21 gennaio 2011

La "bolla" cinese che sostiene tutto


È una noia dover scrivere dell'incontro tra Hu Jintao e Obama ma un giornale non può non parlarne. Al di là del fatto che Obama è un «lame duck President», presidente-anatra zoppa, bersaglio sicuro dei cacciatori, è «noioso» il contesto delle relazioni tra i due paesi, perché falsato dalle dichiarazioni politiche. Esempio: Hu ha detto che il regime del dollaro è finito, cose già sentite in passato, in Europa fin dagli anni Settanta! Hu Jintao non ha la minima idea di cosa proporre al posto del sistema dollaro. Vuole solo minacciare gli Usa dicendo che la Cina non accetta di subire passivamente i costi finanziari dei surplus cinesi in dollari. Ma - come lucidamente dimostrato sul China Daily del 23 dicembre dall'ex dirigente della Banca del Popolo Yu Yongding - Pechino é vincolata alle esportazioni nette sia per gli interessi della classe capitalistico-statale dominante, sia per la dinamica industriale fondata sulla forza della riproduzione espansiva piuttosto che sulle innovazioni made in China.
Quindi se la vita di Hu dipende dalle esportazioni nette, Hu deve continuare sovraccaricarsi di dollari. In realtà poi Pechino questi dollari li impiega. Decenni addietro si parlava della dollarizzazione dell'America latina come di un disegno finanziario degli Usa. Vero in parte. Tuttavia la dollarizzazione Usa dell'America del sud non é mai decollata ed é implosa con la crisi brasiliana del 1998 e quella argentina del 2001. Oggi però Brasile ed Argentina sono pieni di dollari, grazie alla Cina, direttamente per via delle esportazioni di materie prime ed indirettamente come destinazione dei capitali speculativi dati i prezzi delle derrate e dei prodotti minerari. I surplus cinesi hanno inoltre completamente dollarizzato l'Africa ove Pechino investe massicciamente nei giacimenti e in opere infrastrutturali dall' Africa centrale, all'Etiopia, al Sudan, all'Algeria. Quindi nei fatti Pechino sostiene l'espansione internazionale della moneta statunitense. Quello che Hu intende é una forma di cogestione con Washington della politica monetaria mondiale. Gli Stati uniti dal canto loro si trovano in contraddizione con se stessi. In vista dell'incontro tra Hu Jintao e Obama, Washington ha preparato una lunga lista di prodotti industriali che la Cina dovrebbe impegnarsi ad importare, riducendo così il deficit verso Pechino e creando un nuovo mercato per le produzioni statunitensi. Figuriamoci! La realtà é completamente diversa. Le industrie Usa quando possono delocalizzano o subappaltano in Cina. Poco più di un mese fa il Financial Times mise in prima pagina la notizia che la Caterpillar, azienda Usa mondiale di scavatrici affini, chiudeva la filiale nipponica per traslocare in Cina. La strategia delle multinazionali Usa di diluire la produzione nazionale in una catena di subappalti e delocalizzazioni iniziò a fine anni settanta. È dunque un fenomeno non contingente e che non dipende dal valore del dollaro ma dalla differenza assoluta nel costo di lavoro per unità di prodotto e il divario con il Messico prima e la Cina oggi supera di molto ogni concepibile svalutazione del dollaro. Nei giorni scorsi la General Electric ha firmato un accordo di produzione joint venture con società cinesi che contempla un grosso trasferimento di tecnologia alla Cina. Visto il comportamento delle multinazionali Usa possiamo essere certi che il fatto implicherà un'ulteriore ed accentuata delocalizzazione di un comparto Usa ad alta tecnologia. Niente di nuovo sotto il sole. Certo l'incontro farebbe notizia se Hu dicesse ad Obama, «caro Barack, abbiamo deciso di non fumarci tutta l'aria, già abbiamo i fiumi mortalmente feriti, quindi noi sgonfieremo la bolla di Shanghai, ridurremo la crescita drasticamente ed in ogni caso ne cambieremo il contenuto. Dacci una mano con le tecnologie che hai a casa tua e noi in cambio ti ridiamo i dollari». Forse Obama sarebbe contento ma non le banche ed i mercati (borse) dei capitali che verrebbero presi dal panico. La bolla cinese si integra con la politica Usa del denaro a costo zero dato alle banche e, con l'Europa in stallo totale, tiene in piedi tutto il socialmente fatiscente sistema economico attuale.

di Joseph Halevi

20 gennaio 2011

2011: una nuova distopia




Due grandi rappresentazioni di un futuro scenario distopico furono “1984” di George Orwell e “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley. Il dibattito, tra coloro che supponevano si stesse andando incontro al totalitarismo corporativo, si incentrava su chi dei due avesse ragione. Saremmo stati, come scriveva Orwell, dominati da repressivi apparati di stato per la sorveglianza e la sicurezza che ricorrevano a forme di controllo dure e violente? Oppure, come immaginava Huxley, ipnotizzati da divertimenti e spettacoli, ammaliati dalla tecnologia e sedotti da consumi sregolati per raggiungere la nostra stessa oppressione? Alla fine sia Orwell, sia Huxley avevano ragione. Huxley aveva previsto il primo stadio della nostra riduzione in schiavitù, Orwell il secondo.

Siamo stati gradualmente espropriati dei nostri diritti da uno stato corporativo che, come previsto da Huxley, ci ha sedotti e manipolati attraverso gratificazione dei sensi, prodotti di massa a buon prezzo, credito sconfinato, teatro della politica e divertimento. Mentre ci distraevamo con intrattenimenti, le regole che prima tenevano sotto controllo il potere predatorio delle corporazioni sono state annientate, le leggi che prima ci tutelavano sono state riscritte e ci siamo ritrovati impoveriti.

Ora che il credito si sta prosciugando, i buoni posti di lavoro per la classe operaia sono finiti per sempre e non ci possiamo più permettere i prodotti di massa, ci ritroviamo trasportati da “Il nuovo mondo” a “1984”. Lo stato, menomato da forti deficit, da una guerra senza fine e dagli atti illeciti delle corporazioni, sta scivolando verso la bancarotta. E’ tempo che il Grande Fratello sorpassi l’universo di Huxley. Stiamo passando da una società in cui veniamo astutamente manipolati da legami ed illusioni ad una in cui siamo apertamente controllati.

