13 maggio 2009

Crimini di guerra: processo a Israele



















La Corte Suprema d’Israele ha formulato una serie di accuse ai comportamenti dei vertici militari nazionali durante l’operazione “Piombo Fuso”. All’indomani di elezioni che hanno spostato a destra il quadro politico dello stato ebraico e a fronte di un compatto consenso dell’opinione pubblica alla guerra lampo su Gaza, la tela del potere si squarcia ed apre le porte ad un sofisticato problema giuridico: Israele ha violato o meno le convenzioni internazionali al punto di poter configurare l’accusa di crimini di guerra? Mentre la diplomazia mondiale riparte dalla questione mediorientale con il duo Obama - Mitchell a capo e il presidente iraniano Ahmadjnejad dichiara di voler lavorare alla soluzione di “due popoli due stati”, una parte del paese non chiude gli occhi, anzi ha il coraggio di guardarsi alla specchio,rilanciando sul tema della devastazione di Gaza. Una quaestio giuridica e morale che orienterà il dibattito politico e storico mondiale sui duri giorni del massacro nella Striscia.

I nodi giuridici più rilevanti riguardano la rottura dei vertici militari che hanno diretto l’operazione “Piombo Fuso” con le regole del diritto internazionale di guerra, incentrato sui dettami della Convenzione di Ginevra. Era necessario - ci si domanda - distruggere case, famiglie, ospedali e colpire persino i medici? E quelle fiammate di luce nel nero cielo di Gaza non sono quel fosforo proibito dagli accordi di guerra? Le accuse si rincorrono e formano un quadro fosco e oscuro che toccherà alla giustizia rischiarare.

Eccole, dunque. In primo luogo, Israele non ha distinto gli obiettivi militari da quelli civili. I droni hanno abbattuto case private e colpito ospedali perfettamente estranei agli obiettivi militari, quelli in cui si pensava di colpire il nemico manifesto di questa guerra, Hamas. I fatti in questione, ampiamente documentati dai dossier giornalistici di tutto il mondo, mostrano come il tema della sproporzione delle due parti in conflitto si sia risolto in un massacro di innocenti: si stenterebbe a chiamare semplicemente guerra un evento così connotato. La morte di tanti civili uccide giuridicamente il principio di necessità, come ben afferma The Guardian in un editoriale recente, attento ai temi dottrinari sollevati dal conflitto arabo- israeliano.

Quei morti erano davvero necessari visti i reali rapporti di forza tra le parti, un grande esercito contro un gruppo di miliziani? E poi: i medici sono stati i bersagli preferiti di “Piombo Fuso”. Molti gli ospedali distrutti e molti i medici ed il personale sanitario bersagliato in una Striscia completamente sigillata e isolata dal mondo intero. Sempre il noto quotidiano inglese afferma che anche l’uccisione di medici rientra, come pure ha lasciato intuire la Corte suprema israeliana, nel novero dei crimini di guerra. E ancora altri fatti, altri crimini: famiglie usate come scudi umani, senza distinzioni tra uomini, donne e bambini e massiccio uso di bombe al fosforo. Sembra che Israele abbia voluto agire al di sopra delle leggi, svilendo i principi di proporzionalità, necessità e distinzione propri del diritto internazionale. In ultima analisi, secondo la Corte, “Piombo Fuso” ha violato il complesso dei diritti umani accettati dalla comunità internazionale.

Ma Israele non è solo “Piombo Fuso” e il processo aperto sui crimini di guerra non significa la condanna di tutto il popolo israeliano. L’esclusione dei giornalisti da Gaza nei giorni duri della campagna militare nasce dalla volontà di Israele di assicurarsi quell’impunità dai crimini di guerra che la comunità internazionale stenta oggi – per fortuna - a riconoscerle. Osservatori umanitari e uomini dell’informazione adesso hanno avuto accesso alla Striscia. E hanno visto: gli israeliani dovranno spiegare la violenza che hanno perpetrato verso i palestinesi e fronteggiare l’accusa di aver condotto veri e propri crimini di guerra. Haartez ha riportato di recente le dichiarazioni dei soldati israeliani che avrebbero colpito intenzionalmente una donna e suoi tre bambini. Uno di loro avrebbe affermato che la vita di un palestinese conta meno di quella di un israeliano.

