Lato selvatico”. «Appartengo alla cosiddetta generazione degli anni ’60, non ho mai smesso di scrutare le idee dei movimenti alternativi», racconta Moretti. «Conobbi l’idea bioregionale quando avevo già scelto di ritornare alla terra, dopo una parentesi di lavoro dipendente in città». Decisivi i contatti coi pionieri americani, come Peter Berg e Judy Golhaft.

Il bioregionalismo, spiega Moretti, considera il pianeta come un unico organismo vivente, suddiviso in bioregioni. «Sono le regioni naturali della terra, luoghi definiti per continuità di flora e di fauna o per interezza fluviale, grandi a sufficienza da sostenere un’ampia e complessa comunità di esseri viventi. L’uomo è parte integrante di tutto questo, non il suo signore e padrone: l’umiltà è saggezza, visto il divario tra la mente umana e quella della natura». Ri-abitare la terra con occhi nuovi, dunque. Percepire «l’importanza di vivere in un ambiente sano e diversificato» e comprendere che «dalla salute delle acque, dei boschi e del mondo animale dipende la nostra stessa salute», e che «dal diritto di libertà e giustizia sociale dei popoli dipende la nostra stessa libertà e giustizia».

«Ogni cosa è connessa l’una all’altra, su questa terra». Convizione che i buddisti fanno propria da migliaia di anni (i biologi da molto meno) e che ora i bioregionalisti ribadiscono, partendo dall’elemento più vitale: l’acqua. «Il ciclo dell’acqua – dice Moretti – fa della terra un unico grande bacino idrografico. E il bacino idrografico in cui ognuno etain-addey1di noi vive è il contesto della nostra pratica: un bacino idrografico è di fatto una bioregione, e viceversa. Prendersi cura del proprio bacino idrografico, della propria bioregione, significa quindi assumersi le proprie responsabilità, qui e ora, di fronte ai problemi che sono ormai su scala globale: ecco perché oggi è importante ri-abitare la terra in senso bioregionale».

Naturalmente, senza rifiutare scienza e tecnologia. «Oggi possiamo scegliere: di scaldare l’acqua con la legna o coi pannelli solari piuttosto che con l’energia fossile; possiamo scegliere di coltivarci parte del nostro cibo o acquistarlo da produttori ecologicamente consapevoli e liberi dagli ingranaggi speculativi globali, piuttosto che dalla grande distribuzione; possiamo scegliere di ignorare le mode e comprare solo le cose di cui abbiamo effettivamente bisogno, piuttosto che essere succubi di un sistema che fa del consumismo la propria ragione di essere. Dobbiamo ri-ascoltare la nostra natura selvatica: consumare senza sprecare, produrre senza distruggere, vivere e lasciar vivere».

Giuseppe Moretti e i bioregionalisti tifano per la Decrescita Felice, gli ecovillaggi, i seedsavers che custodiscono varietà antiche di semi; partecipano ai gruppi d’acquisto solidale e alla finanza etica, promuovono eco-tecnologie e prodotti a chilometri zero. «Le sorti del cambiamento non sono prerogativa di pochi, tutti possono incidere». Inutile aspettarsi miracoli dagli economisti: non hanno soluzioni, dice Moretti, a parte inventarsi «guazzabugli» grazie ai quali «a perderci sono sempre i più deboli». Non c’è da stare allegri: «Il mondo oggi è talmente imbevuto nel mito del potere, sia politico che economico o religioso, che difficilmente rinuncerà ai privilegi acquisiti».

Una rivoluzione culturale: a questo punta il bioregionalismo. «Non un cambiamento a livello di governi, ma un rivoltamento completo nel modo di intendere il nostro essere qui sulla terra». Illusioni da ex hippy? «Siamo una evoluzione di tutti quelli che con immaginazione, creatività e caparbietà hanno, nel corso del tempo, cercato di migliorare, sia spiritualmente che mentalmente, se stessi prima e la società poi, così da ridurre sia l’impronta umana sul pianeta che l’arroganza del potere e l’avidità di pochi sulla gente e sulla natura», constata Moretti. «Abbiamo fallito? Da quello che si vede sembra di sì, ma è vero anche che questo è un percorso lungo, che richiede tempo, pazienza e dedizione. L’importante è non smettere di ‘seminare’».

di Giuseppe Moretti

22 aprile 2009

Niels Harrit: «Altro che “pistola fumante”, c’è la “pistola carica” dell’11/9»



Harrit-Niels

Abbiamo visto di recente la
ricerca sulle polveri del WTC firmata tra gli altri dal professor Niels Harrit dell’Università di Copenaghen, un professore che ha la vocazione della nano-chimica, di cui è un esperto. Il clamore suscitato da questa ricerca ha portato il 6 aprile 2009 a una intervista di Harrit sul canale TV2 della tv pubblica danese, in seconda serata. Harrit è stato intervistato per 10 minuti durante il tg.
L’8 aprile, Harrit è stato di nuovo intervistato per sei minuti durante un programma del mattino di notizie e intrattenimento in diretta sulla stessa rete. In entrambe le occasioni Harrit ha potuto argomentare bene le proprie tesi con intervistatori aperti e corretti.