Orwell ci metteva in guardia rispetto ad un mondo in cui i libri vengono banditi, mentre Huxley uno in cui nessuno legge libri. Orwell descriveva uno stato di guerra e paura permanenti, Huxley una cultura deviata dal piacere insulso. Orwell dipingeva uno stato in cui conversazioni e pensieri vengono monitorati e il dissenso viene brutalmente punito; Huxley uno stato in cui la popolazione concentrata su banalità e gossip, non si preoccupa più di informarsi e di conoscere la verità. Orwell ci vedeva terrorizzati fino alla sottomissione, Huxley sedotti fino alla sottomissione. Ma la visione di Huxley, stiamo scoprendo, non era che il preludio a quella di Orwell. Huxley aveva capito il processo attraverso il quale noi stessi saremmo stati complici della nostra riduzione in schiavitù. Orwell aveva compreso la schiavitù. Ora che il colpo delle corporazioni è fatto, restiamo nudi ed indifesi. Stiamo iniziando a capire, come aveva intuito Karl Marx, che il capitalismo selvaggio e senza regole è una forza brutale e rivoluzionaria che sfrutta gli esseri umani e le risorse naturali fino all’esaurimento o al collasso.

“Il partito ha solo sete di potere,” scriveva Orwell in “1984.” “Non siamo interessati al bene degli altri; siamo interessati esclusivamente al potere. Non ricchezza, lusso, lunga vita o felicità: solo il puro potere. Cosa significa puro potere, lo comprenderete ora. Siamo diversi rispetto a tutte le oligarchie del passato, perché sappiamo quello che stiamo facendo. Tutti gli altri, persino quelli che ci assomigliavano, erano ipocriti e codardi. I nazisti tedeschi e i comunisti russi si avvicinavano molto a noi nei metodi, ma non ebbero mai il coraggio di riconoscere i veri motivi che li spingevano ad agire. Essi pretendevano, forse persino credevano, di essersi impadroniti del potere di mala voglia e per un tempo limitato, e che appena dietro l’angolo ci fosse un paradiso in cui gli esseri umani sarebbero stati liberi ed uguali. Noi non siamo così. Noi sappiamo che nessuno ottiene il potere con l’intenzione di abbandonarlo. Il potere non è un mezzo; è il fine. Nessuno instaura una dittatura per salvaguardare una rivoluzione; si fa la rivoluzione per stabilire la dittatura. L’oggetto della persecuzione è la persecuzione. L’oggetto della torta è la tortura. L’oggetto del potere è il potere.”

Il filosofo politico Sheldon Wolin usa il termine “totalitarismo invertito” nel suo libro “Democrazia incorporata” per descrivere il nostro sistema politico. E’ un termine che avrebbe senso per Huxley. Nel totalitarismo invertito, le sofisticate tecnologie del controllo corporativo, l’intimidazione e la manipolazione di massa, che superano di gran lunga quelli impiegati dai precedenti totalitarismi, sono effettivamente mascherati dallo scintillio, il rumore e l’abbondanza della società consumistica. La partecipazione politica e le libertà civili decadono gradualmente. Lo stato corporativo, nascondendosi dietro la cortina fumogena dell’industria delle public relations, dell’intrattenimento e dell’appariscente materialismo di una società consumistica, ci divora dall’interno. Non deve fedeltà né a noi, né alla nazione. Banchetta con la nostra carcassa.

Lo stato corporativo non trova la propria espressione in un demagogo o in un leader carismatico. Si definisce per l’anonimato delle sue corporazioni senza volto. Corporazioni, che assoldano rappresentanti attraenti come Barack Obama, controllano la scienza, la tecnologia, l’educazione e la comunicazione di massa. Controllano i messaggi nei film e nella televisione e, così come in “Il mondo nuovo”, usano strumenti di comunicazione per sostenere la tirannia. I nostri sistemi di comunicazione di massa, come scrive Wolin, “bloccano, eliminano tutto ciò che può introdurre qualificazione, ambiguità o dialogo, tutto ciò che rischia di indebolire o mettere in crisi la forza olistica della loro creazione nella sua espressione totale”

Il risultato è un sistema di informazione monocromatico. Celebrità allineate, mascherandosi da giornalisti, esperti e specialisti, identificano i nostri problemi e illustrano pazientemente i parametri. Tutti quelli che esprimono opinioni diverse rispetto ai parametri imposti vengono messi da parte in quanto irrilevanti spostati, estremisti o esponenti della sinistra radicale. Sociologi prescienti, come Ralph Nader e Noam Chomsky, vengono messi a tacere. Le opinioni accettabili vanno da A a B. La cultura, sotto il controllo di questi personaggi allineati, diventa, come Huxley aveva evidenziato, un mondo di allegro conformismo e di sconfinato, e infine fatale, ottimismo. Ci impegniamo ad acquistare prodotti che promettono di trasformare le nostre vite, renderci più attraenti, sicuri di noi stessi o capaci di collezionare successi, mentre invece veniamo continuamente privati dei nostri diritti, del nostro denaro e della nostra influenza. Tutti i messaggi che ci arrivano, sia dalle news della notte o dai talk show come “Oprah” (condotto dall’opinion leader Oprah Winfrey, che ha largo seguito negli USA n.d.r.), promettono un futuro felice e meraviglioso. E questo, come sottolinea Wolin, è “la stessa ideologia che induce i funzionari delle corporazioni a esagerare i profitti e celare le perdite, ma sempre con un’espressione solare.” Siamo stati ipnotizzati, come scrive Wolin “da continui progressi tecnologici” che “ci incoraggiano ad elaborare fantasie di valore individuale, eterna giovinezza, bellezza ottenuta tramite chirurgia, azioni misurate in nanosecondi: una cultura illusoria del controllo e delle sempre crescenti possibilità, i cui esponenti lavorano di fantasia, poiché la vasta maggioranza ha una fervida immaginazione, ma ben scarse conoscenze scientifiche”.

La nostra base produttiva è stata distrutta. Speculatori e imbroglioni hanno saccheggiato le finanze statunitensi e rubato miliardi ai piccoli risparmiatori che avevano accantonato denaro per la pensione o il college. Le libertà civili, compreso l’habeas corpus (Norma giudiziaria del diritto inglese e nord-americano, per la quale l'arrestato deve immediatamente comparire davanti al giudice perché questi decida sulla validità dell'arresto e sulla possibilità della sua scarcerazione dietro cauzione n.d.r.) e la protezione dalle intercettazioni telefoniche non autorizzate, sono spariti. I servizi basilari, compresa l’educazione pubblica e la sanità, sono stati trasferiti alle corporazioni affinché ne traggano profitto. I pochi che dissentono, che rifiutano di lasciarsi coinvolgere nell’allegro discorso corporativo, vengono additati dall’establishment corporativo come stravaganti.

