13 ottobre 2009

Il Dollaro deve essere svalutato della metà?




«Un anno fa» ha detto il professor Ross Buckley all’Abc News australiana «nessuno voleva saperne del Fondo Monetario Internazionale. Ora è l’Fmi che coordina il pacchetto internazionale di stimolo economico che è stato venduto come stimolo per i paesi poveri».

L’Fmi può aver ricevuto ben altri compiti. Secondo Jim Rickards, direttore della market intelligence per il gruppo di consulenza scientifica Omnis, il proposito non annunciato del Summit G20 di Pittsburgh (24 settembre) era che «l’Fmi venisse consacrato come ‘banca centrale globale’». Rickards ha detto in un’intervista alla Cnbc (25 settembre) che il piano è di far sì che l’Fmi emetta una moneta di riserva globale che rimpiazzi il dollaro.

«Hanno emesso debito per la prima volta nella storia» ha detto Rickards «stanno emettendo diritti speciali di prelievo (SDR). I primi SDR sono venuti fuori nel 1980 o nel 1981, per un valore di 30 miliardi di dollari. Ora si parla di 300 miliardi. E quando dico emettere, intendo stampare moneta; non c’è niente dietro questi diritti».

I diritti speciali di prelievo sono una moneta sintetica creata originariamente dall’Fmi per rimpiazzare oro e argento nelle grandi transazioni internazionali. Ma sono stati utilizzati poco finora. Come mai all’improvviso il mondo ha bisogno di una nuova divisa e di una banca centrale globale? Rickards dice che questo accade per il “dilemma di Triffin”, un problema notato per la prima volta dall’economista Robert Triffin negli anni Sessanta. Quando il mondo abbandonò il gold standard, una moneta di riserva dovette essere fornita da qualche Paese con una divisa forte in grado di sostenere il commercio internazionale. Ma lasciarla in questa funzione voleva dire, per il Paese di riferimento, comprare continuamente più di quanto vendesse, creando enormi deficit nella bilancia dei pagamenti, fino al collasso. Gli Usa hanno alimentato l’economia mondiale negli ultimi 50 anni, ma ora il meccanismo è saltato. Possono aggiustare il loro debito e mettere a posto la loro economia, ma ciò comporterebbe la contrazione degli scambi mondiali. Una moneta globale sostitutiva è necessaria mentre gli Usa risolvono i loro problemi debitori, e quella moneta deve essere l’SDR emessa dal Fondo. Questa è la soluzione al dilemma di Triffin, dice Rickards, ma lascia gli Usa in una posizione vulnerabile. Se dovessimo affrontare una guerra o un’altra catastrofe globale, non avremmo più il privilegio di stampare moneta. Dovremmo chiedere in prestito la moneta di riserva globale come tutti gli altri, mettendoci alla mercé dei creditori globali.

Per impedire questo sviluppo, la Federal Reserve ha lasciato intendere che è pronta ad alzare i tassi, anche se ciò creerebbe un nuovo problema all’economia reale. Rickards parla di un editoriale del governatore della Fed Kevin Warsh, pubblicato sul Wall Street Journal lo stesso giorno della riunione del G20. Warsh scriveva che la Fed dovrebbe alzare i tassi di interesse se salgono i prezzi degli asset – secondo Rickards, un’allusione all’oro, il tradizionale investimento rifugio di chi fugge dal dollaro. «Le banche centrali odiano l’oro perché limita la loro libertà di stampare moneta», ha aggiunto Rickards. Se l’oro andasse improvvisamente a 1.500 dollari l’oncia, sarebbe il collasso del dollaro. Warsh stava quindi dando al mercato un’indicazione che la Fed non avrebbe lasciato accadere una cosa del genere. La Fed avrebbe alzato i tassi per attrarre investimenti in dollari verso l’America. Secondo Rickards, «Warsh sta dicendo “Dobbiamo buttare il dollaro nella spazzatura, ma lo faremo gradualmente…” Warsh sta cercando di prevenire un declino instabile del dollaro. Quello che vogliono, ovviamente, è un declino stabile e costante».

Cosa dire del tradizionale compito della Fed, ovvero il mantenimento della stabilità dei prezzi? E’ un non-senso, secondo Rickards «Ciò che stanno facendo è inflazionare il dollaro per puntellare le banche». Il dollaro deve essere alzato perché c’è più debito insoluto che denaro per ripagarlo. Il governo ha sopravvenienze passive per 60 trilioni di dollari. «Non c’è una combinazione fattibile di crescita e tasse che possa finanziare quelle passività», secondo Rickards. Il governo può finanziarne circa la metà nei prossimi 14 anni, il che vuol dire che il dollaro deve essere svalutato della metà.

Il dollaro deve essere svalutato della metà?