La prima intervista è stata sottotitolata in inglese e caricata su YouTube. Di seguito si può vedere l’intervista e la sua traduzione in italiano:

http://www.youtube.com/watch?v=8_tf25lx_3o





Intervista a Niels Harrit su TV2 News, Danimarca.


Alcuni ricercatori internazionali hanno trovato tracce di esplosivi in mezzo ai detriti del World Trade Center.
Un nuovo articolo scientifico conclude che gli impatti dei due aerei dirottati non causarono i crolli nel 2001.
Rivolgiamo la nostra attenzione all’11/9, il grande attacco su New York. Apparentemente i due impatti degli aeroplani non cagionarono il crollo delle torri, secondo quanto afferma un articolo scientifico da poco pubblicato.
I ricercatori hanno trovato dell’esplosivo detto nano-termite fra i resti, e non può provenire dagli aerei. Ritengono che svariate tonnellate di esplosivi siano state collocate negli edifici in precedenza.

Niels Harrit, lei e altri otto ricercatori stabilite in questo articolo che sia stata la nano-termite a far sì che questi edifici crollassero. Che cos’è la nano-termite?

«Abbiamo trovato nano-termite nei detriti. Non stiamo dicendo che sia stata usata soltanto nano-termite. La termite stessa risale al 1893. È una mistura di alluminio e polvere di ruggine, che reagisce fino a creare intenso calore. La reazione produce ferro, scaldato a 2500 °C. Questo può essere usato per fare saldature. Può essere anche usato per fondere altro ferro. Siccome le nanotecnologie rendono le cose più piccole, nella nano-termite, questa polvere del 1893 è ridotta in particelle minuscole, perfettamente mescolate. Quando queste reagiscono, l’intenso calore si sviluppa molto più velocemente. La nano-termite può essere mischiata con additivi per sprigionare un calore intenso, o fungere da efficacissimo esplosivo. Contiene più energia della dinamite, e può essere usata come combustibile per razzi.»

Ho cercato con Google “nano-termite”, e non è che si sia scritto molto su di essa. Si tratta di una sostanza scientifica ampiamente conosciuta? O è così nuova che gli altri scienziati la conoscono a malapena?

«È un nome collettivo per una classe di sostanze con alti livelli di energia. Se dei ricercatori civili (come lo sono io) non la conoscono abbastanza, è probabilmente perché non lavorano granché con gli esplosivi, come invece fanno gli scienziati militari. Dovrebbe chiedere a loro. Io non so quanta familiarità abbiano con le nanotecnologie.»

Quindi lei ha trovato questa sostanza nel WTC, perché pensa che abbia causato i crolli?

«Be’, è un esplosivo. Per cos’altro sarebbe dovuto essere lì?»

Lei ritiene che l’intenso calore abbia fuso la struttura di sostegno in acciaio dell’edificio, e abbia causato che gli edifici collassassero come un castello di carte?

«Non posso dire di preciso, visto che questa sostanza serve a entrambi gli scopi. Può esplodere e frantumare le cose, e può fonderle. Entrambi gli effetti furono probabilmente utilizzati, per come ho visto. Del metallo fuso si riversa fuori dalla Torre Sud diversi minuti prima del crollo. Questo indica che l’intera struttura era stata indebolita in precedenza. Poi i normali esplosivi entrarono in gioco. L’effettiva sequenza del crollo doveva essere sincronizzata alla perfezione, fin giù.»

Di quali quantità stiamo parlando?

«Grandi quantità. C’erano solo due aerei, ma tre grattacieli sono crollati. Sappiamo grosso modo quanta polvere fu generata. Le foto mostrano enormi quantità: tranne l’acciaio tutto fu polverizzato. E sappiamo grosso modo quanta termite incombusta abbiamo trovato. Questa è la “pistola carica”, un materiale che non si è acceso per qualche ragione. Stiamo parlando di tonnellate. Oltre 10 tonnellate, può darsi 100 tonnellate.»

Dieci tonnellate, può darsi cento tonnellate, in tre edifici? E queste sostanze non si trovano normalmente in simili edifici?

«No, no. Questi materiali sono estremamente avanzati.»

Come si fa a collocare un tale materiale in un grattacielo, su tutti i piani?

«Cioè come si fa a portarlo dentro?»

Sì.

«Con i pallet. Se dovessi trasportarlo i quelle quantità userei i pallet. Prenderei un carrello e li movimenterei su pallet.»

Perché questo non è stato scoperto prima?

«Da chi?»

Dai portieri, per esempio. Se sta facendo passare da 10 a 100 tonnellate di nano-termite, e la sta piazzando su tutti i piani, sono solo sorpreso che nessuno l’abbia notata.

«Da giornalista, dovrebbe indirizzare tale domanda alla società responsabile della sicurezza al WTC.»

Dunque lei non ha alcun dubbio che il materiale era presente?

«Non si può contraffare questo tipo di scienza. L’abbiamo trovata. Termite non ancora soggetta a reazioni.»

Quale accoglienza ha ricevuto il suo articolo nel mondo? Per me si tratta di conoscenza del tutto nuova.

