28 dicembre 2010

Capitalismo e (dis)ordine mondiale?


L’idea di un declino dell’Impero Usa fu formulata dai sociologi (storici) Eric Hobsbawm (inglese) e Immanuel Wallerstein (statunitense) : un pensiero tranciante che richiama molto il crollismo capitalistico di tutto il Novecento, sviluppato però in questo caso da un paese dominante che agisce sui doppi binari (livelli) di una politica di potenza ed in grado perciò di rilasciare continue sorprese prima del riconoscimento di un suo iniziale declino.


Secondo tali autori, negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, si delineò la fase conclusiva di una “secolo breve” (1914-1991); il cui collasso finale dei regimi comunisti accelerò la fine di una stabilità internazionale, e con essa gli Stati nazionali, compresa la differenza, tra “Liberalismo” e “Illuminismo”, che aveva campeggiato, con identificazioni statali il vecchio continente europeo, per circa tre secoli a partire dallo storico armistizio europeo di Westfalia del 1648:

Un’ipotesi ripresa da Giovanni Arrighi come si evince nella raccolta dei suoi saggi raccolti in un libro postumo (a cura di Cesarale-Pianta), dal titolo“CAPITALISMO e (DIS)ORDINE MONDIALE”, ed., Il Manifesto Libri,2010; un insieme di scritti (tra i tanti) frutto di una lunga permanenza in Usa dell’autore, dopo aver peregrinato tra università africane e l’università di sociologia di Trento dei primi anni settanta, prima di arrivare al periodo americano, alla “State University” di New York e al “Fernand Braudel Center” (1979)

Le sue indagini sui “Cicli sistemici di Accumulazione” e “Transizioni Egemoniche”, con l’approssimarsi dell’inizio del nuovo secolo, si fecero improvvisamente cupe e gravide di incertezze circa le prospettive storiche del futuro del Terzo Millennio, sempre avvolto secondo l’autore, da una “nebbia totale”; un chiaro richiamo alla centralità del “Capitale Finanziario”, che sovrasta e copre ogni crisi del capitalismo, che ha saputo rappresentare e tenere un insieme ideologico dell’intero Novecento, da cui si sono liberati tutti gli (ister)ismi liberali ed in particolare quelli marxisti che si sono avvalsi, per circa un secolo, della nota formula del “Imperialismo come supremo stadio del capitalismo”.

Una conferma ulteriore, della finanziarizzazione capitalistica arrivò con la cosiddetta “Globalizzazione”, tanto pubblicizzata, nei suoi epigoni democratici del “villaggio globale”, quanto vituperata da tutti i no-global, entrambi concordi sulle cause fondamentali della crisi dell’eccesso di finanza dei rapporti capitalisti; sfuggiva la motivazione principale, di quel surplus finanziario, tesa a nascondere un reale rapporto di dominio globale, come avvenne con l’emersione del monocentrismo Usa, facendo seguito all’implosione dell’Urss (1989): un quindicennio di dominio globale Usa, prima dell’ ingresso del multipolarismo (2002-03).

Non senza dimenticare come l’idea forza della globalizzazione si sia potuta incarnare nelle imprese definite “transnazionali” perché prive (si diceva) di una matrice di interesse nazionale; un viatico fondamentale ad una pervasività finanziaria che si sviluppò con il nascondimento (apparente) di una corposa concretezza di interessi nazionali delle americanissime imprese (Usa) che agirono con caratterizzazioni egemoniche (mondiali), sotto le coperture finanziarie, delle imprese sub–dominanti (agenti mandatari) collocate nei paesi dominati.

Oltre ad un dejà vu ossessivo che identificò, sempre, il Capitalismo finanziario, come la causa di ogni crisi capitalistica: un semplice rapporto di dominio nascosto e trasferito sull’economico e che costrinse il dominato a fare i conti (della serva), entro i vincoli economici assegnatigli; conseguenza fondamentale di una limitazione di autonomia per ciascun paese e finanche di un pensiero depauperato dell’agire politico, in una politica senza vita che, come uno spettro, è capace ancora di irretire i popoli beoti irretiti dai luoghi comuni di un crollo del capitalismo.

L’interesse dell’autore è rivolto principalmente alla crisi del “Washington consensus“ causa fondamentale dell’emergenza della Cina che ha saputo imporre un cambiamento fondamentale nelle relazioni tra il “Nord e il Sud del mondo”; un cambiamento di direzione imposto all’establishment americano, che intende reagire come paese dominante, in grado di nascondere le più profonde ragioni di una politica di potenza in crisi di egemonia, nei cui confronti l’economi(c)a rappresenta l’unico carburante valido per una politica in grado di mettere in movimento “l’insieme di un complesso strategico”.

E’ su questa crisi di una declinante egemonia che si è innestata una corsa strategica Usa mettendo benzina sul fuoco della Centralità Finanziaria ormai alle corde dal multipolarismo che avanza, e da un armamentario ideologico del liberalismo-marxismo in disuso, alle spalle del trascorso Novecento; e con il sostegno ideologico di una ricorsività della finanziarizzazione del capitale, formulata dallo storico Fernand Braudel come “caratteristica ricorrente del capitalismo storico fin dal sedicesimo storico”, che ha dato la stura ad una summa di pensiero “dell’Economia Mondo”(1) ; e ripresa e fatta proprio da Arrighi: “ l’accumulazione di capitale [si realizza] attraverso la compravendita delle merci ….In alcuni periodi anche lunghi il capitalismo sembrò specializzarsi come nel diciannovesimo secolo, quando esso si lanciò in modo tanto spettacolare nell’immensa novità dell’industria. Questa specializzazione indusse molti a presentare l’industria come la realizzazione ultima che avrebbe conferito al capitalismo il suo vero volto. Ma si trattava di una prospettiva di breve termine: dopo il primo boom del macchinismo, il capitalismo più elevato tornò all’eclettismo ad una specie di indivisibilità, come se lo specifico vantaggio di trovarsi in quei punti dominanti consistesse proprio nel non irrigidirsi in una sola scelta: nell’essere eminentemente adattabile e quindi non specializzato”.

Le espansioni finanziarie sono state (secondo l’autore) “ un aspetto integrante delle crisi egemoniche passate e presenti, nonché della loro trasformazione in crolli egemonici. Ma il loro impatto sulla tendenza delle crisi a risolversi in crolli egemonici è ambivalente. Per un verso, infatti, esse tengono la crisi sotto controllo inflazionando temporaneamente il potere dello stato egemonico in declino… Questa reflazione permette allo Stato a egemonia declinante di contenere, almeno per un po’, le forze che sfidano la prosecuzione del suo dominio. Per un altro verso, però, le espansioni finanziarie consolidano queste ultime, ampliando e approfondendo la concorrenza tra Stati e tra imprese e i conflitti sociali, e riallocando il capitale verso strutture emergenti che promettono maggiore sicurezza o rendimenti più alti di quelli garantiti dalla struttura dominante”.