Ridurre il valore del dollaro significa che i nostri sudati guadagni cominceranno a valere solo la metà, che non è una buona notizia per l’economia reale. In realtà la manovra non è fatta per noi, ma per le banche. Il dollaro deve essere svalutato come compensazione al dilemma del sistema monetario attuale, un dilemma più complicato di quello di Triffin, e che può ben essere chiamato una frode. Non c’è mai sufficiente denaro per pagare il debito insoluto, perché tutto il denaro oggi, con l’eccezione delle monete fisiche, è creato dalle banche nella forma di crediti, e sempre più danaro è dovuto indietro alle banche di quanto esse ne dispongano quando originano nuovi crediti. Le banche creano lo strumento principale ma non gli interessi necessari a ripagare i loro finanziamenti.

La Fed, che è controllata da un consorzio di banche e serve i loro interessi, ha il compito di controllare che le banche siano ripagate; e l’unico modo perché questo avvenga è attraverso un’offerta inflattiva di moneta, per creare i dollari necessari a coprire gli interessi mancanti. Ma questo vuol dire diluire il valore del dollaro, imponendo una tassa-ombra sui cittadini; e l’offerta monetaria è inflazionata attraverso maggiori finanziamenti, il che aumenta il carico di debiti più interessi che l’offerta abbondante di moneta avrebbe dovuto ridurre. Il sistema bancario è essenzialmente uno schema piramidale, che continua a funzionare semplicemente creando nuovo debito.

Il pacchetto di stimolo del Fondo (500 miliardi di dollari): serve ai paesi in via di sviluppo o alle banche?

E questo ci riporta al pacchetto di stimolo del Fmi discusso dal professor Buckley. È stato presentato come un aiuto ai paesi emergenti colpiti dalla crisi finanziaria globale, ma Buckley dubita che le cose stiano veramente così. Piuttosto, nota, i 500 miliardi di dollari impegnati dalle nazioni del G20 sono «un pacchetto di stimolo per le banche dei Paesi ricchi». Generalmente questi stimoli sono sotto forma di investimenti; il denaro proveniente dal Fmi sarà prestato sotto forma di finanziamento.

«Questi sono prestiti fatti dai Paesi del G20 ai Paesi poveri attraverso l’Fmi. Dovranno essere ripagati e saranno utilizzati per rifondere le banche internazionali adesso… Il denaro in realtà non arriverà mai nei Paesi poveri. Passerà attraverso di loro per ripagare i loro creditori… Ma i Paesi poveri ci metteranno 30 anni per rientrare da questo debito».

Fondamentalmente, dice Buckley, i prestiti Fmi comportano un aumento della seniority del debito. In pratica, i Paesi in via di sviluppo finiranno con l’essere ancora più incatenati al debito di quanto lo siano ora.

«Al momento il debito è dovuto dai Paesi poveri alle banche, e se i Paesi poveri dovessero farlo, potrebbero andare in default. Il debito bancario sarebbe sostituito da debito dovuto al Fondo, che per motivi strategici molto validi i Paesi poveri serviranno sempre… I Paesi ricchi hanno reso disponibili questi 500 miliardi di dollari per stimolare le loro stesse banche, e il Fmi è un ottimo intermediario tra quei Paesi, i debitori e le banche…».

Non molto tempo fa, il Fmi era stato chiamato obsoleto. Ora è di nuovo in auge e si è vendicato dei suoi detrattori; ma è il vecchio sporco gioco di servire da collettore per il sistema bancario internazionale. Fin quando i Paesi del Terzo Mondo possono pagare, attraverso gli interessi passivi, il servizio del debito, le banche possono segnare i crediti tra le partite attive dei loro libri contabili, e continuare ad alimentare lo schema piramidale e l’offerta inflazionata di moneta globale attraverso sempre nuovi crediti. È tutto per la maggior gloria delle banche e delle loro affiliate multinazionali; ma i 500 miliardi di dollari verranno dai contribuenti delle nazioni G20, e il risultato prevedibile sarà che gli Usa entreranno nel club delle nazioni indebitate al servizio dell’impero globale dei banchieri centrali.

Ellen Brown

11 ottobre 2009

Competere con tutti lascia soli


Dietro ai tanti malesseri di oggi; dietro alle ragazzette vittime o delinquenti date in forte crescita dai servizi sociali, ai padri che abbandonano o vengono abbandonati, alle madri prese da raptus omicidi; dietro a gruppi sociali scollati tra loro e preda dell’odio reciproco; dietro alle depressioni coperte dalle droghe, sta una sola parola, che descrive una condizione precisa e concreta: solitudine. Quella di chi è in famiglia, ma non sente su di sé uno sguardo che sia attento e amoroso.
Ma anche la solitudine di chi abita un territorio dove i legami sociali si sono allentati, e la gente non ti guarda, non ti vede se non per misurare il tuo successo sociale, la tua capacità di spesa.
Infine la solitudine di chi non sente più la solidarietà e l’affetto dei pari, la compagnia di quelli che fanno il tuo stesso lavoro, sui campi, in azienda, o nelle professioni e nei servizi, perché questa vicinanza è stata sopraffatta dalla competizione, dal lasciarsi dietro il pari grado per avvicinarsi a chi ha uno stato superiore, e dall’ansiosa presa di distanza da chi rimane indietro.