«È stato pubblicato appena venerdì scorso. Perciò è troppo presto per dirlo. Ma l’articolo potrebbe non essere così inedito e singolare come le sembra. Centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo sanno da molto che i tre edifici sono stati demoliti. Questo era lampante. La nostra ricerca è solo l’ultimo chiodo sulla bara. Questa non è la “pistola fumante”, è la “pistola carica”. Ogni giorno, migliaia di persone comprendono che il WTC fu demolito. Questo è qualcosa che non si può fermare.»

Perché nessuno ha scoperto da prima che c’era nano-termite negli edifici? Son passati quasi dieci anni.

«Lei intende nella polvere?»

Sì.

«È stato per caso che qualcuno ha osservato la polvere al microscopio. Si tratta di minuscoli frammenti rossi. I più grandi misurano 1 mm, e possono essere visti a occhio nudo. Ma occorre il microscopio per vedere la maggior parte. È stato per caso che qualcuno li ha scoperti due anni fa. Ci sono voluti 18 mesi per preparare l’articolo scientifico cui lei si riferisce. È un articolo davvero completo basato su una ricerca minuziosa.»

Lei ha lavorato su questo per diversi anni, perché la cosa non le tornava?

«Sì, oltre due anni in effetti. Tutto è cominciato quando ho visto il crollo dell’Edificio 7, il terzo grattacielo. È crollato sette ore dopo le torri gemelle. E c’erano solo due aeroplani. Quando vedi un edificio di 47 piani, alto 186 metri, crollare in 6,5 secondi, e sei uno scienziato, pensi “cosa?”. Ho dovuto guardarlo ancora, e ancora. Ho toccato il tasto dieci volte, e la mia mandibola scendeva sempre più giù. Per prima cosa, non avevo mai sentito prima di quell’edificio. E non c’era nessuna ragione visibile per cui dovesse crollare in quel modo, direttamente giù, in 6,5 secondi. Non mi son dato pace da quel giorno.»

Sin dall’11/9 ci sono state speculazioni, e teorie del complotto. Cosa ha da dire ai telespettatori che sentono della sua ricerca e dicono “questa l’abbiamo già sentita, ci sono tante teorie del complotto”. Cosa direbbe per convincerli che questa è diversa?

«Penso che ci sia una sola teoria del complotto di cui valga la pena parlare, quella che riguarda i 19 dirottatori. Ritengo che i telespettatori debbano domandarsi quali prove abbiano visto a sostegno della teoria del complotto ufficiale. Se qualcuno ha visto delle prove, mi piacerebbe sentirlo in merito. Nessuno è stato formalmente incriminato. Nessuno è “wanted”. Il nostro lavoro dovrebbe portare a richiedere un’appropriata inchiesta criminale sugli attacchi terroristici dell’11/9, perché finora non c’è stata. La stiamo ancora aspettando. Noi speriamo che i nostri risultati saranno usati come una prova tecnica quando quel giorno verrà».

Niels Harrit, avvincente, grazie per essere intervenuto.

«È stato un piacere.»


di Pino Cabras

21 aprile 2009

Scoperto Echelon Italia

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Prove generali di stretto controllo telematico nei tribunali e Procure di tutta Italia. Genchi lo aveva capito: un grande orecchio e' in ascolto e con il nuovo Registro Generale Web l'operazione sara' completata. A realizzare gli apparati per conto di Via Arenula sono alcune big finite nelle inchieste Why Not e Poseidone. Ecco in esclusiva la storia vera dei protagonisti di questo inedito Echelon a Palazzo di Giustizia. Vicende che ci riportano lontano. Fino a misteri di Stato come la strage di Ustica ed il massacro di via D'Amelio.

C'erano una volta i rendez vous segreti nelle suite super riservate dei grandi alberghi. A Roma era l'Excelsior, a Napoli una fra le quattro-cinque perle del lungomare. Nella capitale ricevevano gli uomini di Licio Gelli - quando non direttamente il Venerabile in persona - per impartire quelle direttive stabilite in luoghi ancora piu' elevati che poi i diversi referenti, tutti d'altissimo rango (compresi capi dei governi e della magistratura)... dovevano portare avanti per orientare il corso della storia. Cos'altro era, per esempio, il summit che si tenne al largo di Civitavecchia sul panfilo Britannia della regina Elisabetta il 2 giugno del 1992, quando fu decisa quella colonizzazione selvaggia dell'Italia - attuata a suon di privatizzazioni senza soluzioni di continuita' prima da Prodi e poi da Berlusconi - di cui ancora oggi scontiamo gli effetti? E cos'altro fu a Napoli, dentro il prive' a un passo dal cielo con vista sul golfo, quella sorta di “tribunale preventivo” nel quale, al primo scoppio serio di Tangentopoli, nel 1993 vennero convocati i proconsoli democristiani e socialisti per imporre loro di accettare un lauto vitalizio dopo essersi accollati le malefatte giudiziarie dei rispettivi leader politici?

