16 agosto 2009

L'oro di Bankitalia

Uno scontro trasversale fra i vari poteri. Un mulinare di scimitarre, forche e badili contro il potere finanziario protetto dai servizi segreti, e forze dell'ordine. Se non riusciamo a leggere fra le righe il messaggio di Tremonti, andremo a giocare a mosca cieca.



Non sono stato e non sarò mai tenero con il Governo Berlusconi né con quell'accolita di incompetenti e vanagloriosi che sono la maggior parte dei suoi Ministri, che rispecchiano, generalmente in peggio, le migliori qualità del capo. Devo però dire che Tremonti è proprio un'eccezione. La sua ostinazione nel volere la norma sulla tassazione delle riserve auree di Bankitalia è encomiabile: non tanto per gli effetti economici che sono trascurabili (al massimo 300 milioni di euro che, nel disastro della finanza pubblica sono una goccia nel mare), quanto per i riflessi politici dell'iniziativa. Se ne intravedono gli scenari nei commenti di oggi, che danno un'idea degli effettivi schieramenti politici nel nostro paese.


Non è una novità che i rapporti di Tremonti con Bankitalia e i suoi vertici sono conflittuali da sempre. Appare sempre più chiaro che dietro gli attacchi alla cosiddetta autonomia di Bankitalia e delle istituzioni finanziarie ci sia la volontà politica di ricondurre la politica monetaria in un ambito pubblico. E d'altra parte, visti gli esiti disastrosi della gestione privata della finanza, che ci ha regalato questa meravigliosa crisi, che qualcosa debba cambiare lo dicono tutti ma effettivamente lo vogliono pochi, e tra questi pochi, Tremonti è certamente in prima linea.

Qualche anno fa, nella tarda primavera del 2005 scoppiava il conflitto tra il Ministro dell'Economia e Bankitalia allora condotta dal sempiterno Fazio, poi declassato a furbetto del quartierino dalle inchieste giudiziarie sui suoi legami con Fiorani. Tremonti fu redarguito dallo schieramento politico pro Bankitalia, allora composto dal trio "effe", rigorosamente trasversale, Fassino, Follini e Fini, che ne pretesero l'allontanamento dal Ministero. Tremonti si è seduto sulla riva del fiume per aspettare la caduta di Fazio e di Berlusconi, giunte in rapida successione poco tempo dopo. Così, con il nuovo governo Berlusconi, Tremonti è stato chiamato a furor di popolo (leghista, ma anche trasversale), contro il partito di Bankitalia, che zittito dalle disgrazie del sistema finanziario nostrano e internazionale, ha dovuto mandare giù l'amaro boccone, anche se non perde occasione per denigrare, mettre in ridicolo, attaccare, insinuare e sbeffeggiare il suo nemico.

Non dimentichiamoci che la vera battaglia politica non è tra una destra e una sinistra anacronistiche e svuotate di ogni contenuto reale, ma tra il potere finanziario e chi vuole restituire dignità alla politica.

La guerra è quindi apertissima e lo scontro durissimo. Da una parte i sostenitori del potere finanziario, dall'altra i suoi avversari. Nell'editoriale di oggi su Repubblica, Massimo Giannini, voce autorevole del quotidiano e dell'intellighenzia pro finanza, viene chiamato a dare il suo contributo alla battaglia contro il Ministro ammazza banche. E lo fa con questo articolo, fastidioso per le insinuazioni denigratorie, ma illuminante per la comprensione del campo di battaglia e degli schieramenti. In altri termini, Giannini e i finanzieri temono che Tremonti voglia porsi alla testa di un movimento politico tra i governi europei volto a ridimensionare i poteri della BCE. Su questo fronte potrebbe coinvolgere - dice Giannini - Sarkozy, forse Zapatero e qualche altro governante dell'Europa centro orientale. Non la Merkel che ci ha già provato e, con malcelata soddisfazione dello stesso Giannini, fu bocciata dalla Bundesbank (ma credo che Giannini si illuda sul fatto che i tedeschi si defilino se si tratta di battagliare sulla sovranità monetaria).

L'articolo è commovente e ridicolo per l'impegno che Giannini profonde per difendere le prerogative della BCE.

Commovente quando ascrive tali prerogative nel'ambito di una grundnorm, del diritto costituzionale europeo, che ricordo ai non giuristi, è il concetto elaborato da Kelsen per indicare la norma fondante l'intera costruzione di un ordinamento giuridico. In altre parole, secondo Giannini, il potere finanziario è quello sul quale regge l'intera Costituzione della Comunità europea!

