21 luglio 2009

Il rapporto su «Piombo Fuso»: «A Gaza l’ordine era uccidere»

Le denunce raccolte in un rapporto di una ong israeliana per i diritti umani. I racconti di alcuni soldati: l’ordine era «se non sei sicuro, spara». La replica dei vertici di Tsahal: sono testimonianze «anonime e generiche».

Sparare senza preoccuparsi della sorte dei civili palestinesi: questa era la prassi seguita dall’esercito israeliano a Gaza durante l’operazione «piombo fuso», che dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio scorso ha provocato circa 1.300 morti, secondo le testimonianze di una trentina di soldati, che hanno partecipato alle operazioni di guerra, raccolte da «Breaking the silence», un’organizzazione composta da ex militari che si batte per il rispetto dei diritti umani. Il rapporto è composto da 112 pagine e raccoglie le testimonianze anche video di uomini «coinvolti nelle operazioni a ogni livello».
ROMPERE IL SILENZIO
Dalle testimonianze, raccolte dall’organizzazione non governativa israeliana (breakingthesilence.org.il) risulta chiaramente che era meglio colpire un innocente che attardarsi a individuare il nemico, perché la regola era «prima sparare e poi preoccuparsi». Un piano basato sull’imperativo di ridurre al minimo le perdite israeliane, avanzando sempre ad armi spianate. Secondo le testimonianze, l’ordine era: «Se non sei sicuro, spara». Il fuoco, racconta un soldato, «era dissennato, appena raggiunta la nostra nuova postazione cominciavamo a sparare contro tutti gli obiettivi sospetti». Perché, come dicevano i capi, «in guerra sono tutti tuoi nemici, non ci sono innocenti». Il rapporto della ong, finanziato da gruppi di attivisti per i diritti umani israeliani e dai governi di Spagna, Gran Bretagna, Olanda e dall’Ue, parla di «civili usati come scudi umani, costretti a entrare in siti sospetti davanti ai soldati che usavano la loro spalla per tenere il fucile puntato».
Secondo Mikhael Mankin, di Breaking the Silence, «le testimonianze provano che il modo immorale in cui la guerra è stata condotta era dovuto al sistema in vigore e non al comportamento individuale di soldati». «Si è dimostrato - continua - che le eccezioni in seno alle forze armate sono divenute la norma e ciò richiede una profonda riflessione e una seria discussione. Questo è un urgente appello alla società israeliana e alla sua dirigenza a guardare sobriamente alla follia delle nostre politiche». Nel dossier si ripetono, inoltre, le accuse sull’uso indiscriminato di armi al fosforo bianco nelle strade di Gaza da parte dell’Esercito dello Stato ebraico e si parla di «distruzioni totali non collegate a nessuna minaccia concreta per le forze israeliane», oltre che di «permissive» regole d’ingaggio. «Non siamo stati istruiti a sparare a ogni cosa che si muovesse - ha dichiarato un altro soldato - ma ci dicevano: «Se vi sentite minacciati sparate». Secondo uno dei testimoni citati dal rapporto, «l’obiettivo era terminare la missione con il minor numero possibile di perdite per l’Esercito senza chiedersi quale sarebbe stato il prezzo pagato dagli altri (i palestinesi ndr)». «Meglio colpire un innocente che esitare a sparare a un nemico», era l’ordine impartito dai vertici di Tsahal, secondo un’altra confessione pubblicata nel dossier di «Breaking the silence».
Barak: criticate me
In una minuziosa risposta alla denuncia, il portavoce militare israeliano, dopo aver ricordato che l’operazione Piombo Fuso fu lanciata in risposta a otto anni di tiri di razzi sulla popolazione civile nel sud di Israele, ha accusato l’ong di aver redatto un rapporto basato su «testimonianze anonime e generiche». L’ong, afferma il portavoce, «non ha avuto la decenza di presentare il rapporto alle forze armate e non ha permesso di investigare le testimonianze prima della sua pubblicazione pur continuando a diffamare le forze armate e i suoi ufficiali». Il portavoce militare sottolinea l’assenza «di ogni elemento atto a identificare gli autori delle testimonianze, il loro grado e la loro posizione al momento degli incidenti denunciati, l’unità di appartenenza, il modo in cui le testimonianze sono state raccolte e come la credibilità delle testimonianze sia stata verificata». «Le critiche rivolte alle forze di sicurezza israeliane da questo o quel gruppo sono inappropriate», taglia corto il ministro della Difesa Ehud Barak. «L’Idf (le forze di difesa israeliane, ndr) sono uno degli eserciti che meglio rispettano l’etica al mondo e agiscono nel rispetto di alti valori morali. Ogni critica alle operazioni delle forze di sicurezza - aggiunge Barak - dovrebbe essere rivolta a me, in quanto ministro della Difesa israeliano».

20 luglio 2009

L'Unto del signore

Dobbiamo a un giornalista, Ferruccio Pinotti (che, negli anni scorsi, ha già pubblicato inchieste importanti come Poteri forti - 2005 -,Opus Dei segreta - 2006 - Fratelli d'Italia - 2007 - e Olocausto bianco - 2008 -) di aver scritto, insieme con il giornalista tedesco Udo Gumpel, per Rizzoli, un libro intitolato L'unto del signore (pp.300,11 euro) che rappresenta uno dei lavori più informati e interessanti sulla carriera di Silvio Berlusconi, attuale presidente del Consiglio in Italia, e sui suoi rapporti, stretti e intensi, con il Vaticano, con il Papa e con le alte gerarchie della Chiesa cattolica. L'ho letto con particolare attenzione. Ora desidero parlarne nel mio blog e mi riprometto, se mi sarà possibile, parlarne nella stampa italiana, probabilmente in quella on-line che è sicuramente più libera di quella che appare nelle edicole, e di parlarne adeguatamente perché gli italiani sappiano

(almeno quelli che riusciremo a raggiungere) del pactum sceleris -direbbero i latini - che lega da molti anni il leader del Popolo della Libertà con l'istituzione ecclesiastica, non con i cattolici italiani, tanti dei quali sono oggi, e magari da tempo, all'opposizione del suo governo e, in ogni caso, non immaginano nemmeno natura e obbiettivi di quel patto di potere. Silvio Berlusconi, già durante gli anni universitari, frequenta la residenza universitaria Torrescalla, un collegio dell'Opus Dei, e qui incontra quello che diventerà il suo più stretto collaboratore, il dottor, oggi senatore, Marcello Dell'Utri. Il quale ha raccontato: "A presentarmi Silvio Berlusconi fu il direttore della residenza universitaria di Palermo. Segesta, Bruno Padula, oggi vicario della Pelatura dell'Opus Dei in Sicilia." E, anche se Berlusconi è vicino alla laurea mentre Marcello è una matricola, tra i due si sviluppa un'immediata simpatia e quindi un sodalizio destinato a durare tutta la vita (p.15-16).