Piccoli squarci di luce sotto un velame oscuro che si e' fatto nel tempo sempre piu' plumbeo, ma anche piu' sofisticato grazie all'uso ardito e sapiente di tecnologie solo vent'anni fa impensabili. Cosi' a fine anni ottanta, mentre gli americani sperimentavano il controllo a tappeto dei miliardi di abitanti del pianeta collaudando la piu' straordinaria rete spionistica telematica che fosse mai stata immaginata - Echelon - prima solo in ambito militare, poi estesa anche ad usi civili, in Italia per decidere le sorti della giustizia ed incanalare il destino dei processi era ancora necessario ricorrere ad incontri vis a vis, sfruttando canali di mediazione come le agape massoniche o i pizzini orali, passati di bocca in bocca tra colletti bianchi e intermediari mafiosi.
Da tempo non e' piu' cosi'. Almeno da quando, una decina di anni fa, il controllo telematico dei palazzi di giustizia italiani ha cominciato a diventare una rete che avviluppa, scruta e controlla tutto, dai piani alti della Cassazione alla scrivania dell'ultimo cancelliere, dalle Alpi alla Sicilia. Dopo il monitoraggio minuto per minuto delle operazioni finanziarie - che avvengono ormai esclusivamente on line da un capo all'altro del mondo - ora qualcuno sta cercando di tracciare ed orientare definitivamente anche le sorti dell'intero sistema giudiziario nel Belpaese. Al punto che, a distanza di appena quattro-cinque anni dagli spionaggi alla Pio Pompa o alla Tavaroli, il quadro e' un altro: oggi non serve piu' spiare, basta entrare nella rete dalla porta giusta, mettersi in ascolto. E poi decidere.


Ne e' passata insomma di acqua sotto i ponti da quel quel luglio del 1992, quando per coprire errori ed omissioni nel massacro di Capaci si rese “necessario” far saltare in aria anche Paolo Borsellino con tutta la sua scorta, lasciandoci dietro, ancora una volta, tutta una serie di tracce insanguinate, piccoli e grandi particolari cartacei fatti sparire troppo in fretta, come l'agenda rossa, portata via clamorosamente sotto gli occhi di tutti dal colonnello Arcangioli solo pochi minuti dopo l'eccidio. Un sistema, del resto, quello della “pulizia totale”, che compare come un macabro rituale anche in omicidi di quel tempo, quale quello del giornalista antimafia Beppe Alfano, nel 1993, la cui figlia Sonia racconta di quegli autentici plotoni di polizia e carabinieri entrati per ore a devastare armadi e cassetti di una famiglia ammutolita da un dolore lancinante ed improvviso, alla ricerca di carte, documenti, fascicoli, «quasi che il criminale fosse mio padre - racconta oggi Sonia - ancora a terra in una pozza di sangue, e non coloro che lo avevano atteso per ammmazzarlo».
Quella volta pero', quel 19 luglio 1992, era gia' in azione un vicequestore siciliano che nell'uso delle tecnologie informatiche era piu' avanti delle stesse barbe finte nostrane, ancora costrette a perquisizioni, pulizie, furti per occultare le prove dei crimini di Stato. Quel vicequestore si chiamava Gioacchino Genchi. E la sua storia, i violenti tentativi di zittirlo e delegittimarlo fino all'annientamento (come la repentina sospensione dal corpo di Polizia, che ha fatto sollevare l'opinione pubblica in tutta Italia), ci fa ripiombare di colpo dentro l'Italia di oggi, in un Paese dove per uccidere uno o due magistrati non e' piu' necessario spargere sangue. Perche' a tutto pensa il grande Echelon del sistema giudiziario italiano, Che ha - come vedremo - nomi, volti e terminali ben precisi.


IL PADRE DI ECHELON

E partiamo da un uomo che Echelon ha confessato di averlo realizzato per davvero. O, almeno, ha ammesso di aver collaborato alla messa a punto del Grande Orecchio americano. Quest'uomo si chiama Maurizio Poerio, e' un imprenditore nei sistemi informatici ad altissima specializzazione e su di lui si soffermano a lungo i pubblici ministeri salernitani che indagavano sui loro colleghi della procura di Catanzaro, messi sotto accusa con una mole impressionante di rilevanze investigative raccolte dall'allora pm Luigi De Magistris grazie anche alla consulenza prestata da Gioacchino Genchi.
Un nome, Poerio, una scatola nera che racchiude mille misteri. Ma cominciamo dall'oggi. E cominciamo dalle tante verbalizzazioni nelle quali De Magistris a Salerno dichiara apertamente che potrebbe essere stato spiato, che tutta la sua attivita' investigativa era stata probabilmente - o quasi certamente - monitorata fin dall'inizio. Non attraverso gli 007 dei Servizi, ma in maniera semplice e naturale, vale a dire attraverso la societa' privata che gestisce i sistemi informatici dell'intero pianeta giustizia in Italia. Questa societa' e' la la CM Sistemi. Appunto. Con una potentissima e storica diramazione - la CM Sistemi Sud - proprio in Calabria, regione dalla quale la attuale corporate aveva avuto origine negli anni ottanta. Ma anche la regione dove questa societa' si aggiudica da sempre l'appalto per la “cura” degli uffici giudiziari. E in cui risiede il suo amministratore delegato: quella stessa Enza Bruno Bossio, moglie del plenipotenziario Ds Nicola Adamo ma, soprattutto, pesantemente indagata prima nell'inchiesta Poseidone (il bubbone avocato a De Magistris in circostanze ancora tutte da chiarire sul piano della legittimita') e poi in Why Not. Perche' del colosso CM Sistemi Maurizio Poerio e' una colonna portante, capace di tessere ed orientare i rapporti con la pubblica amministrazione - leggi in particolare Via Arenula - come e' scritto, fra l'altro, nell'indicazione specifica delle sue mansioni: “consigliere delegato ai rapporti istituzionali”.


