15 marzo 2010

La "democratura"


Quando dico che odio e disprezzo la democrazia, in fondo non dico nulla di male; nel senso che esprimo una mia opinione politica tutt'ora non vietata dal governo. In fondo, quello che chiedo e' che il dittatore sia dichiaratamente tale, ovvero si prenda l'incarico pubblico di governare e prendere decisioni. Quello che mi urta e' vedere avanzare una dittatura che continua a chiamarsi democrazia, che unisce i lati peggiori della dittatura a quelli peggiori della democrazia. Temo, cioe', una "democratura", cioe' una dittatura senza i vantaggi di una dittatura (decisioni rapide, anche impopolari, decise e mirate).

Un tempo i rossi stavano tutto il tempo a gridare di "fascismo strisciante" , ipotetico ente che si proponeva di introdurre un regime mussoliniano in maniera non dichiarata; direi che ormai si sia arrivati allo stalinismo strisciante; con la sola differenza che Stalin comunque le decisioni le prendeva , mentre tutto quello che rischiamo di ottenere e' un regime persecutorio senza alcun leader capace di prendere effettivamente delle decisioni.

Prendiamo per esempio questa intervista.

Non mi interessa tanto se Brunetta si sente spiato o meno, o se possa coccolarsi con la sua Titti al telefono, la cosa veramente spaventosa sono le risposte del giornalista.

Il primo strumento persecutorio messo in atto dal giornalista e' il seguente: se non fai nulla di male, devi lasciarti spiare. Questo modo di fare stabilisce il diritto di ogni magistrato di entrare nella vita privata di chiunque, tanto comunque "se non hai nulla da nascondere che cosa ti importa?".

L'equazione e' pericolosissima, perche' si stabilise l'equivalenza tra cio' che non volete mostrare ad altri e cio' che e' illegale; in pratica si sta affermando che il privato in se' sia illegale; nel momento in cui pretendete di tenerne fuori gli altri , allora siete sicuramente dei criminali.

Cosi', suppongo che l'uomo di sinistra non abbia alcun problema se un magistrato assista alle sue copule con la moglie : ha forse qualcosa da nascondere, per cui non vuole magistrati in camera da letto?

Certamente, quello che uno fa con la propria moglie o fidanzata e' qualcosa di legittimo, tuttavia non vogliamo che un magistrato vi assista, diciamo appunto che sia "privato". Ma in maniera molto strisciante si afferma che il privato sia un crimine, perche' se vuoi tenere privato qualcosa allora hai qualcosa da nascondere, ergo sei un criminale.

Si instaura cosi' il primo caposaldo dello stalinismo strisciante: se non vuoi la microspia in casa sei un criminale (perche' hai qualcosa da nascondere) , se non vuoi essere seguito e ripreso al cesso sei un criminale (perche' hai qualcosa da nascondere), se ti piacerebbe rimanere solo (senza un magistrato ad assistere) con la tua fidanzata allora hai qualcosa da nascondere; in tutti i casi il solo fatto che tu non voglia essere spiato testimonia che tu sei un criminale.

Faccio notare con quale subdola malvagita' si introduca il discorso nell'intervista.

Dunque, grazie a Di Pietro e ai suoi sbirri si afferma il primo principio del regime persecutorio:

Chi non accetta di essere spiato e' un criminale, se non vuoi che il magistrato sia presente nella tua vita intima sei un criminale, o almeno sospetto, se vuoi rimanere solo sei un sospetto, ovvero un criminale. Se non accetti la microspia sei un criminale.
Questo e' il primo bastione del regime pseudocomunista che ci aspetta: per essere sospetti bastera' pretendere che uno spazio sia privato, che il magistrato (e in seguito i giornali, ergo tutta la popolazione) non vi possano ficcare il naso, per essere sospetti. Avete qualcosa da nascondere se volete rimanere soli con la vostra fidanzata, avete qualcosa da nascondere se non volete un magistrato che vi guarda mentre siete a letto con vostra moglie, siete pertanto criminali, o almeno degni di sospetto.

L'abolizione del privato, cioe', come vuole ogni regime comunista. Eppure, senza i vantaggi di tale regime; ovvero senza una decisa persecuzione del crimine (la magistratura ormai non si dedica ad altro che alla politica) , una maggiore sicurezza sulle strade, eccetera.

Il secondo assunto , il secondo pilastro dello stalinismo strisciante, e' quello che il giornalista rinfaccia a Brunetta: ma con le intercettazioni abbiamo preso i mafiosi. Certo; del resto grazie alla tortura Berija ha catturato spie , nazisti e criminali di vario genere, spezzando nel dolore il legame di omerta' delle varie Combinazjie locali.

Cosi', ecco la seconda equazione stalinista che sta passando sui media grazie a Di Pietro oggi: "poiche' questo strumento colpisce il criminale, e' lecito che colpisca anche te, e che colpisca chiunque". Si tratta della classica paranoia da regime sovietico: ovunque c'e' un sabotatore, ovunque c'e' un agente dello spionaggio occidentale, ovunque c'e' un controrivoluzionario, e poiche' il crimine e' ovunque, allora e' giusto che ovunque sia il controllo.

Non si tratta di cose che non si sono mai viste; questa dialettica e' sempre stata presente; insomma, siccome spiare il mafioso e' utile, allora e' giusto spiare chiunque. Certo, certo, poi si obietta che la magistartura per spiare debba chiedere un permesso alla magistratura, e se spia troppo dovra' risponderne alla magistratura, ma tant'e': la seconda equazione dello stalinismo strisciante, del quale un certo popolo non puo' liberarsi perche' ce l'ha dentro, e' questa: "siccome uno strumento e' utile contro i criminali puo' essere usato su tutti". Quindi carcere per tutti, quindi tribunale per tutti, quindi persecuzione e inquisizione per tutti.

Questa palla va poi sostenuta; e la si sostiene menzionando una palla, che tra l'altro sconfina nel mio mestiere: "anche in Germania intercettano".

Eh, no, non proprio. Certo che anche in germania la polizia puo' intercettare se le serve, ma lo fa in un modo MOLTO diverso.

Quando la polizia tedesca chiede un'intercettazione, e ripeto "chiede", non fa altro che chiedere alla/e telco la seguente cosa "intercettate tutte le chiamate dal numero 123456789 al numero 987654321".

Sia il primo che il secondo numero sono GIA' iscritti in qualche inchiesta, e l'intercettazione viene usata per TROVARE le prove, e non per CERCARLE. In Italia le cose non vanno proprio cosi': per mettere in piedi qualsiasi servizio di telefonia, bisogna garantire l'intercettabilita', il che significa molto semplicemente che la magistartura ha libero ed incontrollato accesso a tutto e a tutti.

Chi lavora a tali servizi non si fa alcun problema a intercettare la moglie se sospetta sia fedifraga, ad intercettare i colleghi se per motivi di invidia intende rovinarli, ad intercettare persone per ricattarle, a prendersi le utenze telefoniche che vuole di chi vuole, per poi produrre delle vere e proprie persecuzioni. Tutto questo NON e' possibile e NON viene fatto in Germania.

Ma specialmente, in Germania se un magistrato OSA intercettare senza ragione o senza trovare nulla DI INERENTE ALL' INCHIESTA CHE STA MANDANDO AVANTI , DEVE distruggere tutto quanto immediatamente, altrimenti rischia di venire letteralmente rovinato da chi scoprisse di essere stato intercettato in quel modo.

Secondo : quando in Germania il magistrato fa la richiesta, chiede di intercettare per il periodo che va da A a B , e non si limita ad intercettare per anni ed anni di fila, sino a quando non trova qualcosa, come invece e' prassi fare in Italia.

Quindi no, ancora una volta si fa pensare il falso, si mente sapendo di mentire: l'intercettazione con le tutele degli altri paesi e' una cosa molto diversa da quella italiana; tra l'altro alcuni enti godono , in Italia, della misteriosa (e anticostituzionale) possibilita' di intercettare e inserire microspie senza ordine del magistrato. Sapete bene di quale ente io stia parlando. E no, non sono i servizi segreti.

Ora, come ho detto non ho nulla contro una dittatura; e se lo stalinismo che si sta costruendo fosse uno stalinismo con Stalin, ovvero con un governo che prende una nazione di contadini e ne fa una superpotenza, potrei anche assentire. Parigi val bene una messa.

Il problema e' che dietro questo stalinismo non c'e' Stalin, c'e' Di Pietro e Bersani e D'alema, cioe' personaggi il cui scopo e' di sistemare la famiglia e arricchire. Non vedo quale sia la Parigi che val bene una messa.

Se uno Stalin mettesse piede in Italia, indubbiamente saremmo spiati in continuazione, ma perlomeno scomparirebbero mafie, camorre, ndranghete e compagnia bella(1), e (come accadeva all'epoca in URSS) una donna potrebbe tornare a casa di notte da sola dal lavoro senza il minimo timore che le accadesse qualcosa di male.

Il problema e' che il prezzo che ci viene chiesto di pagare, cioe' la dittatura dei magistrati, non porta nessun beneficio: il magistrato non combatte il mafioso (tentevvero che ad essere vuote sono le procure del Sud piu' che al nord) se non e' anche amico di un politico , se non ci sono elezioni in vista, eccetera; nulla di simile alla sicurezza totale del periodo stalinista.

Tutto quello che Di Pietro e Bersani faranno sara' di impostare un potere sbirresco , che pero' non avranno il coraggio di chiamare dittatura, e poiche' non avranno mai il coraggio di farlo non potranno mai prendere le decisioni draconiane che il paese aspetta; metteranno telecamere e microspie ovunque, ascolteranno ogni telefonata, ci guarderanno mentre siamo nell'intimita' con i nostri cari, ma non ci guadagneremo nulla in termini di ordine e di potenza nazionale.

I paradigmi dello sbirro sono gia' presenti in entrambi, e ben forti:

1. Se non vuoi essere spiato hai qualcosa da nascondere, quindi sei un criminale o almeno sospetto.
2. Siccome spiare si fa per combattere il crimine, chi non vuole essere spiato , casomai non fosse criminale lui stesso, sta coi criminali.


Sino a pochi anni fa, solo a sentir parlare di intercettazioni indiscriminate i Radicali e la sinistra si sarebbero inalberati; e' un'idea di sinistra il "garante della privacy", perche' un tempo non c'erano ancora queste pulsioni sbirresche, perche' all'epoca lo sbirro perseguitava loro, perche' temevano davvero il ritorno del fascismo.

Oggi, invece, le cose sono invertite: i nuovi fascisti sono a sinistra, i nuovi sbirri sono a sinistra, quelli che vogliono spiare tutti sono a sinistra.

Con la sola differenza che, come tutti gli sbirri, non hanno neanche gli attributi di dirlo: perche' almeno Di Pietro dicesse che vuole essere il nuovo Duce, almeno gli si potrebbero chiedere bonifiche , ospedali e ordine sulle strade; ma Di Pietro vi dira' che no, lui fara' la vera democrazia, con tutti i suoi difetti, quindi scordatevi la giustizia se non colpisce i suoi nemici politici, scordatevi la legge se non e' politica, scordatevi le opere ; bloccarle e' molto piu' remunerativo che farle costruire sul piano politico.

Personalmente, siete liberi di costruirvi sotto gli occhi una dittatura che non fa il proprio mestiere perche' racconta di essere una democrazia, io piano piano mi sto preparando una via di fuga, una ratline come si diceva nel 1945. E no, non ho cose da nascondere: ho semplicemente cose che non voglio mostrare a tutti.

Ve lo godrete voi; di certo non vi lamentate se qualche filmato "amatoriale" di voi con vostra moglie finisce su internet. Magari qualche maresciallo voleva vendicarsi perche' gli avete fatto uno sgarbo nel condominio.

Non avrete mica qualcosa da nascondere, criminali che non siete altro?

Note

(1) Stalin , alla peggio, avrebbe semplicemente sterminato tutti gli abitanti di Napoli, e se necessario della Campania. Quando si usano certi mezzi, il mafioso non ha scampo.

di Uriel

13 marzo 2010

Perché la catastrofe è inevitabile





In risposta a keynesiani nonché alcuni marxisti

Mi corre l’obbligo di rispondere all’accusa secondo cui le nostre analisi della crisi sarebbero viziate da un “catastrofismo pregiudiziale”. Non ci riferiamo anzitutto a coloro i quali credono ancora al mito delle magnifiche sorti e progressive del capitalismo. Parliamo piuttosto dei keynesiani alla Krugman (per i quali il debito non è mai un vero problema e diventa anzi un toccasana in caso di ciclo depresso) e ad analisti che si rifanno a linee di pensiero anticapitalistiche. Questi analisti, keynesiani e/o anticapitalisti latu sensu, sostengono che il capitalismo “non crollerà per il debito pubblico degli stati, né per la somma di questo con quelli privati”. Dicono anzi, svelando un certo “complottismo”, che alcune grandi consorterie finanziarie stanno esagerando artatamente la portata della “crisi da debito”, proprio per abbindolare l’opinione pubblica, per far sì che i popoli accettino un gigantesco e verticale drenaggio di ricchezza dal basso verso l’alto, allo scopo di rilanciare i processi di accumulazione e valorizzazione.

