Non solo il terrore per il quesito sul legittimo impedimento. Secondo il geologo, i piani del governo per inficiare i quesiti su nucleare e acqua servono per tutelare i gruppi industriali che trarranno beneficio dai piani del governo. Che sono sospesi solo temporaneamente
“I have a dream: un governo che, quando si trova a lagiferare su questioni di carattere energetico-ambientale, si affidi a un comitato scientifico”. A parlare così è Mario Tozzi, geologo, divulgatore e mezzobusto televisivo dell’ambientalismo italiano che sottolinea come la classe politica nostrana sia l’unica a non avvalersi di un consiglio di esperti in materia di ambiente ed energia. “Sarkozy, Obama e tutti gli altri leader – attacca Tozzi – si affidano a un comitato indipendente di scienziati che indirizza le loro politiche, il governo italiano se ne guarda bene”.
L’esempio più lampante di quanto sostiene il geologo, sono i principali maître à penser del ritorno italiano al nucleare: Chicco Testa, laureato in filosofia ed ex ambientalista convertito all’atomo, e Umberto Veronesi che invece è un oncologo. Di fisici e ingenieri neanche l’ombra. “E’ perché in Italia su energia e ambiente si seguono solamente gli interessi delle lobby, per poi fare una clamorosa marcia indietro quando si avvicinano i referendum e quindi il voto popolare”, attacca Tozzi.
Il riferimento è ovviamente alle modifiche legislative apportate al decreto Omnibus che, secondo le intenzioni della maggioranza, deve scongiurare la tornata referendaria in programma per metà giugno. Lo scorso 20 aprile, la maggioranza smentiva se stessa votando favorevolmente il pacchetto di misure che metteva nel congelatore il tanto sbandierato ritorno all’energia atomica. Nel vertice italo-francese è stato lo stesso presidente del Consiglio a chiarire le motivazioni di quel provvedimento: “Il programma nucleare italiano è stato bloccato per fare fallire il referendum”.
Come il Fatto ha scritto più volte, il terrore di Berlusconi è che gli italiani oltre dire Sì all’abrogazione dell’atomo e dell’acqua privata, votassero anche la bocciatura della legge sul legittimo impedimento. Un colpo insostenibile per chi basa la sua legittimazione sul consenso popolare. Anche Tozzi la pensa così, ma ci mette il carico: “Berlusconi dice che quanto accaduto a Fukushima ha spaventato gli italiani e che la decisione della moratoria è stata fatta per permettere ai cittadini di tranquillizzarsi. Per poi, magari fra un anno, ripresentare lo stesso progetto tale e quale. Che tristezza! Il presidente del Consiglio considera il suo popolo non in grado di discernere fra emozione e ragione”. Detto in altro modo, secondo il premier, gli italiani non sono in grado di mantenere su due piani separati l’ondata emotiva per quanto accaduto a Fukushima e una seria riflessione sull’energia atomica.
Ora che il copione del nucleare si sta ripetendo anche sulle risorse idriche, con la presentazione di un decreto legge fatto ad hoc per depotenziare i due quesiti referendari, il piano del governo appare ancora più evidente. Ma, secondo Tozzi, l’imput a far saltare il voto del 12 e 13 giugno non arriva solo dal terrore di B. per il probabile raggiungimento del quorum con tanto di bocciatura della legge che lo tiene lontano dai tribunali. “I quesiti, così come sono stati formulati – sostiene il geologo – scardinano i piani di un settore importante del sistema industriale italiano: la lobby nucleare e quella dell’acqua privata. E Berlusconi, cercando di vanificare il referendum, ha voluto tutelare quei gruppi”. Non è un mistero che, ad esempio sull’acqua, i primi a parlare di manovre correttive sulla legge che privatizza le risorse idriche sono stati proprio gli imprenditori che gestiscono tale risorsa. Con Roberto Bazzano, presidente di Federutility, la federazione che riunisce i gestori degli acquedotti, che aveva detto: “Chiediamoci seriamente se non sia il caso di evitare un referendum che ha sempre più un taglio puramente ideologico”. Ma cosa vuole dire privatizzare l’acqua? “Fare pagare una bolletta maggiorata ai consumatori – risponde Tozzi – E’ già così: ad Agrigento o a Latina, dove gli acquedotti sono già in mani private il servizio costa caro. A Milano, dove l’acqua è pubblica, la bolletta è molto più leggera”.
In attesa di leggere il decreto legge che cercherà di mettere la parola fine anche al voto sull’acqua, Tozzi qualche conclusione la può già tracciare. “Berlusconi, ancora una volta, ha vinto perché è riuscito a fare passare l’idea che non ci sia più nessun bisogno di andare a votare. Che ci ha già pensato il governo ad accogliere le preoccupazioni degli italiani”.