L’osservatorio per i diritti umani ha da tempo chiesto una commissione di inchiesta per i crimini di Gaza, mentre Richard Falk, dell’osservatorio dell’Onu per i diritti umani in Palestina, ha chiaramente ammesso che la storia del lancio dei razzi Quassam da parte di Hamas non determina il principio di una eguale responsabilità rispetto alla guerra. Ma l’attivazione della comunità internazionale sui crimini di Gaza riuscirà ad applicare la giustizia sui più grandi alleati dell’occidente dell’area mediorientale?

di Stefania Pavone

12 maggio 2009

L'ONU chiede 7,8 milioni di danni a Israele

MIDEAST ISRAEL ISRAELI SOLDIERS

La notizia trova spazio su tutti i maggiori quotidiani europei, ma i giornali italiani, troppo impegnati a seguire le vicende coniugali del premier ormai divenute argomento fisso delle prime pagine, hanno evitato di farne menzione o si sono limitati a relegarla in qualche trafiletto.
L’ONU, come dichiarato in conferenza stampa da Ban Ki – moon, ha fatto pervenire ad Israele una richiesta di risarcimento di 7,8 milioni di euro, in seguito alla relazione della commissione che ha indagato in merito agli attacchi contro il personale e le strutture delle Nazioni Unite, compiuti dall’esercito israeliano durante l'operazione Piombo Fuso dello scorso inverno che ha causato la morte di oltre 1500 palestinesi.


Il risarcimento riguarda i bombardamenti (in alcuni casi con l’utilizzo del fosforo bianco) a Gaza da parte dell’esercito israeliano di 3 scuole, un ospedale e la sede delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. Bombardamenti che hanno causato circa 50 morti e in merito ai quali la commissione d’indagine ha individuato gravi colpe dei militari israeliani che non avrebbero preso le necessarie precauzioni, né fatto gli sforzi necessari, volti a garantire il rispetto dell’inviolabilità delle Nazioni Unite e la protezione delle migliaia di civili che avevano cercato rifugio negli edifici dell’ONU.
La commissione ha inoltre domandato l’apertura di un’indagine riguardante eventuali violazioni del diritto internazionale, concernenti l’utilizzo del fosforo bianco in zone densamente popolate, da parte dell’esercito israeliano, sempre nel corso dell’offensiva su Gaza.


L’iniziativa dell’ONU è estremamente importante, in quanto suona come una condanna senza appello nei confronti dei massacri di civili palestinesi, compiuti dall’esercito israeliano nel corso dell’operazione Piombo Fuso. Dispiace constatare una volta di più come i grandi giornali italiani, soggiogati dalla lobby che li gestisce, non abbiano saputo cogliere l’importanza della notizia, ma si siano limitati a constatarne la “scomodità”, relegandola nel novero dell’informazione da sottacere per non incorrere nell’ira del padrone.

di Marco Cedolin

11 maggio 2009

Le contraddizioni dell'11/9




griffin
Riguardo alla mattina dell'11/9, tutti concordano che a un certo punto dopo le 9,03 (quando la Torre Sud del World Trade Center fu colpita) e prima delle ore 10,00, il Vicepresidente Dick Cheney scese al PEOC (Presidential Emergency Operations Center, il centro operativo presidenziale d'emergenza, N.d.T.), talvolta definito semplicemente il “bunker”, sotto l'ala est della Casa Bianca.

Tutti concordano inoltre che, una volta lì, Cheney assunse l'incarico, sia che fosse quello di prendere le decisioni sia di trasmettere le decisioni provenienti dal Presidente Bush. Ma c'è un'enorme discrepanza su quando esattamente Cheney sia entrato al PEOC. Secondo il Rapporto della Commissione sull'11/9, Cheney arrivò «poco prima delle 10,00, forse alle 9,58» (dal 9/11 Commission Report [di seguito 9/11CR], 40). Quest'orario ufficiale, tuttavia, contraddice quasi tutti i precedenti rapporti, alcuni dei quali riportavano la sua presenza in quel luogo prima delle 9,20. Questa differenza è importante perché, se l'orario della commissione sull'11/9 è esatto, Cheney non era al comando presso il PEOC quando fu colpito il Pentagono, o per gran parte del periodo durante il quale il Volo 93 della United Airlines si stava avvicinando a Washington. Ma se i rapporti che lo indicavano lì dalle 9,20 sono esatti, Cheney era al comando presso il PEOC durante tutto quel tempo.

Il riferimento di Mineta sul primo arrivo di Cheney

La frase più celebre che contraddice la Commissione sull'11/9 fu pronunciata dal Segretario dei trasporti, Norman Mineta, durante la sua pubblica testimonianza alla Commissione resa il 23 maggio 2003.
Nel riferire di «essere arrivato al PEOC alle 9,20 circa», Mineta riportò di aver colto parte di una conversazione in corso, cominciata naturalmente prima che egli arrivasse, tra un uomo di giovane età e il Vicepresidente Cheney. Questa conversazione verteva su un aereo che stava dirigendosi su Washington e si concluse con Cheney che confermava che «gli ordini sono ancora validi». Quando più tardi il membro della Commissione Timothy Roemer chiese a Mineta per quanto tempo dopo il suo arrivo avesse percepito questa conversazione imperniata sulla persistente validità o meno degli ordini, Mineta rispose: «Probabilmente circa cinque o sei minuti». Questo significherebbe, puntualizzò Roemer, «circa le 9,25 o le 9,26».

