05 aprile 2011

L'Unità d'Italia. Verità e falsità.

Mi sono volutamente astenuto dal commentare il 150° compleanno dell'Unità d'Italia, quando le feste e la retorica di quell'evento erano al loro culmine, e le genti italiane, in massima parte, erano sinceramente partecipi nel testimoniare amore a questo paese.

Gli italiani amano l'Italia molto più di quanto loro stessi non vogliano ammettere.

Finita la festa, però, qualche precisazione è bene farla; e non già per alimentare un'inutile polemica fine a se stessa, ma perché non si perda il senso della verità storica e si ristabilisca l'onore e la dignità di coloro ai quali sono stati tolti.

Osservate bene la tabellina sotto (fonte: Il Sole 24 ore del 17-3-2011) ...

Popolazione Debito pubblico Interessi annui Pil Debito/Pil Pil pro capite Interessi/Debito Interessi/Pil Riserve Oro
Milioni Lire Milioni Lire Milioni Lire Lire Milioni Lire
Regno delle due Sicilie 6.970.018 411,5 22,8 2483,4 16,6% 356 5,5% 0,9% 443
Piemonte 4.282.553 1121,4 67,9 1518,3 73,9% 355 6,1% 4,5% 27

... in essa non c'è la retorica della Patria unita, né la poesia sul sangue versato dai martiri del Risorgimento italiano; c'è, invece, il motivo per cui l'Italia s'è fatta, la ragione economica per cui il Piemonte ha fatto invadere il regno dei Borboni da Garibaldi, annettendoselo poi; come si fa con le terre conquistate; come si fa con le aziende scalate.

Quella è la situazione al 1859, due anni prima dell'Unità, e mostra, con la semplice verità dei numeri, cosa c'è dietro quell'idea di Italia che s'è desta e dell'elmo di Scipio s'è cinta la testa ...

Il Piemonte di Cavour e Vittorio Emanuele II, ha un Pil pro capite simile al regno dei Borboni (... ma non ci avevano detto che al Sud erano morti di fame mentre al Nord erano più ricchi?), ma soprattutto è indebitato fino alla cima dei capelli: 73.9% del Pil, contro il 16.6% del Sud.

E non è tutto: i Borboni hanno 443 milioni di riserve d'oro (poco più del loro debito pubblico ... e, quindi, sono addirittura in attivo), mentre i piemontesi non hanno neanche gli occhi per piangere (27 milioni di riserve d'oro contro 1121.4 milioni di debito pubblico).

Le casse piemontesi sono vuote, Cavour è costretto ad aumentare continuamente le tasse per non fare default, mentre al Sud le tasse sono "leggere", neanche lontanamente paragonabili a quelle piemontesi.

Tutto ciò è il risultato di una politica economica rigorosa, competente ed onesta nelle "Due Sicilie" (... ma non s'era detto che al Sud sono "approssimativi" a causa del retaggio di quella "grossolana" gestione borbonica?), mentre in Piemonte si intrallazza (soprattutto il re) e ci si lancia in folli avventure senza ritorno.

I Savoia hanno speso una fortuna nelle loro guerre (tutte perse) contro l'Austria e si sono dissanguati con la guerra di Crimea; ormai sono nelle mani dei Rothschild che gli hanno prestato montagne di denari e non intendono aggiungere un altro centesimo di prestito a quel debitore che, sempre più speditamente, si avvia verso la bancarotta.

Ed ecco l'idea geniale: invadere ed annettersi il regno delle due Sicilie, appropriarsi di quei 443 milioni di riserve d'oro e, diluire il debito residuo su un Pil maggiore. Dal 73.9% del Pil, il Piemonte può scendere, unendo la contabilità di nord e sud, al 38.3% ... senza considerare l'oro dei Borboni ... Con quell'oro, invece, il debito si riduce fino al 26.5% del Pil.

E' l'uovo di colombo, il colpo di scena che, con un tratto di penna, riaggiusta i numeri. E' come la fusione Telecom-Tim fatta da Tronchetti Provera non molti anni fa; la prima con grandi debiti, la seconda con grande liquidità.

L'idea, manco a dirlo, è dei Rothschild che, allora come adesso, sono specialisti di M&A (Merger and Acquisition) ... scalate, acquisizioni, fusioni etc ...

Questo è il motivo per cui Cavour lancia Garibaldi all'assalto del regno delle due Sicilie, scortato dalla marina inglese (gli inglesi hanno privilegi economici notevoli in Sicilia, che i Borboni intendono "terminare") e preceduto dai corruttori piemontesi che comprano la complicità di politici e generali borbonici.

Solo così i mille garibaldini, in maggioranza avanzi di galera, riescono a vincere le "epiche" battaglie siciliane (Calatafimi e Milazzo) senza quasi combattere: i reggimenti borbonici si ritirano e gli lasciano campo libero.

Ritornate alla tabellina sopra: i piemontesi sono costretti a pagare un tasso di interesse di 60 punti base più alto dei Borboni (6.1% contro 5.5%); in pratica il debito del Sud era considerato "risk-free" ... AAA ... una specie di Bund del tempo, mentre i titoli del debito "nordista" sono assimilabili ai Btp italiani di oggi ... obbligazioni di uno Stato finanziariamente ballerino.

Capite da dove viene l'abitudine a intrallazzare, spendere soldi a vanvera e "creare" mostruosi debiti pubblici che ancora oggi l'Italia unita si porta appresso? Non certo dalla scuola economica del Sud, ma da quel regno di Piemonte intorno al quale l'Italia s'è costruita.

Le finanze del Sud erano solide (considerando le riserve d'oro, addirittura in attivo), le tasse basse e l'economia almeno tanto sviluppata quanto il Nord, se non meglio. Viceversa le finanze del Nord erano disastrate, le tasse proibitive ed in continuo aumento.

Eppure, ancora oggi, c'è sempre qualche commentatore cui fa difetto la storia e l'economia , che racconta la favola che con l'aggregazione al Nord, il Sud si è salvato dalla miseria e dal malgoverno ...

Se non fosse così ignorante, guarderebbe i fatti, ed i fatti sono li e non consentono dubbi: il Sud è stato "scalato", depredato e condotto in condizione di inferiorità con l'annessione forzosa al Nord. Se siamo partiti economicamente pari (ma abbiamo visto che, almeno dal punto di vista finanziario, il Sud era nettamente meglio del Nord) ed adesso siamo "squilibrati" a favore del Nord, non ci vuole un genio per capire che l'Unità d'Italia ha favorito il Nord a danno del Sud.

E questa non è un'opinione, ma matematica.

Amo questo paese che è stato un faro di cultura e civiltà per il mondo, ma detesto questi nuovi italiani ignoranti che gettano un'ombra disonorevole sulla grandezza dei loro antenati. Le bellezze d'Italia, le più grandi del mondo, sono state opera dell'ingegno umano, e se un alieno sbarcasse sulla terra, qui da noi capirebbe chi è l'uomo e cosa è riuscito a fare nei millenni della sua storia.