Queste dinamiche, lo sappiamo bene, sono sempre esistite, e sono legate in parte all’istinto di sopravvivenza, in parte a quella che Nietzsche ha chiamato «volontà di potenza». Quella spinta naturale per la quale un ciuffo d’erba tende ad allargarsi occupando lo spazio dei fili vicini.
Tuttavia nella storia e nell’indole umana è presente una forza particolare, che non ha la stessa evidenza nel mondo puramente naturale: quella dell’amore. È solo l’amore, quello cui si riferivano i fondatori della psicoanalisi col nome di Eros, a contrastare il vissuto inappagato e inquieto della solitudine (quella cui si ribella anche il primo uomo, Adamo, chiedendo al Signore una compagnia, uno sguardo, una voce).
Fu l’amore, oltre che la ricerca di alleanza, ad ispirare lungo la storia umana la solidarietà, il rispecchiarsi nell’altro, l’appartenenza. Sentimento complesso, l’appartenere ad altri, ad una patria, una classe, una comunità, una professione, arte o mestiere. Tuttavia è proprio lì che nasce l’identità, che non si costituisce certamente solo con quattro dati anagrafici. Ed è proprio l’identità, che rende meno forte, o più accettabile, il morso della solitudine. Come raccontano tante poesie, o lettere di emigranti, anche italiani: non sei veramente solo quando hai una Patria, una terra di origine, un popolo cui appartieni.
La famiglia, lo sguardo attento e amoroso della donna, dell’uomo, dei figli, è l’ultimo, importantissimo tratto di questo filo affettivo che ci lega al resto dell’umanità, indebolendo la solitudine e le sue patologie. Così, almeno è stato, con alterne vicende, nel corso del tempo.
Nell’epoca in cui viviamo la competizione economica ha però assunto un’importanza particolarmente vistosa, assicurando contemporaneamente un grande sviluppo della ricchezza (non altrettanto, pare, della felicità). La spinta a prevalere, a vincere e distaccarsi dall’altro ha così indebolito quella a legarsi, a cercare la solidarietà, l’essere insieme, l’amore appunto. L’interesse alla contrapposizione delle classi ha prevalso su quello della solidarietà tra tutto il popolo, quello della competizione tra i generi ha prevalso sull’amore tra uomo e donna, quello dei singoli territori su quello del benessere di tutta una Nazione.
Questa competizione universale non poteva restare esterna alla famiglia, oggi teatro di conflitti plurimi: padre-madre, genitori-figli, e quindi di nuove, profonde solitudini. Che diventano rapidamente terreno di crescita di ogni malessere e devianza.

di Claudio Risé

07 ottobre 2009

Sta per arrivare la morte del dollaro




Quasi a simboleggiare il nuovo ordine mondiale, gli Stati arabi hanno avviato trattative segrete con Cina, Russia e Francia per smettere di usare la valuta americana per le transazioni petrolifere.

Mettendo in atto la piu’ radicale trasformazione finanziaria della recente storia del Medio Oriente gli Stati arabi stanno pensando – insieme a Cina, Russia, Giappone e Francia – di abbandonare il dollaro come valuta per il pagamento del petrolio adottando al suo posto un paniere di valute tra cui lo yen giapponese, lo yuan cinese, l’euro, l’oro e una nuova moneta unica prevista per i Paesi aderenti al Consiglio per la cooperazione del Golfo, tra cui Arabia Saudita, Abu Dhabi, Kuwait e Qatar.



Incontri segreti hanno gia’ avuto luogo tra i ministri delle finanze e i governatori delle banche centrali della Russia, della Cina, del Giappone e del Brasile per mettere a punto il progetto che avra’ come conseguenza il fatto che il prezzo del greggio non sara’ piu’ espresso in dollari.

Il progetto, confermato al nostro giornale da fonti bancarie arabe dei Paesi del Golfo Persico e cinesi di Hong Kong, potrebbe contribuire a spiegare l’improvviso rincaro del prezzo dell’oro, ma preannuncia anche nei prossimi nove anni un esodo senza precedenti dai mercati del dollaro.

Gli americani, che sono al corrente degli incontri – pur non conoscendone i dettagli – sono certi di poter sventare questo intrigo internazionale di cui fanno parte leali alleati come il Giappone e i Paesi del Golfo. Sullo sfondo di questi incontri valutari, Sun Bigan, ex inviato speciale della Cina in Medio Oriente, ha sottolineato il rischio di approfondire le divisioni tra Cina e Stati Uniti in ordine alla loro influenza politica e petrolifera in Medio Oriente. “Le dispute e gli scontri bilaterali sono inevitabili”, ha detto all’Africa and Asia Review. “Non possiamo abbassare la guardia in merito all’ostilita’ che fronteggiamo in Medio Oriente sugli interessi energetici e la sicurezza”.

Questa frase ha tutta l’aria di una previsione pericolosa su una futura guerra economica tra Stati Uniti e Cina per il petrolio mediorientale – con il pericolo di trasformare i conflitti della regione in una lotta di supremazia delle grandi potenze. L’incremento della domanda di petrolio e’ piu’ marcato in Cina che negli Stati Uniti in quanto la crescita cinese e’ meno efficiente sotto il profilo energetico. Abbandonando il dollaro i pagamenti, stando a fonti bancarie cinesi, potrebbero essere effettuati in via transitoria in oro. Una indicazione della gigantesca quantita’ di denaro di cui si parla puo’ essere desunta dalla ricchezza di Abu Dhabi, Arabia Saudita, Kuwait e Qatar che insieme hanno, stando alle stime, riserve in dollari per 2.100 miliardi.

