Fossero dotati di humour, adesso in Procura potrebbero parodiare una delle proverbiali intercettazioni captate anni fa in tutt’altre indagini economiche: «Abbiamo una banca!». Perché da ieri, in senso quasi letterale, la Procura di Milano ha davvero una banca (il 25% della spa italiana della tedesca Deutsche Bank), e anche la sede di una banca (quella dell’americana Jp Morgan nel Palazzo Hoepli), e cespiti di una banca (conti per 8 milioni nella tedesca Depfa Bank, altre attività nella svizzera Ubs). Tutti beni che il giudice Giuseppe Vanore ha autorizzato il pm Alfredo Robledo a sequestrare, per la prima volta in Italia, fino a un tetto di 92 milioni di euro per Jp Morgan e Depfa Bank, di 84 per Deutsche Bank, di 75 per Ubs: istituti indagati per truffa aggravata ai danni del Comune di Milano nella rinegoziazione del debito di Palazzo Marino con prodotti finanziari «derivati», cioè contratti per gestire il rischio di tasso d’interesse.
Il sequestro preventivo, che raccoglie il lavoro del Nucleo di polizia tributaria della Gdf, poggia su una novità che, se reggerà al Tribunale del Riesame, potrebbe essere replicata in tutta Italia indipendentemente dall’aleatorio andamento del mercato di questi prodotti finanziari piazzati a iosa dalle banche (per 35 miliardi di euro) a 18 Regioni, 44 Province e 447 Comuni, con passività per lo Stato in 2 miliardi. L’idea di fondo, infatti, è che il primo raggiro delle banche al Comune sia avvenuto quando, nella veste di consulenti, avrebbero violato la legge 448 del 2001 che subordina queste operazioni alla riduzione del valore finanziario delle passività totali a carico dell’ente: al contrario, le banche avrebbero rinegoziato il debito tacendo l’esistenza di un «derivato» stipulato dal Comune nel 2002 con Unicredito, che non poteva essere ignorato perché onerosamente collegato a mutui rinegoziati.
A ruota, le banche avrebbero praticato un secondo raggiro, stavolta nella struttura scelta per ammortare il debito del Comune sia nel 2005 (giunta Albertini) sia nel contratto dell’ottobre 2007 (già sotto la giunta Moratti). La regola è che, quando due parti stipulano un contratto derivato, devono essere nelle medesime condizioni e dunque il valore delle prestazioni deve essere pari a zero; se così non è, chi è in vantaggio deve ricostituire in partenza l’equilibrio dando a chi è in svantaggio un pagamento pari alla differenza. Invece, nel rapporto banche-Comune la struttura del contratto — secondo quanto calcolato dal consulente del pm, Gianluca Fusai — determinava già in partenza uno squilibrio tra i due contraenti, e cioè 52 milioni di euro di perdita finanziaria a carico del Comune, dovuta a condizioni contrattuali che avvantaggiavano già in partenza le banche: esattamente il contrario del vantaggio di 55 milioni di euro che le banche rappresentavano invece al Comune. E qui c’è la base del sequestro: la Procura assume infatti che questa perdita del Comune costituisca di per sé e subito un profitto per le banche talmente concreto e attuale che gli istituti lo iscrivono a bilancio come valore effettivo, lo possono vendere e comprare, lo pongono a base di mutui.
Alle banche è addebitato un terzo raggiro: aver violato i doveri di correttezza imposti loro proprio dalla legge inglese «Fsa» che esse avevano voluto regolasse i contratti con il Comune, e in particolare aver manovrato per spingerlo a rinunciare (senza che se ne avvedesse) a tutta una serie di preziose protezioni contrattuali di cui avrebbe in teoria dovuto e potuto godere nella sua veste di ente pubblico territoriale.
Il Comune è parte lesa, ma le 4 banche e i loro 12 manager già da mesi sotto inchiesta sono indagati in concorso con due ex manager comunali: il direttore generale nell’era Albertini, Giorgio Porta, al quale sono sequestrate (fino a teorici 81 milioni) una casa a Milano e una a Courmayeur, e l’allora componente della Commissione tecnica Mauro Mauri, che vede sotto sigilli (per teorici 52 milioni) la sua quota di una casa in Lomellina.
Luigi Ferrarella