Bugie, ipocrisia e piani segreti. Ecco i dettagli che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha omesso nell’esporre all’America e al mondo intero la sua dottrina libica . Difficile comprendere cosa succede a causa dei tanti buchi neri che caratterizzano questa splendida piccola guerra che non è una guerra (“un’azione militare a raggio e a tempo limitati” come la definisce la Casa Bianca) e caratterizzata dall’incapacità dell’area progressista di condannare, allo stesso tempo, la crudeltà del regime di Muhammar Gheddafi e i bombardamenti ‘umanitari’ anglo-franco-americani.
La risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 1973 ha operato come un cavallo di Troia, permettendo al consorzio anglo-franco-americano e alla NATO di diventare la forza aerea dell’ONU nel suo sostegno a un’insurrezione armata.
Al di là del fatto che questo accordo non ha niente a che fare con la protezione dei civili, esso è anche assolutamente illegale secondo la legge internazionale. L’implicito obiettivo finale, come a questo punto sa anche il più disperato dei bambini africani, è il cambio di regime.
Il generale canadese Charles Bouchard, a capo della missione libica per conto della NATO, può ribadire quanto vuole che la missione ha come unico obiettivo la difesa dei civili. Eppure quegli ‘innocenti civili’ che guidano carri e imbracciano kalashnikov come un disordinato mucchio selvaggio, di fatto sono soldati in una guerra civile e a questo punto dovrebbero decidere se la NATO deve essere d’ora in poi la loro forza aerea seguendo le orme dell’alleanza anglo-franco-americana. Inoltre, la ‘coalizione dei volenterosi’ che combatte in Libia consiste di soli 12 membri su 28 della NATO più il Qatar. Insomma, questa non è di certo una ‘comunità internazionale’.
Il verdetto finale sulla no-fly zone come da mandato dell’ONU dovrà attendere la nascita di un governo ‘dei ribelli’ alla fine della guerra civile (se finisce presto). Allora sarà possibile analizzare e capire i seguenti punti: se il bombardamento, anche coi missili Tomahawk, era giustificato; il perché i civili della Cirenaica siano stati protetti mentre quelli di Tripoli bombardati; che tipo di gente erano i ‘ribelli’ che sono stati ‘salvati’; se tutto questo era legale, in primo luogo; capire se la risoluzione era una copertura per il cambio di regime; se la storia d’amore tra i ‘rivoluzionari’ libici e l’Occidente finirà in un divorzio sanguinario (ricordate l’Afghanistan?); e quali attori occidentali saranno pronti ad approfittare della ricchezza di una nuova e unificata (forse balcanizzata) Libia.
Per ora, è piuttosto facile capire chi ne trarrà profitto.
Il Pentagono
Il fine settimana scorso, il capo del Pentagono Robert Gates ha dichiarato, riuscendo a rimanere serio, che gli unici regimi repressivi nel Medio Oriente sono l’Iran, la Siria e la Libia. Il Pentagono sta infierendo sull’anello debole, la Libia. Gli altri sono da sempre nella lista neo-con dei cattivi da eliminare. L’Arabia Saudita, lo Yemen, il Bahrain ecc. sono democrazie modello.
Per quanto riguarda questa guerra che ‘c'è ma non si vede’, il Pentagono è riuscito a combatterla due volte, non una. La prima con Africom, creato sotto l’amministrazione Bush, alimentato da quella di Obama e rigettato da dozzine di governi africani, di esperti e di organizzazioni per i diritti umani. Ora la guerra passa attraverso la Nato ovvero sotto il comando del Pentagono sui lacché europei.
Questa è la prima guerra africana di Africom, condotta dal generale Carter Ham nel suo quartier generale non in Africa, ma a Stuttgart, in Germania. Africom, per dirla con Horace Campbell, professore di studi afro-americani e di scienze politiche presso la Syracuse University, è un inganno; “fondamentalmente una copertura per le operazioni dei contractor americani come Dyncorp, MPRI e KBR. I pianificatori militari americani che traggono beneficio dalla politica delle porte girevoli della privatizzazione della guerra sono felici di avere l’opportunità di fornire ad Africom credibilità dietro la facciata dell’intervento in Libia”.
I Tomahawk della Africom hanno anche colpito, in senso metaforico, l’Unione Africana (AU), che, diversamente dalla Lega Araba, non è facile da comprare dall’Occidente. Le monarchie petrolifere arabe hanno tutte brindato al bombardamento, tranne l’Egitto e la Tunisia. Solo cinque paesi africani non sono subordinati ad Africom; la Libia è uno di essi, insieme al Sudan, la Costa d’Avorio, Eritrea e lo Zimbabwe.
NATO
Il piano generale della NATO è di comandare sul mediterraneo e di considerarlo un lago di sua proprietà. Sotto questa ‘ottica’(definizione del Pentagono) il mediterraneo oggigiorno è infinitamente più importante come teatro di guerra dell’AfPak (Afghanistan e Pakistan).
Sui 20 paesi del mediterraneo solo 3 non fanno parte della NATO o non hanno alcuna partnership coi suoi programmi: Libia, Libano e Siria. Senza alcun dubbio la Siria è il prossimo. Il Libano si trova sotto un blocco della NATO dal 2006. Ora il blocco viene applicato alla Libia. Gli Stati Uniti – tramite la NATO – stanno quadrando il cerchio.
Arabia Saudita
Che affare. Il re Abdullah si sbarazza del suo eterno rivali Gheddafi. La casa saudita, in modo abietto, s’inchina agli interessi dell’Occidente. Lo sguardo dell’opinione pubblica mondiale è stato allontanato dall’invasione saudita del Bahrain con l’obiettivo di distruggere un movimento pacifico e legittimo a favore della democrazia.
La casa saudita ha piazzato la storia che ‘la Lega Araba’ ha votato compatta per una no-fly zone. Una menzogna; solo 11 membri su 22 erano presenti alla votazione; sei sono membri del Gulf Cooperation Council (GCC) di cui l’Arabia Saudita è leader. La casa saudita doveva solo convincere altri tre. La Siria e l’Algeria erano contrarie. Risultato: solo 9 dei 22 paesi arabi hanno votato per la no-fly zone.
L’Arabia Saudita ora può anche ordinare al capo della GCC, Abdulrahman al-Attiyah di dire con faccia tosta che “il sistema libico ha perso la propria legittimità”. Per quanto riguarda la “legittima” casa saudita e i al-Khalifas nel Bahrain, qualcuno dovrebbe portarli alla Hall of Fame Umanitaria.
Il Qatar
Il paese anfitrione dei campionati mondiali di calcio del 2022 sa bene come concludere un affare. I suoi Mirage aiutano a bombardare la Libia e nel frattempo Doha si prepara a commerciare il petrolio della Libia orientale. Il Qatar ha prontamente riconosciuto, primo tra i paesi arabi, la legittimità del governo dei ‘ribelli’ libici solo il giorno dopo essersi assicurato l’affare del commercio del petrolio.
I ‘ribelli’
Nonostante le meritevoli aspirazioni democratiche del movimento giovanile libico, il gruppo di opposizione più organizzato rimane il Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia, da anni finanziato dalla casa saudita, dalla CIA e dall’intelligence francese. Il ‘Consiglio Provvisorio di Transizione Nazionale’ non è altro che il buon vecchio Fronte Nazionale con il contributo di qualche defezionario tra i militari. Ecco l’élite dei ‘civili innocenti’ che la “coalizione” sta “proteggendo”.
Al momento giusto, il ‘Consiglio Provvisorio di Transizione’ ha trovato un nuovo ministro della finanza, l’economista di formazione statunitense Ali Tarhouni. Egli ha rivelato che un gruppo di paesi occidentali ha concesso loro credito sostenuto dal fondo sovrano della Libia, e i britannici hanno permesso loro di accedere a fondi di Gheddafi per un totale di 1.1 miliardi di dollari. Questo significa che il consorzio anglo-franco-americano e ora la NATO devono spendere solo per le bombe. Di tutti i raggiri della guerra questo è impareggiabile; l’Occidente utilizza denaro libico per finanziare un gruppo di opportunisti ribelli libici per combattere contro il governo libico. Inoltre gli americani, gli inglesi e i francesi adorano questi bombardamenti. I neo-con devono essere su tutte le furie; come ha fatto il precedente segretario alla Difesa americano Paul Wolfowitz a non farsi venire un’idea del genere per la guerra in Iraq nel 2003?
I francesi
Oh là là, questo potrebbe essere materiale degno di un romanzo proustiano. La più esclusiva collezione di primavera nelle passerelle di Parigi è lo show della moda di Sarkozy – un modello no-fly zone accessoriato di aerobombardieri Mirage/Rafale.
Questo show di alta moda è stato ideato da Nouri Mesmari, il capo di protocollo di Gheddafi, che, defezionario, si è rifugiato in Francia dall’ottobre 2010. I servizi segreti italiani hanno rivelato a media selezionati come ha fatto. Il ruolo del DGSE, il servizio segreto francese, è stato più o meno spiegato nel sito a pagamento Maghreb Confidential.
In sostanza, la rivolta di Bengasi coq au vin è stata preparata a partire da novembre 2010. Gli chef sono stati Mesmari, il colonnello delle forze aeree Abdullah Gehani e il servizio segreto francese. Mesmari è stato nominato il ‘WikiLeaks libico’, perché ha spifferato praticamente ogni segreto militare di Gheddafi. Sarkozy ne è stato felice, infatti prima era furioso perché Gheddafi aveva cancellato i succosi contratti di acquisto di Rafale ( per rimpiazzare i Mirage ora bombardati) e di impianti nucleari francesi.
Questo spiega l’entusiasmo di Sarkozy nel porsi come liberatore degli arabi, è stato il primo leader europeo a riconoscere i ‘ribelli’( con somma ira di molti nella UE) ed è stato il primo a bombardare le forze di Gheddafi.
Questo ci porta al ruolo dello sfacciato filosofo francese Bernard Henri-Levy che sta sfruttando freneticamente i media mondiali per far sapere che è stato lui a telefonare Sarkozy da Bengasi, risvegliandone la vena umanitaria. Quindi o Levy è uno sciocco, oppure fa da utile ciliegina ‘intellettuale’ da aggiungere sulla già pronta torta di bombe.
