12 maggio 2008
Il caso Travaglio
In questa intervista a Furio Colombo si parla del caso Annozero. Ultime micce per farla chiudere. Il nostro cervello è costantemente bombardato da opinioni distorte, confuse, false, date e smentite, basate sul nulla e la gente viene letteralmente inebetita da questo continuo blaterare rumoroso. Quando un fatto irrompe nel ronzio televisivo si scatena il putiferio, e non chiaramente per contestare nel merito il contenuto delle informazioni che un superstite giornalista è riuscito a comunicare, a sprezzo del pericolo, ma perché si è permesso di dirle.Una ipnosi collettiva sotto informazioni false e distorte.
Colombo stiamo assistendo ad un ennesimo “caso Travaglio” o in ballo c’è il mantenimento della libertà di espressione in RAI e nel resto del paese?
“C’è un caso Rai evidentemente. La RAI nel suo insieme e nelle sue articolazioni è diventata allergica alla pura e semplice idea di libertà di informazione. Ciò che viene presentata come intervista, in realtà è intesa invece come una banale conversazione. Chi va alla Rai deve sapere che ci si aspetta di attenersi ad un galateo di pudici silenzi, ovvero di parlar d’altro. O al massimo di promuovere se stessi: un libro, un film, una canzone...
Se si rompe quel galateo, esprimendo o una libera opinione o un’informazione provata, di cui si è in grado di rispondere, se necessario anche sul terreno giuridico, in questo caso scatta un sistema , prima ancora che di allarme, di costernazione: “ma come ti offriamo il microfono per fare quattro chiacchiere e metterti in mostra e tu non stai al gioco e dici un opinione che contrasta con la cultura dominante (leggi governo), oppure di permetti proporre dei fatti di cui non si deve parlare?”. Lo scandalo monta prontamente!
Vorrei far notare l’identità di situazioni fra ciò che è accaduto a me, sempre nella stessa trasmissione il 5 aprile del 2005, e ciò che è accaduto a Travaglio l’altro giorno. Era un’intervista sull’aver lasciato il posto di direzione dell’Unità. Io risposi che il mio desiderio più grande era di vivere in un mondo senza più essere governati da Berlusconi, che nella stampa internazionale è considerato “una barzelletta che cammina”. Improvvisamente, è entrata come in una situazione fantozziana la voce del direttore generale in studio, che invece di affrontare l’argomento ha chiesto a Fazio di chiamare subito Mike Buongiorno l’altro ospite, perché voleva fare un’offerta a Buongiorno per farlo ritornare alla RAI e testimoniasse quello spirito di pacificazione di cui avrebbe avuto tanto bisogno l’Italia. In ogni modo, l’intervento di Meocci pose fine alla mia intervista, nel caso avessi avuto bisogno di dire altre cose. Immagino il risultato onirico di questo intervento della voce fuori campo “tonante” del direttore generale di allora!
La cosa ha avuto esattamente lo stesso seguito. A Fazio fu imposto subito di chiedere scusa agli spettatori per gli insulti a Silvio Berlusconi e per il “livore dimostrato da Colombo”, parola inventata da Bondi e Cicchitto per definire qualsiasi critica a Berlusconi.
Si intende che questo non toglie nulla alla qualità di Fazio, che è bravo ed è stato obbligato dalla direzione generale a chiedere scusa. La scena si è ripetuta esattamente dopo che Travaglio ha citato fatti che appaiono in almeno due libri, uno dei quali pubblicato da tempo e mai oggetto di contestazione o di querela. In questo caso, l’imbarazzo di Fazio era evidente, l’intervento pesante e diretto della direzione generale si era già espressa con un comunicato, come se essa avesse il diritto di recensire le interviste.
Ma c’è un aggravante senza precedenti. Invece di stare dalla parte per la libertà di espressione, che se la usi male viene il giudice, l’opposizione, e specificamente la senatrice Finocchiaro del PD, è corsa in aiuto del presidente del Senato.
Di conseguenza, nell’Italia di oggi un solo giornalista che ha citato fatti pubblicati e finora non contestati si è trovato contro tutta la RAI, la presidenza del Senato con tutto il suo peso, e il capo dell’opposizione al Senato, presumibilmente in rappresentanza dei sentori di tutta l’opposizione.
Ora, si può star tranquilli che nessuno ci riproverà, perché è stata confermata con forza l’idea che in RAI si va solo per fare quattro chiacchiere, grati dell’invito e attenti ad evitare quell’imperdonabile maleducazione che è avere un’opinione o proporre una citazione”.
Siamo di nuovo in momento critico per la libertà di espressione. Ma è giusto “morire per Travaglio” e lasciare che la Rai vada alla deriva?
“Si tratta di libertà di espressione dell’esercizio della professione giornalistica nel suo e nel mio caso. Quando si tocca la libertà di espressione giornalistica sul servizio pubblico, si imbocca un percorso immensamente pericoloso. E’ un vero segnale di allarme.”