Opinioni e caratteri sono stati astutamente costruiti dallo stato corporativo, come per gli influenzabili personaggi di Huxley in “Il nuovo mondo”. Il protagonista del libro, Bernard Marx, si rivolge frustrato alla fidanzata Lenina, chiedendole:

“Non vorresti essere libera, Lenina?”

“Non capisco cosa intendi. Sono libera, libera di spassarmela. Tutti sono felici al giorno d’oggi.”

Rise, “Si, ‘Tutti sono felici al giorno d’oggi’ Questo lasciamo ai figli. Ma non vorresti essere libera di essere felice in qualche altro modo, Lenina? Alla tua maniera, per esempio; non come tutti gli altri.”

“Non capisco cosa intendi,” ripeté.

La facciata si sta sgretolando. Sempre più persone si rendono conto di essere state usate e derubate, stiamo scivolando da “Il mondo nuovo” di Huxley al “1984” di Orwell. L’opinione pubblica, ad un certo punto, si troverà a fronteggiare realtà molto spiacevoli. I lavori ben pagati non torneranno. I grandi deficit nella storia dell’uomo significano che siamo intrappolati in un sistema di lavoro forzato a risarcimento di un debito che lo stato corporativo utilizzerà per sradicare le vestigia della tutela sociale per i cittadini, compresa l’assistenza sociale. Lo stato è passato dalla democrazia capitalistica al neofeudalesimo. E quando queste verità diventeranno palesi, la rabbia sostituirà l’allegro conformismo imposto dallo stato corporativo. La desolazione dei nostri portafogli postindustriali, con 40 milioni di americani che vivono in povertà e altri 10 milioni in uno stato di “semipovertà”, abbinata all’assenza di credito per salvare le famiglie dalle ipoteche, dal reimpossessamento delle banche e dalla bancarotta dovuta ai costi del sistema sanitario, significano che il totalitarismo invertito non potrà funzionare per molto.

Viviamo sempre più nell’Oceania di Orwell piuttosto che nello Stato Mondiale di Huxley. Osama Bin Laden ricopre il ruolo di Emmanuel Goldstein in “1984”. Goldstein, nel romanzo, è la faccia pubblica del terrore. Le sue macchinazioni diaboliche e le azioni clandestine di violenza dominano i tg della sera. L’immagine di Goldstein appare quotidianamente sugli schermi televisivi di Oceania in quanto parte del quotidiano rituale nazionale “due minuti di odio”. E senza l’intervento dello stato, Goldstein, così come Bin Laden, vi ucciderà. Tutti gli eccessi sono giustificati nella lotta titanica contro il male personificato.

La tortura psicologica del soldato Bradley Manning (22enne americano sospettato di essere il responsabile della fuga di notizie dietro le rivelazioni di Wikileaks n.d.r.) – che è imprigionato da sette mesi pur non essendo accusato di alcun crimine – rispecchia la situazione del dissidente Winston Smith alla fine di “1984”. Manning è detenuto in regime di massima sicurezza presso la base dei Marines di Quantico, in Virginia. Trascorre 23 ore al giorno da solo. Non può fare esercizi fisici. Non può avere né cuscino, né lenzuola per il letto. I medici dell’esercito lo imbottiscono di antidepressivi. Le rudi forme di tortura della Gestapo sono state rimpiazzate dalle più fini tecniche orwelliane, sviluppate da psicologi assoldati dai governi per ridurre in vegetali i dissidenti come Manning. Distruggiamo le anime, così come i corpi. E’ più efficace. Ora possiamo essere tutti rinchiusi nella temibile stanza 101 di Orwell per diventare innocui e condiscendenti. Queste “particolari misure amministrative” vengono regolarmente imposte ai nostri dissidenti, compreso Syed Fahad Hashmi, imprigionato in condizioni simili per tre anni prima di essere processato. Queste tecniche hanno menomato la psiche di migliaia di prigionieri nei nostri “black sites” in tutto il mondo. Sono la nostra principale forma di controllo nei carceri di massima sicurezza dove lo stato corporativo combatte il nostro sottoproletariato politicamente più scaltro – gli Afroamericani. Tutto è presagio del passaggio da Huxley a Orwell.

“Non sarai mai più in grado di provare sentimenti umani,” dice il suo aguzzino a Winston Smith in “1984”. “E’ tutto morto dentro di te. Non sarai più capace di amare, di provare amicizia, gioia di vivere, allegria, curiosità, coraggio o integrità morale. Sarai svuotato. Potremmo strizzarti e riempirti di noi stessi”

Il nodo scorsoio si sta stringendo. L’era del divertimento sta per essere sostituita da quella della repressione. Decine di milioni di cittadini hanno avuto mail e telefoni controllati dal governo. Siamo i cittadini più monitorati e spiati della storia. Molti di noi vengono ripresi nella loro routine quotidiana da dozzine di telecamere di sicurezza. Le nostre inclinazioni e abitudini vengono registrate su Internet. I nostri profili vengono generati in modalità elettronica. I nostri corpi vengono perquisiti in aeroporto e filmati da scanner. Annunci nei locali pubblici, carte di circolazione, cartelli alle fermate dei mezzi pubblici ci invitano continuamente a denunciare attività sospette. Il nemico è ovunque.

Chi non si conforma con i dettami della guerra al terrore, una guerra che, come notava Orwell, è infinita, viene brutalmente messo a tacere. Le misure di sicurezza draconiane impiegate per sedare le proteste durante il G20 a Pittsburgh e Toronto erano completamente sproporzionate rispetto al livello delle attività in strada. Ma hanno lanciato un messaggio chiaro – NON PROVATECI. Le azioni dell’FBI mirate nei confronti di attivisti palestinesi contrari alla guerra, nelle cui case di Minneapolis e Chicago hanno fatto irruzione gli agenti a fine settembre, sono un presagio di ciò che accadrà a chiunque oserà sfidare la Neolingua ufficiale dello stato. Gli agenti – la nostra Psicopolizia – hanno sequestrato telefoni, computer e altri effetti personali. Sono stati emessi mandati di comparizione per 26 persone che dovranno presentarsi davanti al Grand Jury. Questi mandati di comparizione si rifanno a una legge federale che vieta di “fornire materiale o risorse di supporto a quelle definite come organizzazioni terroristiche straniere”. Il terrore, anche per coloro che non ne sono minimamente coinvolti, diventa il corpo contundente con cui il Grande Fratello ci protegge da noi stessi.