Il Terminator Sarkozy è inarrestabile. Ha appena avvertito tutti i governanti arabi che rischiano di ritrovarsi bombardati come la Libia casomai dovessero reprimere chi protesta. Ha anche detto che “la prossima” sarà la Costa d’Avorio. Ovviamente, il Bahrain e lo Yemen sono esenti da questi provvedimenti. Per quanto riguarda gli USA, essi stanno di nuovo sostenendo un golpe militare (non ha funzionato con Omar “Sheikh Al-Torture” Suleiman in Egitto; forse funzionerà in Libia)
Al-Qaeda
Riecco il solito spauracchio, sempre utile. Il consorzio anglo-franco-americano, e ora la NATO, combattono assieme (di nuovo) contro al-Qaeda, rappresentata ora da al-Qaeda del Maghreb (AQM).
Il leader ribelle libico Abdel-Hakim al-Hasidi – che ha combattuto insieme ai talebani in Afghanistan – ha ampiamente confermato ai media italiani di aver personalmente reclutato “circa 25” jihaiditi della zona di Derna, nella Libia orientale, per combattere contro gli americani in Iraq; ora “questi si trovano in prima linea a Adjabiya”.
Questo dopo che il presidente del Ciad, Idriss Deby, ha fatto notare che AQM ha rubato gli arsenali militari nella Cirenaica e ora potrebbe essere in possesso di un discreto numero di missili terra-aria. Verso gli inizi di marzo, l’AQM ha sostenuto pubblicamente i ‘ribelli’. Deve essere ricomparso il fantasma di Obama; infatti il Pentagono sta lavorando di nuovo per lui.
I privatizzatori dell’acqua
In Occidente pochi sanno che la Libia, insieme all’Egitto, siede sul Nubian Sandstone Aquifer; cioè, su un oceano d’acqua dolce di enorme valore. Quindi, questa guerra ‘che c'è ma non si vede’ è cruciale per il controllo dell’acqua. Il controllo dell’acquifero non ha prezzo, così come non lo ha il ‘recupero’ delle risorse naturali di valore dalle mani dei ‘selvaggi’.
Il Pipelineistan di acqua – che scorre in profondità sotto il deserto per 4.000 km – è il Great Man-Made River Project (GMMRP) costruito da Gheddafi per 25 miliardi di dollari senza chiedere in prestito dal FMI o dalla Banca Mondiale nemmeno un centesimo (pessimo esempio per il mondo in via di sviluppo). Il GMMRP rifornisce Tripoli, Bengasi e tutta la costa libica. Il totale di acqua stimato dagli scienziati è equivalente al flusso di 200 anni di acqua del Nilo.
Confrontiamo questo dato alle cosiddette tre sorelle – Veolia (prima era Vivendi), Suez Ondeo (prima era Generale des Eaux) e Saur – le aziende francesi che controllano il 40% del mercato globale dell’acqua. È imperativo che l’attenzione venga rivolta all’eventuale bombardamento di queste condutture. Se saranno bombardate, uno scenario estremamente probabile è che ci saranno ricchi contratti per la ‘ricostruzione’ di cui la Francia sarà la beneficiaria. E questo sarà l’ultimo passo verso la totale privatizzazione di questa acqua, tuttora libera. Dalla dottrina dello shock alla dottrina dell’acqua.
Ecco, questa è solo una breve lista dei profittatori, nessuno sa a chi andrà il petrolio. Intanto, lo spettacolo deve continuare ( a suon di bombe). Il miglior affare è sempre la guerra.
di Pepe Escobar
Link: http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/MC30Ak01.html
04 aprile 2011
03 aprile 2011
Libia: gli insorti e il popolo
Gli insorti rappresentano senza dubbio l'elemento più oscuro e controverso della guerra in Libia, pur essendo la difesa della loro incolumità il fattore preso a pretesto dall'ONU per scatenare i bombardamenti.
Nell'immaginario di alcuni si tratta di una parte del popolo libico che sta lottando per liberarsi dalla dittatura e conquistare l'agognata democrazia.
Secondo altre fonti sono costituiti da oppositori di Gheddafi e nostalgici della monarchia che tentano di spodestare il Raiss per appropiarsi delle immense risorse petrolifere del paese, ben più appetibili di quanto non lo possa essere la democrazia.
Altre fonti ancora mettono in evidenza la pesante ingerenza occidentale, nell'organizzare, armare ed inquadrare (anche con l'ausilio di elementi delle truppe speciali inglesi) i ribelli, affinchè deponessero Gheddafi ed instaurassero un nuovo regime di proprio gradimento.
Qualcuno ha già perfino individuato nella persona di Mahmoud Jibril, ex direttore dell’Ufficio nazionale per lo sviluppo economico (Nedb) del governo libico, grande privatizzatore, nonchè altrettanto grande amico di Washington, il fantoccio deputato a sostituire Gheddafi quando la guerra sarà finita....
Anche a fronte di tanta mole d'informazioni resta comunque molto difficile inquadrare l'esatta natura e composizione della ribellione nata a Bengasi, sebbene alcuni elementi saltino comunque subito all'occhio.
La partecipazione popolare all'insurrezione è estremamente marginale e non regge il confronto con quanto accaduto in Tunisia ed in Egitto. Niente folle oceaniche e niente masse di cittadini esasperati distribuite sul territorio.
Le motivazioni di tipo economico mancano, non essendo il popolo libico ridotto alla fame, come lo erano quello tunisino ed egiziano.
La rivolta si è delineata fin da subito come un'insurrezione armata e non una protesta di piazza, dal momento che "la piazza" è stata praticamente inesistente.
La fame di democrazia e libertà non è l'elemento che muove gli insorti, molto più interessati al potere ed alla gestione dei pozzi petroliferi.
Gli insorti sono stati generosamente "aiutati" dalle potenze occidentali, altrimenti non si spiegherebbe l'immane quantità di pick up nuovi di zecca, con mitragliatrici e lanciamissili a bordo di cui dispongono.
Nonostante gli "aiuti" generosi passati sottobanco e quelli ancora più generosi che i volenterosi stanno meditando di destinare ufficialmente agli insorti sotto forma di armamento pesante in gentile concessione, l'impressione è comunque che le forze dei ribelli non possiedano la capacità di sconfiggere l'esercito di Gheddafi e conquistare il potere.
Non tanto a causa della loro inferiorità numerica o della minore potenzialità di armamenti, ma anche e soprattutto perchè nel loro cammino di conquista si ritroveranno a fare i conti, oltre che con i soldati, anche con il popolo libico che in larga parte del paese appoggia Gheddaffi e non è certo disposto ad accoglierli in città come i liberatori.
Per ironia della sorte, il più grande problema che si pone sulla strada degli insorti, spalleggiati dall'ONU e dalle potenze occidentali, potrebbe proprio essere costituito da quello stesso popolo libico che la risoluzione dell'ONU si proponeva di difendere da Gheddafi, ed ora violentato dai bombardamenti "umanitari" sembra stringersi intorno al Raiss.
Che qualcuno alla Casa Bianca abbia sbagliato i calcoli?
di Marco Cedolin
Nell'immaginario di alcuni si tratta di una parte del popolo libico che sta lottando per liberarsi dalla dittatura e conquistare l'agognata democrazia.
Secondo altre fonti sono costituiti da oppositori di Gheddafi e nostalgici della monarchia che tentano di spodestare il Raiss per appropiarsi delle immense risorse petrolifere del paese, ben più appetibili di quanto non lo possa essere la democrazia.
Altre fonti ancora mettono in evidenza la pesante ingerenza occidentale, nell'organizzare, armare ed inquadrare (anche con l'ausilio di elementi delle truppe speciali inglesi) i ribelli, affinchè deponessero Gheddafi ed instaurassero un nuovo regime di proprio gradimento.
Qualcuno ha già perfino individuato nella persona di Mahmoud Jibril, ex direttore dell’Ufficio nazionale per lo sviluppo economico (Nedb) del governo libico, grande privatizzatore, nonchè altrettanto grande amico di Washington, il fantoccio deputato a sostituire Gheddafi quando la guerra sarà finita....
Anche a fronte di tanta mole d'informazioni resta comunque molto difficile inquadrare l'esatta natura e composizione della ribellione nata a Bengasi, sebbene alcuni elementi saltino comunque subito all'occhio.
La partecipazione popolare all'insurrezione è estremamente marginale e non regge il confronto con quanto accaduto in Tunisia ed in Egitto. Niente folle oceaniche e niente masse di cittadini esasperati distribuite sul territorio.
Le motivazioni di tipo economico mancano, non essendo il popolo libico ridotto alla fame, come lo erano quello tunisino ed egiziano.
La rivolta si è delineata fin da subito come un'insurrezione armata e non una protesta di piazza, dal momento che "la piazza" è stata praticamente inesistente.
La fame di democrazia e libertà non è l'elemento che muove gli insorti, molto più interessati al potere ed alla gestione dei pozzi petroliferi.
Gli insorti sono stati generosamente "aiutati" dalle potenze occidentali, altrimenti non si spiegherebbe l'immane quantità di pick up nuovi di zecca, con mitragliatrici e lanciamissili a bordo di cui dispongono.
Nonostante gli "aiuti" generosi passati sottobanco e quelli ancora più generosi che i volenterosi stanno meditando di destinare ufficialmente agli insorti sotto forma di armamento pesante in gentile concessione, l'impressione è comunque che le forze dei ribelli non possiedano la capacità di sconfiggere l'esercito di Gheddafi e conquistare il potere.
Non tanto a causa della loro inferiorità numerica o della minore potenzialità di armamenti, ma anche e soprattutto perchè nel loro cammino di conquista si ritroveranno a fare i conti, oltre che con i soldati, anche con il popolo libico che in larga parte del paese appoggia Gheddaffi e non è certo disposto ad accoglierli in città come i liberatori.