E’ proprio da qui che si può evincere il doppio binario, sopra indicato, dello strumento finanziario dello Stato Usa, divide et impera; una (di)visione realizzata da una politica strategica realmente conflittuale, il cui flusso finanziario è soltanto l’aspetto di un più ampio conflitto strategico; come altrettanto ampio è lo spettro di dominio della potenza egemonica di un paese che intende collocarsi entro uno spazio geopolitico, compreso quello militare.

Il gioco delle apparenze, svolto dal paese dominante Usa, si realizza con una indubbia efficacia persuasiva: una duplicazione infinita del finanziario che si svolge senza alcun riferimento delle economie reali, che continuano a sussistere in immagini riflesse dei valori finanziari, come in una camera di specchi; un gioco delle apparenze che ha portato a uno stato confusionale i dominati europei, così come del resto si è lasciato avvolgere il sistema politico italiano, che, tra destra-sinistra, spazia dal risibile pensiero mercatista tremontiano, al mercato sociale e/o socialismo del mercato della sinistra, ai no global, alla finanza etica…, e “chi più ne ha più ne metta”.

La ricerca sociale prospettata da Arrighi, contiene, come gran parte del mondo accademico, l’idea statica ‘del moto apparente del sole (intorno alla terra); una sorta di ‘pensiero alto’ che tiene costantemente sotto osservazione una ordinaria realtà empirica a copertura di un sottostante movimento tellurico, che trasforma, continuamente, la superficie dell’ oggetto dell’analisi posta in essere.

Le stesse fissità di pensiero sui macrosistemi economici-finanziari hanno prodotto una spessa coltre ideologica al riparo degli ‘squarci di verità’ che hanno saputo imporre i grandi pensatori da Marx, a Husserl…., nel disvelamento delle ideologie, che imbragavano la realtà entro le apparenze dei dominanti.

Una ricerca sociale che possa essere considerata con una sufficiente scientificità, non può fare riferimento ad una realtà statica ( e/o in equilibrio), quanto considerare che ogni mutamento ( sviluppo) è rottura di ogni precedente (apparente) equilibrio, con una posizione da occupare in progressione di un movimento (conflitto) in costante squilibrio (simile alle analisi schumpteriane dei processi innovativi dei prodotti derivati dalla rottura del flusso circolare ).

Oltre alla comprensione che lo svelamento dello squilibrio è il riconoscimento di una realtà in movimento come presupposto fondante di ogni conflitto strategico: i cambiamenti di posizione diventano parte integrante di una stabilizzazione di una nuova formazione economica-sociale ( pars costruens).




  1. Il termine “Economia Mondo” fu usato per la prima volta da F. Braudel (ricalcando le analisi di F. Rorig del 1933) e rappresenta un insieme di aree geografiche con diversa specializzazione produttiva e con diversi rapporti di produzione, collegati da relazioni commerciali; una divisione spaziale con un centro ed una periferia collegata secondo una dilatazione di scambi commerciali in una forma di progressiva subordinazione economica.

di Gianni Duchini

27 dicembre 2010

Direttive europee sui prodotti erboristici

Facciamo un po’ di chiarezza nell’ingarbugliato caso della Direttiva europea sugli integratori e farmaci naturali.

Nel web stanno circolando da mesi notizie allarmanti e decisamente inquietanti. Dal primo aprile 2011, cioè tra quattro mesi, spariranno dalla vendita integratori, medicine naturali tradizionali, chiuderanno le scuole di naturopatia e omeopatia, e verranno date alle fiamme tutti i libri su argomenti naturali.
Sinceramente, detto tra noi, con un minimo di buon senso, questi allarmi lasciano il tempo che trovano, anzi, sicuramente rientrano in una strategia ben precisa. Mi spiego meglio.
Veicolare notizie assurde e soprattutto irrealizzabili (almeno nell’immediato) rientra in una vera e propria strategia mediatica di debunking e deviazione delle masse. Chi infatti potrà mai credere che spariranno libri su argomenti di medicina naturale, o addirittura che saranno chiuse le scuole pluridecennali di naturopatia?
Siccome ciò è impossibile (nel breve), il risultato è che tutto perde di significato, per cui si butta via il bambino con l’acqua sporca!
Ma come stanno le cose? Cerchiamo di fare un po’ chiarezza.

Direttiva 2000/13/CE
Prima di affrontare questo importante argomento, è necessario fare alcuni passi indietro e andare a Bruxelles il 20 marzo 2000 quando i burocrati del Parlamento europeo e del Consiglio d’Europa hanno la varato una Direttiva 2000/13/CE “relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità”[1]
In questa Direttiva, entrata in vigore il 26 maggio 2000, si parla dell’etichettatura a livello comunitario.

Articolo 2

1. L'etichettatura e le relative modalità di realizzazione non devono:

b) (…) attribuire al prodotto alimentare proprietà atte a prevenire, curare o guarire una malattia umana né accennare a tali proprietà.

Nella presente Direttiva NON si può “attribuire al prodotto alimentare proprietà atte a prevenire, curare o guarire una malattia umana né accennare a tali proprietà”. Cosa i burocrati intendono per “prodotto alimentare” lo troviamo nella Direttiva 2002/46/CE.

Direttiva 2002/46/CE
La Direttiva 2002/46/CE, sancita questa volta in Lussemburgo, “relativa a ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernente gli integratori alimentari”[2] è molto interessante!
Entrata in vigore ufficialmente il 12 luglio 2002, gli Stati membri hanno dovuto adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative entro il 31 luglio 2003[3].
In Italia è stata recepita con un Decreto legislativo nr. 169 del 21 maggio 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale nr. 164 del 15 luglio 2004.

Articolo 1
1. La presente direttiva si applica agli integratori alimentari commercializzati come prodotti alimentari e presentati come tali.

All’articolo 1 della Direttiva 2002/46, gli “integratori alimentari”, sono commercializzati come “prodotti alimentari”, e in quanto tali, per la Direttiva 2000/13 vista prima, NON si è possibile attribuire loro alcuna proprietà “atte a prevenire, curare o guarire una malattia umana” .
All’articolo 2, paragrafo b) invece, si specifica che le vitamine e i minerali sono considerati “sostanze nutritive” o “nutrienti”, mentre al paragrafo a) gli “integratori alimentari” possono essere costituiti da una “fonte concentrata di ‘sostanze nutritive’ ”. Si può per tanto concludere che anche le vitamine e i minerali sono considerati “prodotti alimentari”!

Articolo 2

Ai fini della presente direttiva si intende per:

a) "integratori alimentari": i prodotti alimentari destinati ad integrare la dieta normale e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico (…);

b) "sostanze nutritive" o "nutrienti": le seguenti sostanze:

i) le vitamine;

ii) i minerali.