Chiamo queste visioni della crisi “visioni cieche”. Cieche perché, come spiegherò più avanti, esse, mentre danno credito alla tesi minimalista dei governi occidentali per cui quella attuale sarebbe “solo” una crisi da debito, essi si ostinano a non riconoscere la metamorfosi subita dal capitalismo imperialista, perché non sono in grado di vedere la mutazione qualitativa avvenuta nel corpo del capitalismo, cioè il passaggio al turbo-capitalismo.
E siccome occorre dare un nome alle cose, chiamo questa mutazione, nichilistica pulsione di morte. Incapaci di riconoscere questa metamorfosi, questo salto mortale, i nostri visionari ciechi non sono dunque in grado di cogliere la peculiarità della crisi attuale e cosa la differenzia rispetto a quelle precedenti.


Tabella 1


Anzitutto vorrei sgombrare il campo da un equivoco: chi scrive non è un “crollista”, ovvero non è un seguace delle teorie di Luxemburg e Grossmann, secondo cui il capitalismo, motu proprio, è destinato a crollare su se stesso. Quantomeno esso non crollerà in virtù della marxiana legge della “caduta tendenziale (ineluttabile) del saggio di profitto”. Ho avuto modo di spiegare, in accordo con Sweezy, perché questa legge ha dimostrato la sua fallacia, che non c’è nessuna tendenza suprema per cui il capitalismo sia meccanicamente destinato al crollo finale.


Tabella 2


Le catastrofi economico sociali sono invece non solo possibili, ma hanno segnato la storia stessa del capitalismo. Ogni grande ciclo di sviluppo del capitalismo è diviso da quello successivo, da periodi di crisi generale o storico-sistemica, da periodi di catastrofe con relativi sconquassi sociali e geopolitici, dai quali è sempre emerso un diverso modello sistemico, una differente configurazione della formazione sociale. Ciò è empiricamente verificabile senza neanche scomodare la teoria delle Onde (o cicli lunghi di 50-70 anni) di Kondratiev, poi ripresa da Mandel e J. Shumpeter.
In risposta ai critici vorrei ribadire perché l’attuale crisi, da disastrosa quale già è, è destinata a divenire “catastrofica”, segnalando le sue specificità, che vanno ben al di la della questione del debito (pubblico o privato), ma attengono ai meccanismi nativi di quello che abbiamo chiamato turbo-capitalismo o, il che fa lo stesso, capitalismo-casinò.


Tabella 3


Sulle cause più profonde che hanno generato il turbo-capitalismo rimando all’intervento «La teoria marxista e il collasso dell’economia capitalistica», non senza segnalare, per amore di chiarezza, che esse convergono tutte su due punti causali focali.


Tabella 4


Anzitutto la crisi generale di sovrapproduzione fattasi avanti già alla fine degli anni ’60, la quale si manifestò nel più classico dei modi. Quando non più solo per un settore ma per la maggior parte di essi, diventa impossibile vendere le merci ad un prezzo che riconsegni non solo il loro valore (che sta per il tempo di lavoro in esse materializzato e che deve essere uguale al tempo di lavoro socialmente necessario alla loro produzione, Marx docet) ma pure il plusvalore (crisi di realizzo o di svalorizzazione) abbiamo la crisi generale di sovrapproduzione, alla quale fanno seguito una recessione (la cui durata e profondità è sempre relativa) e, data la concorrenza, la “distruzione creativa” delle forze (meno)produttive e dei capitali (meno)redditizi.

Il secondo punto causale focale è di natura storica e politica, ovvero l’avanzata delle rivoluzioni sociali antimperialiste e anticapitaliste, e di cui la “guerra fredda” era un… derivato. Sul finire degli anni ‘60 il capitalismo imperialista stava perdendo la partita e, per non soccombere, ovvero per riconquistare la sua supremazia, doveva rifondarsi. Doveva escogitare un sistema, sia per finanziare i costi crescenti della sua macchina bellica (allo scopo di contrastare i movimenti antimperialisti e l’espansione dell’URSS), sia per alimentare la cosiddetta “società opulenta” (ovvero conservare e accrescere gli standard di vita e la capacità di consumo dei popoli dei centri imperialistici allo scopo di tenere fuori dalla mura l’ondata rivoluzionaria).

E’ per risolvere questi due fattori combinati di crisi (sovrapproduzione generale e declino dell’egemonia geopolitica imperialistica), che prese il via la rifondazione imperialistica nella forma specifica del turbo-capitalismo. L’evento simbolico che segnò questo passaggio l’avemmo nel 1971, quando l’amministrazione Nixon soppresse la convertibilità tra dollaro e oro, facendo così crollare uno dei pilastri del sistema di Bretton Woods (tra cui il principio secondo cui le banconote e altro denaro creditizio dovevano essere, almeno in larga parte, garantite dall'oro). Svincolate dall’obbligo di ancorare la moneta alle riserve auree, le autorità americane tracciano il solco su cui si svilupperà il capitalismo-casinò.

Come ho detto il limite principale dei keynesiani come di certi marxisti, è che essi non riconoscono le specificità del turbo-capitalismo, non vedono le profonde differenze tra oggi e ieri e, al massimo non vanno oltre all’analogia con la crisi del ’29 o quella degli anni ’70. Non vedono insomma che gli stessi fenomeni del debito e della speculazione, pur avendo le sembianze di sempre, sono del tutto diversi, non solo per le loro dimensioni incomparabili, ma per le loro diverse dinamiche e natura.

Il tratto peculiare decisivo che contraddistingue il turbo-capitalismo è che il capitalismo finanziario ha totalmente sussunto tutte le altre sfere dell’universo capitalista, compresa quella della produzione. Di più, il capitalismo finanziario di cui stiamo parlando non è quello di un tempo, risultato della fusione tra quello industriale e bancario, oggi abbiamo un capitalismo finanziario sui generis, un capitalismo finanziario usuraio fondato sullo strozzinaggio e l’aggiotaggio sistemici. Un capitalismo-truffa che ha oltrepassato il confine tra legalità e illegalità, che ha trasformato la circolazione in un gioco d’azzardo, in una bisca planetaria con sue proprie regole e meccanismi, dove i flussi e gli scambi avvengono over-the-counter, operano cioè alle spalle delle istituzioni e delle stesse borse tradizionali.

A questo fenomeno corrisponde che nell’ambito della classe dominante lo strato dominante non è più rappresentato dai capitani d’industria e nemmeno dai banchieri istituzionali, ma dagli avventurieri della finanza speculativa, a loro volta consorziati in organismi che possono muovere e investire in tempo reale cifre colossali, tali da poter condizionare se non determinare le decisioni non solo delle grandi holding multinazionali ma degli stessi governi, compreso quello degli Stati Uniti.
Affermava Henryk Grossmann: «Così la speculazione comincia proprio nella depressione. Dal punto di vista economico privato, l’investimento in borsa è fruttifero come qualsiasi altro. L’“investimento” in borsa però non crea né valore né plusvalore. Esso ha per scopo soltanto un aumento dei corsi e trasferimenti di capitale. Questo capitale si rivolge alla borsa, dimenticando il carattere illusorio di questi investimenti». [La legge dell’accumulazione e il crollo del capitalismo].

Questo poteva essere vero ai tempi di Grossmann. Ma cosa vuole dirci Grossmann? Vuole dirci che le performances delle borse, i loro slanci come i loro crolli, sono sempre e solo epifenomeni, sempre effetti e non cause delle grandi crisi, i “fondamentali” essendo sempre sottostanti, costituiti dai Capitali che producono o non producono plusvalore. Il fatto è che la quantità si è trasformata in qualità: la massa di denaro e titoli che possono oggi essere mossi dai soggetti dediti alla speculazione finanziaria (quelli deputati a creare denaro dal nulla, denaro dal denaro) sono talmente ingenti da condizionare l’economia reale, da causare il deragliamento del ciclo economico complessivo. Ciò che un tempo poteva essere considerato un effetto, oggi è diventato la causa. Ed è proprio questo è il segno distintivo dell’attuale crisi, ciò che la differenza da quelle precedenti: che nel turbo-capitalismo l’economia cartacea, il gioco d’azzardo, hanno assunto tali proporzioni che, come accaduto nel 2007-08, possono causare il crollo della cosiddetta “economia reale”, ovvero non solo una “bolla”, ma la recessione la quale, dato che pure i vecchi “fondamentali” traballano (crisi generale di sovrapproduzione), può sfociare in vera e propria depressione.

Oggi, nell’ambito del turbo-capitalismo, abbiamo che questi “fondamentali” sono diventati subordinati, considerati “attività sottostanti”. Abbiamo che la sfera finanziaria si è autonomizzata, da “sottostante” è diventata “sovrastante” rispetto alla vera e propria produzione di merci oramai del tutto surdeterminata. Abbiamo che la gran parte degli investimenti globali si muove non più sul terreno degli investimenti produttivi ma in quello della scommessa per fare denaro dal denaro. Se ieri si vendevano e compravano azioni oggi si comprano e vendono montagne di pezzi di carta chiamati titoli, ma titoli che sono scommesse a termine sull’andamento dell’attività “sottostante” (gli assets di un’azienda, di una banca, di un fondo statale o sovrano, o un pacchetto di tutte queste cose), scommesse per cui si possono guadagnare immense somme non solo grazie alla buona performance dell’attività “sottostante” ma spesso grazie alla previsione del suo default (vedi i vari Derivati: Future, Warrant, Cdo, Cds, Irc, ecc). Come se non bastassero queste sofisticate diavolerie, che in caso di “cattivo investimento” possono dissipare tutto il denaro impiegato, la smania di ottenere anche il 100% ha partorito il cosiddetto Leverage, o effetto leva, un moltiplicatore che può far perdere addirittura più del capitale impiegato nell’operazione speculativa.

Per comprendere fino a che punto quest’andazzo abbia permeato tutto il sistema, basti pensare che la quota di riserva di riserva chiesta ad una banca è solo il 10%, ovvero per un dollaro reale in pancia, la banca può prestarne dieci. Da qui il meccanismo perverso di transustanzazione per cui le banche confezionano e spacchettano questi debiti, spesso inesigibili, immettendoli sul mercato come di titoli di credito (altro che bolla dei muti subprime!). E le banche non hanno fatto che seguire, stemperandola, la tendenza vigente nel mondo dei Derivati, per cui ogni dollaro investito garantisce 20 o 30 dollari di capitale a prestito.

Il fatto è che con la globalizzazione e il tempo reale consentito dall’introduzione dei computer, questo immane gioco d’azzardo fluisce grazie alle linee telematiche e si muove in base ad automatismi suoi propri, seguendo le istruzioni di sofisticati software e algoritmi. Il flusso sfugge quindi ad ogni controllo pubblico o delle autorità monetarie, non passa come detto per le borse ma, appunto, over the counter, in un labirintico e globale mercato alternativo.

Nel 2006 ogni giorno si muovevano Derivati per un valore di 2,4 trilioni di dollari ogni giorno (secondo il sistema anglosassone 1 trilione equivale ad un milione di miliardi). Secondo stime della Banca dei regolamenti Internazionali di Basilea, sempre nel 2006, i Derivati ammontavano alla iperbolica cifra di circa 400 trilioni di dollari, 7 volte il Pil mondiale. [Vedi sopra tabella n.1].
Nel giugno 2007 si era raggiunta la cifra di 516 trilioni (fonte: Bank for International Settlements)

Tra questi Derivati quelli che hanno conosciuto un incremento gigantesco sono i “Derivati sul credito”, nati nel 1999 e che secondo le stime della IDSA (International Swaps and Derivatives Association) sono raddoppiati tra il 2004 e il 2005. E tra i “Derivati sul credito”, ci sono i famigerati Credit Default Swap (CdS), qualcosa di molto simile ad una polizza assicurativa a copertura del rischio d’investimento. Certo, anche piccoli o piccolissimi risparmiatori, alla caccia di guadagni rapidi, utilizzando le reti telematiche e affidandosi a software di calcolo algoritmico freeware [guardate i diagrammi d questi calcoli logaritmici per rendervi conto della loro diavoleria], utilizzano questo strumento. Ma la vera e propria esplosione dei Cds dopo il 2004 si spiega solo a patto di ammettere che sono stati proprio grandi hedge fund e gli stessi investitori istituzionali (dalle banche centrali, ai governi, giù giù fino agli enti locali italiani) a farvi ricorso.
I dati anche in questo caso parlano chiaro: nel giugno 2006 gli swaps e le opzioni sui tassi d’interesse e sulla moneta ammontavano a 213mila miliardi di dollari con un aumento annuo del 16%. Nello stesso periodo gli swaps sulle insolvenze creditizie sono aumentati di 4mila miliardi, ovvero del 48%. [dati della ISDA, International Swaps and Derivatives Association - Vedi sopra tabella n.2].

