21 febbraio 2009

rimborsielettoraliey0

«Ah, se facessimo le riforme insieme!», dicevano di qua. «Ah, se facessimo le riforme insieme!», dicevano di là. Detto fatto, la destra e la sinistra un punto d'accordo al Senato l'hanno trovato: la donazione dei rimborsi elettorali anche ai partitini che alle Europee non arriveranno alla soglia del 4%.
Basterà che arrivino alla metà: il 2%. Crepi l'avarizia. Quando l'ha saputo, il democratico Gianclaudio Bressa è caduto dalle nuvole: «Trasecolo. Ma come è possibile?»
Era stato lui, due settimane fa, a mettersi di traverso a Montecitorio all'emendamento del tesoriere diessino Ugo Sposetti che puntava a distribuire soldi anche alle forze politiche che dovessero superare appena appena l'1%: «E mica l'avevo fatto di mia iniziativa. Avevo chiesto a Sposetti di lasciar perdere a nome del partito. Ed ero convinto che il partito...» In due settimane è cambiato tutto. Addio Sardegna, addio Soru, addio Veltroni. E se proprio era ormai impossibile ribaltare la scelta già votata e concordata con il Pdl per inserire lo sbarramento alle Europee al 4%, almeno un segnale alla sinistra rifondarola, verde, comunista e socialista per riaprire il dialogo i democratici hanno deciso di darlo. E cosa c'è di meglio di un contentino in denaro? Così ieri mattina, a palazzo Madama, quell'emendamento giudicato «inammissibile» dalla conferenza dei capigruppo di Montecitorio, è rispuntato con le firme di due senatori democratrici (della sinistra) Vincenzo Vita e Paolo Nerozzi. E visto che anche il PdL voleva svelenire i rapporti con la Destra di Francesco Storace, il voto è stato trionfale. Avete presente gli insulti che volano ogni giorno dall'una all'altra parte degli schieramenti? Bene, stavolta tutti d'amore e d'accordo: 254 votanti, due astenuti (i radicali Marco Perduca e Donatella Poretti: l'astensione a Palazzo Madama equivale a una bocciatura) e nessun contrario. Manco uno.
Per carità, se dovesse essere tutto confermato alla Camera (ammesso che la soglia dei soldi non sia abbassata ancora...) andrà comunque meglio che alle Europee del 2004. Cinque anni fa non solo l'Ulivo prese di rimborsi elettorali sette volte più di quanto aveva dichiarato d'avere speso, i comunisti di Diliberto dodici e Rifondazione tredici. Ma la Fiamma Tricolore moltiplicò l'investimento per quasi 82 volte e il Partito dei pensionati addirittura per 180. Aveva investito in manifesti, comizi, spot, viaggi e volantini 16.435 euro e si ritrovò benedetto da un acquazzone di quasi tre milioni. Pari a 7 euro e 95 cent per ogni voto avuto.
Male che vada, queste perversioni dovrebbero stavolta essere evitate. L'anomalia italiana, però, resterà. E se cambierà (in parte) la distribuzione del pubblico denaro, non cambierà la somma complessiva da spartire. Somma che, rispetto agli altri paesi europei (non parliamo degli Stati Uniti dove ci sono finanziamenti solo per le «presidenziali», pari nel 2004 a neanche mezzo euro ad americano) è enormemente superiore. Basti dire che, secondo un dossier della Camera, le elezioni europee del 2004 sono costate di rimborsi ai partiti 42 centesimi a ogni francese, 86 a ogni italiano. Più, naturalmente, tutti gli altri soldi distribuiti dalla leggina votata nel luglio 2002 da una larghissima maggioranza trasversale e pubblicata dalla Gazzetta Ufficiale tre giorni più tardi. Tre giorni: record planetario di velocità legislativa.
Riassumiamo? Le pubbliche casse danno ogni anno ai partiti 50 milioni di rimborsi elettorali per le Regionali (anche quando non ci sono), più altri 50 per le Europee (anche quando non ci sono), più altri 50 per le Politiche alla Camera e più altri 50 per le Politiche al Senato, anche quando non ci sono. Non bastasse, un'ulteriore leggina del 2006 ha consentito come è noto la doppia razione di rimborsi per le «politiche » (cento milioni l'anno) per il 2008, 2009, 2010 e 2001 come se la vecchia legislatura non fosse mai naufragata.
Insomma, con tutto il rispetto per le difficoltà economiche dei piccoli partiti che vorrebbero legittimamente continuare a sventolare la loro bandierina, quella di ieri al Senato è una decisione assai lontana dalle scelte di altri paesi. I quali, per scoraggiare l'assalto di troppi partitini non solo non distribuiscono soldi a pioggia ma talora chiedono a chi presenta una lista alle elezioni addirittura un deposito cauzionale che perderà se non arriva a una certa soglia. Che a Malta arriva a uno stratosferico 10%.
Eppure, chi immagina che gli italiani resteranno perplessi si sbaglia: tutti, certamente no. A parte gli elettori di questo o quel partitino finanziariamente nei guai, hanno buoni motivi per esultare, ad esempio, i dipendenti della Camera. Il «ritocco» del finanziamento pubblico ai partiti rende meno vistose infatti altre due notizie date ieri dall'Ansa. La prima è che i 28 autisti e i 30 banconisti circa della buvette di Montecitorio si sono visti riconoscere dall'ufficio di presidenza (nel quadro di un riordino che dovrebbe portare entro il 2016 a una riduzione del personale) una cosa che aspettavano dal 1981: la promozione dal primo («operaio tecnico») al secondo livello («collaboratore tecnico») col risultato che, diventando graduati, peseranno sulla Camera per circa 700 mila euro in più l'anno.
E andranno a riposo con pensioni pari, in certi casi, a quelle di un docente universitario. Ma la notizia più stupefacente è la seconda: visto che al Senato non hanno mantenuto l'impegno di adottare per i dipendenti la «riforma Dini» (accettata solo per i neo-assunti), l'adeguamento concordato nella scorsa legislatura è stato cancellato: anche le pensioni di commessi, autisti, barbieri, segretari e dattilografi di Montecitorio assunti dopo il 2001 continueranno ad essere calcolate (quattordici anni dopo la svolta!) col vecchio sistema retributivo e non con quello contributivo usato per tutti gli altri italiani. E meno male che promettevano un taglio ai privilegi...


di Gian Antonio Stella

La nave dei folli

nave dei folli

Esiste vita intelligente a Washington, DC? Neanche un briciolo.
L’economia statunitense sta implodendo ed Obama si lascia traghettare verso il pantano dell’Afghanistan dal suo governo di neocon e agenti israeliani, evenienza che probabilmente causerà uno scontro con la Russia e forse anche con la Cina. La quale, non bisogna scordarlo, è il maggiore creditore degli Stati Uniti.

Le cifre dei libri paga di gennaio rivelano circa 20mila licenziamenti al giorno. In dicembre, la situazione era anche più nera del previsto (dai 524mila licenziamenti preventivati ai 577mila reali). Questa correzione fa arrivare l’ammontare di posti di lavoro perduti in due mesi a 1.175.000. Se si continua così, i 3 milioni di nuovi impieghi promessi da Obama saranno controbilanciati e cancellati dai licenziamenti di massa.

Secondo John Williams (esperto di statistica e curatore di
Shadowstats.com), queste titaniche cifre sono una sottostima della reale proporzione della crisi. Williams fa notare che gli errori di valutazione, intrinsechi nei fattori di correzione stagionali, hanno fatto sparire 118mila licenziamenti dai resoconti di gennaio: la cifra reale per quel mese raggiungerebbe i 716mila posti di lavoro perduti.
Ma le ricerche basate sui libri paga contano il numero di posti di lavoro, non il numero delle persone occupate. Queste due cifre non sono equivalenti, perché alcuni cittadini potrebbero avere più di un lavoro.