Ecco il primo passaggio epocale: trasformare “minerali”, “vitamine” e “piante”, prima in “integratori” e quindi in “prodotti alimentari” (integratori alimentari), specificando anche la dose raccomandata per l’assunzione giornaliera (la ridicola R.D.A.). Dose da non superare, ovviamente!
Non è tutto, perché a corredo di tale direttiva, il Ministero della Salute ha fornito un elenco delle piante permesse (Tabella B: “erbe impiegabili negli integratori alimentari”) e un elenco delle sostanze non permesse (circa 400, Tabella A: “erbe il cui uso deliberato non è ammesso”).
Tutte le piante citate in quest'ultimo elenco, sono state tolte dal commercio, creando confusione tra venditori e consumatori e seri problemi economici ai produttori!
Tanto per capire la situazione, ci sono numerosi casi in cui una medesima pianta figura in entrambi gli elenchi, differenziata solo dalla parte utilizzabile (seme, fiore o corteccia per esempio). Ancora più confusione e danni economici enormi a quelle piccole o medie aziende che magari hanno investito soldi su dei prodotti, piuttosto che su una specifica pianta.

Se teniamo conto che nella Direttiva 90/496/CEE del 24 settembre 1990, “relativa all’etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari[4] i “prodotti alimentari” sono, diciamo erano, da intendere quelli “destinati a ristoranti, ospedali, mense e altre analoghe collettività”[5], cioè solo alimenti!
Specificando subito dopo, all’articolo 1, paragrafo 2) che tale Direttiva (90/496/CEE) non si applica alle acque minerali e agli “integratori di regime/complementi alimentari[6].
E’ la prima volta dal 1990, che vitamine e minerali vengono considerati come “prodotti alimentari”, con le conseguenze che abbiamo visto sopra e che vedremo anche tra breve.
Adesso veniamo alla Direttiva che più ha scatenato le rivolte nel web.

Direttiva 2004/24/CE
A Strasburgo, capoluogo dell’Alsazia (Francia Orientale) e sede del Parlamento europeo e Consiglio d’Europa, il 31 marzo del 2004 è avvenuto qualcosa di interessante.
La prima precisazione è che la Direttiva europea 2004/24/CE, essendo stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. L 136 il 30/04/2004, non entra in vigore, come viene detto nel web, il primo aprile 2011, ma il mese successivo, e cioè il primo maggio del 2011. Questo elimina dalla testa dei malpensanti un “pesce d’aprile” di catastrofiche dimensioni.
La Direttiva 2004/24 modifica “per quanto riguarda i medicinali vegetali tradizionali, la direttiva 2001/83/CE recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano[7].
L’ormai arcinota Direttiva modifica una precedente Direttiva, la 2001/83 del 6 novembre 2001, che definisce “i medicinali per uso umano”, per l’esattezza va a modificare i “medicinali vegetali tradizionali”.

Cosa sono questi medicinali?
La Direttiva è chiara a tal proposito e definisce “medicinale”, “medicinale vegetale tradizionale” e “medicinale vegetale”.
Con il termine generico “medicinale”, la definizione è la seguente:

(Punto 2) comma a) ogni sostanza o associazione di sostanze presentata avente proprietà curative o profilattiche delle umane; o comma b) ogni sostanza o associazione di sostanze che possa utilizzata sull'uomo o somministrata all'uomo allo ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un'azione farmacologica, immunologica metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica.

Permedicinale vegetale tradizionale”:

29) medicinale vegetale che risponda ai requisiti di cui all'articolo 16 bis, paragrafo 1.

Permedicinale vegetale”:

30) ogni medicinale che contenga esclusivamente come principi attivi una o più sostanze vegetali o uno o più preparati vegetali, oppure una o più sostanze vegetali in associazione ad uno o più preparati vegetali.

All’articolo 16 bis, paragrafo 1 si dice che è istituita una procedura di registrazione semplificata per i medicinali vegetali che soddisfano TUTTI i seguenti requisiti:

a) le indicazioni sono esclusivamente quelle appropriate per i medicinali vegetali tradizionali che, in virtù della loro composizione e del loro scopo, sono destinati ad essere utilizzati senza controllo medico per necessità di diagnosi, di una prescrizione o per il controllo del trattamento;

b) ne è prevista la somministrazione solo in una determinata concentrazione e posologia;

c) si tratta di un preparato per uso orale, esterno e/o inalatorio;

d) è trascorso il periodo di impiego tradizionale di cui all'articolo 16 quater, parag. 1, lettera c);

e) i dati relativi all'impiego tradizionale del medicinale sono sufficienti; in particolare, il prodotto ha dimostrato di non essere nocivo nelle condizioni d'uso indicate e i suoi effetti farmacologici o la sua efficacia risultano verosimili in base all'esperienza e all'impiego di lunga data.

A parte i paragrafi i primi tre, la lettera d) sancisce un periodo di tempo tradizionale stabilito dall’articolo 16 quater, paragrafo 1 lettera c).
Articolo 16 quarter, paragrafo 1 lettera c).

La documentazione bibliografica o le certificazioni di esperti comprovanti che il medicinale in questione o un prodotto corrispondente ha avuto un impiego medicinale per un periodo di almeno trent'anni anteriormente alla data di presentazione della domanda, di cui almeno 15 anni nella Comunità. Su richiesta dello Stato membro in cui è stata presentata la domanda di registrazione per impiego tradizionale, il comitato dei medicinali vegetali esprime un parere sull'adeguatezza della dimostrazione dell'uso di lunga data del medicinale in questione o del prodotto corrispondente. Lo Stato membro presenta la documentazione rilevante a sostegno della richiesta”;[8]

Un prodotto che funziona, se non si riesce a comprovare il suo impiego continuativo per almeno 30 anni, prima della data di presentazione della domanda, rischia di essere messo al bando e tolto dal commercio.
Ma i punti che più c’interessano, scorrendo la Direttiva del 2004, sono il 3 e 5.

Punto 3:

“Nonostante una lunga tradizione d'uso, numerosi medicinali non rispondono ai requisiti relativi all'impiego medicinale ben noto né presentano una riconosciuta efficacia e un livello accettabile di sicurezza e non possono pertanto essere oggetto di un'autorizzazione all'immissione in commercio. (…)”[9]

Punto 5:

“(…) Tuttavia, poiché neppure una lunga tradizione consente di escludere eventuali timori circa la sicurezza del prodotto, le autorità competenti dovrebbero avere la facoltà di richiedere tutti i dati necessari per la valutazione della sicurezza. La qualità di un dato medicinale non è determinata dal suo impiego tradizionale. Pertanto non dovrebbero essere concesse deroghe all'obbligo di effettuare le necessarie prove chimico-fisiche, biologiche e microbiologiche. I prodotti dovrebbero soddisfare le norme di qualità contenute nelle monografie della farmacopea europea pertinenti o in quelle della farmacopea di uno Stato membro”[10]