A me sembrava che si trattasse di una costruzione politica, e non della delega ai burocrati oligarchi di Palazzo Koch o di Francoforte di taglieggiare i popoli europei senza alcun controllo popolare. Qualcuno di voi ha mai sentito parlare di elezioni di dirigenti, Governatori, funzionari di queste istituzioni che operano in concreto sulla nostra pelle ed esercitano un poter di gran lunga maggiore di quello politico? Non sarebbe ora di vederci chiaro e di capire come è stato possibile arrivare a questo punto?

Divertente quando scrive testualmente, senza rendersi conto di coprirsi di ridicolo, questa frase che si commenta da sola: [Tremonti] da un lato dice "quell'oro è del popolo, non di Via Nazionale" (e qui, per inciso, si potrebbe chiosare: se è del popolo, e lo vuoi colpire con una nuova imposta, stai facendo pagare più tasse agli italiani, contraddicendo uno dei dogmi della tua ideologia politico-economica). Davvero meraviglioso!

Questo è quindi il punto nodale: dopo gli esiti disastrosi delle politiche monetarie imposte dalle Banche Centrali la politica, forse, si rimette a discutere l'indipendenza oligarchica dello strapotere della BCE, e la norma silente voluta da Tremonti è una specie di cavallo di Troia, pronto ad entrare in azione nel momento della battaglia. Non a caso, il fuoco di sbarramento dello schieramento pro Bankitalia è iniziato subito: a parte Giannini, hanno stigmatizzato la norma il Folliniano Tabacci , il Vicepresidente dei Senatori PD Zanda , mentre Fassino e Fini per ora tacciono.

Certo, sentire un Ministro delle Finanze che dice che l'oro di Bankitalia appartiene al popolo italiano, fa un certo effetto. Eh già, la battaglia sarà dura e promette scintille....

di Domenico De Simone

15 agosto 2009

Chi erano i Nephilim? I Giganti?


In Genesi 6:1-4 si legge: "Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla faccia della terra e furono loro nate delle figlie, avvenne che i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e presero per mogli quelle che si scelsero fra tutte. Il Signore disse: ‘Lo Spirito mio non contenderà per sempre con l’uomo poiché, nel suo traviamento, egli non è che carne; i suoi giorni dureranno quindi centoventi anni. In quel tempo c’erano sulla terra i giganti (nephilim) e ci furono anche in seguito, quando i figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini ed ebbero da loro dei figli. Questi sono gli uomini potenti che, fin dai tempi antichi, sono stati famosi".

Prima di cercare di rispondere alla domanda su chi possano essere stati i figli di Dio, mi pare doveroso sottolineare la straordinarietà di questi versetti. Si ha, infatti, l'impressione che il passo sopra riportato sia un frammento di una più ampia tradizione salvatasi ad un naufragio di antichi testi. Il sapore "sumerico" del passo, l'arcaico e mitico riferimento ai giganti inducono a supporre che, nel palinsesto di Genesi, sia rimasto questo lacerto che può essere confrontato con i retaggi, peculiari di altre culture, su creature titaniche.

Sono state ventilate parecchie supposizioni su chi fossero i figli di Dio e perché i figli che essi ebbero con le figlie degli uomini diedero vita a una razza di giganti. Non prenderò in esame i presunti riferimenti neo-testamentari ai "figli di Dio" poiché, a mio parere, appartengono ad un altro Zeitgeist, ad una forma mentis di autori che erano inclini a reinterpretare brani della Torah con fini catechistici legati ad esigenze contingenti. Vorrei anche restare nell'ambito di un discorso paleontologico e storico, senza sconfinare nella teologia.[1]

Vediamo quindi quali sono le principali ipotesi di identificazione.

- I figli di Dio furono i discendenti del probo Seth che si unirono con i rampolli del malvagio Caino.

- I figli di Dio furono esseri di notevole statura creati, per mezzo di manipolazioni genetiche, da un popolo extraterrestre individuato da Sitchin e da Alford nei progenitori dei Sumeri. Secondo Alford, i Nephilim erano sterili.[2]

- I figli di Dio furono Atlantidei.