Il declino della potenza economica americana strettamente connesso all’attuale recessione globale e’ stato riconosciuto dal presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick. “Una delle conseguenze di questa crisi potrebbe essere l’accettazione del fatto che sono cambiati i rapporti di forza economici”, ha detto a Istanbul prima delle riunioni di questa settimana del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Ma e’ stato il nuovo straordinario potere finanziario della Cina – non disgiunto dalla rabbia sia dei Paesi produttori che dei Paesi consumatori di petrolio nei confronti del potere di interferenza degli Stati Uniti nel sistema finanziario internazionale – a stimolare i recenti colloqui con i Paesi del Golfo.

Brasile e India si sono mostrati interessati a far parte di un sistema di pagamenti non piu’ basato sul dollaro. Allo stato la Cina appare la piu’ entusiasta tra le potenze finanziarie, non fosse altro che per il suo gigantesco interscambio commerciale con il Medio Oriente.

La Cina importa il 60% del petrolio che consuma, per lo piu’ dal Medio Oriente e dalla Russia. I cinesi hanno concessioni petrolifere in Iraq – bloccate fino a quest’anno dagli Stati Uniti – e dal 2008 hanno un accordo da 8 miliardi di dollari con l’Iran per lo sviluppo delle capacita’ di raffinazione e delle risorse di gas. La Cina ha contratti petroliferi in Sudan (dove ha sostituito gli Stati Uniti) e da tempo sta negoziando concessioni petrolifere in Libia dove tradizionalmente questo genere di accordi e’ del tipo joint venture.

Inoltre le esportazioni cinesi verso la regione ammontano ora a non meno del 10% delle importazioni di tutti i Paesi del Medio Oriente e includono una vasta gamma di prodotti che vanno dalle automobili agli armamenti, ai generi alimentari, al vestiario e persino alle bambole. Riconoscendo esplicitamente il crescente peso finanziario della Cina, il presidente della Banca Centrale Europea, Jean-Claude Trichet, ha chiesto l’altro ieri a Pechino di consentire alla yuan di apprezzarsi sul dollaro e, di conseguenza, di diminuire la dipendenza della Cina dalla politica monetaria americana contribuendo cosi’ a riequilibrare l’economia mondiale e ad alleggerire la pressione al rialzo sull’euro.

Dagli accordi di Bretton Woods – gli accordi conclusi dopo la seconda guerra mondiale che ci hanno tramandato l’architettura del moderno sistema finanziario internazionale – i partner commerciali degli Stati Uniti hanno dovuto affrontare le conseguenze della posizione di controllo di Washington e, negli anni piu’ recenti, dell’egemonia del dollaro in quanto principale valuta di riserva.

I cinesi credono, ad esempio, che siano stati gli americani a convincere la Gran Bretagna a non entrare nell’euro per impedire una fuga dal dollaro. Ma secondo le fonti bancarie cinesi i colloqui sono andati troppo avanti per poter essere bloccati. “Non e’ da escludere che nel paniere delle monete entri anche il rublo”, ha detto un importante broker di Hong Kong all’Indipendent. “La Gran Bretagna e’ presa in mezzo e finira’ per entrare nell’euro. Non ha scelta in quanto non potra’ piu’ usare il dollaro americano”.

Le fonti finanziarie cinesi sono convinte che il presidente Barack Obama sia troppo occupato a rimettere in piedi l’economia americana per concentrarsi sulle straordinarie implicazioni della transizione dal dollaro ad altre valute nel volgere di nove anni. Al momento la data fissata per l’abbandono del dollaro e’ il 2018.

Gli Stati Uniti hanno fatto appena cenno a questo problema in occasione del G20 di Pittsburgh. Il governatore della Banca centrale cinese e altri funzionari da anni sono preoccupati per la situazione del dollaro e non ne fanno mistero. Il loro problema e’ che gran parte della ricchezza nazionale e’ in dollari.

“Questi progetti cambieranno il volto delle transazioni finanziarie internazionali”, ha detto un banchiere cinese. “Stati Uniti e Gran Bretagna debbono essere molto preoccupati. Vi accorgerete di quanto sono preoccupati dalla pioggia di smentite che questa notizia scatenera’”.

Alla fine del mese scorso l’Iran ha annunciato che le sue riserve in valuta estera saranno in futuro in euro e non in dollari. I banchieri ricordano, naturalmente, quanto e’ capitato all’ultimo Paese produttore di petrolio del Medio Oriente che ha tentato di vendere il petrolio in euro e non in dollari. Pochi mesi dopo che Saddam Hussein aveva comunicato la sua decisione ai quattro venti, gli americani e gli inglesi hanno invaso l’Iraq.

di Robert Fisk

Fonte: www.independent.co.uk

13 ottobre 2009

Il Dollaro deve essere svalutato della metà?