Qui il caos è voluto. Da una parte dicono che una lunga tradizione di un medicinale vegetale consente di non dover fare la sperimentazione preclinica e dall’altra dicono che tuttavia, poiché “neppure una lunga tradizione consente di escludere eventuali timori circa la sicurezza del prodotto, le autorità competenti dovrebbero avere la facoltà di richiedere tutti i dati necessari per la valutazione della sicurezza”
Ecco il giochetto messo in atto dai burocrati di Strasburgo, Bruxelles e Lussemburgo.
Le autorità di controllo, completamente fagocitate dalle corporation della chimica e farmaceutica, dovrebbero richiedere - avendone la facoltà e autorità - i dati necessari per la valutazione della sicurezza di un prodotto vegetale tradizionale.
Sapete come si valuta la sicurezza di un prodotto per uso umano? Lo spiega la stessa Direttiva 2004/24/CE:

“Le domande di autorizzazione all'immissione in commercio di un medicinale debbano essere corredate di un fascicolo contenente informazioni e documenti relativi in particolare ai risultati delle prove chimico-fisiche, biologiche, microbiologiche, farmacologiche, tossicologiche e delle sperimentazioni cliniche effettuate sul prodotto e comprovanti la sua qualità, sicurezza ed efficacia”

Per tanto, se una azienda vorrà vendere un prodotto erboristico (pianta o parti di pianta) descrivendone però le caratteristiche “terapeutiche” e/o “curative” questo verrà considerato alla stregua di un “farmaco di sintesi”, anche se viene usato da migliaia di anni.
Per una piccola o media azienda questo è praticamente impossibile!
Per produrre rimedi terapeutici naturali, bisognerà fornire alle autorità: prove chimico-fisiche, biologiche, microbiologiche, farmacologiche, tossicologiche e cliniche.
La domanda che sorge spontanea: chi potrà permettersi tutto ciò? E la risposta purtroppo è sempre la stessa: i soliti noti… Solo le aziende del farmaco potranno economicamente registrare un prodotto erboristico per poi tenerlo fermo in un cassetto, oppure guadagnandoci miliardi alla faccia delle piccole aziende che lavorano bene e onestamente.

di Marcello Pamio

26 dicembre 2010

Rapinare i risparmiatori: truffa decisa da banche e governi


Titoli tossici, divenuti carta straccia una volta scoppiata la bolla immobiliare; il bluff di mutui senza copertura, di quote azionarie senza capitali e senza più valore commerciale né relazioni con l’economia reale. Grande crisi? No, grande truffa. Organizzata dagli Stati, con la complicità delle banche centrali. Obiettivo: derubare i cittadini. Letteralmente: espropriarli dei loro risparmi, per alimentare il grande flusso del capitalismoBruno Amoroso, docente all’università danese di Roskilde. finanziario globale: hi-tech e spese militari in primis. Tutto legale, naturalmente. Perché sono stati gli stessi “truffatori” a manipolare le leggi per agevolare il grande saccheggio. Lo afferma un importante economista,

Allievo del professor Federico Caffè, grande economista italiano scomparso nel nulla il 15 aprile 1987, Amoroso è reduce da conferenze e incontri crisi finanziariapubblici nei quali non ha esistato a denunciare il capitalismo finanziario che sta scatenando la più grave crisi sociale nella storia delle democrazie occidentali. «Alla parola crisi, generalmente, diamo questo significato: la crisi è qualcosa di difettoso, legato al non-funzionamento dei meccanismi dell’economia o dei sistemi politici. Qualcosa di non voluto, qualcosa che è sfuggito di mano», premette Amoroso, in una video-intervista girata da “Radio dal basso” e collocata su YouTube. Secondo la tesi corrente, è «come se l’intenzione della finanza e dell’econimia fosse equa e però qualcosa è sfuggito o qualcuno ha imbrogliato. Be’, secondo me non è così».

«Questa che si chiama crisi finanziaria – afferma il professor Amoroso – non è una crisi: è il risultato di politiche programmate per realizzare l’esproprio dei risparmi di milioni di persone, sia nei paesi europei ma anche a livello mondiale». Quindi, aggiunge l’economista, «più che di crisi parlerei appunto di truffa, nel senso dell’esproprio: però non un esproprio fatto da truffatori, cioè in modo illegale, ma di un esproprio organizzato dai sistemi finanziari accompagnati da misure legislative tutte funzionali a questo esproprio». Bruno AmorosoPotrebbe sembrare un paradosso: «Quella che chiamiamo crisi è in realtà una politica che ha avuto un grande successo».

Sarebbe come chiamare “crisi” l’industrializzazione forzata del nord compiuta dalla Fiat o gli stessi disastri ecologici: «Non sono “errori”, niente che sia sfuggito di mano a nessuno. Sono stati il risultato, anzi il successo, di una certa forma di industrializzazione, quindi se vogliamo rapace, di considerare il mercato capitalistico e l’economia per realizzare determinati interessi». Quindi: «Non crisi finanziaria, ma anzi: successo della finanza e della globalizzazione nell’espropriare milioni di cittadini che avevano dei risparmi accumulati». E visto che «ormai sul piano dei salari c’è molto poco da espropriare», ecco che è il risparmio ad essere colpito, «laddove esistono spazi per continuare l’arricchimento e l’esproprio capitalistico».

Per il professor Amoroso, «la crisi finanziaria cosiddetta è questo: è il successo delle politiche del neo-liberismo e della globalizzazione». Vie d’uscita? Solo se i consumatori, «che sono le vittime», decidessero di «abolire quei sistemi bancari e finanziari, sostituendoli e dando fiducia al sistema della finanza etica e delle banche popolari, legate all’economia reale dei territori». Fino a qualche decennio fa avremmo detto: è necessario ristabilire il controllo dello Stato, o della Banca centrale, sulla finanza. «Questo oggi non ha più senso, perché lo Stato e la banca nazionale sono esattamente espressione di quegli interessi, negli Stati Uniti ma anche nella maggioranza dei paesi europei, cioè sono i centri del potere finanziario – Claude TrichetMediobanca, la banca centrale – che sono i rappresentanti di quegli interessi, quelli che hanno fatto le leggi e i regolamenti».

Quello che è successo, continua l’economista, basta e avanza per «mettere sotto inchiesta la banca nazionale e il comitato di controllo del credito». I dispositivi di controllo esistono, ma hanno ignoranto l’allarme. «Erano distratti? Non se ne sono accorti?». Al contrario: hanno finto di non vederli, i rischi per i risparmiatori, perché il loro vero obiettivo, non dichiarato, era espropriarli. «Cioè: espropriare risparmi accantonati per la vita familiare, per riportarli dentro il flusso dell’economia mondiale della globalizzione che certamente ha bisogno di grandi investimenti. Nei campi hi-tech e dell’industria militare servono grandi soldi. Siccome i cittadini non sono disposti a metterli a disposizione di avventure di quel tipo, allora gli si tolgono. E gli si tolgono in maniera legale, non in maniera truffaldina: questa è una truffa organizzata, dagli Stati e dai poteri politici e finanziari».

di Giorgio Cattaneo

28 dicembre 2010

Capitalismo e (dis)ordine mondiale?


