01 marzo 2009

Castelli di finanza

Ovvero: come centinaia di migliaia di cittadini italiani, in gran parte ancora ignari, verranno chiamati dai Tribunali italiani a pagare le perdite purimiliardarie degli squali di Wall Street. Tutti abbiamo saputo dei cosiddetti “Mutui subprime” americani, che sono stati una delle basi della crisi finanziaria planetaria dovuta alla finanza tossica. Le banche e le società finanziarie americane concedevano un mutuo per la casa a soggetti che difficilmente potevano poi pagarlo, ma in questo modo creavano un credito certo ed esigibile, coperto da una garanzia immobiliare. Questo “credito certo” veniva poi utilizzato come base per emettere altri titoli di credito (i famosi Derivati o Hedge Fund) che con le cosiddette prassi dell’ingegneria finanziaria veniva moltiplicato all’infinito. A dire che su un “credito certo” ad esempio di 100.000$ (il mutuo) si garantivano cinquanta e cento volte tanto di Derivati ed Hedge Fund. banca1_magazine-il-fondo Quando il castello finanziario è cominciato a franare, e si andati dal povero cristo a cui avevano fatto il mutuo, tutto è crollato. Tranquilli, ci dice il governo italiano. Le banche italiane sono solide e giudiziose, non hanno fatto mutui subprime e “finanza creativa”. E’ vero che per salvarle dal disastro della crisi planetaria lo Stato gli ha regalato miliardi di Euro dei contribuenti (sulla cifra vera c’è il segreto di Stato), è vero che le banche si sono incamerati questi soldi e stanno strozzando l’economia reale negando il credito alle imprese, ma sono quisquilie, pinzellacchere. Voi state tranquilli. Tutto prende le mosse dalla legge 130/1999 fatta dal governo D’Alema, quella delle “cartolarizzazioni”. Le banche nel loro complesso avevano, dopo la crisi del 1992 (uscita dallo SME per le operazioni speculative contro la lira organizzate dal celebre finanziere Soros attraverso il “Quantum Fund”, con conseguente svalutazione della lira, crisi economica etc) avevano migliaia di miliardi di crediti ipotecari e chirografari di difficile se non impossibile esigibilità. Con la legge 130/1999 gli si consentiva di vendere questi crediti a terzi (appunto la “cartolarizzazione”) e di mettere in perdita la differenza fra il credito vantato (ad esempio 100.000€) e il prezzo di cessione del credito (ad esempio 40.000€), defalcando dall’imponibile fiscale i 60.000€. Mentre prima il credito “certo e libero” andava dimostrato in tribunale per poter agire contro il debitore ora diventava “certo e libero” su semplice dichiarazione della Banca. Mentre prima era vietato cedere un credito a terzi senza il consenso del debitore ora si poteva cedere questo credito all’insaputa del debitore (con un semplice annuncio in Gazzetta Ufficiale (la Banca X ha ceduto i suoi crediti alla Società Y). E a chi li vendevano questi crediti “certi e liberi” le banche? A se stesse. Tutte le banche crearono delle Srl con capitale di venti milioni alle quali vendettero crediti per migliaia di miliardi di lire, gli ipotecari al 40% del loro valore nominale, i chirografari al 10% del loro valore nominale. E come pagarono questi crediti le Srl? Con delle “obbligazioni”, cioè con delle “promesse di pagamento”, cioè con delle “cambiali” (nobilitate anche col nome di Derivati ed Hedge Fund, appunto). Cambiali che erano garantite dal credito acquistato e che rimaneva al 100% nei riguardi dell’ignaro debitore. Capito il meccanismo? Le banche vendettero a se stesse i crediti sottraendo al fisco il 40% o il 90% dell’imponibile, ma il credito rimaneva al 100% “certo e libero” in quota a una società di proprietà della stessa banca, che però non ci pagava le tasse perchè a bilancio questo “attivo” si sottraeva il “passivo” delle obbligazioni emesse. Ma attenzione: le banche avevano già recuperato fiscalmente questi crediti poiché aveva già conseguito il beneficio degli ammortamenti attraverso il dispositivo degli accantonamenti annuali al fondo di svalutazione crediti e al fondo di rischio. Di quanto? Diciamo mediamente del 70% (accantonamento del 5% annuo sul Fondo Svalutazione Crediti (FSV) e di un altro 5% annuo sul Fondo Rischio Crediti (FRC). E, di che cifre stiamo parlando? Le operazioni di cartolarizzazione a partire dal 1999 sono state attuate dalle maggiori banche nazionali, per un ammontare stimato di oltre 300 miliardi di euro, pari a circa 580.000 miliardi di lire, con elusione fiscale derivata che ha aperto una voragine nei conti pubblici di almeno 150 miliardi di euro, pari a 290.000 miliardi di lire. Prima fra tante, la Banca di Roma s.p.a. che nel 1999 ha cartolarizzato oltre 20.000 miliardi di crediti con i multipli delle società da essa controllate Trevi Finance s.p.a. - Trevi 1 e Trevi 2, seguita a ruota dalla Banca Nazionale del Lavoro, che ha ceduto i propri crediti alla S.V.P. Venezia s.p.a. e alla Aeres Finance, che insieme al Banco di Napoli, hanno ceduto i propri crediti alla S.G.C., dal Monte Paschi di Siena che ha ceduto alle varie società satelliti; Banca Intesa che ebbe a cedere decine di migliaia di milioni di euro prima a Intesa Gestione Crediti, operazioni proseguite anche dopo la fusione in Intesa-San Paolo, con la cessione da Intesa Gestione Crediti a Castello Finance, che ha travasato i suoi crediti in Italfondiario, divenuta la più ricca finanziaria, con un portafoglio da recuperare di oltre 26 miliardi di euro. Un’operazione degna di nota è quella compiuta nel 2008 da Unicredit Banca di Roma che ha cartolarizzato un miliardo e passa di crediti con la Aspra Finance. Capito che roba? Crediti incagliati, già portati in ammortamento per il 70/80% (e quindi sottratti al fisco), sono ridiventati “veri e liberi” e contemporaneamente sottraendo al fisco la stratosferica cifra di altri 150 miliardi di € (quattro di cinque leggi finanziarie). 150 miliardi di € che per “risanare i conti pubblici” lo Stato deve richiedere ai cittadini, pagati coi nostri stipendiucci, le nostre miserabili paghe orarie (e mi riferisco ai giovani) di 4 o 5 € l’ora. Vogliamo ringraziare il Presidente del Consiglio (e il governo, pure di sinistra (beh, è da ridere no?) che hanno avuto la bella pensata di fare la legge 130/1999? Ed ora che abbiamo descritto il prologo, vediamo come, oltre a rimettere 150 miliardi di € nei conti pubblici, ne dovremo dare altri 300 miliardi agli squali di Wall Street, su sentenza dei tribunali della Repubblica Italiana. E quindi dove stanno realmente i nostri “Mutui subprime” debiti_magazine-il-fondo Abbiamo spiegato all’inizio che i mutui sub prime erano in realtà crediti inesigibili trasformati in crediti “veri e liberi” per costruirci Castelli Finanziari. E abbiamo citato una serie di società finanziarie italiane (Trevi Finance s.p.a. - Trevi 1 e Trevi 2, S.V.P., Venezia s.p.a., Aeres Finance, S.G.C, Intesa Gestione Crediti, Castello Finance, Italfondiario) che hanno ricevuto centinaia di miliardi di € di crediti che “erano incagliati e inesigibili”, ma sono stati trasformati in “veri e liberi” su semplice dichiarazione delle rispettive banche. 300 miliardi di € di crediti diventati “veri e liberi” che si sono venduti a Wall Street per costruire titoli tossici, ecco i nostri Mutui subprime. Ed ora che la baracca è crollata Wall Street vuole i 300 miliardi di € di crediti ed ha già iniziato a rivolgersi ai tribunali italiani, che già hanno cominciato a pignorare case, depositi bancari e stipendi ai cittadini italiani ignari. Spiego il meccanismo usando ad esempio uno di questi soggetti di cui posseggo la documentazione legale e che posso esibire in qualsiasi tribunale per dimostrarlo. Dopo la fusione Banca Intesa-San Paolo le rispettive società che avevano acquistato le cartolarizzazioni (quella di Banca Intesa era “Intesa Gestione Crediti”) hanno venduto i loro portafogli a Castello Finance srl. Che ha sua volta ha nominato “mandataria” Italfondiario spa. Sarebbe che Italfondiario spa riscuote i crediti per conto di Castello Finance srl, in pratica gli incassi sono suoi. Italfondiario attualmente gestisce attività per circa 27,9 miliardi di Euro per conto di Fortress Investment Group. L’attività di recupero aggressiva, ha funzionato bene non solo per l’attività principale, ovvero la gestione delle sofferenze, ma anche per gli altri settori dell’asset management, come la liquidazione degli immobili, la riscossione delle fatture esigibili e il recupero di mutui incagliati. (potete controllare, lo dicono loro: http://www.italfondiario.it/about.asp) E chi è Fortress Investment Group, socio di maggioranza di Italfondiario spa? E’ “Fortress Investment Group” LLC, 1345 Avenue of the Americas, New York, NY 10105, 212-798-6100. E qual è il “business” di Fortress Investment Group? Private Equity e Hedge Fund (http://www.fortressinv.com , potete controllare). E chi sono i procuratori in Italia di Fortress Investment Group? FIG Italia S.r.l. e FCF Consulting Srl. E qual’è la sede legale di Castello Finance srl, Itafondiario spa, FIG Italia S.r.l. e FCF Consulting S.r.l.? Via del Tritone 181 00187 Rome Italy. Tutti allo stesso indirizzo. E che fanno? Tutti la stessa cosa: portano sangue fresco agli squali di Wall Street. E lo squalo (o il vampiro, se preferite) in questo caso è appunto Fortress Investment Group, una società finanziaria specializzata in titoli tossici (http://en.wikipedia.org/wiki/Fortress_Investment_Group) ma che ha investito anche in Casinò e Corse dei Cavalli, è stata protagonista di uno scandalo per finanziamenti alla politica (beh, tutto il mondo è paese) e che ha avuto la quotazione scesa da 16 a 1,7$ e che sta chiedendo ai “debitori italiani”, per mezzo della sua controllata Italfondiario spa 27,9 miliardi di €, con metodi “aggressivi” (se ne fanno un vanto, nell’ambiente dei casinò e delle corse dei cavalli c’è gente rude, maschia, ci faranno rapire dalla CIA se non paghiamo). E chi sono i “debitori”? Siamo noi, io, voi, nessuno può sapere se è stato “venduto” magari per una posizione di venti anni fa, se suo malgrado è “stato dichiarato” debitore di un credito “vero e libero”, se questo debito “dinamico” (perchè lievità come un soufflè per spese varie, interessi anatocistici, avvocati, ci mangiano tutti) è aumentato di cinque, dieci, venti volte. Per cui nessuno per ora sa dagli originari 300 miliardi di € complessivi quanti miliardi pretende Wall Street. Cinquecento, mille? Conclusioni Io ho cominciato questa inchiesta perchè mi ci sono trovato vittima, e sono rimasto esterrefatto a scoprire nelle mani di chi ero andato a finire e di chi ero diventato debitore (per una controversia con Nuovo Banco Ambrosiano del 1990, e ormai dimenticata). Prima di correre alla Guardia di Finanza devo ricostruire bene tutta la faccenda, e quindi portare alla luce tutti gli altri organigrammi delle varie reti di truffa e malaffare. Perchè sono convinto che dietro ad ogni banca, dietro ad ogni società di cartolarizzazione, c’è anche uno squalo di Wall Street che ha il diritto, con una legge italiana sicuramente unica al mondo (e dono di un governo “di sinistra”), di esibire una dichiarazione fatta da un altro nel 1999 e costringere il magistrato a depredarvi della casa, dei risparmi, dello stipendio e della salute. Per adesso sono decine di migliaia di persone che stanno subendo queste infamie, presto saranno centinaia di migliaia: dobbiamo ripagargli 300 miliardi di Euro più gli interessi anatocisti e pure le spese di recupero. Attenti perchè vi svegliate la mattina e non avete più niente, nemmeno i soldi per fare la spesa come è successo a me. E intanto il governo (stavolta “di destra”) ci dice di stare tranquilli. Tranquilli a farci macellare. di Luigi Di Stefano