Un’altra tipologia di Derivati e/o di Futures sono gli Interest Rate Contracts (Irc), una sorta di scommessa sul movimento dei tassi d’interesse al di sopra o al di sotto di una certa soglia di riferimento. Gli Irc hanno anch’essi conosciuto un’esplosione dalla fine degli anni ’90 al 2006, costituendo ben il 69% dei Derivati presenti sui mercati pari a 292mila miliardi di dollari. [dati della Bank of International Settlement – Vedi sopra tabella n.3]
Esistono altre tipologie di Derivati, anch’essi cresciuti a dismisura nella prima metà del decennio [vedi sopra tabella n. 4].

Il gioco d’azzardo dei Derivati, l’aggiotaggio, la speculazione, rappresentano un fenomeno talmente colossale che ha squassato non solo le tradizionali dinamiche borsistiche ma pure il sistema dei cambi, i rapporti tra le valute, la relazione tra banche e aziende, che condiziona le banche centrali e le politiche economiche dei governi. Lo stesso sistema monetario è stato stravolto. Tanto per farsi un’idea: se, com’è giusto, consideriamo denaro anche i titoli che vengono scambiati nelle borse e over the counter, abbiamo che solo il 3% è rappresentato dalle banconote stampate dalla zecche, mentre il restante 97% è creato dalla banche commerciali e d’affari che sono in mano a privati e non debbono rendere conto a nessuno.

Siamo in presenza di un sistema impazzito, ove la regola aurea non è più “la produzione di merci a mezzo di merci”, bensì “la creazione di denaro per mezzo di denaro”. Di fronte a questo sistema, cresciuto a dismisura negli anni ’90, e nei primi anni di questo secolo, vi fu chi mise in guardia del rischio di un crollo, che si stava andando verso la cosiddetta “crisi di follia”. Queste voci, per quanto autorevoli, non vennero ascoltate, e anche se lo fossero state sarebbe stato troppo tardi per fare dietro front. Un dietro front che, al di là delle belle promesse della Fed o della BCE, non c’è stato nemmeno dopo l’implosione del sistema bancario nordamericano del settembre 2008. Passata la buriana il gioco d’azzardo è ricominciato bellamente, e sta divorando, come un Moloch, la nuova liquidità messa in circolazione dai governi e dagli stati.

Non può esservi alcun dubbio che, pur dovendosi evitare ogni meccanicismo, c’è un rapporto di causa effetto tra l’esplosione del gioco d’azzardo e l’ingresso dell’economia occidentale nel tunnel della recessione nel 2007-08, aggravatasi nel 2009 e di cui non si vede l’uscita. Recessione che avrebbe avuto effetti ancor più catastrofici, non avessimo avuto, ancor più che i piani di salvataggio dei governi (che hanno trasformato il debito privato di grandi banche piene di “titoli tossici”, leggi: invischiate nel gioco d’azzardo dei Derivati, in debito pubblico), la tenuta economica e lo slancio persistente di paesi “emergenti” come la Cina, che si è dimostrata essere la vera e propria locomotiva dell’economia mondiale. Se si fosse fermata anche questa un terremoto scala dieci della scala Richter sarebbe senza alcun dubbio già accaduto. Questo per dire che il declinante capitalismo occidentale è appeso alle performances del capitalismo cinese. Ove anch’esso s’inceppasse un crack di dimensioni ciclopiche sarebbe inevitabile.
Warren Buffet, non un bolscevico, ebbe modo di dire che i diversi strumenti utilizzati dalla speculazione finanziaria sono nient’altro che “armi di distruzione di massa”. Chi crede che tutto questo Ambaradan sia un “gioco a somma zero” si sbaglia. Il capitalismo è una macchina guidata da un ente impersonale che la sta portando verso il baratro di una depressione che avrà conseguenze sociali e geopolitiche, per l’appunto, catastrofiche.
di Moreno pasquinello

GlGli usurai pagavano la repressione: Rex Denariorum


"Interesse: bella parola per usura. Finanza: bella parola per furto." Matthäus Schwarz

Se Marx ed Engels s'erano occupati della guerra dei contadini perfino discutendo, come si è visto, il testo teatrale di Lassalle Franz von Sickingen, certamente volentieri avrebbero letto un la­voro drammatico di quasi trent’anni fa, ricco del senno e delle co­noscenze del poi, e dedicato allo stesso evento.

Nel testo di Bloch, dove tanto si parla di cose occulte, v'è un occulto cui non si fa cenno, ma che veramente sta al di sotto di tut­ta la vicenda dei contadini e delle azioni di Müntzer e Lutero e condiziona la storia della Germania, non solo di allora. Questo oc­culto è il capitale, di cui invano si cercherebbe la traccia in tanti te­sti dedicati alla guerra deí contadinz; che tanto si occupano, invece, di beghe teologali. Va dunque segnalato un testo teatrale di Dieter Forte, scritto negli anni 1968-1970 (e si percepisce benissimo!), che dichiaratamente non tratta di teologia (171), ma, narrando i casi della rivolta, intrecciati con quelli di Lutero e Müntzer, valendosi di documenti "rigorosamente storici'' (172), finalmente mette in scena anche il personaggio del banchiere Jacob Fugger, che di quegli eventi è il deus ex machina. Più precisamente e giustamente, non Jacob, ma il suo capitale, che lo domina e lo fa agire, governa tutta quella storia. Non inserendosi in particolare nella diatriba Lutero/Müntzer e neppure nell'evento della disfatta contadina presso Frankenhausen, ma interagendo anche con esse, in quanto decisi­va potenza mondiale. Alla morte di Jacob Fugger, al termine del 1525, infatti "il capitale totale della società Fugger era (...) il più grande del mondo" (173): dunque superava in potere economico qualsiasi regno ed impero e lo condizionava, come accadde nell'emblematico caso dell'elezione dell'imperatore Carlo V, quando Fugger corruppe gli elettori imperiali con 545.585 fiorini e, da quel momento, ebbe in mano il più potente monarca della terra, suo debitore, come osò ricordargli anche in una famosa let­tera: "È noto ed evidente che senza di me Vostra Maestà non avrebbe potuto ottenere la corona romana, come io posso dimo­strare con lo scritto di tutti i vostri imperiali commissari" (174).

D'altra parte, prestava delicati servizi anche al papa. Asseri­sce Lutero, nelle Tischreden: "Su di un messo che era stato disar­cionato, furono trovate delle lettere papali indirizzate ai Fugger, che contenevano l'invito a dare a Lutero trecento fiorini, perché tacesse" (175)! Se questo finanziamento avesse raggiunto i suoi scopi, la Riforma non sarebbe forse nata, il che svela i profondi rapporti che possono esserci fra banca e religione, capitale e spirito! Non solo Jacob Fugger poteva esclamare: "Ho nella mia borsa Papa e Imperatore" (176( (era primo banchiere e coniatore di monete per la Santa sede, anch'essa ampiamente indebitata con lui), ma poteva imporre e distribuire cariche laiche ed ecclesiastiche a suo piaci­mento. Impone a forza la nomina del vescovo di Augusta, nel 1517 (177). E’ pronto a prestare all'imperatore Massimiliano 300.000 fiorini, perché sia nominato papa, alla morte di Giulio II; solo che quel papa non muore e sfuma la corruzione del collegio cardinalizio (178)... Hutten lo chiama rex dcnariorum e, nei suoi Prae­dones, definisce i Fugger anche re delle puttane: "Essi hanno im­piantato là il loro banco e comperano dal Papa ciò che rivendon poi a più caro prezzo” (179). Hutten allude qui al traffico di bolle, be­nefici ed indulgenze, che erano diventati, con Jacob, nient'altro che interessi bancari.

Da padrone del mondo (e dunque anche della cultura) Ja­cob aveva pure voluto cancellare la nomea di usuraio che gravava sulla sua professione `onorata' di banchiere. Se il suo capo-conta­bile Matthäus Schwarz continuava a scrivere, in un suo Nota bene famulus: "Interesse ist höflich gewuchert. Finanzen ist höflich ge­stohlen (Interesse: bella parola per usura; finanza: bella parola per furto)" (180), Jacob volle manomettere anche la tradizionale teologzà dell'interesse e incaricò, su lauto compenso, Johannes Eck, l'av­versario di Lutero, perché sostenesse che il tasso d'interesse al 5 % era legale. Per questo teologo, profumatamente sovvenzionato, l'interesse altro non era che "compenso per mancato guadagno": Jacob gli pagò un tour universitario (a cominciare da Bologna) che propagandasse le sue tesi economiche. Eck toccò anche le facoltà di Vienna, Lipsia etc. etc. Cosí Jacob ottenne "de jure l'autorizza­zione a prendere interessi e la classe dei mercanti ora poteva cal­ colare apertamente le sue percentuali, senza velarle col nome di fa­tica e rischio. Tuttavia la taccia di usurai nei confronti della società Fugger non veniva messa a tacere. Wuchern e Fuggern furono usa­ti come sinonimi. Ulrich Hutten aveva persino scritto un'opera (...) in cui Fucker vale usuraio” (181).

Ovvio che Martin Lutero, contrarissimo all'usura e al pa­pato, vedesse come fumo negli occhi il rivenditore di indulgenze Fugger e rinfacciasse "ai Fugger di Augusta le compere, le ven­dite, i cambi, i baratti, le menzogne, gli inganni, í furti" (come scrive in Alla nobiltà tedesca) (182); tuttavia anch'egli dipendeva da quei principi che di Jacob, volenti o nolenti, erano sudditi; come il papa, che aveva dovuto farlo appaltatore generale delle indul­genze. E Lutero ben lo sapeva e scriveva che l'interesse è un "uso, che non esiste da molto più di cento anni ed ha già ridotto quasi tutti i principi, le fondazioni, i comuni, la nobiltà e gli eredi in povertà, miseria e rovina. Il diavolo lo ha escogitato e il Papa con la sua approvazione ha fatto del male a tutto il mondo" (183). "Con il prendere interessi - continua Lutero - i Fucker si sono acquistati la loro grande ricchezza": anch'essi dunque emissari del diavolo, diavoli incarnati!

E come gli adepti del diavolo (maghi, streghe etc.) essi im­piegano fornmle magiche adatte alla loro attività. Nel 1538, secon­do le Tischreden, a Lutero si mostrò "una scrittura dei Fugger i quali cambiavano in vari modi la disposizione delle lettere dell'al­fabeto, onde nessuno le potesse leggere. Lutero rispose: `Queste sono invenzioni di ingegni eccezionali e sono strumenti adatti alle età peggiori (...). E dicono che anche il nostro imperatore Carlo, a causa della slealtà dei suoi segretari, scriva sempre nei casi più difficili due lettere di opposto contenuto” (184): magia politica e ma­gia bancaria qui si sovrappongono nell'uso del criptolinguaggio, come osserverà, nel '600, Gabriel Naudé, che di maneggi politici si intenderà a fondo (185).

Ma Jacob Fugger è testimone prezioso anche delle rivolte di poveri e contadini contro signori e mercanti. Contro í Fugger, nella loro stessa città di Augusta, aveva osato predicare, metten­dosi dalla parte dei poveri, il monaco Johannes Schilling, nel 1524. Richiamandosi agli hussiti, i poveri si ribellarono, costitui­rono un comitato rivoluzionario, capeggiato da tre tessitori, che produsse anche un programma, in cui, tra l'altro, "si chiedeva che í mercanti e le società commerciali, che erano colpevoli di tutto il male, dovessero essere tolte di mezzo" (186). Per precauzione, Jacob "mise al sicuro sé e la sua famiglia nei suoi castelli e fece portar via da Augusta il denaro liquido"'"'. In Tirolo accadevano, nel frat­tempo, cose simili. Gli Articoli meranesi testimoniano le richieste dei rivoltosi del 1525: "Poiché - si dice in questi - sono sorte tan­te società, specialmente i Fugger, gli Höchstetter e i Welser, e bi­sogna acquistare dalle società tutto quello di cui si ha bisogno, tutte queste cose, siano piccole o grandi, devono essere abolite; cosí tutte le merci potranno tornare ad un giusto prezzo"(188)! E Michele Geismair, figlio di un minatore di Vipiteno, chiedeva: "Anzitutto tutte le fonderie, miniere d'argento e di rame e dipen­denze, che appartengono alla nobiltà, a mercanti stranieri ed a so­cietà, devono diventare proprietà comune del paese" (189).