Per ironia della sorte, il più grande problema che si pone sulla strada degli insorti, spalleggiati dall'ONU e dalle potenze occidentali, potrebbe proprio essere costituito da quello stesso popolo libico che la risoluzione dell'ONU si proponeva di difendere da Gheddafi, ed ora violentato dai bombardamenti "umanitari" sembra stringersi intorno al Raiss.
Che qualcuno alla Casa Bianca abbia sbagliato i calcoli?
di Marco Cedolin
02 aprile 2011
Rispetto per Lampedusa. Rispetto per l’Italia
In Libia c’è la guerra. In Italia una crisi economica da cui non c’è verso di uscire. E in un momento così drammatico la politica oscilla tra gli appelli “patriottici” di Napolitano e le sparate auto celebrative del presidente del Consiglio. Che ieri ha dato fondo al peggio del suo repertorio
Fa pena dover mettere a confronto la dignità della gente di Lampedusa con la buffoneria di Berlusconi. Tanto quelli mantengono un comportamento solidale coi migranti ma non prono all’ingiustizia di doverne sopportare da soli l’invasione, quanto il clown di Palazzo Chigi non perde l’occasione di prodursi nell’ennesimo show da avanspettacolo. «Anche io diventerò lampedusano. Sono andato su Internet e ho comprato una casa a Cala Francese, si chiama "Le Due Palme"», è arrivato a dire in faccia a quegli eroici isolani che vivono in mezzo alla sporcizia, esposti al rischio di epidemie, di giorno impegnati a dare una mano ai soccorsi e di sera tappati in casa per paura di furti e rapine da parte di stranieri affamati (fra i quali c’è, e non potrebbe essere altrimenti, anche qualche genuino delinquente). Non pago delle sue stomachevoli battute, si è prodigato nel consueto sfoggio di promesse che non manterrà: il Nobel per la Pace per l'isola, una moratoria fiscale, previdenziale e bancaria perché Lampedusa diventi zona franca, un piano per il turismo. Naturalmente ha già trovato il nome da far riecheggiare nell’etere propagandistico: operazione “Lampedusa pulita”. «Nelle prossime 48-60 ore l'isola sarà abitata solo dai lampedusani». Come a Napoli per la munnezza. Come il Patto con gli Italiani firmato in tv dal maggiordomo Vespa. Come l’incalcolabile trafila di balle rifilate all’Italia credulona in questi infiniti diciassette anni di “nuovi miracoli italiani”.
Ma dico io: a un tiro di schioppo da noi, nell’ex alleata Libia, si sta consumando una guerra civile a cui l’Occidente, avido di affari, ha pensato bene di sovrapporre una scellerata guerra di conquista, il suolo nazionale è investito da un esodo di fuggiaschi che non siamo preparati ad affrontare, il ministero degli Interni viene sbeffeggiato dalle Regioni che non ne vogliono sapere di accoglierli secondo il piano di spartizione, e il nostro capo del governo insiste e persiste nel fare di un momento così delicato e drammatico l’ennesimo comizio in vista delle prossime elezioni amministrative? D’accordo che ci ha abituato a tutto, ma prego e spero che i fieri lampedusani abbiano un ulteriore scatto d’orgoglio e anche se in queste ore la collaborazione con la Tunisia rendesse possibile lo svuotamento dell’isola, alzino ancora il tono della protesta che già aveva toccato picchi di tensione col blocco del porto da parte dei pescatori e con la catena umana delle donne per impedire altri sbarchi. Berlusconi è la politica che sputa sulla sofferenza, dei suoi compatrioti e dei disperati che vengono qui a sommare disperazione a disperazione.
Perché è inutile far finta che l’immigrazione sia un problema controllabile coi flussi burocratici, coi patti d’acciaio (e si è visto, l’acciaio) con dittatori ricattatori, o con le porte spalancate sempre e comunque e con chiunque. La migrazione di africani e asiatici, specialmente giovani (spesso istruiti e vogliosi d’integrarsi, come i tunisini stipati a Lampedusa), è un processo storico inarrestabile. Sempre che non si arresti il cammino della globalizzazione dei mercati e degli stili di vita, che induce popolazioni contaminate dal miraggio del “benessere” occidentale a trasferirsi in Europa. Oppure, al rovescio, sarebbe ora di rompere il tabù delle braccia aperte a tutti i costi e cominciare a dire la verità: siamo già troppi. Il nostro paese è sovrappopolato, trovare un lavoro decente è diventato un terno al lotto, imperversa una silenziosa e feroce guerra fra poveri in cui a farcela sono raccomandati, favorite e paggi del signore di turno, la maggior parte delle lauree non serve a un beneamato, l’economia non tira e quando lo fa – gli dei abbiano sempre in gloria i piccoli imprenditori, che a volte si suicidano per la vergogna di non poter pagare i dipendenti - è per grazia ricevuta dai vampiri delle banche, e con tutto ciò dovremmo fare gli incoscienti buoni samaritani condannando tutti, noi e i forestieri, a una miscela di disoccupazione, frustrazione e criminalità?
Eh no, non se ne può più. È vero che spesso i nostri ragazzi sono delle fighette laccate che disdegnano la fatica e il posto umile, ma è anche vero che questa è un preciso orientamento della società figlia della “innovazione” e della “conoscenza”, cioè della scomparsa della manifattura e dell’agricoltura soppiantate dalla metastasi del superfluo, dei “servizi” e della finanza. I colpevoli sono i loro genitori, che dopo il “boom” dei trent’anni gloriosi (anni ’50-’70) e il declino dei trent’anni accidiosi (anni ’80-2000), si sono adagiati sulla rendita di un modello economico-sociale che è crollato sotto i colpi del mercato unico mondiale. Il modello di vita, sparso in ogni angolo del pianeta grazie alle nuove tecnologie, ha fatto il resto e il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi: masse di poveri che premono ai nostri confini per essere un po’ meno poveri ma rendendoci tutti più miseri dal momento che il loro arrivo a frotte abbassa il costo della manodopera facendo la felicità dei padroni del vapore e l’infelicità dei lavoratori.
Se esistesse un’Unione Europa degna di tal nome, sua sarebbe la missione di regolamentare e gestire l’ingresso di extracomunitari secondo una regia unica. Ma per questo occorrerebbe che il continente europeo si desse una missione a monte: fondare un sistema di sviluppo interno il più possibile autonomo dalle cupole finanziarie e industriali che manovrano a tavolino le politiche economiche degli Stati. Per ora il consesso internazionale è talmente succube degli appetiti da business (vedi la Francia che sbava per mettere le mani sulla Libia) che giunge a calpestare ogni logica utilitaria e di buonsenso fino ad escludere in un consiglio di guerra la nazione più esposta e più interessata a sovrintendere al futuro di Tripoli, l’Italia, includendo invece la Germania che non partecipa neanche alle operazioni. Per uno schiaffo simile il nostro governo dovrebbe come minimo revocare l’uso delle basi aeree da cui decollano i voli di bombardamento.
Ma avercelo, un governo. In sua vece abbiamo un comico che dà spettacolo mentre è immerso fino al collo nel fango di processi gravissimi e umilianti per noi sudditi che ne subiamo le piazzate ogni santo giorno. E poi Napolitano osa anche venirci a parlare di patria e di coesione nazionale. Vada a dirlo a Lampedusa.
di Alessio Mannino
Fa pena dover mettere a confronto la dignità della gente di Lampedusa con la buffoneria di Berlusconi. Tanto quelli mantengono un comportamento solidale coi migranti ma non prono all’ingiustizia di doverne sopportare da soli l’invasione, quanto il clown di Palazzo Chigi non perde l’occasione di prodursi nell’ennesimo show da avanspettacolo. «Anche io diventerò lampedusano. Sono andato su Internet e ho comprato una casa a Cala Francese, si chiama "Le Due Palme"», è arrivato a dire in faccia a quegli eroici isolani che vivono in mezzo alla sporcizia, esposti al rischio di epidemie, di giorno impegnati a dare una mano ai soccorsi e di sera tappati in casa per paura di furti e rapine da parte di stranieri affamati (fra i quali c’è, e non potrebbe essere altrimenti, anche qualche genuino delinquente). Non pago delle sue stomachevoli battute, si è prodigato nel consueto sfoggio di promesse che non manterrà: il Nobel per la Pace per l'isola, una moratoria fiscale, previdenziale e bancaria perché Lampedusa diventi zona franca, un piano per il turismo. Naturalmente ha già trovato il nome da far riecheggiare nell’etere propagandistico: operazione “Lampedusa pulita”. «Nelle prossime 48-60 ore l'isola sarà abitata solo dai lampedusani». Come a Napoli per la munnezza. Come il Patto con gli Italiani firmato in tv dal maggiordomo Vespa. Come l’incalcolabile trafila di balle rifilate all’Italia credulona in questi infiniti diciassette anni di “nuovi miracoli italiani”.
Ma dico io: a un tiro di schioppo da noi, nell’ex alleata Libia, si sta consumando una guerra civile a cui l’Occidente, avido di affari, ha pensato bene di sovrapporre una scellerata guerra di conquista, il suolo nazionale è investito da un esodo di fuggiaschi che non siamo preparati ad affrontare, il ministero degli Interni viene sbeffeggiato dalle Regioni che non ne vogliono sapere di accoglierli secondo il piano di spartizione, e il nostro capo del governo insiste e persiste nel fare di un momento così delicato e drammatico l’ennesimo comizio in vista delle prossime elezioni amministrative? D’accordo che ci ha abituato a tutto, ma prego e spero che i fieri lampedusani abbiano un ulteriore scatto d’orgoglio e anche se in queste ore la collaborazione con la Tunisia rendesse possibile lo svuotamento dell’isola, alzino ancora il tono della protesta che già aveva toccato picchi di tensione col blocco del porto da parte dei pescatori e con la catena umana delle donne per impedire altri sbarchi. Berlusconi è la politica che sputa sulla sofferenza, dei suoi compatrioti e dei disperati che vengono qui a sommare disperazione a disperazione.