L’idea di un declino dell’Impero Usa fu formulata dai sociologi (storici) Eric Hobsbawm (inglese) e Immanuel Wallerstein (statunitense) : un pensiero tranciante che richiama molto il crollismo capitalistico di tutto il Novecento, sviluppato però in questo caso da un paese dominante che agisce sui doppi binari (livelli) di una politica di potenza ed in grado perciò di rilasciare continue sorprese prima del riconoscimento di un suo iniziale declino.


Secondo tali autori, negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, si delineò la fase conclusiva di una “secolo breve” (1914-1991); il cui collasso finale dei regimi comunisti accelerò la fine di una stabilità internazionale, e con essa gli Stati nazionali, compresa la differenza, tra “Liberalismo” e “Illuminismo”, che aveva campeggiato, con identificazioni statali il vecchio continente europeo, per circa tre secoli a partire dallo storico armistizio europeo di Westfalia del 1648:

Un’ipotesi ripresa da Giovanni Arrighi come si evince nella raccolta dei suoi saggi raccolti in un libro postumo (a cura di Cesarale-Pianta), dal titolo“CAPITALISMO e (DIS)ORDINE MONDIALE”, ed., Il Manifesto Libri,2010; un insieme di scritti (tra i tanti) frutto di una lunga permanenza in Usa dell’autore, dopo aver peregrinato tra università africane e l’università di sociologia di Trento dei primi anni settanta, prima di arrivare al periodo americano, alla “State University” di New York e al “Fernand Braudel Center” (1979)

Le sue indagini sui “Cicli sistemici di Accumulazione” e “Transizioni Egemoniche”, con l’approssimarsi dell’inizio del nuovo secolo, si fecero improvvisamente cupe e gravide di incertezze circa le prospettive storiche del futuro del Terzo Millennio, sempre avvolto secondo l’autore, da una “nebbia totale”; un chiaro richiamo alla centralità del “Capitale Finanziario”, che sovrasta e copre ogni crisi del capitalismo, che ha saputo rappresentare e tenere un insieme ideologico dell’intero Novecento, da cui si sono liberati tutti gli (ister)ismi liberali ed in particolare quelli marxisti che si sono avvalsi, per circa un secolo, della nota formula del “Imperialismo come supremo stadio del capitalismo”.

Una conferma ulteriore, della finanziarizzazione capitalistica arrivò con la cosiddetta “Globalizzazione”, tanto pubblicizzata, nei suoi epigoni democratici del “villaggio globale”, quanto vituperata da tutti i no-global, entrambi concordi sulle cause fondamentali della crisi dell’eccesso di finanza dei rapporti capitalisti; sfuggiva la motivazione principale, di quel surplus finanziario, tesa a nascondere un reale rapporto di dominio globale, come avvenne con l’emersione del monocentrismo Usa, facendo seguito all’implosione dell’Urss (1989): un quindicennio di dominio globale Usa, prima dell’ ingresso del multipolarismo (2002-03).

Non senza dimenticare come l’idea forza della globalizzazione si sia potuta incarnare nelle imprese definite “transnazionali” perché prive (si diceva) di una matrice di interesse nazionale; un viatico fondamentale ad una pervasività finanziaria che si sviluppò con il nascondimento (apparente) di una corposa concretezza di interessi nazionali delle americanissime imprese (Usa) che agirono con caratterizzazioni egemoniche (mondiali), sotto le coperture finanziarie, delle imprese sub–dominanti (agenti mandatari) collocate nei paesi dominati.

Oltre ad un dejà vu ossessivo che identificò, sempre, il Capitalismo finanziario, come la causa di ogni crisi capitalistica: un semplice rapporto di dominio nascosto e trasferito sull’economico e che costrinse il dominato a fare i conti (della serva), entro i vincoli economici assegnatigli; conseguenza fondamentale di una limitazione di autonomia per ciascun paese e finanche di un pensiero depauperato dell’agire politico, in una politica senza vita che, come uno spettro, è capace ancora di irretire i popoli beoti irretiti dai luoghi comuni di un crollo del capitalismo.

L’interesse dell’autore è rivolto principalmente alla crisi del “Washington consensus“ causa fondamentale dell’emergenza della Cina che ha saputo imporre un cambiamento fondamentale nelle relazioni tra il “Nord e il Sud del mondo”; un cambiamento di direzione imposto all’establishment americano, che intende reagire come paese dominante, in grado di nascondere le più profonde ragioni di una politica di potenza in crisi di egemonia, nei cui confronti l’economi(c)a rappresenta l’unico carburante valido per una politica in grado di mettere in movimento “l’insieme di un complesso strategico”.

E’ su questa crisi di una declinante egemonia che si è innestata una corsa strategica Usa mettendo benzina sul fuoco della Centralità Finanziaria ormai alle corde dal multipolarismo che avanza, e da un armamentario ideologico del liberalismo-marxismo in disuso, alle spalle del trascorso Novecento; e con il sostegno ideologico di una ricorsività della finanziarizzazione del capitale, formulata dallo storico Fernand Braudel come “caratteristica ricorrente del capitalismo storico fin dal sedicesimo storico”, che ha dato la stura ad una summa di pensiero “dell’Economia Mondo”(1) ; e ripresa e fatta proprio da Arrighi: “ l’accumulazione di capitale [si realizza] attraverso la compravendita delle merci ….In alcuni periodi anche lunghi il capitalismo sembrò specializzarsi come nel diciannovesimo secolo, quando esso si lanciò in modo tanto spettacolare nell’immensa novità dell’industria. Questa specializzazione indusse molti a presentare l’industria come la realizzazione ultima che avrebbe conferito al capitalismo il suo vero volto. Ma si trattava di una prospettiva di breve termine: dopo il primo boom del macchinismo, il capitalismo più elevato tornò all’eclettismo ad una specie di indivisibilità, come se lo specifico vantaggio di trovarsi in quei punti dominanti consistesse proprio nel non irrigidirsi in una sola scelta: nell’essere eminentemente adattabile e quindi non specializzato”.

Le espansioni finanziarie sono state (secondo l’autore) “ un aspetto integrante delle crisi egemoniche passate e presenti, nonché della loro trasformazione in crolli egemonici. Ma il loro impatto sulla tendenza delle crisi a risolversi in crolli egemonici è ambivalente. Per un verso, infatti, esse tengono la crisi sotto controllo inflazionando temporaneamente il potere dello stato egemonico in declino… Questa reflazione permette allo Stato a egemonia declinante di contenere, almeno per un po’, le forze che sfidano la prosecuzione del suo dominio. Per un altro verso, però, le espansioni finanziarie consolidano queste ultime, ampliando e approfondendo la concorrenza tra Stati e tra imprese e i conflitti sociali, e riallocando il capitale verso strutture emergenti che promettono maggiore sicurezza o rendimenti più alti di quelli garantiti dalla struttura dominante”.