Non c’è il rischio che per salvare un giornalismo di “rottura”, aspro, anticonformista, si fornisca l’alibi a chi oggi governa di modificare nel profondo la RAI, di ridurre gli spazi di agibilità di quanti non sono a livello dei vari Travaglio o Santoro, di dar vita insomma ad una “normalizzazione”, come fu con l’editto bulgaro tra il 2002 e il 2006?
Ogni volta che si nota una minaccia, e in questo caso si tratta di ciò, ogni volta che si attacca un solo giornalista, occorre reagire, come si può e negli spazi ancora liberi. E lo sto dicendo ad Articolo 21 e non al Corriere della Sera, che certo non vuol sentire la mia opinione, nè da Fazio, perché lui non avrà più l’occasione di invitare né me né Travaglio. Certo, incapperà in qualcun altro che non starà al gioco e la direzione generale riprenderà a far fuoco. Nel frattempo, spero che l’opposizione avrà capito che bisogna difendere la libertà di espressione e non dare la caccia al giornalista, cosa questa che ritengo molto più grave come comportamento, di quella che è invece aspettabile da parte di chi ci governa.
Mi scandalizzano le parole usate da Luciano Violante che chiama “pettegolezzo” ciò che ha scritto un giornalista che è scortato per minacce di mafia, ovvero Lirio Abbate, il cui frammento di libro è stato citato da Travaglio. Chiamare pettegolezzo una testimonianza di mafia, mi pare inconcepibile e sta allargando in modo allarmante il “livello Bondi”, che sta diventando il parametro a cui una parte di dell’opposizione aspira ad omologarsi”.
fonte: articolo21.info
Energia: un segreto di Stato
"Il segreto di Stato potrà essere applicato, in nome della tutela della sicurezza nazionale, ad una lunga serie di infrastrutture critiche: non solo gli armamenti o le installazioni militari ma anche, ad esempio, agli «impianti civili per produzione di energia» con annessi e connessi"
Una corsia preferenziale, un po' nascosta ma proprio per questo più rapida. Potrà servire a risolvere finalmente il problema del deposito unico per lo smaltimento delle scorie nucleari italiane. In nome del segreto di Stato. Che consentirà di dire basta alle defaticanti mediazioni, alle insurrezioni locali, ai tormenti senza fine che hanno cancellato ogni progetto pensato per mettere "in sicurezza" le nostre scorie, per sfociare nell'episodio eclatante del sito geologico di Scanzano Ionico, individuato dal secondo Governo Berlusconi (era il novembre del 2003) con un decreto poi frettolosamente cancellato dopo i moti di popolo fomentati trasversalmente da tutte, ma proprio tutte, le forze politiche locali.
La soluzione, fatto curioso, viene da un provvedimento legislativo lasciato in eredità al nuovo governo Berlusconi dall'Esecutivo di centrosinistra che ha appena levato le tende. Con un Dpcm entrato in vigore il 1º maggio (Gazzetta Ufficiale 16 aprile 2008, n.90) il segreto di Stato potrà essere applicato, in nome della tutela della sicurezza nazionale, ad una lunga serie di infrastrutture critiche: non solo gli armamenti o le installazioni militari ma anche, ad esempio, agli «impianti civili per produzione di energia» con annessi e connessi. Immediato l'allarme delle associazioni ambientaliste, che rimbalza sui loro siti internet: guai se il nuovo regolamento dovesse essere usato, con la scusa di tutelare gli interessi nazionali, per oliare al di là del lecito le opere controverse, magari per affrettare il ritorno in Italia delle centrali nucleari promesso dal Governo Berlusconi.
Per la verità è difficile pensare che qualcuno possa affrettare la costruzione di una centrale nucleare, o anche di un semplice impianto di generazione elettrica a turbogas o di un rigassificatore, ricorrendo al segreto di Stato. Più concreta l'ipotesi che il Dpcm possa facilitare il passo propedeutico a qualunque ipotesi di ritorno operativo al nucleare italiano: la soluzione, appunto, dell'annoso problema della conservazione e del trattamento in una struttura dedicata del materiale radioattivo conservato provvisoriamente nelle strutture delle vecchie centrali nucleari fermate dal referendum del 1987, in altri siti disseminati sul territorio o provvisoriamente (e a caro prezzo) conferito all'estero. Il provvedimento entrato in vigore all'inizio del mese potrebbe ben combinarsi con i nuovi criteri per individuare il sito unico tracciati, sempre dal Governo Prodi, nell'ottobre scorso: entro sei mesi (tempi già scaduti, quindi) si sarebbe dovuto elaborare il progetto per un sito unico di superficie con le caratteristiche di un polo tecnologico per la ricerca e la formazione di settore. Nulla esclude che una struttura di questo genere possa nascere, ad esempio, in uno dei siti di ricerca dell'Enea, da riadattare anche ricorrendo al segreto di Stato su parte delle strutture.