Le bellezze di quest'Italia, sono state create dagli italiani, non da Dio o la Natura. Venezia e Firenze ti tolgono il fiato per quel che veneziani e fiorentini riuscirono a "creare" su quelle terre, e non già perché un Dio benevolo creò quelle terre meglio di altre.

Roma ti incanta ancora per la maestosità delle sue piazze, i monumenti e i resti del periodo imperiale, non già perché la Natura la dotò di sette colli o di una posizione più favorevole di altre città.

Qui in Italia, l'homo italicus ha superato lo stesso Dio per la potenza del suo ingegno.

Se fossi il presidente di questo paese (cosa che, per mia e vostra fortuna, non avverrà mai) imporrei l'obbligo della "cultura minima": un quoziente minimale di "sapere" che tutti dovrebbero avere, pena la perdita dei diritti civili. Non puoi fregiarti del titolo di "italiano" ... connazionale di Leonardo, Michelangelo o Dante, e poi essere semianalfabeta.

Non puoi vivere immerso nell'energia geniale di migliaia di antenati che hanno stupito l'Universo con opere spettacolari e poi, avere persino difficoltà con la lingua che parli, o vantarti di non avere mai letto un libro o visto un quadro. Puoi farlo se vuoi, ma non puoi avere il diritto di chiamarti "italiano", perché quell'appellativo significa "cultura".

Più che le discutibili guerre risorgimentali, festeggerei l'animo italiano ... quello si è oltre il tempo. Invece dell'Unità d'Italia, celebrerei l'ingegno italiano che, da oltre duemila anni, ha dato a questo pianeta il meglio delle opere dell'uomo.

Il 17 marzo vorrei la Festa d'Italia e, almeno in quel giorno, ognuno dovrebbe sentirsi "spontaneamente costretto" ad andare ad una mostra, o a leggersi un grande libro italiano oppure a studiare la vera storia millenaria di questo paese che fu di grandi uomini. Quel giorno, dovrebbe essere il giorno dell'orgoglio di essere italiani, celebrando la genialità dei nostri predecessori e facendo solenne giuramento di volerli imitare.

E se poi alcuni non ne sentissero l'orgoglio, poco male: in tutte le grandi famiglie ci sono sempre le pecore nere. Volessero anche cambiare nazionalità, facciano pure, dei semianalfabeti questo paese non sente certamente il bisogno. Diventassero pure tedeschi; noi restiamo italiani: testimoni dell'arte, della bellezza e dell'eleganza di un paese che è stato la patria della cultura mondiale.

E se un ministro di questa sciagurata seconda Repubblica, sostiene che "con la cultura non si mangia", questo è, ahimè, il segno più tangibile dell'inarrestabile declino di questa nazione che, dai giganti del passato, è passata in mano ai nani e le ballerine di oggi.

Non a caso oggi vantiamo il 79% di semianalfabeti, indegni di definirsi italiani.

di G. Migliorino

04 aprile 2011

Il miglior affare è sempre la guerra

Bugie, ipocrisia e piani segreti. Ecco i dettagli che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha omesso nell’esporre all’America e al mondo intero la sua dottrina libica . Difficile comprendere cosa succede a causa dei tanti buchi neri che caratterizzano questa splendida piccola guerra che non è una guerra (“un’azione militare a raggio e a tempo limitati” come la definisce la Casa Bianca) e caratterizzata dall’incapacità dell’area progressista di condannare, allo stesso tempo, la crudeltà del regime di Muhammar Gheddafi e i bombardamenti ‘umanitari’ anglo-franco-americani.

La risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 1973 ha operato come un cavallo di Troia, permettendo al consorzio anglo-franco-americano e alla NATO di diventare la forza aerea dell’ONU nel suo sostegno a un’insurrezione armata.

Al di là del fatto che questo accordo non ha niente a che fare con la protezione dei civili, esso è anche assolutamente illegale secondo la legge internazionale. L’implicito obiettivo finale, come a questo punto sa anche il più disperato dei bambini africani, è il cambio di regime.

Il generale canadese Charles Bouchard, a capo della missione libica per conto della NATO, può ribadire quanto vuole che la missione ha come unico obiettivo la difesa dei civili. Eppure quegli ‘innocenti civili’ che guidano carri e imbracciano kalashnikov come un disordinato mucchio selvaggio, di fatto sono soldati in una guerra civile e a questo punto dovrebbero decidere se la NATO deve essere d’ora in poi la loro forza aerea seguendo le orme dell’alleanza anglo-franco-americana. Inoltre, la ‘coalizione dei volenterosi’ che combatte in Libia consiste di soli 12 membri su 28 della NATO più il Qatar. Insomma, questa non è di certo una ‘comunità internazionale’.

Il verdetto finale sulla no-fly zone come da mandato dell’ONU dovrà attendere la nascita di un governo ‘dei ribelli’ alla fine della guerra civile (se finisce presto). Allora sarà possibile analizzare e capire i seguenti punti: se il bombardamento, anche coi missili Tomahawk, era giustificato; il perché i civili della Cirenaica siano stati protetti mentre quelli di Tripoli bombardati; che tipo di gente erano i ‘ribelli’ che sono stati ‘salvati’; se tutto questo era legale, in primo luogo; capire se la risoluzione era una copertura per il cambio di regime; se la storia d’amore tra i ‘rivoluzionari’ libici e l’Occidente finirà in un divorzio sanguinario (ricordate l’Afghanistan?); e quali attori occidentali saranno pronti ad approfittare della ricchezza di una nuova e unificata (forse balcanizzata) Libia.

Per ora, è piuttosto facile capire chi ne trarrà profitto.

Il Pentagono

Il fine settimana scorso, il capo del Pentagono Robert Gates ha dichiarato, riuscendo a rimanere serio, che gli unici regimi repressivi nel Medio Oriente sono l’Iran, la Siria e la Libia. Il Pentagono sta infierendo sull’anello debole, la Libia. Gli altri sono da sempre nella lista neo-con dei cattivi da eliminare. L’Arabia Saudita, lo Yemen, il Bahrain ecc. sono democrazie modello.

Per quanto riguarda questa guerra che ‘c'è ma non si vede’, il Pentagono è riuscito a combatterla due volte, non una. La prima con Africom, creato sotto l’amministrazione Bush, alimentato da quella di Obama e rigettato da dozzine di governi africani, di esperti e di organizzazioni per i diritti umani. Ora la guerra passa attraverso la Nato ovvero sotto il comando del Pentagono sui lacché europei.