“Inizi a vedere, ora, quale mondo stiamo realizzando?” scriveva Orwell. “E’ esattamente l’opposto della stupida edonistica Utopia che immaginavano i vecchi riformatori. Un mondo di paura, slealtà e tortura, in cui si calpesta e si viene calpestati, un mondo che, nel ridefinirsi, non diminuisce, bensì accresce la propria spietatezza.”
di Chris Hedges


Fonte: www.truthdig.com

19 gennaio 2011

La Cina detta le condizioni per salvare il dollaro


Il pugno: «Il sistema valutario internazionale dominato dal dollaro è un prodotto del passato» . La carezza: «Il renminbi sta dando un grosso contributo allo sviluppo economico mondiale, ma la sua trasformazione in una moneta internazionale comporta un processo dai tempi molto lunghi» . Il ruolo del dollaro come moneta di riserva del mondo, insomma, per ora non è minacciato. Le parole scritte dal presidente cinese Hu Jintao in risposta alle domande dei giornali Usa alla vigilia della sua visita ufficiale a Washington che inizia stasera, accentuano la frustrazione degli americani, la sensazione di essere ormai trattati dalla Cina come una potenza in declino. Siamo veramente alla vigilia di cambiamenti epocali? È vicino il giorno in cui pagheremo il petrolio in yuan (l’altro nome della moneta cinese) anziché in dollari? L’atteggiamento di Pechino non è certamente più quello umile esibito da Deng Xiaoping quando, trent’anni fa, aprì la Cina all’economia di mercato Pechino, né quello, prudente, che lo stesso Hu esibì nella visita ufficiale del 2006 in un’America ancora governata da Bush e non ancora travolta dalla tempesta finanziaria. Ma le sue parole di oggi, benché indigeste per il grande pubblico, non colpiscono più di tanto i mercati e l’amministrazione Obama. Che, dopo aver passato inutilmente tutto il 2010 a chiedere una rapida rivalutazione della moneta cinese, nei prossimi giorni incalzerà Hu soprattutto sulle questioni commerciali, le violazioni della proprietà intellettuale, gli ostacoli frapposti all’attività delle imprese americane che operano in Cina, il sistematico assistenzialismo di Stato di Pechino che altera la concorrenza. Si va facendo strada l’idea che, se non accettano di smettere di sostenere l’export tenendo lo yuan artificialmente basso, i cinesi la riduzione di competitività delle loro merci la subiranno attraverso un aumento dell’inflazione. Già oggi, del resto, a fronte di una rivalutazione delle monete dei Paesi emergenti rispetto al dollaro negli ultimi 24 mesi è stata del 40%per il real brasiliano, del 47%per il rand sudafricano e del 22%per won sudcoreano e rupia indonesiana, lo yuan ha recuperato solo il 3,6%. Ma, se si calcolano anche i differenziali d'inflazione, si arriva a un recupero di competitività a favore degli Usa del 10%. Per questo Obama, al momento di aprire il dossier economico del vertice, insisterà più sulle condizioni di accesso al mercato cinese e sulla creazione di posti di lavoro per le imprese americane, che sullo yuan. Sulle valute i margini d’intervento sono minimi: i mercati sanno che il gigante asiatico vuole diventare una potenza finanziaria capace di sganciarsi gradualmente dal dollaro, valuta nella quale oggi investe gran parte delle sue riserve. Con poco entusiasmo, viste le (criticatissime) politiche espansive della Federal Reserve che tiene bassi tanto i tassi d’interesse (e, quindi, i rendimenti) quanto le quotazioni del biglietto verde. Qui la domanda non è se Pechino cercherà di fare concorrenza a dollaro ed euro con uno yuan pienamente convertibile, ma quando e come. Le prime risposte sono venute nei mesi scorsi con le proposte delle autorità monetarie di Pechino di sostituire gradualmente il dollaro con una «valuta sintetica» , una sorta di paniere composto dalle principali monete mondiali, yuan compreso. Un altro passo è stato fatto la scorsa settimana quando il governo cinese ha autorizzato le sue società a usare lo yuan in transazioni effettuate all’estero per finanziare i loro investimenti. È un passaggio importante, come la creazione a Hong Kong di un mercato basato su prodotti finanziari denominati in yuan aperto agli investitori stranieri. Ma per decollare davvero, questa moneta dovrà non solo essere convertibile, ma dovrà rappresentare un’economia davvero affidabile. Oggi la Cina «fabbrica del mondo» che accumula riserve, finanzia il debito pubblico Usa e si offre di salvare l’euro, sembra solidissima. Molti economisti notano, però, che, in un mondo ormai totalmente interconnesso, il suo modello non è meno fragile di quello americano: «La Cina» spiega Nouriel Roubini su Newsweek, «può crescere rapidamente solo se i Paesi ricchi spendono più di quello che producono e accumulano grandi deficit. Ora che Usa e il resto dell’Occidente spendono meno e cercano di ridurre i debiti, la Cina forza la crescita non sostenendo (come dovrebbe) i consumi dei cittadini, ma spingendo l’acceleratore degli investimenti immobiliari, infrastrutturali e industriali per aumentare ulteriormente la capacità produttiva» . Un modello insostenibile che, se non verrà corretto, porterà allo scoppio di una bolla che certo non invoglierà i risparmiatori a scommettere sulla moneta cinese. Così stando le cose e visto che Hu non vuole o non può fare molto sul piano valutario (l’anno scorso aveva promesso una rivalutazione graduale del renminbi, ma era stato subito «corretto» da altri leader di Pechino, quest’anno ha già messo le mani avanti), a Obama non resta che puntare sulla difesa delle imprese Usa. Usando anche l’arma di un Congresso che minaccia ritorsioni protezioniste. Hu, che nel corso della sia visita andrà anche a Chicago a incontrare i capi della Boeing e a visitare investimenti cinesi negli Usa nel campo del risparmio energetico e dei componenti per auto, sicuramente annuncerà qualche affare come l’acquisto di nuovi aerei, carne e prodotti agricoli. Dovranno essere affari molto grossi per intaccare lo scetticismo americano, visto che il deficit commerciale Usa con la Cina ha superato i 250 miliardi di dollari.
di Massimo Gaggi