Ma non si vuole rassegnare. Anche perché la Corte di Cassazione, l’organo che dovrà decidere se dopo le modifiche legislative i quesiti siano ancora ammissibili, non si è ancora espressa. “Nel frattempo io, come divulgatore scientifico, porto avanti la mia triplice battaglia: contro l’atomo, a favore dell’acqua pubblica e per affidare le questioni ambientali a persone con un minimo di conoscenza ed esperienza. Sarebbe davvero l’ora”.
di Lorenzo Galeazzi
30 aprile 2011
29 aprile 2011
Una brutta favola
E’ bastata una telefonata del Presidente più giovane, abbronzato e convincente che ci sia per far cambiare idea al Premier più basso, tarchiato ed incompetente che l’Italia abbia mai avuto. Il cigno nero ha tramortito il brutto anatroccolo che non ha più alcuna speranza di crescere politicamente. Il mezzo Cavaliere con la mascherina da sodomita dopo aver dichiarato alla stampa di mezzo mondo che il nostro Paese mai avrebbe bombardato la Libia per non rinfocolare un passato infame di colonialismo ai danni del popolo nordafricano - col quale avevamo anche firmato un contratto di “risarcimento danni imperiali” al fine di accontentare il beduino della Sirte affamato di consenso e i belluini capitalisti nostrani affamati di commesse - si è rimangiato tutto associandosi ai 12 Stati che in questo momento stanno portando la democrazia a Tripoli col piombo e col sangue.
Adesso i bravi ragazzi della civiltà sono finalmente 13, come gli apostoli muniti di traditore. Il bacio della modernità seppellirà per sempre la Libia e la politica mediterranea del Belpaese a favore di statunitensi, francesi ed inglesi. Ma B. pare lo stesso accontentarsi ed invece di far sentire le saette all’altro nanetto di Parigi che crede di essere il Principe Azzurro o l’Angelo castigatore di ex modelle, magari ostacolando l’acquisto francese della Parmalat (non perché quest’ultima sia azienda strategica ma solo per far loro capire che non siamo la cenerentola del continente), gioca a vestire i panni della Bella addormentata nel bosco. Sembra una fiaba per bambini innestata su parabole bibliche, tra folletti, cavalieri, principi, fanciulle in abito da sposa e iscarioti pagati in dollari ma è invece un brutto incubo che porterà la nazione alla sfacelo in campo internazionale. Persino un re Travicello avrebbe fatto meno danni di questi presunti statisti di destra e di sinistra che si sentono eroi ma non hanno fegato né cervello. E come in ogni fiaba che si rispetti non poteva mancare nemmeno il Drago, anzi il Draghi. Il nostro presidente di Bankitalia è stato accreditato anche dai francesi, dopo aver ricevuto l’imprimatur dei Tedeschi, a guidare la BCE. Un buon affare, non per noi ovviamente visto che Draghi è solo la traduzione italiana dell’americano Dragons, creatura mitico-leggendaria partorita nel caveau della newyorkese Goldman Sachs. Un mostro che non sputa fuoco ma sentenze di morte sull’economia nazionale, una creatura serpentina che anziché volare preferisce farsi trasportare sui panfili reali come il Britannia per svendere le fortune statali. Così invece di farci un piacere la Francia ci dà il colpo di grazia. C’era una volta l’Italia libera e bella, più bella che libera a dir la verità, ed oggi non c’è più nemmeno quella. Qui ormai vivono tutti infelici e scontenti.
di Gianni Petrosillo
28 aprile 2011
Buffoni
Siamo fra quelli che non credono in chissà quale “botto” della maggioranza sulla Libia: perché?
Poiché il copione non prevede i canoni della tragedia e nemmeno quelli della commedia: pura e semplice farsa, come sempre.
Eppure, qualche ragione i giornali della Lega & associati ce l’hanno: non s’è mai visto un governo compiere un simile, clamoroso autogol alla propria politica, nazionale ed estera.
Il Ministro degli Esteri Frattini, flebile, sussurra che non sarebbe opportuno, no, non si dovrebbe…i nostri aerei non dovrebbero bombardare la Libia, poiché siamo stati potenza coloniale occupante, in quel Paese, per quasi mezzo secolo. Ed abbiamo lasciato, fra le sabbie e gli uadi, un milione di morti impiccati, fucilati, cannoneggiati, bombardati, squarciati.
E’ la nostra cattiva coscienza storica che risuona, afona, come le vicende mai chiarite sulla Somalia, sull’Etiopia e sulla Jugoslavia: se solo avessimo un minimo di coscienza per quel che compimmo lontano dallo Stivale, staremmo zitti e mosca.
Eppure, alla ricorrenza del 25 Aprile, qualcuno torna a tirare fuori la questione delle foibe: pochi sanno chi fu Giuseppe Cobolli Gigli[1], in arte “Giulio Italico”.