Questa è la prima guerra africana di Africom, condotta dal generale Carter Ham nel suo quartier generale non in Africa, ma a Stuttgart, in Germania. Africom, per dirla con Horace Campbell, professore di studi afro-americani e di scienze politiche presso la Syracuse University, è un inganno; “fondamentalmente una copertura per le operazioni dei contractor americani come Dyncorp, MPRI e KBR. I pianificatori militari americani che traggono beneficio dalla politica delle porte girevoli della privatizzazione della guerra sono felici di avere l’opportunità di fornire ad Africom credibilità dietro la facciata dell’intervento in Libia”.

I Tomahawk della Africom hanno anche colpito, in senso metaforico, l’Unione Africana (AU), che, diversamente dalla Lega Araba, non è facile da comprare dall’Occidente. Le monarchie petrolifere arabe hanno tutte brindato al bombardamento, tranne l’Egitto e la Tunisia. Solo cinque paesi africani non sono subordinati ad Africom; la Libia è uno di essi, insieme al Sudan, la Costa d’Avorio, Eritrea e lo Zimbabwe.

NATO

Il piano generale della NATO è di comandare sul mediterraneo e di considerarlo un lago di sua proprietà. Sotto questa ‘ottica’(definizione del Pentagono) il mediterraneo oggigiorno è infinitamente più importante come teatro di guerra dell’AfPak (Afghanistan e Pakistan).

Sui 20 paesi del mediterraneo solo 3 non fanno parte della NATO o non hanno alcuna partnership coi suoi programmi: Libia, Libano e Siria. Senza alcun dubbio la Siria è il prossimo. Il Libano si trova sotto un blocco della NATO dal 2006. Ora il blocco viene applicato alla Libia. Gli Stati Uniti – tramite la NATO – stanno quadrando il cerchio.

Arabia Saudita

Che affare. Il re Abdullah si sbarazza del suo eterno rivali Gheddafi. La casa saudita, in modo abietto, s’inchina agli interessi dell’Occidente. Lo sguardo dell’opinione pubblica mondiale è stato allontanato dall’invasione saudita del Bahrain con l’obiettivo di distruggere un movimento pacifico e legittimo a favore della democrazia.

La casa saudita ha piazzato la storia che ‘la Lega Araba’ ha votato compatta per una no-fly zone. Una menzogna; solo 11 membri su 22 erano presenti alla votazione; sei sono membri del Gulf Cooperation Council (GCC) di cui l’Arabia Saudita è leader. La casa saudita doveva solo convincere altri tre. La Siria e l’Algeria erano contrarie. Risultato: solo 9 dei 22 paesi arabi hanno votato per la no-fly zone.

L’Arabia Saudita ora può anche ordinare al capo della GCC, Abdulrahman al-Attiyah di dire con faccia tosta che “il sistema libico ha perso la propria legittimità”. Per quanto riguarda la “legittima” casa saudita e i al-Khalifas nel Bahrain, qualcuno dovrebbe portarli alla Hall of Fame Umanitaria.

Il Qatar

Il paese anfitrione dei campionati mondiali di calcio del 2022 sa bene come concludere un affare. I suoi Mirage aiutano a bombardare la Libia e nel frattempo Doha si prepara a commerciare il petrolio della Libia orientale. Il Qatar ha prontamente riconosciuto, primo tra i paesi arabi, la legittimità del governo dei ‘ribelli’ libici solo il giorno dopo essersi assicurato l’affare del commercio del petrolio.

I ‘ribelli’

Nonostante le meritevoli aspirazioni democratiche del movimento giovanile libico, il gruppo di opposizione più organizzato rimane il Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia, da anni finanziato dalla casa saudita, dalla CIA e dall’intelligence francese. Il ‘Consiglio Provvisorio di Transizione Nazionale’ non è altro che il buon vecchio Fronte Nazionale con il contributo di qualche defezionario tra i militari. Ecco l’élite dei ‘civili innocenti’ che la “coalizione” sta “proteggendo”.

Al momento giusto, il ‘Consiglio Provvisorio di Transizione’ ha trovato un nuovo ministro della finanza, l’economista di formazione statunitense Ali Tarhouni. Egli ha rivelato che un gruppo di paesi occidentali ha concesso loro credito sostenuto dal fondo sovrano della Libia, e i britannici hanno permesso loro di accedere a fondi di Gheddafi per un totale di 1.1 miliardi di dollari. Questo significa che il consorzio anglo-franco-americano e ora la NATO devono spendere solo per le bombe. Di tutti i raggiri della guerra questo è impareggiabile; l’Occidente utilizza denaro libico per finanziare un gruppo di opportunisti ribelli libici per combattere contro il governo libico. Inoltre gli americani, gli inglesi e i francesi adorano questi bombardamenti. I neo-con devono essere su tutte le furie; come ha fatto il precedente segretario alla Difesa americano Paul Wolfowitz a non farsi venire un’idea del genere per la guerra in Iraq nel 2003?

I francesi

Oh là là, questo potrebbe essere materiale degno di un romanzo proustiano. La più esclusiva collezione di primavera nelle passerelle di Parigi è lo show della moda di Sarkozy – un modello no-fly zone accessoriato di aerobombardieri Mirage/Rafale.
Questo show di alta moda è stato ideato da Nouri Mesmari, il capo di protocollo di Gheddafi, che, defezionario, si è rifugiato in Francia dall’ottobre 2010. I servizi segreti italiani hanno rivelato a media selezionati come ha fatto. Il ruolo del DGSE, il servizio segreto francese, è stato più o meno spiegato nel sito a pagamento Maghreb Confidential.

In sostanza, la rivolta di Bengasi coq au vin è stata preparata a partire da novembre 2010. Gli chef sono stati Mesmari, il colonnello delle forze aeree Abdullah Gehani e il servizio segreto francese. Mesmari è stato nominato il ‘WikiLeaks libico’, perché ha spifferato praticamente ogni segreto militare di Gheddafi. Sarkozy ne è stato felice, infatti prima era furioso perché Gheddafi aveva cancellato i succosi contratti di acquisto di Rafale ( per rimpiazzare i Mirage ora bombardati) e di impianti nucleari francesi.

Questo spiega l’entusiasmo di Sarkozy nel porsi come liberatore degli arabi, è stato il primo leader europeo a riconoscere i ‘ribelli’( con somma ira di molti nella UE) ed è stato il primo a bombardare le forze di Gheddafi.

Questo ci porta al ruolo dello sfacciato filosofo francese Bernard Henri-Levy che sta sfruttando freneticamente i media mondiali per far sapere che è stato lui a telefonare Sarkozy da Bengasi, risvegliandone la vena umanitaria. Quindi o Levy è uno sciocco, oppure fa da utile ciliegina ‘intellettuale’ da aggiungere sulla già pronta torta di bombe.