21 gennaio 2011

La "bolla" cinese che sostiene tutto


È una noia dover scrivere dell'incontro tra Hu Jintao e Obama ma un giornale non può non parlarne. Al di là del fatto che Obama è un «lame duck President», presidente-anatra zoppa, bersaglio sicuro dei cacciatori, è «noioso» il contesto delle relazioni tra i due paesi, perché falsato dalle dichiarazioni politiche. Esempio: Hu ha detto che il regime del dollaro è finito, cose già sentite in passato, in Europa fin dagli anni Settanta! Hu Jintao non ha la minima idea di cosa proporre al posto del sistema dollaro. Vuole solo minacciare gli Usa dicendo che la Cina non accetta di subire passivamente i costi finanziari dei surplus cinesi in dollari. Ma - come lucidamente dimostrato sul China Daily del 23 dicembre dall'ex dirigente della Banca del Popolo Yu Yongding - Pechino é vincolata alle esportazioni nette sia per gli interessi della classe capitalistico-statale dominante, sia per la dinamica industriale fondata sulla forza della riproduzione espansiva piuttosto che sulle innovazioni made in China.
Quindi se la vita di Hu dipende dalle esportazioni nette, Hu deve continuare sovraccaricarsi di dollari. In realtà poi Pechino questi dollari li impiega. Decenni addietro si parlava della dollarizzazione dell'America latina come di un disegno finanziario degli Usa. Vero in parte. Tuttavia la dollarizzazione Usa dell'America del sud non é mai decollata ed é implosa con la crisi brasiliana del 1998 e quella argentina del 2001. Oggi però Brasile ed Argentina sono pieni di dollari, grazie alla Cina, direttamente per via delle esportazioni di materie prime ed indirettamente come destinazione dei capitali speculativi dati i prezzi delle derrate e dei prodotti minerari. I surplus cinesi hanno inoltre completamente dollarizzato l'Africa ove Pechino investe massicciamente nei giacimenti e in opere infrastrutturali dall' Africa centrale, all'Etiopia, al Sudan, all'Algeria. Quindi nei fatti Pechino sostiene l'espansione internazionale della moneta statunitense. Quello che Hu intende é una forma di cogestione con Washington della politica monetaria mondiale. Gli Stati uniti dal canto loro si trovano in contraddizione con se stessi. In vista dell'incontro tra Hu Jintao e Obama, Washington ha preparato una lunga lista di prodotti industriali che la Cina dovrebbe impegnarsi ad importare, riducendo così il deficit verso Pechino e creando un nuovo mercato per le produzioni statunitensi. Figuriamoci! La realtà é completamente diversa. Le industrie Usa quando possono delocalizzano o subappaltano in Cina. Poco più di un mese fa il Financial Times mise in prima pagina la notizia che la Caterpillar, azienda Usa mondiale di scavatrici affini, chiudeva la filiale nipponica per traslocare in Cina. La strategia delle multinazionali Usa di diluire la produzione nazionale in una catena di subappalti e delocalizzazioni iniziò a fine anni settanta. È dunque un fenomeno non contingente e che non dipende dal valore del dollaro ma dalla differenza assoluta nel costo di lavoro per unità di prodotto e il divario con il Messico prima e la Cina oggi supera di molto ogni concepibile svalutazione del dollaro. Nei giorni scorsi la General Electric ha firmato un accordo di produzione joint venture con società cinesi che contempla un grosso trasferimento di tecnologia alla Cina. Visto il comportamento delle multinazionali Usa possiamo essere certi che il fatto implicherà un'ulteriore ed accentuata delocalizzazione di un comparto Usa ad alta tecnologia. Niente di nuovo sotto il sole. Certo l'incontro farebbe notizia se Hu dicesse ad Obama, «caro Barack, abbiamo deciso di non fumarci tutta l'aria, già abbiamo i fiumi mortalmente feriti, quindi noi sgonfieremo la bolla di Shanghai, ridurremo la crescita drasticamente ed in ogni caso ne cambieremo il contenuto. Dacci una mano con le tecnologie che hai a casa tua e noi in cambio ti ridiamo i dollari». Forse Obama sarebbe contento ma non le banche ed i mercati (borse) dei capitali che verrebbero presi dal panico. La bolla cinese si integra con la politica Usa del denaro a costo zero dato alle banche e, con l'Europa in stallo totale, tiene in piedi tutto il socialmente fatiscente sistema economico attuale.

di Joseph Halevi

20 gennaio 2011

2011: una nuova distopia




Due grandi rappresentazioni di un futuro scenario distopico furono “1984” di George Orwell e “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley. Il dibattito, tra coloro che supponevano si stesse andando incontro al totalitarismo corporativo, si incentrava su chi dei due avesse ragione. Saremmo stati, come scriveva Orwell, dominati da repressivi apparati di stato per la sorveglianza e la sicurezza che ricorrevano a forme di controllo dure e violente? Oppure, come immaginava Huxley, ipnotizzati da divertimenti e spettacoli, ammaliati dalla tecnologia e sedotti da consumi sregolati per raggiungere la nostra stessa oppressione? Alla fine sia Orwell, sia Huxley avevano ragione. Huxley aveva previsto il primo stadio della nostra riduzione in schiavitù, Orwell il secondo.

Siamo stati gradualmente espropriati dei nostri diritti da uno stato corporativo che, come previsto da Huxley, ci ha sedotti e manipolati attraverso gratificazione dei sensi, prodotti di massa a buon prezzo, credito sconfinato, teatro della politica e divertimento. Mentre ci distraevamo con intrattenimenti, le regole che prima tenevano sotto controllo il potere predatorio delle corporazioni sono state annientate, le leggi che prima ci tutelavano sono state riscritte e ci siamo ritrovati impoveriti.

Ora che il credito si sta prosciugando, i buoni posti di lavoro per la classe operaia sono finiti per sempre e non ci possiamo più permettere i prodotti di massa, ci ritroviamo trasportati da “Il nuovo mondo” a “1984”. Lo stato, menomato da forti deficit, da una guerra senza fine e dagli atti illeciti delle corporazioni, sta scivolando verso la bancarotta. E’ tempo che il Grande Fratello sorpassi l’universo di Huxley. Stiamo passando da una società in cui veniamo astutamente manipolati da legami ed illusioni ad una in cui siamo apertamente controllati.