Al contrario, l’Household Survey (NdT: un enorme resoconto sulle condizioni economiche della nazione, condotto dall’equivalente americano del nostro ISTAT) conta il numero degli impiegati effettivi. Mostra che 832mila persone hanno perso il proprio lavoro a gennaio e 806mila a dicembre, per un totale di 1.638.000.
Il tasso di disoccupazione sciorinato dai media statunitensi è, quindi, un falso plateale. Williams spiega che negli anni dell’amministrazione Clinton, la categoria dei lavoratori "scoraggiati" (coloro che neanche cercavano più un lavoro) è stata ridefinita, in modo da entrare nelle statistiche solo quando lo "scoraggiamento" aveva una durata inferiore ad un anno. Questa limitazione temporale ha spazzato via dai documenti ufficiali la maggior parte di questi disoccupati senza speranza. Riaggregando questo segmento della popolazione alle statistiche attuali, ci rendiamo conto che la disoccupazione effettiva, a gennaio, ha raggiunto il 18%, con un aumento dello 0,5% rispetto al mese precedente.

savejobs-1In altre parole, se rimuoviamo dai dati ufficiali le manipolazioni di un governo che ci mente ogni volta che apre la bocca, constateremo che il livello di disoccupazione statunitense è sufficiente per dichiarare la nostra economia in stato di depressione.
E non potrebbe essere altrimenti, data l’enorme mole di posti di lavoro che è stata trasferita all’estero. Un governo è impossibilitato a creare nuovi posti di lavoro, se le sue aziende spostano all’estero gli impianti di produzione per i beni ed i servizi destinati al mercato interno. Spostando i processi produttivi all’estero, "cedono" ad altri stati delle fette del PIL nazionale. Il deficit nelle esportazioni che ne risulta ha, negli ultimi dieci anni, fatto crollare il PIL statunitense di 1,5 trilioni di dollari. Tradotto: un sacco di posti di lavoro.

Da anni parlo dei laureati costretti a fare la cameriera o il barista per sopravvivere. Man mano che una popolazione esponenzialmente indebitata continua a perdere posti di lavoro, sarà sempre meno incline a frequentare bar e ristoranti. E ciò significa che i laureati statunitensi non riusciranno a trovare nemmeno quei lavori che implicano il lavaggio di piatti o la preparazione di cocktail.
I legislatori hanno ignorato il fatto che, nel ventunesimo secolo, la domanda dei consumatori è stata principalmente alimentata dall’aumento dell’indebitamento, e non degli introiti. Questo fatto basilare ci mostra come sia inutile tentare di stimolare l’economia con vagonate di dollari dirette ai banchieri (per convincerli a prestare più denaro, s’intende). I consumatori americani non sono più nella condizione di chiedere prestiti.

Se sommiamo il crollo del valore dei loro principali asset (vale a dire le loro case), la distruzione di metà dei loro fondi pensionistici e la minaccia di un futuro di disoccupazione, ci rendiamo conto che gli americani non possono e non vogliono spendere.
Quindi, che senso ha offrire un ‘bailout’ a gruppi come la General Motors e la Citibank, che fanno il possibile per trasferire all’estero il maggior numero di operazioni?

È vero che gran parte delle infrastrutture statunitensi sono in pessime condizioni e hanno un gran bisogno di ristrutturazione, ma i lavori in questo settore non producono beni e servizi che possano essere esportati. L’impegno massiccio nel settore delle infrastrutture non cambia di una virgola il mostruoso deficit d’esportazione statunitense, il cui finanziamento inizia a rappresentare un grosso problema. Ancor di più, i posti di lavoro nel settore delle infrastrutture durano esattamente quanto la realizzazione delle stesse.
Nella migliore delle ipotesi, lo "stimolo" all’economia propugnato da Obama non farà altro che ridurre temporaneamente la disoccupazione, sempre che la maggior parte dei nuovi posti di lavoro nel campo dell’edilizia non siano occupati da messicani.
A meno che le corporation statunitensi non siano costrette ad impiegare manodopera locale per produrre beni e servizi indirizzati ai mercati domestici, l’economia USA non ha futuro. Nessun membro dello staff di Obama è abbastanza intelligente da rendersene conto. Quindi, l’economia continuerà ad implodere.

Come se questa catastrofe in incubazione non bastasse, Obama si è fatto addirittura turlupinare dai suoi consiglieri neocon e militari. Ha deciso di espandere l’impegno bellico in Afghanistan, una vasta regione montagnosa. Il presidente intende sfruttare la riduzione delle truppe in Iraq per raddoppiare quelle presenti in Afghanistan. Nonostante questo, i 60mila soldati previsti non sarebbero comunque sufficienti. Dopotutto, sono meno della metà di quelli coinvolti nella fallimentare occupazione dell’Iraq. L’esercito ha preventivato che ci vorrebbero come minimo 600mila soldati per portare a termine la missione.

Per far fuori il regime di Bush, gli iraniani hanno dovuto tenere per le briglie i loro alleati sciiti, convincendoli ad usare le elezioni per guadagnarsi il potere ed usarlo per espellere gli americani. Ed è per questo motivo che, in Iraq, le truppe statunitensi hanno dovuto fronteggiare "solamente" l’insurrezione della minoranza sunnita. Ciononostante, gli occupanti sono riusciti a vincere (si fa per dire) non sul piano militare, ma a suon di banconote, sganciando dollari su dollari per convincere i rivoltosi a non combattere. L’accordo di ritiro delle truppe è stato dettato dagli sciiti. Non è quello che Bush avrebbe voluto.
Ci si aspetterebbe che l’esperienza della "passeggiata" in Iraq avrebbe reso gli Stati Uniti più cauti. Ed invece no, perché si sono gettati con maggior vigore nel tentativo di occupare l’Afghanistan, un’impresa che richiede inoltre la conquista di aree del Pakistan.



Per gli USA è stata dura mantenere 150mila soldati in Iraq. Obama necessita un altro mezzo milione di soldati per pacificare l’Afghanistan, da aggiungere a quelli già stanziati. Dove intende andare a pescarli?

Una risposta è l’imponente disoccupazione USA in rapido aumento. Gli americani metteranno la firma per andare ad uccidere all’estero piuttosto che restare senza casa e a stomaco vuoto in patria.

Ma questa è solo una mezza soluzione. Da dove attingere il denaro per sostenere sul campo un esercito di 650mila unità, di oltre quattro volte superiore al contingente USA in Iraq, una guerra che ci è costata tre trilioni di dollari di spese vive e sta già generando costi futuri? Questo denaro avrebbe dovuto sommarsi ai tre trilioni di dollari del deficit di bilancio, prodotto dal salvataggio del settore finanziario operato da Bush, dal pacchetto stimolo di Obama e dall’economia in rapido declino. Quando i sistemi economici entrano in crisi - come sta accadendo negli USA - il gettito fiscale collassa. Milioni di americani disoccupati non pagano i contributi della previdenza sociale, le polizze per l’assicurazione sanitaria e le imposte sul reddito. Le attività commerciali e le aziende che chiudono non versano le imposte statali e le imposte federali. I consumatori senza denaro o privi di accesso al credito non sborsano le imposte sulle vendite.