Il Terminator Sarkozy è inarrestabile. Ha appena avvertito tutti i governanti arabi che rischiano di ritrovarsi bombardati come la Libia casomai dovessero reprimere chi protesta. Ha anche detto che “la prossima” sarà la Costa d’Avorio. Ovviamente, il Bahrain e lo Yemen sono esenti da questi provvedimenti. Per quanto riguarda gli USA, essi stanno di nuovo sostenendo un golpe militare (non ha funzionato con Omar “Sheikh Al-Torture” Suleiman in Egitto; forse funzionerà in Libia)

Al-Qaeda

Riecco il solito spauracchio, sempre utile. Il consorzio anglo-franco-americano, e ora la NATO, combattono assieme (di nuovo) contro al-Qaeda, rappresentata ora da al-Qaeda del Maghreb (AQM).

Il leader ribelle libico Abdel-Hakim al-Hasidi – che ha combattuto insieme ai talebani in Afghanistan – ha ampiamente confermato ai media italiani di aver personalmente reclutato “circa 25” jihaiditi della zona di Derna, nella Libia orientale, per combattere contro gli americani in Iraq; ora “questi si trovano in prima linea a Adjabiya”.

Questo dopo che il presidente del Ciad, Idriss Deby, ha fatto notare che AQM ha rubato gli arsenali militari nella Cirenaica e ora potrebbe essere in possesso di un discreto numero di missili terra-aria. Verso gli inizi di marzo, l’AQM ha sostenuto pubblicamente i ‘ribelli’. Deve essere ricomparso il fantasma di Obama; infatti il Pentagono sta lavorando di nuovo per lui.

I privatizzatori dell’acqua

In Occidente pochi sanno che la Libia, insieme all’Egitto, siede sul Nubian Sandstone Aquifer; cioè, su un oceano d’acqua dolce di enorme valore. Quindi, questa guerra ‘che c'è ma non si vede’ è cruciale per il controllo dell’acqua. Il controllo dell’acquifero non ha prezzo, così come non lo ha il ‘recupero’ delle risorse naturali di valore dalle mani dei ‘selvaggi’.

Il Pipelineistan di acqua – che scorre in profondità sotto il deserto per 4.000 km – è il Great Man-Made River Project (GMMRP) costruito da Gheddafi per 25 miliardi di dollari senza chiedere in prestito dal FMI o dalla Banca Mondiale nemmeno un centesimo (pessimo esempio per il mondo in via di sviluppo). Il GMMRP rifornisce Tripoli, Bengasi e tutta la costa libica. Il totale di acqua stimato dagli scienziati è equivalente al flusso di 200 anni di acqua del Nilo.

Confrontiamo questo dato alle cosiddette tre sorelle – Veolia (prima era Vivendi), Suez Ondeo (prima era Generale des Eaux) e Saur – le aziende francesi che controllano il 40% del mercato globale dell’acqua. È imperativo che l’attenzione venga rivolta all’eventuale bombardamento di queste condutture. Se saranno bombardate, uno scenario estremamente probabile è che ci saranno ricchi contratti per la ‘ricostruzione’ di cui la Francia sarà la beneficiaria. E questo sarà l’ultimo passo verso la totale privatizzazione di questa acqua, tuttora libera. Dalla dottrina dello shock alla dottrina dell’acqua.
Ecco, questa è solo una breve lista dei profittatori, nessuno sa a chi andrà il petrolio. Intanto, lo spettacolo deve continuare ( a suon di bombe). Il miglior affare è sempre la guerra.

di Pepe Escobar

Link: http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/MC30Ak01.html

03 aprile 2011

Libia: gli insorti e il popolo

Gli insorti rappresentano senza dubbio l'elemento più oscuro e controverso della guerra in Libia, pur essendo la difesa della loro incolumità il fattore preso a pretesto dall'ONU per scatenare i bombardamenti.
Nell'immaginario di alcuni si tratta di una parte del popolo libico che sta lottando per liberarsi dalla dittatura e conquistare l'agognata democrazia.
Secondo altre fonti sono costituiti da oppositori di Gheddafi e nostalgici della monarchia che tentano di spodestare il Raiss per appropiarsi delle immense risorse petrolifere del paese, ben più appetibili di quanto non lo possa essere la democrazia.
Altre fonti ancora mettono in evidenza la pesante ingerenza occidentale, nell'organizzare, armare ed inquadrare (anche con l'ausilio di elementi delle truppe speciali inglesi) i ribelli, affinchè deponessero Gheddafi ed instaurassero un nuovo regime di proprio gradimento.
Qualcuno ha già perfino individuato nella persona di Mahmoud Jibril, ex direttore dell’Ufficio nazionale per lo sviluppo economico (Nedb) del governo libico, grande privatizzatore, nonchè altrettanto grande amico di Washington, il fantoccio deputato a sostituire Gheddafi quando la guerra sarà finita....
Anche a fronte di tanta mole d'informazioni resta comunque molto difficile inquadrare l'esatta natura e composizione della ribellione nata a Bengasi, sebbene alcuni elementi saltino comunque subito all'occhio.
La partecipazione popolare all'insurrezione è estremamente marginale e non regge il confronto con quanto accaduto in Tunisia ed in Egitto. Niente folle oceaniche e niente masse di cittadini esasperati distribuite sul territorio.
Le motivazioni di tipo economico mancano, non essendo il popolo libico ridotto alla fame, come lo erano quello tunisino ed egiziano.
La rivolta si è delineata fin da subito come un'insurrezione armata e non una protesta di piazza, dal momento che "la piazza" è stata praticamente inesistente.
La fame di democrazia e libertà non è l'elemento che muove gli insorti, molto più interessati al potere ed alla gestione dei pozzi petroliferi.
Gli insorti sono stati generosamente "aiutati" dalle potenze occidentali, altrimenti non si spiegherebbe l'immane quantità di pick up nuovi di zecca, con mitragliatrici e lanciamissili a bordo di cui dispongono.
Nonostante gli "aiuti" generosi passati sottobanco e quelli ancora più generosi che i volenterosi stanno meditando di destinare ufficialmente agli insorti sotto forma di armamento pesante in gentile concessione, l'impressione è comunque che le forze dei ribelli non possiedano la capacità di sconfiggere l'esercito di Gheddafi e conquistare il potere.
Non tanto a causa della loro inferiorità numerica o della minore potenzialità di armamenti, ma anche e soprattutto perchè nel loro cammino di conquista si ritroveranno a fare i conti, oltre che con i soldati, anche con il popolo libico che in larga parte del paese appoggia Gheddaffi e non è certo disposto ad accoglierli in città come i liberatori.

Per ironia della sorte, il più grande problema che si pone sulla strada degli insorti, spalleggiati dall'ONU e dalle potenze occidentali, potrebbe proprio essere costituito da quello stesso popolo libico che la risoluzione dell'ONU si proponeva di difendere da Gheddafi, ed ora violentato dai bombardamenti "umanitari" sembra stringersi intorno al Raiss.
Che qualcuno alla Casa Bianca abbia sbagliato i calcoli?
di Marco Cedolin

05 aprile 2011

L'Unità d'Italia. Verità e falsità.