La carriera imprenditoriale di Silvio, che Pinotti ripercorre analiticamente prima di parlare del patto con il Vaticano , è assai veloce. Grazie a un prestito concesso dalla Banca Rasini, di cui il padre Luigi è direttore, Berlusconi fonda con Pietro Canali, la Cantieri Riuniti Milanesi e costruisce quattro palazzine per gli immigrati in via Alciati alla periferia di Milano.

Quindi nel 1963 fonda la Edilnord Sas, di cui è socio di opera. I capitali li fornisce la Finanzierunggesellschaft fur Residenten Ag di Lugano. La società costruisce un complesso di quattromila appartamenti a Brugherio, vicino Milano. E offre a Marcello Dell'Utri un lavoro come segretario del presidente dal 1964 al 1965. Tre anni dopo, nel 1968, per costruire Milano 2, Berlusconi fonda un'altra società La Edilnord Centri Residenziali. I capitali vengono da un'altra società svizzera Aktiengesellshaft fur Immobilienlagen in Residezzentren AG, una società rappresentata come la svizzera precedente, da Renzo Rezzonico. Proprio, in quel periodo, Berlusconi inizia a frequentare il mondo cattolico che conta. Del resto la Banca Rasini è un terminale forte della finanza vaticana. Dai documenti presenti nelle inchieste giudiziarie che lo hanno riguardato, ma anche in quelle giornalistiche che ne hanno seguito il percorso, emerge con chiarezza che la Rasini non era solo la banca nella quale lavorava il padre di Silvio ma anche l'istituto che finanziò i suoi inizi imprenditoriali negli anni sessanta e con l'aiuto del quale nacque, nella seconda metà degli anni settanta, la complessa costruzione societaria delle holding che detenevano il controllo della Fininvest.

"Vale a dire - raccontano Pinotti e Gumpel - 23 Srl, fondate nel 1978, intestate per il 90 per cento a Nicla Crocitto, un'anziana casalinga abitante a Milano 2 e per il 10 per cento al marito Armando Minna, già sindaco della Banca Rasini. Alla fine dell'anno escono di scena i due coniugi e subentrano due fiduciarie, Saf e Parmasid. In poco tempo il capitale sociale della Fininvest è quasi interamente controllato da questo opaco sistema di scatole cinesi, dietro cui il nome di Silvio scompare. Tra il 1978 e il 1983 nelle holding fluisce un fiume di denaro di provenienza non sempre verificabile attraverso la documentazione bancaria. "Da verbali che provengono dagli atti del processo di primo grado contro Marcello Dell'Utri emerge: "Da tabulati rinvenuti presso gli archivi della Banca Rasini si è rilevato che le denominazioni sociali delle holding "dalla prima alla ventiduesima" venivano censite come "servizi di parruccheria ed istituti di bellezza". Inoltre si veniva a conoscenza che le holding non erano solamente ventidue ma "trentotto" come peraltro riscontrato nelle schede di censimento." A queste si aggiungono altre cinque società, denominate Hodfin, nonché una società denominata Holding Elite.

"Quasi tutte le holding - commentano gli autori - cessavano i propri rapporti di conto corrente con la Rasini pochi mesi dopo il blitz antimafia del 14 febbraio 1983." (p.21) La Banca Rasini alla metà degli anni cinquanta era composta, per quanto riguarda la composizione societaria, quasi esclusivamente da milanesi (tra cui Carlo e Gian Angelo Rasini) eccetto il siciliano Giuseppe Azzaretto. Successivamente, negli anni sessanta e settanta, cresce il ruolo dei soci siciliani, rappresentati anche dal figlio di Azzaretto, Dario. Giuseppe Azzaretto, nato nel 1909 a Misilmeri, piccola frazione nell'hinterland di Palermo, può contare nella sua carriera imprenditoriale di forti appoggi della Santa Sede. Appartiene - ricorda Pinotti - ai potenti Cavalieri dell'Ordine di Malta e ai Cavalieri del Santo Sepolcro che hanno visto tra i propri adepti personaggi come Licio Gelli e Umberto Ortolani. In effetti, appena acquistarono il controllo della Banca Rasini il presidente dell'Istituto divenne Carlo Nasali Rocca di Corneliano, Cavaliere di Malta e fratello del cardinale Mario Nasali Rocca.

La baronessa Maria Giuseppina Cordopatri, a lungo cliente privilegiata della Banca Rasini, in una lettera a Max Parisi del giornale "La Padania" scrive già nel 1998 che la Banca "formalmente era intestata alla famiglia Azzaretto ma nella realtà la Banca era controllata da Giulio Andreotti. Il commendator Giuseppe Azzaretto era all'epoca uomo di fiducia di Andreotti. Il punto saliente (...) che non è stato evidenziato è che quando la mafia siciliana si impossessa della Banca Rasini, la banca è già di Andreotti. Lasciai la Banca Rasini quando la lasciarono gli Azzaretto, cui subentrò, mi fu detto, una società svizzera." (p.23) Pinotti e Gumpel fanno seguire a questa importante testimonianza un lungo racconto sui particolari di quei rapporti e ricordano che, tra il 1983 e il 1984, la Banca entra nel controllo azionario dei Rovelli, una famiglia di imprenditori legata all'uomo politico siciliano e implicato nello scandalo Imi-Sir e concludono: "La Banca Rasini, dunque, sembra essere un vero e proprio feudo andreottiano e della finanza vaticana."(p.28)