- I figli di Dio furono discendenti di uomini della specie Homo sapiens e di donne appartenenti alla specie Homo Neanderthalensis. Questa tesi sostenuta da Adriano Forgione e da altri e che troverebbe conferme nelle indagini genetiche della scienziata britannica Rosalind Harting, spiegherebbe per quale motivo gli esponenti del Sapiens furono denominati "figli di Dio." Sarebbero, infatti, costoro, ad essere stati creati, mediante l'ibridazione di geni appartenenti all'Homo erectus con il D.N.A. ricavato dagli "dèi" di Shumer. Anche paleontologi accademici non scartano l’ipotesi di un incrocio tra le due specie. Resta il dubbio se da tale connubio possano essere nati dei giganti.

A questo punto mi chiedo se la prima congettura non sia riconducibile a questa, dacché Caino potrebbe indicare una stirpe di rossi: la Harding ritiene che il rutilismo fosse un tratto fenotipico del Neanderthalis. Nel Kebra Nagast, il testo sacro dei Falasha, gli Etiopi di religione ebraica che rispettano le norme originarie del Pentateuco, i figli di Dio sono chiamati figli di Seth, le figlie degli uomini, figlie di Caino. Dunque Caino era rosso ed un Neanderthalensis?[3]

A prescindere dall'identità dei Figli di Dio e dei Nephilim, resta un'altra spinosa questione: furono un lignaggio degenere e perverso, come sono inclini a pensare coloro che li identificano con gli "angeli ribelli" o uomini degnissimi ed eroici, come afferma, tra gli altri, l'esoterista Antoine Fabre d’Olivet? Il dibattitto è aperto.

[1] A mio parere, la trattazione si può estendere ad un ambito metafisico, ma qui mi limito al piano “oggettivo” per evitare di rendere intricata un’analisi già difficile.

[2] Pare che la traduzione di "nephilim" con "giganti" sia corretta, mentre la resa "caduti", adottata da Zecharia Sitchin e da qualche altro autore, dovrebbe essere inidonea. Ne consegue che l'interpretazione teologica prevalente che vede nei nephilim degli angeli caduti perde in parte di plausibilità. Antichi interpreti ebrei, scritti apocrifi e pseudoepigrafi sono unanimi nel sostenere la tesi che gli angeli caduti siano i "figli di Dio" menzionati in Genesi 6:1-4. Questo non chiude assolutamente le discussioni, ma, a mio parere, le sposta su un altro livello, la dimensione metafisica o meglio interdimensionale dei Vigilanti evocati nel libro di Enoch ed in altri documenti.