Mi sono volutamente astenuto dal commentare il 150° compleanno dell'Unità d'Italia, quando le feste e la retorica di quell'evento erano al loro culmine, e le genti italiane, in massima parte, erano sinceramente partecipi nel testimoniare amore a questo paese.

Gli italiani amano l'Italia molto più di quanto loro stessi non vogliano ammettere.

Finita la festa, però, qualche precisazione è bene farla; e non già per alimentare un'inutile polemica fine a se stessa, ma perché non si perda il senso della verità storica e si ristabilisca l'onore e la dignità di coloro ai quali sono stati tolti.

Osservate bene la tabellina sotto (fonte: Il Sole 24 ore del 17-3-2011) ...

Popolazione Debito pubblico Interessi annui Pil Debito/Pil Pil pro capite Interessi/Debito Interessi/Pil Riserve Oro
Milioni Lire Milioni Lire Milioni Lire Lire Milioni Lire
Regno delle due Sicilie 6.970.018 411,5 22,8 2483,4 16,6% 356 5,5% 0,9% 443
Piemonte 4.282.553 1121,4 67,9 1518,3 73,9% 355 6,1% 4,5% 27

... in essa non c'è la retorica della Patria unita, né la poesia sul sangue versato dai martiri del Risorgimento italiano; c'è, invece, il motivo per cui l'Italia s'è fatta, la ragione economica per cui il Piemonte ha fatto invadere il regno dei Borboni da Garibaldi, annettendoselo poi; come si fa con le terre conquistate; come si fa con le aziende scalate.

Quella è la situazione al 1859, due anni prima dell'Unità, e mostra, con la semplice verità dei numeri, cosa c'è dietro quell'idea di Italia che s'è desta e dell'elmo di Scipio s'è cinta la testa ...

Il Piemonte di Cavour e Vittorio Emanuele II, ha un Pil pro capite simile al regno dei Borboni (... ma non ci avevano detto che al Sud erano morti di fame mentre al Nord erano più ricchi?), ma soprattutto è indebitato fino alla cima dei capelli: 73.9% del Pil, contro il 16.6% del Sud.

E non è tutto: i Borboni hanno 443 milioni di riserve d'oro (poco più del loro debito pubblico ... e, quindi, sono addirittura in attivo), mentre i piemontesi non hanno neanche gli occhi per piangere (27 milioni di riserve d'oro contro 1121.4 milioni di debito pubblico).

Le casse piemontesi sono vuote, Cavour è costretto ad aumentare continuamente le tasse per non fare default, mentre al Sud le tasse sono "leggere", neanche lontanamente paragonabili a quelle piemontesi.

Tutto ciò è il risultato di una politica economica rigorosa, competente ed onesta nelle "Due Sicilie" (... ma non s'era detto che al Sud sono "approssimativi" a causa del retaggio di quella "grossolana" gestione borbonica?), mentre in Piemonte si intrallazza (soprattutto il re) e ci si lancia in folli avventure senza ritorno.

I Savoia hanno speso una fortuna nelle loro guerre (tutte perse) contro l'Austria e si sono dissanguati con la guerra di Crimea; ormai sono nelle mani dei Rothschild che gli hanno prestato montagne di denari e non intendono aggiungere un altro centesimo di prestito a quel debitore che, sempre più speditamente, si avvia verso la bancarotta.

Ed ecco l'idea geniale: invadere ed annettersi il regno delle due Sicilie, appropriarsi di quei 443 milioni di riserve d'oro e, diluire il debito residuo su un Pil maggiore. Dal 73.9% del Pil, il Piemonte può scendere, unendo la contabilità di nord e sud, al 38.3% ... senza considerare l'oro dei Borboni ... Con quell'oro, invece, il debito si riduce fino al 26.5% del Pil.

E' l'uovo di colombo, il colpo di scena che, con un tratto di penna, riaggiusta i numeri. E' come la fusione Telecom-Tim fatta da Tronchetti Provera non molti anni fa; la prima con grandi debiti, la seconda con grande liquidità.

L'idea, manco a dirlo, è dei Rothschild che, allora come adesso, sono specialisti di M&A (Merger and Acquisition) ... scalate, acquisizioni, fusioni etc ...

Questo è il motivo per cui Cavour lancia Garibaldi all'assalto del regno delle due Sicilie, scortato dalla marina inglese (gli inglesi hanno privilegi economici notevoli in Sicilia, che i Borboni intendono "terminare") e preceduto dai corruttori piemontesi che comprano la complicità di politici e generali borbonici.

Solo così i mille garibaldini, in maggioranza avanzi di galera, riescono a vincere le "epiche" battaglie siciliane (Calatafimi e Milazzo) senza quasi combattere: i reggimenti borbonici si ritirano e gli lasciano campo libero.

Ritornate alla tabellina sopra: i piemontesi sono costretti a pagare un tasso di interesse di 60 punti base più alto dei Borboni (6.1% contro 5.5%); in pratica il debito del Sud era considerato "risk-free" ... AAA ... una specie di Bund del tempo, mentre i titoli del debito "nordista" sono assimilabili ai Btp italiani di oggi ... obbligazioni di uno Stato finanziariamente ballerino.

Capite da dove viene l'abitudine a intrallazzare, spendere soldi a vanvera e "creare" mostruosi debiti pubblici che ancora oggi l'Italia unita si porta appresso? Non certo dalla scuola economica del Sud, ma da quel regno di Piemonte intorno al quale l'Italia s'è costruita.

Le finanze del Sud erano solide (considerando le riserve d'oro, addirittura in attivo), le tasse basse e l'economia almeno tanto sviluppata quanto il Nord, se non meglio. Viceversa le finanze del Nord erano disastrate, le tasse proibitive ed in continuo aumento.

Eppure, ancora oggi, c'è sempre qualche commentatore cui fa difetto la storia e l'economia , che racconta la favola che con l'aggregazione al Nord, il Sud si è salvato dalla miseria e dal malgoverno ...

Se non fosse così ignorante, guarderebbe i fatti, ed i fatti sono li e non consentono dubbi: il Sud è stato "scalato", depredato e condotto in condizione di inferiorità con l'annessione forzosa al Nord. Se siamo partiti economicamente pari (ma abbiamo visto che, almeno dal punto di vista finanziario, il Sud era nettamente meglio del Nord) ed adesso siamo "squilibrati" a favore del Nord, non ci vuole un genio per capire che l'Unità d'Italia ha favorito il Nord a danno del Sud.

E questa non è un'opinione, ma matematica.

Amo questo paese che è stato un faro di cultura e civiltà per il mondo, ma detesto questi nuovi italiani ignoranti che gettano un'ombra disonorevole sulla grandezza dei loro antenati. Le bellezze d'Italia, le più grandi del mondo, sono state opera dell'ingegno umano, e se un alieno sbarcasse sulla terra, qui da noi capirebbe chi è l'uomo e cosa è riuscito a fare nei millenni della sua storia.