Molti dei centri operativi dell'Enea sono già ampiamente blindati (i laboratori della Casaccia tra Roma e Bracciano, ad esempio). E la riservatezza, in questo caso, potrebbe essere gestita con regole e prassi già consolidate. Ciò vale per tutta la "filiera": dagli iter autorizzativi al monitoraggio, dalla costruzione alla logistica. «Nei luoghi coperti dal segreto di Stato - si legge nel Dpcm- le funzioni di controllo ordinariamente svolte dalle aziende sanitarie locali e dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sono svolte da autonomi uffici di controllo collocati a livello centrale dalle amministrazioni interessate che li costituiscono con proprio provvedimento». E le amministrazioni «non sono tenute agli obblighi di comunicazione verso le aziende sanitarie locali e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco a cui hanno, comunque, facoltà di rivolgersi per ausilio o consultazione».
In ogni caso «sono suscettibili di essere oggetto di segreto di Stato le informazioni, le notizie, i documenti, gli atti, le attività, i luoghi e le cose attinenti alle materie di riferimento esemplificativamente elencate ». Come a dire: tutto ciò che riguarda direttamente o indirettamente non solo le strutture da mantenere segrete ma anche le motivazioni della loro esistenza.
Fonte: http://www.ilsole24ore.com/
11 maggio 2008
I PIRATI DELLA SPAZZATURA
Un articolo un po scomodo. Uno schiaffo alla nuova generazione di consumatori. Un sistema entrato in un vortice in moto perpetuo? Almeno per definizione è impossibile. Ma come se ne esce?
La crisi dei rifiuti nel napoletano sconvolge l’Italia e le agghiaccianti eco si fanno sentire anche all’estero e Berlusconi decide di governare da Napoli tre volte la settimana fino alla risoluzione della crisi. All’estero qualcuno mormora che il governo non tornerà mai più a Roma perché le pile dei rifiuti nascondono l’ennesimo racket miliardario del crimine organizzato. E probabilmente hanno ragione, ma la gestione dei rifiuti in Europa e nel mondo non è cosi limpida come si crede.
Quanti consumatori del mercato globale sanno che dai cellulari vecchi alle batterie scariche, i nostri rifiuti tossici finiscono nelle discariche del mondo, e cioè i paesi poveri, contaminandone l’ambiente? Quanti sanno che si tratta di un’ attività illegale, un business multimiliardario che coinvolge tutti i paesi industrializzati? Chi fisicamente gestisce questo disgustoso commercio è una nuova generazione di fuorilegge della globalizzazione: i pirati della spazzatura.
I paesi ricchi hanno detto no ai rifiuti ‘scomodi’, quelli che contamino l’ambiente, e la globalizzazione gli ha permesso di liberarsene facilmente. I motivi sono due: costo e ambiente. Seguendo le direttive dell’Unione Europea decontaminare e disporre dei residui tossici viene a costare più di 1,000 dollari alla tonnellata, i pirati della spazzatura offrono prezzi di un decimo più bassi incluso il trasporto fuori dai confini nazionali. Ecco spiegato perché il 47 per cento delle scorie europee, cioè quello tossico, come i rifiuti elettronici, dai vecchi computer ai macchinari ospedalieri, viene per la quasi totalità spedito per mare ai paesi in via di sviluppo, spesso a bordo di navi sospette, navi pirate.
Per sfuggire ai controlli, le navi pirata spazzatura usano bandiere di comodo, che spesso cambiano durante la rotta. Sebbene il diritto internazionale specifichi che il paese a cui appartiene la bandiera di una nave è responsabile del controllo delle sue attività, alcuni stati permettono ai bastimenti di usare la loro bandiera per poche centinaia o migliaia di dollari, ignorando ogni reato commesso. Tra questi c’e’ la Sierra Leone, in mano ai signori della guerra, ma anche l’Uzbekistan, nazione priva di sbocco al mare.
Il business dei rifiuti tossici è globale. Secondo l’Unep, il programma ambientale delle Nazioni Unite, la produzione annua mondiale di rifiuti elettronici va dai 20 ai 50 milioni di tonnellate. Questo materiale tossico viene diviso in rifiuti riciclabili e non riciclabili. I primi partono per l’India e la Cina dove vengono venduti all’asta ai nascenti capitalisti asiatici, i secondi finiscono nelle mani dei pirati della spazzatura.
La pirateria moderna ha tutte le caratteristiche della pirateria classica, quindi ha poco a che fare con l’immagine contemporanea e romanzata dei pirati. Dimenticate i film di cassetta come I pirati dei Caraibi e pensate invece al modello della criminalità organizzata globalizzata che opera a livello mondiale ed applicatelo al mare, che copre l’80 per cento della superficie della terra, dove regna l’anarchia. Nell’ultimo decennio, la pirateria sui mari è cresciuta del 168 per cento e gli attacchi sono sempre più violenti, ammonisce la commissione trasporti del Parlamento britannico nel luglio del 2006. E il rapporto sulla pirateria arriva proprio dopo due attacchi a navi britanniche che trasportano aiuti per le vittime dello tsunami in Indonesia. Ma è il business della spazzatura tossica che dall’inizio degli anni ’90 cresce a ritmi mai visti prima d’ora. Le moderne Tortughe sono ubicate nel Baltico e nel Mar della Cina. Il racket della pirateria del Baltico e del Mare del Nord è gestito dalla mafia russa, che ha assunto il controllo del mercato dopo il crollo dell’Unione Sovietica. La criminalità organizzata si impossessa della flotta mercantile sovietica e comincia a razziare i mari dal porto di Murmansk, il vecchio fiore all’occhiello della flotta mercantile sovietica. Murmansk apparteneva alla Northern Sea Route (la rotta marina nordica), un’autostrada commerciale di circa 5000 chilometri che dal Baltico si spingeva fino alle miniere di nichel di Norilsk. Al suo apice, nel 1987, oltre sette milioni di tonnellate di merci transitavano nelle sue acque gelide. Oggi Murmansk ospita i fuorilegge dei mari del nord.
