12 giugno 2011

Bilderberg, finanzieri e industriali a convegno in Svizzera


Molti dei principali esponenti dell’Alta Finanza e della Grande Industria europee e nordamericane si riuniranno da oggi fino a domenica a St. Moritz in Svizzera nel consueto e annuale vertice dei Bilderberg per discutere dei problemi del mondo, trovare e “suggerire” ai loro vassalli politici le soluzioni da adottare le quali saranno, sempre e comunque, funzionali alla difesa dei propri interessi. Molti politici saranno al vertice per annusare che aria tira e capire quello che ci si aspetta da loro.
Politici soprattutto pronti a ribadire la propria totale fede nei valori e negli interessi del Libero Mercato. Termine che, nell’accezione che ne danno gli usurai di professione, padroni di casa, significa che gli Stati rappresentano un ostacolo che deve essere messo da parte e che i governi dovrebbero cercare di caratterizzarsi soprattutto per la propria assenza. Basta quindi con lo Stato sociale, basta quindi con lo Stato imprenditore e con la sovranità nazionale. I governi devono vendere ai privati le aziende pubbliche, in particolare quelle operanti nei settori dell’energia e delle telecomunicazioni, e lasciare che la “mano invisibile” del Mercato faccia il resto.
La riunione dei Bilderberg, alla quale ovviamente si può partecipare soltanto su invito e per cooptazione, si svolge dal 1954 ed è nata su iniziativa del principe Bernardo d’Olanda, curiosamente, ma poi nemmeno tanto, proprio nella fase storica in cui la politica “ufficiale” si muoveva per fare nascere la Comunità economica europea (con Germania, Francia, Italia, Lussemburgo, Belgio e appunto Olanda). Come se il potere “reale” europeo, in un gioco di sponda con quello statunitense, volesse ribadire chi fosse in grado di dettare veramente le regole della danza. E’appena il caso di ricordare che la famiglia regnante olandese possiede un patrimonio personale immenso come del resto quella inglese e che entrambe vantano consistenti partecipazioni azionarie incrociate in società di peso, come la compagnia petrolifera Shell, una delle ex Sette Sorelle.
Al Bilderberg non si spreca il tempo in chiacchiere ma si va subito al cuore dei problemi. Il principale di questi sarà sicuramente il come sfruttare la crisi del debito pubblico nei Paesi dell’euro in maniera tale da arricchirsi ogni oltre misura. Ai banditi presenti in Svizzera importa poco che Portogallo, Irlanda, Grecia (e forse in futuro la Spagna) possano finire in bancarotta e non essere più in grado di restituire i prestiti ricevuti dal Fmi e dalla Unione europea, rimborsare il capitale dei titoli di Stato e pagare gli interessi. Quello che conta è che una eventualità del genere si trasformi in una occasione di guadagno, attraverso l’acquisizione della proprietà delle aziende pubbliche di quei Paesi. Per chi ama la dietrologia, che in certi casi purtroppo risulta essere una scienza esatta, si può ricordare che le precedenti riunioni del Bilderberg si sono svolte in Grecia e in Spagna. Fossimo al posto degli svizzeri di certo incominceremmo a grattarci…
Al vertice si farà sentire l’assenza di Dominique Strauss Kahn, inciampato sull’economia reale, anche se i presenti non mancheranno di rivolgergli un simbolico saluto per ringraziarlo dell’attività di usuraio da lui portata avanti che si è svolta secondo il copione che gli era stato sottoposto. I cittadini portoghesi, irlandesi e greci la vedranno in maniera diametralmente opposta ma questo non preoccuperà i partecipanti al vertice che anzi daranno il benestare alla nomina del suo successore alla guida del Fondo monetario internazionale, e cioè il ministro francese delle Finanze, Christine Lagarde, che ha già assicurato la condivisione della filosofia di fondo del Bilderberg, facendo una comparsata ad uno dei vertici precedenti.
Come succede a margine delle riunioni della Cupola di Cosa Nostra, anche al vertice del Bilderberg sarà nutrita la presenza di guardie del corpo, alle quali si aggiungerà un impressionante apparato di sicurezza, fatto di agenti di polizia e di tiratori scelti pronti ad intervenire, ognuno secondo le proprie attitudini, per rintuzzare contestazioni e assalti all’albergo che ospita il vertice. Non c’è infatti nessuno migliore di un bandito di professione, come può essere un banchiere, nel prevedere cosa potrebbero cercare di fargli le sue vittime, nel caso specifico giustamente infuriate per essere state rapinate e per lo più da criminali che portavano i guanti bianchi. E di vittime, solo per restare in Europa, ce ne sono a milioni.
La Svizzera verde famosa per il cioccolato e il segreto bancario ha assicurato che tutto verrà tenuto sotto controllo. Compresi i socialisti locali già pronti a manifestare con lo slogan: “L'essere umano viene prima del mercato”. In tal modo alcuni dei banditi presenti, tipo David Rockefeller (nella foto) della Jp Morgan Chase, potranno dormire sonni tranquilli. Ci saranno comunque George Bush e Henry Kissinger.
In passato vennero invitate al vertice personalità italiane di spicco come Mario Draghi (Goldman Sachs e Banca d’Italia), Romano Prodi (Goldman Sachs e governo), Mario Monti (Goldman Sachs e Università Bocconi), Paolo Scaroni (Eni), John Elkann (Exor e Fiat), Franco Bernabè (Telecom), Gianfelice Rocca (siderurgia) e il non compianto Tommaso Padoa Schioppa (Goldman Sachs). Di tutti costoro si ignora però come l’avvenimento fu vissuto.
Duro il giudizio del deputato svizzero Dominique Baettig che, pur essendo famoso o famigerato per la sua xenofobia, ha perfettamente centrato il problema quando ha sostenuto che il Bilderberg promuove un modello sociale ultraliberista con una moneta unica mondiale e con l'Fmi come tesoriere. Esso, ha aggiunto, gioca con le paure della globalizzazione e manipola i mass media controllati, per imporre terapie d'urto dagli effetti sociali devastanti che favoriscono l'indebitamento degli Stati nei confronti delle banche. Quelli del Bilderberg, ha insistito, stanno privatizzando eserciti e polizie, pianificano azioni militari contro gli Stati sovrani e programmano la fine della democrazia, attraverso il trasferimento del potere dagli Stati a istituzioni sovranazionali non elette. Tipo appunto la Bce e la Commissione europea.
di Filippo Ghira