Perché è inutile far finta che l’immigrazione sia un problema controllabile coi flussi burocratici, coi patti d’acciaio (e si è visto, l’acciaio) con dittatori ricattatori, o con le porte spalancate sempre e comunque e con chiunque. La migrazione di africani e asiatici, specialmente giovani (spesso istruiti e vogliosi d’integrarsi, come i tunisini stipati a Lampedusa), è un processo storico inarrestabile. Sempre che non si arresti il cammino della globalizzazione dei mercati e degli stili di vita, che induce popolazioni contaminate dal miraggio del “benessere” occidentale a trasferirsi in Europa. Oppure, al rovescio, sarebbe ora di rompere il tabù delle braccia aperte a tutti i costi e cominciare a dire la verità: siamo già troppi. Il nostro paese è sovrappopolato, trovare un lavoro decente è diventato un terno al lotto, imperversa una silenziosa e feroce guerra fra poveri in cui a farcela sono raccomandati, favorite e paggi del signore di turno, la maggior parte delle lauree non serve a un beneamato, l’economia non tira e quando lo fa – gli dei abbiano sempre in gloria i piccoli imprenditori, che a volte si suicidano per la vergogna di non poter pagare i dipendenti - è per grazia ricevuta dai vampiri delle banche, e con tutto ciò dovremmo fare gli incoscienti buoni samaritani condannando tutti, noi e i forestieri, a una miscela di disoccupazione, frustrazione e criminalità?
Eh no, non se ne può più. È vero che spesso i nostri ragazzi sono delle fighette laccate che disdegnano la fatica e il posto umile, ma è anche vero che questa è un preciso orientamento della società figlia della “innovazione” e della “conoscenza”, cioè della scomparsa della manifattura e dell’agricoltura soppiantate dalla metastasi del superfluo, dei “servizi” e della finanza. I colpevoli sono i loro genitori, che dopo il “boom” dei trent’anni gloriosi (anni ’50-’70) e il declino dei trent’anni accidiosi (anni ’80-2000), si sono adagiati sulla rendita di un modello economico-sociale che è crollato sotto i colpi del mercato unico mondiale. Il modello di vita, sparso in ogni angolo del pianeta grazie alle nuove tecnologie, ha fatto il resto e il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi: masse di poveri che premono ai nostri confini per essere un po’ meno poveri ma rendendoci tutti più miseri dal momento che il loro arrivo a frotte abbassa il costo della manodopera facendo la felicità dei padroni del vapore e l’infelicità dei lavoratori.
Se esistesse un’Unione Europa degna di tal nome, sua sarebbe la missione di regolamentare e gestire l’ingresso di extracomunitari secondo una regia unica. Ma per questo occorrerebbe che il continente europeo si desse una missione a monte: fondare un sistema di sviluppo interno il più possibile autonomo dalle cupole finanziarie e industriali che manovrano a tavolino le politiche economiche degli Stati. Per ora il consesso internazionale è talmente succube degli appetiti da business (vedi la Francia che sbava per mettere le mani sulla Libia) che giunge a calpestare ogni logica utilitaria e di buonsenso fino ad escludere in un consiglio di guerra la nazione più esposta e più interessata a sovrintendere al futuro di Tripoli, l’Italia, includendo invece la Germania che non partecipa neanche alle operazioni. Per uno schiaffo simile il nostro governo dovrebbe come minimo revocare l’uso delle basi aeree da cui decollano i voli di bombardamento.
Ma avercelo, un governo. In sua vece abbiamo un comico che dà spettacolo mentre è immerso fino al collo nel fango di processi gravissimi e umilianti per noi sudditi che ne subiamo le piazzate ogni santo giorno. E poi Napolitano osa anche venirci a parlare di patria e di coesione nazionale. Vada a dirlo a Lampedusa.
di Alessio Mannino
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04 aprile 2011
Il miglior affare è sempre la guerra
Bugie, ipocrisia e piani segreti. Ecco i dettagli che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha omesso nell’esporre all’America e al mondo intero la sua dottrina libica . Difficile comprendere cosa succede a causa dei tanti buchi neri che caratterizzano questa splendida piccola guerra che non è una guerra (“un’azione militare a raggio e a tempo limitati” come la definisce la Casa Bianca) e caratterizzata dall’incapacità dell’area progressista di condannare, allo stesso tempo, la crudeltà del regime di Muhammar Gheddafi e i bombardamenti ‘umanitari’ anglo-franco-americani.
La risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 1973 ha operato come un cavallo di Troia, permettendo al consorzio anglo-franco-americano e alla NATO di diventare la forza aerea dell’ONU nel suo sostegno a un’insurrezione armata.
Al di là del fatto che questo accordo non ha niente a che fare con la protezione dei civili, esso è anche assolutamente illegale secondo la legge internazionale. L’implicito obiettivo finale, come a questo punto sa anche il più disperato dei bambini africani, è il cambio di regime.
Il generale canadese Charles Bouchard, a capo della missione libica per conto della NATO, può ribadire quanto vuole che la missione ha come unico obiettivo la difesa dei civili. Eppure quegli ‘innocenti civili’ che guidano carri e imbracciano kalashnikov come un disordinato mucchio selvaggio, di fatto sono soldati in una guerra civile e a questo punto dovrebbero decidere se la NATO deve essere d’ora in poi la loro forza aerea seguendo le orme dell’alleanza anglo-franco-americana. Inoltre, la ‘coalizione dei volenterosi’ che combatte in Libia consiste di soli 12 membri su 28 della NATO più il Qatar. Insomma, questa non è di certo una ‘comunità internazionale’.
Il verdetto finale sulla no-fly zone come da mandato dell’ONU dovrà attendere la nascita di un governo ‘dei ribelli’ alla fine della guerra civile (se finisce presto). Allora sarà possibile analizzare e capire i seguenti punti: se il bombardamento, anche coi missili Tomahawk, era giustificato; il perché i civili della Cirenaica siano stati protetti mentre quelli di Tripoli bombardati; che tipo di gente erano i ‘ribelli’ che sono stati ‘salvati’; se tutto questo era legale, in primo luogo; capire se la risoluzione era una copertura per il cambio di regime; se la storia d’amore tra i ‘rivoluzionari’ libici e l’Occidente finirà in un divorzio sanguinario (ricordate l’Afghanistan?); e quali attori occidentali saranno pronti ad approfittare della ricchezza di una nuova e unificata (forse balcanizzata) Libia.
Per ora, è piuttosto facile capire chi ne trarrà profitto.
Il Pentagono
Il fine settimana scorso, il capo del Pentagono Robert Gates ha dichiarato, riuscendo a rimanere serio, che gli unici regimi repressivi nel Medio Oriente sono l’Iran, la Siria e la Libia. Il Pentagono sta infierendo sull’anello debole, la Libia. Gli altri sono da sempre nella lista neo-con dei cattivi da eliminare. L’Arabia Saudita, lo Yemen, il Bahrain ecc. sono democrazie modello.
Per quanto riguarda questa guerra che ‘c'è ma non si vede’, il Pentagono è riuscito a combatterla due volte, non una. La prima con Africom, creato sotto l’amministrazione Bush, alimentato da quella di Obama e rigettato da dozzine di governi africani, di esperti e di organizzazioni per i diritti umani. Ora la guerra passa attraverso la Nato ovvero sotto il comando del Pentagono sui lacché europei.
Questa è la prima guerra africana di Africom, condotta dal generale Carter Ham nel suo quartier generale non in Africa, ma a Stuttgart, in Germania. Africom, per dirla con Horace Campbell, professore di studi afro-americani e di scienze politiche presso la Syracuse University, è un inganno; “fondamentalmente una copertura per le operazioni dei contractor americani come Dyncorp, MPRI e KBR. I pianificatori militari americani che traggono beneficio dalla politica delle porte girevoli della privatizzazione della guerra sono felici di avere l’opportunità di fornire ad Africom credibilità dietro la facciata dell’intervento in Libia”.
I Tomahawk della Africom hanno anche colpito, in senso metaforico, l’Unione Africana (AU), che, diversamente dalla Lega Araba, non è facile da comprare dall’Occidente. Le monarchie petrolifere arabe hanno tutte brindato al bombardamento, tranne l’Egitto e la Tunisia. Solo cinque paesi africani non sono subordinati ad Africom; la Libia è uno di essi, insieme al Sudan, la Costa d’Avorio, Eritrea e lo Zimbabwe.
NATO
Il piano generale della NATO è di comandare sul mediterraneo e di considerarlo un lago di sua proprietà. Sotto questa ‘ottica’(definizione del Pentagono) il mediterraneo oggigiorno è infinitamente più importante come teatro di guerra dell’AfPak (Afghanistan e Pakistan).
Sui 20 paesi del mediterraneo solo 3 non fanno parte della NATO o non hanno alcuna partnership coi suoi programmi: Libia, Libano e Siria. Senza alcun dubbio la Siria è il prossimo. Il Libano si trova sotto un blocco della NATO dal 2006. Ora il blocco viene applicato alla Libia. Gli Stati Uniti – tramite la NATO – stanno quadrando il cerchio.
Arabia Saudita
Che affare. Il re Abdullah si sbarazza del suo eterno rivali Gheddafi. La casa saudita, in modo abietto, s’inchina agli interessi dell’Occidente. Lo sguardo dell’opinione pubblica mondiale è stato allontanato dall’invasione saudita del Bahrain con l’obiettivo di distruggere un movimento pacifico e legittimo a favore della democrazia.
La casa saudita ha piazzato la storia che ‘la Lega Araba’ ha votato compatta per una no-fly zone. Una menzogna; solo 11 membri su 22 erano presenti alla votazione; sei sono membri del Gulf Cooperation Council (GCC) di cui l’Arabia Saudita è leader. La casa saudita doveva solo convincere altri tre. La Siria e l’Algeria erano contrarie. Risultato: solo 9 dei 22 paesi arabi hanno votato per la no-fly zone.
L’Arabia Saudita ora può anche ordinare al capo della GCC, Abdulrahman al-Attiyah di dire con faccia tosta che “il sistema libico ha perso la propria legittimità”. Per quanto riguarda la “legittima” casa saudita e i al-Khalifas nel Bahrain, qualcuno dovrebbe portarli alla Hall of Fame Umanitaria.