Madoff e il riciclaggio in Israele


La corte distrettuale degli Stati Uniti per il distretto sud di New York sembra decisa a lasciare agli arresti domiciliari nella sua lussuosa casa nell’Upper East Side di Manhattan e non in una prigione federale Bernard Madoff, ex presidente del NASDAQ e truffatore (usava lo schema di Ponzi).




Due giudici del circuito federale di NewYork, Theodore Katz e Ronald Ellis, hanno disposto che Madoff debba restare nella sua casa in città e fuori prigione.



Il procuratore generale Michael Mukasey, il cui figlio Marc Mukasey, dello studio legale Bracewell & Giuliani, rappresenta Frank DiPascali, uno dei compari di Madoff, aveva lavorato in precedenza con Katz ed Ellis al tribunale federale di New York. Katz venne nominato da George W. Bush, mentre Ellis, afro-americano, venne nominato da Clinton.







Il WMR (Wayne Madsen Report) aveva in precedenza reso noto il sospetto che Madoff abbia trasferito gran parte del suo denaro “sporco” in banche israeliane, inclusa una, Bank Leuimi, che il socio di Madoff, J. Ezra Merkin, comprò dal governo israeliano mentre Ariel Sharon era primo ministro e l’attuale capo del governo,Ehud Olmert era ministro del Tesoro.



Quasi dimenticato nello scandalo Madoff c’è un altro scandalo, nel quale Morris “Moshe” Talansky, uomo d’affari newyorkese, ammise di aver pagato ad Olmert 150.000 dollari in contanti divisi in buste. Lo scandalo obbligò Olmert ad annunciare le dimissioni da primo ministro, ma non prima di lanciare un attacco genocida contro Gaza.



Anche il multimilionario di Las Vegas Sheldon Adelson, importante finanziatore del partito Repubblicano, fu generoso con il capo del Likud e candidato a primo ministro, Binyamin Netanyahu, che spera di rimpiazzare Olmert.



Madoff, Talansky,Merkin, Olmert, Netanyahu, Adelson, l’altro importante lobbysta repubblicano Jack Abramoff e il suo socio Adam Kidan, Rahm Emanuel e tutti i loro compagni a Washington, Tel Aviv, Gerusalemme, Londra, Ottawa e Parigi ricordano l’adagio ebreo “ba’al ha‘mea ba’al ha’dea” o “colui che ha il denaro è colui che decide”, o ancora più rivelatore “colui che possiede l’oro detta le regole”.



Wayne Madsen

Il quadro della crisi


L’ex presdelaconfind, Montezemolo, ha proposto la convocazione degli “Stati Generali” per contrastare l’attuale crisi. Ne ha evidentemente detta un’altra delle sue; come quando era appunto  presidente degli industriali e sembrava un disco rotto con il tormentone del “fare sistema” o con “il medio è bello” in sostituzione del “piccolo è bello” dei decenni precedenti (e anche di questi ultimi tempi di crisi). Per quanto riguarda “il grande”, si accontentava più discretamente di chiedere – co-me sempre ha fatto la Fiat nel dopoguerra, e come insistentemente continua ora il suo ad Marchion-ne – aiuti e sussidi allo Stato (italiano, ma anche alla UE e a “San Obama”).

Solo che il troppo veloce pensiero dell’ex presidente industriale non ricorda che, su convocazio-ne di Louis XVI, gli Stati Generali (clero, nobiltà e terzo stato) si riunirono il 5 maggio 1789; subi-to si crearono dissidi vari, dopo la relazione di Necker che mise in luce la disastrosa situazione fi-nanziaria del Regno. Alla fine, il Terzo Stato (con alcuni settori di clero e nobiltà) dovette riunirsi, il 20 giugno, nella palestra del Jeu de Paume, dove decise di sciogliere tali Stati e di dare vita all’Assemblea Nazionale. Nemmeno un mese dopo ci fu la “presa della Bastiglia” e quasi subito cominciò a funzionare la “brillante invenzione” del dott. Guillotin (che era anche quello ad aver proposto il Jeu de Paume per la riunione del 20 giugno), con parecchie migliaia di teste dai tratti nobili e capelli fluenti “spedite per i fatti propri”.