by Zret

12 agosto 2009

Il Creditore Spietato, evocato da Lorenz, non è un fantasma del futuro

Ecco un pensiero di Konrad Lorenz: “l’unico introito legittimo di energia del nostro pianeta è costituito dall’irraggiamento solare, e ogni crescita economica che consumi più energia di quella che riceviamo dal sole, irretisce l’economia mondiale in una spirale debitoria, che ci consegnerà a un creditore spietato….”
Il Creditore Spietato, evocato da Lorenz, non è un fantasma del futuro. Si presenta ogni giorno, e ogni sua apparizione è una rapina: si porta via della vita vivente, ma ci lascerà fino all’ultimo lo sviluppo.
I governi possono governare - sono lasciati fare - fintanto che non si oppongano allo sviluppo, vuol dire che ne sono tutti, dal più potente all’ultimo di forza, prigionieri e servi. La grande domanda metafisica: l’uomo è libero? si può anche buttarla qui, parlando di governi che tutti, nessuno escluso, possono procedere soltanto in un’unica direzione, senza che gli sia data una scelta. Se fossi papa o presidente americano o presidente russo mi piglierei il piacere di rispondere che l’uomo può solo decidere quel che è già deciso. E questo irrefrenabile sviluppo era nel segreto del tempo, nel mistero tragico del destino umano, ma quel che mi dà scandalo, quel che mi fa più soffrire, è che “gli si voglia bene”, che si parli incessantemente di “ripresa” del lavoro di questo assassino come di qualcosa di desiderabile, non come di una necessità ineluttabile, come di una caduta progressiva nell’infelicità.
Vorrei un capo di governo o di azienda che facesse precedere da un purtroppo le frasi consuete: “dobbiamo aumentare la produzione”, “la ripresa è imminente”… Neppure questa libertà gli è data. Sono costretti anche ad adularlo, il Maligno: se aggiungono un purtroppo li scaraventa in basso come birilli. Questo non è più avere un potere, tanto meno corrisponde a qualcuno dei sensi profondi di comando. L’asservimento all’economia dello sviluppo, senza neppure un accenno di sgomento, dice l’immiserimento, la perdita di essenza e di centro, della politica. Se il fine unico è lo sviluppo, la politica è giudicata in base alla sua bravura (che è pura passività) nello spingerlo avanti a qualsiasi costo….
Non c’è nessuna idea politica dietro, sopra o sotto: c’è il Dio dell’economia industriale geloso del suo culto monoteistico.
Un inferno urbano contemporaneo è fatto di molte cose. Tra le più evidenti, c’è l’eccesso di circolazione di macchine, auto e moto. Contro smog e paralisi si almanaccano palliativi di ogni genere, ma soltanto abbattendo la produzione automobilistica si potrebbe ridare alle città un po' di respiro post-diluviale. Immediatamente sulle piazze liberate dai grovigli di auto, si adunerebbero a migliaia, e a migliaia di migliaia, i tamburi di latta della protesta di quelli a cui fosse stato restituito il respiro: non vogliono la cura, ma la malattia in tutta la sua spietatezza...Così i chimici che producono veleni per l’agricoltura: vietarli, anche per amore dei loro stessi figli, ne scatenerebbe la collera. Ma sarà la collera dei chimici, o dei veleni in loro? Chi dice che non abbiano un’anima, i veleni che produciamo? ...La sola voce concorde, universale, in alto e in basso, grida che nessuna industria si fermi o chiuda, qualsiasi cosa produca, sia pure inutilissima o micidialissima, sia pure destinata a restare invenduta: la sola voce concorde invoca che si aprano cantieri su cantieri e che si investano finanze in nuovi progetti industriali: a costo di qualsiasi inquinamento e imbruttimento, a costo anche di fare accorrere, per l’immediata ritorsione morale che colpisce chi accolga progetti simili, le furie di una intensificata violenza. E se deve, sul mare delle voci tutte uguali, planare una promessa rassicurante, è sempre la stessa: ci sarà la “ripresa”, ne avrete il triplo di questa roba...

La Stampa, 9 marzo 1993

16 agosto 2009

L'oro di Bankitalia

Uno scontro trasversale fra i vari poteri. Un mulinare di scimitarre, forche e badili contro il potere finanziario protetto dai servizi segreti, e forze dell'ordine. Se non riusciamo a leggere fra le righe il messaggio di Tremonti, andremo a giocare a mosca cieca.



Non sono stato e non sarò mai tenero con il Governo Berlusconi né con quell'accolita di incompetenti e vanagloriosi che sono la maggior parte dei suoi Ministri, che rispecchiano, generalmente in peggio, le migliori qualità del capo. Devo però dire che Tremonti è proprio un'eccezione. La sua ostinazione nel volere la norma sulla tassazione delle riserve auree di Bankitalia è encomiabile: non tanto per gli effetti economici che sono trascurabili (al massimo 300 milioni di euro che, nel disastro della finanza pubblica sono una goccia nel mare), quanto per i riflessi politici dell'iniziativa. Se ne intravedono gli scenari nei commenti di oggi, che danno un'idea degli effettivi schieramenti politici nel nostro paese.


Non è una novità che i rapporti di Tremonti con Bankitalia e i suoi vertici sono conflittuali da sempre. Appare sempre più chiaro che dietro gli attacchi alla cosiddetta autonomia di Bankitalia e delle istituzioni finanziarie ci sia la volontà politica di ricondurre la politica monetaria in un ambito pubblico. E d'altra parte, visti gli esiti disastrosi della gestione privata della finanza, che ci ha regalato questa meravigliosa crisi, che qualcosa debba cambiare lo dicono tutti ma effettivamente lo vogliono pochi, e tra questi pochi, Tremonti è certamente in prima linea.