I pirati della spazzatura del ventunesimo secolo navigano tutti i mari. A parte i russi, la maggior parte opera nello Stretto di Malacca, un corridoio di 800 chilometri che separa l’Indonesia dalla Malesia (dove si verifica il 42 per cento degli attacchi dei pirati nel mondo), nel Mare Arabico, nella Cina meridionale e in Africa occidentale. I pirati moderni dispongono delle tecnologie più sofisticate. “Un’imbarcazione pirata catturata [nel 1999] in Indonesia era attrezzata con falsi timbri d’immigrazione, strumenti per contraffare i documenti delle navi, sofisticati sistemi radar e attrezzature per le comunicazioni e la localizzazione satellitari,” si legge in uno dei rapporti dell’Organizzazione Marittima Internazionale (OMI). Le loro basi si trovano prevalentemente lungo le coste del Mare della Cina meridionale. Soprattutto, i pirati moderni sono imprenditori dediti al commercio internazionale di merce rubata, con un guadagno di circa 16 miliardi di dollari l’anno, ed alla discarica dei rifiuti tossici.
Uno dei migliori clienti è il Giappone che detiene il record dell’esportazione di materiale tossico in Asia. Le destinazioni più frequenti sono la Tailandia, l’India, la Cina ed Hong Kong. Nel 2006, i pirati della spazzapura cinesi hanno gettato a mare 195 milioni di kili di polvere tossica lungo le coste della Tailandia ed esportato illegalmente in Cina 400 tonnellate di materiale tossico giapponese proveniente da ospedali, impianti chimici ed elettronici.
Ma è l’Africa la destinazione più popolare dei rifiuti scomodi dei paesi ricchi. L’organizzazione non governativa Basel Action Network rivela che il 75 per cento del materiale elettronico che arriva in Nigeria non può essere riciclato e diventa agente inquinante. La Somalia riceve regolarmente tonnellate di rifiuti elettronici e radioattivi. Spesso, approfittando dell’assenza di un governo centrale, i pirati della spazzatura riversano in mare i loro carichi letali: alcuni sono riemersi dopo lo tsunami del dicembre 2005 e hanno provocato un’ondata ipocrita di pubblico sconcerto.
Da un’indagine del Times di Londra emerge che tra quei rifiuti ci sono scorie di uranio radioattivo, cadmio, mercurio e piombo ed anche materiale chimico, industriale ed ospedaliero altamente tossico proveniente dall’Europa. La spedizione, si pena, risale al 1992, quando una gruppo di società europee assolda la società svizzera la Archair Partners e l’italiana Progresso, ambedue specializzate nell’esportazione di spazzatura scomoda. Tra il 1997 ed il 1998, il settimanale Famiglia Cristiana e la sezione italiana di Greenpeace denunciano l’accaduto in una serie di articoli. Greenpeace riesce persino ad impossessarsi della copia dell’accordo firmato dall’allora presidente Ali Mahdi Mohamed dove accettava 10 milioni di tonnellate di rifiuti tossici in cambio di 80 milioni di dollari. Cio’ equivale a circa 8 dollari la tonnellata contro un costo di riciclaggio e smantellamento in Europa di 1.000 dollari la tonnellata.
L’Africa è la pattumiera del mondo perché è il continente più povero, ed i poveri hanno fame. Negli anni novanta, carne radioattiva proveniente dall’ex Unione Sovietica viene seppellita in Zambia dopo che la popolazione ne aveva mangiata una parte. Affamata, la gente la riesumò. Nel 2000 la Zambia riceve in “dono” dei barattoli di carne contaminata dalla Cecoslovacchia. Dopo la scoperta, i 2.880 barattoli vengono seppelliti a 3,5 metri sottoterra e coperti con una colata di cemento nel villaggio di Chongwe, a est della capitale Lusaka. Da allora, gli abitanti affamati hanno fatto di tutto pur di arrivare alla carne. Due anni dopo un giornale belga Gazet van Antwerpen rende noto che alla fine sono riusciti a riesumarla e l’hanno mangiata.
La crisi dei rifiuti del napoletano è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno canaglia globale di cui noi, i consumatori ricchi del villaggio globale. Siamo gli inconsapevoli soci in affari.