Il Qatar
Il paese anfitrione dei campionati mondiali di calcio del 2022 sa bene come concludere un affare. I suoi Mirage aiutano a bombardare la Libia e nel frattempo Doha si prepara a commerciare il petrolio della Libia orientale. Il Qatar ha prontamente riconosciuto, primo tra i paesi arabi, la legittimità del governo dei ‘ribelli’ libici solo il giorno dopo essersi assicurato l’affare del commercio del petrolio.
I ‘ribelli’
Nonostante le meritevoli aspirazioni democratiche del movimento giovanile libico, il gruppo di opposizione più organizzato rimane il Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia, da anni finanziato dalla casa saudita, dalla CIA e dall’intelligence francese. Il ‘Consiglio Provvisorio di Transizione Nazionale’ non è altro che il buon vecchio Fronte Nazionale con il contributo di qualche defezionario tra i militari. Ecco l’élite dei ‘civili innocenti’ che la “coalizione” sta “proteggendo”.
Al momento giusto, il ‘Consiglio Provvisorio di Transizione’ ha trovato un nuovo ministro della finanza, l’economista di formazione statunitense Ali Tarhouni. Egli ha rivelato che un gruppo di paesi occidentali ha concesso loro credito sostenuto dal fondo sovrano della Libia, e i britannici hanno permesso loro di accedere a fondi di Gheddafi per un totale di 1.1 miliardi di dollari. Questo significa che il consorzio anglo-franco-americano e ora la NATO devono spendere solo per le bombe. Di tutti i raggiri della guerra questo è impareggiabile; l’Occidente utilizza denaro libico per finanziare un gruppo di opportunisti ribelli libici per combattere contro il governo libico. Inoltre gli americani, gli inglesi e i francesi adorano questi bombardamenti. I neo-con devono essere su tutte le furie; come ha fatto il precedente segretario alla Difesa americano Paul Wolfowitz a non farsi venire un’idea del genere per la guerra in Iraq nel 2003?
I francesi
Oh là là, questo potrebbe essere materiale degno di un romanzo proustiano. La più esclusiva collezione di primavera nelle passerelle di Parigi è lo show della moda di Sarkozy – un modello no-fly zone accessoriato di aerobombardieri Mirage/Rafale.
Questo show di alta moda è stato ideato da Nouri Mesmari, il capo di protocollo di Gheddafi, che, defezionario, si è rifugiato in Francia dall’ottobre 2010. I servizi segreti italiani hanno rivelato a media selezionati come ha fatto. Il ruolo del DGSE, il servizio segreto francese, è stato più o meno spiegato nel sito a pagamento Maghreb Confidential.
In sostanza, la rivolta di Bengasi coq au vin è stata preparata a partire da novembre 2010. Gli chef sono stati Mesmari, il colonnello delle forze aeree Abdullah Gehani e il servizio segreto francese. Mesmari è stato nominato il ‘WikiLeaks libico’, perché ha spifferato praticamente ogni segreto militare di Gheddafi. Sarkozy ne è stato felice, infatti prima era furioso perché Gheddafi aveva cancellato i succosi contratti di acquisto di Rafale ( per rimpiazzare i Mirage ora bombardati) e di impianti nucleari francesi.
Questo spiega l’entusiasmo di Sarkozy nel porsi come liberatore degli arabi, è stato il primo leader europeo a riconoscere i ‘ribelli’( con somma ira di molti nella UE) ed è stato il primo a bombardare le forze di Gheddafi.
Questo ci porta al ruolo dello sfacciato filosofo francese Bernard Henri-Levy che sta sfruttando freneticamente i media mondiali per far sapere che è stato lui a telefonare Sarkozy da Bengasi, risvegliandone la vena umanitaria. Quindi o Levy è uno sciocco, oppure fa da utile ciliegina ‘intellettuale’ da aggiungere sulla già pronta torta di bombe.
Il Terminator Sarkozy è inarrestabile. Ha appena avvertito tutti i governanti arabi che rischiano di ritrovarsi bombardati come la Libia casomai dovessero reprimere chi protesta. Ha anche detto che “la prossima” sarà la Costa d’Avorio. Ovviamente, il Bahrain e lo Yemen sono esenti da questi provvedimenti. Per quanto riguarda gli USA, essi stanno di nuovo sostenendo un golpe militare (non ha funzionato con Omar “Sheikh Al-Torture” Suleiman in Egitto; forse funzionerà in Libia)
Al-Qaeda
Riecco il solito spauracchio, sempre utile. Il consorzio anglo-franco-americano, e ora la NATO, combattono assieme (di nuovo) contro al-Qaeda, rappresentata ora da al-Qaeda del Maghreb (AQM).
Il leader ribelle libico Abdel-Hakim al-Hasidi – che ha combattuto insieme ai talebani in Afghanistan – ha ampiamente confermato ai media italiani di aver personalmente reclutato “circa 25” jihaiditi della zona di Derna, nella Libia orientale, per combattere contro gli americani in Iraq; ora “questi si trovano in prima linea a Adjabiya”.
Questo dopo che il presidente del Ciad, Idriss Deby, ha fatto notare che AQM ha rubato gli arsenali militari nella Cirenaica e ora potrebbe essere in possesso di un discreto numero di missili terra-aria. Verso gli inizi di marzo, l’AQM ha sostenuto pubblicamente i ‘ribelli’. Deve essere ricomparso il fantasma di Obama; infatti il Pentagono sta lavorando di nuovo per lui.
I privatizzatori dell’acqua
In Occidente pochi sanno che la Libia, insieme all’Egitto, siede sul Nubian Sandstone Aquifer; cioè, su un oceano d’acqua dolce di enorme valore. Quindi, questa guerra ‘che c'è ma non si vede’ è cruciale per il controllo dell’acqua. Il controllo dell’acquifero non ha prezzo, così come non lo ha il ‘recupero’ delle risorse naturali di valore dalle mani dei ‘selvaggi’.
Il Pipelineistan di acqua – che scorre in profondità sotto il deserto per 4.000 km – è il Great Man-Made River Project (GMMRP) costruito da Gheddafi per 25 miliardi di dollari senza chiedere in prestito dal FMI o dalla Banca Mondiale nemmeno un centesimo (pessimo esempio per il mondo in via di sviluppo). Il GMMRP rifornisce Tripoli, Bengasi e tutta la costa libica. Il totale di acqua stimato dagli scienziati è equivalente al flusso di 200 anni di acqua del Nilo.
Confrontiamo questo dato alle cosiddette tre sorelle – Veolia (prima era Vivendi), Suez Ondeo (prima era Generale des Eaux) e Saur – le aziende francesi che controllano il 40% del mercato globale dell’acqua. È imperativo che l’attenzione venga rivolta all’eventuale bombardamento di queste condutture. Se saranno bombardate, uno scenario estremamente probabile è che ci saranno ricchi contratti per la ‘ricostruzione’ di cui la Francia sarà la beneficiaria. E questo sarà l’ultimo passo verso la totale privatizzazione di questa acqua, tuttora libera. Dalla dottrina dello shock alla dottrina dell’acqua.
Ecco, questa è solo una breve lista dei profittatori, nessuno sa a chi andrà il petrolio. Intanto, lo spettacolo deve continuare ( a suon di bombe). Il miglior affare è sempre la guerra.
di Pepe Escobar
Link: http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/MC30Ak01.html
La risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 1973 ha operato come un cavallo di Troia, permettendo al consorzio anglo-franco-americano e alla NATO di diventare la forza aerea dell’ONU nel suo sostegno a un’insurrezione armata.
Al di là del fatto che questo accordo non ha niente a che fare con la protezione dei civili, esso è anche assolutamente illegale secondo la legge internazionale. L’implicito obiettivo finale, come a questo punto sa anche il più disperato dei bambini africani, è il cambio di regime.
Il generale canadese Charles Bouchard, a capo della missione libica per conto della NATO, può ribadire quanto vuole che la missione ha come unico obiettivo la difesa dei civili. Eppure quegli ‘innocenti civili’ che guidano carri e imbracciano kalashnikov come un disordinato mucchio selvaggio, di fatto sono soldati in una guerra civile e a questo punto dovrebbero decidere se la NATO deve essere d’ora in poi la loro forza aerea seguendo le orme dell’alleanza anglo-franco-americana. Inoltre, la ‘coalizione dei volenterosi’ che combatte in Libia consiste di soli 12 membri su 28 della NATO più il Qatar. Insomma, questa non è di certo una ‘comunità internazionale’.
Il verdetto finale sulla no-fly zone come da mandato dell’ONU dovrà attendere la nascita di un governo ‘dei ribelli’ alla fine della guerra civile (se finisce presto). Allora sarà possibile analizzare e capire i seguenti punti: se il bombardamento, anche coi missili Tomahawk, era giustificato; il perché i civili della Cirenaica siano stati protetti mentre quelli di Tripoli bombardati; che tipo di gente erano i ‘ribelli’ che sono stati ‘salvati’; se tutto questo era legale, in primo luogo; capire se la risoluzione era una copertura per il cambio di regime; se la storia d’amore tra i ‘rivoluzionari’ libici e l’Occidente finirà in un divorzio sanguinario (ricordate l’Afghanistan?); e quali attori occidentali saranno pronti ad approfittare della ricchezza di una nuova e unificata (forse balcanizzata) Libia.
Per ora, è piuttosto facile capire chi ne trarrà profitto.
Il Pentagono
Il fine settimana scorso, il capo del Pentagono Robert Gates ha dichiarato, riuscendo a rimanere serio, che gli unici regimi repressivi nel Medio Oriente sono l’Iran, la Siria e la Libia. Il Pentagono sta infierendo sull’anello debole, la Libia. Gli altri sono da sempre nella lista neo-con dei cattivi da eliminare. L’Arabia Saudita, lo Yemen, il Bahrain ecc. sono democrazie modello.
Per quanto riguarda questa guerra che ‘c'è ma non si vede’, il Pentagono è riuscito a combatterla due volte, non una. La prima con Africom, creato sotto l’amministrazione Bush, alimentato da quella di Obama e rigettato da dozzine di governi africani, di esperti e di organizzazioni per i diritti umani. Ora la guerra passa attraverso la Nato ovvero sotto il comando del Pentagono sui lacché europei.