Le rivolte si propagano dappertutto, allora, nella Germania meridionale e anche nei domini dei Fugger. Per Jacob si trattava degli effetti della dottrina erronea propagandata dalla riforma lu­terana. Scrive infatti ad un suo agente di Cracovia: "Fanno questo i nuovi predicatori, che predicano che non si deve badare ai co­mandamenti degli uomini; questo era quello che volevano i conta­dini, di non obbedire più ai loro padroni. Questa nuova fede si diffonde ancora in molti luoghi presso di noi. Io non so dove si an­drà a finire" (190). Il signore economico del mondo ha paura di pove­ri, minatori e contadini! E si barcamena come può: in parte con diplomatici accordi coi rivoltosi, in parte con la repressione: per esempio, la lega sveva, finanziata dal Fugger, sventò l'assedio di Weisserhorn, contro cui si erano coalizzati 12.000 contadini. "Le località di Leipheim, Teítheim e tutte le altre che si fossero unite alla massa dei contadini, furono severamente punite per la loro miscredenza eretica, luterana', perdettero i loro diritti"(191). Nel ca­so di Weisserhorn, l'arciduca Ferdinando s'era rivolto diretta­mente a Jacob, perché proteggesse la città. Alla fine "i ribelli furo­no definitivamente sbaragliati e i loro capi giustiziati. Cosí, in po­chi mesi era terminata la rivolta dei contadini nei territori dei Fug­ger" (192). Si è fra il marzo e l'aprile del 1525. In maggio avverrà la di­sfatta di Müntzer e dei suoi. A pochi mesi dalla sua decapitazione, in dicembre, anche Jacob muore, non senza essersi confrontato con una situazione in cui, come scrive a un amico sconsolatamente "il basso popolo ha preso completamente la mano. La plebe desi­dera diventar ricca e nessuno vuol lavorare e i contadini vogliono essere esenti da imposte".

Dal suo trono di barili d'oro (come diceva Lutero) questo re del mondo forse si rende conto, alla fine della vita, che il suo dio/ denaro non è onnipotente (sebbene il suo culto non sia ancor oggi terminato!), che può talvolta deludere ed invia ambigui segni. Scrive Clemens Sender che, prima della morte di Jacob, "il giorno di Natale verso il vespro è apparso ad Augusta sulla Madonna un segno premonitore, un arcobaleno nero, che fu visto da tutti (194). Un arcobaleno aveva presieduto anche alla strage dei contadini di Müntzer, quasi a sottolineare un ironico cinismo del cielo. L'arco­baleno nero sul letto di morte di Jacob Fugger era forse, a sua vol­ta, un memento sulla non eternità della sua potenza e della poten­za del capitale, che, tuttavia, da allora, si è talmente consolidata da apparire un'incombenza insopportabile, anche se gli scricchiolii si avvertono! È questa onnipotenza che viene sottolineata nel testo di Forte, non a caso, perché proprio con Fugger il capitale è diven­tato cosmico! "ll capitale monopolistico (rappresentato da Fugger) (...) regge e muove gli eventi e si individua infine come un'en­tità astratta, assoluta, un Leviatano che vive de se ipso ad se ipsum, in sé circolare, opprimendo e distruggendo ogni moto liberatore dell'uomo nella storia". In sua dipendenza "si dispiega il processo storico di un'età fondamentale per la costruzione del mondo mo­derno". "Il potere politico è nullo di fronte al potere economico (...) che, attraverso l'introduzione delle impersonali leggi della contabilità, diventa una gelida divinità alla quale è asservito lo stesso Fugger" (195).

La marcia trionfale del nuovo dio/denaro (cui si deve non solo il massacro dei contadini e di Müntzer, ma, in ultima analisi, quello contemporaneo di 69 milioni di amerindi) (196), si dispiega, nel lavoro di Forte, in una serie di scene in cui, volta a volta, si vede come Alberto di Brandeburgo, Federico di Sassonia, il papa, le miniere, l'imperatore Massimiliano, le guerre, le elezioni di impe­ratori e papi etc. etc. dipendano dal nuovo Libro, dalla nuova Re­ligione: il Testo della contabilità, che è l'anima del capitale. Tutto passa attraverso questa nuova Bibbia (197), di cui umilissimo servitore e predicatore è Fugger! Con cui sono indebitati principi, papi, im­peratori. Da questo punto di vista, anche le vicende di Lutero prendono un colore inedito. Dice Carlo V (pensando ai suoi debi­ti): "Se condanno Lutero, i principi non mi danno più né un cen­tesimo né un soldato”(198).

Da parte sua, Fugger incrementa il suo capitale col traffico ormai mondiale: "Abbiamo bisogno di miniere nostre in America, e meglio ancora direttamente colonie nostre (...). Purtroppo gli indios non ce la fanno a sopportare a lungo i nostri avanzati meto­di di produzione. Benché si sia introdotta la pausa meridiana, muoiono come mosche (... ) Grazie a Dio i negri si sono dimostra­ti più resistenti, e i negri, com'è noto, vengono consegnati in Afri­ca franco costa (... ). Venderemo i negri in America, porteremo in Europa l'oro e l'argento americano, in compenso venderemo il nostro rame in India, e le spezie indiane le venderemo in Europa. Miei signori, questo globo è prezioso"(199). E all'interno di questa globalizzazione, mediante la quale il capitale si avvia a permeare tutto, che va collocata la guerra dei contadini, anche i cui protago­nisti risentono di quella globalizzazione. Se Lutero dipende dai principi e dall'imperatore Carlo V, l'imperatore dipende da Fug­ger e dalla sua... contabilità. Dice Fugger a Carlo V: "Maestà, se faccio sapere in Borsa che Lei è insolvente, il mercato dei prestiti per Lei è chiuso (...) - Lei parla con l'Imperatore - Io parlo col mio debitore, Lei è maestà perché io ho pagato. Quell’affare che porta sul capo gliel'ho comprato io” (200). Ed estorce all'imperatore la direzione del commercio delle spezie, l'appalto delle miniere d'argento vivo, il monopolio del legno di Guuzàcca (medicina allo­ra eccellente contro la sifilide, di cui v'era grande smercio), termi­nando cosí: "Io Le compero il dominio dell'Europa e Lei mi pro­tegge il capitalismo monopolistico"!

Naturalmente Fugger interviene anche nella lotta di Sickin­gen e dei cavalieri: "Desidero che il partito dei cavalieri venga li­quidato. Completamente"(202). Naturalmente d desiderio è accom­pagnato da competente assegno. Aggiunge il suo braccio destro Schwarz: "Poi non rimarrebbero che i lavoratori e i contadini". Risposta: "Anche loro sono quasi maturi"(203)! E infatti Fugger fo­raggia con armi e denaro i principi in lotta con i contadini, con una raccomandazione: "Non uccidetene troppi, sennò dovrete ararli voi i vostri campi. E mettetevi in mente, una volta per tutte, che la vostra Germania è stata salvata dal mio denaro". Poi, guardando la contabilità, commenta il riporto totale di 25 milioni: "Per cento­mila contadini morti. Questo fa 250 a contadino. È a buon merca­to. Un buon affare (...). Io sono ricco per grazia di Dio" (204)!

Cosí signori e sovrani diventano buoni dipendenti dell'am­ministrazione Fugger (205). D'altra parte, Fugger è, a sua volta, dipen­dente, del proprio capitale, cosa di quella cosa, cui, mentre viene issata su una picca, in fondo alla scena, la testa di Müntzer rivolge questa ispirata preghiera: "Tu principio e fine di ogni cosa / Tu che eri, sei e sarai / Da cui, per cui e in cui tutto esiste/ in cui noi viviamo, ci muoviamo e siamo / Che hai ogni potere in cielo e in terra / Che possiedi le chiavi della morte e dell'inferno / Che hai ordinato tutto secondo peso, ordine e misura / Tu re dei re e si­gnore dei signori / La tua maestà riempie la terra / La tua sapien­za governa possente e tutto amorevolmente ordina. / Abbi pietà di noi / O Capitale. . . "(206)!

È contro questa nuova teologia (e nuova divinità) che fa nau­fragio la guerra dei contadini (e non solo quella, purtroppo). Il merito di Forte è di aver spostato l'interesse, appunto, dalla teolo­gia tradizionale, sulla quale i vecchi storici misuravano le vicende dei contadini e di Müntzer, a questa nuova teologia del dio/dena­ro, tuttora imperante, investendo le antiche vicende della realtà che ancor oggi (e soprattutto oggi) condiziona il non-uomo che tutti siamo. Ovvio che impieghi, nella sua impresa, il linguaggio di oggi, ma mai tradendo i documenti storici cui esattamente si ispi­ra. Certo il suo Müntzer ha perso quasi del tutto l'alone vecchio/ teologico e apocalittico che conserva in Bloch, ma direi che la cosa dipende dall'enfatizzazione che vien data alla nuova divinità, la cui crudissima luce non può non porre in ombra quella della vecchia, assieme ai suoi portatori. Se il sottotitolo del Münzer di Bloch era teologo della rivoluzione, il Martin Lutero e Thomas Müntzer di Dieter Forte ha per sottotitolo L'introduzione della contabilità: quando l'uomo diventa calcolabile, merce, cosa in mano aduna co­sa (il capitale), non v'è più apocalissi o chiliasmo che tengano: è sulla cosa, su come ha potuto trionfare, che vanno diretti i nostri occhi. E Forte lo fa, a mio parere, egregiamente e, proprio per questo, trascura (come gli è stato rimproverato!) la "funzione del­la personalità nella storia"(207). Come la "concreta individuazione delle forze sociali che hanno sorretto quell'importantissimo mo­mento di ristrutturazione della società non soltanto tedesca, che viene connotato come età della Riforma" (208). Ma non esisteva già, in proposito, "la magistrale analisi di Engels" (209)? Sicché non è difetto, ma pregio, che Forte delinei il suo dramma "arcuando (...) su tutto il decorso degli eventi la potenza arcana del capitale monopolistico"(210), che, come s'è visto, è il deus absconditus (ma non troppo) dell'opera e la sua cifra più specifica. Qualcuno lo rimprovera anche del fatto che "oscurando la com­plessità della situazione di classe che sorregge gli esiti della riforma luterana ed elevando la presenza del capitale monopolistico in una sfera destorificata, cosí da conferirgli quasi un'ineluttabile razio­nalità, il Forte finisce per colorare il processo storico da lui raffi­gurato di tratti di cupa fatalità"(211). Una critica del genere era pos­sibile, intorno agli anni settanta, alla luce di recenti studi (Baran e Sweezy) sul capitale monopolistico. Oggi, dopo la caduta del muro di Berlino, con la globalizzazione, non mi pare che la cupa fatalità con cui si può guardare al capitale monopolistico sia trascurabile. La "visione `ideologica' di una società capitalistica neutra e astrat­ta, privata di ogni connotato di classe e dell'evidenza dello sfrutta­mento dell'uomo sull'uomo" (212) è purtroppo diventata ideologia dominante e il testo di Forte ha dunque il merito, semmai, di porla sotto il suo efficace riflettore, lasciando al lettore di trarne l'am­maestramento che desidera.

Ma è ora di passare dalle interpretazioni ai personaggi e alle vicende storiche che li riguardano. Dalle interpretazioni di Münt­zer a Lutero, il suo maggiore ed acerrimo antagonista; alle parole che Lutero ci ha tramandato. Inutile dire che proprio l'argomento che si è scelto di trattare fa privilegiare questi due protagonisti a scapito delle classi e delle masse che essi personificano, ma la pre­sente è una analisi molto più delle idee che degli ambiti sociali che esse vanno esprimendo; d'altra parte, appunto, il diavolo non può essere collocato che in una ideologia.