Non sono in grado di giudicare se simile soluzione sarebbe adeguata all’Italia del XXI secolo; tendenzialmente credo ai “corsi e ricorsi storici” (cum grano salis) ma, come suol dirsi, ogni cosa a suo tempo: “la gatta frettolosa fa i gattini ciechi”. In realtà, il “Luca nazionale” vuol solo riamman-nirci, con terminologia più consona alla fase grave che si sta avvicinando, la solita sboba della “concertazione” tra le “parti sociali” (certo capisco che “Stati Generali” è “più figo”, proprio come il “fare sistema”). Tuttavia, mascheratura di una fregatura da darci era il leit-motiv di poco tempo fa, e altrettale mascheratura vorrebbe essere anche quest’ultima trovata. Il presdelafiat da un pezzo ha la “voglia matta” di far politica (pur se non ha lo stesso appeal di Cathérine Spaak nel film di Sal-ce). Per un periodo, dopo l’inaspettata vittoria netta di Berlusconi alle ultime elezioni (la GFeID si attendeva non un pareggio, ma comunque una vittoria di stretta misura), egli era rimasto in ombra, pur se da alcuni indizi si capiva che era sempre in agguato e scalpitava fremente. Adesso forse pen-sa che la crisi possa favorirlo. E soprattutto favorire tramite la richiesta dei soliti aiuti per i parassiti finanziario-industriali – in grado di ricattare il Governo con il pericolo di disfacimento del tessuto economico e aumento della disoccupazione (si veda l’ammorbidimento eccessivo di Tremonti verso le banche, ad esempio) – i suoi normali supporters, quelli di sempre, i “roditori” del paese.


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Ricordiamo il passato meno recente. Il solito “incontro sul Britannia”(1992) e l’operazione mani pulite (un colpo di mano, se si considera esagerato parlare di colpo di Stato), consentita dal crollo del “socialismo reale” e soprattutto dell’Urss, ed eseguita per conto di ambienti statunitensi dai “weimariani” della GFeID, gli ambienti parassiti già nominati, lanciati – con tutto il loro filo-europeismo, una forma di vera sudditanza agli Usa e ai loro organismi tipo Nato – a divorare le ri-sorse dell’intero paese, trincerandosi dietro i “ladrocini” dei capi Dc e Psi. Gli Usa, restati superpo-tenza, erano ormai convinti di portare a compimento il loro “Impero”. Agli inizi degli anni ’90, tale disegno fu nascosto dall’ideologia del “tripolarismo” del mondo (Stati Uniti, Germania e Giappo-ne), con la variante – portata avanti perfino da ambienti sedicenti comunisti e marxisti, forse in buona fede, ma certo di scarso cervello – del Giappone che si stava trasformando in padrone degli Usa, del “toyotismo” che conquistava il mondo, insomma del “Sol Levante” in procinto di essere il nuovo centro dell’economia globale, in attesa di divenirlo, nel XXI secolo, in tutti i sensi.

Il Giappone fu presto distrutto (e non si è ancora ripreso), il tripolarismo pure. Restò il progetto imperiale statunitense, cui credemmo in molti, però non oltre il 2003 o poco più (almeno per quanto mi riguarda). In seguito a quel progetto, la nostra GFeID (consolidatasi e svendutasi sul Britannia; non solo in quell’incontro, ben s’intende, che indico soltanto come punto di condensazione e di par-tenza) decise di attaccare a fondo la finanza e industria “pubbliche” con un piano di “privatizzazio-ni”, che erano svendite e un divorare famelico, di fronte al quale i “ladroni” Dc e Psi erano di “scar-so appetito”. Per attuare tale piano – in ottemperanza a quello ben più consistente degli Usa, che vo-levano rendere il nostro paese un sicario sicuro senza più quegli sfizi “filoarabi” e un po’ indipen-dentisti di Mattei, eliminato (come più tardi Moro), e di certi dirigenti diccì e piesseì – bisognava far fuori il regime esistente durante la “guerra fredda”, regime che si fondava largamente su Iri, Eni, ecc.: insomma su finanza e industria “pubbliche”. Si passò sul “cadavere” – talvolta non metaforico – dei suddetti dirigenti del vecchio regime e si cercò di formarne un altro, i cui migliori esecutori non potevano che essere dei rinnegati, costretti così a obbedire ciecamente, senza poter rifiutare più nulla.

I nostri “comunisti” – che cambiarono subito nome e casacca (da lacchè) – furono gli unici ad essere salvati in tutta Europa. Si sperò in un sussulto di quelli che divennero i presunti “rifondatori”, ma anche qui la deriva è stata infine totale, ed è meglio nemmeno farne la storia; l’importante è sa-pere che tutti i vari gruppetti di “estrema” sono dei disperati che, al massimo (ma credo e spero di no), potrebbero trasformarsi, in date congiunture di sfascio, in autentici “manipoli” o “squadracce”. Si salverà, si e no, il 10% di quest’area; ma, se non saprà capire in brevissimo tempo (mesi) che va buttato nella pattumiera tutto il vecchio bagaglio ideologico, non servirà più a nulla, salvo che ad aggiungere danno al danno maggiore procurato dalla “sinistra” pidieista, italvalorista, margheritista.

Dopo aver devastato il campo con le privatizzazioni, i “britannisti” ci hanno portato nella UE (che viene chiamata Europa unita da questi imbroglioni e veri “ladroni”) accettando, ai fini dell’unica vera innovazione apportata con simile scelta – quella dell’area a moneta unica – un cam-bio lira/euro da sballo inflazionistico, che adesso si raffredda sol perché siamo in una diversa fase ancora più negativa. Intendiamoci; non è che sono contro l’Europa, in sé e per sé, ma per com’è sta-ta realizzata al solo scopo di servire l’egemonia imperiale degli Usa. Oggi che questa è in impasse, la UE, lo ripeto, è divenuta non un’area veramente integrata in senso europeo, ma solo una duplica-zione, con peggioramento, degli apparati burocratici degli Stati membri; gli apparati europei battono spesso in inefficienza quelli italiani (non certo brillanti a tal proposito), oltre ad essere solo la longa manus dei predominanti statunitensi. Nel periodo di massimo fulgore del tentativo imperiale di que-sti ultimi, culminato nella seconda aggressione all’Irak, la GFeID portò a fondo con i vari Ciampi, Prodi, Amato – ma con precedenti aiutini di diccì tipo Scalfaro & C. e con il “coniglismo” dei diri-genti democristiani “stracciati”, perfino di Andreotti (e altri), che lasciarono solo Craxi con la sua rabbia impotente – la conquista e spartizione della finanza-industria “pubblica”, spazzando pure via il debole, forse troppo maldestro e non “pulito”, tentativo di opporsi (non però alle privatizzazioni, ormai realizzate, precisiamo) compiuto da Fazio, appoggiato (ma fino al limite del possibile) dal Vaticano; tentativo sfociato nella sua sostituzione con chi ben sappiamo, e di cui conosciamo la ca-rica ricoperta nella finanza d’assalto americana, quella detta “ad alta leva”, liquefattasi con il falli-mento del progetto imperiale.

In tutto questo bailamme, l’intervento di Berlusconi – un “fascista” che ha accettato per ben due volte, e di questo gliene faccio colpa e non merito (“mancanza di palle”!), di essere sbalzato di sella – ha ingrippato l’azione della nostra GFeID, asservita agli Usa, avendo anch’essa a disposizione i suoi servi in quelli dell’ex Pci e di settori “sinistri” (nel vero significato del termine) dell’ex Dc. Per nostra fortuna – questo non è però affatto un risultato dell’azione politica di Berlusconi, “fascista” senza decisionismo – l’azione della suddetta accolita finanziario-industriale, divoratrice delle nostre risorse, è entrata in sofferenza per la crisi grave degli Stati Uniti, apparente causa e reale effetto dell’impasse in cui si è trovata la loro spinta imperiale. Va ancora ricordato però, per comprendere il passato e stare con gli occhi aperti in futuro, che nel frattempo si erano sviluppati tentativi di por-tare fino in fondo il “sacco” dell’apparato economico “pubblico”.