Gli Idioti di Washington, perché di idioti si tratta, non hanno pensato per un attimo a come finanziare il deficit di bilancio dell’anno contabile 2009, pari a circa due-tre trilioni di dollari. Il tasso di risparmio virtualmente inesistente non lo può finanziare. Il saldo attivo della bilancia commerciale dei nostri partner quali Cina, Giappone ed Arabia Saudita non lo può finanziare.
Pertanto, il governo USA dispone di due sole possibilità per far fronte al suo disavanzo. La prima, è costituita da un ulteriore crollo del mercato borsistico, che condurrebbe gli investitori sopravvissuti e le loro risorse residue ai buoni del Tesoro “sicuri”. L’altra sarebbe la monetizzazione del debito del Tesoro da parte della Federal Reserve.

La monetizzazione del debito implicherebbe l’acquisto da parte della Federal Reserve dei buoni del Tesoro qualora nessuno intendesse acquistarli o fosse in grado di farlo. Ciò avverrebbe tramite la creazione di depositi bancari per conto del Tesoro.

In altri termini, la Federal Reserve “stamperebbe denaro” con il quale acquistare i buoni del Tesoro.
Nel momento in cui si verificasse una tale evenienza, il dollaro USA cesserebbe di essere la valuta di riserva.
Inoltre la Cina, il Giappone e l’Arabia Saudita, paesi che detengono ingenti quote del debito del Tesoro statunitense, nonché altri asset in dollari USA, li venderebbero subito, nella speranza di salvarsi prima degli altri.

Il dollaro americano perderebbe ogni valore, al pari di una valuta da repubblica delle banane.
Gli Stati Uniti non sarebbero in grado di pagare le proprie importazioni, un problema questo particolarmente grave per un paese che dipende dalle importazioni per l’energia, i manufatti e i prodotti high-tech.

I consiglieri keynesiani di Obama hanno appreso con solerzia la lezione di Milton Friedman per il quale la Grande Depressione fu causata dalla Federal Reserve che permise una contrazione dell’offerta di valuta e di credito. Nel corso della Grande Depressione i debiti virtuosi furono azzerati dalla contrazione monetaria. Oggi i crediti inesigibili sono protetti dall’espansione della moneta e del credito ed il Tesoro USA sta mettendo a repentaglio la propria solvibilità e lo status di valuta di riserva del dollaro con aste trimestrali di ingenti quantità di bond all’apparenza interminabili.

Nel frattempo i russi, straripanti di energia e di risorse minerali e privi di debiti, hanno appreso di non potersi fidare del governo USA. La Russia ha osservato i tentativi dei successori di Reagan di trasformare le ex-repubbliche dell’Unione Sovietica in stati marionetta in mano agli americani ed alle loro basi militari. Gli USA stanno cercando di accerchiare la Russia con missili che neutralizzino il deterrente strategico russo.

Putin ha guadagnato terreno nei confronti del “compagno lupo” [1].
Grazie alle manovre del presidente del Kirghizistan è riuscito a sfrattare dall’ex-repubblica sovietica la base militare statunitense, di vitale importanza per gli approvvigionamenti ai soldati di stanza in Afghanistan.

Per bloccare l’ingerenza americana nella sua sfera di influenza, il governo russo ha creato un’organizzazione per il trattato di sicurezza collettiva comprendente Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan. L’Uzbekistan partecipa in modo parziale.
In buona sostanza, la Russia ha organizzato l’Asia Centrale contro la penetrazione americana.

A chi deve rispondere il Presidente Obama? Stephen J. Sniegoski, che scrive sulla versione inglese del settimanale svizzero Zeit-Fragen, riferisce che le figure chiave della cospirazione neocon – Richard Perle, Max Boot, David Brooks e Mona Charen – sarebbero in estasi per le nomine effettuate da Obama. Non vedono alcuna differenza tra Obama e Bush/Cheney.
Non soltanto i consiglieri di Obama lo stanno conducendo verso una guerra allargata in Afghanistan ma la potente lobby filoisraeliana starebbe spingendo Obama verso una guerra con l’Iran.
L’irrealtà nella quale il governo USA sta operando è da non credersi. Un governo in bancarotta che non può pagare i propri conti senza stampare nuova moneta si sta buttando a capofitto nelle guerre contro Afghanistan, Pakistan ed Iran. Secondo il Center for Strategic and Budgetary Analysis, il costo che i contribuenti americani devono sostenere per mandare un solo soldato a combattere in Iraq ammonta a 775.000 dollari l’anno.
Il mondo non ha mai visto una sconsideratezza così totale. Le invasioni della Russia da parte di Napoleone e di Hitler sono stati atti razionali se paragonate alla stupidità irragionevole del governo americano.
La guerra di Obama in Afghanistan è come il tè del Cappellaio Matto. Dopo sette anni di conflitto, non esiste ancora una missione ben definita o un obiettivo finale per il contingente USA in Afghanistan. Interpellato sulla missione, un ufficiale militare americano
ha detto a NBC News: «Francamente, non ne abbiamo una.» La NBC riferisce che «ci stanno lavorando».
Durante il suo discorso del 5 febbraio ai Democratici della Camera, il presidente Obama ha ammesso che il governo USA non conosce il motivo della missione in Afghanistan e che, per evitare «che la missione proceda a tentoni, senza parametri chiari», gli Stati Uniti «hanno bisogno di una missione chiara».
Cosa ne direste di essere mandati in una guerra il cui scopo è sconosciuto a tutti, ivi compreso al comandante in capo che vi ha spedito a uccidere o ad essere uccisi? Che ne pensate, cari contribuenti, del fatto di sostenere ingenti costi per inviare soldati in una missione non definita mentre l’economia va a rotoli?

Paul Craig Roberts

Le banche europee e i vigili del fuoco

sfondo
Questa prospettiva dalla City di Londra è interessante, data la devastazione che impregna i loro stesso panorama circostante. Gli Anglo-Americani sembrano aver lanciato il guanto di sfida, cosa farà ora, Monsieur Trichet ?

Il sistema bancario europeo è certamente un casino, e se mai ci fosse una circostanza che giustificasse il perseguire la "opzione svedese" del nazionalizzare le banche, questa la è.

Una frase [ dell'articolo che segue ] attrae particolarmente l'attenzione:

"Ci stiamo avvicinando al punto nel quale il Fondo Monetario Internazionale potrebbe dover stampare denaro per il mondo, ricorrendo ad arcani poteri per emettere Special Drawing Rights."


[ SDR o Diritti Speciali di Prelievo, è un particolare tipo di valuta, unità di misura del FMI, costituita da un paniere di valute rispetto alle quali si calcola un comun denominatore; gli SDR sono detti anche 'paper gold', cioè oro di carta, in quanto strutturati al fine di rimpiazzare l'oro nelle transazioni internazionali, ndt ]

Problema => Reazione => Soluzione

Sembrano esserci sempre degli arcani poteri pronti a risolvere delle crisi 'inaspettate'.

[ Leggiamo ora l'articolo del Telegraph ]

UK Telegraph
Il Fallimento nel salvare l'Est europeo porterà al crollo mondiale
Di Ambrose Evans-Pritchard
11:17PM GMT 14 Febbraio 2009

Se maneggiata malamente dalle istituzioni governative mondiali, questa crisi è grande abbastanza da frantumare il debole sistema bancario dell'Europa Occidentale e farci passare al secondo round del nostro Crepuscolo degli Dei finanziario.