Da Luciano Parinetto “La rivolta del diavolo. Münt­zer, Lutero e la rivolta dei contadini in Germania e altri saggi” Rusconi, 1999

15 marzo 2010

La "democratura"


Quando dico che odio e disprezzo la democrazia, in fondo non dico nulla di male; nel senso che esprimo una mia opinione politica tutt'ora non vietata dal governo. In fondo, quello che chiedo e' che il dittatore sia dichiaratamente tale, ovvero si prenda l'incarico pubblico di governare e prendere decisioni. Quello che mi urta e' vedere avanzare una dittatura che continua a chiamarsi democrazia, che unisce i lati peggiori della dittatura a quelli peggiori della democrazia. Temo, cioe', una "democratura", cioe' una dittatura senza i vantaggi di una dittatura (decisioni rapide, anche impopolari, decise e mirate).

Un tempo i rossi stavano tutto il tempo a gridare di "fascismo strisciante" , ipotetico ente che si proponeva di introdurre un regime mussoliniano in maniera non dichiarata; direi che ormai si sia arrivati allo stalinismo strisciante; con la sola differenza che Stalin comunque le decisioni le prendeva , mentre tutto quello che rischiamo di ottenere e' un regime persecutorio senza alcun leader capace di prendere effettivamente delle decisioni.

Prendiamo per esempio questa intervista.

Non mi interessa tanto se Brunetta si sente spiato o meno, o se possa coccolarsi con la sua Titti al telefono, la cosa veramente spaventosa sono le risposte del giornalista.

Il primo strumento persecutorio messo in atto dal giornalista e' il seguente: se non fai nulla di male, devi lasciarti spiare. Questo modo di fare stabilisce il diritto di ogni magistrato di entrare nella vita privata di chiunque, tanto comunque "se non hai nulla da nascondere che cosa ti importa?".

L'equazione e' pericolosissima, perche' si stabilise l'equivalenza tra cio' che non volete mostrare ad altri e cio' che e' illegale; in pratica si sta affermando che il privato in se' sia illegale; nel momento in cui pretendete di tenerne fuori gli altri , allora siete sicuramente dei criminali.

Cosi', suppongo che l'uomo di sinistra non abbia alcun problema se un magistrato assista alle sue copule con la moglie : ha forse qualcosa da nascondere, per cui non vuole magistrati in camera da letto?

Certamente, quello che uno fa con la propria moglie o fidanzata e' qualcosa di legittimo, tuttavia non vogliamo che un magistrato vi assista, diciamo appunto che sia "privato". Ma in maniera molto strisciante si afferma che il privato sia un crimine, perche' se vuoi tenere privato qualcosa allora hai qualcosa da nascondere, ergo sei un criminale.

Si instaura cosi' il primo caposaldo dello stalinismo strisciante: se non vuoi la microspia in casa sei un criminale (perche' hai qualcosa da nascondere) , se non vuoi essere seguito e ripreso al cesso sei un criminale (perche' hai qualcosa da nascondere), se ti piacerebbe rimanere solo (senza un magistrato ad assistere) con la tua fidanzata allora hai qualcosa da nascondere; in tutti i casi il solo fatto che tu non voglia essere spiato testimonia che tu sei un criminale.

Faccio notare con quale subdola malvagita' si introduca il discorso nell'intervista.

Dunque, grazie a Di Pietro e ai suoi sbirri si afferma il primo principio del regime persecutorio:

Chi non accetta di essere spiato e' un criminale, se non vuoi che il magistrato sia presente nella tua vita intima sei un criminale, o almeno sospetto, se vuoi rimanere solo sei un sospetto, ovvero un criminale. Se non accetti la microspia sei un criminale.
Questo e' il primo bastione del regime pseudocomunista che ci aspetta: per essere sospetti bastera' pretendere che uno spazio sia privato, che il magistrato (e in seguito i giornali, ergo tutta la popolazione) non vi possano ficcare il naso, per essere sospetti. Avete qualcosa da nascondere se volete rimanere soli con la vostra fidanzata, avete qualcosa da nascondere se non volete un magistrato che vi guarda mentre siete a letto con vostra moglie, siete pertanto criminali, o almeno degni di sospetto.

L'abolizione del privato, cioe', come vuole ogni regime comunista. Eppure, senza i vantaggi di tale regime; ovvero senza una decisa persecuzione del crimine (la magistratura ormai non si dedica ad altro che alla politica) , una maggiore sicurezza sulle strade, eccetera.

Il secondo assunto , il secondo pilastro dello stalinismo strisciante, e' quello che il giornalista rinfaccia a Brunetta: ma con le intercettazioni abbiamo preso i mafiosi. Certo; del resto grazie alla tortura Berija ha catturato spie , nazisti e criminali di vario genere, spezzando nel dolore il legame di omerta' delle varie Combinazjie locali.

Cosi', ecco la seconda equazione stalinista che sta passando sui media grazie a Di Pietro oggi: "poiche' questo strumento colpisce il criminale, e' lecito che colpisca anche te, e che colpisca chiunque". Si tratta della classica paranoia da regime sovietico: ovunque c'e' un sabotatore, ovunque c'e' un agente dello spionaggio occidentale, ovunque c'e' un controrivoluzionario, e poiche' il crimine e' ovunque, allora e' giusto che ovunque sia il controllo.

Non si tratta di cose che non si sono mai viste; questa dialettica e' sempre stata presente; insomma, siccome spiare il mafioso e' utile, allora e' giusto spiare chiunque. Certo, certo, poi si obietta che la magistartura per spiare debba chiedere un permesso alla magistratura, e se spia troppo dovra' risponderne alla magistratura, ma tant'e': la seconda equazione dello stalinismo strisciante, del quale un certo popolo non puo' liberarsi perche' ce l'ha dentro, e' questa: "siccome uno strumento e' utile contro i criminali puo' essere usato su tutti". Quindi carcere per tutti, quindi tribunale per tutti, quindi persecuzione e inquisizione per tutti.

Questa palla va poi sostenuta; e la si sostiene menzionando una palla, che tra l'altro sconfina nel mio mestiere: "anche in Germania intercettano".

Eh, no, non proprio. Certo che anche in germania la polizia puo' intercettare se le serve, ma lo fa in un modo MOLTO diverso.

Quando la polizia tedesca chiede un'intercettazione, e ripeto "chiede", non fa altro che chiedere alla/e telco la seguente cosa "intercettate tutte le chiamate dal numero 123456789 al numero 987654321".

Sia il primo che il secondo numero sono GIA' iscritti in qualche inchiesta, e l'intercettazione viene usata per TROVARE le prove, e non per CERCARLE. In Italia le cose non vanno proprio cosi': per mettere in piedi qualsiasi servizio di telefonia, bisogna garantire l'intercettabilita', il che significa molto semplicemente che la magistartura ha libero ed incontrollato accesso a tutto e a tutti.

Chi lavora a tali servizi non si fa alcun problema a intercettare la moglie se sospetta sia fedifraga, ad intercettare i colleghi se per motivi di invidia intende rovinarli, ad intercettare persone per ricattarle, a prendersi le utenze telefoniche che vuole di chi vuole, per poi produrre delle vere e proprie persecuzioni. Tutto questo NON e' possibile e NON viene fatto in Germania.

Ma specialmente, in Germania se un magistrato OSA intercettare senza ragione o senza trovare nulla DI INERENTE ALL' INCHIESTA CHE STA MANDANDO AVANTI , DEVE distruggere tutto quanto immediatamente, altrimenti rischia di venire letteralmente rovinato da chi scoprisse di essere stato intercettato in quel modo.

Secondo : quando in Germania il magistrato fa la richiesta, chiede di intercettare per il periodo che va da A a B , e non si limita ad intercettare per anni ed anni di fila, sino a quando non trova qualcosa, come invece e' prassi fare in Italia.

Quindi no, ancora una volta si fa pensare il falso, si mente sapendo di mentire: l'intercettazione con le tutele degli altri paesi e' una cosa molto diversa da quella italiana; tra l'altro alcuni enti godono , in Italia, della misteriosa (e anticostituzionale) possibilita' di intercettare e inserire microspie senza ordine del magistrato. Sapete bene di quale ente io stia parlando. E no, non sono i servizi segreti.

Ora, come ho detto non ho nulla contro una dittatura; e se lo stalinismo che si sta costruendo fosse uno stalinismo con Stalin, ovvero con un governo che prende una nazione di contadini e ne fa una superpotenza, potrei anche assentire. Parigi val bene una messa.

Il problema e' che dietro questo stalinismo non c'e' Stalin, c'e' Di Pietro e Bersani e D'alema, cioe' personaggi il cui scopo e' di sistemare la famiglia e arricchire. Non vedo quale sia la Parigi che val bene una messa.

Se uno Stalin mettesse piede in Italia, indubbiamente saremmo spiati in continuazione, ma perlomeno scomparirebbero mafie, camorre, ndranghete e compagnia bella(1), e (come accadeva all'epoca in URSS) una donna potrebbe tornare a casa di notte da sola dal lavoro senza il minimo timore che le accadesse qualcosa di male.

Il problema e' che il prezzo che ci viene chiesto di pagare, cioe' la dittatura dei magistrati, non porta nessun beneficio: il magistrato non combatte il mafioso (tentevvero che ad essere vuote sono le procure del Sud piu' che al nord) se non e' anche amico di un politico , se non ci sono elezioni in vista, eccetera; nulla di simile alla sicurezza totale del periodo stalinista.

Tutto quello che Di Pietro e Bersani faranno sara' di impostare un potere sbirresco , che pero' non avranno il coraggio di chiamare dittatura, e poiche' non avranno mai il coraggio di farlo non potranno mai prendere le decisioni draconiane che il paese aspetta; metteranno telecamere e microspie ovunque, ascolteranno ogni telefonata, ci guarderanno mentre siamo nell'intimita' con i nostri cari, ma non ci guadagneremo nulla in termini di ordine e di potenza nazionale.

I paradigmi dello sbirro sono gia' presenti in entrambi, e ben forti:

1. Se non vuoi essere spiato hai qualcosa da nascondere, quindi sei un criminale o almeno sospetto.
2. Siccome spiare si fa per combattere il crimine, chi non vuole essere spiato , casomai non fosse criminale lui stesso, sta coi criminali.


Sino a pochi anni fa, solo a sentir parlare di intercettazioni indiscriminate i Radicali e la sinistra si sarebbero inalberati; e' un'idea di sinistra il "garante della privacy", perche' un tempo non c'erano ancora queste pulsioni sbirresche, perche' all'epoca lo sbirro perseguitava loro, perche' temevano davvero il ritorno del fascismo.

Oggi, invece, le cose sono invertite: i nuovi fascisti sono a sinistra, i nuovi sbirri sono a sinistra, quelli che vogliono spiare tutti sono a sinistra.

Con la sola differenza che, come tutti gli sbirri, non hanno neanche gli attributi di dirlo: perche' almeno Di Pietro dicesse che vuole essere il nuovo Duce, almeno gli si potrebbero chiedere bonifiche , ospedali e ordine sulle strade; ma Di Pietro vi dira' che no, lui fara' la vera democrazia, con tutti i suoi difetti, quindi scordatevi la giustizia se non colpisce i suoi nemici politici, scordatevi la legge se non e' politica, scordatevi le opere ; bloccarle e' molto piu' remunerativo che farle costruire sul piano politico.

Personalmente, siete liberi di costruirvi sotto gli occhi una dittatura che non fa il proprio mestiere perche' racconta di essere una democrazia, io piano piano mi sto preparando una via di fuga, una ratline come si diceva nel 1945. E no, non ho cose da nascondere: ho semplicemente cose che non voglio mostrare a tutti.

Ve lo godrete voi; di certo non vi lamentate se qualche filmato "amatoriale" di voi con vostra moglie finisce su internet. Magari qualche maresciallo voleva vendicarsi perche' gli avete fatto uno sgarbo nel condominio.

Non avrete mica qualcosa da nascondere, criminali che non siete altro?

Note

(1) Stalin , alla peggio, avrebbe semplicemente sterminato tutti gli abitanti di Napoli, e se necessario della Campania. Quando si usano certi mezzi, il mafioso non ha scampo.

di Uriel

13 marzo 2010

Perché la catastrofe è inevitabile





In risposta a keynesiani nonché alcuni marxisti

Mi corre l’obbligo di rispondere all’accusa secondo cui le nostre analisi della crisi sarebbero viziate da un “catastrofismo pregiudiziale”. Non ci riferiamo anzitutto a coloro i quali credono ancora al mito delle magnifiche sorti e progressive del capitalismo. Parliamo piuttosto dei keynesiani alla Krugman (per i quali il debito non è mai un vero problema e diventa anzi un toccasana in caso di ciclo depresso) e ad analisti che si rifanno a linee di pensiero anticapitalistiche. Questi analisti, keynesiani e/o anticapitalisti latu sensu, sostengono che il capitalismo “non crollerà per il debito pubblico degli stati, né per la somma di questo con quelli privati”. Dicono anzi, svelando un certo “complottismo”, che alcune grandi consorterie finanziarie stanno esagerando artatamente la portata della “crisi da debito”, proprio per abbindolare l’opinione pubblica, per far sì che i popoli accettino un gigantesco e verticale drenaggio di ricchezza dal basso verso l’alto, allo scopo di rilanciare i processi di accumulazione e valorizzazione.