Nel Settembre del 1927, sulla rivista fascista Gerarchia, scriveva, a proposito dell’abitato di Pisino (Pazin) che sorge al centro dell’Istria:
“Il paese sorge sul bordo di una voragine che la musa istriana ha chiamato Foiba, degno posto di sepoltura per chi, nella provincia, minaccia con audaci pretese le caratteristiche nazionali dell'Istria.”
Lo scriveva nel 1927, poiché – all’epoca – la pulizia etnica italiana era già avvenuta: poi, alla fine del conflitto, ci fu la vendetta slava.
Giusto ricordare tutte le vittime, ma non appropriarsi di un fenomeno tragico ed appuntarlo al palmares delle proprie “ragioni” e degli altrui “torti”.
Ma si sa: questa è l’Italia buffona, quella che di Storia (e, soprattutto, di storiografia) non sa nulla e s’appende alle labbra dei vari “Grande Fratello”.
Allo stesso modo, ci stiamo un poco stufando delle atmosfere di “comprensione” e “dialogo”, che hanno coinvolto anche personaggi sedicenti di “sinistra”, riguardo il 25 Aprile.
Siamo fra quelli che sempre hanno sostenuto la necessità di giungere ad un quadro storico condiviso, senza nemmeno discutere la pietà per tutte le vittime, qualsiasi divisa indossassero.
Quello che non intendiamo discutere è che quella guerra civile fu combattuta fra parti che avevano identico valore sul piano storico: gli ideali possono anche essere discussi, gli atti no.
Ora, non è il caso di ricordare che l’effimera Repubblica di Salò fu soltanto una creazione tedesca in territorio italiano: Mussolini non riuscì neppure a salvare il proprio genero dalla vendetta nazista.
Perché siamo stanchi?
Poiché notiamo – quei manifesti con scritto “25 Aprile: Buona Pasquetta!” – l’irrisione d’antica marca fascista per gli ideali altrui, per le vicende altrui, per i dolori altrui. Proprio da parte di chi chiede rispetto per i propri.
Se la Destra italiana desidera continuare su questa strada, s’accomodi pure: saremo costretti a tornare al uno sterile – ma coriaceo e fermo – antifascismo.
Sarà l’ennesima occasione perduta per giungere ad una storiografia condivisa, sarà l’ennesimo fallimento.
Già che parliamo di fallimenti, torniamo alla Libia.
Cos’ha in mente il Governo? Non lo sanno neppure loro.
Frattini non vuole bombardare e bombarda, Maroni non vuole i migranti e li accoglie, Berlusconi invitava Gheddafi a Roma ad ogni piè sospinto ed oggi lo tradisce. Che bel quadretto.
E gli interessi italiani?
L’avventura libica cambierà sostanzialmente il quadro del Mediterraneo, poiché il principale partner internazionale della Libia (scambio energia/tecnologia) eravamo noi. Domani, con le brutte arie che tirano sul nucleare, immaginiamo un po’ chi è zeppo di centrali e dovrà trovare delle soluzioni.
Fa quasi sorridere che messer Bruni si stizzisca per dover ricevere qualche migliaio di migranti: al bieco “scambio” della politica energetica, dovrebbe accoglierne milioni.
L’Italia aveva la possibilità di starne fuori, come fece la Grecia per il Kosovo, ma non l’ha fatto: ha ceduto, senza il minimo ripensamento, le basi (il “pezzo” più ambito) alla coalizione dei bombardieri. Qui, bisogna ricordare che l’opposizione è ancor più “bombardiera” della maggioranza.
Che ne sarà della nostra politica energetica? Che ne sarà dei libici?
La nostra politica energetica consiste nel concedere a compagnie estere i nostri (magri) giacimenti petroliferi: fra poche settimane, s’inizierà a trivellare al largo di Pantelleria[2].
Fanno quasi sorridere le dichiarazioni del Ministro dell’Ambiente Prestigiacomo, “che prometteva di difendere a spada tratta il Canale di Sicilia, costi quel che costi”.
Mettiamo la bella Stefania, e la sua difesa delle coste, insieme alla “difesa” dagli immigrati di Maroni, al “sussurro” di Frattini contro i bombardamenti, alla “solida amicizia” – strombazzata appena pochi mesi fa – di Berlusconi con Gheddafi.
Già che siamo in vena di farsa, vedremmo bene l’amazzone Prestigiacomo al comando della 206° divisione costiera[3], la notte del 10 Luglio 1943, sulla spiaggia di Licata.
La cosa che più ci scompagina i cosiddetti, però, è sapere che l’Italia – a differenza di tutti gli altri Stati del Pianeta – s’accontenta di un misero 4% come royalty per le estrazioni petrolifere. Vale a dire, il 4% a noi ed il 96% alle compagnie: nell’Iran di Mossadeq, la rivolta scoppiò perché la BP si teneva il 94% e lasciava allo Stato solo il 6%. Noi, ancora peggio dell’Iran dello Scià.
Perché?
Non c’è una risposta plausibile. A meno che.
A meno che non lasciamo scorrere l’immaginazione, correlandola al ben conosciuto “cui prodest”.