Ma Poerio non e' solo un manager dell'ICT (Information and Communication Technology) prestato alla CM. Il suo ruolo, come dimostra la perquisizione di De Magistris presso i suoi uffici romani, va ben oltre. L'11 settembre del 2006, interrogato nell'ambito di Poseidone, l'imprenditore calabrese prova a prendere le distanze da quella societa', che appare gia' dentro fino al collo nell'inchiesta giudiziaria. «Conosco molto bene - affermava rispondendo ad una precisa domanda - Marcello Pacifico, presidente della CM Sistemi, societa' per la quale ho collaborato attraverso un contratto di consulenza professionale». Un tentativo estremo di prendere il largo: da buon commercialista (e' iscritto all'ordine di Catanzaro) Poerio sapeva bene che sarebbe bastata una semplice visura camerale a smentirlo. Della romana CM Sistemi spa, infatti, oltre un milione e mezzo di capitale nel motore, il manager calabrese e' a tutti gli effetti consigliere d'amministrazione, all'interno di un organigramma che risulta quasi identico a quello della sua costola meridionale, la stessa CM Sistemi Sud capitanata dalla Bruno Bossio. Perche' allora parlare di semplici “consulenze”? Il fatto e' che la faccenda si stava facendo complicata. Dal momento che per la prima volta quel grande orecchio invisibile capace di scrutare dentro tutti gli uffici giudiziari italiani stava dando segnali concreti della sua esistenza. E in gioco - cominciava a capire De Magistris, ma ne era ben consapevole da tempo lo stesso Poerio - non c'era solo la storia degli appalti pilotati a Procure e tribunali della Calabria (gara “regolarmente” aggiudicata per l'ennesima voltra alla CM Sistemi Sud), ma la credibilita' dell'intero pianeta giustizia nel nostro Paese, se non addirittura i destini del sistema Italia. E questo, soprattutto per due principali motivi.


E' il consulente del pubblico ministero De Magistris, Pietro Sagona, ad illuminare i pm salernitani su alcune circostanze a dir poco imbarazzanti che riguardano la CM Sistemi (siamo al 7 aprile 2008, ma Sagona riferisce particolari che evidentemente erano gia' ben noti a Poerio e company): «Nell'ambito degli accertamenti da me espletati e' emersa la rilevanza del consorzio Tecnesud, destinatario di un finanziamento pubblico gia' in fase di stipula della convezione con il Ministero delle Attivita' Produttive, non stipulato soltanto a causa della mancanza di uno dei cinque certificati antimafia richiesti e pervenuti relativo alla societa' Forest srl titolare di un'iniziativa consorziata ed agevolata. Il finanziamento era di sessanta milioni di euro complessivi, otto dei quali a carico della Regione Calabria, il residuo a carico dello Stato». Del consorzio faceva parte anche la CM Sistemi. Ma perche' alla socia Forest non era stato rilasciato il certificato antimafia? Risponde Sagona: «Presidente della Forest era tale avvocato Giuseppe Luppino, nato a Gioia Tauro il 5 marzo 1959, nipote di Sorridente Emilio, classe 1927, ritenuto organicamente inserito nella consorteria mafiosa dei Piromalli-Mole'». E non e' finita: «il predetto Luppino risultava esser stato denunciato per gravi reati quali turbata liberta' degli incanti, favoreggiamento personale, falsita' ideologica ed associazione per delinquere di stampo mafioso» e sottoposto a procedimento penale a Palmi.


Ricapitolando: la CM Sistemi, talmente affidabile da vincere la gara d'appalto per l'informatizzazione di tutti gli uffici giudiziari nella regione Calabria, sedeva nel consorzio Tecnesud accanto ad una sigla, la Forest, riconducibile ad una fra le piu' pericolose cosche della ‘ndrangheta.
Una circostanza allarmante. Ma non l'unica. In quello stesso, fatidico interrogatorio dell'11 settembre 2006 Poerio, per accrescere la propria credibilita' di manager in rapporti transnazionali, non manco' di aggiungere: «Mi sono occupato per conto della I.T.S. di una serie di progetti per l'utilizzo di tecnologie per le informazioni satellitari per uso civile, quale ad esempio il progetto Echelon negli Stati Uniti d'America e GIS in Italia». Di sicuro, insomma, Poerio era un personaggio che in fatto di “controllo a distanza” poteva considerarsi fra i massimi esperti mondiali.


I FRATELLI DEL RE.GE.