Chiamo queste visioni della crisi “visioni cieche”. Cieche perché, come spiegherò più avanti, esse, mentre danno credito alla tesi minimalista dei governi occidentali per cui quella attuale sarebbe “solo” una crisi da debito, essi si ostinano a non riconoscere la metamorfosi subita dal capitalismo imperialista, perché non sono in grado di vedere la mutazione qualitativa avvenuta nel corpo del capitalismo, cioè il passaggio al turbo-capitalismo.
E siccome occorre dare un nome alle cose, chiamo questa mutazione, nichilistica pulsione di morte. Incapaci di riconoscere questa metamorfosi, questo salto mortale, i nostri visionari ciechi non sono dunque in grado di cogliere la peculiarità della crisi attuale e cosa la differenzia rispetto a quelle precedenti.


Tabella 1


Anzitutto vorrei sgombrare il campo da un equivoco: chi scrive non è un “crollista”, ovvero non è un seguace delle teorie di Luxemburg e Grossmann, secondo cui il capitalismo, motu proprio, è destinato a crollare su se stesso. Quantomeno esso non crollerà in virtù della marxiana legge della “caduta tendenziale (ineluttabile) del saggio di profitto”. Ho avuto modo di spiegare, in accordo con Sweezy, perché questa legge ha dimostrato la sua fallacia, che non c’è nessuna tendenza suprema per cui il capitalismo sia meccanicamente destinato al crollo finale.


Tabella 2


Le catastrofi economico sociali sono invece non solo possibili, ma hanno segnato la storia stessa del capitalismo. Ogni grande ciclo di sviluppo del capitalismo è diviso da quello successivo, da periodi di crisi generale o storico-sistemica, da periodi di catastrofe con relativi sconquassi sociali e geopolitici, dai quali è sempre emerso un diverso modello sistemico, una differente configurazione della formazione sociale. Ciò è empiricamente verificabile senza neanche scomodare la teoria delle Onde (o cicli lunghi di 50-70 anni) di Kondratiev, poi ripresa da Mandel e J. Shumpeter.
In risposta ai critici vorrei ribadire perché l’attuale crisi, da disastrosa quale già è, è destinata a divenire “catastrofica”, segnalando le sue specificità, che vanno ben al di la della questione del debito (pubblico o privato), ma attengono ai meccanismi nativi di quello che abbiamo chiamato turbo-capitalismo o, il che fa lo stesso, capitalismo-casinò.


Tabella 3


Sulle cause più profonde che hanno generato il turbo-capitalismo rimando all’intervento «La teoria marxista e il collasso dell’economia capitalistica», non senza segnalare, per amore di chiarezza, che esse convergono tutte su due punti causali focali.


Tabella 4


Anzitutto la crisi generale di sovrapproduzione fattasi avanti già alla fine degli anni ’60, la quale si manifestò nel più classico dei modi. Quando non più solo per un settore ma per la maggior parte di essi, diventa impossibile vendere le merci ad un prezzo che riconsegni non solo il loro valore (che sta per il tempo di lavoro in esse materializzato e che deve essere uguale al tempo di lavoro socialmente necessario alla loro produzione, Marx docet) ma pure il plusvalore (crisi di realizzo o di svalorizzazione) abbiamo la crisi generale di sovrapproduzione, alla quale fanno seguito una recessione (la cui durata e profondità è sempre relativa) e, data la concorrenza, la “distruzione creativa” delle forze (meno)produttive e dei capitali (meno)redditizi.

Il secondo punto causale focale è di natura storica e politica, ovvero l’avanzata delle rivoluzioni sociali antimperialiste e anticapitaliste, e di cui la “guerra fredda” era un… derivato. Sul finire degli anni ‘60 il capitalismo imperialista stava perdendo la partita e, per non soccombere, ovvero per riconquistare la sua supremazia, doveva rifondarsi. Doveva escogitare un sistema, sia per finanziare i costi crescenti della sua macchina bellica (allo scopo di contrastare i movimenti antimperialisti e l’espansione dell’URSS), sia per alimentare la cosiddetta “società opulenta” (ovvero conservare e accrescere gli standard di vita e la capacità di consumo dei popoli dei centri imperialistici allo scopo di tenere fuori dalla mura l’ondata rivoluzionaria).

E’ per risolvere questi due fattori combinati di crisi (sovrapproduzione generale e declino dell’egemonia geopolitica imperialistica), che prese il via la rifondazione imperialistica nella forma specifica del turbo-capitalismo. L’evento simbolico che segnò questo passaggio l’avemmo nel 1971, quando l’amministrazione Nixon soppresse la convertibilità tra dollaro e oro, facendo così crollare uno dei pilastri del sistema di Bretton Woods (tra cui il principio secondo cui le banconote e altro denaro creditizio dovevano essere, almeno in larga parte, garantite dall'oro). Svincolate dall’obbligo di ancorare la moneta alle riserve auree, le autorità americane tracciano il solco su cui si svilupperà il capitalismo-casinò.

Come ho detto il limite principale dei keynesiani come di certi marxisti, è che essi non riconoscono le specificità del turbo-capitalismo, non vedono le profonde differenze tra oggi e ieri e, al massimo non vanno oltre all’analogia con la crisi del ’29 o quella degli anni ’70. Non vedono insomma che gli stessi fenomeni del debito e della speculazione, pur avendo le sembianze di sempre, sono del tutto diversi, non solo per le loro dimensioni incomparabili, ma per le loro diverse dinamiche e natura.

Il tratto peculiare decisivo che contraddistingue il turbo-capitalismo è che il capitalismo finanziario ha totalmente sussunto tutte le altre sfere dell’universo capitalista, compresa quella della produzione. Di più, il capitalismo finanziario di cui stiamo parlando non è quello di un tempo, risultato della fusione tra quello industriale e bancario, oggi abbiamo un capitalismo finanziario sui generis, un capitalismo finanziario usuraio fondato sullo strozzinaggio e l’aggiotaggio sistemici. Un capitalismo-truffa che ha oltrepassato il confine tra legalità e illegalità, che ha trasformato la circolazione in un gioco d’azzardo, in una bisca planetaria con sue proprie regole e meccanismi, dove i flussi e gli scambi avvengono over-the-counter, operano cioè alle spalle delle istituzioni e delle stesse borse tradizionali.

A questo fenomeno corrisponde che nell’ambito della classe dominante lo strato dominante non è più rappresentato dai capitani d’industria e nemmeno dai banchieri istituzionali, ma dagli avventurieri della finanza speculativa, a loro volta consorziati in organismi che possono muovere e investire in tempo reale cifre colossali, tali da poter condizionare se non determinare le decisioni non solo delle grandi holding multinazionali ma degli stessi governi, compreso quello degli Stati Uniti.
Affermava Henryk Grossmann: «Così la speculazione comincia proprio nella depressione. Dal punto di vista economico privato, l’investimento in borsa è fruttifero come qualsiasi altro. L’“investimento” in borsa però non crea né valore né plusvalore. Esso ha per scopo soltanto un aumento dei corsi e trasferimenti di capitale. Questo capitale si rivolge alla borsa, dimenticando il carattere illusorio di questi investimenti». [La legge dell’accumulazione e il crollo del capitalismo].

Questo poteva essere vero ai tempi di Grossmann. Ma cosa vuole dirci Grossmann? Vuole dirci che le performances delle borse, i loro slanci come i loro crolli, sono sempre e solo epifenomeni, sempre effetti e non cause delle grandi crisi, i “fondamentali” essendo sempre sottostanti, costituiti dai Capitali che producono o non producono plusvalore. Il fatto è che la quantità si è trasformata in qualità: la massa di denaro e titoli che possono oggi essere mossi dai soggetti dediti alla speculazione finanziaria (quelli deputati a creare denaro dal nulla, denaro dal denaro) sono talmente ingenti da condizionare l’economia reale, da causare il deragliamento del ciclo economico complessivo. Ciò che un tempo poteva essere considerato un effetto, oggi è diventato la causa. Ed è proprio questo è il segno distintivo dell’attuale crisi, ciò che la differenza da quelle precedenti: che nel turbo-capitalismo l’economia cartacea, il gioco d’azzardo, hanno assunto tali proporzioni che, come accaduto nel 2007-08, possono causare il crollo della cosiddetta “economia reale”, ovvero non solo una “bolla”, ma la recessione la quale, dato che pure i vecchi “fondamentali” traballano (crisi generale di sovrapproduzione), può sfociare in vera e propria depressione.

Oggi, nell’ambito del turbo-capitalismo, abbiamo che questi “fondamentali” sono diventati subordinati, considerati “attività sottostanti”. Abbiamo che la sfera finanziaria si è autonomizzata, da “sottostante” è diventata “sovrastante” rispetto alla vera e propria produzione di merci oramai del tutto surdeterminata. Abbiamo che la gran parte degli investimenti globali si muove non più sul terreno degli investimenti produttivi ma in quello della scommessa per fare denaro dal denaro. Se ieri si vendevano e compravano azioni oggi si comprano e vendono montagne di pezzi di carta chiamati titoli, ma titoli che sono scommesse a termine sull’andamento dell’attività “sottostante” (gli assets di un’azienda, di una banca, di un fondo statale o sovrano, o un pacchetto di tutte queste cose), scommesse per cui si possono guadagnare immense somme non solo grazie alla buona performance dell’attività “sottostante” ma spesso grazie alla previsione del suo default (vedi i vari Derivati: Future, Warrant, Cdo, Cds, Irc, ecc). Come se non bastassero queste sofisticate diavolerie, che in caso di “cattivo investimento” possono dissipare tutto il denaro impiegato, la smania di ottenere anche il 100% ha partorito il cosiddetto Leverage, o effetto leva, un moltiplicatore che può far perdere addirittura più del capitale impiegato nell’operazione speculativa.

Per comprendere fino a che punto quest’andazzo abbia permeato tutto il sistema, basti pensare che la quota di riserva di riserva chiesta ad una banca è solo il 10%, ovvero per un dollaro reale in pancia, la banca può prestarne dieci. Da qui il meccanismo perverso di transustanzazione per cui le banche confezionano e spacchettano questi debiti, spesso inesigibili, immettendoli sul mercato come di titoli di credito (altro che bolla dei muti subprime!). E le banche non hanno fatto che seguire, stemperandola, la tendenza vigente nel mondo dei Derivati, per cui ogni dollaro investito garantisce 20 o 30 dollari di capitale a prestito.

Il fatto è che con la globalizzazione e il tempo reale consentito dall’introduzione dei computer, questo immane gioco d’azzardo fluisce grazie alle linee telematiche e si muove in base ad automatismi suoi propri, seguendo le istruzioni di sofisticati software e algoritmi. Il flusso sfugge quindi ad ogni controllo pubblico o delle autorità monetarie, non passa come detto per le borse ma, appunto, over the counter, in un labirintico e globale mercato alternativo.

Nel 2006 ogni giorno si muovevano Derivati per un valore di 2,4 trilioni di dollari ogni giorno (secondo il sistema anglosassone 1 trilione equivale ad un milione di miliardi). Secondo stime della Banca dei regolamenti Internazionali di Basilea, sempre nel 2006, i Derivati ammontavano alla iperbolica cifra di circa 400 trilioni di dollari, 7 volte il Pil mondiale. [Vedi sopra tabella n.1].
Nel giugno 2007 si era raggiunta la cifra di 516 trilioni (fonte: Bank for International Settlements)

Tra questi Derivati quelli che hanno conosciuto un incremento gigantesco sono i “Derivati sul credito”, nati nel 1999 e che secondo le stime della IDSA (International Swaps and Derivatives Association) sono raddoppiati tra il 2004 e il 2005. E tra i “Derivati sul credito”, ci sono i famigerati Credit Default Swap (CdS), qualcosa di molto simile ad una polizza assicurativa a copertura del rischio d’investimento. Certo, anche piccoli o piccolissimi risparmiatori, alla caccia di guadagni rapidi, utilizzando le reti telematiche e affidandosi a software di calcolo algoritmico freeware [guardate i diagrammi d questi calcoli logaritmici per rendervi conto della loro diavoleria], utilizzano questo strumento. Ma la vera e propria esplosione dei Cds dopo il 2004 si spiega solo a patto di ammettere che sono stati proprio grandi hedge fund e gli stessi investitori istituzionali (dalle banche centrali, ai governi, giù giù fino agli enti locali italiani) a farvi ricorso.
I dati anche in questo caso parlano chiaro: nel giugno 2006 gli swaps e le opzioni sui tassi d’interesse e sulla moneta ammontavano a 213mila miliardi di dollari con un aumento annuo del 16%. Nello stesso periodo gli swaps sulle insolvenze creditizie sono aumentati di 4mila miliardi, ovvero del 48%. [dati della ISDA, International Swaps and Derivatives Association - Vedi sopra tabella n.2].