E’ assai strano che l’Italia – soprattutto un affamatissimo Tremonti – lasci correre sulla possibilità di lucrare sulle estrazioni petrolifere: sono dei boiardi di Stato, ma non sono fessi. Soprattutto se l’interesse toccato è il loro. E allora?
Visto che le altre nazioni richiedono una royalty che varia, in una “forbice” fra il 50 ed il 90%, è assai strano che l’Italia s’accontenti del misero 4%. Però.
Quel 4% finisce nel bilancio dello Stato – quello palese, quello di Tremonti – ma, la cosa, potrebbe non finire lì.
Una compagnia straniera potrebbe essere allettata dalla favorevole occasione, però, però…mettiamo che, ad un certo punto…manchi una qualsiasi certificazione ambientale, oppure qualcosa relativo alla sicurezza o, ancora, si scopra che non è stato presentato un certo prospetto geologico, un approfondimento sulla mensa dei dipendenti, la certificazione dei natanti adibiti al trasporto del personale…l’italica fantasia non ha limiti…
In quel caso, cosa succederebbe?
Beh…nella prospettiva di dover rinviare alle calende greche l’attività d’estrazione…magari la compagnia potrebbe inviare rapidamente a Roma un suo fiduciario, munito di “convincenti” promesse, che le cose andrebbero a posto rapidamente, se…se ci fosse la “collaborazione” fra la compagnia e le autorità competenti, ovviamente ricompensate per l’aggravio di “lavoro”.
A cose fatte, probabilmente, la concessione non costerebbe più il 4%, bensì il 24% od il 34%...ma sempre meno del 50-90% degli altri!
Ovvio che, la differenza, plusvalore, cagnotta…o come la vogliamo chiamare…non finirebbe più nel bilancio ufficiale dello Stato, ma si perderebbe nei mille “rivoli” delle mille “amministrazioni”.
No, ci siamo sbagliati, questa è solo una ricostruzione di fantasia: per dirla con Shakespeare, è soltanto un “Sogno di mezza Primavera”.
La pura realtà è che noi italiani siamo un popolo generoso, che mai ha torto un capello a qualcuno fuori dei propri confini, che accoglie generosamente tutti i migranti, che soccorre amorevolmente anche le compagnie petrolifere nelle loro fatiche. Che bravi che siamo.
di Carlo Bertani
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30 aprile 2011
Referendum, Tozzi: “Il governo vuole tutelare se stesso e le lobby”
Non solo il terrore per il quesito sul legittimo impedimento. Secondo il geologo, i piani del governo per inficiare i quesiti su nucleare e acqua servono per tutelare i gruppi industriali che trarranno beneficio dai piani del governo. Che sono sospesi solo temporaneamente
“I have a dream: un governo che, quando si trova a lagiferare su questioni di carattere energetico-ambientale, si affidi a un comitato scientifico”. A parlare così è Mario Tozzi, geologo, divulgatore e mezzobusto televisivo dell’ambientalismo italiano che sottolinea come la classe politica nostrana sia l’unica a non avvalersi di un consiglio di esperti in materia di ambiente ed energia. “Sarkozy, Obama e tutti gli altri leader – attacca Tozzi – si affidano a un comitato indipendente di scienziati che indirizza le loro politiche, il governo italiano se ne guarda bene”.
L’esempio più lampante di quanto sostiene il geologo, sono i principali maître à penser del ritorno italiano al nucleare: Chicco Testa, laureato in filosofia ed ex ambientalista convertito all’atomo, e Umberto Veronesi che invece è un oncologo. Di fisici e ingenieri neanche l’ombra. “E’ perché in Italia su energia e ambiente si seguono solamente gli interessi delle lobby, per poi fare una clamorosa marcia indietro quando si avvicinano i referendum e quindi il voto popolare”, attacca Tozzi.
Il riferimento è ovviamente alle modifiche legislative apportate al decreto Omnibus che, secondo le intenzioni della maggioranza, deve scongiurare la tornata referendaria in programma per metà giugno. Lo scorso 20 aprile, la maggioranza smentiva se stessa votando favorevolmente il pacchetto di misure che metteva nel congelatore il tanto sbandierato ritorno all’energia atomica. Nel vertice italo-francese è stato lo stesso presidente del Consiglio a chiarire le motivazioni di quel provvedimento: “Il programma nucleare italiano è stato bloccato per fare fallire il referendum”.
Come il Fatto ha scritto più volte, il terrore di Berlusconi è che gli italiani oltre dire Sì all’abrogazione dell’atomo e dell’acqua privata, votassero anche la bocciatura della legge sul legittimo impedimento. Un colpo insostenibile per chi basa la sua legittimazione sul consenso popolare. Anche Tozzi la pensa così, ma ci mette il carico: “Berlusconi dice che quanto accaduto a Fukushima ha spaventato gli italiani e che la decisione della moratoria è stata fatta per permettere ai cittadini di tranquillizzarsi. Per poi, magari fra un anno, ripresentare lo stesso progetto tale e quale. Che tristezza! Il presidente del Consiglio considera il suo popolo non in grado di discernere fra emozione e ragione”. Detto in altro modo, secondo il premier, gli italiani non sono in grado di mantenere su due piani separati l’ondata emotiva per quanto accaduto a Fukushima e una seria riflessione sull’energia atomica.