Questa è la prima guerra africana di Africom, condotta dal generale Carter Ham nel suo quartier generale non in Africa, ma a Stuttgart, in Germania. Africom, per dirla con Horace Campbell, professore di studi afro-americani e di scienze politiche presso la Syracuse University, è un inganno; “fondamentalmente una copertura per le operazioni dei contractor americani come Dyncorp, MPRI e KBR. I pianificatori militari americani che traggono beneficio dalla politica delle porte girevoli della privatizzazione della guerra sono felici di avere l’opportunità di fornire ad Africom credibilità dietro la facciata dell’intervento in Libia”.
I Tomahawk della Africom hanno anche colpito, in senso metaforico, l’Unione Africana (AU), che, diversamente dalla Lega Araba, non è facile da comprare dall’Occidente. Le monarchie petrolifere arabe hanno tutte brindato al bombardamento, tranne l’Egitto e la Tunisia. Solo cinque paesi africani non sono subordinati ad Africom; la Libia è uno di essi, insieme al Sudan, la Costa d’Avorio, Eritrea e lo Zimbabwe.
NATO
Il piano generale della NATO è di comandare sul mediterraneo e di considerarlo un lago di sua proprietà. Sotto questa ‘ottica’(definizione del Pentagono) il mediterraneo oggigiorno è infinitamente più importante come teatro di guerra dell’AfPak (Afghanistan e Pakistan).
Sui 20 paesi del mediterraneo solo 3 non fanno parte della NATO o non hanno alcuna partnership coi suoi programmi: Libia, Libano e Siria. Senza alcun dubbio la Siria è il prossimo. Il Libano si trova sotto un blocco della NATO dal 2006. Ora il blocco viene applicato alla Libia. Gli Stati Uniti – tramite la NATO – stanno quadrando il cerchio.
Arabia Saudita
Che affare. Il re Abdullah si sbarazza del suo eterno rivali Gheddafi. La casa saudita, in modo abietto, s’inchina agli interessi dell’Occidente. Lo sguardo dell’opinione pubblica mondiale è stato allontanato dall’invasione saudita del Bahrain con l’obiettivo di distruggere un movimento pacifico e legittimo a favore della democrazia.
La casa saudita ha piazzato la storia che ‘la Lega Araba’ ha votato compatta per una no-fly zone. Una menzogna; solo 11 membri su 22 erano presenti alla votazione; sei sono membri del Gulf Cooperation Council (GCC) di cui l’Arabia Saudita è leader. La casa saudita doveva solo convincere altri tre. La Siria e l’Algeria erano contrarie. Risultato: solo 9 dei 22 paesi arabi hanno votato per la no-fly zone.
L’Arabia Saudita ora può anche ordinare al capo della GCC, Abdulrahman al-Attiyah di dire con faccia tosta che “il sistema libico ha perso la propria legittimità”. Per quanto riguarda la “legittima” casa saudita e i al-Khalifas nel Bahrain, qualcuno dovrebbe portarli alla Hall of Fame Umanitaria.
Il Qatar
Il paese anfitrione dei campionati mondiali di calcio del 2022 sa bene come concludere un affare. I suoi Mirage aiutano a bombardare la Libia e nel frattempo Doha si prepara a commerciare il petrolio della Libia orientale. Il Qatar ha prontamente riconosciuto, primo tra i paesi arabi, la legittimità del governo dei ‘ribelli’ libici solo il giorno dopo essersi assicurato l’affare del commercio del petrolio.
I ‘ribelli’
Nonostante le meritevoli aspirazioni democratiche del movimento giovanile libico, il gruppo di opposizione più organizzato rimane il Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia, da anni finanziato dalla casa saudita, dalla CIA e dall’intelligence francese. Il ‘Consiglio Provvisorio di Transizione Nazionale’ non è altro che il buon vecchio Fronte Nazionale con il contributo di qualche defezionario tra i militari. Ecco l’élite dei ‘civili innocenti’ che la “coalizione” sta “proteggendo”.
Al momento giusto, il ‘Consiglio Provvisorio di Transizione’ ha trovato un nuovo ministro della finanza, l’economista di formazione statunitense Ali Tarhouni. Egli ha rivelato che un gruppo di paesi occidentali ha concesso loro credito sostenuto dal fondo sovrano della Libia, e i britannici hanno permesso loro di accedere a fondi di Gheddafi per un totale di 1.1 miliardi di dollari. Questo significa che il consorzio anglo-franco-americano e ora la NATO devono spendere solo per le bombe. Di tutti i raggiri della guerra questo è impareggiabile; l’Occidente utilizza denaro libico per finanziare un gruppo di opportunisti ribelli libici per combattere contro il governo libico. Inoltre gli americani, gli inglesi e i francesi adorano questi bombardamenti. I neo-con devono essere su tutte le furie; come ha fatto il precedente segretario alla Difesa americano Paul Wolfowitz a non farsi venire un’idea del genere per la guerra in Iraq nel 2003?
I francesi
Oh là là, questo potrebbe essere materiale degno di un romanzo proustiano. La più esclusiva collezione di primavera nelle passerelle di Parigi è lo show della moda di Sarkozy – un modello no-fly zone accessoriato di aerobombardieri Mirage/Rafale.
Questo show di alta moda è stato ideato da Nouri Mesmari, il capo di protocollo di Gheddafi, che, defezionario, si è rifugiato in Francia dall’ottobre 2010. I servizi segreti italiani hanno rivelato a media selezionati come ha fatto. Il ruolo del DGSE, il servizio segreto francese, è stato più o meno spiegato nel sito a pagamento Maghreb Confidential.
In sostanza, la rivolta di Bengasi coq au vin è stata preparata a partire da novembre 2010. Gli chef sono stati Mesmari, il colonnello delle forze aeree Abdullah Gehani e il servizio segreto francese. Mesmari è stato nominato il ‘WikiLeaks libico’, perché ha spifferato praticamente ogni segreto militare di Gheddafi. Sarkozy ne è stato felice, infatti prima era furioso perché Gheddafi aveva cancellato i succosi contratti di acquisto di Rafale ( per rimpiazzare i Mirage ora bombardati) e di impianti nucleari francesi.
Questo spiega l’entusiasmo di Sarkozy nel porsi come liberatore degli arabi, è stato il primo leader europeo a riconoscere i ‘ribelli’( con somma ira di molti nella UE) ed è stato il primo a bombardare le forze di Gheddafi.
Questo ci porta al ruolo dello sfacciato filosofo francese Bernard Henri-Levy che sta sfruttando freneticamente i media mondiali per far sapere che è stato lui a telefonare Sarkozy da Bengasi, risvegliandone la vena umanitaria. Quindi o Levy è uno sciocco, oppure fa da utile ciliegina ‘intellettuale’ da aggiungere sulla già pronta torta di bombe.
Il Terminator Sarkozy è inarrestabile. Ha appena avvertito tutti i governanti arabi che rischiano di ritrovarsi bombardati come la Libia casomai dovessero reprimere chi protesta. Ha anche detto che “la prossima” sarà la Costa d’Avorio. Ovviamente, il Bahrain e lo Yemen sono esenti da questi provvedimenti. Per quanto riguarda gli USA, essi stanno di nuovo sostenendo un golpe militare (non ha funzionato con Omar “Sheikh Al-Torture” Suleiman in Egitto; forse funzionerà in Libia)
Al-Qaeda
Riecco il solito spauracchio, sempre utile. Il consorzio anglo-franco-americano, e ora la NATO, combattono assieme (di nuovo) contro al-Qaeda, rappresentata ora da al-Qaeda del Maghreb (AQM).
Il leader ribelle libico Abdel-Hakim al-Hasidi – che ha combattuto insieme ai talebani in Afghanistan – ha ampiamente confermato ai media italiani di aver personalmente reclutato “circa 25” jihaiditi della zona di Derna, nella Libia orientale, per combattere contro gli americani in Iraq; ora “questi si trovano in prima linea a Adjabiya”.
Questo dopo che il presidente del Ciad, Idriss Deby, ha fatto notare che AQM ha rubato gli arsenali militari nella Cirenaica e ora potrebbe essere in possesso di un discreto numero di missili terra-aria. Verso gli inizi di marzo, l’AQM ha sostenuto pubblicamente i ‘ribelli’. Deve essere ricomparso il fantasma di Obama; infatti il Pentagono sta lavorando di nuovo per lui.
I privatizzatori dell’acqua
In Occidente pochi sanno che la Libia, insieme all’Egitto, siede sul Nubian Sandstone Aquifer; cioè, su un oceano d’acqua dolce di enorme valore. Quindi, questa guerra ‘che c'è ma non si vede’ è cruciale per il controllo dell’acqua. Il controllo dell’acquifero non ha prezzo, così come non lo ha il ‘recupero’ delle risorse naturali di valore dalle mani dei ‘selvaggi’.
Il Pipelineistan di acqua – che scorre in profondità sotto il deserto per 4.000 km – è il Great Man-Made River Project (GMMRP) costruito da Gheddafi per 25 miliardi di dollari senza chiedere in prestito dal FMI o dalla Banca Mondiale nemmeno un centesimo (pessimo esempio per il mondo in via di sviluppo). Il GMMRP rifornisce Tripoli, Bengasi e tutta la costa libica. Il totale di acqua stimato dagli scienziati è equivalente al flusso di 200 anni di acqua del Nilo.
Confrontiamo questo dato alle cosiddette tre sorelle – Veolia (prima era Vivendi), Suez Ondeo (prima era Generale des Eaux) e Saur – le aziende francesi che controllano il 40% del mercato globale dell’acqua. È imperativo che l’attenzione venga rivolta all’eventuale bombardamento di queste condutture. Se saranno bombardate, uno scenario estremamente probabile è che ci saranno ricchi contratti per la ‘ricostruzione’ di cui la Francia sarà la beneficiaria. E questo sarà l’ultimo passo verso la totale privatizzazione di questa acqua, tuttora libera. Dalla dottrina dello shock alla dottrina dell’acqua.