Charlie Skelton si è svegliato per trovare un cordone di sicurezza che impedisce la vista della sede dell’evento, e ci porta nuove dal Bilderbus

Edizione straordinaria. C’è stata una bomba. Scusate, una "bomba". Un "ordigno tubolare" è stato “rinvenuto” dalla polizia, due persone sono state ammanettate e trascinate via, e la security si è intensificata velocemente. L’affare della bomba è solo uscito nelle ultime ore, ma una foto dell’arresto sta volando giù dalla montagna per trovare la strada che porta verso di me. La posterò quando arriverà.

E quindi, sembra che abbia parlato troppo presto di un Bilderberg svizzero festaiolo. La lieta prossimità delle telecamere e della conferenza è già stata interrotta, nel corso della notte, da un lungo cordone di sicurezza, che ha bloccato la vista del luogo dove si svolge l’evento. Nessuno sembra sapere chi l’abbia innalzato, ma l’odore dei soldi ci dice che è stato piantato alle 3 di mattina da Jorma Ollila, il presidente di Royal Dutch Shell, mentre Peter Voser, il CEO di Royal Dutch Shell, teneva i chiodi.

Naturalmente, quando descrivo quello che è successo come un "cordone di sicurezza", quello che intendo dire è che si parla di un "cordone per la privacy". È come una tela da doccia, non un anello d’acciaio. E ovviamente, per "privacy" voglio intendere "vergogna". È un recinto della vergogna. Un esteso recinto bianco d’imbarazzo. La privacy è quello che i delegati avranno quando si chiuderà la porta della sala riunioni. La privacy è un accordo stipulato dalla Chatham House per non discutere in pubblico quello che è stato dibattuto nelle varie presentazioni e seminari del Bilderberg.