Il ministro delle finanze austriaco, Josef Proll, la scorsa settimana si è prodotto in sforzi frenetici per mettere insieme 150 miliardi di euro di salvataggio per l'ex blocco sovietico. Lo ha potuto fare perchè le sue banche hanno prestato alla regione 230 miliardi di euro, corrispondenti al 70% del Prodotto Interno Lordo dell'Austria,

" [ Ne deriva che ] un tasso di insolvenza del 10% potrebbe portare al collasso il sistema finanziario austriaco, " riferisce il Der Standard di Vienna. Sfortunatamente, è proprio quanto sta per accadere.

L'EBRD ( European Banck for Reconstruction and Development ) ha detto che i cattivi debiti sono a livello del 10% e potrebbero salire fino al 20%. La stampa di Vienna ha detto che la Banca d'Austria, e l'Unicredit che la possiede, stanno per subire una "Stalingrado monetaria" nei paesi dell'Est.

La scorsa settimana, il Sig. Proll ha cercato di raccogliere il sostegno, dai ministri delle finanze dei paesi europei, al suo pacchetto di salvataggio. L'idea è stata soffocata dal tedesco Peer Steinbruck : non è un nostro problema, ha detto. Lo vedremo.

Stephen Jen, capo settore valute alla Morgan Stanley, riferisce che l'Europa dell'Est ha mutui per oltre 1,7 trilioni di dollari, soprattutto in obbligazioni in scadenza a breve. Devono riscattarne - o rifinanziarne - nell'anno per 400 miliardi, che equivale ad un terzo del Prodotto Interno Lordo dell'area. Buona fortuna, perchè i rubinetti del credito sono chiusi serrati.

Neppure la Russia potrà onorare facilmente il debito di 500 miliardi di dollari dei suoi oligarchi, perlomeno finchè il greggio rimane vicino ai 33$ al barile. L'investimento era tarato infatti sul greggio degli Urali a 95$ al barile, ed infatti la Russia, da agosto, ha 'sanguinato' il 36% delle sue riserve [ in divise ] estere per difendere il rublo.

"Questa è la più grossa speculazione della storia su una singola divisa, " ha detto il Sig. Jen.

In Polonia, il 60% dei mutui sono in Franchi Svizzeri e lo zlot si è appena dimezzato contro il franco. Ungheria, paesi balcanici, baltici e l'Ucraina stanno tutti vivendo una variante di questa stessa storia. Quale atto di follia collettiva - di mutuanti e mutuatari - coincide con la debacle dei subprime americani. Tuttavia, c'è una differenza sostanziale : le banche europee sono con l'acqua alla gola sui due fronti, le banche USA, no.

Quasi tutto il debito del blocco dell'Est è nelle mani dell'Europa dell'Ovest, soprattutto delle banche di Austria, Svezia, Grecia ed Italia e Belgio. Gli Europei detengono un sorprendente 74% dell'intero portafoglio - di 4.900 miliardi di dollari - di prestiti piazzati sui mercati emergenti.

Gli Europei sono cinque volte più esposti a quest'ultimo fallimento che non le banche americane o giapponesi, e - secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale - hanno un reinvestimento superiore del 50%.

La Spagna c'è dentro fino al collo nell'America Latina, che si è unita in ritardo al crollo ( la produzione di auto in Messico è crollata del 51% in gennaio, ed il Brasile ha perso 650.000 posto di lavoro in un mese ), mentre Gran Bretagna e Svizzera ci sono dentro fino al collo in Asia.

Che la cosa richieda mesi, o solo settimane, il mondo sta per scoprire che il sistema finanziario europeo è affondato, e che non c'è nessuna Federal Reserve europea che sia già pronta ad agire quale ente erogatore di prestiti di ultima istanza capace di inondare i mercati di stimoli di emergenza.

In base ad un'analisi condotta secondo la "Regola Taylor" [ una moderna regola di politica monetaria proposta da John B. Taylor, che indica di quanto la Fed dovrebbe modificare il tasso di interesse in conseguenza dello scostamento del PIL reale dal PIL potenziale ecc..., ndt ], la Banca Centrale Europea, è già nella necessità di tagliare i tassi a zero per poi acquistare su larga scala obbligazioni e Titoli di Stato. Ma ciò è bloccato dalla geopolitica - un veto tedesco-olandese - a dal Trattato di Maastricht.

Basta divagare, è l'Est dell'Europa che proprio adesso sta esplodendo. Erik Berglof, economista capo dell'EBRD ( European Banck for Reconstruction and Development ), mi ha detto che la zona potrebbe aver bisogno di 400 miliardi di euro di aiuti per coprire i mutui e rianimare il sistema creditizio.

I governi europei stanno rendendo le cose ancora peggiori : alcuni stanno premendo sulle banche perchè si ritirino, svendendo le sussidiarie nell'Europa dell'Est. Atene ha ordinato alle banche greche di tirarsi fuori dai Balcani.

Le somme necessarie vanno al di là dei limiti del Fondo Monetario Internazionale, che ha già salvato Ungheria, Ucraina, Lettonia, Bielorussia, Islanda e Pakistan - ed ora tocca allaTurchia - e sta rapidamente esaurendo i 200 miliardi di dollari ( 155 miliardi di € ), della sua riserva.

"Ci stiamo avvicinando al punto nel quale il Fondo Monetario Internazionale potrebbe dover stampare denaro per il mondo, ricorrendo ad arcani poteri per emettere Special Drawing Rights."


I suoi 16 miliardi di salvataggio per l'Ucraina sono svaporati : il paese - che dopo il crollo del prezzo dell'acciaio deve fare i conti con una contrazione del PIL pari al 12% - sta precipitando verso la bancarotta, spiazzando Unicredit, Raffeisen ed ING.

Il Pakistan ha bisogno di altri 7,6 miliardi di dollari. Il governatore della banca centrale della Lettonia ha definito la propria economia "clinicamente morta" dopo che si è ridotta di un 10,5% nel quarto quadrimestre. Le proteste hanno coinvolto il tesoro e sconvolto il parlamento.

Lars Christensen, Danske Bank, ha detto : " Questa è molto peggiore della crisi nell'Est asiatico, del 1990."

"Nell'area, ci sono disastri in attesa di verificarsi, ma le istituzioni europee non hanno il minimo schema di intervento per fronteggiarle. Il giorno che decideranno di non aiutare un solo singolo paese di questi, sarà la miccia per una gigantesca crisi che si diffonderà come un contagio nell'Unione Europea."

L'Europa si trova già in guai ben peggiori di quelli che la BCE od i leaders europei si erano mai aspettati. La Germania ha patito una contrazione, nel quarto quadrimestre, pari ad un tasso annuo dell' 8,4%.

Se la Deutsche Bank ha ragione, prima della fine di questo anno, l'economia si sarà ridotta di un altro 9%; questo è quel tipo di livello che alimenta le rivolte popolari.

Le implicazioni sono ovvie : Berlino non ha intenzione di salvare Irlanda Spagna Grecia e Portogallo mentre il collasso delle loro bolle creditizie porterà ad un aumento di insolvenze, nè ha intenzione di salvare l'Italia con l'accettare piani per "obbligazioni dell'Unione Europea" se mai i mercati del debito dovessero essere spaventati dalla traiettoria missilistica del debito pubblico italiano ( che potrebbe schizzare l'anno prossimo al 1112% del PIL, dopo una recente revisione al rialzo dal 101% - grossa variazione ), nè avrà intenzione di salvare l'Austria dal suo avventurismo asburgico.

Così stiamo lì a guardare ed aspettare mentre le fiamme degli incendi letali si avvicinano. Se una scintilla salta al di là della linea dell'eurozona, in pochi giorni ci sarà una crisi sistemica mondiale.