Si tratta di una rilevante contraddizione. Dato il fatto che Cheney, secondo Mineta, era impegnato in uno scambio ancora in corso, doveva essere già al PEOC da vari minuti prima dell'arrivo di Mineta delle 9,20. Se Cheney fosse stato in quel luogo sin dalle 9,15, ci sarebbe una contraddizione di 43 minuti tra la testimonianza di Mineta e il Rapporto della Commissione sull'11/9. Perché esisterebbe una tale enorme contraddizione?

griffinUna possibile spiegazione potrebbe essere che Mineta si sia sbagliato. Il suo racconto, tuttavia, è in linea con quello di molti altri testimoni.

Altri rapporti a sostegno di un precoce arrivo di Cheney

Richard Clarke ha riferito che lui, Cheney e Condoleeza Rice ebbero un breve incontro subito dopo le 9,03, dopo il quale il Secret Service volle che Cheney e la Rice scendessero al PEOC. La Rice, tuttavia, andò prima al Centro per le Teleconferenze della Casa Bianca, dove Clarke stava per iniziare una videoconferenza, che partì alle 9,10 circa. Dopo aver passato alcuni minuti lì, la Rice disse, secondo Clarke: «Avrete bisogno di alcune decisioni in tempi rapidi. Mi sto recando al PEOC per stare con il Vicepresidente. Diteci cosa vi serve». Alle 9,15 circa, Norman Mineta arrivò e Clarke «gli indicò di incontrare il Vicepresidente» (Against All Enemies, 2-5). Clarke con ciò ha presupposto che Cheney fosse al PEOC diversi minuti prima delle 9,15.

In un programma di ABC News in occasione del primo anniversario dell'11/9, il fotografo di Cheney alla Casa Bianca, David Bohrer, riferì che, subito dopo le 9,00, alcuni agenti del Secret Service irruppero nell'ufficio di Cheney e dissero: «Signore, deve venire con noi». Nel corso della stessa trasmissione, la Rice affermò: «Mentre cercavo di trovare tutte le più eminenti autorità, giunse il Secret Service e disse: “Lei deve andar via ora per recarsi al bunker. Il Vicepresidente è già lì. Forse c'è un aereo diretto alla Casa Bianca”». Charles Gibson della ABC a quel punto ha detto: «nel bunker il Vicepresidente viene raggiunto dalla Rice e dal Segretario dei trasporti Norman Mineta» (“9/11: Interviews by Peter Jennings,” ABC News, 11 settembre 2002).

Le affermazioni della Commissione sull'11/9 in merito all'arrivo in ritardo

La Commissione sull'11/9 ha concordato sul fatto che il Vicepresidente sia stato trascinato al PEOC dopo aver ricevuto una segnalazione sul fatto che un aereo era diretto verso la Casa Bianca. Ha tuttavia asserito che questa segnalazione non fu ricevuta fino alle 9,33. Ma anche allora, stando alla Commissione, gli agenti del Secret Service ricevettero immediatamente un altro messaggio, che diceva loro che l'aereo aveva cambiato direzione, pertanto «nessun passo fu fatto per evacuare il Vicepresidente in quel momento». Non fu che fino «ad appena prima delle 9,36» che il Secret Service intimò a Cheney di recarsi al bunker (9/11CR 39). Ma anche dopo essere entrato nel corridoio sotterraneo alle 9,37, Cheney non andò immediatamente al PEOC. Invece:

Una volta dentro, il Vicepresidente Cheney e gli agenti sostarono in un'area del tunnel che aveva un telefono di sicurezza, un banco e la TV. Il Vicepresidente chiese di parlare al Presidente, ma ci volle del tempo perché la chiamata venisse connessa. Apprese nel tunnel che il Pentagono era stato colpito, e vide i servizi televisivi sul fumo che proveniva dall'edificio (9/11CR 40).

Dopo, una volta che Lynne Cheney «raggiunse il marito nel tunnel», ha affermato la Commissione, «la signora Cheney e il Vicepresidente si spostarono dal tunnel alla sala conferenze del rifugio» dopo che la telefonata si concluse, non oltre le 9,55. Quanto alla Rice, aggiunse la Commissione, «entrò nella sala conferenze subito dopo il Vicepresidente» (9/11CR 40).

La contraddizione non potrebbe essere più evidente. Secondo la Commissione, Cheney, ben lontano dall'entrare al PEOC prima delle 9,20, come hanno detto Mineta e altri, non vi arrivò sino alle 9,58 circa, 20 minuti dopo l'impatto delle 9,38 sul Pentagono, da lui appreso nel corridoio.

Il racconto di Cheney alla trasmissione "Meet The Press"

Il racconto della Commissione sull'11/9 ha contraddetto perfino quello fatto da Cheney in persona in una celebre intervista. Nel parlare con Tim Russert alla trasmissione Meet The Press della NBC appena cinque giorni dopo l'11/9, Cheney disse: «Dopo che ho parlato con il presidente, sono sceso al Centro Operativo Presidenziale d'Emergenza... Quando vi arrivai in tempi brevi, mi giunse la notizia che il Pentagono era stato colpito.» Cheney stesso, pertanto, ha indicato di essere entrato al PEOC prima dell'impatto delle 9,38 al Pentagono, non 20 minuti dopo di esso, come invece avrebbe poi affermato più avanti la Commissione.