«Un anno fa» ha detto il professor Ross Buckley all’Abc News australiana «nessuno voleva saperne del Fondo Monetario Internazionale. Ora è l’Fmi che coordina il pacchetto internazionale di stimolo economico che è stato venduto come stimolo per i paesi poveri».

L’Fmi può aver ricevuto ben altri compiti. Secondo Jim Rickards, direttore della market intelligence per il gruppo di consulenza scientifica Omnis, il proposito non annunciato del Summit G20 di Pittsburgh (24 settembre) era che «l’Fmi venisse consacrato come ‘banca centrale globale’». Rickards ha detto in un’intervista alla Cnbc (25 settembre) che il piano è di far sì che l’Fmi emetta una moneta di riserva globale che rimpiazzi il dollaro.

«Hanno emesso debito per la prima volta nella storia» ha detto Rickards «stanno emettendo diritti speciali di prelievo (SDR). I primi SDR sono venuti fuori nel 1980 o nel 1981, per un valore di 30 miliardi di dollari. Ora si parla di 300 miliardi. E quando dico emettere, intendo stampare moneta; non c’è niente dietro questi diritti».

I diritti speciali di prelievo sono una moneta sintetica creata originariamente dall’Fmi per rimpiazzare oro e argento nelle grandi transazioni internazionali. Ma sono stati utilizzati poco finora. Come mai all’improvviso il mondo ha bisogno di una nuova divisa e di una banca centrale globale? Rickards dice che questo accade per il “dilemma di Triffin”, un problema notato per la prima volta dall’economista Robert Triffin negli anni Sessanta. Quando il mondo abbandonò il gold standard, una moneta di riserva dovette essere fornita da qualche Paese con una divisa forte in grado di sostenere il commercio internazionale. Ma lasciarla in questa funzione voleva dire, per il Paese di riferimento, comprare continuamente più di quanto vendesse, creando enormi deficit nella bilancia dei pagamenti, fino al collasso. Gli Usa hanno alimentato l’economia mondiale negli ultimi 50 anni, ma ora il meccanismo è saltato. Possono aggiustare il loro debito e mettere a posto la loro economia, ma ciò comporterebbe la contrazione degli scambi mondiali. Una moneta globale sostitutiva è necessaria mentre gli Usa risolvono i loro problemi debitori, e quella moneta deve essere l’SDR emessa dal Fondo. Questa è la soluzione al dilemma di Triffin, dice Rickards, ma lascia gli Usa in una posizione vulnerabile. Se dovessimo affrontare una guerra o un’altra catastrofe globale, non avremmo più il privilegio di stampare moneta. Dovremmo chiedere in prestito la moneta di riserva globale come tutti gli altri, mettendoci alla mercé dei creditori globali.

Per impedire questo sviluppo, la Federal Reserve ha lasciato intendere che è pronta ad alzare i tassi, anche se ciò creerebbe un nuovo problema all’economia reale. Rickards parla di un editoriale del governatore della Fed Kevin Warsh, pubblicato sul Wall Street Journal lo stesso giorno della riunione del G20. Warsh scriveva che la Fed dovrebbe alzare i tassi di interesse se salgono i prezzi degli asset – secondo Rickards, un’allusione all’oro, il tradizionale investimento rifugio di chi fugge dal dollaro. «Le banche centrali odiano l’oro perché limita la loro libertà di stampare moneta», ha aggiunto Rickards. Se l’oro andasse improvvisamente a 1.500 dollari l’oncia, sarebbe il collasso del dollaro. Warsh stava quindi dando al mercato un’indicazione che la Fed non avrebbe lasciato accadere una cosa del genere. La Fed avrebbe alzato i tassi per attrarre investimenti in dollari verso l’America. Secondo Rickards, «Warsh sta dicendo “Dobbiamo buttare il dollaro nella spazzatura, ma lo faremo gradualmente…” Warsh sta cercando di prevenire un declino instabile del dollaro. Quello che vogliono, ovviamente, è un declino stabile e costante».

Cosa dire del tradizionale compito della Fed, ovvero il mantenimento della stabilità dei prezzi? E’ un non-senso, secondo Rickards «Ciò che stanno facendo è inflazionare il dollaro per puntellare le banche». Il dollaro deve essere alzato perché c’è più debito insoluto che denaro per ripagarlo. Il governo ha sopravvenienze passive per 60 trilioni di dollari. «Non c’è una combinazione fattibile di crescita e tasse che possa finanziare quelle passività», secondo Rickards. Il governo può finanziarne circa la metà nei prossimi 14 anni, il che vuol dire che il dollaro deve essere svalutato della metà.

Il dollaro deve essere svalutato della metà?