Ecco, questa è solo una breve lista dei profittatori, nessuno sa a chi andrà il petrolio. Intanto, lo spettacolo deve continuare ( a suon di bombe). Il miglior affare è sempre la guerra.
di Pepe Escobar
Link: http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/MC30Ak01.html
03 aprile 2011
Libia: gli insorti e il popolo
Gli insorti rappresentano senza dubbio l'elemento più oscuro e controverso della guerra in Libia, pur essendo la difesa della loro incolumità il fattore preso a pretesto dall'ONU per scatenare i bombardamenti.
Nell'immaginario di alcuni si tratta di una parte del popolo libico che sta lottando per liberarsi dalla dittatura e conquistare l'agognata democrazia.
Secondo altre fonti sono costituiti da oppositori di Gheddafi e nostalgici della monarchia che tentano di spodestare il Raiss per appropiarsi delle immense risorse petrolifere del paese, ben più appetibili di quanto non lo possa essere la democrazia.
Altre fonti ancora mettono in evidenza la pesante ingerenza occidentale, nell'organizzare, armare ed inquadrare (anche con l'ausilio di elementi delle truppe speciali inglesi) i ribelli, affinchè deponessero Gheddafi ed instaurassero un nuovo regime di proprio gradimento.
Qualcuno ha già perfino individuato nella persona di Mahmoud Jibril, ex direttore dell’Ufficio nazionale per lo sviluppo economico (Nedb) del governo libico, grande privatizzatore, nonchè altrettanto grande amico di Washington, il fantoccio deputato a sostituire Gheddafi quando la guerra sarà finita....
Anche a fronte di tanta mole d'informazioni resta comunque molto difficile inquadrare l'esatta natura e composizione della ribellione nata a Bengasi, sebbene alcuni elementi saltino comunque subito all'occhio.
La partecipazione popolare all'insurrezione è estremamente marginale e non regge il confronto con quanto accaduto in Tunisia ed in Egitto. Niente folle oceaniche e niente masse di cittadini esasperati distribuite sul territorio.
Le motivazioni di tipo economico mancano, non essendo il popolo libico ridotto alla fame, come lo erano quello tunisino ed egiziano.
La rivolta si è delineata fin da subito come un'insurrezione armata e non una protesta di piazza, dal momento che "la piazza" è stata praticamente inesistente.
La fame di democrazia e libertà non è l'elemento che muove gli insorti, molto più interessati al potere ed alla gestione dei pozzi petroliferi.
Gli insorti sono stati generosamente "aiutati" dalle potenze occidentali, altrimenti non si spiegherebbe l'immane quantità di pick up nuovi di zecca, con mitragliatrici e lanciamissili a bordo di cui dispongono.
Nonostante gli "aiuti" generosi passati sottobanco e quelli ancora più generosi che i volenterosi stanno meditando di destinare ufficialmente agli insorti sotto forma di armamento pesante in gentile concessione, l'impressione è comunque che le forze dei ribelli non possiedano la capacità di sconfiggere l'esercito di Gheddafi e conquistare il potere.
Non tanto a causa della loro inferiorità numerica o della minore potenzialità di armamenti, ma anche e soprattutto perchè nel loro cammino di conquista si ritroveranno a fare i conti, oltre che con i soldati, anche con il popolo libico che in larga parte del paese appoggia Gheddaffi e non è certo disposto ad accoglierli in città come i liberatori.
Per ironia della sorte, il più grande problema che si pone sulla strada degli insorti, spalleggiati dall'ONU e dalle potenze occidentali, potrebbe proprio essere costituito da quello stesso popolo libico che la risoluzione dell'ONU si proponeva di difendere da Gheddafi, ed ora violentato dai bombardamenti "umanitari" sembra stringersi intorno al Raiss.
Che qualcuno alla Casa Bianca abbia sbagliato i calcoli?
di Marco Cedolin
Nell'immaginario di alcuni si tratta di una parte del popolo libico che sta lottando per liberarsi dalla dittatura e conquistare l'agognata democrazia.
Secondo altre fonti sono costituiti da oppositori di Gheddafi e nostalgici della monarchia che tentano di spodestare il Raiss per appropiarsi delle immense risorse petrolifere del paese, ben più appetibili di quanto non lo possa essere la democrazia.
Altre fonti ancora mettono in evidenza la pesante ingerenza occidentale, nell'organizzare, armare ed inquadrare (anche con l'ausilio di elementi delle truppe speciali inglesi) i ribelli, affinchè deponessero Gheddafi ed instaurassero un nuovo regime di proprio gradimento.
Qualcuno ha già perfino individuato nella persona di Mahmoud Jibril, ex direttore dell’Ufficio nazionale per lo sviluppo economico (Nedb) del governo libico, grande privatizzatore, nonchè altrettanto grande amico di Washington, il fantoccio deputato a sostituire Gheddafi quando la guerra sarà finita....
Anche a fronte di tanta mole d'informazioni resta comunque molto difficile inquadrare l'esatta natura e composizione della ribellione nata a Bengasi, sebbene alcuni elementi saltino comunque subito all'occhio.
La partecipazione popolare all'insurrezione è estremamente marginale e non regge il confronto con quanto accaduto in Tunisia ed in Egitto. Niente folle oceaniche e niente masse di cittadini esasperati distribuite sul territorio.
Le motivazioni di tipo economico mancano, non essendo il popolo libico ridotto alla fame, come lo erano quello tunisino ed egiziano.
La rivolta si è delineata fin da subito come un'insurrezione armata e non una protesta di piazza, dal momento che "la piazza" è stata praticamente inesistente.
La fame di democrazia e libertà non è l'elemento che muove gli insorti, molto più interessati al potere ed alla gestione dei pozzi petroliferi.
Gli insorti sono stati generosamente "aiutati" dalle potenze occidentali, altrimenti non si spiegherebbe l'immane quantità di pick up nuovi di zecca, con mitragliatrici e lanciamissili a bordo di cui dispongono.
Nonostante gli "aiuti" generosi passati sottobanco e quelli ancora più generosi che i volenterosi stanno meditando di destinare ufficialmente agli insorti sotto forma di armamento pesante in gentile concessione, l'impressione è comunque che le forze dei ribelli non possiedano la capacità di sconfiggere l'esercito di Gheddafi e conquistare il potere.
Non tanto a causa della loro inferiorità numerica o della minore potenzialità di armamenti, ma anche e soprattutto perchè nel loro cammino di conquista si ritroveranno a fare i conti, oltre che con i soldati, anche con il popolo libico che in larga parte del paese appoggia Gheddaffi e non è certo disposto ad accoglierli in città come i liberatori.
Per ironia della sorte, il più grande problema che si pone sulla strada degli insorti, spalleggiati dall'ONU e dalle potenze occidentali, potrebbe proprio essere costituito da quello stesso popolo libico che la risoluzione dell'ONU si proponeva di difendere da Gheddafi, ed ora violentato dai bombardamenti "umanitari" sembra stringersi intorno al Raiss.
Che qualcuno alla Casa Bianca abbia sbagliato i calcoli?
di Marco Cedolin
02 aprile 2011
Rispetto per Lampedusa. Rispetto per l’Italia
In Libia c’è la guerra. In Italia una crisi economica da cui non c’è verso di uscire. E in un momento così drammatico la politica oscilla tra gli appelli “patriottici” di Napolitano e le sparate auto celebrative del presidente del Consiglio. Che ieri ha dato fondo al peggio del suo repertorio
Fa pena dover mettere a confronto la dignità della gente di Lampedusa con la buffoneria di Berlusconi. Tanto quelli mantengono un comportamento solidale coi migranti ma non prono all’ingiustizia di doverne sopportare da soli l’invasione, quanto il clown di Palazzo Chigi non perde l’occasione di prodursi nell’ennesimo show da avanspettacolo. «Anche io diventerò lampedusano. Sono andato su Internet e ho comprato una casa a Cala Francese, si chiama "Le Due Palme"», è arrivato a dire in faccia a quegli eroici isolani che vivono in mezzo alla sporcizia, esposti al rischio di epidemie, di giorno impegnati a dare una mano ai soccorsi e di sera tappati in casa per paura di furti e rapine da parte di stranieri affamati (fra i quali c’è, e non potrebbe essere altrimenti, anche qualche genuino delinquente). Non pago delle sue stomachevoli battute, si è prodigato nel consueto sfoggio di promesse che non manterrà: il Nobel per la Pace per l'isola, una moratoria fiscale, previdenziale e bancaria perché Lampedusa diventi zona franca, un piano per il turismo. Naturalmente ha già trovato il nome da far riecheggiare nell’etere propagandistico: operazione “Lampedusa pulita”. «Nelle prossime 48-60 ore l'isola sarà abitata solo dai lampedusani». Come a Napoli per la munnezza. Come il Patto con gli Italiani firmato in tv dal maggiordomo Vespa. Come l’incalcolabile trafila di balle rifilate all’Italia credulona in questi infiniti diciassette anni di “nuovi miracoli italiani”.
Ma dico io: a un tiro di schioppo da noi, nell’ex alleata Libia, si sta consumando una guerra civile a cui l’Occidente, avido di affari, ha pensato bene di sovrapporre una scellerata guerra di conquista, il suolo nazionale è investito da un esodo di fuggiaschi che non siamo preparati ad affrontare, il ministero degli Interni viene sbeffeggiato dalle Regioni che non ne vogliono sapere di accoglierli secondo il piano di spartizione, e il nostro capo del governo insiste e persiste nel fare di un momento così delicato e drammatico l’ennesimo comizio in vista delle prossime elezioni amministrative? D’accordo che ci ha abituato a tutto, ma prego e spero che i fieri lampedusani abbiano un ulteriore scatto d’orgoglio e anche se in queste ore la collaborazione con la Tunisia rendesse possibile lo svuotamento dell’isola, alzino ancora il tono della protesta che già aveva toccato picchi di tensione col blocco del porto da parte dei pescatori e con la catena umana delle donne per impedire altri sbarchi. Berlusconi è la politica che sputa sulla sofferenza, dei suoi compatrioti e dei disperati che vengono qui a sommare disperazione a disperazione.