Ora che il copione del nucleare si sta ripetendo anche sulle risorse idriche, con la presentazione di un decreto legge fatto ad hoc per depotenziare i due quesiti referendari, il piano del governo appare ancora più evidente. Ma, secondo Tozzi, l’imput a far saltare il voto del 12 e 13 giugno non arriva solo dal terrore di B. per il probabile raggiungimento del quorum con tanto di bocciatura della legge che lo tiene lontano dai tribunali. “I quesiti, così come sono stati formulati – sostiene il geologo – scardinano i piani di un settore importante del sistema industriale italiano: la lobby nucleare e quella dell’acqua privata. E Berlusconi, cercando di vanificare il referendum, ha voluto tutelare quei gruppi”. Non è un mistero che, ad esempio sull’acqua, i primi a parlare di manovre correttive sulla legge che privatizza le risorse idriche sono stati proprio gli imprenditori che gestiscono tale risorsa. Con Roberto Bazzano, presidente di Federutility, la federazione che riunisce i gestori degli acquedotti, che aveva detto: “Chiediamoci seriamente se non sia il caso di evitare un referendum che ha sempre più un taglio puramente ideologico”. Ma cosa vuole dire privatizzare l’acqua? “Fare pagare una bolletta maggiorata ai consumatori – risponde Tozzi – E’ già così: ad Agrigento o a Latina, dove gli acquedotti sono già in mani private il servizio costa caro. A Milano, dove l’acqua è pubblica, la bolletta è molto più leggera”.
In attesa di leggere il decreto legge che cercherà di mettere la parola fine anche al voto sull’acqua, Tozzi qualche conclusione la può già tracciare. “Berlusconi, ancora una volta, ha vinto perché è riuscito a fare passare l’idea che non ci sia più nessun bisogno di andare a votare. Che ci ha già pensato il governo ad accogliere le preoccupazioni degli italiani”.
Ma non si vuole rassegnare. Anche perché la Corte di Cassazione, l’organo che dovrà decidere se dopo le modifiche legislative i quesiti siano ancora ammissibili, non si è ancora espressa. “Nel frattempo io, come divulgatore scientifico, porto avanti la mia triplice battaglia: contro l’atomo, a favore dell’acqua pubblica e per affidare le questioni ambientali a persone con un minimo di conoscenza ed esperienza. Sarebbe davvero l’ora”.
di Lorenzo Galeazzi
“I have a dream: un governo che, quando si trova a lagiferare su questioni di carattere energetico-ambientale, si affidi a un comitato scientifico”. A parlare così è Mario Tozzi, geologo, divulgatore e mezzobusto televisivo dell’ambientalismo italiano che sottolinea come la classe politica nostrana sia l’unica a non avvalersi di un consiglio di esperti in materia di ambiente ed energia. “Sarkozy, Obama e tutti gli altri leader – attacca Tozzi – si affidano a un comitato indipendente di scienziati che indirizza le loro politiche, il governo italiano se ne guarda bene”.
L’esempio più lampante di quanto sostiene il geologo, sono i principali maître à penser del ritorno italiano al nucleare: Chicco Testa, laureato in filosofia ed ex ambientalista convertito all’atomo, e Umberto Veronesi che invece è un oncologo. Di fisici e ingenieri neanche l’ombra. “E’ perché in Italia su energia e ambiente si seguono solamente gli interessi delle lobby, per poi fare una clamorosa marcia indietro quando si avvicinano i referendum e quindi il voto popolare”, attacca Tozzi.
Il riferimento è ovviamente alle modifiche legislative apportate al decreto Omnibus che, secondo le intenzioni della maggioranza, deve scongiurare la tornata referendaria in programma per metà giugno. Lo scorso 20 aprile, la maggioranza smentiva se stessa votando favorevolmente il pacchetto di misure che metteva nel congelatore il tanto sbandierato ritorno all’energia atomica. Nel vertice italo-francese è stato lo stesso presidente del Consiglio a chiarire le motivazioni di quel provvedimento: “Il programma nucleare italiano è stato bloccato per fare fallire il referendum”.