Loretta Napoleoni
Fonte: www.nazioneindiana.com
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12 maggio 2008
Il caso Travaglio
In questa intervista a Furio Colombo si parla del caso Annozero. Ultime micce per farla chiudere. Il nostro cervello è costantemente bombardato da opinioni distorte, confuse, false, date e smentite, basate sul nulla e la gente viene letteralmente inebetita da questo continuo blaterare rumoroso. Quando un fatto irrompe nel ronzio televisivo si scatena il putiferio, e non chiaramente per contestare nel merito il contenuto delle informazioni che un superstite giornalista è riuscito a comunicare, a sprezzo del pericolo, ma perché si è permesso di dirle.Una ipnosi collettiva sotto informazioni false e distorte.
Colombo stiamo assistendo ad un ennesimo “caso Travaglio” o in ballo c’è il mantenimento della libertà di espressione in RAI e nel resto del paese?
“C’è un caso Rai evidentemente. La RAI nel suo insieme e nelle sue articolazioni è diventata allergica alla pura e semplice idea di libertà di informazione. Ciò che viene presentata come intervista, in realtà è intesa invece come una banale conversazione. Chi va alla Rai deve sapere che ci si aspetta di attenersi ad un galateo di pudici silenzi, ovvero di parlar d’altro. O al massimo di promuovere se stessi: un libro, un film, una canzone...
Se si rompe quel galateo, esprimendo o una libera opinione o un’informazione provata, di cui si è in grado di rispondere, se necessario anche sul terreno giuridico, in questo caso scatta un sistema , prima ancora che di allarme, di costernazione: “ma come ti offriamo il microfono per fare quattro chiacchiere e metterti in mostra e tu non stai al gioco e dici un opinione che contrasta con la cultura dominante (leggi governo), oppure di permetti proporre dei fatti di cui non si deve parlare?”. Lo scandalo monta prontamente!
Vorrei far notare l’identità di situazioni fra ciò che è accaduto a me, sempre nella stessa trasmissione il 5 aprile del 2005, e ciò che è accaduto a Travaglio l’altro giorno. Era un’intervista sull’aver lasciato il posto di direzione dell’Unità. Io risposi che il mio desiderio più grande era di vivere in un mondo senza più essere governati da Berlusconi, che nella stampa internazionale è considerato “una barzelletta che cammina”. Improvvisamente, è entrata come in una situazione fantozziana la voce del direttore generale in studio, che invece di affrontare l’argomento ha chiesto a Fazio di chiamare subito Mike Buongiorno l’altro ospite, perché voleva fare un’offerta a Buongiorno per farlo ritornare alla RAI e testimoniasse quello spirito di pacificazione di cui avrebbe avuto tanto bisogno l’Italia. In ogni modo, l’intervento di Meocci pose fine alla mia intervista, nel caso avessi avuto bisogno di dire altre cose. Immagino il risultato onirico di questo intervento della voce fuori campo “tonante” del direttore generale di allora!
La cosa ha avuto esattamente lo stesso seguito. A Fazio fu imposto subito di chiedere scusa agli spettatori per gli insulti a Silvio Berlusconi e per il “livore dimostrato da Colombo”, parola inventata da Bondi e Cicchitto per definire qualsiasi critica a Berlusconi.
Si intende che questo non toglie nulla alla qualità di Fazio, che è bravo ed è stato obbligato dalla direzione generale a chiedere scusa. La scena si è ripetuta esattamente dopo che Travaglio ha citato fatti che appaiono in almeno due libri, uno dei quali pubblicato da tempo e mai oggetto di contestazione o di querela. In questo caso, l’imbarazzo di Fazio era evidente, l’intervento pesante e diretto della direzione generale si era già espressa con un comunicato, come se essa avesse il diritto di recensire le interviste.
Ma c’è un aggravante senza precedenti. Invece di stare dalla parte per la libertà di espressione, che se la usi male viene il giudice, l’opposizione, e specificamente la senatrice Finocchiaro del PD, è corsa in aiuto del presidente del Senato.
Di conseguenza, nell’Italia di oggi un solo giornalista che ha citato fatti pubblicati e finora non contestati si è trovato contro tutta la RAI, la presidenza del Senato con tutto il suo peso, e il capo dell’opposizione al Senato, presumibilmente in rappresentanza dei sentori di tutta l’opposizione.
Ora, si può star tranquilli che nessuno ci riproverà, perché è stata confermata con forza l’idea che in RAI si va solo per fare quattro chiacchiere, grati dell’invito e attenti ad evitare quell’imperdonabile maleducazione che è avere un’opinione o proporre una citazione”.
Siamo di nuovo in momento critico per la libertà di espressione. Ma è giusto “morire per Travaglio” e lasciare che la Rai vada alla deriva?
“Si tratta di libertà di espressione dell’esercizio della professione giornalistica nel suo e nel mio caso. Quando si tocca la libertà di espressione giornalistica sul servizio pubblico, si imbocca un percorso immensamente pericoloso. E’ un vero segnale di allarme.”