I vigili del fuoco, sono pronti?
by Jesse's Café Américain

21 febbraio 2009

rimborsielettoraliey0

«Ah, se facessimo le riforme insieme!», dicevano di qua. «Ah, se facessimo le riforme insieme!», dicevano di là. Detto fatto, la destra e la sinistra un punto d'accordo al Senato l'hanno trovato: la donazione dei rimborsi elettorali anche ai partitini che alle Europee non arriveranno alla soglia del 4%.
Basterà che arrivino alla metà: il 2%. Crepi l'avarizia. Quando l'ha saputo, il democratico Gianclaudio Bressa è caduto dalle nuvole: «Trasecolo. Ma come è possibile?»
Era stato lui, due settimane fa, a mettersi di traverso a Montecitorio all'emendamento del tesoriere diessino Ugo Sposetti che puntava a distribuire soldi anche alle forze politiche che dovessero superare appena appena l'1%: «E mica l'avevo fatto di mia iniziativa. Avevo chiesto a Sposetti di lasciar perdere a nome del partito. Ed ero convinto che il partito...» In due settimane è cambiato tutto. Addio Sardegna, addio Soru, addio Veltroni. E se proprio era ormai impossibile ribaltare la scelta già votata e concordata con il Pdl per inserire lo sbarramento alle Europee al 4%, almeno un segnale alla sinistra rifondarola, verde, comunista e socialista per riaprire il dialogo i democratici hanno deciso di darlo. E cosa c'è di meglio di un contentino in denaro? Così ieri mattina, a palazzo Madama, quell'emendamento giudicato «inammissibile» dalla conferenza dei capigruppo di Montecitorio, è rispuntato con le firme di due senatori democratrici (della sinistra) Vincenzo Vita e Paolo Nerozzi. E visto che anche il PdL voleva svelenire i rapporti con la Destra di Francesco Storace, il voto è stato trionfale. Avete presente gli insulti che volano ogni giorno dall'una all'altra parte degli schieramenti? Bene, stavolta tutti d'amore e d'accordo: 254 votanti, due astenuti (i radicali Marco Perduca e Donatella Poretti: l'astensione a Palazzo Madama equivale a una bocciatura) e nessun contrario. Manco uno.
Per carità, se dovesse essere tutto confermato alla Camera (ammesso che la soglia dei soldi non sia abbassata ancora...) andrà comunque meglio che alle Europee del 2004. Cinque anni fa non solo l'Ulivo prese di rimborsi elettorali sette volte più di quanto aveva dichiarato d'avere speso, i comunisti di Diliberto dodici e Rifondazione tredici. Ma la Fiamma Tricolore moltiplicò l'investimento per quasi 82 volte e il Partito dei pensionati addirittura per 180. Aveva investito in manifesti, comizi, spot, viaggi e volantini 16.435 euro e si ritrovò benedetto da un acquazzone di quasi tre milioni. Pari a 7 euro e 95 cent per ogni voto avuto.
Male che vada, queste perversioni dovrebbero stavolta essere evitate. L'anomalia italiana, però, resterà. E se cambierà (in parte) la distribuzione del pubblico denaro, non cambierà la somma complessiva da spartire. Somma che, rispetto agli altri paesi europei (non parliamo degli Stati Uniti dove ci sono finanziamenti solo per le «presidenziali», pari nel 2004 a neanche mezzo euro ad americano) è enormemente superiore. Basti dire che, secondo un dossier della Camera, le elezioni europee del 2004 sono costate di rimborsi ai partiti 42 centesimi a ogni francese, 86 a ogni italiano. Più, naturalmente, tutti gli altri soldi distribuiti dalla leggina votata nel luglio 2002 da una larghissima maggioranza trasversale e pubblicata dalla Gazzetta Ufficiale tre giorni più tardi. Tre giorni: record planetario di velocità legislativa.
Riassumiamo? Le pubbliche casse danno ogni anno ai partiti 50 milioni di rimborsi elettorali per le Regionali (anche quando non ci sono), più altri 50 per le Europee (anche quando non ci sono), più altri 50 per le Politiche alla Camera e più altri 50 per le Politiche al Senato, anche quando non ci sono. Non bastasse, un'ulteriore leggina del 2006 ha consentito come è noto la doppia razione di rimborsi per le «politiche » (cento milioni l'anno) per il 2008, 2009, 2010 e 2001 come se la vecchia legislatura non fosse mai naufragata.
Insomma, con tutto il rispetto per le difficoltà economiche dei piccoli partiti che vorrebbero legittimamente continuare a sventolare la loro bandierina, quella di ieri al Senato è una decisione assai lontana dalle scelte di altri paesi. I quali, per scoraggiare l'assalto di troppi partitini non solo non distribuiscono soldi a pioggia ma talora chiedono a chi presenta una lista alle elezioni addirittura un deposito cauzionale che perderà se non arriva a una certa soglia. Che a Malta arriva a uno stratosferico 10%.
Eppure, chi immagina che gli italiani resteranno perplessi si sbaglia: tutti, certamente no. A parte gli elettori di questo o quel partitino finanziariamente nei guai, hanno buoni motivi per esultare, ad esempio, i dipendenti della Camera. Il «ritocco» del finanziamento pubblico ai partiti rende meno vistose infatti altre due notizie date ieri dall'Ansa. La prima è che i 28 autisti e i 30 banconisti circa della buvette di Montecitorio si sono visti riconoscere dall'ufficio di presidenza (nel quadro di un riordino che dovrebbe portare entro il 2016 a una riduzione del personale) una cosa che aspettavano dal 1981: la promozione dal primo («operaio tecnico») al secondo livello («collaboratore tecnico») col risultato che, diventando graduati, peseranno sulla Camera per circa 700 mila euro in più l'anno.
E andranno a riposo con pensioni pari, in certi casi, a quelle di un docente universitario. Ma la notizia più stupefacente è la seconda: visto che al Senato non hanno mantenuto l'impegno di adottare per i dipendenti la «riforma Dini» (accettata solo per i neo-assunti), l'adeguamento concordato nella scorsa legislatura è stato cancellato: anche le pensioni di commessi, autisti, barbieri, segretari e dattilografi di Montecitorio assunti dopo il 2001 continueranno ad essere calcolate (quattordici anni dopo la svolta!) col vecchio sistema retributivo e non con quello contributivo usato per tutti gli altri italiani. E meno male che promettevano un taglio ai privilegi...


di Gian Antonio Stella

La nave dei folli

nave dei folli

Esiste vita intelligente a Washington, DC? Neanche un briciolo.
L’economia statunitense sta implodendo ed Obama si lascia traghettare verso il pantano dell’Afghanistan dal suo governo di neocon e agenti israeliani, evenienza che probabilmente causerà uno scontro con la Russia e forse anche con la Cina. La quale, non bisogna scordarlo, è il maggiore creditore degli Stati Uniti.

Le cifre dei libri paga di gennaio rivelano circa 20mila licenziamenti al giorno. In dicembre, la situazione era anche più nera del previsto (dai 524mila licenziamenti preventivati ai 577mila reali). Questa correzione fa arrivare l’ammontare di posti di lavoro perduti in due mesi a 1.175.000. Se si continua così, i 3 milioni di nuovi impieghi promessi da Obama saranno controbilanciati e cancellati dai licenziamenti di massa.

Secondo John Williams (esperto di statistica e curatore di
Shadowstats.com), queste titaniche cifre sono una sottostima della reale proporzione della crisi. Williams fa notare che gli errori di valutazione, intrinsechi nei fattori di correzione stagionali, hanno fatto sparire 118mila licenziamenti dai resoconti di gennaio: la cifra reale per quel mese raggiungerebbe i 716mila posti di lavoro perduti.
Ma le ricerche basate sui libri paga contano il numero di posti di lavoro, non il numero delle persone occupate. Queste due cifre non sono equivalenti, perché alcuni cittadini potrebbero avere più di un lavoro.