Come il Fatto ha scritto più volte, il terrore di Berlusconi è che gli italiani oltre dire Sì all’abrogazione dell’atomo e dell’acqua privata, votassero anche la bocciatura della legge sul legittimo impedimento. Un colpo insostenibile per chi basa la sua legittimazione sul consenso popolare. Anche Tozzi la pensa così, ma ci mette il carico: “Berlusconi dice che quanto accaduto a Fukushima ha spaventato gli italiani e che la decisione della moratoria è stata fatta per permettere ai cittadini di tranquillizzarsi. Per poi, magari fra un anno, ripresentare lo stesso progetto tale e quale. Che tristezza! Il presidente del Consiglio considera il suo popolo non in grado di discernere fra emozione e ragione”. Detto in altro modo, secondo il premier, gli italiani non sono in grado di mantenere su due piani separati l’ondata emotiva per quanto accaduto a Fukushima e una seria riflessione sull’energia atomica.
Ora che il copione del nucleare si sta ripetendo anche sulle risorse idriche, con la presentazione di un decreto legge fatto ad hoc per depotenziare i due quesiti referendari, il piano del governo appare ancora più evidente. Ma, secondo Tozzi, l’imput a far saltare il voto del 12 e 13 giugno non arriva solo dal terrore di B. per il probabile raggiungimento del quorum con tanto di bocciatura della legge che lo tiene lontano dai tribunali. “I quesiti, così come sono stati formulati – sostiene il geologo – scardinano i piani di un settore importante del sistema industriale italiano: la lobby nucleare e quella dell’acqua privata. E Berlusconi, cercando di vanificare il referendum, ha voluto tutelare quei gruppi”. Non è un mistero che, ad esempio sull’acqua, i primi a parlare di manovre correttive sulla legge che privatizza le risorse idriche sono stati proprio gli imprenditori che gestiscono tale risorsa. Con Roberto Bazzano, presidente di Federutility, la federazione che riunisce i gestori degli acquedotti, che aveva detto: “Chiediamoci seriamente se non sia il caso di evitare un referendum che ha sempre più un taglio puramente ideologico”. Ma cosa vuole dire privatizzare l’acqua? “Fare pagare una bolletta maggiorata ai consumatori – risponde Tozzi – E’ già così: ad Agrigento o a Latina, dove gli acquedotti sono già in mani private il servizio costa caro. A Milano, dove l’acqua è pubblica, la bolletta è molto più leggera”.
In attesa di leggere il decreto legge che cercherà di mettere la parola fine anche al voto sull’acqua, Tozzi qualche conclusione la può già tracciare. “Berlusconi, ancora una volta, ha vinto perché è riuscito a fare passare l’idea che non ci sia più nessun bisogno di andare a votare. Che ci ha già pensato il governo ad accogliere le preoccupazioni degli italiani”.
Ma non si vuole rassegnare. Anche perché la Corte di Cassazione, l’organo che dovrà decidere se dopo le modifiche legislative i quesiti siano ancora ammissibili, non si è ancora espressa. “Nel frattempo io, come divulgatore scientifico, porto avanti la mia triplice battaglia: contro l’atomo, a favore dell’acqua pubblica e per affidare le questioni ambientali a persone con un minimo di conoscenza ed esperienza. Sarebbe davvero l’ora”.
di Lorenzo Galeazzi
29 aprile 2011
Una brutta favola
E’ bastata una telefonata del Presidente più giovane, abbronzato e convincente che ci sia per far cambiare idea al Premier più basso, tarchiato ed incompetente che l’Italia abbia mai avuto. Il cigno nero ha tramortito il brutto anatroccolo che non ha più alcuna speranza di crescere politicamente. Il mezzo Cavaliere con la mascherina da sodomita dopo aver dichiarato alla stampa di mezzo mondo che il nostro Paese mai avrebbe bombardato la Libia per non rinfocolare un passato infame di colonialismo ai danni del popolo nordafricano - col quale avevamo anche firmato un contratto di “risarcimento danni imperiali” al fine di accontentare il beduino della Sirte affamato di consenso e i belluini capitalisti nostrani affamati di commesse - si è rimangiato tutto associandosi ai 12 Stati che in questo momento stanno portando la democrazia a Tripoli col piombo e col sangue.
Adesso i bravi ragazzi della civiltà sono finalmente 13, come gli apostoli muniti di traditore. Il bacio della modernità seppellirà per sempre la Libia e la politica mediterranea del Belpaese a favore di statunitensi, francesi ed inglesi. Ma B. pare lo stesso accontentarsi ed invece di far sentire le saette all’altro nanetto di Parigi che crede di essere il Principe Azzurro o l’Angelo castigatore di ex modelle, magari ostacolando l’acquisto francese della Parmalat (non perché quest’ultima sia azienda strategica ma solo per far loro capire che non siamo la cenerentola del continente), gioca a vestire i panni della Bella addormentata nel bosco. Sembra una fiaba per bambini innestata su parabole bibliche, tra folletti, cavalieri, principi, fanciulle in abito da sposa e iscarioti pagati in dollari ma è invece un brutto incubo che porterà la nazione alla sfacelo in campo internazionale. Persino un re Travicello avrebbe fatto meno danni di questi presunti statisti di destra e di sinistra che si sentono eroi ma non hanno fegato né cervello. E come in ogni fiaba che si rispetti non poteva mancare nemmeno il Drago, anzi il Draghi. Il nostro presidente di Bankitalia è stato accreditato anche dai francesi, dopo aver ricevuto l’imprimatur dei Tedeschi, a guidare la BCE. Un buon affare, non per noi ovviamente visto che Draghi è solo la traduzione italiana dell’americano Dragons, creatura mitico-leggendaria partorita nel caveau della newyorkese Goldman Sachs. Un mostro che non sputa fuoco ma sentenze di morte sull’economia nazionale, una creatura serpentina che anziché volare preferisce farsi trasportare sui panfili reali come il Britannia per svendere le fortune statali. Così invece di farci un piacere la Francia ci dà il colpo di grazia. C’era una volta l’Italia libera e bella, più bella che libera a dir la verità, ed oggi non c’è più nemmeno quella. Qui ormai vivono tutti infelici e scontenti.