Ridurre il valore del dollaro significa che i nostri sudati guadagni cominceranno a valere solo la metà, che non è una buona notizia per l’economia reale. In realtà la manovra non è fatta per noi, ma per le banche. Il dollaro deve essere svalutato come compensazione al dilemma del sistema monetario attuale, un dilemma più complicato di quello di Triffin, e che può ben essere chiamato una frode. Non c’è mai sufficiente denaro per pagare il debito insoluto, perché tutto il denaro oggi, con l’eccezione delle monete fisiche, è creato dalle banche nella forma di crediti, e sempre più danaro è dovuto indietro alle banche di quanto esse ne dispongano quando originano nuovi crediti. Le banche creano lo strumento principale ma non gli interessi necessari a ripagare i loro finanziamenti.

La Fed, che è controllata da un consorzio di banche e serve i loro interessi, ha il compito di controllare che le banche siano ripagate; e l’unico modo perché questo avvenga è attraverso un’offerta inflattiva di moneta, per creare i dollari necessari a coprire gli interessi mancanti. Ma questo vuol dire diluire il valore del dollaro, imponendo una tassa-ombra sui cittadini; e l’offerta monetaria è inflazionata attraverso maggiori finanziamenti, il che aumenta il carico di debiti più interessi che l’offerta abbondante di moneta avrebbe dovuto ridurre. Il sistema bancario è essenzialmente uno schema piramidale, che continua a funzionare semplicemente creando nuovo debito.

Il pacchetto di stimolo del Fondo (500 miliardi di dollari): serve ai paesi in via di sviluppo o alle banche?

E questo ci riporta al pacchetto di stimolo del Fmi discusso dal professor Buckley. È stato presentato come un aiuto ai paesi emergenti colpiti dalla crisi finanziaria globale, ma Buckley dubita che le cose stiano veramente così. Piuttosto, nota, i 500 miliardi di dollari impegnati dalle nazioni del G20 sono «un pacchetto di stimolo per le banche dei Paesi ricchi». Generalmente questi stimoli sono sotto forma di investimenti; il denaro proveniente dal Fmi sarà prestato sotto forma di finanziamento.

«Questi sono prestiti fatti dai Paesi del G20 ai Paesi poveri attraverso l’Fmi. Dovranno essere ripagati e saranno utilizzati per rifondere le banche internazionali adesso… Il denaro in realtà non arriverà mai nei Paesi poveri. Passerà attraverso di loro per ripagare i loro creditori… Ma i Paesi poveri ci metteranno 30 anni per rientrare da questo debito».

Fondamentalmente, dice Buckley, i prestiti Fmi comportano un aumento della seniority del debito. In pratica, i Paesi in via di sviluppo finiranno con l’essere ancora più incatenati al debito di quanto lo siano ora.

«Al momento il debito è dovuto dai Paesi poveri alle banche, e se i Paesi poveri dovessero farlo, potrebbero andare in default. Il debito bancario sarebbe sostituito da debito dovuto al Fondo, che per motivi strategici molto validi i Paesi poveri serviranno sempre… I Paesi ricchi hanno reso disponibili questi 500 miliardi di dollari per stimolare le loro stesse banche, e il Fmi è un ottimo intermediario tra quei Paesi, i debitori e le banche…».

Non molto tempo fa, il Fmi era stato chiamato obsoleto. Ora è di nuovo in auge e si è vendicato dei suoi detrattori; ma è il vecchio sporco gioco di servire da collettore per il sistema bancario internazionale. Fin quando i Paesi del Terzo Mondo possono pagare, attraverso gli interessi passivi, il servizio del debito, le banche possono segnare i crediti tra le partite attive dei loro libri contabili, e continuare ad alimentare lo schema piramidale e l’offerta inflazionata di moneta globale attraverso sempre nuovi crediti. È tutto per la maggior gloria delle banche e delle loro affiliate multinazionali; ma i 500 miliardi di dollari verranno dai contribuenti delle nazioni G20, e il risultato prevedibile sarà che gli Usa entreranno nel club delle nazioni indebitate al servizio dell’impero globale dei banchieri centrali.

Ellen Brown

11 ottobre 2009

Competere con tutti lascia soli


Dietro ai tanti malesseri di oggi; dietro alle ragazzette vittime o delinquenti date in forte crescita dai servizi sociali, ai padri che abbandonano o vengono abbandonati, alle madri prese da raptus omicidi; dietro a gruppi sociali scollati tra loro e preda dell’odio reciproco; dietro alle depressioni coperte dalle droghe, sta una sola parola, che descrive una condizione precisa e concreta: solitudine. Quella di chi è in famiglia, ma non sente su di sé uno sguardo che sia attento e amoroso.
Ma anche la solitudine di chi abita un territorio dove i legami sociali si sono allentati, e la gente non ti guarda, non ti vede se non per misurare il tuo successo sociale, la tua capacità di spesa.
Infine la solitudine di chi non sente più la solidarietà e l’affetto dei pari, la compagnia di quelli che fanno il tuo stesso lavoro, sui campi, in azienda, o nelle professioni e nei servizi, perché questa vicinanza è stata sopraffatta dalla competizione, dal lasciarsi dietro il pari grado per avvicinarsi a chi ha uno stato superiore, e dall’ansiosa presa di distanza da chi rimane indietro.