Un’altra tipologia di Derivati e/o di Futures sono gli Interest Rate Contracts (Irc), una sorta di scommessa sul movimento dei tassi d’interesse al di sopra o al di sotto di una certa soglia di riferimento. Gli Irc hanno anch’essi conosciuto un’esplosione dalla fine degli anni ’90 al 2006, costituendo ben il 69% dei Derivati presenti sui mercati pari a 292mila miliardi di dollari. [dati della Bank of International Settlement – Vedi sopra tabella n.3]
Esistono altre tipologie di Derivati, anch’essi cresciuti a dismisura nella prima metà del decennio [vedi sopra tabella n. 4].

Il gioco d’azzardo dei Derivati, l’aggiotaggio, la speculazione, rappresentano un fenomeno talmente colossale che ha squassato non solo le tradizionali dinamiche borsistiche ma pure il sistema dei cambi, i rapporti tra le valute, la relazione tra banche e aziende, che condiziona le banche centrali e le politiche economiche dei governi. Lo stesso sistema monetario è stato stravolto. Tanto per farsi un’idea: se, com’è giusto, consideriamo denaro anche i titoli che vengono scambiati nelle borse e over the counter, abbiamo che solo il 3% è rappresentato dalle banconote stampate dalla zecche, mentre il restante 97% è creato dalla banche commerciali e d’affari che sono in mano a privati e non debbono rendere conto a nessuno.

Siamo in presenza di un sistema impazzito, ove la regola aurea non è più “la produzione di merci a mezzo di merci”, bensì “la creazione di denaro per mezzo di denaro”. Di fronte a questo sistema, cresciuto a dismisura negli anni ’90, e nei primi anni di questo secolo, vi fu chi mise in guardia del rischio di un crollo, che si stava andando verso la cosiddetta “crisi di follia”. Queste voci, per quanto autorevoli, non vennero ascoltate, e anche se lo fossero state sarebbe stato troppo tardi per fare dietro front. Un dietro front che, al di là delle belle promesse della Fed o della BCE, non c’è stato nemmeno dopo l’implosione del sistema bancario nordamericano del settembre 2008. Passata la buriana il gioco d’azzardo è ricominciato bellamente, e sta divorando, come un Moloch, la nuova liquidità messa in circolazione dai governi e dagli stati.

Non può esservi alcun dubbio che, pur dovendosi evitare ogni meccanicismo, c’è un rapporto di causa effetto tra l’esplosione del gioco d’azzardo e l’ingresso dell’economia occidentale nel tunnel della recessione nel 2007-08, aggravatasi nel 2009 e di cui non si vede l’uscita. Recessione che avrebbe avuto effetti ancor più catastrofici, non avessimo avuto, ancor più che i piani di salvataggio dei governi (che hanno trasformato il debito privato di grandi banche piene di “titoli tossici”, leggi: invischiate nel gioco d’azzardo dei Derivati, in debito pubblico), la tenuta economica e lo slancio persistente di paesi “emergenti” come la Cina, che si è dimostrata essere la vera e propria locomotiva dell’economia mondiale. Se si fosse fermata anche questa un terremoto scala dieci della scala Richter sarebbe senza alcun dubbio già accaduto. Questo per dire che il declinante capitalismo occidentale è appeso alle performances del capitalismo cinese. Ove anch’esso s’inceppasse un crack di dimensioni ciclopiche sarebbe inevitabile.
Warren Buffet, non un bolscevico, ebbe modo di dire che i diversi strumenti utilizzati dalla speculazione finanziaria sono nient’altro che “armi di distruzione di massa”. Chi crede che tutto questo Ambaradan sia un “gioco a somma zero” si sbaglia. Il capitalismo è una macchina guidata da un ente impersonale che la sta portando verso il baratro di una depressione che avrà conseguenze sociali e geopolitiche, per l’appunto, catastrofiche.
di Moreno pasquinello

GlGli usurai pagavano la repressione: Rex Denariorum


"Interesse: bella parola per usura. Finanza: bella parola per furto." Matthäus Schwarz

Se Marx ed Engels s'erano occupati della guerra dei contadini perfino discutendo, come si è visto, il testo teatrale di Lassalle Franz von Sickingen, certamente volentieri avrebbero letto un la­voro drammatico di quasi trent’anni fa, ricco del senno e delle co­noscenze del poi, e dedicato allo stesso evento.

Nel testo di Bloch, dove tanto si parla di cose occulte, v'è un occulto cui non si fa cenno, ma che veramente sta al di sotto di tut­ta la vicenda dei contadini e delle azioni di Müntzer e Lutero e condiziona la storia della Germania, non solo di allora. Questo oc­culto è il capitale, di cui invano si cercherebbe la traccia in tanti te­sti dedicati alla guerra deí contadinz; che tanto si occupano, invece, di beghe teologali. Va dunque segnalato un testo teatrale di Dieter Forte, scritto negli anni 1968-1970 (e si percepisce benissimo!), che dichiaratamente non tratta di teologia (171), ma, narrando i casi della rivolta, intrecciati con quelli di Lutero e Müntzer, valendosi di documenti "rigorosamente storici'' (172), finalmente mette in scena anche il personaggio del banchiere Jacob Fugger, che di quegli eventi è il deus ex machina. Più precisamente e giustamente, non Jacob, ma il suo capitale, che lo domina e lo fa agire, governa tutta quella storia. Non inserendosi in particolare nella diatriba Lutero/Müntzer e neppure nell'evento della disfatta contadina presso Frankenhausen, ma interagendo anche con esse, in quanto decisi­va potenza mondiale. Alla morte di Jacob Fugger, al termine del 1525, infatti "il capitale totale della società Fugger era (...) il più grande del mondo" (173): dunque superava in potere economico qualsiasi regno ed impero e lo condizionava, come accadde nell'emblematico caso dell'elezione dell'imperatore Carlo V, quando Fugger corruppe gli elettori imperiali con 545.585 fiorini e, da quel momento, ebbe in mano il più potente monarca della terra, suo debitore, come osò ricordargli anche in una famosa let­tera: "È noto ed evidente che senza di me Vostra Maestà non avrebbe potuto ottenere la corona romana, come io posso dimo­strare con lo scritto di tutti i vostri imperiali commissari" (174).

D'altra parte, prestava delicati servizi anche al papa. Asseri­sce Lutero, nelle Tischreden: "Su di un messo che era stato disar­cionato, furono trovate delle lettere papali indirizzate ai Fugger, che contenevano l'invito a dare a Lutero trecento fiorini, perché tacesse" (175)! Se questo finanziamento avesse raggiunto i suoi scopi, la Riforma non sarebbe forse nata, il che svela i profondi rapporti che possono esserci fra banca e religione, capitale e spirito! Non solo Jacob Fugger poteva esclamare: "Ho nella mia borsa Papa e Imperatore" (176( (era primo banchiere e coniatore di monete per la Santa sede, anch'essa ampiamente indebitata con lui), ma poteva imporre e distribuire cariche laiche ed ecclesiastiche a suo piaci­mento. Impone a forza la nomina del vescovo di Augusta, nel 1517 (177). E’ pronto a prestare all'imperatore Massimiliano 300.000 fiorini, perché sia nominato papa, alla morte di Giulio II; solo che quel papa non muore e sfuma la corruzione del collegio cardinalizio (178)... Hutten lo chiama rex dcnariorum e, nei suoi Prae­dones, definisce i Fugger anche re delle puttane: "Essi hanno im­piantato là il loro banco e comperano dal Papa ciò che rivendon poi a più caro prezzo” (179). Hutten allude qui al traffico di bolle, be­nefici ed indulgenze, che erano diventati, con Jacob, nient'altro che interessi bancari.

Da padrone del mondo (e dunque anche della cultura) Ja­cob aveva pure voluto cancellare la nomea di usuraio che gravava sulla sua professione `onorata' di banchiere. Se il suo capo-conta­bile Matthäus Schwarz continuava a scrivere, in un suo Nota bene famulus: "Interesse ist höflich gewuchert. Finanzen ist höflich ge­stohlen (Interesse: bella parola per usura; finanza: bella parola per furto)" (180), Jacob volle manomettere anche la tradizionale teologzà dell'interesse e incaricò, su lauto compenso, Johannes Eck, l'av­versario di Lutero, perché sostenesse che il tasso d'interesse al 5 % era legale. Per questo teologo, profumatamente sovvenzionato, l'interesse altro non era che "compenso per mancato guadagno": Jacob gli pagò un tour universitario (a cominciare da Bologna) che propagandasse le sue tesi economiche. Eck toccò anche le facoltà di Vienna, Lipsia etc. etc. Cosí Jacob ottenne "de jure l'autorizza­zione a prendere interessi e la classe dei mercanti ora poteva cal­ colare apertamente le sue percentuali, senza velarle col nome di fa­tica e rischio. Tuttavia la taccia di usurai nei confronti della società Fugger non veniva messa a tacere. Wuchern e Fuggern furono usa­ti come sinonimi. Ulrich Hutten aveva persino scritto un'opera (...) in cui Fucker vale usuraio” (181).

Ovvio che Martin Lutero, contrarissimo all'usura e al pa­pato, vedesse come fumo negli occhi il rivenditore di indulgenze Fugger e rinfacciasse "ai Fugger di Augusta le compere, le ven­dite, i cambi, i baratti, le menzogne, gli inganni, í furti" (come scrive in Alla nobiltà tedesca) (182); tuttavia anch'egli dipendeva da quei principi che di Jacob, volenti o nolenti, erano sudditi; come il papa, che aveva dovuto farlo appaltatore generale delle indul­genze. E Lutero ben lo sapeva e scriveva che l'interesse è un "uso, che non esiste da molto più di cento anni ed ha già ridotto quasi tutti i principi, le fondazioni, i comuni, la nobiltà e gli eredi in povertà, miseria e rovina. Il diavolo lo ha escogitato e il Papa con la sua approvazione ha fatto del male a tutto il mondo" (183). "Con il prendere interessi - continua Lutero - i Fucker si sono acquistati la loro grande ricchezza": anch'essi dunque emissari del diavolo, diavoli incarnati!

E come gli adepti del diavolo (maghi, streghe etc.) essi im­piegano fornmle magiche adatte alla loro attività. Nel 1538, secon­do le Tischreden, a Lutero si mostrò "una scrittura dei Fugger i quali cambiavano in vari modi la disposizione delle lettere dell'al­fabeto, onde nessuno le potesse leggere. Lutero rispose: `Queste sono invenzioni di ingegni eccezionali e sono strumenti adatti alle età peggiori (...). E dicono che anche il nostro imperatore Carlo, a causa della slealtà dei suoi segretari, scriva sempre nei casi più difficili due lettere di opposto contenuto” (184): magia politica e ma­gia bancaria qui si sovrappongono nell'uso del criptolinguaggio, come osserverà, nel '600, Gabriel Naudé, che di maneggi politici si intenderà a fondo (185).

Ma Jacob Fugger è testimone prezioso anche delle rivolte di poveri e contadini contro signori e mercanti. Contro í Fugger, nella loro stessa città di Augusta, aveva osato predicare, metten­dosi dalla parte dei poveri, il monaco Johannes Schilling, nel 1524. Richiamandosi agli hussiti, i poveri si ribellarono, costitui­rono un comitato rivoluzionario, capeggiato da tre tessitori, che produsse anche un programma, in cui, tra l'altro, "si chiedeva che í mercanti e le società commerciali, che erano colpevoli di tutto il male, dovessero essere tolte di mezzo" (186). Per precauzione, Jacob "mise al sicuro sé e la sua famiglia nei suoi castelli e fece portar via da Augusta il denaro liquido"'"'. In Tirolo accadevano, nel frat­tempo, cose simili. Gli Articoli meranesi testimoniano le richieste dei rivoltosi del 1525: "Poiché - si dice in questi - sono sorte tan­te società, specialmente i Fugger, gli Höchstetter e i Welser, e bi­sogna acquistare dalle società tutto quello di cui si ha bisogno, tutte queste cose, siano piccole o grandi, devono essere abolite; cosí tutte le merci potranno tornare ad un giusto prezzo"(188)! E Michele Geismair, figlio di un minatore di Vipiteno, chiedeva: "Anzitutto tutte le fonderie, miniere d'argento e di rame e dipen­denze, che appartengono alla nobiltà, a mercanti stranieri ed a so­cietà, devono diventare proprietà comune del paese" (189).