Infine, tra il 1991 e il 1992, la Banca viene acquisita da un altro istituto noto: la Banca Popolare di Lodi che sarà protagonista, sotto la guida di Gianpiero Fiorani, di uno scandalo più recente di enormi proporzioni. A questo punto i due autori riportano parte di una testimonianza di Ezio Cartotto, l'ex dirigente democristiano che ha vissuto gli anni dell'esordio politico a fianco di Berlusconi. Nei vari incontri con Pinotti e Gumpel, Cartotto ha detto cose assai interessanti: "Ho sentito parlare dell'idea di Berlusconi di scendere in campo nel 1992, dopo le stragi, ma l'elaborazione era in effetti iniziata già prima. Personalmente ritenevo che la situazione italiana fosse destinata a cambiare radicalmente, tanto che nel 1991, prima delle stragi, ne avevo parlato con Arnaldo Forlani: già allora nell'aria c'era un'idea di rinnovamento." (p.113)

Continua Cartotto: "Con Dell'Utri ci siamo incontrati nel 1992, dopo la morte di Salvo Lima. Era un fatto grosso: chiunque abbia visto i funerali e la faccia di Andreotti in quell'occasione, aveva potuto rendersene conto. Era come se gli fosse caduto un masso addosso, era impetrito, una statua, distrutto. La classe politica era in fibrillazione. De Mita stava per dare mano libera ai suoi perché votassero Andreotti alla presidenza della repubblica, ma Falcone fu ucciso e allora Craxi stesso propose l'elezione di Scalfaro, dicendo: " E' stato mio ministro per cinque anni, è una persona per bene di cui ci si può fidare." Ma poi Scalfaro non chiama Craxi a formare il governo perché nel frattempo Bettino a Milano ha ricevuto un avviso di garanzia. Una sequenza di fatti che ha cambiato l'Italia." (p.114) Il progetto del partito di Berlusconi, insomma, nato tra il 1991 e il 1992, si concretizza nel 1993, in vista delle elezioni politiche del 1994. Secondo i magistrati di Palermo, Dell'Utri in quella fase - ricordano gli autori, è "il referente privilegiato di Cosa Nostra ancora prima della nascita della nuova formazione politica."(p.115). Secondo la lunga testimonianza di Cartotto, che non è stata mai smentita finora, Berlusconi tramite Gianni Letta, ex uomo e a lungo di Andreotti e il cardinale Bertone, segretario di Stato, è vicino all'attuale pontefice Joseph Ratzinger. Conta inoltre di rafforzare i rapporti con il Vaticano l'amicizia che il leader del Popolo della Libertà ha da molti anni con Comunione e Liberazione e la Compagnia delle Opere attraverso Roberto Formigoni che potrebbe essere alla fine il suo erede politico. Il libro di Pinotti e Gumpel, nella seconda parte, riporta a ragione una serie di testimonianze di uomini della Chiesa cattolica, da don Vinicio Albanesi a don Albino Bazzotto, al vaticanista Giancarlo Zizola che sono, non da oggi, critici sull'intesa tra il Vaticano e Berlusconi e ne mettono in luce con chiarezza i veri obbiettivi di potere e di scambio di denaro che li caratterizzano dall'inizio ma che non hanno la forza di mettere in crisi l'accordo di vertice che dura ormai da più di quindici anni.

Un principio fondamentale della nostra costituzione, come la laicità dello Stato e delle istituzioni pubbliche, è stato scambiato dalla classe politica di governo (e da parte della opposizione) per ottenere l'appoggio politico e culturale del papato e delle alte gerarchie cattoliche. Oggi non esiste più e lo si vede con una legislazione sulle coppie di fatto, sulla fecondazione assistita, sul testamento biologico che non è degna di un paese moderno e civile. Se, nel nostro paese, esistesse una grande stampa libera e ci fossero canali televisivi indipendenti, l'intesa sarebbe stata da tempo denunciata e analizzata a fondo e, probabilmente, sarebbe entrata in crisi. Ma, con l'attuale situazione dei mass media, gran parte degli italiani non sa ancora nulla dei corposi retroscena dell'accordo e delle sue effettive motivazioni e non è in grado di respingere la propaganda ossessiva che le due parti, il Vaticano, da una parte, e il governo Berlusconi, dall'altra, fanno per nascondere la verità e andare avanti come nel passato. Per riassumere i risultati della ricerca sul percorso di Berlusconi e la sua politica che dura ormai da quasi vent'anni nel nostro paese è necessario sottolineare due punti, di solito assenti o secondari nella letteratura storica esistente. In primo luogo l'aiuto della finanza vaticana e di uomini politici legati al Vaticano come Giulio Andreotti che sono stati dall'inizio importanti per l'ascesa economica e poi politica dell'attuale presidente del Consiglio e leader del centro-destra. I suoi rapporti con le associazioni mafiose, come quelli del Vaticano, rimontano agli anni sessanta e settanta. Marcello Dell'Utri è stato, con ogni probabilità, il tramite principale di questi rapporti.

19 luglio 2009

Il problema del denaro




L’attuale crisi economica sta portando alla ribalta i movimenti di riforma monetaria come l’End The Fed. Questi movimenti mettono in luce ciò che è sbagliato nel nostro sistema monetario di oggi, vale a dire il fatto che si tratta dello strumento con cui le persone vengono mantenute nella schiavitù del debito.

Purtroppo questi movimenti chiedono spesso un ritorno della copertura della cartamoneta con oro e argento. In altre parole, che dovremmo essere in grado di riscattare la nostra cartamoneta con oro e argento – anche se non vedo perché dovremmo farlo, l’oro e l’argento sono troppo pesanti da portare in giro. Secondo i sostenitori del “vero denaro”, la cartamoneta che non possa essere coperta da metalli preziosi non dovrebbe essere più in circolazione.