Non c’è il rischio che per salvare un giornalismo di “rottura”, aspro, anticonformista, si fornisca l’alibi a chi oggi governa di modificare nel profondo la RAI, di ridurre gli spazi di agibilità di quanti non sono a livello dei vari Travaglio o Santoro, di dar vita insomma ad una “normalizzazione”, come fu con l’editto bulgaro tra il 2002 e il 2006?
Ogni volta che si nota una minaccia, e in questo caso si tratta di ciò, ogni volta che si attacca un solo giornalista, occorre reagire, come si può e negli spazi ancora liberi. E lo sto dicendo ad Articolo 21 e non al Corriere della Sera, che certo non vuol sentire la mia opinione, nè da Fazio, perché lui non avrà più l’occasione di invitare né me né Travaglio. Certo, incapperà in qualcun altro che non starà al gioco e la direzione generale riprenderà a far fuoco. Nel frattempo, spero che l’opposizione avrà capito che bisogna difendere la libertà di espressione e non dare la caccia al giornalista, cosa questa che ritengo molto più grave come comportamento, di quella che è invece aspettabile da parte di chi ci governa.
Mi scandalizzano le parole usate da Luciano Violante che chiama “pettegolezzo” ciò che ha scritto un giornalista che è scortato per minacce di mafia, ovvero Lirio Abbate, il cui frammento di libro è stato citato da Travaglio. Chiamare pettegolezzo una testimonianza di mafia, mi pare inconcepibile e sta allargando in modo allarmante il “livello Bondi”, che sta diventando il parametro a cui una parte di dell’opposizione aspira ad omologarsi”.
fonte: articolo21.info
Energia: un segreto di Stato
"Il segreto di Stato potrà essere applicato, in nome della tutela della sicurezza nazionale, ad una lunga serie di infrastrutture critiche: non solo gli armamenti o le installazioni militari ma anche, ad esempio, agli «impianti civili per produzione di energia» con annessi e connessi"
Una corsia preferenziale, un po' nascosta ma proprio per questo più rapida. Potrà servire a risolvere finalmente il problema del deposito unico per lo smaltimento delle scorie nucleari italiane. In nome del segreto di Stato. Che consentirà di dire basta alle defaticanti mediazioni, alle insurrezioni locali, ai tormenti senza fine che hanno cancellato ogni progetto pensato per mettere "in sicurezza" le nostre scorie, per sfociare nell'episodio eclatante del sito geologico di Scanzano Ionico, individuato dal secondo Governo Berlusconi (era il novembre del 2003) con un decreto poi frettolosamente cancellato dopo i moti di popolo fomentati trasversalmente da tutte, ma proprio tutte, le forze politiche locali.
La soluzione, fatto curioso, viene da un provvedimento legislativo lasciato in eredità al nuovo governo Berlusconi dall'Esecutivo di centrosinistra che ha appena levato le tende. Con un Dpcm entrato in vigore il 1º maggio (Gazzetta Ufficiale 16 aprile 2008, n.90) il segreto di Stato potrà essere applicato, in nome della tutela della sicurezza nazionale, ad una lunga serie di infrastrutture critiche: non solo gli armamenti o le installazioni militari ma anche, ad esempio, agli «impianti civili per produzione di energia» con annessi e connessi. Immediato l'allarme delle associazioni ambientaliste, che rimbalza sui loro siti internet: guai se il nuovo regolamento dovesse essere usato, con la scusa di tutelare gli interessi nazionali, per oliare al di là del lecito le opere controverse, magari per affrettare il ritorno in Italia delle centrali nucleari promesso dal Governo Berlusconi.
Per la verità è difficile pensare che qualcuno possa affrettare la costruzione di una centrale nucleare, o anche di un semplice impianto di generazione elettrica a turbogas o di un rigassificatore, ricorrendo al segreto di Stato. Più concreta l'ipotesi che il Dpcm possa facilitare il passo propedeutico a qualunque ipotesi di ritorno operativo al nucleare italiano: la soluzione, appunto, dell'annoso problema della conservazione e del trattamento in una struttura dedicata del materiale radioattivo conservato provvisoriamente nelle strutture delle vecchie centrali nucleari fermate dal referendum del 1987, in altri siti disseminati sul territorio o provvisoriamente (e a caro prezzo) conferito all'estero. Il provvedimento entrato in vigore all'inizio del mese potrebbe ben combinarsi con i nuovi criteri per individuare il sito unico tracciati, sempre dal Governo Prodi, nell'ottobre scorso: entro sei mesi (tempi già scaduti, quindi) si sarebbe dovuto elaborare il progetto per un sito unico di superficie con le caratteristiche di un polo tecnologico per la ricerca e la formazione di settore. Nulla esclude che una struttura di questo genere possa nascere, ad esempio, in uno dei siti di ricerca dell'Enea, da riadattare anche ricorrendo al segreto di Stato su parte delle strutture.