Queste dinamiche, lo sappiamo bene, sono sempre esistite, e sono legate in parte all’istinto di sopravvivenza, in parte a quella che Nietzsche ha chiamato «volontà di potenza». Quella spinta naturale per la quale un ciuffo d’erba tende ad allargarsi occupando lo spazio dei fili vicini.
Tuttavia nella storia e nell’indole umana è presente una forza particolare, che non ha la stessa evidenza nel mondo puramente naturale: quella dell’amore. È solo l’amore, quello cui si riferivano i fondatori della psicoanalisi col nome di Eros, a contrastare il vissuto inappagato e inquieto della solitudine (quella cui si ribella anche il primo uomo, Adamo, chiedendo al Signore una compagnia, uno sguardo, una voce).
Fu l’amore, oltre che la ricerca di alleanza, ad ispirare lungo la storia umana la solidarietà, il rispecchiarsi nell’altro, l’appartenenza. Sentimento complesso, l’appartenere ad altri, ad una patria, una classe, una comunità, una professione, arte o mestiere. Tuttavia è proprio lì che nasce l’identità, che non si costituisce certamente solo con quattro dati anagrafici. Ed è proprio l’identità, che rende meno forte, o più accettabile, il morso della solitudine. Come raccontano tante poesie, o lettere di emigranti, anche italiani: non sei veramente solo quando hai una Patria, una terra di origine, un popolo cui appartieni.
La famiglia, lo sguardo attento e amoroso della donna, dell’uomo, dei figli, è l’ultimo, importantissimo tratto di questo filo affettivo che ci lega al resto dell’umanità, indebolendo la solitudine e le sue patologie. Così, almeno è stato, con alterne vicende, nel corso del tempo.
Nell’epoca in cui viviamo la competizione economica ha però assunto un’importanza particolarmente vistosa, assicurando contemporaneamente un grande sviluppo della ricchezza (non altrettanto, pare, della felicità). La spinta a prevalere, a vincere e distaccarsi dall’altro ha così indebolito quella a legarsi, a cercare la solidarietà, l’essere insieme, l’amore appunto. L’interesse alla contrapposizione delle classi ha prevalso su quello della solidarietà tra tutto il popolo, quello della competizione tra i generi ha prevalso sull’amore tra uomo e donna, quello dei singoli territori su quello del benessere di tutta una Nazione.
Questa competizione universale non poteva restare esterna alla famiglia, oggi teatro di conflitti plurimi: padre-madre, genitori-figli, e quindi di nuove, profonde solitudini. Che diventano rapidamente terreno di crescita di ogni malessere e devianza.

di Claudio Risé

07 ottobre 2009

Sta per arrivare la morte del dollaro




Quasi a simboleggiare il nuovo ordine mondiale, gli Stati arabi hanno avviato trattative segrete con Cina, Russia e Francia per smettere di usare la valuta americana per le transazioni petrolifere.

Mettendo in atto la piu’ radicale trasformazione finanziaria della recente storia del Medio Oriente gli Stati arabi stanno pensando – insieme a Cina, Russia, Giappone e Francia – di abbandonare il dollaro come valuta per il pagamento del petrolio adottando al suo posto un paniere di valute tra cui lo yen giapponese, lo yuan cinese, l’euro, l’oro e una nuova moneta unica prevista per i Paesi aderenti al Consiglio per la cooperazione del Golfo, tra cui Arabia Saudita, Abu Dhabi, Kuwait e Qatar.



Incontri segreti hanno gia’ avuto luogo tra i ministri delle finanze e i governatori delle banche centrali della Russia, della Cina, del Giappone e del Brasile per mettere a punto il progetto che avra’ come conseguenza il fatto che il prezzo del greggio non sara’ piu’ espresso in dollari.

Il progetto, confermato al nostro giornale da fonti bancarie arabe dei Paesi del Golfo Persico e cinesi di Hong Kong, potrebbe contribuire a spiegare l’improvviso rincaro del prezzo dell’oro, ma preannuncia anche nei prossimi nove anni un esodo senza precedenti dai mercati del dollaro.

Gli americani, che sono al corrente degli incontri – pur non conoscendone i dettagli – sono certi di poter sventare questo intrigo internazionale di cui fanno parte leali alleati come il Giappone e i Paesi del Golfo. Sullo sfondo di questi incontri valutari, Sun Bigan, ex inviato speciale della Cina in Medio Oriente, ha sottolineato il rischio di approfondire le divisioni tra Cina e Stati Uniti in ordine alla loro influenza politica e petrolifera in Medio Oriente. “Le dispute e gli scontri bilaterali sono inevitabili”, ha detto all’Africa and Asia Review. “Non possiamo abbassare la guardia in merito all’ostilita’ che fronteggiamo in Medio Oriente sugli interessi energetici e la sicurezza”.

Questa frase ha tutta l’aria di una previsione pericolosa su una futura guerra economica tra Stati Uniti e Cina per il petrolio mediorientale – con il pericolo di trasformare i conflitti della regione in una lotta di supremazia delle grandi potenze. L’incremento della domanda di petrolio e’ piu’ marcato in Cina che negli Stati Uniti in quanto la crescita cinese e’ meno efficiente sotto il profilo energetico. Abbandonando il dollaro i pagamenti, stando a fonti bancarie cinesi, potrebbero essere effettuati in via transitoria in oro. Una indicazione della gigantesca quantita’ di denaro di cui si parla puo’ essere desunta dalla ricchezza di Abu Dhabi, Arabia Saudita, Kuwait e Qatar che insieme hanno, stando alle stime, riserve in dollari per 2.100 miliardi.