Orwell ci metteva in guardia rispetto ad un mondo in cui i libri vengono banditi, mentre Huxley uno in cui nessuno legge libri. Orwell descriveva uno stato di guerra e paura permanenti, Huxley una cultura deviata dal piacere insulso. Orwell dipingeva uno stato in cui conversazioni e pensieri vengono monitorati e il dissenso viene brutalmente punito; Huxley uno stato in cui la popolazione concentrata su banalità e gossip, non si preoccupa più di informarsi e di conoscere la verità. Orwell ci vedeva terrorizzati fino alla sottomissione, Huxley sedotti fino alla sottomissione. Ma la visione di Huxley, stiamo scoprendo, non era che il preludio a quella di Orwell. Huxley aveva capito il processo attraverso il quale noi stessi saremmo stati complici della nostra riduzione in schiavitù. Orwell aveva compreso la schiavitù. Ora che il colpo delle corporazioni è fatto, restiamo nudi ed indifesi. Stiamo iniziando a capire, come aveva intuito Karl Marx, che il capitalismo selvaggio e senza regole è una forza brutale e rivoluzionaria che sfrutta gli esseri umani e le risorse naturali fino all’esaurimento o al collasso.

“Il partito ha solo sete di potere,” scriveva Orwell in “1984.” “Non siamo interessati al bene degli altri; siamo interessati esclusivamente al potere. Non ricchezza, lusso, lunga vita o felicità: solo il puro potere. Cosa significa puro potere, lo comprenderete ora. Siamo diversi rispetto a tutte le oligarchie del passato, perché sappiamo quello che stiamo facendo. Tutti gli altri, persino quelli che ci assomigliavano, erano ipocriti e codardi. I nazisti tedeschi e i comunisti russi si avvicinavano molto a noi nei metodi, ma non ebbero mai il coraggio di riconoscere i veri motivi che li spingevano ad agire. Essi pretendevano, forse persino credevano, di essersi impadroniti del potere di mala voglia e per un tempo limitato, e che appena dietro l’angolo ci fosse un paradiso in cui gli esseri umani sarebbero stati liberi ed uguali. Noi non siamo così. Noi sappiamo che nessuno ottiene il potere con l’intenzione di abbandonarlo. Il potere non è un mezzo; è il fine. Nessuno instaura una dittatura per salvaguardare una rivoluzione; si fa la rivoluzione per stabilire la dittatura. L’oggetto della persecuzione è la persecuzione. L’oggetto della torta è la tortura. L’oggetto del potere è il potere.”

Il filosofo politico Sheldon Wolin usa il termine “totalitarismo invertito” nel suo libro “Democrazia incorporata” per descrivere il nostro sistema politico. E’ un termine che avrebbe senso per Huxley. Nel totalitarismo invertito, le sofisticate tecnologie del controllo corporativo, l’intimidazione e la manipolazione di massa, che superano di gran lunga quelli impiegati dai precedenti totalitarismi, sono effettivamente mascherati dallo scintillio, il rumore e l’abbondanza della società consumistica. La partecipazione politica e le libertà civili decadono gradualmente. Lo stato corporativo, nascondendosi dietro la cortina fumogena dell’industria delle public relations, dell’intrattenimento e dell’appariscente materialismo di una società consumistica, ci divora dall’interno. Non deve fedeltà né a noi, né alla nazione. Banchetta con la nostra carcassa.

Lo stato corporativo non trova la propria espressione in un demagogo o in un leader carismatico. Si definisce per l’anonimato delle sue corporazioni senza volto. Corporazioni, che assoldano rappresentanti attraenti come Barack Obama, controllano la scienza, la tecnologia, l’educazione e la comunicazione di massa. Controllano i messaggi nei film e nella televisione e, così come in “Il mondo nuovo”, usano strumenti di comunicazione per sostenere la tirannia. I nostri sistemi di comunicazione di massa, come scrive Wolin, “bloccano, eliminano tutto ciò che può introdurre qualificazione, ambiguità o dialogo, tutto ciò che rischia di indebolire o mettere in crisi la forza olistica della loro creazione nella sua espressione totale”

Il risultato è un sistema di informazione monocromatico. Celebrità allineate, mascherandosi da giornalisti, esperti e specialisti, identificano i nostri problemi e illustrano pazientemente i parametri. Tutti quelli che esprimono opinioni diverse rispetto ai parametri imposti vengono messi da parte in quanto irrilevanti spostati, estremisti o esponenti della sinistra radicale. Sociologi prescienti, come Ralph Nader e Noam Chomsky, vengono messi a tacere. Le opinioni accettabili vanno da A a B. La cultura, sotto il controllo di questi personaggi allineati, diventa, come Huxley aveva evidenziato, un mondo di allegro conformismo e di sconfinato, e infine fatale, ottimismo. Ci impegniamo ad acquistare prodotti che promettono di trasformare le nostre vite, renderci più attraenti, sicuri di noi stessi o capaci di collezionare successi, mentre invece veniamo continuamente privati dei nostri diritti, del nostro denaro e della nostra influenza. Tutti i messaggi che ci arrivano, sia dalle news della notte o dai talk show come “Oprah” (condotto dall’opinion leader Oprah Winfrey, che ha largo seguito negli USA n.d.r.), promettono un futuro felice e meraviglioso. E questo, come sottolinea Wolin, è “la stessa ideologia che induce i funzionari delle corporazioni a esagerare i profitti e celare le perdite, ma sempre con un’espressione solare.” Siamo stati ipnotizzati, come scrive Wolin “da continui progressi tecnologici” che “ci incoraggiano ad elaborare fantasie di valore individuale, eterna giovinezza, bellezza ottenuta tramite chirurgia, azioni misurate in nanosecondi: una cultura illusoria del controllo e delle sempre crescenti possibilità, i cui esponenti lavorano di fantasia, poiché la vasta maggioranza ha una fervida immaginazione, ma ben scarse conoscenze scientifiche”.

La nostra base produttiva è stata distrutta. Speculatori e imbroglioni hanno saccheggiato le finanze statunitensi e rubato miliardi ai piccoli risparmiatori che avevano accantonato denaro per la pensione o il college. Le libertà civili, compreso l’habeas corpus (Norma giudiziaria del diritto inglese e nord-americano, per la quale l'arrestato deve immediatamente comparire davanti al giudice perché questi decida sulla validità dell'arresto e sulla possibilità della sua scarcerazione dietro cauzione n.d.r.) e la protezione dalle intercettazioni telefoniche non autorizzate, sono spariti. I servizi basilari, compresa l’educazione pubblica e la sanità, sono stati trasferiti alle corporazioni affinché ne traggano profitto. I pochi che dissentono, che rifiutano di lasciarsi coinvolgere nell’allegro discorso corporativo, vengono additati dall’establishment corporativo come stravaganti.