Molti dei centri operativi dell'Enea sono già ampiamente blindati (i laboratori della Casaccia tra Roma e Bracciano, ad esempio). E la riservatezza, in questo caso, potrebbe essere gestita con regole e prassi già consolidate. Ciò vale per tutta la "filiera": dagli iter autorizzativi al monitoraggio, dalla costruzione alla logistica. «Nei luoghi coperti dal segreto di Stato - si legge nel Dpcm- le funzioni di controllo ordinariamente svolte dalle aziende sanitarie locali e dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sono svolte da autonomi uffici di controllo collocati a livello centrale dalle amministrazioni interessate che li costituiscono con proprio provvedimento». E le amministrazioni «non sono tenute agli obblighi di comunicazione verso le aziende sanitarie locali e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco a cui hanno, comunque, facoltà di rivolgersi per ausilio o consultazione».
In ogni caso «sono suscettibili di essere oggetto di segreto di Stato le informazioni, le notizie, i documenti, gli atti, le attività, i luoghi e le cose attinenti alle materie di riferimento esemplificativamente elencate ». Come a dire: tutto ciò che riguarda direttamente o indirettamente non solo le strutture da mantenere segrete ma anche le motivazioni della loro esistenza.
Fonte: http://www.ilsole24ore.com/
11 maggio 2008
I PIRATI DELLA SPAZZATURA
Un articolo un po scomodo. Uno schiaffo alla nuova generazione di consumatori. Un sistema entrato in un vortice in moto perpetuo? Almeno per definizione è impossibile. Ma come se ne esce?
La crisi dei rifiuti nel napoletano sconvolge l’Italia e le agghiaccianti eco si fanno sentire anche all’estero e Berlusconi decide di governare da Napoli tre volte la settimana fino alla risoluzione della crisi. All’estero qualcuno mormora che il governo non tornerà mai più a Roma perché le pile dei rifiuti nascondono l’ennesimo racket miliardario del crimine organizzato. E probabilmente hanno ragione, ma la gestione dei rifiuti in Europa e nel mondo non è cosi limpida come si crede.
Quanti consumatori del mercato globale sanno che dai cellulari vecchi alle batterie scariche, i nostri rifiuti tossici finiscono nelle discariche del mondo, e cioè i paesi poveri, contaminandone l’ambiente? Quanti sanno che si tratta di un’ attività illegale, un business multimiliardario che coinvolge tutti i paesi industrializzati? Chi fisicamente gestisce questo disgustoso commercio è una nuova generazione di fuorilegge della globalizzazione: i pirati della spazzatura.
I paesi ricchi hanno detto no ai rifiuti ‘scomodi’, quelli che contamino l’ambiente, e la globalizzazione gli ha permesso di liberarsene facilmente. I motivi sono due: costo e ambiente. Seguendo le direttive dell’Unione Europea decontaminare e disporre dei residui tossici viene a costare più di 1,000 dollari alla tonnellata, i pirati della spazzatura offrono prezzi di un decimo più bassi incluso il trasporto fuori dai confini nazionali. Ecco spiegato perché il 47 per cento delle scorie europee, cioè quello tossico, come i rifiuti elettronici, dai vecchi computer ai macchinari ospedalieri, viene per la quasi totalità spedito per mare ai paesi in via di sviluppo, spesso a bordo di navi sospette, navi pirate.
Per sfuggire ai controlli, le navi pirata spazzatura usano bandiere di comodo, che spesso cambiano durante la rotta. Sebbene il diritto internazionale specifichi che il paese a cui appartiene la bandiera di una nave è responsabile del controllo delle sue attività, alcuni stati permettono ai bastimenti di usare la loro bandiera per poche centinaia o migliaia di dollari, ignorando ogni reato commesso. Tra questi c’e’ la Sierra Leone, in mano ai signori della guerra, ma anche l’Uzbekistan, nazione priva di sbocco al mare.
Il business dei rifiuti tossici è globale. Secondo l’Unep, il programma ambientale delle Nazioni Unite, la produzione annua mondiale di rifiuti elettronici va dai 20 ai 50 milioni di tonnellate. Questo materiale tossico viene diviso in rifiuti riciclabili e non riciclabili. I primi partono per l’India e la Cina dove vengono venduti all’asta ai nascenti capitalisti asiatici, i secondi finiscono nelle mani dei pirati della spazzatura.
La pirateria moderna ha tutte le caratteristiche della pirateria classica, quindi ha poco a che fare con l’immagine contemporanea e romanzata dei pirati. Dimenticate i film di cassetta come I pirati dei Caraibi e pensate invece al modello della criminalità organizzata globalizzata che opera a livello mondiale ed applicatelo al mare, che copre l’80 per cento della superficie della terra, dove regna l’anarchia. Nell’ultimo decennio, la pirateria sui mari è cresciuta del 168 per cento e gli attacchi sono sempre più violenti, ammonisce la commissione trasporti del Parlamento britannico nel luglio del 2006. E il rapporto sulla pirateria arriva proprio dopo due attacchi a navi britanniche che trasportano aiuti per le vittime dello tsunami in Indonesia. Ma è il business della spazzatura tossica che dall’inizio degli anni ’90 cresce a ritmi mai visti prima d’ora. Le moderne Tortughe sono ubicate nel Baltico e nel Mar della Cina. Il racket della pirateria del Baltico e del Mare del Nord è gestito dalla mafia russa, che ha assunto il controllo del mercato dopo il crollo dell’Unione Sovietica. La criminalità organizzata si impossessa della flotta mercantile sovietica e comincia a razziare i mari dal porto di Murmansk, il vecchio fiore all’occhiello della flotta mercantile sovietica. Murmansk apparteneva alla Northern Sea Route (la rotta marina nordica), un’autostrada commerciale di circa 5000 chilometri che dal Baltico si spingeva fino alle miniere di nichel di Norilsk. Al suo apice, nel 1987, oltre sette milioni di tonnellate di merci transitavano nelle sue acque gelide. Oggi Murmansk ospita i fuorilegge dei mari del nord.