Trattare le contraddizioni

In che modo la Commissione sull'11/9 ha trattato il fatto che la sua affermazione circa il momento dell'arrivo di Cheney al PEOC è stata contraddetta da Bohrer, Clarke, Mineta, Rice, vari articoli sui media, e perfino dallo stesso Cheney? Semplicemente ha omesso qualsiasi citazione di questi ragguagli contraddittori.

Fra queste omissioni, il caso più importante è stato il fatto che la Commissione ha trascurato del tutto di citare la testimonianza di Norman Mineta, sebbene fosse stata resa alla Commissione in un'audizione pubblica, come si può leggere nella trascrizione di tale sessione (23 maggio 2003). Questa porzione della testimonianza di Mineta fu altresì cancellata dalla versione ufficiale della registrazione video delle audizioni della Commissione sull'11/9 nei suoi archivi (e tuttavia può essere vista in internet).

Durante un'intervista alla Canadian Broadcasting Corporation nel 2006, al vicepresidente della Commissione sull’11/9 Lee Hamilton fu chiesto dove fosse Cheney prima delle ore 10,00. «Non ricordo», fu la risposta di Hamilton (“9/11: Truth, Lies and Conspiracy: Interview: Lee Hamilton,” CBC News, 21 agosto 2006). Era abbastanza sorprendente che Hamilton non ricordasse, giacché era proprio lui a fare le domande quando Mineta raccontò la storia della conversazione del giovane con Cheney. Hamilton, inoltre, aveva iniziato la serie di domande dicendo a Mineta: «Lei era lì [al PEOC] per buona parte del giorno. Ritengo che lei fosse lì con il Vicepresidente». E lo scambio fra Mineta e l’altro membro della commissione Timothy Roemer, durante il quale fu stabilito che Mineta era arrivato alle 9,20 circa, venne immediatamente appresso all’interrogatorio condotto da Hamilton. E nondimeno Hamilton, non essendo capace di ricordare nulla di ciò, ha semplicemente detto: «riteniamo che il Vicepresidente Cheney sia entrato nel bunker poco prima delle dieci». Cancellando la problematica testimonianza di Mineta.

Per vedere i possibili motivi degli sforzi della Commissione sull’11/9 miranti a cassare il racconto di Mineta dalle registrazioni pubbliche, abbiamo bisogno di guardare alla conversazione da lui riportata alla Commissione. Mineta disse:

«Durante il periodo in cui l’aereo si stava dirigendo verso il Pentagono, c’era un giovane che giungeva e diceva al Vicepresidente: “l’aereo e a 50 miglia”, “l’aereo è a 30 miglia”; e quando arrivò a “l’aereo è a 10 miglia”, il giovane disse al Vicepresidente: “gli ordini sono ancora validi?” E il Vicepresidente si girò di scatto e disse, “Certo che gli ordini sono ancora validi. Hai forse sentito qualcosa che affermi il contrario?”».

Alle 10,02 gli addetti alle comunicazioni nel rifugio iniziarono a ricevere rapporti dal Secret Service su un aeroplano in arrivo… A un certo punto tra le 10,10 e le 10,15, un assistente militare disse al Vicepresidente e altri che l’aereo era a 80 miglia. Al Vicepresidente Cheney fu chiesta l’autorizzazione ad attaccare l’aereo… Il Vicepresidente autorizzo i caccia ad affrontare l’aereo… L’assistente militare ritornò pochi minuti dopo, probabilmente tra le 10,12 e le 10,18, e disse che l’aereo era a 60 miglia di distanza. Di nuovo chiese l’autorizzazione ad attaccare. Il Vicepresidente nuovamente disse di sì. (9/11CR 41)

La Commissione sull’11/9 in questo modo presentò il racconto dell’aereo in arrivo in modo che terminasse con un ordine di abbattimento, non di sospensione delle azioni. E nel fare in modo che il racconto si svolgesse dopo le 10,10, la Commissione non solo lo dissociò dall’impatto sul Pentagono ma scartò altresì la possibilità che l’autorizzazione di Cheney all’abbattimento potesse aver portato ad abbattere il Volo 93 della United Airlines (che precipitò, secondo la Commissione, alle 10,03).

Dato il fatto che il racconto della Commissione circa la discesa al bunker da parte di Cheney ha contraddetto la testimonianza non solo di Norman Mineta ma anche di molti altri testimoni, compreso lo stesso Cheney, il Congresso e la stampa hanno bisogno di avviare delle inchieste su cosa sia successo davvero.