E’ proprio da qui che si può evincere il doppio binario, sopra indicato, dello strumento finanziario dello Stato Usa, divide et impera; una (di)visione realizzata da una politica strategica realmente conflittuale, il cui flusso finanziario è soltanto l’aspetto di un più ampio conflitto strategico; come altrettanto ampio è lo spettro di dominio della potenza egemonica di un paese che intende collocarsi entro uno spazio geopolitico, compreso quello militare.

Il gioco delle apparenze, svolto dal paese dominante Usa, si realizza con una indubbia efficacia persuasiva: una duplicazione infinita del finanziario che si svolge senza alcun riferimento delle economie reali, che continuano a sussistere in immagini riflesse dei valori finanziari, come in una camera di specchi; un gioco delle apparenze che ha portato a uno stato confusionale i dominati europei, così come del resto si è lasciato avvolgere il sistema politico italiano, che, tra destra-sinistra, spazia dal risibile pensiero mercatista tremontiano, al mercato sociale e/o socialismo del mercato della sinistra, ai no global, alla finanza etica…, e “chi più ne ha più ne metta”.

La ricerca sociale prospettata da Arrighi, contiene, come gran parte del mondo accademico, l’idea statica ‘del moto apparente del sole (intorno alla terra); una sorta di ‘pensiero alto’ che tiene costantemente sotto osservazione una ordinaria realtà empirica a copertura di un sottostante movimento tellurico, che trasforma, continuamente, la superficie dell’ oggetto dell’analisi posta in essere.

Le stesse fissità di pensiero sui macrosistemi economici-finanziari hanno prodotto una spessa coltre ideologica al riparo degli ‘squarci di verità’ che hanno saputo imporre i grandi pensatori da Marx, a Husserl…., nel disvelamento delle ideologie, che imbragavano la realtà entro le apparenze dei dominanti.

Una ricerca sociale che possa essere considerata con una sufficiente scientificità, non può fare riferimento ad una realtà statica ( e/o in equilibrio), quanto considerare che ogni mutamento ( sviluppo) è rottura di ogni precedente (apparente) equilibrio, con una posizione da occupare in progressione di un movimento (conflitto) in costante squilibrio (simile alle analisi schumpteriane dei processi innovativi dei prodotti derivati dalla rottura del flusso circolare ).

Oltre alla comprensione che lo svelamento dello squilibrio è il riconoscimento di una realtà in movimento come presupposto fondante di ogni conflitto strategico: i cambiamenti di posizione diventano parte integrante di una stabilizzazione di una nuova formazione economica-sociale ( pars costruens).




  1. Il termine “Economia Mondo” fu usato per la prima volta da F. Braudel (ricalcando le analisi di F. Rorig del 1933) e rappresenta un insieme di aree geografiche con diversa specializzazione produttiva e con diversi rapporti di produzione, collegati da relazioni commerciali; una divisione spaziale con un centro ed una periferia collegata secondo una dilatazione di scambi commerciali in una forma di progressiva subordinazione economica.

di Gianni Duchini

27 dicembre 2010

Direttive europee sui prodotti erboristici

Facciamo un po’ di chiarezza nell’ingarbugliato caso della Direttiva europea sugli integratori e farmaci naturali.

Nel web stanno circolando da mesi notizie allarmanti e decisamente inquietanti. Dal primo aprile 2011, cioè tra quattro mesi, spariranno dalla vendita integratori, medicine naturali tradizionali, chiuderanno le scuole di naturopatia e omeopatia, e verranno date alle fiamme tutti i libri su argomenti naturali.
Sinceramente, detto tra noi, con un minimo di buon senso, questi allarmi lasciano il tempo che trovano, anzi, sicuramente rientrano in una strategia ben precisa. Mi spiego meglio.
Veicolare notizie assurde e soprattutto irrealizzabili (almeno nell’immediato) rientra in una vera e propria strategia mediatica di debunking e deviazione delle masse. Chi infatti potrà mai credere che spariranno libri su argomenti di medicina naturale, o addirittura che saranno chiuse le scuole pluridecennali di naturopatia?
Siccome ciò è impossibile (nel breve), il risultato è che tutto perde di significato, per cui si butta via il bambino con l’acqua sporca!
Ma come stanno le cose? Cerchiamo di fare un po’ chiarezza.

Direttiva 2000/13/CE
Prima di affrontare questo importante argomento, è necessario fare alcuni passi indietro e andare a Bruxelles il 20 marzo 2000 quando i burocrati del Parlamento europeo e del Consiglio d’Europa hanno la varato una Direttiva 2000/13/CE “relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità”[1]
In questa Direttiva, entrata in vigore il 26 maggio 2000, si parla dell’etichettatura a livello comunitario.

Articolo 2

1. L'etichettatura e le relative modalità di realizzazione non devono:

b) (…) attribuire al prodotto alimentare proprietà atte a prevenire, curare o guarire una malattia umana né accennare a tali proprietà.

Nella presente Direttiva NON si può “attribuire al prodotto alimentare proprietà atte a prevenire, curare o guarire una malattia umana né accennare a tali proprietà”. Cosa i burocrati intendono per “prodotto alimentare” lo troviamo nella Direttiva 2002/46/CE.

Direttiva 2002/46/CE
La Direttiva 2002/46/CE, sancita questa volta in Lussemburgo, “relativa a ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernente gli integratori alimentari”[2] è molto interessante!
Entrata in vigore ufficialmente il 12 luglio 2002, gli Stati membri hanno dovuto adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative entro il 31 luglio 2003[3].
In Italia è stata recepita con un Decreto legislativo nr. 169 del 21 maggio 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale nr. 164 del 15 luglio 2004.

Articolo 1
1. La presente direttiva si applica agli integratori alimentari commercializzati come prodotti alimentari e presentati come tali.

All’articolo 1 della Direttiva 2002/46, gli “integratori alimentari”, sono commercializzati come “prodotti alimentari”, e in quanto tali, per la Direttiva 2000/13 vista prima, NON si è possibile attribuire loro alcuna proprietà “atte a prevenire, curare o guarire una malattia umana” .
All’articolo 2, paragrafo b) invece, si specifica che le vitamine e i minerali sono considerati “sostanze nutritive” o “nutrienti”, mentre al paragrafo a) gli “integratori alimentari” possono essere costituiti da una “fonte concentrata di ‘sostanze nutritive’ ”. Si può per tanto concludere che anche le vitamine e i minerali sono considerati “prodotti alimentari”!

Articolo 2

Ai fini della presente direttiva si intende per:

a) "integratori alimentari": i prodotti alimentari destinati ad integrare la dieta normale e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico (…);

b) "sostanze nutritive" o "nutrienti": le seguenti sostanze:

i) le vitamine;

ii) i minerali.