Ma il ritorno ad un gold o un silver standard non stabilizzerà la nostra economia. Il vero problema della nostra moneta non è la sua natura a corso forzoso. Di per sé, oro e argento sono monete a corso forzoso. Parecchio tempo fa diverse culture decisero che questi metalli avevano un valore e potevano essere utilizzate nelle transazioni commerciali. Le culture che non avevano accesso a questi metalli utilizzarono qualcos’altro: conchiglie, piume, rocce e così via per facilitare gli scambi. Il decreto di un qualche antico sovrano per utilizzare oro e argento come moneta equivale alla disposizione del governo degli Stati Uniti di utilizzare le banconote della Federal Reserve. Ma noi non consideriamo l’oro e l’argento come moneta a corso forzoso perché la decisione di utilizzarli come moneta è stata presi millenni orsono. Il valore dell’oro e dell’argento è un’accettazione di base, che fa parte della nostra “memoria razziale” e che non mettiamo in discussione. Ma non c’è nulla nell’ordine naturale delle cose che sancisca che questi metalli abbiano un valore. E’ solo un’antica opinione generale, che viene ancora accettata, che li considera così. Thomas Nast, grande vignettista politico americano del diciannovesimo secolo e sostenitore della “moneta pesante”, aveva ragione quando tratteggiò un disegno in cui si diceva che il Congresso potrebbe dichiarare che il sapone liquido sia una moneta. Per la verità, se anche nell’antica Grecia e a Roma avessero fatto un simile annuncio, mi chiedo con cosa ci laveremmo oggi.

Il problema immediato della nostra moneta non è la sua natura a corso forzoso. Il problema del denaro è l’interesse. Le antiche religioni proibivano l’interesse – l’Islam osserva ancora questo divieto – perché ritenevano il tempo come un dono di Dio. Ma l’opinione generale si sgretolò ed entrò in vigore l’interesse, come pagamento per il tempo in cui un prestatore sarebbe rimasto senza il suo denaro. L’interesse è ciò che ha trasformato ogni transazione commerciale in una transazione di debito. E inoltre ha bisogno che l’economia mondiale sia in uno stato di crescita permanente perché la crescita è necessaria per espandere l’offerta monetaria per ripagare il prestito PIU’ l’interesse. Se non ci fosse l’interesse e le persone che hanno un’eccedenza di denaro lo prestassero a coloro che ne hanno bisogno, sarebbe restituita semplicemente la somma presa a prestito e l’offerta monetaria non avrebbe bisogno di crescere solo per il fatto che ogni prestito può essere ripagato con l’interesse. Non è una cosa di cui non s’è mai sentito parlare, è qualcosa che si fa tra amici.

Come giustamente fanno notare gli oppositori della moneta a corso forzoso, l’aumento dell’offerta monetaria diminuisce il valore di ciascun dollaro in circolazione. Essi proporrebbero di limitare questi aumenti inflazionari dell’offerta monetaria legando la cartamoneta all’offerta limitata di oro e argento. Ma questo potrebbe far emergere il problema di un inutile contenimento della vera crescita a causa di un’offerta monetaria insufficiente. Voglio dire, affrontiamo il problema dell’inflazione alla radice abolendo l’interesse (un modo per eliminare l’interesse e fornire comunque degli incentivi alla circolazione della moneta è il nucleo del libro “Interest and Inflation Free Money: Creating an exchange medium that works for everybody and protects the earth” di Margrit Kennedy. E’ pubblicato da New Society Publishers).

La necessità di far sempre crescere l’economia per pagare l’interesse è diventata insostenibile. Nessun sistema cresce per sempre. La visione lineare dell’Universo non è naturale. La natura opera in cerchi e spirali, non in linea retta. La superiorità del genere umano secondo cui noi dominiamo la terra e la possiamo soggiogare è pura follia. Madre Natura va in battuta per ultima. E stiamo giocando sul suo terreno.

E la sua partita si basa sull’esaurimento delle risorse – non solo il petrolio ma anche altre risorse come l’acqua potabile – causato da una specie che crede che la crescita infinita su un pianeta finitosia possibile e desiderabile. L’interesse è il modo con cui questa specie mette in pratica questa convinzione.

Ecologia ed economia sono due termini che hanno la stessa origine. Dobbiamo tenerlo presente ogni volta che sentiamo i politici dire che non possiamo intraprendere determinate misure per proteggere l’ambiente perché danneggerebbero l’economia. Senza l’ambiente, non esiste alcuna economia. Per questa ragione dobiamo rinunciare alla convinzione della possibilità e del desiderio della crescita infinita. Dobbiamo anche rinunciare a chiedere un risarcimento ogni volta che viene utilizzato qualcosa di valore che è in nostro possesso tra cui, e soprattutto, il tempo (opponetevi alle battaglie del copyright sull’utilizzo di un prodotto digitale su diversi dispositivi con il modo con cui condividete liberamente il vostro tempo e le vostre risorse con la vostra cerchia di amici). Una volta che avremo rinunciato a questi vecchi modi di pensare, sarà ovvio eliminare l’interesse, che è basato su quei vecchi modi.

E cosa accadrà alle persone che hanno campato con il prestito ad interesse? Dico loro quello che s’è sentita dire ogni volta la classe operaia di fronte all’outsourcing: RIQUALIFICATEVI.

Naturalmente l’eliminazione dell’interesse è solamente un passo verso quello che dovrebbe essere l’obiettivo finale: l’eliminazione del denaro. Anche questo può essere raggiunto con un formidabile cambiamento di pensiero che porti ad una nuova opinione generale che non appoggi più i sistemi monetari. Ma per ora, una cosa alla volta.

Kellia Ramares, 53 anni, è una giornalista freelance di Oakland (California) che è stanca di vedere come la mancanza di denaro intralci le cose ben fatte. Può essere raggiunta all’indirizzo email kelliasworld@yahoo.com e può essere inoltre seguita su twitter twitter.com/kelliasworld e aggiunta come amica su facebook.com/kelliasworld. Il suo sito web, Kellia’s World, è http://kellia.ning.com/

21 luglio 2009

Il rapporto su «Piombo Fuso»: «A Gaza l’ordine era uccidere»

Le denunce raccolte in un rapporto di una ong israeliana per i diritti umani. I racconti di alcuni soldati: l’ordine era «se non sei sicuro, spara». La replica dei vertici di Tsahal: sono testimonianze «anonime e generiche».