Note sull’articolo:

Il presente articolo è una versione abbreviata dei capitoli 2 e 3 del seguente saggio: David Ray Griffin, Contradictions: An Open Letter to Congress and the Press, Northampton: Olive Branch, marzo 2008

13 maggio 2009

Crimini di guerra: processo a Israele



















La Corte Suprema d’Israele ha formulato una serie di accuse ai comportamenti dei vertici militari nazionali durante l’operazione “Piombo Fuso”. All’indomani di elezioni che hanno spostato a destra il quadro politico dello stato ebraico e a fronte di un compatto consenso dell’opinione pubblica alla guerra lampo su Gaza, la tela del potere si squarcia ed apre le porte ad un sofisticato problema giuridico: Israele ha violato o meno le convenzioni internazionali al punto di poter configurare l’accusa di crimini di guerra? Mentre la diplomazia mondiale riparte dalla questione mediorientale con il duo Obama - Mitchell a capo e il presidente iraniano Ahmadjnejad dichiara di voler lavorare alla soluzione di “due popoli due stati”, una parte del paese non chiude gli occhi, anzi ha il coraggio di guardarsi alla specchio,rilanciando sul tema della devastazione di Gaza. Una quaestio giuridica e morale che orienterà il dibattito politico e storico mondiale sui duri giorni del massacro nella Striscia.

I nodi giuridici più rilevanti riguardano la rottura dei vertici militari che hanno diretto l’operazione “Piombo Fuso” con le regole del diritto internazionale di guerra, incentrato sui dettami della Convenzione di Ginevra. Era necessario - ci si domanda - distruggere case, famiglie, ospedali e colpire persino i medici? E quelle fiammate di luce nel nero cielo di Gaza non sono quel fosforo proibito dagli accordi di guerra? Le accuse si rincorrono e formano un quadro fosco e oscuro che toccherà alla giustizia rischiarare.

Eccole, dunque. In primo luogo, Israele non ha distinto gli obiettivi militari da quelli civili. I droni hanno abbattuto case private e colpito ospedali perfettamente estranei agli obiettivi militari, quelli in cui si pensava di colpire il nemico manifesto di questa guerra, Hamas. I fatti in questione, ampiamente documentati dai dossier giornalistici di tutto il mondo, mostrano come il tema della sproporzione delle due parti in conflitto si sia risolto in un massacro di innocenti: si stenterebbe a chiamare semplicemente guerra un evento così connotato. La morte di tanti civili uccide giuridicamente il principio di necessità, come ben afferma The Guardian in un editoriale recente, attento ai temi dottrinari sollevati dal conflitto arabo- israeliano.

Quei morti erano davvero necessari visti i reali rapporti di forza tra le parti, un grande esercito contro un gruppo di miliziani? E poi: i medici sono stati i bersagli preferiti di “Piombo Fuso”. Molti gli ospedali distrutti e molti i medici ed il personale sanitario bersagliato in una Striscia completamente sigillata e isolata dal mondo intero. Sempre il noto quotidiano inglese afferma che anche l’uccisione di medici rientra, come pure ha lasciato intuire la Corte suprema israeliana, nel novero dei crimini di guerra. E ancora altri fatti, altri crimini: famiglie usate come scudi umani, senza distinzioni tra uomini, donne e bambini e massiccio uso di bombe al fosforo. Sembra che Israele abbia voluto agire al di sopra delle leggi, svilendo i principi di proporzionalità, necessità e distinzione propri del diritto internazionale. In ultima analisi, secondo la Corte, “Piombo Fuso” ha violato il complesso dei diritti umani accettati dalla comunità internazionale.

Ma Israele non è solo “Piombo Fuso” e il processo aperto sui crimini di guerra non significa la condanna di tutto il popolo israeliano. L’esclusione dei giornalisti da Gaza nei giorni duri della campagna militare nasce dalla volontà di Israele di assicurarsi quell’impunità dai crimini di guerra che la comunità internazionale stenta oggi – per fortuna - a riconoscerle. Osservatori umanitari e uomini dell’informazione adesso hanno avuto accesso alla Striscia. E hanno visto: gli israeliani dovranno spiegare la violenza che hanno perpetrato verso i palestinesi e fronteggiare l’accusa di aver condotto veri e propri crimini di guerra. Haartez ha riportato di recente le dichiarazioni dei soldati israeliani che avrebbero colpito intenzionalmente una donna e suoi tre bambini. Uno di loro avrebbe affermato che la vita di un palestinese conta meno di quella di un israeliano.