Qualche anno fa, nella tarda primavera del 2005 scoppiava il conflitto tra il Ministro dell'Economia e Bankitalia allora condotta dal sempiterno Fazio, poi declassato a furbetto del quartierino dalle inchieste giudiziarie sui suoi legami con Fiorani. Tremonti fu redarguito dallo schieramento politico pro Bankitalia, allora composto dal trio "effe", rigorosamente trasversale, Fassino, Follini e Fini, che ne pretesero l'allontanamento dal Ministero. Tremonti si è seduto sulla riva del fiume per aspettare la caduta di Fazio e di Berlusconi, giunte in rapida successione poco tempo dopo. Così, con il nuovo governo Berlusconi, Tremonti è stato chiamato a furor di popolo (leghista, ma anche trasversale), contro il partito di Bankitalia, che zittito dalle disgrazie del sistema finanziario nostrano e internazionale, ha dovuto mandare giù l'amaro boccone, anche se non perde occasione per denigrare, mettre in ridicolo, attaccare, insinuare e sbeffeggiare il suo nemico.

Non dimentichiamoci che la vera battaglia politica non è tra una destra e una sinistra anacronistiche e svuotate di ogni contenuto reale, ma tra il potere finanziario e chi vuole restituire dignità alla politica.

La guerra è quindi apertissima e lo scontro durissimo. Da una parte i sostenitori del potere finanziario, dall'altra i suoi avversari. Nell'editoriale di oggi su Repubblica, Massimo Giannini, voce autorevole del quotidiano e dell'intellighenzia pro finanza, viene chiamato a dare il suo contributo alla battaglia contro il Ministro ammazza banche. E lo fa con questo articolo, fastidioso per le insinuazioni denigratorie, ma illuminante per la comprensione del campo di battaglia e degli schieramenti. In altri termini, Giannini e i finanzieri temono che Tremonti voglia porsi alla testa di un movimento politico tra i governi europei volto a ridimensionare i poteri della BCE. Su questo fronte potrebbe coinvolgere - dice Giannini - Sarkozy, forse Zapatero e qualche altro governante dell'Europa centro orientale. Non la Merkel che ci ha già provato e, con malcelata soddisfazione dello stesso Giannini, fu bocciata dalla Bundesbank (ma credo che Giannini si illuda sul fatto che i tedeschi si defilino se si tratta di battagliare sulla sovranità monetaria).

L'articolo è commovente e ridicolo per l'impegno che Giannini profonde per difendere le prerogative della BCE.

Commovente quando ascrive tali prerogative nel'ambito di una grundnorm, del diritto costituzionale europeo, che ricordo ai non giuristi, è il concetto elaborato da Kelsen per indicare la norma fondante l'intera costruzione di un ordinamento giuridico. In altre parole, secondo Giannini, il potere finanziario è quello sul quale regge l'intera Costituzione della Comunità europea!

A me sembrava che si trattasse di una costruzione politica, e non della delega ai burocrati oligarchi di Palazzo Koch o di Francoforte di taglieggiare i popoli europei senza alcun controllo popolare. Qualcuno di voi ha mai sentito parlare di elezioni di dirigenti, Governatori, funzionari di queste istituzioni che operano in concreto sulla nostra pelle ed esercitano un poter di gran lunga maggiore di quello politico? Non sarebbe ora di vederci chiaro e di capire come è stato possibile arrivare a questo punto?

Divertente quando scrive testualmente, senza rendersi conto di coprirsi di ridicolo, questa frase che si commenta da sola: [Tremonti] da un lato dice "quell'oro è del popolo, non di Via Nazionale" (e qui, per inciso, si potrebbe chiosare: se è del popolo, e lo vuoi colpire con una nuova imposta, stai facendo pagare più tasse agli italiani, contraddicendo uno dei dogmi della tua ideologia politico-economica). Davvero meraviglioso!

Questo è quindi il punto nodale: dopo gli esiti disastrosi delle politiche monetarie imposte dalle Banche Centrali la politica, forse, si rimette a discutere l'indipendenza oligarchica dello strapotere della BCE, e la norma silente voluta da Tremonti è una specie di cavallo di Troia, pronto ad entrare in azione nel momento della battaglia. Non a caso, il fuoco di sbarramento dello schieramento pro Bankitalia è iniziato subito: a parte Giannini, hanno stigmatizzato la norma il Folliniano Tabacci , il Vicepresidente dei Senatori PD Zanda , mentre Fassino e Fini per ora tacciono.

Certo, sentire un Ministro delle Finanze che dice che l'oro di Bankitalia appartiene al popolo italiano, fa un certo effetto. Eh già, la battaglia sarà dura e promette scintille....

di Domenico De Simone

15 agosto 2009

Chi erano i Nephilim? I Giganti?