Sparare senza preoccuparsi della sorte dei civili palestinesi: questa era la prassi seguita dall’esercito israeliano a Gaza durante l’operazione «piombo fuso», che dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio scorso ha provocato circa 1.300 morti, secondo le testimonianze di una trentina di soldati, che hanno partecipato alle operazioni di guerra, raccolte da «Breaking the silence», un’organizzazione composta da ex militari che si batte per il rispetto dei diritti umani. Il rapporto è composto da 112 pagine e raccoglie le testimonianze anche video di uomini «coinvolti nelle operazioni a ogni livello».
ROMPERE IL SILENZIO
Dalle testimonianze, raccolte dall’organizzazione non governativa israeliana (breakingthesilence.org.il) risulta chiaramente che era meglio colpire un innocente che attardarsi a individuare il nemico, perché la regola era «prima sparare e poi preoccuparsi». Un piano basato sull’imperativo di ridurre al minimo le perdite israeliane, avanzando sempre ad armi spianate. Secondo le testimonianze, l’ordine era: «Se non sei sicuro, spara». Il fuoco, racconta un soldato, «era dissennato, appena raggiunta la nostra nuova postazione cominciavamo a sparare contro tutti gli obiettivi sospetti». Perché, come dicevano i capi, «in guerra sono tutti tuoi nemici, non ci sono innocenti». Il rapporto della ong, finanziato da gruppi di attivisti per i diritti umani israeliani e dai governi di Spagna, Gran Bretagna, Olanda e dall’Ue, parla di «civili usati come scudi umani, costretti a entrare in siti sospetti davanti ai soldati che usavano la loro spalla per tenere il fucile puntato».
Secondo Mikhael Mankin, di Breaking the Silence, «le testimonianze provano che il modo immorale in cui la guerra è stata condotta era dovuto al sistema in vigore e non al comportamento individuale di soldati». «Si è dimostrato - continua - che le eccezioni in seno alle forze armate sono divenute la norma e ciò richiede una profonda riflessione e una seria discussione. Questo è un urgente appello alla società israeliana e alla sua dirigenza a guardare sobriamente alla follia delle nostre politiche». Nel dossier si ripetono, inoltre, le accuse sull’uso indiscriminato di armi al fosforo bianco nelle strade di Gaza da parte dell’Esercito dello Stato ebraico e si parla di «distruzioni totali non collegate a nessuna minaccia concreta per le forze israeliane», oltre che di «permissive» regole d’ingaggio. «Non siamo stati istruiti a sparare a ogni cosa che si muovesse - ha dichiarato un altro soldato - ma ci dicevano: «Se vi sentite minacciati sparate». Secondo uno dei testimoni citati dal rapporto, «l’obiettivo era terminare la missione con il minor numero possibile di perdite per l’Esercito senza chiedersi quale sarebbe stato il prezzo pagato dagli altri (i palestinesi ndr)». «Meglio colpire un innocente che esitare a sparare a un nemico», era l’ordine impartito dai vertici di Tsahal, secondo un’altra confessione pubblicata nel dossier di «Breaking the silence».
Barak: criticate me
In una minuziosa risposta alla denuncia, il portavoce militare israeliano, dopo aver ricordato che l’operazione Piombo Fuso fu lanciata in risposta a otto anni di tiri di razzi sulla popolazione civile nel sud di Israele, ha accusato l’ong di aver redatto un rapporto basato su «testimonianze anonime e generiche». L’ong, afferma il portavoce, «non ha avuto la decenza di presentare il rapporto alle forze armate e non ha permesso di investigare le testimonianze prima della sua pubblicazione pur continuando a diffamare le forze armate e i suoi ufficiali». Il portavoce militare sottolinea l’assenza «di ogni elemento atto a identificare gli autori delle testimonianze, il loro grado e la loro posizione al momento degli incidenti denunciati, l’unità di appartenenza, il modo in cui le testimonianze sono state raccolte e come la credibilità delle testimonianze sia stata verificata». «Le critiche rivolte alle forze di sicurezza israeliane da questo o quel gruppo sono inappropriate», taglia corto il ministro della Difesa Ehud Barak. «L’Idf (le forze di difesa israeliane, ndr) sono uno degli eserciti che meglio rispettano l’etica al mondo e agiscono nel rispetto di alti valori morali. Ogni critica alle operazioni delle forze di sicurezza - aggiunge Barak - dovrebbe essere rivolta a me, in quanto ministro della Difesa israeliano».

20 luglio 2009

L'Unto del signore

Dobbiamo a un giornalista, Ferruccio Pinotti (che, negli anni scorsi, ha già pubblicato inchieste importanti come Poteri forti - 2005 -,Opus Dei segreta - 2006 - Fratelli d'Italia - 2007 - e Olocausto bianco - 2008 -) di aver scritto, insieme con il giornalista tedesco Udo Gumpel, per Rizzoli, un libro intitolato L'unto del signore (pp.300,11 euro) che rappresenta uno dei lavori più informati e interessanti sulla carriera di Silvio Berlusconi, attuale presidente del Consiglio in Italia, e sui suoi rapporti, stretti e intensi, con il Vaticano, con il Papa e con le alte gerarchie della Chiesa cattolica. L'ho letto con particolare attenzione. Ora desidero parlarne nel mio blog e mi riprometto, se mi sarà possibile, parlarne nella stampa italiana, probabilmente in quella on-line che è sicuramente più libera di quella che appare nelle edicole, e di parlarne adeguatamente perché gli italiani sappiano

(almeno quelli che riusciremo a raggiungere) del pactum sceleris -direbbero i latini - che lega da molti anni il leader del Popolo della Libertà con l'istituzione ecclesiastica, non con i cattolici italiani, tanti dei quali sono oggi, e magari da tempo, all'opposizione del suo governo e, in ogni caso, non immaginano nemmeno natura e obbiettivi di quel patto di potere. Silvio Berlusconi, già durante gli anni universitari, frequenta la residenza universitaria Torrescalla, un collegio dell'Opus Dei, e qui incontra quello che diventerà il suo più stretto collaboratore, il dottor, oggi senatore, Marcello Dell'Utri. Il quale ha raccontato: "A presentarmi Silvio Berlusconi fu il direttore della residenza universitaria di Palermo. Segesta, Bruno Padula, oggi vicario della Pelatura dell'Opus Dei in Sicilia." E, anche se Berlusconi è vicino alla laurea mentre Marcello è una matricola, tra i due si sviluppa un'immediata simpatia e quindi un sodalizio destinato a durare tutta la vita (p.15-16).