Ecco il primo passaggio epocale: trasformare “minerali”, “vitamine” e “piante”, prima in “integratori” e quindi in “prodotti alimentari” (integratori alimentari), specificando anche la dose raccomandata per l’assunzione giornaliera (la ridicola R.D.A.). Dose da non superare, ovviamente!
Non è tutto, perché a corredo di tale direttiva, il Ministero della Salute ha fornito un elenco delle piante permesse (Tabella B: “erbe impiegabili negli integratori alimentari”) e un elenco delle sostanze non permesse (circa 400, Tabella A: “erbe il cui uso deliberato non è ammesso”).
Tutte le piante citate in quest'ultimo elenco, sono state tolte dal commercio, creando confusione tra venditori e consumatori e seri problemi economici ai produttori!
Tanto per capire la situazione, ci sono numerosi casi in cui una medesima pianta figura in entrambi gli elenchi, differenziata solo dalla parte utilizzabile (seme, fiore o corteccia per esempio). Ancora più confusione e danni economici enormi a quelle piccole o medie aziende che magari hanno investito soldi su dei prodotti, piuttosto che su una specifica pianta.

Se teniamo conto che nella Direttiva 90/496/CEE del 24 settembre 1990, “relativa all’etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari[4] i “prodotti alimentari” sono, diciamo erano, da intendere quelli “destinati a ristoranti, ospedali, mense e altre analoghe collettività”[5], cioè solo alimenti!
Specificando subito dopo, all’articolo 1, paragrafo 2) che tale Direttiva (90/496/CEE) non si applica alle acque minerali e agli “integratori di regime/complementi alimentari[6].
E’ la prima volta dal 1990, che vitamine e minerali vengono considerati come “prodotti alimentari”, con le conseguenze che abbiamo visto sopra e che vedremo anche tra breve.
Adesso veniamo alla Direttiva che più ha scatenato le rivolte nel web.

Direttiva 2004/24/CE
A Strasburgo, capoluogo dell’Alsazia (Francia Orientale) e sede del Parlamento europeo e Consiglio d’Europa, il 31 marzo del 2004 è avvenuto qualcosa di interessante.
La prima precisazione è che la Direttiva europea 2004/24/CE, essendo stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. L 136 il 30/04/2004, non entra in vigore, come viene detto nel web, il primo aprile 2011, ma il mese successivo, e cioè il primo maggio del 2011. Questo elimina dalla testa dei malpensanti un “pesce d’aprile” di catastrofiche dimensioni.
La Direttiva 2004/24 modifica “per quanto riguarda i medicinali vegetali tradizionali, la direttiva 2001/83/CE recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano[7].
L’ormai arcinota Direttiva modifica una precedente Direttiva, la 2001/83 del 6 novembre 2001, che definisce “i medicinali per uso umano”, per l’esattezza va a modificare i “medicinali vegetali tradizionali”.

Cosa sono questi medicinali?
La Direttiva è chiara a tal proposito e definisce “medicinale”, “medicinale vegetale tradizionale” e “medicinale vegetale”.
Con il termine generico “medicinale”, la definizione è la seguente:

(Punto 2) comma a) ogni sostanza o associazione di sostanze presentata avente proprietà curative o profilattiche delle umane; o comma b) ogni sostanza o associazione di sostanze che possa utilizzata sull'uomo o somministrata all'uomo allo ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un'azione farmacologica, immunologica metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica.

Permedicinale vegetale tradizionale”:

29) medicinale vegetale che risponda ai requisiti di cui all'articolo 16 bis, paragrafo 1.

Permedicinale vegetale”:

30) ogni medicinale che contenga esclusivamente come principi attivi una o più sostanze vegetali o uno o più preparati vegetali, oppure una o più sostanze vegetali in associazione ad uno o più preparati vegetali.

All’articolo 16 bis, paragrafo 1 si dice che è istituita una procedura di registrazione semplificata per i medicinali vegetali che soddisfano TUTTI i seguenti requisiti:

a) le indicazioni sono esclusivamente quelle appropriate per i medicinali vegetali tradizionali che, in virtù della loro composizione e del loro scopo, sono destinati ad essere utilizzati senza controllo medico per necessità di diagnosi, di una prescrizione o per il controllo del trattamento;

b) ne è prevista la somministrazione solo in una determinata concentrazione e posologia;

c) si tratta di un preparato per uso orale, esterno e/o inalatorio;

d) è trascorso il periodo di impiego tradizionale di cui all'articolo 16 quater, parag. 1, lettera c);

e) i dati relativi all'impiego tradizionale del medicinale sono sufficienti; in particolare, il prodotto ha dimostrato di non essere nocivo nelle condizioni d'uso indicate e i suoi effetti farmacologici o la sua efficacia risultano verosimili in base all'esperienza e all'impiego di lunga data.

A parte i paragrafi i primi tre, la lettera d) sancisce un periodo di tempo tradizionale stabilito dall’articolo 16 quater, paragrafo 1 lettera c).
Articolo 16 quarter, paragrafo 1 lettera c).

La documentazione bibliografica o le certificazioni di esperti comprovanti che il medicinale in questione o un prodotto corrispondente ha avuto un impiego medicinale per un periodo di almeno trent'anni anteriormente alla data di presentazione della domanda, di cui almeno 15 anni nella Comunità. Su richiesta dello Stato membro in cui è stata presentata la domanda di registrazione per impiego tradizionale, il comitato dei medicinali vegetali esprime un parere sull'adeguatezza della dimostrazione dell'uso di lunga data del medicinale in questione o del prodotto corrispondente. Lo Stato membro presenta la documentazione rilevante a sostegno della richiesta”;[8]

Un prodotto che funziona, se non si riesce a comprovare il suo impiego continuativo per almeno 30 anni, prima della data di presentazione della domanda, rischia di essere messo al bando e tolto dal commercio.
Ma i punti che più c’interessano, scorrendo la Direttiva del 2004, sono il 3 e 5.

Punto 3:

“Nonostante una lunga tradizione d'uso, numerosi medicinali non rispondono ai requisiti relativi all'impiego medicinale ben noto né presentano una riconosciuta efficacia e un livello accettabile di sicurezza e non possono pertanto essere oggetto di un'autorizzazione all'immissione in commercio. (…)”[9]

Punto 5:

“(…) Tuttavia, poiché neppure una lunga tradizione consente di escludere eventuali timori circa la sicurezza del prodotto, le autorità competenti dovrebbero avere la facoltà di richiedere tutti i dati necessari per la valutazione della sicurezza. La qualità di un dato medicinale non è determinata dal suo impiego tradizionale. Pertanto non dovrebbero essere concesse deroghe all'obbligo di effettuare le necessarie prove chimico-fisiche, biologiche e microbiologiche. I prodotti dovrebbero soddisfare le norme di qualità contenute nelle monografie della farmacopea europea pertinenti o in quelle della farmacopea di uno Stato membro”[10]