Ci si ricorderà del “piano Rovati”, uomo di Prodi (allora al Governo), contro la Telecom. L’azienda era già privata, ma in mani non del tutto gradite al nocciolo duro della GFeID; per cui, in tal caso, si cercò di riportarla sotto controllo “pubblico”, solo però perché governava il fiduciario del solito gruppo di parassiti. Soprattutto, vanno comunque duramente riprovati i reiterati tentativi di indebolire l’Eni, togliendole la rete di distribuzione per darla alle municipalizzate, piovra di clientelismo, finanziamento (e altro) a favore della sinistra (e anche della destra meno nazionale; cioè della parte più corrotta di tale schieramento, il cui nazionalismo è puramente di facciata, ma non difende per nulla gli interessi italiani). Tentativo che provocò perfino un duro intervento del vicepresidente della Gazprom, partner decisivo dell’Eni, con lettera indirizzata, guarda un po’, al Giornale; anche in tal caso, la nostra azienda si è finora ben difesa, e speriamo salvata, per il più volte segnalato insuccesso della politica imperiale statunitense. Gli atteggiamenti positivi di Berlu-sconi su Eni-Gazprom e sulla Russia in generale – timidamente iniziati durante l’incontro in Sarde-gna con Putin nel 2003 – sono, ancora una volta, effetto di tale insuccesso; in assenza del quale, l’uomo “senza palle” non avrebbe lanciato nemmeno la più piccola sfida all’amica, e tuttora co-munque “padrona”, America.

Oggi, si aprirebbe per l’Italia, se vi fosse un autentico gruppo politico decisionista, una stagione nuova, poiché la crisi inficia a fondo il comportamento “padronale” del polo comunque ancora più forte. E tuttavia, si sbaglia chi crede che il polo europeo – in realtà virtuale, perche esistono solo le singole nazioni, ridotte a “nazioncine” balbettanti, mentre si muovono a casaccio i filoamericani or-ganismi UE (insisto: nulla a che vedere con una Europa Unita!) – uscirà meglio dalla crisi. Ne usci-rà peggio; economicamente però, e tale insuccesso economico potrebbe essere rovesciato in succes-so dal punto di vista politico, con svolte decisioniste in alcuni suoi paesi (sciocco sperare in tutta Europa; soprattutto nell’est, dove l’unica prospettiva positiva risiede in una ri-crescita, basata su ben altri punti di forza che non quelli dell’Urss, dell’influenza russa).

Siamo sulla linea divisoria tra i creodi del ben noto modello waddingtoniano; la perturbazione e le oscillazioni saranno sempre più forti nel prossimo futuro, e dunque possiamo cascare di qua o di là. Deciderà la politica, assieme alle strategie delle poche grandi imprese di punta che abbiamo: in piena evidenza, ormai, le aziende energetiche con l’Eni, ancora una volta, in primo piano. Ci sareb-be bisogno però di un “nuovo Mattei”, e tuttavia di un Governo non democristiano; ripeto per l’ennesima volta, estremamente decisionista.


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Ecco allora che si reinserisce l’ex presdelaconfind, vuoto di progetti concreti, che però tenta di sfruttare la debolezza e l’indecisione di un Governo diviso al suo interno tra fazioni, di cui quelle che fanno capo a vari settori di An e Lega, e anche a parte dei “berluscones”, non hanno a cuore gli interessi dell’intero paese; mentre soltanto un piccolo gruppo, stretto (quanto?) attorno al leader, è appena più deciso, ma scende a eccessivi compromessi con i settori parassitari, pur oggi non troppo saldi e che hanno mostrato tutta la loro insipienza. In particolare, mi riferisco proprio al settore ban-cario, in cui si contano i maggiori elettori del signor “yes, we can”, quelli che più ci hanno tenuto a farsi vedere mentre lo votavano alle “primarie”. Il Montezemolo – colui che fu tra principali avver-sari di Fazio e promotori della nostra finanza “dragona” e “weimariana”, cioè succube di quella a-mericana – per darsi l’importanza di uno che ha capito il momento particolarmente grave, ha ribat-tezzato “Stati Generali” la banalissima “concertazione”, fonte di disagio per tutte le cosiddette parti sociali (non parlo dei dirigenti, i “divoratori di ricchezza”, bensì delle basi di queste grandi parti-zioni della società) e di inviluppo dell’intero paese così tanto degradato dal 1993.

Nel momento in cui si sta sfasciando la sinistra, si riduce al lumicino quella “estrema”, le forze economiche più reazionarie del paese si aggrappano alla Cgil, e alla Fiom, per resistere al Governo non decisionista e cercare di invertire la tendenza al possibile declino definitivo della loro influen-za, solo che si desse loro una piccola spinta verso la “fossa”. La finanza dovrebbe essere ricondotta, con estrema rudezza, alla sua funzione di ancella dell’industria; ma quest’ultima, oltre a certamente servirsi anche della gran massa dei piccolo-medi imprenditori (se non altro per la loro importanza numerica e quale collante sociale), ha necessità di basarsi su grandi progetti strategici, comportanti nuove alleanze internazionali. Soprattutto, pur senza scontri frontali con gli Usa, come ho già scritto ultimamente, si deve giostrare con abilità, ma soprattutto con energia e senza esitazioni e “ritorni all’indietro”, nell’ambito dell’avanzante multipolarismo; ricordando inoltre che uno dei settori più rilevanti, per la lotta diretta a conquistare nuove supremazie e sfere di influenza, sarà precisamente quello energetico.

Obama gioca (per copertura ideologica, ma anche come si fa quando si “bluffa” a poker) con la green economy e le “energie alternative”; alla resa dei conti, come ha ricordato G.P., “ha affidato l’incarico di architetto della politica estera all’ex generale dei Marines James Jones, il quale, in li-nea con quanto dichiarato da altre teste d’uovo statunitensi, ritiene che la sicurezza nazionale passa dal controllo delle aree dove vi è maggior presenza di risorse energetiche, come il Golfo di Guinea, in Africa. Quindi l’Africa, ma anche Georgia o Ucraina, solo per citare altri paesi nell’orbita di Wa-shington, rappresentano per gli Usa ‘aree di interesse vitale’ che hanno a che fare direttamente con la sua ‘sicurezza nazionale’”. Cadere nei trucchi del nuovo “santino” della sinistra è nel pieno inte-resse dei nostri capitalisti, quelli parassiti e che godono di vantaggi (oggi però sempre minori) solo se fanno da “maggiordomo” agli Stati Uniti; non è invece affatto nell’interesse dei nostri settori più vitali e che più possono aiutarci ad uscire dalla crisi, come sostengo da tanto tempo, nelle meno peggiori condizioni.

Montezemolo sta giocando la sua solita partita a profitto delle “mignatte” della GFeID, le cui fi-nalità sono sempre più in antagonismo con quelle dell’intero paese. Ed è sintomatico che tale partita la voglia ricominciare dall’appoggio alla sinistra in piena défaillance. Ormai non potrebbe essere più chiaro di così: la nuova “concertazione” (mascherata ridicolmente da “Stati Generali”; si sver-gogni e sputtani senza remissione chi infanga così un grande momento della Storia per i suoi bassi fini da “sanguisuga”) mira a ripescare la Cgil, onde rimettere un po’ in sesto la sinistra e renderla ancora più schiava che non nel 1993 (perché tale schieramento non potrebbe sopravvivere un istante senza più l’ossigeno del nostro capitalismo parassitario e dei suoi mass media e catene editoriali, ecc.), in modo da usarla come ariete per schiantare il “sistema-paese” e riuscire infine in quell’attività di spoliazione non perfezionata del tutto con le manovre coadiuvate da mani pulite. L’incompiuta transizione dalla prima alla seconda Repubblica ha avuto una ben precisa causa im-mediata: l’incapacità della sinistra di conquistare – salvo che presso una intellettualità ormai marcia, lurida, sfatta, putrescente – l’egemonia su settori decisivi della società, e anche industria, italiana. Ma la causa prima è nella non riuscita operazione di egemonia imperiale americana.