Fu probabilmente proprio allora che la sensazione di essere spiato divento' per De Magistris qualcosa di piu' d'una semplice impressione. Con elementi che nel tempo andavano ad incastrarsi come tessere di un mosaico per confermare quella ipotesi. Sara' lo stesso ex pm a raccontarlo piu' volte ai colleghi salernitani, come si legge in alcune pagine delle sue lunghe verbalizzazioni riportate per esteso nell'ordinanza di perquisizione e sequestro emessa a carico della Procura di Catanzaro.
Il 24 settembre del 2008 De Magistris contestualizza innanzitutto tempi e personaggi di quel “sistema” che aveva il suo terminale dentro il ministero della Giustizia, retto nel 2007 dall'indagato di Why Not Clemente Mastella. Ed arriva al collegamento fra quest'ultimo e la CM Sistemi. Ci arriva attraverso un altro carrozzone politico destinatario di enormi provvidenze pubbliche in Calabria, il consorzio TESI, del quale faceva parte la societa' della Bruno Bossio (e quindi di Poerio): sempre lei, la regina CM. «Personaggio che ritenevo centrale quale anello di collegamento tra il Mastella ed ambienti politici ed istituzionali, oltre che professionali, in Calabria ed anche a Roma - dichiara De Magistris - era l'avvocato Fabrizio Criscuolo, il cui nominativo emergeva anche nelle agende e rubriche rinvenute durante le perquisizioni effettuate nei confronti del Saladino (il principale inquisito di Why Not Antonio Saladino, ndr). Nello studio associato Criscuolo presta servizio quale avvocato anche Pellegrino Mastella, figlio dell'ex-ministro». Ma non basta. «Il predetto Criscuolo risulta aver coperto la carica di consigliere d'amministrazione della Aeroporto Sant'Anna spa, con sede in Isola Capo Rizzuto, il cui presidente era il professor Giorgio Sganga, coinvolto nelle indagini Poseidone e Why Not in quanto compariva nell'ambito della compagine della societa' TESI» in compagnia, appunto, della CM. Insomma, da Mastella a Criscuolo, da Criscuolo a Sganga fino a TESI, dove ritroviamo la CM e gli appalti negli uffici giudiziari. Compresa la realizzazione del RE.GE, vale a dire lo strategico Registro Generale centralizzato nel quale pm e gip sono tenuti a riversare tutte le risultanze del loro lavoro, ma anche ad anticipare le iniziative giudiziarie (perquisizioni, sequestri etc.) che andranno ad effettuare di li' a poco.
Altro trait d'union fra gli artefici del Grande Orecchio in Procura e l'allora titolare di Via Arenula lo si rintraccia seguendo la carriera del secondo figlio di Mastella, Elio. «Dalle attivita' investigative che stavo espletando - precisa De Magistris - era emerso che Elio Mastella era dipendente, quale ingegnere, nella societa' Finmeccanica, oggetto di investigazioni nell'inchiesta Poseidone, societa' interessata anche ad ottenere il controllo, proprio durante il dicastero Mastella, dell'intero settore delle intercettazioni telefoniche». Ma in Finmeccanica «si evidenzia anche il ruolo di Franco Bonferroni (legatissimo a piduisti come Giancarlo Elia Valori e Luigi Bisignani, ndr) gia' destinatario di decreto di perquisizione e coinvolto nelle inchieste Poseidone e Why Not, nonche' il genero del gia' direttore del Sismi, il generale della GdF Nicolo' Pollari». E dire Finmeccanica significava in qualche modo tornare a Maurizio Poerio, che proprio insieme a quella societa' aveva preso parte a numerosi progetti internazionali, in primis quello denominato “Galileo”.


IL NEMICO TI ASCOLTA

Il 16 novembre 2007 De Magistris dichiara di aver acquisito elementi sull'attivita' di “monitoraggio” che andava avanti ai suoi danni (e questo spiegherebbe fra l'altro anche il rincorrersi di strane “anticipazioni”, come quando il pm apprese dell'avocazione del fascicolo Poseidone dalla telefonata di un giornalista dell'Ansa dopo che, a sua totale insaputa, la notizia era addirittura gia' stata pubblicata da un quotidiano locale): «spesso ho avuto l'impressione di essere anticipato, e questo sia in “Poseidone che in Why Not; si e' verificato, cioe' proprio mentre... appena arrivo al punto finale, le indagini vengono sottratte. Poi... intervenivano le interrogazioni parlamentari, e arrivavano gli ispettori, e arrivavano le missive. Cioe' sempre o di pari passo, o qualche volta addirittura in anticipo su quelle che potevano essere poi le mosse formali successive».
Ma le “fughe di notizie”, una volta trovato il sistema per realizzarle, potevano anche essere sapientemente pilotate: «ad un certo punto - dice De Magistris ai colleghi di Salerno nelle dichiarazioni rese a dicembre 2007 - penso che sia stata utilizzata la tecnica di “pilotare” una serie di fughe di notizie per poi attribuirle a me. Si facevano avere notizie anche a giornalisti che avevo conosciuto in modo tale da attribuire poi a me il ruolo di “fonte” di questi ultimi. Per non parlare delle gravi e reiterate fughe di notizie sulle audizioni al Csm anche in articoli pubblicati dal Corriere della Sera e da La Stampa: perfino la mia memoria, depositata con il crisma del protocollo riservato, e' stata riportata, in parte, virgolettata».
E cosi', grazie allo stesso, collaudato “orecchio”, puo' accadere anche che, alla vigilia di importanti e riservatissimi provvedimenti cautelari, i destinatari siano gia' ampiamente informati e mettano in atto adeguate contromisure. E se il metodo funziona, perche' non adottarlo anche in altre Procure, come a Santa Maria Capua Vetere? Torniamo a fine 2007, ai giorni caldi che precedettero le dimissioni di Mastella, il ritiro della fiducia al governo da parte dell'Udeur e la conseguente caduta dell'esecutivo Prodi. «Taluni quotidiani nazionali - osserva De Magistris - hanno riportato fatti dai quali si evincerebbe che lo stesso senatore Mastella o ambienti a lui vicinissimi abbiano contribuito, forse anche con l'ausilio di soggetti ricoprenti posti apicali al Ministero della Giustizia, a far trapelare la notizia degli imminenti arresti da parte della magistratura di Santa Maria Capua Vetere, o che comunque fossero al corrente del fatto e si adoperassero per predisporre una “strategia difensiva”. Del resto resoconti giornalistici informano che il senatore Mastella avesse gia' pronto un “ricco” discorso in Parlamento ed il consuocero (Bruno Camilleri, cui stava per essere notificata un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, ndr), la sera prima, si fosse ricoverato in una clinica».