L’osservatorio per i diritti umani ha da tempo chiesto una commissione di inchiesta per i crimini di Gaza, mentre Richard Falk, dell’osservatorio dell’Onu per i diritti umani in Palestina, ha chiaramente ammesso che la storia del lancio dei razzi Quassam da parte di Hamas non determina il principio di una eguale responsabilità rispetto alla guerra. Ma l’attivazione della comunità internazionale sui crimini di Gaza riuscirà ad applicare la giustizia sui più grandi alleati dell’occidente dell’area mediorientale?

di Stefania Pavone

12 maggio 2009

L'ONU chiede 7,8 milioni di danni a Israele

MIDEAST ISRAEL ISRAELI SOLDIERS

La notizia trova spazio su tutti i maggiori quotidiani europei, ma i giornali italiani, troppo impegnati a seguire le vicende coniugali del premier ormai divenute argomento fisso delle prime pagine, hanno evitato di farne menzione o si sono limitati a relegarla in qualche trafiletto.
L’ONU, come dichiarato in conferenza stampa da Ban Ki – moon, ha fatto pervenire ad Israele una richiesta di risarcimento di 7,8 milioni di euro, in seguito alla relazione della commissione che ha indagato in merito agli attacchi contro il personale e le strutture delle Nazioni Unite, compiuti dall’esercito israeliano durante l'operazione Piombo Fuso dello scorso inverno che ha causato la morte di oltre 1500 palestinesi.


Il risarcimento riguarda i bombardamenti (in alcuni casi con l’utilizzo del fosforo bianco) a Gaza da parte dell’esercito israeliano di 3 scuole, un ospedale e la sede delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. Bombardamenti che hanno causato circa 50 morti e in merito ai quali la commissione d’indagine ha individuato gravi colpe dei militari israeliani che non avrebbero preso le necessarie precauzioni, né fatto gli sforzi necessari, volti a garantire il rispetto dell’inviolabilità delle Nazioni Unite e la protezione delle migliaia di civili che avevano cercato rifugio negli edifici dell’ONU.
La commissione ha inoltre domandato l’apertura di un’indagine riguardante eventuali violazioni del diritto internazionale, concernenti l’utilizzo del fosforo bianco in zone densamente popolate, da parte dell’esercito israeliano, sempre nel corso dell’offensiva su Gaza.


L’iniziativa dell’ONU è estremamente importante, in quanto suona come una condanna senza appello nei confronti dei massacri di civili palestinesi, compiuti dall’esercito israeliano nel corso dell’operazione Piombo Fuso. Dispiace constatare una volta di più come i grandi giornali italiani, soggiogati dalla lobby che li gestisce, non abbiano saputo cogliere l’importanza della notizia, ma si siano limitati a constatarne la “scomodità”, relegandola nel novero dell’informazione da sottacere per non incorrere nell’ira del padrone.

di Marco Cedolin

11 maggio 2009

Le contraddizioni dell'11/9




griffin
Riguardo alla mattina dell'11/9, tutti concordano che a un certo punto dopo le 9,03 (quando la Torre Sud del World Trade Center fu colpita) e prima delle ore 10,00, il Vicepresidente Dick Cheney scese al PEOC (Presidential Emergency Operations Center, il centro operativo presidenziale d'emergenza, N.d.T.), talvolta definito semplicemente il “bunker”, sotto l'ala est della Casa Bianca.

Tutti concordano inoltre che, una volta lì, Cheney assunse l'incarico, sia che fosse quello di prendere le decisioni sia di trasmettere le decisioni provenienti dal Presidente Bush. Ma c'è un'enorme discrepanza su quando esattamente Cheney sia entrato al PEOC. Secondo il Rapporto della Commissione sull'11/9, Cheney arrivò «poco prima delle 10,00, forse alle 9,58» (dal 9/11 Commission Report [di seguito 9/11CR], 40). Quest'orario ufficiale, tuttavia, contraddice quasi tutti i precedenti rapporti, alcuni dei quali riportavano la sua presenza in quel luogo prima delle 9,20. Questa differenza è importante perché, se l'orario della commissione sull'11/9 è esatto, Cheney non era al comando presso il PEOC quando fu colpito il Pentagono, o per gran parte del periodo durante il quale il Volo 93 della United Airlines si stava avvicinando a Washington. Ma se i rapporti che lo indicavano lì dalle 9,20 sono esatti, Cheney era al comando presso il PEOC durante tutto quel tempo.

Il riferimento di Mineta sul primo arrivo di Cheney

La frase più celebre che contraddice la Commissione sull'11/9 fu pronunciata dal Segretario dei trasporti, Norman Mineta, durante la sua pubblica testimonianza alla Commissione resa il 23 maggio 2003.
Nel riferire di «essere arrivato al PEOC alle 9,20 circa», Mineta riportò di aver colto parte di una conversazione in corso, cominciata naturalmente prima che egli arrivasse, tra un uomo di giovane età e il Vicepresidente Cheney. Questa conversazione verteva su un aereo che stava dirigendosi su Washington e si concluse con Cheney che confermava che «gli ordini sono ancora validi». Quando più tardi il membro della Commissione Timothy Roemer chiese a Mineta per quanto tempo dopo il suo arrivo avesse percepito questa conversazione imperniata sulla persistente validità o meno degli ordini, Mineta rispose: «Probabilmente circa cinque o sei minuti». Questo significherebbe, puntualizzò Roemer, «circa le 9,25 o le 9,26».