Vogliamo perdere l’occasione di dare un colpo definitivo alla GFeID, e a quell’etereo, vacuo, personaggio che tenta di riproporsi alla sua testa? Cadiamo in questo errore di omissione e saremo “morti divorati” per un paio di generazioni almeno! Come ho però già scritto in altra occasione, i primi da colpire “a morte” sono i sicari, i “bravi”, di questi novelli “Don Rodrigo”. Purtroppo, e non lo dico con piacere, i più “bravi” di tutti, e da ormai quindici anni, sembrano i “sinistri”: sono per il momento allo sfascio, ma sarebbe bene, per il paese, che vi restassero a tempo indeterminato. Non è però detto, anzi continuo a ritenerlo improponibile, che questa destra sia in grado di mettere termine alla nostra agonia di “eterno passaggio” alla Seconda Repubblica. Occorre il decisionismo; e qual-siasi gruppo sociale, economico e politico sia in grado di sprigionarlo, costituendone altresì la “base di massa”, avrà risolto un gran problema per l’insieme della società italiana.  


di Gianfranco La Grassa

01 marzo 2009

Castelli di finanza

Ovvero: come centinaia di migliaia di cittadini italiani, in gran parte ancora ignari, verranno chiamati dai Tribunali italiani a pagare le perdite purimiliardarie degli squali di Wall Street. Tutti abbiamo saputo dei cosiddetti “Mutui subprime” americani, che sono stati una delle basi della crisi finanziaria planetaria dovuta alla finanza tossica. Le banche e le società finanziarie americane concedevano un mutuo per la casa a soggetti che difficilmente potevano poi pagarlo, ma in questo modo creavano un credito certo ed esigibile, coperto da una garanzia immobiliare. Questo “credito certo” veniva poi utilizzato come base per emettere altri titoli di credito (i famosi Derivati o Hedge Fund) che con le cosiddette prassi dell’ingegneria finanziaria veniva moltiplicato all’infinito. A dire che su un “credito certo” ad esempio di 100.000$ (il mutuo) si garantivano cinquanta e cento volte tanto di Derivati ed Hedge Fund. banca1_magazine-il-fondo Quando il castello finanziario è cominciato a franare, e si andati dal povero cristo a cui avevano fatto il mutuo, tutto è crollato. Tranquilli, ci dice il governo italiano. Le banche italiane sono solide e giudiziose, non hanno fatto mutui subprime e “finanza creativa”. E’ vero che per salvarle dal disastro della crisi planetaria lo Stato gli ha regalato miliardi di Euro dei contribuenti (sulla cifra vera c’è il segreto di Stato), è vero che le banche si sono incamerati questi soldi e stanno strozzando l’economia reale negando il credito alle imprese, ma sono quisquilie, pinzellacchere. Voi state tranquilli. Tutto prende le mosse dalla legge 130/1999 fatta dal governo D’Alema, quella delle “cartolarizzazioni”. Le banche nel loro complesso avevano, dopo la crisi del 1992 (uscita dallo SME per le operazioni speculative contro la lira organizzate dal celebre finanziere Soros attraverso il “Quantum Fund”, con conseguente svalutazione della lira, crisi economica etc) avevano migliaia di miliardi di crediti ipotecari e chirografari di difficile se non impossibile esigibilità. Con la legge 130/1999 gli si consentiva di vendere questi crediti a terzi (appunto la “cartolarizzazione”) e di mettere in perdita la differenza fra il credito vantato (ad esempio 100.000€) e il prezzo di cessione del credito (ad esempio 40.000€), defalcando dall’imponibile fiscale i 60.000€. Mentre prima il credito “certo e libero” andava dimostrato in tribunale per poter agire contro il debitore ora diventava “certo e libero” su semplice dichiarazione della Banca. Mentre prima era vietato cedere un credito a terzi senza il consenso del debitore ora si poteva cedere questo credito all’insaputa del debitore (con un semplice annuncio in Gazzetta Ufficiale (la Banca X ha ceduto i suoi crediti alla Società Y). E a chi li vendevano questi crediti “certi e liberi” le banche? A se stesse. Tutte le banche crearono delle Srl con capitale di venti milioni alle quali vendettero crediti per migliaia di miliardi di lire, gli ipotecari al 40% del loro valore nominale, i chirografari al 10% del loro valore nominale. E come pagarono questi crediti le Srl? Con delle “obbligazioni”, cioè con delle “promesse di pagamento”, cioè con delle “cambiali” (nobilitate anche col nome di Derivati ed Hedge Fund, appunto). Cambiali che erano garantite dal credito acquistato e che rimaneva al 100% nei riguardi dell’ignaro debitore. Capito il meccanismo? Le banche vendettero a se stesse i crediti sottraendo al fisco il 40% o il 90% dell’imponibile, ma il credito rimaneva al 100% “certo e libero” in quota a una società di proprietà della stessa banca, che però non ci pagava le tasse perchè a bilancio questo “attivo” si sottraeva il “passivo” delle obbligazioni emesse. Ma attenzione: le banche avevano già recuperato fiscalmente questi crediti poiché aveva già conseguito il beneficio degli ammortamenti attraverso il dispositivo degli accantonamenti annuali al fondo di svalutazione crediti e al fondo di rischio. Di quanto? Diciamo mediamente del 70% (accantonamento del 5% annuo sul Fondo Svalutazione Crediti (FSV) e di un altro 5% annuo sul Fondo Rischio Crediti (FRC). E, di che cifre stiamo parlando? Le operazioni di cartolarizzazione a partire dal 1999 sono state attuate dalle maggiori banche nazionali, per un ammontare stimato di oltre 300 miliardi di euro, pari a circa 580.000 miliardi di lire, con elusione fiscale derivata che ha aperto una voragine nei conti pubblici di almeno 150 miliardi di euro, pari a 290.000 miliardi di lire. Prima fra tante, la Banca di Roma s.p.a. che nel 1999 ha cartolarizzato oltre 20.000 miliardi di crediti con i multipli delle società da essa controllate Trevi Finance s.p.a. - Trevi 1 e Trevi 2, seguita a ruota dalla Banca Nazionale del Lavoro, che ha ceduto i propri crediti alla S.V.P. Venezia s.p.a. e alla Aeres Finance, che insieme al Banco di Napoli, hanno ceduto i propri crediti alla S.G.C., dal Monte Paschi di Siena che ha ceduto alle varie società satelliti; Banca Intesa che ebbe a cedere decine di migliaia di milioni di euro prima a Intesa Gestione Crediti, operazioni proseguite anche dopo la fusione in Intesa-San Paolo, con la cessione da Intesa Gestione Crediti a Castello Finance, che ha travasato i suoi crediti in Italfondiario, divenuta la più ricca finanziaria, con un portafoglio da recuperare di oltre 26 miliardi di euro. Un’operazione degna di nota è quella compiuta nel 2008 da Unicredit Banca di Roma che ha cartolarizzato un miliardo e passa di crediti con la Aspra Finance. Capito che roba? Crediti incagliati, già portati in ammortamento per il 70/80% (e quindi sottratti al fisco), sono ridiventati “veri e liberi” e contemporaneamente sottraendo al fisco la stratosferica cifra di altri 150 miliardi di € (quattro di cinque leggi finanziarie). 150 miliardi di € che per “risanare i conti pubblici” lo Stato deve richiedere ai cittadini, pagati coi nostri stipendiucci, le nostre miserabili paghe orarie (e mi riferisco ai giovani) di 4 o 5 € l’ora. Vogliamo ringraziare il Presidente del Consiglio (e il governo, pure di sinistra (beh, è da ridere no?) che hanno avuto la bella pensata di fare la legge 130/1999? Ed ora che abbiamo descritto il prologo, vediamo come, oltre a rimettere 150 miliardi di € nei conti pubblici, ne dovremo dare altri 300 miliardi agli squali di Wall Street, su sentenza dei tribunali della Repubblica Italiana. E quindi dove stanno realmente i nostri “Mutui subprime” debiti_magazine-il-fondo Abbiamo spiegato all’inizio che i mutui sub prime erano in realtà crediti inesigibili trasformati in crediti “veri e liberi” per costruirci Castelli Finanziari. E abbiamo citato una serie di società finanziarie italiane (Trevi Finance s.p.a. - Trevi 1 e Trevi 2, S.V.P., Venezia s.p.a., Aeres Finance, S.G.C, Intesa Gestione Crediti, Castello Finance, Italfondiario) che hanno ricevuto centinaia di miliardi di € di crediti che “erano incagliati e inesigibili”, ma sono stati trasformati in “veri e liberi” su semplice dichiarazione delle rispettive banche. 300 miliardi di € di crediti diventati “veri e liberi” che si sono venduti a Wall Street per costruire titoli tossici, ecco i nostri Mutui subprime. Ed ora che la baracca è crollata Wall Street vuole i 300 miliardi di € di crediti ed ha già iniziato a rivolgersi ai tribunali italiani, che già hanno cominciato a pignorare case, depositi bancari e stipendi ai cittadini italiani ignari. Spiego il meccanismo usando ad esempio uno di questi soggetti di cui posseggo la documentazione legale e che posso esibire in qualsiasi tribunale per dimostrarlo. Dopo la fusione Banca Intesa-San Paolo le rispettive società che avevano acquistato le cartolarizzazioni (quella di Banca Intesa era “Intesa Gestione Crediti”) hanno venduto i loro portafogli a Castello Finance srl. Che ha sua volta ha nominato “mandataria” Italfondiario spa. Sarebbe che Italfondiario spa riscuote i crediti per conto di Castello Finance srl, in pratica gli incassi sono suoi. Italfondiario attualmente gestisce attività per circa 27,9 miliardi di Euro per conto di Fortress Investment Group. L’attività di recupero aggressiva, ha funzionato bene non solo per l’attività principale, ovvero la gestione delle sofferenze, ma anche per gli altri settori dell’asset management, come la liquidazione degli immobili, la riscossione delle fatture esigibili e il recupero di mutui incagliati. (potete controllare, lo dicono loro: http://www.italfondiario.it/about.asp) E chi è Fortress Investment Group, socio di maggioranza di Italfondiario spa? E’ “Fortress Investment Group” LLC, 1345 Avenue of the Americas, New York, NY 10105, 212-798-6100. E qual è il “business” di Fortress Investment Group? Private Equity e Hedge Fund (http://www.fortressinv.com , potete controllare). E chi sono i procuratori in Italia di Fortress Investment Group? FIG Italia S.r.l. e FCF Consulting Srl. E qual’è la sede legale di Castello Finance srl, Itafondiario spa, FIG Italia S.r.l. e FCF Consulting S.r.l.? Via del Tritone 181 00187 Rome Italy. Tutti allo stesso indirizzo. E che fanno? Tutti la stessa cosa: portano sangue fresco agli squali di Wall Street. E lo squalo (o il vampiro, se preferite) in questo caso è appunto Fortress Investment Group, una società finanziaria specializzata in titoli tossici (http://en.wikipedia.org/wiki/Fortress_Investment_Group) ma che ha investito anche in Casinò e Corse dei Cavalli, è stata protagonista di uno scandalo per finanziamenti alla politica (beh, tutto il mondo è paese) e che ha avuto la quotazione scesa da 16 a 1,7$ e che sta chiedendo ai “debitori italiani”, per mezzo della sua controllata Italfondiario spa 27,9 miliardi di €, con metodi “aggressivi” (se ne fanno un vanto, nell’ambiente dei casinò e delle corse dei cavalli c’è gente rude, maschia, ci faranno rapire dalla CIA se non paghiamo). E chi sono i “debitori”? Siamo noi, io, voi, nessuno può sapere se è stato “venduto” magari per una posizione di venti anni fa, se suo malgrado è “stato dichiarato” debitore di un credito “vero e libero”, se questo debito “dinamico” (perchè lievità come un soufflè per spese varie, interessi anatocistici, avvocati, ci mangiano tutti) è aumentato di cinque, dieci, venti volte. Per cui nessuno per ora sa dagli originari 300 miliardi di € complessivi quanti miliardi pretende Wall Street. Cinquecento, mille? Conclusioni Io ho cominciato questa inchiesta perchè mi ci sono trovato vittima, e sono rimasto esterrefatto a scoprire nelle mani di chi ero andato a finire e di chi ero diventato debitore (per una controversia con Nuovo Banco Ambrosiano del 1990, e ormai dimenticata). Prima di correre alla Guardia di Finanza devo ricostruire bene tutta la faccenda, e quindi portare alla luce tutti gli altri organigrammi delle varie reti di truffa e malaffare. Perchè sono convinto che dietro ad ogni banca, dietro ad ogni società di cartolarizzazione, c’è anche uno squalo di Wall Street che ha il diritto, con una legge italiana sicuramente unica al mondo (e dono di un governo “di sinistra”), di esibire una dichiarazione fatta da un altro nel 1999 e costringere il magistrato a depredarvi della casa, dei risparmi, dello stipendio e della salute. Per adesso sono decine di migliaia di persone che stanno subendo queste infamie, presto saranno centinaia di migliaia: dobbiamo ripagargli 300 miliardi di Euro più gli interessi anatocisti e pure le spese di recupero. Attenti perchè vi svegliate la mattina e non avete più niente, nemmeno i soldi per fare la spesa come è successo a me. E intanto il governo (stavolta “di destra”) ci dice di stare tranquilli. Tranquilli a farci macellare. di Luigi Di Stefano