Opinioni e caratteri sono stati astutamente costruiti dallo stato corporativo, come per gli influenzabili personaggi di Huxley in “Il nuovo mondo”. Il protagonista del libro, Bernard Marx, si rivolge frustrato alla fidanzata Lenina, chiedendole:

“Non vorresti essere libera, Lenina?”

“Non capisco cosa intendi. Sono libera, libera di spassarmela. Tutti sono felici al giorno d’oggi.”

Rise, “Si, ‘Tutti sono felici al giorno d’oggi’ Questo lasciamo ai figli. Ma non vorresti essere libera di essere felice in qualche altro modo, Lenina? Alla tua maniera, per esempio; non come tutti gli altri.”

“Non capisco cosa intendi,” ripeté.

La facciata si sta sgretolando. Sempre più persone si rendono conto di essere state usate e derubate, stiamo scivolando da “Il mondo nuovo” di Huxley al “1984” di Orwell. L’opinione pubblica, ad un certo punto, si troverà a fronteggiare realtà molto spiacevoli. I lavori ben pagati non torneranno. I grandi deficit nella storia dell’uomo significano che siamo intrappolati in un sistema di lavoro forzato a risarcimento di un debito che lo stato corporativo utilizzerà per sradicare le vestigia della tutela sociale per i cittadini, compresa l’assistenza sociale. Lo stato è passato dalla democrazia capitalistica al neofeudalesimo. E quando queste verità diventeranno palesi, la rabbia sostituirà l’allegro conformismo imposto dallo stato corporativo. La desolazione dei nostri portafogli postindustriali, con 40 milioni di americani che vivono in povertà e altri 10 milioni in uno stato di “semipovertà”, abbinata all’assenza di credito per salvare le famiglie dalle ipoteche, dal reimpossessamento delle banche e dalla bancarotta dovuta ai costi del sistema sanitario, significano che il totalitarismo invertito non potrà funzionare per molto.

Viviamo sempre più nell’Oceania di Orwell piuttosto che nello Stato Mondiale di Huxley. Osama Bin Laden ricopre il ruolo di Emmanuel Goldstein in “1984”. Goldstein, nel romanzo, è la faccia pubblica del terrore. Le sue macchinazioni diaboliche e le azioni clandestine di violenza dominano i tg della sera. L’immagine di Goldstein appare quotidianamente sugli schermi televisivi di Oceania in quanto parte del quotidiano rituale nazionale “due minuti di odio”. E senza l’intervento dello stato, Goldstein, così come Bin Laden, vi ucciderà. Tutti gli eccessi sono giustificati nella lotta titanica contro il male personificato.

La tortura psicologica del soldato Bradley Manning (22enne americano sospettato di essere il responsabile della fuga di notizie dietro le rivelazioni di Wikileaks n.d.r.) – che è imprigionato da sette mesi pur non essendo accusato di alcun crimine – rispecchia la situazione del dissidente Winston Smith alla fine di “1984”. Manning è detenuto in regime di massima sicurezza presso la base dei Marines di Quantico, in Virginia. Trascorre 23 ore al giorno da solo. Non può fare esercizi fisici. Non può avere né cuscino, né lenzuola per il letto. I medici dell’esercito lo imbottiscono di antidepressivi. Le rudi forme di tortura della Gestapo sono state rimpiazzate dalle più fini tecniche orwelliane, sviluppate da psicologi assoldati dai governi per ridurre in vegetali i dissidenti come Manning. Distruggiamo le anime, così come i corpi. E’ più efficace. Ora possiamo essere tutti rinchiusi nella temibile stanza 101 di Orwell per diventare innocui e condiscendenti. Queste “particolari misure amministrative” vengono regolarmente imposte ai nostri dissidenti, compreso Syed Fahad Hashmi, imprigionato in condizioni simili per tre anni prima di essere processato. Queste tecniche hanno menomato la psiche di migliaia di prigionieri nei nostri “black sites” in tutto il mondo. Sono la nostra principale forma di controllo nei carceri di massima sicurezza dove lo stato corporativo combatte il nostro sottoproletariato politicamente più scaltro – gli Afroamericani. Tutto è presagio del passaggio da Huxley a Orwell.

“Non sarai mai più in grado di provare sentimenti umani,” dice il suo aguzzino a Winston Smith in “1984”. “E’ tutto morto dentro di te. Non sarai più capace di amare, di provare amicizia, gioia di vivere, allegria, curiosità, coraggio o integrità morale. Sarai svuotato. Potremmo strizzarti e riempirti di noi stessi”

Il nodo scorsoio si sta stringendo. L’era del divertimento sta per essere sostituita da quella della repressione. Decine di milioni di cittadini hanno avuto mail e telefoni controllati dal governo. Siamo i cittadini più monitorati e spiati della storia. Molti di noi vengono ripresi nella loro routine quotidiana da dozzine di telecamere di sicurezza. Le nostre inclinazioni e abitudini vengono registrate su Internet. I nostri profili vengono generati in modalità elettronica. I nostri corpi vengono perquisiti in aeroporto e filmati da scanner. Annunci nei locali pubblici, carte di circolazione, cartelli alle fermate dei mezzi pubblici ci invitano continuamente a denunciare attività sospette. Il nemico è ovunque.

Chi non si conforma con i dettami della guerra al terrore, una guerra che, come notava Orwell, è infinita, viene brutalmente messo a tacere. Le misure di sicurezza draconiane impiegate per sedare le proteste durante il G20 a Pittsburgh e Toronto erano completamente sproporzionate rispetto al livello delle attività in strada. Ma hanno lanciato un messaggio chiaro – NON PROVATECI. Le azioni dell’FBI mirate nei confronti di attivisti palestinesi contrari alla guerra, nelle cui case di Minneapolis e Chicago hanno fatto irruzione gli agenti a fine settembre, sono un presagio di ciò che accadrà a chiunque oserà sfidare la Neolingua ufficiale dello stato. Gli agenti – la nostra Psicopolizia – hanno sequestrato telefoni, computer e altri effetti personali. Sono stati emessi mandati di comparizione per 26 persone che dovranno presentarsi davanti al Grand Jury. Questi mandati di comparizione si rifanno a una legge federale che vieta di “fornire materiale o risorse di supporto a quelle definite come organizzazioni terroristiche straniere”. Il terrore, anche per coloro che non ne sono minimamente coinvolti, diventa il corpo contundente con cui il Grande Fratello ci protegge da noi stessi.