Si tratta di una rilevante contraddizione. Dato il fatto che Cheney, secondo Mineta, era impegnato in uno scambio ancora in corso, doveva essere già al PEOC da vari minuti prima dell'arrivo di Mineta delle 9,20. Se Cheney fosse stato in quel luogo sin dalle 9,15, ci sarebbe una contraddizione di 43 minuti tra la testimonianza di Mineta e il Rapporto della Commissione sull'11/9. Perché esisterebbe una tale enorme contraddizione?

griffinUna possibile spiegazione potrebbe essere che Mineta si sia sbagliato. Il suo racconto, tuttavia, è in linea con quello di molti altri testimoni.

Altri rapporti a sostegno di un precoce arrivo di Cheney

Richard Clarke ha riferito che lui, Cheney e Condoleeza Rice ebbero un breve incontro subito dopo le 9,03, dopo il quale il Secret Service volle che Cheney e la Rice scendessero al PEOC. La Rice, tuttavia, andò prima al Centro per le Teleconferenze della Casa Bianca, dove Clarke stava per iniziare una videoconferenza, che partì alle 9,10 circa. Dopo aver passato alcuni minuti lì, la Rice disse, secondo Clarke: «Avrete bisogno di alcune decisioni in tempi rapidi. Mi sto recando al PEOC per stare con il Vicepresidente. Diteci cosa vi serve». Alle 9,15 circa, Norman Mineta arrivò e Clarke «gli indicò di incontrare il Vicepresidente» (Against All Enemies, 2-5). Clarke con ciò ha presupposto che Cheney fosse al PEOC diversi minuti prima delle 9,15.

In un programma di ABC News in occasione del primo anniversario dell'11/9, il fotografo di Cheney alla Casa Bianca, David Bohrer, riferì che, subito dopo le 9,00, alcuni agenti del Secret Service irruppero nell'ufficio di Cheney e dissero: «Signore, deve venire con noi». Nel corso della stessa trasmissione, la Rice affermò: «Mentre cercavo di trovare tutte le più eminenti autorità, giunse il Secret Service e disse: “Lei deve andar via ora per recarsi al bunker. Il Vicepresidente è già lì. Forse c'è un aereo diretto alla Casa Bianca”». Charles Gibson della ABC a quel punto ha detto: «nel bunker il Vicepresidente viene raggiunto dalla Rice e dal Segretario dei trasporti Norman Mineta» (“9/11: Interviews by Peter Jennings,” ABC News, 11 settembre 2002).

Le affermazioni della Commissione sull'11/9 in merito all'arrivo in ritardo

La Commissione sull'11/9 ha concordato sul fatto che il Vicepresidente sia stato trascinato al PEOC dopo aver ricevuto una segnalazione sul fatto che un aereo era diretto verso la Casa Bianca. Ha tuttavia asserito che questa segnalazione non fu ricevuta fino alle 9,33. Ma anche allora, stando alla Commissione, gli agenti del Secret Service ricevettero immediatamente un altro messaggio, che diceva loro che l'aereo aveva cambiato direzione, pertanto «nessun passo fu fatto per evacuare il Vicepresidente in quel momento». Non fu che fino «ad appena prima delle 9,36» che il Secret Service intimò a Cheney di recarsi al bunker (9/11CR 39). Ma anche dopo essere entrato nel corridoio sotterraneo alle 9,37, Cheney non andò immediatamente al PEOC. Invece:

Una volta dentro, il Vicepresidente Cheney e gli agenti sostarono in un'area del tunnel che aveva un telefono di sicurezza, un banco e la TV. Il Vicepresidente chiese di parlare al Presidente, ma ci volle del tempo perché la chiamata venisse connessa. Apprese nel tunnel che il Pentagono era stato colpito, e vide i servizi televisivi sul fumo che proveniva dall'edificio (9/11CR 40).

Dopo, una volta che Lynne Cheney «raggiunse il marito nel tunnel», ha affermato la Commissione, «la signora Cheney e il Vicepresidente si spostarono dal tunnel alla sala conferenze del rifugio» dopo che la telefonata si concluse, non oltre le 9,55. Quanto alla Rice, aggiunse la Commissione, «entrò nella sala conferenze subito dopo il Vicepresidente» (9/11CR 40).

La contraddizione non potrebbe essere più evidente. Secondo la Commissione, Cheney, ben lontano dall'entrare al PEOC prima delle 9,20, come hanno detto Mineta e altri, non vi arrivò sino alle 9,58 circa, 20 minuti dopo l'impatto delle 9,38 sul Pentagono, da lui appreso nel corridoio.

Il racconto di Cheney alla trasmissione "Meet The Press"

Il racconto della Commissione sull'11/9 ha contraddetto perfino quello fatto da Cheney in persona in una celebre intervista. Nel parlare con Tim Russert alla trasmissione Meet The Press della NBC appena cinque giorni dopo l'11/9, Cheney disse: «Dopo che ho parlato con il presidente, sono sceso al Centro Operativo Presidenziale d'Emergenza... Quando vi arrivai in tempi brevi, mi giunse la notizia che il Pentagono era stato colpito.» Cheney stesso, pertanto, ha indicato di essere entrato al PEOC prima dell'impatto delle 9,38 al Pentagono, non 20 minuti dopo di esso, come invece avrebbe poi affermato più avanti la Commissione.