Madoff e il riciclaggio in Israele


La corte distrettuale degli Stati Uniti per il distretto sud di New York sembra decisa a lasciare agli arresti domiciliari nella sua lussuosa casa nell’Upper East Side di Manhattan e non in una prigione federale Bernard Madoff, ex presidente del NASDAQ e truffatore (usava lo schema di Ponzi).




Due giudici del circuito federale di NewYork, Theodore Katz e Ronald Ellis, hanno disposto che Madoff debba restare nella sua casa in città e fuori prigione.



Il procuratore generale Michael Mukasey, il cui figlio Marc Mukasey, dello studio legale Bracewell & Giuliani, rappresenta Frank DiPascali, uno dei compari di Madoff, aveva lavorato in precedenza con Katz ed Ellis al tribunale federale di New York. Katz venne nominato da George W. Bush, mentre Ellis, afro-americano, venne nominato da Clinton.







Il WMR (Wayne Madsen Report) aveva in precedenza reso noto il sospetto che Madoff abbia trasferito gran parte del suo denaro “sporco” in banche israeliane, inclusa una, Bank Leuimi, che il socio di Madoff, J. Ezra Merkin, comprò dal governo israeliano mentre Ariel Sharon era primo ministro e l’attuale capo del governo,Ehud Olmert era ministro del Tesoro.



Quasi dimenticato nello scandalo Madoff c’è un altro scandalo, nel quale Morris “Moshe” Talansky, uomo d’affari newyorkese, ammise di aver pagato ad Olmert 150.000 dollari in contanti divisi in buste. Lo scandalo obbligò Olmert ad annunciare le dimissioni da primo ministro, ma non prima di lanciare un attacco genocida contro Gaza.



Anche il multimilionario di Las Vegas Sheldon Adelson, importante finanziatore del partito Repubblicano, fu generoso con il capo del Likud e candidato a primo ministro, Binyamin Netanyahu, che spera di rimpiazzare Olmert.



Madoff, Talansky,Merkin, Olmert, Netanyahu, Adelson, l’altro importante lobbysta repubblicano Jack Abramoff e il suo socio Adam Kidan, Rahm Emanuel e tutti i loro compagni a Washington, Tel Aviv, Gerusalemme, Londra, Ottawa e Parigi ricordano l’adagio ebreo “ba’al ha‘mea ba’al ha’dea” o “colui che ha il denaro è colui che decide”, o ancora più rivelatore “colui che possiede l’oro detta le regole”.



Wayne Madsen

Il quadro della crisi


L’ex presdelaconfind, Montezemolo, ha proposto la convocazione degli “Stati Generali” per contrastare l’attuale crisi. Ne ha evidentemente detta un’altra delle sue; come quando era appunto  presidente degli industriali e sembrava un disco rotto con il tormentone del “fare sistema” o con “il medio è bello” in sostituzione del “piccolo è bello” dei decenni precedenti (e anche di questi ultimi tempi di crisi). Per quanto riguarda “il grande”, si accontentava più discretamente di chiedere – co-me sempre ha fatto la Fiat nel dopoguerra, e come insistentemente continua ora il suo ad Marchion-ne – aiuti e sussidi allo Stato (italiano, ma anche alla UE e a “San Obama”).

Solo che il troppo veloce pensiero dell’ex presidente industriale non ricorda che, su convocazio-ne di Louis XVI, gli Stati Generali (clero, nobiltà e terzo stato) si riunirono il 5 maggio 1789; subi-to si crearono dissidi vari, dopo la relazione di Necker che mise in luce la disastrosa situazione fi-nanziaria del Regno. Alla fine, il Terzo Stato (con alcuni settori di clero e nobiltà) dovette riunirsi, il 20 giugno, nella palestra del Jeu de Paume, dove decise di sciogliere tali Stati e di dare vita all’Assemblea Nazionale. Nemmeno un mese dopo ci fu la “presa della Bastiglia” e quasi subito cominciò a funzionare la “brillante invenzione” del dott. Guillotin (che era anche quello ad aver proposto il Jeu de Paume per la riunione del 20 giugno), con parecchie migliaia di teste dai tratti nobili e capelli fluenti “spedite per i fatti propri”.