“Inizi a vedere, ora, quale mondo stiamo realizzando?” scriveva Orwell. “E’ esattamente l’opposto della stupida edonistica Utopia che immaginavano i vecchi riformatori. Un mondo di paura, slealtà e tortura, in cui si calpesta e si viene calpestati, un mondo che, nel ridefinirsi, non diminuisce, bensì accresce la propria spietatezza.”
di Chris Hedges


Fonte: www.truthdig.com

19 gennaio 2011

La Cina detta le condizioni per salvare il dollaro


Il pugno: «Il sistema valutario internazionale dominato dal dollaro è un prodotto del passato» . La carezza: «Il renminbi sta dando un grosso contributo allo sviluppo economico mondiale, ma la sua trasformazione in una moneta internazionale comporta un processo dai tempi molto lunghi» . Il ruolo del dollaro come moneta di riserva del mondo, insomma, per ora non è minacciato. Le parole scritte dal presidente cinese Hu Jintao in risposta alle domande dei giornali Usa alla vigilia della sua visita ufficiale a Washington che inizia stasera, accentuano la frustrazione degli americani, la sensazione di essere ormai trattati dalla Cina come una potenza in declino. Siamo veramente alla vigilia di cambiamenti epocali? È vicino il giorno in cui pagheremo il petrolio in yuan (l’altro nome della moneta cinese) anziché in dollari? L’atteggiamento di Pechino non è certamente più quello umile esibito da Deng Xiaoping quando, trent’anni fa, aprì la Cina all’economia di mercato Pechino, né quello, prudente, che lo stesso Hu esibì nella visita ufficiale del 2006 in un’America ancora governata da Bush e non ancora travolta dalla tempesta finanziaria. Ma le sue parole di oggi, benché indigeste per il grande pubblico, non colpiscono più di tanto i mercati e l’amministrazione Obama. Che, dopo aver passato inutilmente tutto il 2010 a chiedere una rapida rivalutazione della moneta cinese, nei prossimi giorni incalzerà Hu soprattutto sulle questioni commerciali, le violazioni della proprietà intellettuale, gli ostacoli frapposti all’attività delle imprese americane che operano in Cina, il sistematico assistenzialismo di Stato di Pechino che altera la concorrenza. Si va facendo strada l’idea che, se non accettano di smettere di sostenere l’export tenendo lo yuan artificialmente basso, i cinesi la riduzione di competitività delle loro merci la subiranno attraverso un aumento dell’inflazione. Già oggi, del resto, a fronte di una rivalutazione delle monete dei Paesi emergenti rispetto al dollaro negli ultimi 24 mesi è stata del 40%per il real brasiliano, del 47%per il rand sudafricano e del 22%per won sudcoreano e rupia indonesiana, lo yuan ha recuperato solo il 3,6%. Ma, se si calcolano anche i differenziali d'inflazione, si arriva a un recupero di competitività a favore degli Usa del 10%. Per questo Obama, al momento di aprire il dossier economico del vertice, insisterà più sulle condizioni di accesso al mercato cinese e sulla creazione di posti di lavoro per le imprese americane, che sullo yuan. Sulle valute i margini d’intervento sono minimi: i mercati sanno che il gigante asiatico vuole diventare una potenza finanziaria capace di sganciarsi gradualmente dal dollaro, valuta nella quale oggi investe gran parte delle sue riserve. Con poco entusiasmo, viste le (criticatissime) politiche espansive della Federal Reserve che tiene bassi tanto i tassi d’interesse (e, quindi, i rendimenti) quanto le quotazioni del biglietto verde. Qui la domanda non è se Pechino cercherà di fare concorrenza a dollaro ed euro con uno yuan pienamente convertibile, ma quando e come. Le prime risposte sono venute nei mesi scorsi con le proposte delle autorità monetarie di Pechino di sostituire gradualmente il dollaro con una «valuta sintetica» , una sorta di paniere composto dalle principali monete mondiali, yuan compreso. Un altro passo è stato fatto la scorsa settimana quando il governo cinese ha autorizzato le sue società a usare lo yuan in transazioni effettuate all’estero per finanziare i loro investimenti. È un passaggio importante, come la creazione a Hong Kong di un mercato basato su prodotti finanziari denominati in yuan aperto agli investitori stranieri. Ma per decollare davvero, questa moneta dovrà non solo essere convertibile, ma dovrà rappresentare un’economia davvero affidabile. Oggi la Cina «fabbrica del mondo» che accumula riserve, finanzia il debito pubblico Usa e si offre di salvare l’euro, sembra solidissima. Molti economisti notano, però, che, in un mondo ormai totalmente interconnesso, il suo modello non è meno fragile di quello americano: «La Cina» spiega Nouriel Roubini su Newsweek, «può crescere rapidamente solo se i Paesi ricchi spendono più di quello che producono e accumulano grandi deficit. Ora che Usa e il resto dell’Occidente spendono meno e cercano di ridurre i debiti, la Cina forza la crescita non sostenendo (come dovrebbe) i consumi dei cittadini, ma spingendo l’acceleratore degli investimenti immobiliari, infrastrutturali e industriali per aumentare ulteriormente la capacità produttiva» . Un modello insostenibile che, se non verrà corretto, porterà allo scoppio di una bolla che certo non invoglierà i risparmiatori a scommettere sulla moneta cinese. Così stando le cose e visto che Hu non vuole o non può fare molto sul piano valutario (l’anno scorso aveva promesso una rivalutazione graduale del renminbi, ma era stato subito «corretto» da altri leader di Pechino, quest’anno ha già messo le mani avanti), a Obama non resta che puntare sulla difesa delle imprese Usa. Usando anche l’arma di un Congresso che minaccia ritorsioni protezioniste. Hu, che nel corso della sia visita andrà anche a Chicago a incontrare i capi della Boeing e a visitare investimenti cinesi negli Usa nel campo del risparmio energetico e dei componenti per auto, sicuramente annuncerà qualche affare come l’acquisto di nuovi aerei, carne e prodotti agricoli. Dovranno essere affari molto grossi per intaccare lo scetticismo americano, visto che il deficit commerciale Usa con la Cina ha superato i 250 miliardi di dollari.
di Massimo Gaggi