La carriera imprenditoriale di Silvio, che Pinotti ripercorre analiticamente prima di parlare del patto con il Vaticano , è assai veloce. Grazie a un prestito concesso dalla Banca Rasini, di cui il padre Luigi è direttore, Berlusconi fonda con Pietro Canali, la Cantieri Riuniti Milanesi e costruisce quattro palazzine per gli immigrati in via Alciati alla periferia di Milano.

Quindi nel 1963 fonda la Edilnord Sas, di cui è socio di opera. I capitali li fornisce la Finanzierunggesellschaft fur Residenten Ag di Lugano. La società costruisce un complesso di quattromila appartamenti a Brugherio, vicino Milano. E offre a Marcello Dell'Utri un lavoro come segretario del presidente dal 1964 al 1965. Tre anni dopo, nel 1968, per costruire Milano 2, Berlusconi fonda un'altra società La Edilnord Centri Residenziali. I capitali vengono da un'altra società svizzera Aktiengesellshaft fur Immobilienlagen in Residezzentren AG, una società rappresentata come la svizzera precedente, da Renzo Rezzonico. Proprio, in quel periodo, Berlusconi inizia a frequentare il mondo cattolico che conta. Del resto la Banca Rasini è un terminale forte della finanza vaticana. Dai documenti presenti nelle inchieste giudiziarie che lo hanno riguardato, ma anche in quelle giornalistiche che ne hanno seguito il percorso, emerge con chiarezza che la Rasini non era solo la banca nella quale lavorava il padre di Silvio ma anche l'istituto che finanziò i suoi inizi imprenditoriali negli anni sessanta e con l'aiuto del quale nacque, nella seconda metà degli anni settanta, la complessa costruzione societaria delle holding che detenevano il controllo della Fininvest.

"Vale a dire - raccontano Pinotti e Gumpel - 23 Srl, fondate nel 1978, intestate per il 90 per cento a Nicla Crocitto, un'anziana casalinga abitante a Milano 2 e per il 10 per cento al marito Armando Minna, già sindaco della Banca Rasini. Alla fine dell'anno escono di scena i due coniugi e subentrano due fiduciarie, Saf e Parmasid. In poco tempo il capitale sociale della Fininvest è quasi interamente controllato da questo opaco sistema di scatole cinesi, dietro cui il nome di Silvio scompare. Tra il 1978 e il 1983 nelle holding fluisce un fiume di denaro di provenienza non sempre verificabile attraverso la documentazione bancaria. "Da verbali che provengono dagli atti del processo di primo grado contro Marcello Dell'Utri emerge: "Da tabulati rinvenuti presso gli archivi della Banca Rasini si è rilevato che le denominazioni sociali delle holding "dalla prima alla ventiduesima" venivano censite come "servizi di parruccheria ed istituti di bellezza". Inoltre si veniva a conoscenza che le holding non erano solamente ventidue ma "trentotto" come peraltro riscontrato nelle schede di censimento." A queste si aggiungono altre cinque società, denominate Hodfin, nonché una società denominata Holding Elite.

"Quasi tutte le holding - commentano gli autori - cessavano i propri rapporti di conto corrente con la Rasini pochi mesi dopo il blitz antimafia del 14 febbraio 1983." (p.21) La Banca Rasini alla metà degli anni cinquanta era composta, per quanto riguarda la composizione societaria, quasi esclusivamente da milanesi (tra cui Carlo e Gian Angelo Rasini) eccetto il siciliano Giuseppe Azzaretto. Successivamente, negli anni sessanta e settanta, cresce il ruolo dei soci siciliani, rappresentati anche dal figlio di Azzaretto, Dario. Giuseppe Azzaretto, nato nel 1909 a Misilmeri, piccola frazione nell'hinterland di Palermo, può contare nella sua carriera imprenditoriale di forti appoggi della Santa Sede. Appartiene - ricorda Pinotti - ai potenti Cavalieri dell'Ordine di Malta e ai Cavalieri del Santo Sepolcro che hanno visto tra i propri adepti personaggi come Licio Gelli e Umberto Ortolani. In effetti, appena acquistarono il controllo della Banca Rasini il presidente dell'Istituto divenne Carlo Nasali Rocca di Corneliano, Cavaliere di Malta e fratello del cardinale Mario Nasali Rocca.

La baronessa Maria Giuseppina Cordopatri, a lungo cliente privilegiata della Banca Rasini, in una lettera a Max Parisi del giornale "La Padania" scrive già nel 1998 che la Banca "formalmente era intestata alla famiglia Azzaretto ma nella realtà la Banca era controllata da Giulio Andreotti. Il commendator Giuseppe Azzaretto era all'epoca uomo di fiducia di Andreotti. Il punto saliente (...) che non è stato evidenziato è che quando la mafia siciliana si impossessa della Banca Rasini, la banca è già di Andreotti. Lasciai la Banca Rasini quando la lasciarono gli Azzaretto, cui subentrò, mi fu detto, una società svizzera." (p.23) Pinotti e Gumpel fanno seguire a questa importante testimonianza un lungo racconto sui particolari di quei rapporti e ricordano che, tra il 1983 e il 1984, la Banca entra nel controllo azionario dei Rovelli, una famiglia di imprenditori legata all'uomo politico siciliano e implicato nello scandalo Imi-Sir e concludono: "La Banca Rasini, dunque, sembra essere un vero e proprio feudo andreottiano e della finanza vaticana."(p.28)