DA POSEIDONE A USTICA

Come abbiamo visto, l'Echelon del 2000 non e' piu' la creatura misteriosa messa in piedi negli anni della guerra fredda dai pionieri della tecnologia. Oggi le apparecchiature avvolgono in una rete invisibile praticamente tutti i palazzi di giustizia. Ed il controllo e' centralizzato. Ovvio, allora, che se si intende “gestire” questo sistema garantendosi ogni possibilita' di accesso occulto (la parola spionaggio a questo punto perde anche di senso) occorre poter contare su garanti fidati. Persone che, per il loro passato, offrano i massimi requisiti di affidabilita' e riservatezza. E torniamo a Maurizio Poerio, le cui origini ci conducono lontano nel tempo. Fino a quel 27 giugno del 1980 quando il DC 9 Itavia caduto nei mari di Ustica con 81 persone a bordo avrebbe dovuto mostrare agli occhi del mondo le attivita' di terrorismo internazionale messe in atto dal nemico numero uno degli americani, il leader libico Muammar Gheddafi. Un punto chiave dentro quelle complesse indagini (che ancora oggi attendono una risposta univoca sui mandanti) fu il piccolo aereo libico, un MIG, caduto in quelle stesse ore nel territorio di Villaggio Mancuso, sulla Sila, comune di Castelsilano, al quale l'inchiesta di Rosario Priore dedica alcune centinaia di pagine. Perche' dalla data precisa del suo abbattimento (deducibile anche dai frammenti presenti sul posto) discendeva tutta la ricostruzione dello scenario di guerra in atto quella notte nei cieli d'Italia. Di particolare rilevanza per le indagini il fatto che quel territorio era assai vicino alla base logistica dell'Itavia e degli F16 militari. Un luogo scottante, dunque. Tanto che anche il capitolo sull'impresa che si aggiudico' i lavori per la raccolta e lo stoccaggio dei frammenti del velivolo libico presenta ancora oggi molti punti oscuri. A cominciare dal fatto che quella ditta fu chiamata a trattativa privata. Ed era in forte odor di mafia.
Passano alcuni anni. Nel ‘93, nell'ambito del Gruppo Mancuso, nasce la Minerva Airlines. «La societa', di proprieta' di Maurizio Poerio - annotano i cronisti qualche anno piu' tardi - si propone di valorizzare l'aeroporto di Crotone, ridotto ad “aeroprato” dopo essere stato base di Itavia e degli F16 militari».
47 anni, nato a Catanzaro (e verosimilmente imparentato col catanzarese Luigi Poerio, classe 1954, ingegnere edile ed iscritto alla Massoneria), Maurizio Poerio si laurea in economia a Bologna, poi si butta nell'alimentazione del bestiame: torna in Calabria e rileva la Mangimi Sila, piattaforma di lancio per i vertici di Confindustria dove restera' a lungo (al pm De Magistris racconta, fra l'altro, dei suoi rapporti professionali e d'amicizia con l'attuale leader Emma Marcegaglia). Minerva Airlines viene dichiarata fallita dal tribunale di Catanzaro a febbraio 2004. E Poerio andra' a rivestire ruoli sempre piu' apicali nelle principali business company dell'ICT, proiettando al tempo stesso la “sua” CM Sistemi dentro il cuore degli uffici giudiziari italiani.