di Gianni Petrosillo
28 aprile 2011
Buffoni
Siamo fra quelli che non credono in chissà quale “botto” della maggioranza sulla Libia: perché?
Poiché il copione non prevede i canoni della tragedia e nemmeno quelli della commedia: pura e semplice farsa, come sempre.
Eppure, qualche ragione i giornali della Lega & associati ce l’hanno: non s’è mai visto un governo compiere un simile, clamoroso autogol alla propria politica, nazionale ed estera.
Il Ministro degli Esteri Frattini, flebile, sussurra che non sarebbe opportuno, no, non si dovrebbe…i nostri aerei non dovrebbero bombardare la Libia, poiché siamo stati potenza coloniale occupante, in quel Paese, per quasi mezzo secolo. Ed abbiamo lasciato, fra le sabbie e gli uadi, un milione di morti impiccati, fucilati, cannoneggiati, bombardati, squarciati.
E’ la nostra cattiva coscienza storica che risuona, afona, come le vicende mai chiarite sulla Somalia, sull’Etiopia e sulla Jugoslavia: se solo avessimo un minimo di coscienza per quel che compimmo lontano dallo Stivale, staremmo zitti e mosca.
Eppure, alla ricorrenza del 25 Aprile, qualcuno torna a tirare fuori la questione delle foibe: pochi sanno chi fu Giuseppe Cobolli Gigli[1], in arte “Giulio Italico”.
Nel Settembre del 1927, sulla rivista fascista Gerarchia, scriveva, a proposito dell’abitato di Pisino (Pazin) che sorge al centro dell’Istria:
“Il paese sorge sul bordo di una voragine che la musa istriana ha chiamato Foiba, degno posto di sepoltura per chi, nella provincia, minaccia con audaci pretese le caratteristiche nazionali dell'Istria.”
Lo scriveva nel 1927, poiché – all’epoca – la pulizia etnica italiana era già avvenuta: poi, alla fine del conflitto, ci fu la vendetta slava.
Giusto ricordare tutte le vittime, ma non appropriarsi di un fenomeno tragico ed appuntarlo al palmares delle proprie “ragioni” e degli altrui “torti”.
Ma si sa: questa è l’Italia buffona, quella che di Storia (e, soprattutto, di storiografia) non sa nulla e s’appende alle labbra dei vari “Grande Fratello”.
Allo stesso modo, ci stiamo un poco stufando delle atmosfere di “comprensione” e “dialogo”, che hanno coinvolto anche personaggi sedicenti di “sinistra”, riguardo il 25 Aprile.
Siamo fra quelli che sempre hanno sostenuto la necessità di giungere ad un quadro storico condiviso, senza nemmeno discutere la pietà per tutte le vittime, qualsiasi divisa indossassero.
Quello che non intendiamo discutere è che quella guerra civile fu combattuta fra parti che avevano identico valore sul piano storico: gli ideali possono anche essere discussi, gli atti no.
Ora, non è il caso di ricordare che l’effimera Repubblica di Salò fu soltanto una creazione tedesca in territorio italiano: Mussolini non riuscì neppure a salvare il proprio genero dalla vendetta nazista.
Perché siamo stanchi?
Poiché notiamo – quei manifesti con scritto “25 Aprile: Buona Pasquetta!” – l’irrisione d’antica marca fascista per gli ideali altrui, per le vicende altrui, per i dolori altrui. Proprio da parte di chi chiede rispetto per i propri.
Se la Destra italiana desidera continuare su questa strada, s’accomodi pure: saremo costretti a tornare al uno sterile – ma coriaceo e fermo – antifascismo.
Sarà l’ennesima occasione perduta per giungere ad una storiografia condivisa, sarà l’ennesimo fallimento.
Già che parliamo di fallimenti, torniamo alla Libia.
Cos’ha in mente il Governo? Non lo sanno neppure loro.