Qui il caos è voluto. Da una parte dicono che una lunga tradizione di un medicinale vegetale consente di non dover fare la sperimentazione preclinica e dall’altra dicono che tuttavia, poiché “neppure una lunga tradizione consente di escludere eventuali timori circa la sicurezza del prodotto, le autorità competenti dovrebbero avere la facoltà di richiedere tutti i dati necessari per la valutazione della sicurezza”
Ecco il giochetto messo in atto dai burocrati di Strasburgo, Bruxelles e Lussemburgo.
Le autorità di controllo, completamente fagocitate dalle corporation della chimica e farmaceutica, dovrebbero richiedere - avendone la facoltà e autorità - i dati necessari per la valutazione della sicurezza di un prodotto vegetale tradizionale.
Sapete come si valuta la sicurezza di un prodotto per uso umano? Lo spiega la stessa Direttiva 2004/24/CE:

“Le domande di autorizzazione all'immissione in commercio di un medicinale debbano essere corredate di un fascicolo contenente informazioni e documenti relativi in particolare ai risultati delle prove chimico-fisiche, biologiche, microbiologiche, farmacologiche, tossicologiche e delle sperimentazioni cliniche effettuate sul prodotto e comprovanti la sua qualità, sicurezza ed efficacia”

Per tanto, se una azienda vorrà vendere un prodotto erboristico (pianta o parti di pianta) descrivendone però le caratteristiche “terapeutiche” e/o “curative” questo verrà considerato alla stregua di un “farmaco di sintesi”, anche se viene usato da migliaia di anni.
Per una piccola o media azienda questo è praticamente impossibile!
Per produrre rimedi terapeutici naturali, bisognerà fornire alle autorità: prove chimico-fisiche, biologiche, microbiologiche, farmacologiche, tossicologiche e cliniche.
La domanda che sorge spontanea: chi potrà permettersi tutto ciò? E la risposta purtroppo è sempre la stessa: i soliti noti… Solo le aziende del farmaco potranno economicamente registrare un prodotto erboristico per poi tenerlo fermo in un cassetto, oppure guadagnandoci miliardi alla faccia delle piccole aziende che lavorano bene e onestamente.

di Marcello Pamio

26 dicembre 2010

Rapinare i risparmiatori: truffa decisa da banche e governi


Titoli tossici, divenuti carta straccia una volta scoppiata la bolla immobiliare; il bluff di mutui senza copertura, di quote azionarie senza capitali e senza più valore commerciale né relazioni con l’economia reale. Grande crisi? No, grande truffa. Organizzata dagli Stati, con la complicità delle banche centrali. Obiettivo: derubare i cittadini. Letteralmente: espropriarli dei loro risparmi, per alimentare il grande flusso del capitalismoBruno Amoroso, docente all’università danese di Roskilde. finanziario globale: hi-tech e spese militari in primis. Tutto legale, naturalmente. Perché sono stati gli stessi “truffatori” a manipolare le leggi per agevolare il grande saccheggio. Lo afferma un importante economista,

Allievo del professor Federico Caffè, grande economista italiano scomparso nel nulla il 15 aprile 1987, Amoroso è reduce da conferenze e incontri crisi finanziariapubblici nei quali non ha esistato a denunciare il capitalismo finanziario che sta scatenando la più grave crisi sociale nella storia delle democrazie occidentali. «Alla parola crisi, generalmente, diamo questo significato: la crisi è qualcosa di difettoso, legato al non-funzionamento dei meccanismi dell’economia o dei sistemi politici. Qualcosa di non voluto, qualcosa che è sfuggito di mano», premette Amoroso, in una video-intervista girata da “Radio dal basso” e collocata su YouTube. Secondo la tesi corrente, è «come se l’intenzione della finanza e dell’econimia fosse equa e però qualcosa è sfuggito o qualcuno ha imbrogliato. Be’, secondo me non è così».

«Questa che si chiama crisi finanziaria – afferma il professor Amoroso – non è una crisi: è il risultato di politiche programmate per realizzare l’esproprio dei risparmi di milioni di persone, sia nei paesi europei ma anche a livello mondiale». Quindi, aggiunge l’economista, «più che di crisi parlerei appunto di truffa, nel senso dell’esproprio: però non un esproprio fatto da truffatori, cioè in modo illegale, ma di un esproprio organizzato dai sistemi finanziari accompagnati da misure legislative tutte funzionali a questo esproprio». Bruno AmorosoPotrebbe sembrare un paradosso: «Quella che chiamiamo crisi è in realtà una politica che ha avuto un grande successo».

Sarebbe come chiamare “crisi” l’industrializzazione forzata del nord compiuta dalla Fiat o gli stessi disastri ecologici: «Non sono “errori”, niente che sia sfuggito di mano a nessuno. Sono stati il risultato, anzi il successo, di una certa forma di industrializzazione, quindi se vogliamo rapace, di considerare il mercato capitalistico e l’economia per realizzare determinati interessi». Quindi: «Non crisi finanziaria, ma anzi: successo della finanza e della globalizzazione nell’espropriare milioni di cittadini che avevano dei risparmi accumulati». E visto che «ormai sul piano dei salari c’è molto poco da espropriare», ecco che è il risparmio ad essere colpito, «laddove esistono spazi per continuare l’arricchimento e l’esproprio capitalistico».

Per il professor Amoroso, «la crisi finanziaria cosiddetta è questo: è il successo delle politiche del neo-liberismo e della globalizzazione». Vie d’uscita? Solo se i consumatori, «che sono le vittime», decidessero di «abolire quei sistemi bancari e finanziari, sostituendoli e dando fiducia al sistema della finanza etica e delle banche popolari, legate all’economia reale dei territori». Fino a qualche decennio fa avremmo detto: è necessario ristabilire il controllo dello Stato, o della Banca centrale, sulla finanza. «Questo oggi non ha più senso, perché lo Stato e la banca nazionale sono esattamente espressione di quegli interessi, negli Stati Uniti ma anche nella maggioranza dei paesi europei, cioè sono i centri del potere finanziario – Claude TrichetMediobanca, la banca centrale – che sono i rappresentanti di quegli interessi, quelli che hanno fatto le leggi e i regolamenti».

Quello che è successo, continua l’economista, basta e avanza per «mettere sotto inchiesta la banca nazionale e il comitato di controllo del credito». I dispositivi di controllo esistono, ma hanno ignoranto l’allarme. «Erano distratti? Non se ne sono accorti?». Al contrario: hanno finto di non vederli, i rischi per i risparmiatori, perché il loro vero obiettivo, non dichiarato, era espropriarli. «Cioè: espropriare risparmi accantonati per la vita familiare, per riportarli dentro il flusso dell’economia mondiale della globalizzione che certamente ha bisogno di grandi investimenti. Nei campi hi-tech e dell’industria militare servono grandi soldi. Siccome i cittadini non sono disposti a metterli a disposizione di avventure di quel tipo, allora gli si tolgono. E gli si tolgono in maniera legale, non in maniera truffaldina: questa è una truffa organizzata, dagli Stati e dai poteri politici e finanziari».

di Giorgio Cattaneo