In Genesi 6:1-4 si legge: "Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla faccia della terra e furono loro nate delle figlie, avvenne che i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e presero per mogli quelle che si scelsero fra tutte. Il Signore disse: ‘Lo Spirito mio non contenderà per sempre con l’uomo poiché, nel suo traviamento, egli non è che carne; i suoi giorni dureranno quindi centoventi anni. In quel tempo c’erano sulla terra i giganti (nephilim) e ci furono anche in seguito, quando i figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini ed ebbero da loro dei figli. Questi sono gli uomini potenti che, fin dai tempi antichi, sono stati famosi".

Prima di cercare di rispondere alla domanda su chi possano essere stati i figli di Dio, mi pare doveroso sottolineare la straordinarietà di questi versetti. Si ha, infatti, l'impressione che il passo sopra riportato sia un frammento di una più ampia tradizione salvatasi ad un naufragio di antichi testi. Il sapore "sumerico" del passo, l'arcaico e mitico riferimento ai giganti inducono a supporre che, nel palinsesto di Genesi, sia rimasto questo lacerto che può essere confrontato con i retaggi, peculiari di altre culture, su creature titaniche.

Sono state ventilate parecchie supposizioni su chi fossero i figli di Dio e perché i figli che essi ebbero con le figlie degli uomini diedero vita a una razza di giganti. Non prenderò in esame i presunti riferimenti neo-testamentari ai "figli di Dio" poiché, a mio parere, appartengono ad un altro Zeitgeist, ad una forma mentis di autori che erano inclini a reinterpretare brani della Torah con fini catechistici legati ad esigenze contingenti. Vorrei anche restare nell'ambito di un discorso paleontologico e storico, senza sconfinare nella teologia.[1]

Vediamo quindi quali sono le principali ipotesi di identificazione.

- I figli di Dio furono i discendenti del probo Seth che si unirono con i rampolli del malvagio Caino.

- I figli di Dio furono esseri di notevole statura creati, per mezzo di manipolazioni genetiche, da un popolo extraterrestre individuato da Sitchin e da Alford nei progenitori dei Sumeri. Secondo Alford, i Nephilim erano sterili.[2]

- I figli di Dio furono Atlantidei.

- I figli di Dio furono discendenti di uomini della specie Homo sapiens e di donne appartenenti alla specie Homo Neanderthalensis. Questa tesi sostenuta da Adriano Forgione e da altri e che troverebbe conferme nelle indagini genetiche della scienziata britannica Rosalind Harting, spiegherebbe per quale motivo gli esponenti del Sapiens furono denominati "figli di Dio." Sarebbero, infatti, costoro, ad essere stati creati, mediante l'ibridazione di geni appartenenti all'Homo erectus con il D.N.A. ricavato dagli "dèi" di Shumer. Anche paleontologi accademici non scartano l’ipotesi di un incrocio tra le due specie. Resta il dubbio se da tale connubio possano essere nati dei giganti.

A questo punto mi chiedo se la prima congettura non sia riconducibile a questa, dacché Caino potrebbe indicare una stirpe di rossi: la Harding ritiene che il rutilismo fosse un tratto fenotipico del Neanderthalis. Nel Kebra Nagast, il testo sacro dei Falasha, gli Etiopi di religione ebraica che rispettano le norme originarie del Pentateuco, i figli di Dio sono chiamati figli di Seth, le figlie degli uomini, figlie di Caino. Dunque Caino era rosso ed un Neanderthalensis?[3]

A prescindere dall'identità dei Figli di Dio e dei Nephilim, resta un'altra spinosa questione: furono un lignaggio degenere e perverso, come sono inclini a pensare coloro che li identificano con gli "angeli ribelli" o uomini degnissimi ed eroici, come afferma, tra gli altri, l'esoterista Antoine Fabre d’Olivet? Il dibattitto è aperto.

[1] A mio parere, la trattazione si può estendere ad un ambito metafisico, ma qui mi limito al piano “oggettivo” per evitare di rendere intricata un’analisi già difficile.