Trattare le contraddizioni

In che modo la Commissione sull'11/9 ha trattato il fatto che la sua affermazione circa il momento dell'arrivo di Cheney al PEOC è stata contraddetta da Bohrer, Clarke, Mineta, Rice, vari articoli sui media, e perfino dallo stesso Cheney? Semplicemente ha omesso qualsiasi citazione di questi ragguagli contraddittori.

Fra queste omissioni, il caso più importante è stato il fatto che la Commissione ha trascurato del tutto di citare la testimonianza di Norman Mineta, sebbene fosse stata resa alla Commissione in un'audizione pubblica, come si può leggere nella trascrizione di tale sessione (23 maggio 2003). Questa porzione della testimonianza di Mineta fu altresì cancellata dalla versione ufficiale della registrazione video delle audizioni della Commissione sull'11/9 nei suoi archivi (e tuttavia può essere vista in internet).

Durante un'intervista alla Canadian Broadcasting Corporation nel 2006, al vicepresidente della Commissione sull’11/9 Lee Hamilton fu chiesto dove fosse Cheney prima delle ore 10,00. «Non ricordo», fu la risposta di Hamilton (“9/11: Truth, Lies and Conspiracy: Interview: Lee Hamilton,” CBC News, 21 agosto 2006). Era abbastanza sorprendente che Hamilton non ricordasse, giacché era proprio lui a fare le domande quando Mineta raccontò la storia della conversazione del giovane con Cheney. Hamilton, inoltre, aveva iniziato la serie di domande dicendo a Mineta: «Lei era lì [al PEOC] per buona parte del giorno. Ritengo che lei fosse lì con il Vicepresidente». E lo scambio fra Mineta e l’altro membro della commissione Timothy Roemer, durante il quale fu stabilito che Mineta era arrivato alle 9,20 circa, venne immediatamente appresso all’interrogatorio condotto da Hamilton. E nondimeno Hamilton, non essendo capace di ricordare nulla di ciò, ha semplicemente detto: «riteniamo che il Vicepresidente Cheney sia entrato nel bunker poco prima delle dieci». Cancellando la problematica testimonianza di Mineta.

Per vedere i possibili motivi degli sforzi della Commissione sull’11/9 miranti a cassare il racconto di Mineta dalle registrazioni pubbliche, abbiamo bisogno di guardare alla conversazione da lui riportata alla Commissione. Mineta disse:

«Durante il periodo in cui l’aereo si stava dirigendo verso il Pentagono, c’era un giovane che giungeva e diceva al Vicepresidente: “l’aereo e a 50 miglia”, “l’aereo è a 30 miglia”; e quando arrivò a “l’aereo è a 10 miglia”, il giovane disse al Vicepresidente: “gli ordini sono ancora validi?” E il Vicepresidente si girò di scatto e disse, “Certo che gli ordini sono ancora validi. Hai forse sentito qualcosa che affermi il contrario?”».

Alle 10,02 gli addetti alle comunicazioni nel rifugio iniziarono a ricevere rapporti dal Secret Service su un aeroplano in arrivo… A un certo punto tra le 10,10 e le 10,15, un assistente militare disse al Vicepresidente e altri che l’aereo era a 80 miglia. Al Vicepresidente Cheney fu chiesta l’autorizzazione ad attaccare l’aereo… Il Vicepresidente autorizzo i caccia ad affrontare l’aereo… L’assistente militare ritornò pochi minuti dopo, probabilmente tra le 10,12 e le 10,18, e disse che l’aereo era a 60 miglia di distanza. Di nuovo chiese l’autorizzazione ad attaccare. Il Vicepresidente nuovamente disse di sì. (9/11CR 41)

La Commissione sull’11/9 in questo modo presentò il racconto dell’aereo in arrivo in modo che terminasse con un ordine di abbattimento, non di sospensione delle azioni. E nel fare in modo che il racconto si svolgesse dopo le 10,10, la Commissione non solo lo dissociò dall’impatto sul Pentagono ma scartò altresì la possibilità che l’autorizzazione di Cheney all’abbattimento potesse aver portato ad abbattere il Volo 93 della United Airlines (che precipitò, secondo la Commissione, alle 10,03).

Dato il fatto che il racconto della Commissione circa la discesa al bunker da parte di Cheney ha contraddetto la testimonianza non solo di Norman Mineta ma anche di molti altri testimoni, compreso lo stesso Cheney, il Congresso e la stampa hanno bisogno di avviare delle inchieste su cosa sia successo davvero.

Note sull’articolo:

Il presente articolo è una versione abbreviata dei capitoli 2 e 3 del seguente saggio: David Ray Griffin, Contradictions: An Open Letter to Congress and the Press, Northampton: Olive Branch, marzo 2008