Al contrario, l’Household Survey (NdT: un enorme resoconto sulle condizioni economiche della nazione, condotto dall’equivalente americano del nostro ISTAT) conta il numero degli impiegati effettivi. Mostra che 832mila persone hanno perso il proprio lavoro a gennaio e 806mila a dicembre, per un totale di 1.638.000.
Il tasso di disoccupazione sciorinato dai media statunitensi è, quindi, un falso plateale. Williams spiega che negli anni dell’amministrazione Clinton, la categoria dei lavoratori "scoraggiati" (coloro che neanche cercavano più un lavoro) è stata ridefinita, in modo da entrare nelle statistiche solo quando lo "scoraggiamento" aveva una durata inferiore ad un anno. Questa limitazione temporale ha spazzato via dai documenti ufficiali la maggior parte di questi disoccupati senza speranza. Riaggregando questo segmento della popolazione alle statistiche attuali, ci rendiamo conto che la disoccupazione effettiva, a gennaio, ha raggiunto il 18%, con un aumento dello 0,5% rispetto al mese precedente.

savejobs-1In altre parole, se rimuoviamo dai dati ufficiali le manipolazioni di un governo che ci mente ogni volta che apre la bocca, constateremo che il livello di disoccupazione statunitense è sufficiente per dichiarare la nostra economia in stato di depressione.
E non potrebbe essere altrimenti, data l’enorme mole di posti di lavoro che è stata trasferita all’estero. Un governo è impossibilitato a creare nuovi posti di lavoro, se le sue aziende spostano all’estero gli impianti di produzione per i beni ed i servizi destinati al mercato interno. Spostando i processi produttivi all’estero, "cedono" ad altri stati delle fette del PIL nazionale. Il deficit nelle esportazioni che ne risulta ha, negli ultimi dieci anni, fatto crollare il PIL statunitense di 1,5 trilioni di dollari. Tradotto: un sacco di posti di lavoro.

Da anni parlo dei laureati costretti a fare la cameriera o il barista per sopravvivere. Man mano che una popolazione esponenzialmente indebitata continua a perdere posti di lavoro, sarà sempre meno incline a frequentare bar e ristoranti. E ciò significa che i laureati statunitensi non riusciranno a trovare nemmeno quei lavori che implicano il lavaggio di piatti o la preparazione di cocktail.
I legislatori hanno ignorato il fatto che, nel ventunesimo secolo, la domanda dei consumatori è stata principalmente alimentata dall’aumento dell’indebitamento, e non degli introiti. Questo fatto basilare ci mostra come sia inutile tentare di stimolare l’economia con vagonate di dollari dirette ai banchieri (per convincerli a prestare più denaro, s’intende). I consumatori americani non sono più nella condizione di chiedere prestiti.

Se sommiamo il crollo del valore dei loro principali asset (vale a dire le loro case), la distruzione di metà dei loro fondi pensionistici e la minaccia di un futuro di disoccupazione, ci rendiamo conto che gli americani non possono e non vogliono spendere.
Quindi, che senso ha offrire un ‘bailout’ a gruppi come la General Motors e la Citibank, che fanno il possibile per trasferire all’estero il maggior numero di operazioni?

È vero che gran parte delle infrastrutture statunitensi sono in pessime condizioni e hanno un gran bisogno di ristrutturazione, ma i lavori in questo settore non producono beni e servizi che possano essere esportati. L’impegno massiccio nel settore delle infrastrutture non cambia di una virgola il mostruoso deficit d’esportazione statunitense, il cui finanziamento inizia a rappresentare un grosso problema. Ancor di più, i posti di lavoro nel settore delle infrastrutture durano esattamente quanto la realizzazione delle stesse.
Nella migliore delle ipotesi, lo "stimolo" all’economia propugnato da Obama non farà altro che ridurre temporaneamente la disoccupazione, sempre che la maggior parte dei nuovi posti di lavoro nel campo dell’edilizia non siano occupati da messicani.
A meno che le corporation statunitensi non siano costrette ad impiegare manodopera locale per produrre beni e servizi indirizzati ai mercati domestici, l’economia USA non ha futuro. Nessun membro dello staff di Obama è abbastanza intelligente da rendersene conto. Quindi, l’economia continuerà ad implodere.

Come se questa catastrofe in incubazione non bastasse, Obama si è fatto addirittura turlupinare dai suoi consiglieri neocon e militari. Ha deciso di espandere l’impegno bellico in Afghanistan, una vasta regione montagnosa. Il presidente intende sfruttare la riduzione delle truppe in Iraq per raddoppiare quelle presenti in Afghanistan. Nonostante questo, i 60mila soldati previsti non sarebbero comunque sufficienti. Dopotutto, sono meno della metà di quelli coinvolti nella fallimentare occupazione dell’Iraq. L’esercito ha preventivato che ci vorrebbero come minimo 600mila soldati per portare a termine la missione.

Per far fuori il regime di Bush, gli iraniani hanno dovuto tenere per le briglie i loro alleati sciiti, convincendoli ad usare le elezioni per guadagnarsi il potere ed usarlo per espellere gli americani. Ed è per questo motivo che, in Iraq, le truppe statunitensi hanno dovuto fronteggiare "solamente" l’insurrezione della minoranza sunnita. Ciononostante, gli occupanti sono riusciti a vincere (si fa per dire) non sul piano militare, ma a suon di banconote, sganciando dollari su dollari per convincere i rivoltosi a non combattere. L’accordo di ritiro delle truppe è stato dettato dagli sciiti. Non è quello che Bush avrebbe voluto.
Ci si aspetterebbe che l’esperienza della "passeggiata" in Iraq avrebbe reso gli Stati Uniti più cauti. Ed invece no, perché si sono gettati con maggior vigore nel tentativo di occupare l’Afghanistan, un’impresa che richiede inoltre la conquista di aree del Pakistan.



Per gli USA è stata dura mantenere 150mila soldati in Iraq. Obama necessita un altro mezzo milione di soldati per pacificare l’Afghanistan, da aggiungere a quelli già stanziati. Dove intende andare a pescarli?

Una risposta è l’imponente disoccupazione USA in rapido aumento. Gli americani metteranno la firma per andare ad uccidere all’estero piuttosto che restare senza casa e a stomaco vuoto in patria.

Ma questa è solo una mezza soluzione. Da dove attingere il denaro per sostenere sul campo un esercito di 650mila unità, di oltre quattro volte superiore al contingente USA in Iraq, una guerra che ci è costata tre trilioni di dollari di spese vive e sta già generando costi futuri? Questo denaro avrebbe dovuto sommarsi ai tre trilioni di dollari del deficit di bilancio, prodotto dal salvataggio del settore finanziario operato da Bush, dal pacchetto stimolo di Obama e dall’economia in rapido declino. Quando i sistemi economici entrano in crisi - come sta accadendo negli USA - il gettito fiscale collassa. Milioni di americani disoccupati non pagano i contributi della previdenza sociale, le polizze per l’assicurazione sanitaria e le imposte sul reddito. Le attività commerciali e le aziende che chiudono non versano le imposte statali e le imposte federali. I consumatori senza denaro o privi di accesso al credito non sborsano le imposte sulle vendite.