Le bellezze di quest'Italia, sono state create dagli italiani, non da Dio o la Natura. Venezia e Firenze ti tolgono il fiato per quel che veneziani e fiorentini riuscirono a "creare" su quelle terre, e non già perché un Dio benevolo creò quelle terre meglio di altre.

Roma ti incanta ancora per la maestosità delle sue piazze, i monumenti e i resti del periodo imperiale, non già perché la Natura la dotò di sette colli o di una posizione più favorevole di altre città.

Qui in Italia, l'homo italicus ha superato lo stesso Dio per la potenza del suo ingegno.

Se fossi il presidente di questo paese (cosa che, per mia e vostra fortuna, non avverrà mai) imporrei l'obbligo della "cultura minima": un quoziente minimale di "sapere" che tutti dovrebbero avere, pena la perdita dei diritti civili. Non puoi fregiarti del titolo di "italiano" ... connazionale di Leonardo, Michelangelo o Dante, e poi essere semianalfabeta.

Non puoi vivere immerso nell'energia geniale di migliaia di antenati che hanno stupito l'Universo con opere spettacolari e poi, avere persino difficoltà con la lingua che parli, o vantarti di non avere mai letto un libro o visto un quadro. Puoi farlo se vuoi, ma non puoi avere il diritto di chiamarti "italiano", perché quell'appellativo significa "cultura".

Più che le discutibili guerre risorgimentali, festeggerei l'animo italiano ... quello si è oltre il tempo. Invece dell'Unità d'Italia, celebrerei l'ingegno italiano che, da oltre duemila anni, ha dato a questo pianeta il meglio delle opere dell'uomo.

Il 17 marzo vorrei la Festa d'Italia e, almeno in quel giorno, ognuno dovrebbe sentirsi "spontaneamente costretto" ad andare ad una mostra, o a leggersi un grande libro italiano oppure a studiare la vera storia millenaria di questo paese che fu di grandi uomini. Quel giorno, dovrebbe essere il giorno dell'orgoglio di essere italiani, celebrando la genialità dei nostri predecessori e facendo solenne giuramento di volerli imitare.

E se poi alcuni non ne sentissero l'orgoglio, poco male: in tutte le grandi famiglie ci sono sempre le pecore nere. Volessero anche cambiare nazionalità, facciano pure, dei semianalfabeti questo paese non sente certamente il bisogno. Diventassero pure tedeschi; noi restiamo italiani: testimoni dell'arte, della bellezza e dell'eleganza di un paese che è stato la patria della cultura mondiale.

E se un ministro di questa sciagurata seconda Repubblica, sostiene che "con la cultura non si mangia", questo è, ahimè, il segno più tangibile dell'inarrestabile declino di questa nazione che, dai giganti del passato, è passata in mano ai nani e le ballerine di oggi.

Non a caso oggi vantiamo il 79% di semianalfabeti, indegni di definirsi italiani.

di G. Migliorino

04 aprile 2011

Il miglior affare è sempre la guerra

Bugie, ipocrisia e piani segreti. Ecco i dettagli che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha omesso nell’esporre all’America e al mondo intero la sua dottrina libica . Difficile comprendere cosa succede a causa dei tanti buchi neri che caratterizzano questa splendida piccola guerra che non è una guerra (“un’azione militare a raggio e a tempo limitati” come la definisce la Casa Bianca) e caratterizzata dall’incapacità dell’area progressista di condannare, allo stesso tempo, la crudeltà del regime di Muhammar Gheddafi e i bombardamenti ‘umanitari’ anglo-franco-americani.

La risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 1973 ha operato come un cavallo di Troia, permettendo al consorzio anglo-franco-americano e alla NATO di diventare la forza aerea dell’ONU nel suo sostegno a un’insurrezione armata.

Al di là del fatto che questo accordo non ha niente a che fare con la protezione dei civili, esso è anche assolutamente illegale secondo la legge internazionale. L’implicito obiettivo finale, come a questo punto sa anche il più disperato dei bambini africani, è il cambio di regime.

Il generale canadese Charles Bouchard, a capo della missione libica per conto della NATO, può ribadire quanto vuole che la missione ha come unico obiettivo la difesa dei civili. Eppure quegli ‘innocenti civili’ che guidano carri e imbracciano kalashnikov come un disordinato mucchio selvaggio, di fatto sono soldati in una guerra civile e a questo punto dovrebbero decidere se la NATO deve essere d’ora in poi la loro forza aerea seguendo le orme dell’alleanza anglo-franco-americana. Inoltre, la ‘coalizione dei volenterosi’ che combatte in Libia consiste di soli 12 membri su 28 della NATO più il Qatar. Insomma, questa non è di certo una ‘comunità internazionale’.

Il verdetto finale sulla no-fly zone come da mandato dell’ONU dovrà attendere la nascita di un governo ‘dei ribelli’ alla fine della guerra civile (se finisce presto). Allora sarà possibile analizzare e capire i seguenti punti: se il bombardamento, anche coi missili Tomahawk, era giustificato; il perché i civili della Cirenaica siano stati protetti mentre quelli di Tripoli bombardati; che tipo di gente erano i ‘ribelli’ che sono stati ‘salvati’; se tutto questo era legale, in primo luogo; capire se la risoluzione era una copertura per il cambio di regime; se la storia d’amore tra i ‘rivoluzionari’ libici e l’Occidente finirà in un divorzio sanguinario (ricordate l’Afghanistan?); e quali attori occidentali saranno pronti ad approfittare della ricchezza di una nuova e unificata (forse balcanizzata) Libia.

Per ora, è piuttosto facile capire chi ne trarrà profitto.

Il Pentagono

Il fine settimana scorso, il capo del Pentagono Robert Gates ha dichiarato, riuscendo a rimanere serio, che gli unici regimi repressivi nel Medio Oriente sono l’Iran, la Siria e la Libia. Il Pentagono sta infierendo sull’anello debole, la Libia. Gli altri sono da sempre nella lista neo-con dei cattivi da eliminare. L’Arabia Saudita, lo Yemen, il Bahrain ecc. sono democrazie modello.

Per quanto riguarda questa guerra che ‘c'è ma non si vede’, il Pentagono è riuscito a combatterla due volte, non una. La prima con Africom, creato sotto l’amministrazione Bush, alimentato da quella di Obama e rigettato da dozzine di governi africani, di esperti e di organizzazioni per i diritti umani. Ora la guerra passa attraverso la Nato ovvero sotto il comando del Pentagono sui lacché europei.