[2] Pare che la traduzione di "nephilim" con "giganti" sia corretta, mentre la resa "caduti", adottata da Zecharia Sitchin e da qualche altro autore, dovrebbe essere inidonea. Ne consegue che l'interpretazione teologica prevalente che vede nei nephilim degli angeli caduti perde in parte di plausibilità. Antichi interpreti ebrei, scritti apocrifi e pseudoepigrafi sono unanimi nel sostenere la tesi che gli angeli caduti siano i "figli di Dio" menzionati in Genesi 6:1-4. Questo non chiude assolutamente le discussioni, ma, a mio parere, le sposta su un altro livello, la dimensione metafisica o meglio interdimensionale dei Vigilanti evocati nel libro di Enoch ed in altri documenti.

by Zret

12 agosto 2009

Il Creditore Spietato, evocato da Lorenz, non è un fantasma del futuro

Ecco un pensiero di Konrad Lorenz: “l’unico introito legittimo di energia del nostro pianeta è costituito dall’irraggiamento solare, e ogni crescita economica che consumi più energia di quella che riceviamo dal sole, irretisce l’economia mondiale in una spirale debitoria, che ci consegnerà a un creditore spietato….”
Il Creditore Spietato, evocato da Lorenz, non è un fantasma del futuro. Si presenta ogni giorno, e ogni sua apparizione è una rapina: si porta via della vita vivente, ma ci lascerà fino all’ultimo lo sviluppo.
I governi possono governare - sono lasciati fare - fintanto che non si oppongano allo sviluppo, vuol dire che ne sono tutti, dal più potente all’ultimo di forza, prigionieri e servi. La grande domanda metafisica: l’uomo è libero? si può anche buttarla qui, parlando di governi che tutti, nessuno escluso, possono procedere soltanto in un’unica direzione, senza che gli sia data una scelta. Se fossi papa o presidente americano o presidente russo mi piglierei il piacere di rispondere che l’uomo può solo decidere quel che è già deciso. E questo irrefrenabile sviluppo era nel segreto del tempo, nel mistero tragico del destino umano, ma quel che mi dà scandalo, quel che mi fa più soffrire, è che “gli si voglia bene”, che si parli incessantemente di “ripresa” del lavoro di questo assassino come di qualcosa di desiderabile, non come di una necessità ineluttabile, come di una caduta progressiva nell’infelicità.
Vorrei un capo di governo o di azienda che facesse precedere da un purtroppo le frasi consuete: “dobbiamo aumentare la produzione”, “la ripresa è imminente”… Neppure questa libertà gli è data. Sono costretti anche ad adularlo, il Maligno: se aggiungono un purtroppo li scaraventa in basso come birilli. Questo non è più avere un potere, tanto meno corrisponde a qualcuno dei sensi profondi di comando. L’asservimento all’economia dello sviluppo, senza neppure un accenno di sgomento, dice l’immiserimento, la perdita di essenza e di centro, della politica. Se il fine unico è lo sviluppo, la politica è giudicata in base alla sua bravura (che è pura passività) nello spingerlo avanti a qualsiasi costo….
Non c’è nessuna idea politica dietro, sopra o sotto: c’è il Dio dell’economia industriale geloso del suo culto monoteistico.
Un inferno urbano contemporaneo è fatto di molte cose. Tra le più evidenti, c’è l’eccesso di circolazione di macchine, auto e moto. Contro smog e paralisi si almanaccano palliativi di ogni genere, ma soltanto abbattendo la produzione automobilistica si potrebbe ridare alle città un po' di respiro post-diluviale. Immediatamente sulle piazze liberate dai grovigli di auto, si adunerebbero a migliaia, e a migliaia di migliaia, i tamburi di latta della protesta di quelli a cui fosse stato restituito il respiro: non vogliono la cura, ma la malattia in tutta la sua spietatezza...Così i chimici che producono veleni per l’agricoltura: vietarli, anche per amore dei loro stessi figli, ne scatenerebbe la collera. Ma sarà la collera dei chimici, o dei veleni in loro? Chi dice che non abbiano un’anima, i veleni che produciamo? ...La sola voce concorde, universale, in alto e in basso, grida che nessuna industria si fermi o chiuda, qualsiasi cosa produca, sia pure inutilissima o micidialissima, sia pure destinata a restare invenduta: la sola voce concorde invoca che si aprano cantieri su cantieri e che si investano finanze in nuovi progetti industriali: a costo di qualsiasi inquinamento e imbruttimento, a costo anche di fare accorrere, per l’immediata ritorsione morale che colpisce chi accolga progetti simili, le furie di una intensificata violenza. E se deve, sul mare delle voci tutte uguali, planare una promessa rassicurante, è sempre la stessa: ci sarà la “ripresa”, ne avrete il triplo di questa roba...

La Stampa, 9 marzo 1993