Le rivolte si propagano dappertutto, allora, nella Germania meridionale e anche nei domini dei Fugger. Per Jacob si trattava degli effetti della dottrina erronea propagandata dalla riforma lu­terana. Scrive infatti ad un suo agente di Cracovia: "Fanno questo i nuovi predicatori, che predicano che non si deve badare ai co­mandamenti degli uomini; questo era quello che volevano i conta­dini, di non obbedire più ai loro padroni. Questa nuova fede si diffonde ancora in molti luoghi presso di noi. Io non so dove si an­drà a finire" (190). Il signore economico del mondo ha paura di pove­ri, minatori e contadini! E si barcamena come può: in parte con diplomatici accordi coi rivoltosi, in parte con la repressione: per esempio, la lega sveva, finanziata dal Fugger, sventò l'assedio di Weisserhorn, contro cui si erano coalizzati 12.000 contadini. "Le località di Leipheim, Teítheim e tutte le altre che si fossero unite alla massa dei contadini, furono severamente punite per la loro miscredenza eretica, luterana', perdettero i loro diritti"(191). Nel ca­so di Weisserhorn, l'arciduca Ferdinando s'era rivolto diretta­mente a Jacob, perché proteggesse la città. Alla fine "i ribelli furo­no definitivamente sbaragliati e i loro capi giustiziati. Cosí, in po­chi mesi era terminata la rivolta dei contadini nei territori dei Fug­ger" (192). Si è fra il marzo e l'aprile del 1525. In maggio avverrà la di­sfatta di Müntzer e dei suoi. A pochi mesi dalla sua decapitazione, in dicembre, anche Jacob muore, non senza essersi confrontato con una situazione in cui, come scrive a un amico sconsolatamente "il basso popolo ha preso completamente la mano. La plebe desi­dera diventar ricca e nessuno vuol lavorare e i contadini vogliono essere esenti da imposte".

Dal suo trono di barili d'oro (come diceva Lutero) questo re del mondo forse si rende conto, alla fine della vita, che il suo dio/ denaro non è onnipotente (sebbene il suo culto non sia ancor oggi terminato!), che può talvolta deludere ed invia ambigui segni. Scrive Clemens Sender che, prima della morte di Jacob, "il giorno di Natale verso il vespro è apparso ad Augusta sulla Madonna un segno premonitore, un arcobaleno nero, che fu visto da tutti (194). Un arcobaleno aveva presieduto anche alla strage dei contadini di Müntzer, quasi a sottolineare un ironico cinismo del cielo. L'arco­baleno nero sul letto di morte di Jacob Fugger era forse, a sua vol­ta, un memento sulla non eternità della sua potenza e della poten­za del capitale, che, tuttavia, da allora, si è talmente consolidata da apparire un'incombenza insopportabile, anche se gli scricchiolii si avvertono! È questa onnipotenza che viene sottolineata nel testo di Forte, non a caso, perché proprio con Fugger il capitale è diven­tato cosmico! "ll capitale monopolistico (rappresentato da Fugger) (...) regge e muove gli eventi e si individua infine come un'en­tità astratta, assoluta, un Leviatano che vive de se ipso ad se ipsum, in sé circolare, opprimendo e distruggendo ogni moto liberatore dell'uomo nella storia". In sua dipendenza "si dispiega il processo storico di un'età fondamentale per la costruzione del mondo mo­derno". "Il potere politico è nullo di fronte al potere economico (...) che, attraverso l'introduzione delle impersonali leggi della contabilità, diventa una gelida divinità alla quale è asservito lo stesso Fugger" (195).

La marcia trionfale del nuovo dio/denaro (cui si deve non solo il massacro dei contadini e di Müntzer, ma, in ultima analisi, quello contemporaneo di 69 milioni di amerindi) (196), si dispiega, nel lavoro di Forte, in una serie di scene in cui, volta a volta, si vede come Alberto di Brandeburgo, Federico di Sassonia, il papa, le miniere, l'imperatore Massimiliano, le guerre, le elezioni di impe­ratori e papi etc. etc. dipendano dal nuovo Libro, dalla nuova Re­ligione: il Testo della contabilità, che è l'anima del capitale. Tutto passa attraverso questa nuova Bibbia (197), di cui umilissimo servitore e predicatore è Fugger! Con cui sono indebitati principi, papi, im­peratori. Da questo punto di vista, anche le vicende di Lutero prendono un colore inedito. Dice Carlo V (pensando ai suoi debi­ti): "Se condanno Lutero, i principi non mi danno più né un cen­tesimo né un soldato”(198).

Da parte sua, Fugger incrementa il suo capitale col traffico ormai mondiale: "Abbiamo bisogno di miniere nostre in America, e meglio ancora direttamente colonie nostre (...). Purtroppo gli indios non ce la fanno a sopportare a lungo i nostri avanzati meto­di di produzione. Benché si sia introdotta la pausa meridiana, muoiono come mosche (... ) Grazie a Dio i negri si sono dimostra­ti più resistenti, e i negri, com'è noto, vengono consegnati in Afri­ca franco costa (... ). Venderemo i negri in America, porteremo in Europa l'oro e l'argento americano, in compenso venderemo il nostro rame in India, e le spezie indiane le venderemo in Europa. Miei signori, questo globo è prezioso"(199). E all'interno di questa globalizzazione, mediante la quale il capitale si avvia a permeare tutto, che va collocata la guerra dei contadini, anche i cui protago­nisti risentono di quella globalizzazione. Se Lutero dipende dai principi e dall'imperatore Carlo V, l'imperatore dipende da Fug­ger e dalla sua... contabilità. Dice Fugger a Carlo V: "Maestà, se faccio sapere in Borsa che Lei è insolvente, il mercato dei prestiti per Lei è chiuso (...) - Lei parla con l'Imperatore - Io parlo col mio debitore, Lei è maestà perché io ho pagato. Quell’affare che porta sul capo gliel'ho comprato io” (200). Ed estorce all'imperatore la direzione del commercio delle spezie, l'appalto delle miniere d'argento vivo, il monopolio del legno di Guuzàcca (medicina allo­ra eccellente contro la sifilide, di cui v'era grande smercio), termi­nando cosí: "Io Le compero il dominio dell'Europa e Lei mi pro­tegge il capitalismo monopolistico"!

Naturalmente Fugger interviene anche nella lotta di Sickin­gen e dei cavalieri: "Desidero che il partito dei cavalieri venga li­quidato. Completamente"(202). Naturalmente d desiderio è accom­pagnato da competente assegno. Aggiunge il suo braccio destro Schwarz: "Poi non rimarrebbero che i lavoratori e i contadini". Risposta: "Anche loro sono quasi maturi"(203)! E infatti Fugger fo­raggia con armi e denaro i principi in lotta con i contadini, con una raccomandazione: "Non uccidetene troppi, sennò dovrete ararli voi i vostri campi. E mettetevi in mente, una volta per tutte, che la vostra Germania è stata salvata dal mio denaro". Poi, guardando la contabilità, commenta il riporto totale di 25 milioni: "Per cento­mila contadini morti. Questo fa 250 a contadino. È a buon merca­to. Un buon affare (...). Io sono ricco per grazia di Dio" (204)!

Cosí signori e sovrani diventano buoni dipendenti dell'am­ministrazione Fugger (205). D'altra parte, Fugger è, a sua volta, dipen­dente, del proprio capitale, cosa di quella cosa, cui, mentre viene issata su una picca, in fondo alla scena, la testa di Müntzer rivolge questa ispirata preghiera: "Tu principio e fine di ogni cosa / Tu che eri, sei e sarai / Da cui, per cui e in cui tutto esiste/ in cui noi viviamo, ci muoviamo e siamo / Che hai ogni potere in cielo e in terra / Che possiedi le chiavi della morte e dell'inferno / Che hai ordinato tutto secondo peso, ordine e misura / Tu re dei re e si­gnore dei signori / La tua maestà riempie la terra / La tua sapien­za governa possente e tutto amorevolmente ordina. / Abbi pietà di noi / O Capitale. . . "(206)!

È contro questa nuova teologia (e nuova divinità) che fa nau­fragio la guerra dei contadini (e non solo quella, purtroppo). Il merito di Forte è di aver spostato l'interesse, appunto, dalla teolo­gia tradizionale, sulla quale i vecchi storici misuravano le vicende dei contadini e di Müntzer, a questa nuova teologia del dio/dena­ro, tuttora imperante, investendo le antiche vicende della realtà che ancor oggi (e soprattutto oggi) condiziona il non-uomo che tutti siamo. Ovvio che impieghi, nella sua impresa, il linguaggio di oggi, ma mai tradendo i documenti storici cui esattamente si ispi­ra. Certo il suo Müntzer ha perso quasi del tutto l'alone vecchio/ teologico e apocalittico che conserva in Bloch, ma direi che la cosa dipende dall'enfatizzazione che vien data alla nuova divinità, la cui crudissima luce non può non porre in ombra quella della vecchia, assieme ai suoi portatori. Se il sottotitolo del Münzer di Bloch era teologo della rivoluzione, il Martin Lutero e Thomas Müntzer di Dieter Forte ha per sottotitolo L'introduzione della contabilità: quando l'uomo diventa calcolabile, merce, cosa in mano aduna co­sa (il capitale), non v'è più apocalissi o chiliasmo che tengano: è sulla cosa, su come ha potuto trionfare, che vanno diretti i nostri occhi. E Forte lo fa, a mio parere, egregiamente e, proprio per questo, trascura (come gli è stato rimproverato!) la "funzione del­la personalità nella storia"(207). Come la "concreta individuazione delle forze sociali che hanno sorretto quell'importantissimo mo­mento di ristrutturazione della società non soltanto tedesca, che viene connotato come età della Riforma" (208). Ma non esisteva già, in proposito, "la magistrale analisi di Engels" (209)? Sicché non è difetto, ma pregio, che Forte delinei il suo dramma "arcuando (...) su tutto il decorso degli eventi la potenza arcana del capitale monopolistico"(210), che, come s'è visto, è il deus absconditus (ma non troppo) dell'opera e la sua cifra più specifica. Qualcuno lo rimprovera anche del fatto che "oscurando la com­plessità della situazione di classe che sorregge gli esiti della riforma luterana ed elevando la presenza del capitale monopolistico in una sfera destorificata, cosí da conferirgli quasi un'ineluttabile razio­nalità, il Forte finisce per colorare il processo storico da lui raffi­gurato di tratti di cupa fatalità"(211). Una critica del genere era pos­sibile, intorno agli anni settanta, alla luce di recenti studi (Baran e Sweezy) sul capitale monopolistico. Oggi, dopo la caduta del muro di Berlino, con la globalizzazione, non mi pare che la cupa fatalità con cui si può guardare al capitale monopolistico sia trascurabile. La "visione `ideologica' di una società capitalistica neutra e astrat­ta, privata di ogni connotato di classe e dell'evidenza dello sfrutta­mento dell'uomo sull'uomo" (212) è purtroppo diventata ideologia dominante e il testo di Forte ha dunque il merito, semmai, di porla sotto il suo efficace riflettore, lasciando al lettore di trarne l'am­maestramento che desidera.

Ma è ora di passare dalle interpretazioni ai personaggi e alle vicende storiche che li riguardano. Dalle interpretazioni di Münt­zer a Lutero, il suo maggiore ed acerrimo antagonista; alle parole che Lutero ci ha tramandato. Inutile dire che proprio l'argomento che si è scelto di trattare fa privilegiare questi due protagonisti a scapito delle classi e delle masse che essi personificano, ma la pre­sente è una analisi molto più delle idee che degli ambiti sociali che esse vanno esprimendo; d'altra parte, appunto, il diavolo non può essere collocato che in una ideologia.

Da Luciano Parinetto “La rivolta del diavolo. Münt­zer, Lutero e la rivolta dei contadini in Germania e altri saggi” Rusconi, 1999