Questa è la prima guerra africana di Africom, condotta dal generale Carter Ham nel suo quartier generale non in Africa, ma a Stuttgart, in Germania. Africom, per dirla con Horace Campbell, professore di studi afro-americani e di scienze politiche presso la Syracuse University, è un inganno; “fondamentalmente una copertura per le operazioni dei contractor americani come Dyncorp, MPRI e KBR. I pianificatori militari americani che traggono beneficio dalla politica delle porte girevoli della privatizzazione della guerra sono felici di avere l’opportunità di fornire ad Africom credibilità dietro la facciata dell’intervento in Libia”.

I Tomahawk della Africom hanno anche colpito, in senso metaforico, l’Unione Africana (AU), che, diversamente dalla Lega Araba, non è facile da comprare dall’Occidente. Le monarchie petrolifere arabe hanno tutte brindato al bombardamento, tranne l’Egitto e la Tunisia. Solo cinque paesi africani non sono subordinati ad Africom; la Libia è uno di essi, insieme al Sudan, la Costa d’Avorio, Eritrea e lo Zimbabwe.

NATO

Il piano generale della NATO è di comandare sul mediterraneo e di considerarlo un lago di sua proprietà. Sotto questa ‘ottica’(definizione del Pentagono) il mediterraneo oggigiorno è infinitamente più importante come teatro di guerra dell’AfPak (Afghanistan e Pakistan).

Sui 20 paesi del mediterraneo solo 3 non fanno parte della NATO o non hanno alcuna partnership coi suoi programmi: Libia, Libano e Siria. Senza alcun dubbio la Siria è il prossimo. Il Libano si trova sotto un blocco della NATO dal 2006. Ora il blocco viene applicato alla Libia. Gli Stati Uniti – tramite la NATO – stanno quadrando il cerchio.

Arabia Saudita

Che affare. Il re Abdullah si sbarazza del suo eterno rivali Gheddafi. La casa saudita, in modo abietto, s’inchina agli interessi dell’Occidente. Lo sguardo dell’opinione pubblica mondiale è stato allontanato dall’invasione saudita del Bahrain con l’obiettivo di distruggere un movimento pacifico e legittimo a favore della democrazia.

La casa saudita ha piazzato la storia che ‘la Lega Araba’ ha votato compatta per una no-fly zone. Una menzogna; solo 11 membri su 22 erano presenti alla votazione; sei sono membri del Gulf Cooperation Council (GCC) di cui l’Arabia Saudita è leader. La casa saudita doveva solo convincere altri tre. La Siria e l’Algeria erano contrarie. Risultato: solo 9 dei 22 paesi arabi hanno votato per la no-fly zone.

L’Arabia Saudita ora può anche ordinare al capo della GCC, Abdulrahman al-Attiyah di dire con faccia tosta che “il sistema libico ha perso la propria legittimità”. Per quanto riguarda la “legittima” casa saudita e i al-Khalifas nel Bahrain, qualcuno dovrebbe portarli alla Hall of Fame Umanitaria.

Il Qatar

Il paese anfitrione dei campionati mondiali di calcio del 2022 sa bene come concludere un affare. I suoi Mirage aiutano a bombardare la Libia e nel frattempo Doha si prepara a commerciare il petrolio della Libia orientale. Il Qatar ha prontamente riconosciuto, primo tra i paesi arabi, la legittimità del governo dei ‘ribelli’ libici solo il giorno dopo essersi assicurato l’affare del commercio del petrolio.

I ‘ribelli’

Nonostante le meritevoli aspirazioni democratiche del movimento giovanile libico, il gruppo di opposizione più organizzato rimane il Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia, da anni finanziato dalla casa saudita, dalla CIA e dall’intelligence francese. Il ‘Consiglio Provvisorio di Transizione Nazionale’ non è altro che il buon vecchio Fronte Nazionale con il contributo di qualche defezionario tra i militari. Ecco l’élite dei ‘civili innocenti’ che la “coalizione” sta “proteggendo”.

Al momento giusto, il ‘Consiglio Provvisorio di Transizione’ ha trovato un nuovo ministro della finanza, l’economista di formazione statunitense Ali Tarhouni. Egli ha rivelato che un gruppo di paesi occidentali ha concesso loro credito sostenuto dal fondo sovrano della Libia, e i britannici hanno permesso loro di accedere a fondi di Gheddafi per un totale di 1.1 miliardi di dollari. Questo significa che il consorzio anglo-franco-americano e ora la NATO devono spendere solo per le bombe. Di tutti i raggiri della guerra questo è impareggiabile; l’Occidente utilizza denaro libico per finanziare un gruppo di opportunisti ribelli libici per combattere contro il governo libico. Inoltre gli americani, gli inglesi e i francesi adorano questi bombardamenti. I neo-con devono essere su tutte le furie; come ha fatto il precedente segretario alla Difesa americano Paul Wolfowitz a non farsi venire un’idea del genere per la guerra in Iraq nel 2003?

I francesi

Oh là là, questo potrebbe essere materiale degno di un romanzo proustiano. La più esclusiva collezione di primavera nelle passerelle di Parigi è lo show della moda di Sarkozy – un modello no-fly zone accessoriato di aerobombardieri Mirage/Rafale.
Questo show di alta moda è stato ideato da Nouri Mesmari, il capo di protocollo di Gheddafi, che, defezionario, si è rifugiato in Francia dall’ottobre 2010. I servizi segreti italiani hanno rivelato a media selezionati come ha fatto. Il ruolo del DGSE, il servizio segreto francese, è stato più o meno spiegato nel sito a pagamento Maghreb Confidential.

In sostanza, la rivolta di Bengasi coq au vin è stata preparata a partire da novembre 2010. Gli chef sono stati Mesmari, il colonnello delle forze aeree Abdullah Gehani e il servizio segreto francese. Mesmari è stato nominato il ‘WikiLeaks libico’, perché ha spifferato praticamente ogni segreto militare di Gheddafi. Sarkozy ne è stato felice, infatti prima era furioso perché Gheddafi aveva cancellato i succosi contratti di acquisto di Rafale ( per rimpiazzare i Mirage ora bombardati) e di impianti nucleari francesi.

Questo spiega l’entusiasmo di Sarkozy nel porsi come liberatore degli arabi, è stato il primo leader europeo a riconoscere i ‘ribelli’( con somma ira di molti nella UE) ed è stato il primo a bombardare le forze di Gheddafi.

Questo ci porta al ruolo dello sfacciato filosofo francese Bernard Henri-Levy che sta sfruttando freneticamente i media mondiali per far sapere che è stato lui a telefonare Sarkozy da Bengasi, risvegliandone la vena umanitaria. Quindi o Levy è uno sciocco, oppure fa da utile ciliegina ‘intellettuale’ da aggiungere sulla già pronta torta di bombe.