Frattini non vuole bombardare e bombarda, Maroni non vuole i migranti e li accoglie, Berlusconi invitava Gheddafi a Roma ad ogni piè sospinto ed oggi lo tradisce. Che bel quadretto.
E gli interessi italiani?
L’avventura libica cambierà sostanzialmente il quadro del Mediterraneo, poiché il principale partner internazionale della Libia (scambio energia/tecnologia) eravamo noi. Domani, con le brutte arie che tirano sul nucleare, immaginiamo un po’ chi è zeppo di centrali e dovrà trovare delle soluzioni.
Fa quasi sorridere che messer Bruni si stizzisca per dover ricevere qualche migliaio di migranti: al bieco “scambio” della politica energetica, dovrebbe accoglierne milioni.
L’Italia aveva la possibilità di starne fuori, come fece la Grecia per il Kosovo, ma non l’ha fatto: ha ceduto, senza il minimo ripensamento, le basi (il “pezzo” più ambito) alla coalizione dei bombardieri. Qui, bisogna ricordare che l’opposizione è ancor più “bombardiera” della maggioranza.
Che ne sarà della nostra politica energetica? Che ne sarà dei libici?
La nostra politica energetica consiste nel concedere a compagnie estere i nostri (magri) giacimenti petroliferi: fra poche settimane, s’inizierà a trivellare al largo di Pantelleria[2].
Fanno quasi sorridere le dichiarazioni del Ministro dell’Ambiente Prestigiacomo, “che prometteva di difendere a spada tratta il Canale di Sicilia, costi quel che costi”.
Mettiamo la bella Stefania, e la sua difesa delle coste, insieme alla “difesa” dagli immigrati di Maroni, al “sussurro” di Frattini contro i bombardamenti, alla “solida amicizia” – strombazzata appena pochi mesi fa – di Berlusconi con Gheddafi.
Già che siamo in vena di farsa, vedremmo bene l’amazzone Prestigiacomo al comando della 206° divisione costiera[3], la notte del 10 Luglio 1943, sulla spiaggia di Licata.
La cosa che più ci scompagina i cosiddetti, però, è sapere che l’Italia – a differenza di tutti gli altri Stati del Pianeta – s’accontenta di un misero 4% come royalty per le estrazioni petrolifere. Vale a dire, il 4% a noi ed il 96% alle compagnie: nell’Iran di Mossadeq, la rivolta scoppiò perché la BP si teneva il 94% e lasciava allo Stato solo il 6%. Noi, ancora peggio dell’Iran dello Scià.
Perché?
Non c’è una risposta plausibile. A meno che.
A meno che non lasciamo scorrere l’immaginazione, correlandola al ben conosciuto “cui prodest”.
E’ assai strano che l’Italia – soprattutto un affamatissimo Tremonti – lasci correre sulla possibilità di lucrare sulle estrazioni petrolifere: sono dei boiardi di Stato, ma non sono fessi. Soprattutto se l’interesse toccato è il loro. E allora?
Visto che le altre nazioni richiedono una royalty che varia, in una “forbice” fra il 50 ed il 90%, è assai strano che l’Italia s’accontenti del misero 4%. Però.
Quel 4% finisce nel bilancio dello Stato – quello palese, quello di Tremonti – ma, la cosa, potrebbe non finire lì.
Una compagnia straniera potrebbe essere allettata dalla favorevole occasione, però, però…mettiamo che, ad un certo punto…manchi una qualsiasi certificazione ambientale, oppure qualcosa relativo alla sicurezza o, ancora, si scopra che non è stato presentato un certo prospetto geologico, un approfondimento sulla mensa dei dipendenti, la certificazione dei natanti adibiti al trasporto del personale…l’italica fantasia non ha limiti…
In quel caso, cosa succederebbe?
Beh…nella prospettiva di dover rinviare alle calende greche l’attività d’estrazione…magari la compagnia potrebbe inviare rapidamente a Roma un suo fiduciario, munito di “convincenti” promesse, che le cose andrebbero a posto rapidamente, se…se ci fosse la “collaborazione” fra la compagnia e le autorità competenti, ovviamente ricompensate per l’aggravio di “lavoro”.
A cose fatte, probabilmente, la concessione non costerebbe più il 4%, bensì il 24% od il 34%...ma sempre meno del 50-90% degli altri!
Ovvio che, la differenza, plusvalore, cagnotta…o come la vogliamo chiamare…non finirebbe più nel bilancio ufficiale dello Stato, ma si perderebbe nei mille “rivoli” delle mille “amministrazioni”.
No, ci siamo sbagliati, questa è solo una ricostruzione di fantasia: per dirla con Shakespeare, è soltanto un “Sogno di mezza Primavera”.
La pura realtà è che noi italiani siamo un popolo generoso, che mai ha torto un capello a qualcuno fuori dei propri confini, che accoglie generosamente tutti i migranti, che soccorre amorevolmente anche le compagnie petrolifere nelle loro fatiche. Che bravi che siamo.
di Carlo Bertani
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