Infine, tra il 1991 e il 1992, la Banca viene acquisita da un altro istituto noto: la Banca Popolare di Lodi che sarà protagonista, sotto la guida di Gianpiero Fiorani, di uno scandalo più recente di enormi proporzioni. A questo punto i due autori riportano parte di una testimonianza di Ezio Cartotto, l'ex dirigente democristiano che ha vissuto gli anni dell'esordio politico a fianco di Berlusconi. Nei vari incontri con Pinotti e Gumpel, Cartotto ha detto cose assai interessanti: "Ho sentito parlare dell'idea di Berlusconi di scendere in campo nel 1992, dopo le stragi, ma l'elaborazione era in effetti iniziata già prima. Personalmente ritenevo che la situazione italiana fosse destinata a cambiare radicalmente, tanto che nel 1991, prima delle stragi, ne avevo parlato con Arnaldo Forlani: già allora nell'aria c'era un'idea di rinnovamento." (p.113)

Continua Cartotto: "Con Dell'Utri ci siamo incontrati nel 1992, dopo la morte di Salvo Lima. Era un fatto grosso: chiunque abbia visto i funerali e la faccia di Andreotti in quell'occasione, aveva potuto rendersene conto. Era come se gli fosse caduto un masso addosso, era impetrito, una statua, distrutto. La classe politica era in fibrillazione. De Mita stava per dare mano libera ai suoi perché votassero Andreotti alla presidenza della repubblica, ma Falcone fu ucciso e allora Craxi stesso propose l'elezione di Scalfaro, dicendo: " E' stato mio ministro per cinque anni, è una persona per bene di cui ci si può fidare." Ma poi Scalfaro non chiama Craxi a formare il governo perché nel frattempo Bettino a Milano ha ricevuto un avviso di garanzia. Una sequenza di fatti che ha cambiato l'Italia." (p.114) Il progetto del partito di Berlusconi, insomma, nato tra il 1991 e il 1992, si concretizza nel 1993, in vista delle elezioni politiche del 1994. Secondo i magistrati di Palermo, Dell'Utri in quella fase - ricordano gli autori, è "il referente privilegiato di Cosa Nostra ancora prima della nascita della nuova formazione politica."(p.115). Secondo la lunga testimonianza di Cartotto, che non è stata mai smentita finora, Berlusconi tramite Gianni Letta, ex uomo e a lungo di Andreotti e il cardinale Bertone, segretario di Stato, è vicino all'attuale pontefice Joseph Ratzinger. Conta inoltre di rafforzare i rapporti con il Vaticano l'amicizia che il leader del Popolo della Libertà ha da molti anni con Comunione e Liberazione e la Compagnia delle Opere attraverso Roberto Formigoni che potrebbe essere alla fine il suo erede politico. Il libro di Pinotti e Gumpel, nella seconda parte, riporta a ragione una serie di testimonianze di uomini della Chiesa cattolica, da don Vinicio Albanesi a don Albino Bazzotto, al vaticanista Giancarlo Zizola che sono, non da oggi, critici sull'intesa tra il Vaticano e Berlusconi e ne mettono in luce con chiarezza i veri obbiettivi di potere e di scambio di denaro che li caratterizzano dall'inizio ma che non hanno la forza di mettere in crisi l'accordo di vertice che dura ormai da più di quindici anni.

Un principio fondamentale della nostra costituzione, come la laicità dello Stato e delle istituzioni pubbliche, è stato scambiato dalla classe politica di governo (e da parte della opposizione) per ottenere l'appoggio politico e culturale del papato e delle alte gerarchie cattoliche. Oggi non esiste più e lo si vede con una legislazione sulle coppie di fatto, sulla fecondazione assistita, sul testamento biologico che non è degna di un paese moderno e civile. Se, nel nostro paese, esistesse una grande stampa libera e ci fossero canali televisivi indipendenti, l'intesa sarebbe stata da tempo denunciata e analizzata a fondo e, probabilmente, sarebbe entrata in crisi. Ma, con l'attuale situazione dei mass media, gran parte degli italiani non sa ancora nulla dei corposi retroscena dell'accordo e delle sue effettive motivazioni e non è in grado di respingere la propaganda ossessiva che le due parti, il Vaticano, da una parte, e il governo Berlusconi, dall'altra, fanno per nascondere la verità e andare avanti come nel passato. Per riassumere i risultati della ricerca sul percorso di Berlusconi e la sua politica che dura ormai da quasi vent'anni nel nostro paese è necessario sottolineare due punti, di solito assenti o secondari nella letteratura storica esistente. In primo luogo l'aiuto della finanza vaticana e di uomini politici legati al Vaticano come Giulio Andreotti che sono stati dall'inizio importanti per l'ascesa economica e poi politica dell'attuale presidente del Consiglio e leader del centro-destra. I suoi rapporti con le associazioni mafiose, come quelli del Vaticano, rimontano agli anni sessanta e settanta. Marcello Dell'Utri è stato, con ogni probabilità, il tramite principale di questi rapporti.

19 luglio 2009

Il problema del denaro




L’attuale crisi economica sta portando alla ribalta i movimenti di riforma monetaria come l’End The Fed. Questi movimenti mettono in luce ciò che è sbagliato nel nostro sistema monetario di oggi, vale a dire il fatto che si tratta dello strumento con cui le persone vengono mantenute nella schiavitù del debito.

Purtroppo questi movimenti chiedono spesso un ritorno della copertura della cartamoneta con oro e argento. In altre parole, che dovremmo essere in grado di riscattare la nostra cartamoneta con oro e argento – anche se non vedo perché dovremmo farlo, l’oro e l’argento sono troppo pesanti da portare in giro. Secondo i sostenitori del “vero denaro”, la cartamoneta che non possa essere coperta da metalli preziosi non dovrebbe essere più in circolazione.