Il Terminator Sarkozy è inarrestabile. Ha appena avvertito tutti i governanti arabi che rischiano di ritrovarsi bombardati come la Libia casomai dovessero reprimere chi protesta. Ha anche detto che “la prossima” sarà la Costa d’Avorio. Ovviamente, il Bahrain e lo Yemen sono esenti da questi provvedimenti. Per quanto riguarda gli USA, essi stanno di nuovo sostenendo un golpe militare (non ha funzionato con Omar “Sheikh Al-Torture” Suleiman in Egitto; forse funzionerà in Libia)

Al-Qaeda

Riecco il solito spauracchio, sempre utile. Il consorzio anglo-franco-americano, e ora la NATO, combattono assieme (di nuovo) contro al-Qaeda, rappresentata ora da al-Qaeda del Maghreb (AQM).

Il leader ribelle libico Abdel-Hakim al-Hasidi – che ha combattuto insieme ai talebani in Afghanistan – ha ampiamente confermato ai media italiani di aver personalmente reclutato “circa 25” jihaiditi della zona di Derna, nella Libia orientale, per combattere contro gli americani in Iraq; ora “questi si trovano in prima linea a Adjabiya”.

Questo dopo che il presidente del Ciad, Idriss Deby, ha fatto notare che AQM ha rubato gli arsenali militari nella Cirenaica e ora potrebbe essere in possesso di un discreto numero di missili terra-aria. Verso gli inizi di marzo, l’AQM ha sostenuto pubblicamente i ‘ribelli’. Deve essere ricomparso il fantasma di Obama; infatti il Pentagono sta lavorando di nuovo per lui.

I privatizzatori dell’acqua

In Occidente pochi sanno che la Libia, insieme all’Egitto, siede sul Nubian Sandstone Aquifer; cioè, su un oceano d’acqua dolce di enorme valore. Quindi, questa guerra ‘che c'è ma non si vede’ è cruciale per il controllo dell’acqua. Il controllo dell’acquifero non ha prezzo, così come non lo ha il ‘recupero’ delle risorse naturali di valore dalle mani dei ‘selvaggi’.

Il Pipelineistan di acqua – che scorre in profondità sotto il deserto per 4.000 km – è il Great Man-Made River Project (GMMRP) costruito da Gheddafi per 25 miliardi di dollari senza chiedere in prestito dal FMI o dalla Banca Mondiale nemmeno un centesimo (pessimo esempio per il mondo in via di sviluppo). Il GMMRP rifornisce Tripoli, Bengasi e tutta la costa libica. Il totale di acqua stimato dagli scienziati è equivalente al flusso di 200 anni di acqua del Nilo.

Confrontiamo questo dato alle cosiddette tre sorelle – Veolia (prima era Vivendi), Suez Ondeo (prima era Generale des Eaux) e Saur – le aziende francesi che controllano il 40% del mercato globale dell’acqua. È imperativo che l’attenzione venga rivolta all’eventuale bombardamento di queste condutture. Se saranno bombardate, uno scenario estremamente probabile è che ci saranno ricchi contratti per la ‘ricostruzione’ di cui la Francia sarà la beneficiaria. E questo sarà l’ultimo passo verso la totale privatizzazione di questa acqua, tuttora libera. Dalla dottrina dello shock alla dottrina dell’acqua.
Ecco, questa è solo una breve lista dei profittatori, nessuno sa a chi andrà il petrolio. Intanto, lo spettacolo deve continuare ( a suon di bombe). Il miglior affare è sempre la guerra.

di Pepe Escobar

Link: http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/MC30Ak01.html

03 aprile 2011

Libia: gli insorti e il popolo

Gli insorti rappresentano senza dubbio l'elemento più oscuro e controverso della guerra in Libia, pur essendo la difesa della loro incolumità il fattore preso a pretesto dall'ONU per scatenare i bombardamenti.
Nell'immaginario di alcuni si tratta di una parte del popolo libico che sta lottando per liberarsi dalla dittatura e conquistare l'agognata democrazia.
Secondo altre fonti sono costituiti da oppositori di Gheddafi e nostalgici della monarchia che tentano di spodestare il Raiss per appropiarsi delle immense risorse petrolifere del paese, ben più appetibili di quanto non lo possa essere la democrazia.
Altre fonti ancora mettono in evidenza la pesante ingerenza occidentale, nell'organizzare, armare ed inquadrare (anche con l'ausilio di elementi delle truppe speciali inglesi) i ribelli, affinchè deponessero Gheddafi ed instaurassero un nuovo regime di proprio gradimento.
Qualcuno ha già perfino individuato nella persona di Mahmoud Jibril, ex direttore dell’Ufficio nazionale per lo sviluppo economico (Nedb) del governo libico, grande privatizzatore, nonchè altrettanto grande amico di Washington, il fantoccio deputato a sostituire Gheddafi quando la guerra sarà finita....
Anche a fronte di tanta mole d'informazioni resta comunque molto difficile inquadrare l'esatta natura e composizione della ribellione nata a Bengasi, sebbene alcuni elementi saltino comunque subito all'occhio.
La partecipazione popolare all'insurrezione è estremamente marginale e non regge il confronto con quanto accaduto in Tunisia ed in Egitto. Niente folle oceaniche e niente masse di cittadini esasperati distribuite sul territorio.
Le motivazioni di tipo economico mancano, non essendo il popolo libico ridotto alla fame, come lo erano quello tunisino ed egiziano.
La rivolta si è delineata fin da subito come un'insurrezione armata e non una protesta di piazza, dal momento che "la piazza" è stata praticamente inesistente.
La fame di democrazia e libertà non è l'elemento che muove gli insorti, molto più interessati al potere ed alla gestione dei pozzi petroliferi.
Gli insorti sono stati generosamente "aiutati" dalle potenze occidentali, altrimenti non si spiegherebbe l'immane quantità di pick up nuovi di zecca, con mitragliatrici e lanciamissili a bordo di cui dispongono.
Nonostante gli "aiuti" generosi passati sottobanco e quelli ancora più generosi che i volenterosi stanno meditando di destinare ufficialmente agli insorti sotto forma di armamento pesante in gentile concessione, l'impressione è comunque che le forze dei ribelli non possiedano la capacità di sconfiggere l'esercito di Gheddafi e conquistare il potere.
Non tanto a causa della loro inferiorità numerica o della minore potenzialità di armamenti, ma anche e soprattutto perchè nel loro cammino di conquista si ritroveranno a fare i conti, oltre che con i soldati, anche con il popolo libico che in larga parte del paese appoggia Gheddaffi e non è certo disposto ad accoglierli in città come i liberatori.

Per ironia della sorte, il più grande problema che si pone sulla strada degli insorti, spalleggiati dall'ONU e dalle potenze occidentali, potrebbe proprio essere costituito da quello stesso popolo libico che la risoluzione dell'ONU si proponeva di difendere da Gheddafi, ed ora violentato dai bombardamenti "umanitari" sembra stringersi intorno al Raiss.
Che qualcuno alla Casa Bianca abbia sbagliato i calcoli?
di Marco Cedolin