Non sono in grado di giudicare se simile soluzione sarebbe adeguata all’Italia del XXI secolo; tendenzialmente credo ai “corsi e ricorsi storici” (cum grano salis) ma, come suol dirsi, ogni cosa a suo tempo: “la gatta frettolosa fa i gattini ciechi”. In realtà, il “Luca nazionale” vuol solo riamman-nirci, con terminologia più consona alla fase grave che si sta avvicinando, la solita sboba della “concertazione” tra le “parti sociali” (certo capisco che “Stati Generali” è “più figo”, proprio come il “fare sistema”). Tuttavia, mascheratura di una fregatura da darci era il leit-motiv di poco tempo fa, e altrettale mascheratura vorrebbe essere anche quest’ultima trovata. Il presdelafiat da un pezzo ha la “voglia matta” di far politica (pur se non ha lo stesso appeal di Cathérine Spaak nel film di Sal-ce). Per un periodo, dopo l’inaspettata vittoria netta di Berlusconi alle ultime elezioni (la GFeID si attendeva non un pareggio, ma comunque una vittoria di stretta misura), egli era rimasto in ombra, pur se da alcuni indizi si capiva che era sempre in agguato e scalpitava fremente. Adesso forse pen-sa che la crisi possa favorirlo. E soprattutto favorire tramite la richiesta dei soliti aiuti per i parassiti finanziario-industriali – in grado di ricattare il Governo con il pericolo di disfacimento del tessuto economico e aumento della disoccupazione (si veda l’ammorbidimento eccessivo di Tremonti verso le banche, ad esempio) – i suoi normali supporters, quelli di sempre, i “roditori” del paese.


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Ricordiamo il passato meno recente. Il solito “incontro sul Britannia”(1992) e l’operazione mani pulite (un colpo di mano, se si considera esagerato parlare di colpo di Stato), consentita dal crollo del “socialismo reale” e soprattutto dell’Urss, ed eseguita per conto di ambienti statunitensi dai “weimariani” della GFeID, gli ambienti parassiti già nominati, lanciati – con tutto il loro filo-europeismo, una forma di vera sudditanza agli Usa e ai loro organismi tipo Nato – a divorare le ri-sorse dell’intero paese, trincerandosi dietro i “ladrocini” dei capi Dc e Psi. Gli Usa, restati superpo-tenza, erano ormai convinti di portare a compimento il loro “Impero”. Agli inizi degli anni ’90, tale disegno fu nascosto dall’ideologia del “tripolarismo” del mondo (Stati Uniti, Germania e Giappo-ne), con la variante – portata avanti perfino da ambienti sedicenti comunisti e marxisti, forse in buona fede, ma certo di scarso cervello – del Giappone che si stava trasformando in padrone degli Usa, del “toyotismo” che conquistava il mondo, insomma del “Sol Levante” in procinto di essere il nuovo centro dell’economia globale, in attesa di divenirlo, nel XXI secolo, in tutti i sensi.

Il Giappone fu presto distrutto (e non si è ancora ripreso), il tripolarismo pure. Restò il progetto imperiale statunitense, cui credemmo in molti, però non oltre il 2003 o poco più (almeno per quanto mi riguarda). In seguito a quel progetto, la nostra GFeID (consolidatasi e svendutasi sul Britannia; non solo in quell’incontro, ben s’intende, che indico soltanto come punto di condensazione e di par-tenza) decise di attaccare a fondo la finanza e industria “pubbliche” con un piano di “privatizzazio-ni”, che erano svendite e un divorare famelico, di fronte al quale i “ladroni” Dc e Psi erano di “scar-so appetito”. Per attuare tale piano – in ottemperanza a quello ben più consistente degli Usa, che vo-levano rendere il nostro paese un sicario sicuro senza più quegli sfizi “filoarabi” e un po’ indipen-dentisti di Mattei, eliminato (come più tardi Moro), e di certi dirigenti diccì e piesseì – bisognava far fuori il regime esistente durante la “guerra fredda”, regime che si fondava largamente su Iri, Eni, ecc.: insomma su finanza e industria “pubbliche”. Si passò sul “cadavere” – talvolta non metaforico – dei suddetti dirigenti del vecchio regime e si cercò di formarne un altro, i cui migliori esecutori non potevano che essere dei rinnegati, costretti così a obbedire ciecamente, senza poter rifiutare più nulla.

I nostri “comunisti” – che cambiarono subito nome e casacca (da lacchè) – furono gli unici ad essere salvati in tutta Europa. Si sperò in un sussulto di quelli che divennero i presunti “rifondatori”, ma anche qui la deriva è stata infine totale, ed è meglio nemmeno farne la storia; l’importante è sa-pere che tutti i vari gruppetti di “estrema” sono dei disperati che, al massimo (ma credo e spero di no), potrebbero trasformarsi, in date congiunture di sfascio, in autentici “manipoli” o “squadracce”. Si salverà, si e no, il 10% di quest’area; ma, se non saprà capire in brevissimo tempo (mesi) che va buttato nella pattumiera tutto il vecchio bagaglio ideologico, non servirà più a nulla, salvo che ad aggiungere danno al danno maggiore procurato dalla “sinistra” pidieista, italvalorista, margheritista.

Dopo aver devastato il campo con le privatizzazioni, i “britannisti” ci hanno portato nella UE (che viene chiamata Europa unita da questi imbroglioni e veri “ladroni”) accettando, ai fini dell’unica vera innovazione apportata con simile scelta – quella dell’area a moneta unica – un cam-bio lira/euro da sballo inflazionistico, che adesso si raffredda sol perché siamo in una diversa fase ancora più negativa. Intendiamoci; non è che sono contro l’Europa, in sé e per sé, ma per com’è sta-ta realizzata al solo scopo di servire l’egemonia imperiale degli Usa. Oggi che questa è in impasse, la UE, lo ripeto, è divenuta non un’area veramente integrata in senso europeo, ma solo una duplica-zione, con peggioramento, degli apparati burocratici degli Stati membri; gli apparati europei battono spesso in inefficienza quelli italiani (non certo brillanti a tal proposito), oltre ad essere solo la longa manus dei predominanti statunitensi. Nel periodo di massimo fulgore del tentativo imperiale di que-sti ultimi, culminato nella seconda aggressione all’Irak, la GFeID portò a fondo con i vari Ciampi, Prodi, Amato – ma con precedenti aiutini di diccì tipo Scalfaro & C. e con il “coniglismo” dei diri-genti democristiani “stracciati”, perfino di Andreotti (e altri), che lasciarono solo Craxi con la sua rabbia impotente – la conquista e spartizione della finanza-industria “pubblica”, spazzando pure via il debole, forse troppo maldestro e non “pulito”, tentativo di opporsi (non però alle privatizzazioni, ormai realizzate, precisiamo) compiuto da Fazio, appoggiato (ma fino al limite del possibile) dal Vaticano; tentativo sfociato nella sua sostituzione con chi ben sappiamo, e di cui conosciamo la ca-rica ricoperta nella finanza d’assalto americana, quella detta “ad alta leva”, liquefattasi con il falli-mento del progetto imperiale.

In tutto questo bailamme, l’intervento di Berlusconi – un “fascista” che ha accettato per ben due volte, e di questo gliene faccio colpa e non merito (“mancanza di palle”!), di essere sbalzato di sella – ha ingrippato l’azione della nostra GFeID, asservita agli Usa, avendo anch’essa a disposizione i suoi servi in quelli dell’ex Pci e di settori “sinistri” (nel vero significato del termine) dell’ex Dc. Per nostra fortuna – questo non è però affatto un risultato dell’azione politica di Berlusconi, “fascista” senza decisionismo – l’azione della suddetta accolita finanziario-industriale, divoratrice delle nostre risorse, è entrata in sofferenza per la crisi grave degli Stati Uniti, apparente causa e reale effetto dell’impasse in cui si è trovata la loro spinta imperiale. Va ancora ricordato però, per comprendere il passato e stare con gli occhi aperti in futuro, che nel frattempo si erano sviluppati tentativi di por-tare fino in fondo il “sacco” dell’apparato economico “pubblico”.