Gli Idioti di Washington, perché di idioti si tratta, non hanno pensato per un attimo a come finanziare il deficit di bilancio dell’anno contabile 2009, pari a circa due-tre trilioni di dollari. Il tasso di risparmio virtualmente inesistente non lo può finanziare. Il saldo attivo della bilancia commerciale dei nostri partner quali Cina, Giappone ed Arabia Saudita non lo può finanziare.
Pertanto, il governo USA dispone di due sole possibilità per far fronte al suo disavanzo. La prima, è costituita da un ulteriore crollo del mercato borsistico, che condurrebbe gli investitori sopravvissuti e le loro risorse residue ai buoni del Tesoro “sicuri”. L’altra sarebbe la monetizzazione del debito del Tesoro da parte della Federal Reserve.

La monetizzazione del debito implicherebbe l’acquisto da parte della Federal Reserve dei buoni del Tesoro qualora nessuno intendesse acquistarli o fosse in grado di farlo. Ciò avverrebbe tramite la creazione di depositi bancari per conto del Tesoro.

In altri termini, la Federal Reserve “stamperebbe denaro” con il quale acquistare i buoni del Tesoro.
Nel momento in cui si verificasse una tale evenienza, il dollaro USA cesserebbe di essere la valuta di riserva.
Inoltre la Cina, il Giappone e l’Arabia Saudita, paesi che detengono ingenti quote del debito del Tesoro statunitense, nonché altri asset in dollari USA, li venderebbero subito, nella speranza di salvarsi prima degli altri.

Il dollaro americano perderebbe ogni valore, al pari di una valuta da repubblica delle banane.
Gli Stati Uniti non sarebbero in grado di pagare le proprie importazioni, un problema questo particolarmente grave per un paese che dipende dalle importazioni per l’energia, i manufatti e i prodotti high-tech.

I consiglieri keynesiani di Obama hanno appreso con solerzia la lezione di Milton Friedman per il quale la Grande Depressione fu causata dalla Federal Reserve che permise una contrazione dell’offerta di valuta e di credito. Nel corso della Grande Depressione i debiti virtuosi furono azzerati dalla contrazione monetaria. Oggi i crediti inesigibili sono protetti dall’espansione della moneta e del credito ed il Tesoro USA sta mettendo a repentaglio la propria solvibilità e lo status di valuta di riserva del dollaro con aste trimestrali di ingenti quantità di bond all’apparenza interminabili.

Nel frattempo i russi, straripanti di energia e di risorse minerali e privi di debiti, hanno appreso di non potersi fidare del governo USA. La Russia ha osservato i tentativi dei successori di Reagan di trasformare le ex-repubbliche dell’Unione Sovietica in stati marionetta in mano agli americani ed alle loro basi militari. Gli USA stanno cercando di accerchiare la Russia con missili che neutralizzino il deterrente strategico russo.

Putin ha guadagnato terreno nei confronti del “compagno lupo” [1].
Grazie alle manovre del presidente del Kirghizistan è riuscito a sfrattare dall’ex-repubblica sovietica la base militare statunitense, di vitale importanza per gli approvvigionamenti ai soldati di stanza in Afghanistan.

Per bloccare l’ingerenza americana nella sua sfera di influenza, il governo russo ha creato un’organizzazione per il trattato di sicurezza collettiva comprendente Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan. L’Uzbekistan partecipa in modo parziale.
In buona sostanza, la Russia ha organizzato l’Asia Centrale contro la penetrazione americana.

A chi deve rispondere il Presidente Obama? Stephen J. Sniegoski, che scrive sulla versione inglese del settimanale svizzero Zeit-Fragen, riferisce che le figure chiave della cospirazione neocon – Richard Perle, Max Boot, David Brooks e Mona Charen – sarebbero in estasi per le nomine effettuate da Obama. Non vedono alcuna differenza tra Obama e Bush/Cheney.
Non soltanto i consiglieri di Obama lo stanno conducendo verso una guerra allargata in Afghanistan ma la potente lobby filoisraeliana starebbe spingendo Obama verso una guerra con l’Iran.
L’irrealtà nella quale il governo USA sta operando è da non credersi. Un governo in bancarotta che non può pagare i propri conti senza stampare nuova moneta si sta buttando a capofitto nelle guerre contro Afghanistan, Pakistan ed Iran. Secondo il Center for Strategic and Budgetary Analysis, il costo che i contribuenti americani devono sostenere per mandare un solo soldato a combattere in Iraq ammonta a 775.000 dollari l’anno.
Il mondo non ha mai visto una sconsideratezza così totale. Le invasioni della Russia da parte di Napoleone e di Hitler sono stati atti razionali se paragonate alla stupidità irragionevole del governo americano.
La guerra di Obama in Afghanistan è come il tè del Cappellaio Matto. Dopo sette anni di conflitto, non esiste ancora una missione ben definita o un obiettivo finale per il contingente USA in Afghanistan. Interpellato sulla missione, un ufficiale militare americano
ha detto a NBC News: «Francamente, non ne abbiamo una.» La NBC riferisce che «ci stanno lavorando».
Durante il suo discorso del 5 febbraio ai Democratici della Camera, il presidente Obama ha ammesso che il governo USA non conosce il motivo della missione in Afghanistan e che, per evitare «che la missione proceda a tentoni, senza parametri chiari», gli Stati Uniti «hanno bisogno di una missione chiara».
Cosa ne direste di essere mandati in una guerra il cui scopo è sconosciuto a tutti, ivi compreso al comandante in capo che vi ha spedito a uccidere o ad essere uccisi? Che ne pensate, cari contribuenti, del fatto di sostenere ingenti costi per inviare soldati in una missione non definita mentre l’economia va a rotoli?

Paul Craig Roberts

Le banche europee e i vigili del fuoco

sfondo
Questa prospettiva dalla City di Londra è interessante, data la devastazione che impregna i loro stesso panorama circostante. Gli Anglo-Americani sembrano aver lanciato il guanto di sfida, cosa farà ora, Monsieur Trichet ?

Il sistema bancario europeo è certamente un casino, e se mai ci fosse una circostanza che giustificasse il perseguire la "opzione svedese" del nazionalizzare le banche, questa la è.

Una frase [ dell'articolo che segue ] attrae particolarmente l'attenzione:

"Ci stiamo avvicinando al punto nel quale il Fondo Monetario Internazionale potrebbe dover stampare denaro per il mondo, ricorrendo ad arcani poteri per emettere Special Drawing Rights."


[ SDR o Diritti Speciali di Prelievo, è un particolare tipo di valuta, unità di misura del FMI, costituita da un paniere di valute rispetto alle quali si calcola un comun denominatore; gli SDR sono detti anche 'paper gold', cioè oro di carta, in quanto strutturati al fine di rimpiazzare l'oro nelle transazioni internazionali, ndt ]

Problema => Reazione => Soluzione

Sembrano esserci sempre degli arcani poteri pronti a risolvere delle crisi 'inaspettate'.

[ Leggiamo ora l'articolo del Telegraph ]

UK Telegraph
Il Fallimento nel salvare l'Est europeo porterà al crollo mondiale
Di Ambrose Evans-Pritchard
11:17PM GMT 14 Febbraio 2009

Se maneggiata malamente dalle istituzioni governative mondiali, questa crisi è grande abbastanza da frantumare il debole sistema bancario dell'Europa Occidentale e farci passare al secondo round del nostro Crepuscolo degli Dei finanziario.