Perché è inutile far finta che l’immigrazione sia un problema controllabile coi flussi burocratici, coi patti d’acciaio (e si è visto, l’acciaio) con dittatori ricattatori, o con le porte spalancate sempre e comunque e con chiunque. La migrazione di africani e asiatici, specialmente giovani (spesso istruiti e vogliosi d’integrarsi, come i tunisini stipati a Lampedusa), è un processo storico inarrestabile. Sempre che non si arresti il cammino della globalizzazione dei mercati e degli stili di vita, che induce popolazioni contaminate dal miraggio del “benessere” occidentale a trasferirsi in Europa. Oppure, al rovescio, sarebbe ora di rompere il tabù delle braccia aperte a tutti i costi e cominciare a dire la verità: siamo già troppi. Il nostro paese è sovrappopolato, trovare un lavoro decente è diventato un terno al lotto, imperversa una silenziosa e feroce guerra fra poveri in cui a farcela sono raccomandati, favorite e paggi del signore di turno, la maggior parte delle lauree non serve a un beneamato, l’economia non tira e quando lo fa – gli dei abbiano sempre in gloria i piccoli imprenditori, che a volte si suicidano per la vergogna di non poter pagare i dipendenti - è per grazia ricevuta dai vampiri delle banche, e con tutto ciò dovremmo fare gli incoscienti buoni samaritani condannando tutti, noi e i forestieri, a una miscela di disoccupazione, frustrazione e criminalità?
Eh no, non se ne può più. È vero che spesso i nostri ragazzi sono delle fighette laccate che disdegnano la fatica e il posto umile, ma è anche vero che questa è un preciso orientamento della società figlia della “innovazione” e della “conoscenza”, cioè della scomparsa della manifattura e dell’agricoltura soppiantate dalla metastasi del superfluo, dei “servizi” e della finanza. I colpevoli sono i loro genitori, che dopo il “boom” dei trent’anni gloriosi (anni ’50-’70) e il declino dei trent’anni accidiosi (anni ’80-2000), si sono adagiati sulla rendita di un modello economico-sociale che è crollato sotto i colpi del mercato unico mondiale. Il modello di vita, sparso in ogni angolo del pianeta grazie alle nuove tecnologie, ha fatto il resto e il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi: masse di poveri che premono ai nostri confini per essere un po’ meno poveri ma rendendoci tutti più miseri dal momento che il loro arrivo a frotte abbassa il costo della manodopera facendo la felicità dei padroni del vapore e l’infelicità dei lavoratori.
Se esistesse un’Unione Europa degna di tal nome, sua sarebbe la missione di regolamentare e gestire l’ingresso di extracomunitari secondo una regia unica. Ma per questo occorrerebbe che il continente europeo si desse una missione a monte: fondare un sistema di sviluppo interno il più possibile autonomo dalle cupole finanziarie e industriali che manovrano a tavolino le politiche economiche degli Stati. Per ora il consesso internazionale è talmente succube degli appetiti da business (vedi la Francia che sbava per mettere le mani sulla Libia) che giunge a calpestare ogni logica utilitaria e di buonsenso fino ad escludere in un consiglio di guerra la nazione più esposta e più interessata a sovrintendere al futuro di Tripoli, l’Italia, includendo invece la Germania che non partecipa neanche alle operazioni. Per uno schiaffo simile il nostro governo dovrebbe come minimo revocare l’uso delle basi aeree da cui decollano i voli di bombardamento.
Ma avercelo, un governo. In sua vece abbiamo un comico che dà spettacolo mentre è immerso fino al collo nel fango di processi gravissimi e umilianti per noi sudditi che ne subiamo le piazzate ogni santo giorno. E poi Napolitano osa anche venirci a parlare di patria e di coesione nazionale. Vada a dirlo a Lampedusa.
di Alessio Mannino
Fa pena dover mettere a confronto la dignità della gente di Lampedusa con la buffoneria di Berlusconi. Tanto quelli mantengono un comportamento solidale coi migranti ma non prono all’ingiustizia di doverne sopportare da soli l’invasione, quanto il clown di Palazzo Chigi non perde l’occasione di prodursi nell’ennesimo show da avanspettacolo. «Anche io diventerò lampedusano. Sono andato su Internet e ho comprato una casa a Cala Francese, si chiama "Le Due Palme"», è arrivato a dire in faccia a quegli eroici isolani che vivono in mezzo alla sporcizia, esposti al rischio di epidemie, di giorno impegnati a dare una mano ai soccorsi e di sera tappati in casa per paura di furti e rapine da parte di stranieri affamati (fra i quali c’è, e non potrebbe essere altrimenti, anche qualche genuino delinquente). Non pago delle sue stomachevoli battute, si è prodigato nel consueto sfoggio di promesse che non manterrà: il Nobel per la Pace per l'isola, una moratoria fiscale, previdenziale e bancaria perché Lampedusa diventi zona franca, un piano per il turismo. Naturalmente ha già trovato il nome da far riecheggiare nell’etere propagandistico: operazione “Lampedusa pulita”. «Nelle prossime 48-60 ore l'isola sarà abitata solo dai lampedusani». Come a Napoli per la munnezza. Come il Patto con gli Italiani firmato in tv dal maggiordomo Vespa. Come l’incalcolabile trafila di balle rifilate all’Italia credulona in questi infiniti diciassette anni di “nuovi miracoli italiani”.
Ma dico io: a un tiro di schioppo da noi, nell’ex alleata Libia, si sta consumando una guerra civile a cui l’Occidente, avido di affari, ha pensato bene di sovrapporre una scellerata guerra di conquista, il suolo nazionale è investito da un esodo di fuggiaschi che non siamo preparati ad affrontare, il ministero degli Interni viene sbeffeggiato dalle Regioni che non ne vogliono sapere di accoglierli secondo il piano di spartizione, e il nostro capo del governo insiste e persiste nel fare di un momento così delicato e drammatico l’ennesimo comizio in vista delle prossime elezioni amministrative? D’accordo che ci ha abituato a tutto, ma prego e spero che i fieri lampedusani abbiano un ulteriore scatto d’orgoglio e anche se in queste ore la collaborazione con la Tunisia rendesse possibile lo svuotamento dell’isola, alzino ancora il tono della protesta che già aveva toccato picchi di tensione col blocco del porto da parte dei pescatori e con la catena umana delle donne per impedire altri sbarchi. Berlusconi è la politica che sputa sulla sofferenza, dei suoi compatrioti e dei disperati che vengono qui a sommare disperazione a disperazione.
Perché è inutile far finta che l’immigrazione sia un problema controllabile coi flussi burocratici, coi patti d’acciaio (e si è visto, l’acciaio) con dittatori ricattatori, o con le porte spalancate sempre e comunque e con chiunque. La migrazione di africani e asiatici, specialmente giovani (spesso istruiti e vogliosi d’integrarsi, come i tunisini stipati a Lampedusa), è un processo storico inarrestabile. Sempre che non si arresti il cammino della globalizzazione dei mercati e degli stili di vita, che induce popolazioni contaminate dal miraggio del “benessere” occidentale a trasferirsi in Europa. Oppure, al rovescio, sarebbe ora di rompere il tabù delle braccia aperte a tutti i costi e cominciare a dire la verità: siamo già troppi. Il nostro paese è sovrappopolato, trovare un lavoro decente è diventato un terno al lotto, imperversa una silenziosa e feroce guerra fra poveri in cui a farcela sono raccomandati, favorite e paggi del signore di turno, la maggior parte delle lauree non serve a un beneamato, l’economia non tira e quando lo fa – gli dei abbiano sempre in gloria i piccoli imprenditori, che a volte si suicidano per la vergogna di non poter pagare i dipendenti - è per grazia ricevuta dai vampiri delle banche, e con tutto ciò dovremmo fare gli incoscienti buoni samaritani condannando tutti, noi e i forestieri, a una miscela di disoccupazione, frustrazione e criminalità?
Eh no, non se ne può più. È vero che spesso i nostri ragazzi sono delle fighette laccate che disdegnano la fatica e il posto umile, ma è anche vero che questa è un preciso orientamento della società figlia della “innovazione” e della “conoscenza”, cioè della scomparsa della manifattura e dell’agricoltura soppiantate dalla metastasi del superfluo, dei “servizi” e della finanza. I colpevoli sono i loro genitori, che dopo il “boom” dei trent’anni gloriosi (anni ’50-’70) e il declino dei trent’anni accidiosi (anni ’80-2000), si sono adagiati sulla rendita di un modello economico-sociale che è crollato sotto i colpi del mercato unico mondiale. Il modello di vita, sparso in ogni angolo del pianeta grazie alle nuove tecnologie, ha fatto il resto e il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi: masse di poveri che premono ai nostri confini per essere un po’ meno poveri ma rendendoci tutti più miseri dal momento che il loro arrivo a frotte abbassa il costo della manodopera facendo la felicità dei padroni del vapore e l’infelicità dei lavoratori.
Se esistesse un’Unione Europa degna di tal nome, sua sarebbe la missione di regolamentare e gestire l’ingresso di extracomunitari secondo una regia unica. Ma per questo occorrerebbe che il continente europeo si desse una missione a monte: fondare un sistema di sviluppo interno il più possibile autonomo dalle cupole finanziarie e industriali che manovrano a tavolino le politiche economiche degli Stati. Per ora il consesso internazionale è talmente succube degli appetiti da business (vedi la Francia che sbava per mettere le mani sulla Libia) che giunge a calpestare ogni logica utilitaria e di buonsenso fino ad escludere in un consiglio di guerra la nazione più esposta e più interessata a sovrintendere al futuro di Tripoli, l’Italia, includendo invece la Germania che non partecipa neanche alle operazioni. Per uno schiaffo simile il nostro governo dovrebbe come minimo revocare l’uso delle basi aeree da cui decollano i voli di bombardamento.
Ma avercelo, un governo. In sua vece abbiamo un comico che dà spettacolo mentre è immerso fino al collo nel fango di processi gravissimi e umilianti per noi sudditi che ne subiamo le piazzate ogni santo giorno. E poi Napolitano osa anche venirci a parlare di patria e di coesione nazionale. Vada a dirlo a Lampedusa.
di Alessio Mannino
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