Il declino della potenza economica americana strettamente connesso all’attuale recessione globale e’ stato riconosciuto dal presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick. “Una delle conseguenze di questa crisi potrebbe essere l’accettazione del fatto che sono cambiati i rapporti di forza economici”, ha detto a Istanbul prima delle riunioni di questa settimana del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Ma e’ stato il nuovo straordinario potere finanziario della Cina – non disgiunto dalla rabbia sia dei Paesi produttori che dei Paesi consumatori di petrolio nei confronti del potere di interferenza degli Stati Uniti nel sistema finanziario internazionale – a stimolare i recenti colloqui con i Paesi del Golfo.

Brasile e India si sono mostrati interessati a far parte di un sistema di pagamenti non piu’ basato sul dollaro. Allo stato la Cina appare la piu’ entusiasta tra le potenze finanziarie, non fosse altro che per il suo gigantesco interscambio commerciale con il Medio Oriente.

La Cina importa il 60% del petrolio che consuma, per lo piu’ dal Medio Oriente e dalla Russia. I cinesi hanno concessioni petrolifere in Iraq – bloccate fino a quest’anno dagli Stati Uniti – e dal 2008 hanno un accordo da 8 miliardi di dollari con l’Iran per lo sviluppo delle capacita’ di raffinazione e delle risorse di gas. La Cina ha contratti petroliferi in Sudan (dove ha sostituito gli Stati Uniti) e da tempo sta negoziando concessioni petrolifere in Libia dove tradizionalmente questo genere di accordi e’ del tipo joint venture.

Inoltre le esportazioni cinesi verso la regione ammontano ora a non meno del 10% delle importazioni di tutti i Paesi del Medio Oriente e includono una vasta gamma di prodotti che vanno dalle automobili agli armamenti, ai generi alimentari, al vestiario e persino alle bambole. Riconoscendo esplicitamente il crescente peso finanziario della Cina, il presidente della Banca Centrale Europea, Jean-Claude Trichet, ha chiesto l’altro ieri a Pechino di consentire alla yuan di apprezzarsi sul dollaro e, di conseguenza, di diminuire la dipendenza della Cina dalla politica monetaria americana contribuendo cosi’ a riequilibrare l’economia mondiale e ad alleggerire la pressione al rialzo sull’euro.

Dagli accordi di Bretton Woods – gli accordi conclusi dopo la seconda guerra mondiale che ci hanno tramandato l’architettura del moderno sistema finanziario internazionale – i partner commerciali degli Stati Uniti hanno dovuto affrontare le conseguenze della posizione di controllo di Washington e, negli anni piu’ recenti, dell’egemonia del dollaro in quanto principale valuta di riserva.

I cinesi credono, ad esempio, che siano stati gli americani a convincere la Gran Bretagna a non entrare nell’euro per impedire una fuga dal dollaro. Ma secondo le fonti bancarie cinesi i colloqui sono andati troppo avanti per poter essere bloccati. “Non e’ da escludere che nel paniere delle monete entri anche il rublo”, ha detto un importante broker di Hong Kong all’Indipendent. “La Gran Bretagna e’ presa in mezzo e finira’ per entrare nell’euro. Non ha scelta in quanto non potra’ piu’ usare il dollaro americano”.

Le fonti finanziarie cinesi sono convinte che il presidente Barack Obama sia troppo occupato a rimettere in piedi l’economia americana per concentrarsi sulle straordinarie implicazioni della transizione dal dollaro ad altre valute nel volgere di nove anni. Al momento la data fissata per l’abbandono del dollaro e’ il 2018.

Gli Stati Uniti hanno fatto appena cenno a questo problema in occasione del G20 di Pittsburgh. Il governatore della Banca centrale cinese e altri funzionari da anni sono preoccupati per la situazione del dollaro e non ne fanno mistero. Il loro problema e’ che gran parte della ricchezza nazionale e’ in dollari.

“Questi progetti cambieranno il volto delle transazioni finanziarie internazionali”, ha detto un banchiere cinese. “Stati Uniti e Gran Bretagna debbono essere molto preoccupati. Vi accorgerete di quanto sono preoccupati dalla pioggia di smentite che questa notizia scatenera’”.

Alla fine del mese scorso l’Iran ha annunciato che le sue riserve in valuta estera saranno in futuro in euro e non in dollari. I banchieri ricordano, naturalmente, quanto e’ capitato all’ultimo Paese produttore di petrolio del Medio Oriente che ha tentato di vendere il petrolio in euro e non in dollari. Pochi mesi dopo che Saddam Hussein aveva comunicato la sua decisione ai quattro venti, gli americani e gli inglesi hanno invaso l’Iraq.

di Robert Fisk

Fonte: www.independent.co.uk