Il ministro delle finanze austriaco, Josef Proll, la scorsa settimana si è prodotto in sforzi frenetici per mettere insieme 150 miliardi di euro di salvataggio per l'ex blocco sovietico. Lo ha potuto fare perchè le sue banche hanno prestato alla regione 230 miliardi di euro, corrispondenti al 70% del Prodotto Interno Lordo dell'Austria,

" [ Ne deriva che ] un tasso di insolvenza del 10% potrebbe portare al collasso il sistema finanziario austriaco, " riferisce il Der Standard di Vienna. Sfortunatamente, è proprio quanto sta per accadere.

L'EBRD ( European Banck for Reconstruction and Development ) ha detto che i cattivi debiti sono a livello del 10% e potrebbero salire fino al 20%. La stampa di Vienna ha detto che la Banca d'Austria, e l'Unicredit che la possiede, stanno per subire una "Stalingrado monetaria" nei paesi dell'Est.

La scorsa settimana, il Sig. Proll ha cercato di raccogliere il sostegno, dai ministri delle finanze dei paesi europei, al suo pacchetto di salvataggio. L'idea è stata soffocata dal tedesco Peer Steinbruck : non è un nostro problema, ha detto. Lo vedremo.

Stephen Jen, capo settore valute alla Morgan Stanley, riferisce che l'Europa dell'Est ha mutui per oltre 1,7 trilioni di dollari, soprattutto in obbligazioni in scadenza a breve. Devono riscattarne - o rifinanziarne - nell'anno per 400 miliardi, che equivale ad un terzo del Prodotto Interno Lordo dell'area. Buona fortuna, perchè i rubinetti del credito sono chiusi serrati.

Neppure la Russia potrà onorare facilmente il debito di 500 miliardi di dollari dei suoi oligarchi, perlomeno finchè il greggio rimane vicino ai 33$ al barile. L'investimento era tarato infatti sul greggio degli Urali a 95$ al barile, ed infatti la Russia, da agosto, ha 'sanguinato' il 36% delle sue riserve [ in divise ] estere per difendere il rublo.

"Questa è la più grossa speculazione della storia su una singola divisa, " ha detto il Sig. Jen.

In Polonia, il 60% dei mutui sono in Franchi Svizzeri e lo zlot si è appena dimezzato contro il franco. Ungheria, paesi balcanici, baltici e l'Ucraina stanno tutti vivendo una variante di questa stessa storia. Quale atto di follia collettiva - di mutuanti e mutuatari - coincide con la debacle dei subprime americani. Tuttavia, c'è una differenza sostanziale : le banche europee sono con l'acqua alla gola sui due fronti, le banche USA, no.

Quasi tutto il debito del blocco dell'Est è nelle mani dell'Europa dell'Ovest, soprattutto delle banche di Austria, Svezia, Grecia ed Italia e Belgio. Gli Europei detengono un sorprendente 74% dell'intero portafoglio - di 4.900 miliardi di dollari - di prestiti piazzati sui mercati emergenti.

Gli Europei sono cinque volte più esposti a quest'ultimo fallimento che non le banche americane o giapponesi, e - secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale - hanno un reinvestimento superiore del 50%.

La Spagna c'è dentro fino al collo nell'America Latina, che si è unita in ritardo al crollo ( la produzione di auto in Messico è crollata del 51% in gennaio, ed il Brasile ha perso 650.000 posto di lavoro in un mese ), mentre Gran Bretagna e Svizzera ci sono dentro fino al collo in Asia.

Che la cosa richieda mesi, o solo settimane, il mondo sta per scoprire che il sistema finanziario europeo è affondato, e che non c'è nessuna Federal Reserve europea che sia già pronta ad agire quale ente erogatore di prestiti di ultima istanza capace di inondare i mercati di stimoli di emergenza.

In base ad un'analisi condotta secondo la "Regola Taylor" [ una moderna regola di politica monetaria proposta da John B. Taylor, che indica di quanto la Fed dovrebbe modificare il tasso di interesse in conseguenza dello scostamento del PIL reale dal PIL potenziale ecc..., ndt ], la Banca Centrale Europea, è già nella necessità di tagliare i tassi a zero per poi acquistare su larga scala obbligazioni e Titoli di Stato. Ma ciò è bloccato dalla geopolitica - un veto tedesco-olandese - a dal Trattato di Maastricht.

Basta divagare, è l'Est dell'Europa che proprio adesso sta esplodendo. Erik Berglof, economista capo dell'EBRD ( European Banck for Reconstruction and Development ), mi ha detto che la zona potrebbe aver bisogno di 400 miliardi di euro di aiuti per coprire i mutui e rianimare il sistema creditizio.

I governi europei stanno rendendo le cose ancora peggiori : alcuni stanno premendo sulle banche perchè si ritirino, svendendo le sussidiarie nell'Europa dell'Est. Atene ha ordinato alle banche greche di tirarsi fuori dai Balcani.

Le somme necessarie vanno al di là dei limiti del Fondo Monetario Internazionale, che ha già salvato Ungheria, Ucraina, Lettonia, Bielorussia, Islanda e Pakistan - ed ora tocca allaTurchia - e sta rapidamente esaurendo i 200 miliardi di dollari ( 155 miliardi di € ), della sua riserva.

"Ci stiamo avvicinando al punto nel quale il Fondo Monetario Internazionale potrebbe dover stampare denaro per il mondo, ricorrendo ad arcani poteri per emettere Special Drawing Rights."


I suoi 16 miliardi di salvataggio per l'Ucraina sono svaporati : il paese - che dopo il crollo del prezzo dell'acciaio deve fare i conti con una contrazione del PIL pari al 12% - sta precipitando verso la bancarotta, spiazzando Unicredit, Raffeisen ed ING.

Il Pakistan ha bisogno di altri 7,6 miliardi di dollari. Il governatore della banca centrale della Lettonia ha definito la propria economia "clinicamente morta" dopo che si è ridotta di un 10,5% nel quarto quadrimestre. Le proteste hanno coinvolto il tesoro e sconvolto il parlamento.

Lars Christensen, Danske Bank, ha detto : " Questa è molto peggiore della crisi nell'Est asiatico, del 1990."

"Nell'area, ci sono disastri in attesa di verificarsi, ma le istituzioni europee non hanno il minimo schema di intervento per fronteggiarle. Il giorno che decideranno di non aiutare un solo singolo paese di questi, sarà la miccia per una gigantesca crisi che si diffonderà come un contagio nell'Unione Europea."

L'Europa si trova già in guai ben peggiori di quelli che la BCE od i leaders europei si erano mai aspettati. La Germania ha patito una contrazione, nel quarto quadrimestre, pari ad un tasso annuo dell' 8,4%.

Se la Deutsche Bank ha ragione, prima della fine di questo anno, l'economia si sarà ridotta di un altro 9%; questo è quel tipo di livello che alimenta le rivolte popolari.

Le implicazioni sono ovvie : Berlino non ha intenzione di salvare Irlanda Spagna Grecia e Portogallo mentre il collasso delle loro bolle creditizie porterà ad un aumento di insolvenze, nè ha intenzione di salvare l'Italia con l'accettare piani per "obbligazioni dell'Unione Europea" se mai i mercati del debito dovessero essere spaventati dalla traiettoria missilistica del debito pubblico italiano ( che potrebbe schizzare l'anno prossimo al 1112% del PIL, dopo una recente revisione al rialzo dal 101% - grossa variazione ), nè avrà intenzione di salvare l'Austria dal suo avventurismo asburgico.

Così stiamo lì a guardare ed aspettare mentre le fiamme degli incendi letali si avvicinano. Se una scintilla salta al di là della linea dell'eurozona, in pochi giorni ci sarà una crisi sistemica mondiale.

I vigili del fuoco, sono pronti?
by Jesse's Café Américain