Ci si ricorderà del “piano Rovati”, uomo di Prodi (allora al Governo), contro la Telecom. L’azienda era già privata, ma in mani non del tutto gradite al nocciolo duro della GFeID; per cui, in tal caso, si cercò di riportarla sotto controllo “pubblico”, solo però perché governava il fiduciario del solito gruppo di parassiti. Soprattutto, vanno comunque duramente riprovati i reiterati tentativi di indebolire l’Eni, togliendole la rete di distribuzione per darla alle municipalizzate, piovra di clientelismo, finanziamento (e altro) a favore della sinistra (e anche della destra meno nazionale; cioè della parte più corrotta di tale schieramento, il cui nazionalismo è puramente di facciata, ma non difende per nulla gli interessi italiani). Tentativo che provocò perfino un duro intervento del vicepresidente della Gazprom, partner decisivo dell’Eni, con lettera indirizzata, guarda un po’, al Giornale; anche in tal caso, la nostra azienda si è finora ben difesa, e speriamo salvata, per il più volte segnalato insuccesso della politica imperiale statunitense. Gli atteggiamenti positivi di Berlu-sconi su Eni-Gazprom e sulla Russia in generale – timidamente iniziati durante l’incontro in Sarde-gna con Putin nel 2003 – sono, ancora una volta, effetto di tale insuccesso; in assenza del quale, l’uomo “senza palle” non avrebbe lanciato nemmeno la più piccola sfida all’amica, e tuttora co-munque “padrona”, America.

Oggi, si aprirebbe per l’Italia, se vi fosse un autentico gruppo politico decisionista, una stagione nuova, poiché la crisi inficia a fondo il comportamento “padronale” del polo comunque ancora più forte. E tuttavia, si sbaglia chi crede che il polo europeo – in realtà virtuale, perche esistono solo le singole nazioni, ridotte a “nazioncine” balbettanti, mentre si muovono a casaccio i filoamericani or-ganismi UE (insisto: nulla a che vedere con una Europa Unita!) – uscirà meglio dalla crisi. Ne usci-rà peggio; economicamente però, e tale insuccesso economico potrebbe essere rovesciato in succes-so dal punto di vista politico, con svolte decisioniste in alcuni suoi paesi (sciocco sperare in tutta Europa; soprattutto nell’est, dove l’unica prospettiva positiva risiede in una ri-crescita, basata su ben altri punti di forza che non quelli dell’Urss, dell’influenza russa).

Siamo sulla linea divisoria tra i creodi del ben noto modello waddingtoniano; la perturbazione e le oscillazioni saranno sempre più forti nel prossimo futuro, e dunque possiamo cascare di qua o di là. Deciderà la politica, assieme alle strategie delle poche grandi imprese di punta che abbiamo: in piena evidenza, ormai, le aziende energetiche con l’Eni, ancora una volta, in primo piano. Ci sareb-be bisogno però di un “nuovo Mattei”, e tuttavia di un Governo non democristiano; ripeto per l’ennesima volta, estremamente decisionista.


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Ecco allora che si reinserisce l’ex presdelaconfind, vuoto di progetti concreti, che però tenta di sfruttare la debolezza e l’indecisione di un Governo diviso al suo interno tra fazioni, di cui quelle che fanno capo a vari settori di An e Lega, e anche a parte dei “berluscones”, non hanno a cuore gli interessi dell’intero paese; mentre soltanto un piccolo gruppo, stretto (quanto?) attorno al leader, è appena più deciso, ma scende a eccessivi compromessi con i settori parassitari, pur oggi non troppo saldi e che hanno mostrato tutta la loro insipienza. In particolare, mi riferisco proprio al settore ban-cario, in cui si contano i maggiori elettori del signor “yes, we can”, quelli che più ci hanno tenuto a farsi vedere mentre lo votavano alle “primarie”. Il Montezemolo – colui che fu tra principali avver-sari di Fazio e promotori della nostra finanza “dragona” e “weimariana”, cioè succube di quella a-mericana – per darsi l’importanza di uno che ha capito il momento particolarmente grave, ha ribat-tezzato “Stati Generali” la banalissima “concertazione”, fonte di disagio per tutte le cosiddette parti sociali (non parlo dei dirigenti, i “divoratori di ricchezza”, bensì delle basi di queste grandi parti-zioni della società) e di inviluppo dell’intero paese così tanto degradato dal 1993.

Nel momento in cui si sta sfasciando la sinistra, si riduce al lumicino quella “estrema”, le forze economiche più reazionarie del paese si aggrappano alla Cgil, e alla Fiom, per resistere al Governo non decisionista e cercare di invertire la tendenza al possibile declino definitivo della loro influen-za, solo che si desse loro una piccola spinta verso la “fossa”. La finanza dovrebbe essere ricondotta, con estrema rudezza, alla sua funzione di ancella dell’industria; ma quest’ultima, oltre a certamente servirsi anche della gran massa dei piccolo-medi imprenditori (se non altro per la loro importanza numerica e quale collante sociale), ha necessità di basarsi su grandi progetti strategici, comportanti nuove alleanze internazionali. Soprattutto, pur senza scontri frontali con gli Usa, come ho già scritto ultimamente, si deve giostrare con abilità, ma soprattutto con energia e senza esitazioni e “ritorni all’indietro”, nell’ambito dell’avanzante multipolarismo; ricordando inoltre che uno dei settori più rilevanti, per la lotta diretta a conquistare nuove supremazie e sfere di influenza, sarà precisamente quello energetico.

Obama gioca (per copertura ideologica, ma anche come si fa quando si “bluffa” a poker) con la green economy e le “energie alternative”; alla resa dei conti, come ha ricordato G.P., “ha affidato l’incarico di architetto della politica estera all’ex generale dei Marines James Jones, il quale, in li-nea con quanto dichiarato da altre teste d’uovo statunitensi, ritiene che la sicurezza nazionale passa dal controllo delle aree dove vi è maggior presenza di risorse energetiche, come il Golfo di Guinea, in Africa. Quindi l’Africa, ma anche Georgia o Ucraina, solo per citare altri paesi nell’orbita di Wa-shington, rappresentano per gli Usa ‘aree di interesse vitale’ che hanno a che fare direttamente con la sua ‘sicurezza nazionale’”. Cadere nei trucchi del nuovo “santino” della sinistra è nel pieno inte-resse dei nostri capitalisti, quelli parassiti e che godono di vantaggi (oggi però sempre minori) solo se fanno da “maggiordomo” agli Stati Uniti; non è invece affatto nell’interesse dei nostri settori più vitali e che più possono aiutarci ad uscire dalla crisi, come sostengo da tanto tempo, nelle meno peggiori condizioni.

Montezemolo sta giocando la sua solita partita a profitto delle “mignatte” della GFeID, le cui fi-nalità sono sempre più in antagonismo con quelle dell’intero paese. Ed è sintomatico che tale partita la voglia ricominciare dall’appoggio alla sinistra in piena défaillance. Ormai non potrebbe essere più chiaro di così: la nuova “concertazione” (mascherata ridicolmente da “Stati Generali”; si sver-gogni e sputtani senza remissione chi infanga così un grande momento della Storia per i suoi bassi fini da “sanguisuga”) mira a ripescare la Cgil, onde rimettere un po’ in sesto la sinistra e renderla ancora più schiava che non nel 1993 (perché tale schieramento non potrebbe sopravvivere un istante senza più l’ossigeno del nostro capitalismo parassitario e dei suoi mass media e catene editoriali, ecc.), in modo da usarla come ariete per schiantare il “sistema-paese” e riuscire infine in quell’attività di spoliazione non perfezionata del tutto con le manovre coadiuvate da mani pulite. L’incompiuta transizione dalla prima alla seconda Repubblica ha avuto una ben precisa causa im-mediata: l’incapacità della sinistra di conquistare – salvo che presso una intellettualità ormai marcia, lurida, sfatta, putrescente – l’egemonia su settori decisivi della società, e anche industria, italiana. Ma la causa prima è nella non riuscita operazione di egemonia imperiale americana.

Vogliamo perdere l’occasione di dare un colpo definitivo alla GFeID, e a quell’etereo, vacuo, personaggio che tenta di riproporsi alla sua testa? Cadiamo in questo errore di omissione e saremo “morti divorati” per un paio di generazioni almeno! Come ho però già scritto in altra occasione, i primi da colpire “a morte” sono i sicari, i “bravi”, di questi novelli “Don Rodrigo”. Purtroppo, e non lo dico con piacere, i più “bravi” di tutti, e da ormai quindici anni, sembrano i “sinistri”: sono per il momento allo sfascio, ma sarebbe bene, per il paese, che vi restassero a tempo indeterminato. Non è però detto, anzi continuo a ritenerlo improponibile, che questa destra sia in grado di mettere termine alla nostra agonia di “eterno passaggio” alla Seconda Repubblica. Occorre il decisionismo; e qual-siasi gruppo sociale, economico e politico sia in grado di sprigionarlo, costituendone altresì la “base di massa”, avrà risolto un gran problema per l’insieme della società italiana.  


di Gianfranco La Grassa