I pirati della spazzatura del ventunesimo secolo navigano tutti i mari. A parte i russi, la maggior parte opera nello Stretto di Malacca, un corridoio di 800 chilometri che separa l’Indonesia dalla Malesia (dove si verifica il 42 per cento degli attacchi dei pirati nel mondo), nel Mare Arabico, nella Cina meridionale e in Africa occidentale. I pirati moderni dispongono delle tecnologie più sofisticate. “Un’imbarcazione pirata catturata [nel 1999] in Indonesia era attrezzata con falsi timbri d’immigrazione, strumenti per contraffare i documenti delle navi, sofisticati sistemi radar e attrezzature per le comunicazioni e la localizzazione satellitari,” si legge in uno dei rapporti dell’Organizzazione Marittima Internazionale (OMI). Le loro basi si trovano prevalentemente lungo le coste del Mare della Cina meridionale. Soprattutto, i pirati moderni sono imprenditori dediti al commercio internazionale di merce rubata, con un guadagno di circa 16 miliardi di dollari l’anno, ed alla discarica dei rifiuti tossici.
Uno dei migliori clienti è il Giappone che detiene il record dell’esportazione di materiale tossico in Asia. Le destinazioni più frequenti sono la Tailandia, l’India, la Cina ed Hong Kong. Nel 2006, i pirati della spazzapura cinesi hanno gettato a mare 195 milioni di kili di polvere tossica lungo le coste della Tailandia ed esportato illegalmente in Cina 400 tonnellate di materiale tossico giapponese proveniente da ospedali, impianti chimici ed elettronici.
Ma è l’Africa la destinazione più popolare dei rifiuti scomodi dei paesi ricchi. L’organizzazione non governativa Basel Action Network rivela che il 75 per cento del materiale elettronico che arriva in Nigeria non può essere riciclato e diventa agente inquinante. La Somalia riceve regolarmente tonnellate di rifiuti elettronici e radioattivi. Spesso, approfittando dell’assenza di un governo centrale, i pirati della spazzatura riversano in mare i loro carichi letali: alcuni sono riemersi dopo lo tsunami del dicembre 2005 e hanno provocato un’ondata ipocrita di pubblico sconcerto.
Da un’indagine del Times di Londra emerge che tra quei rifiuti ci sono scorie di uranio radioattivo, cadmio, mercurio e piombo ed anche materiale chimico, industriale ed ospedaliero altamente tossico proveniente dall’Europa. La spedizione, si pena, risale al 1992, quando una gruppo di società europee assolda la società svizzera la Archair Partners e l’italiana Progresso, ambedue specializzate nell’esportazione di spazzatura scomoda. Tra il 1997 ed il 1998, il settimanale Famiglia Cristiana e la sezione italiana di Greenpeace denunciano l’accaduto in una serie di articoli. Greenpeace riesce persino ad impossessarsi della copia dell’accordo firmato dall’allora presidente Ali Mahdi Mohamed dove accettava 10 milioni di tonnellate di rifiuti tossici in cambio di 80 milioni di dollari. Cio’ equivale a circa 8 dollari la tonnellata contro un costo di riciclaggio e smantellamento in Europa di 1.000 dollari la tonnellata.
L’Africa è la pattumiera del mondo perché è il continente più povero, ed i poveri hanno fame. Negli anni novanta, carne radioattiva proveniente dall’ex Unione Sovietica viene seppellita in Zambia dopo che la popolazione ne aveva mangiata una parte. Affamata, la gente la riesumò. Nel 2000 la Zambia riceve in “dono” dei barattoli di carne contaminata dalla Cecoslovacchia. Dopo la scoperta, i 2.880 barattoli vengono seppelliti a 3,5 metri sottoterra e coperti con una colata di cemento nel villaggio di Chongwe, a est della capitale Lusaka. Da allora, gli abitanti affamati hanno fatto di tutto pur di arrivare alla carne. Due anni dopo un giornale belga Gazet van Antwerpen rende noto che alla fine sono riusciti a riesumarla e l’hanno mangiata.
La crisi dei rifiuti del napoletano è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno canaglia globale di cui noi, i consumatori ricchi del villaggio globale. Siamo gli inconsapevoli soci in affari.
Loretta Napoleoni
Fonte: www.nazioneindiana.com
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