Ma il ritorno ad un gold o un silver standard non stabilizzerà la nostra economia. Il vero problema della nostra moneta non è la sua natura a corso forzoso. Di per sé, oro e argento sono monete a corso forzoso. Parecchio tempo fa diverse culture decisero che questi metalli avevano un valore e potevano essere utilizzate nelle transazioni commerciali. Le culture che non avevano accesso a questi metalli utilizzarono qualcos’altro: conchiglie, piume, rocce e così via per facilitare gli scambi. Il decreto di un qualche antico sovrano per utilizzare oro e argento come moneta equivale alla disposizione del governo degli Stati Uniti di utilizzare le banconote della Federal Reserve. Ma noi non consideriamo l’oro e l’argento come moneta a corso forzoso perché la decisione di utilizzarli come moneta è stata presi millenni orsono. Il valore dell’oro e dell’argento è un’accettazione di base, che fa parte della nostra “memoria razziale” e che non mettiamo in discussione. Ma non c’è nulla nell’ordine naturale delle cose che sancisca che questi metalli abbiano un valore. E’ solo un’antica opinione generale, che viene ancora accettata, che li considera così. Thomas Nast, grande vignettista politico americano del diciannovesimo secolo e sostenitore della “moneta pesante”, aveva ragione quando tratteggiò un disegno in cui si diceva che il Congresso potrebbe dichiarare che il sapone liquido sia una moneta. Per la verità, se anche nell’antica Grecia e a Roma avessero fatto un simile annuncio, mi chiedo con cosa ci laveremmo oggi.

Il problema immediato della nostra moneta non è la sua natura a corso forzoso. Il problema del denaro è l’interesse. Le antiche religioni proibivano l’interesse – l’Islam osserva ancora questo divieto – perché ritenevano il tempo come un dono di Dio. Ma l’opinione generale si sgretolò ed entrò in vigore l’interesse, come pagamento per il tempo in cui un prestatore sarebbe rimasto senza il suo denaro. L’interesse è ciò che ha trasformato ogni transazione commerciale in una transazione di debito. E inoltre ha bisogno che l’economia mondiale sia in uno stato di crescita permanente perché la crescita è necessaria per espandere l’offerta monetaria per ripagare il prestito PIU’ l’interesse. Se non ci fosse l’interesse e le persone che hanno un’eccedenza di denaro lo prestassero a coloro che ne hanno bisogno, sarebbe restituita semplicemente la somma presa a prestito e l’offerta monetaria non avrebbe bisogno di crescere solo per il fatto che ogni prestito può essere ripagato con l’interesse. Non è una cosa di cui non s’è mai sentito parlare, è qualcosa che si fa tra amici.

Come giustamente fanno notare gli oppositori della moneta a corso forzoso, l’aumento dell’offerta monetaria diminuisce il valore di ciascun dollaro in circolazione. Essi proporrebbero di limitare questi aumenti inflazionari dell’offerta monetaria legando la cartamoneta all’offerta limitata di oro e argento. Ma questo potrebbe far emergere il problema di un inutile contenimento della vera crescita a causa di un’offerta monetaria insufficiente. Voglio dire, affrontiamo il problema dell’inflazione alla radice abolendo l’interesse (un modo per eliminare l’interesse e fornire comunque degli incentivi alla circolazione della moneta è il nucleo del libro “Interest and Inflation Free Money: Creating an exchange medium that works for everybody and protects the earth” di Margrit Kennedy. E’ pubblicato da New Society Publishers).

La necessità di far sempre crescere l’economia per pagare l’interesse è diventata insostenibile. Nessun sistema cresce per sempre. La visione lineare dell’Universo non è naturale. La natura opera in cerchi e spirali, non in linea retta. La superiorità del genere umano secondo cui noi dominiamo la terra e la possiamo soggiogare è pura follia. Madre Natura va in battuta per ultima. E stiamo giocando sul suo terreno.

E la sua partita si basa sull’esaurimento delle risorse – non solo il petrolio ma anche altre risorse come l’acqua potabile – causato da una specie che crede che la crescita infinita su un pianeta finitosia possibile e desiderabile. L’interesse è il modo con cui questa specie mette in pratica questa convinzione.

Ecologia ed economia sono due termini che hanno la stessa origine. Dobbiamo tenerlo presente ogni volta che sentiamo i politici dire che non possiamo intraprendere determinate misure per proteggere l’ambiente perché danneggerebbero l’economia. Senza l’ambiente, non esiste alcuna economia. Per questa ragione dobiamo rinunciare alla convinzione della possibilità e del desiderio della crescita infinita. Dobbiamo anche rinunciare a chiedere un risarcimento ogni volta che viene utilizzato qualcosa di valore che è in nostro possesso tra cui, e soprattutto, il tempo (opponetevi alle battaglie del copyright sull’utilizzo di un prodotto digitale su diversi dispositivi con il modo con cui condividete liberamente il vostro tempo e le vostre risorse con la vostra cerchia di amici). Una volta che avremo rinunciato a questi vecchi modi di pensare, sarà ovvio eliminare l’interesse, che è basato su quei vecchi modi.

E cosa accadrà alle persone che hanno campato con il prestito ad interesse? Dico loro quello che s’è sentita dire ogni volta la classe operaia di fronte all’outsourcing: RIQUALIFICATEVI.

Naturalmente l’eliminazione dell’interesse è solamente un passo verso quello che dovrebbe essere l’obiettivo finale: l’eliminazione del denaro. Anche questo può essere raggiunto con un formidabile cambiamento di pensiero che porti ad una nuova opinione generale che non appoggi più i sistemi monetari. Ma per ora, una cosa alla volta.

Kellia Ramares, 53 anni, è una giornalista freelance di Oakland (California) che è stanca di vedere come la mancanza di denaro intralci le cose ben fatte. Può essere raggiunta all’indirizzo email kelliasworld@yahoo.com e può essere inoltre seguita su twitter twitter.com/kelliasworld e aggiunta come amica su facebook.com/kelliasworld. Il suo sito web, Kellia’s World, è http://kellia.ning.com/