DA WHY NOT A VIA D'AMELIO

«Altro che Grande Orecchio nei computer di Giacchino Genchi - dice un esperto in riferimento alle accuse rivolte al principale consulente informatico di De Magistris - la verita' e' che la centrale di ascolto ha oggi i suoi terminali al Ministero, nei Palazzi di Giustizia. E che Genchi tutto questo lo aveva scoperto da tempo». Il tempo che basta per capire le tante, impressionanti ricorrenze tra fatti e personaggi delle attuali inchieste calabresi ed il contesto di omissioni ed omerta' dentro cui maturarono, nel 1992, la strage di via D'Amelio e le successive, tortuose indagini. Alle quali prese parte proprio Gioacchino Genchi.
E' stato lui ad indicare senza mezzi termini l'allucinante sequenza delle “similitudini”, senza tuttavia fornire ulteriori particolari. E allora proviamo a ricostruirne qualcuno noi.
Cominciando magari dai Gesuiti, da quella Compagnia delle Opere onnipresente nelle inchieste di Catanzaro (basti pensare alla figura centrale di Antonio Saladino) che all'epoca di Falcone e Borsellino era incarnata a Palermo da padre Ennio Pintacuda, fondatore del Cerisdi, il Centro Ricerche e Studi Direzionali con sede in quello stesso Castello Utveggio che sovrasta Palermo. E nel quale aveva una sede di copertura, nel ‘92, anche quell'ufficio riservato del Sisde che avrebbe rivestito una parte rilevantissima nella strage. Fino al punto che - secondo molte accreditate ricostruzioni - il telecomando che innesco' l'autobomba poteva essere posizionato proprio all'interno del castello. Pochi minuti dopo l'eccidio Genchi effettua un sopralluogo proprio sul monte Pellegrino, a Castello Utveggio. Si legge nella sentenza del Borsellino bis: «Il dr. Genchi ha chiarito che l'ipotesi che il commando stragista potesse essere appostato nel castello Utevggio era stata formulata come ipotesi di lavoro investigativo che il suo gruppo considerava assai utile per ulteriori sviluppi».
Oggi il Cerisdi svolge rilevanti attivita' formative su incarico della Pubblica Amministrazione, prime fra tutti la Regione Calabria e la citta' di Palermo. Suo vicepresidente (per il numero uno va avanti da anni la disputa e la poltrona risulta vacante) e' un penalista palermitano, Raffaele Bonsignore, difensore di pezzi da novanta di Cosa Nostra. Ma anche del “giudice ammazzasentenze” Corrado Carnevale.


Co-fondatore del Centro Studi era stato negli anni novanta l'allora presidente dc della Regione Sicilia Rino Nicolosi: se la sua era un'investitura di carattere politico, di tutto rilievo operativo nel Cerisdi risultava invece la figura del suo braccio destro Sandro Musco, che si occupava fra l'altro di rapporti istituzionali e con le imprese. Massone, docente di filosofia, Musco e' oggi tra i principali referenti dell'Udeur in Sicilia.
Mastella, ancora lui. Il suo nome ricorre, non meno di quello del pentito Francesco Campanella, che ritroviamo nelle carte di Why Not. Fu proprio Musco a consegnare nelle mani di Mastella, durante la convention di Telese del 2005, la lettera privata in cui Campanella si gettava ai piedi del leader: «Carissimo Clemente, ti scrivo con il cuore gonfio di tantissime emozioni, esclusivamente per ringraziarti di cuore poiche' nella mia vita ho frequentato tantissima gente e intrattenuto innumerevoli rapporti, tanti evidentemente errati. Sei l'unica persona del mondo politico che ricordo con affetto, con stima, con estremo rispetto, perche' sei sempre stato come un padre per me, e resta in me enorme l'insegnamento della vita politica che mi hai trasmesso. (...) Affido questa lettera a Sandro che tra i tanti e' una persona che nella disgrazia mi e' stata vicina. Sappi che ripongo in lui speranza e fiducia per quello che potra' darti in termini di contributo. È certamente una persona integra di cui potersi fidare».

Il 3 gennaio 2008 Luigi De Magistris chiarisce ai pubblici ministeri salernitani Gabriella Nuzzi e Dionigi Verasani le circostanze in cui compare il nome di Francesco Campanella nell'inchiesta Poseidone: «venni a sapere che poteva essere utile escutere il collaboratore di giustizia Francesco Campanella che ha ricoperto un importante ruolo politico in Sicilia e che risultava essere anche in contatto con esponenti politici di primo piano, in particolare dell'Udc e dell'Udeur. Tale collaboratore mi rilascio' significative dichiarazioni con riguardo al finanziamento del partito dell'Udc e le modalita' con le quali veniva “reinvestito” il denaro, dalla “politica”, in circuiti di apparente legalita'. Dovevo escutere il Campanella, persona affiliata alla massoneria - che si stava ponendo in una posizione di assoluta rilevanza nell'ambito dell'organizzazione mafiosa denominata Cosa Nostra - del quale l'attuale Ministro della Giustizia e' stato testimone di nozze, in quanto aveva rilasciato all'autorita' giudiziaria di Palermo dichiarazioni con riguardo a presunte dazioni di denaro illecite con riferimento alle licenze Umts che vedevano, in qualche modo, coinvolti sia l'attuale Ministro della Giustizia Clemente Mastella che l'allora Presidente del Consiglio Massimo D'Alema».
Una circostanza che Mastella, quando era ministro della Giustizia, ha dovuto smentire in aula rispondendo alla domanda di un avvocato. Era Raffaele Bonsignore, vertice del Cerisdi. E difensore dell'imputato di Cosa Nostra Nino Mandala'.

da Rita Pennarola