Ma non si tratta di privacy. È un nascondersi. È come un bambino che si nasconde dietro le tende per non farsi vedere dal mostro, e lo trovo molto infantile. Stranamente poco sicuro di sé. Gli adulti, felici di quello che fanno, non si abbassano sui sedili della propria auto e non si precipitano verso le porte di servizio. Ci sono le persone più potenti al mondo che si aggirano furtivamente come delle piccole pesti. Piccole pesti con gli agenti della sicurezza sui tetti dell’albergo, e uomini armati in moto che affiancano le loro limousine.

C’è qualcosa del Bilderberg che proprio non riesco a capire. È un vecchio cruccio, ma diamoci un’altra botta in testa. Diciamo, per chiarire le cose, che il Bilderberg fa del bene a tutti. I cittadini del mondo saranno resi più sicuri, o più felici, o più in salute o più ricchi grazie ai risultati di questa riunione. Ammettiamo che il direttore di Deutsche Bank voglia trascorrere quattro giorni con il capo di BP per migliorare le nostre esistenze.

Supponiamo che i piacevoli ospiti – David Rockefeller, Henry Kissinger e la Regina d’Olanda – abbiano l’interesse del grande pubblico scritto a caratteri cubitali in cima all’ordine del giorno della conferenza.

Supponiamo tutto questo. E perché il recinto? Perché i delegati si scagliano nei sedili posteriori delle loro limousine invece di farsi vedere all’opera in questo compito caritatevole? Perché i vetri oscurati e i giornali tenuti davanti al volto? E perché il grande recinto bianco? Non capisco.

Perché Josef Ackermann, il CEO of Deutsche Bank, non saluta con benevolenza la folla? Perché questi eccitati partecipanti non si fermano alle porte dell’albergo per parlare con la stampa accreditata? "Sì, vi ringraziamo. Speriamo proprio di risolvere la crisi finanziaria europea di questo anno, e allora incrociamo le dita!" Perché i poliziotti tedeschi, con le uniformi stirate, pedinano persone del pubblico per le strade svizzere...?

Charlie Skelton

10 giugno 2011

Dai supermarket ai social network 'esistenze in vendita'

uomo merce
Nella società dei consumatori noi stessi ci siamo trasformati in merce (The future of capitalism, 2009-2010 BenHeine)

Nella società dei consumatori nessuno può diventare soggetto senza prima trasformarsi in merce, e nessuno può tenere al sicuro la propria soggettività senza riportare in vita, risuscitare e reintegrare costantemente le capacità che vengono attribuite e richieste ad una merce vendibile.

Lo scrive Zygmunt Bauman, uno dei sociologi più illustri di sempre, probabilmente il più profondo conoscitore della società contemporanea. E continua, “la caratteristica più spiccata della società dei consumi, per quanto attentamente custodita e totalmente occultata, è la trasformazione dei consumatori in merce”.

Già, proprio così. Per chi da anni osserva lo strano mondo in cui viviamo con l'occhio lucido dello studioso il responso è inequivocabile: siamo merce. D'altronde era inevitabile. È l'altro lato di quella stessa moneta che ci fornisce, da una quarantina d'anni a questa parte, una libertà di acquisto senza precedenti.

Tutto ebbe inizio nei primi anni Settanta, quando un vento di novità che spirava da oltreoceano portò fino in Europa un nuovo stile di vita. Per la prima volta nella storia, l'attività principale della vita dell'uomo non ruotava più attorno alla produzione, bensì al consumo. È questa – nelle parole del grande polacco – la svolta che conduce la cosiddetta modernità solida nelle braccia melliflue della post-modernità, o modernità liquida.

Consumismo, mercato, deregolamentazione, liberalizzazioni, sono le parole del momento, che invocano un mondo senza leggi né regole prestabilite, eccezion fatta per una: ogni dinamica o relazione, fra soggetti o oggetti, deve essere regolata esclusivamente dal libero flusso di denaro. Via le pastoie delle convenzioni sociali, via la routine e la tradizione, via le istituzioni e persino gli stati nazione: nessuna legge scritta o remora morale si dovrà opporre allo scambio di moneta sonante.

Così, questi sconvolgimenti epocali che come gocce di miele sul barattolo colano dall'alto dei rapporti fra nazioni fino a sciogliere i legami secolari fra individui, hanno un altro effetto non da poco. Ci abituano a considerare tutto alla stregua di una merce da scegliere fra le tante.

consumismo
Per tutta la nostra esistenza abbiamo a che fare con prodotti che dobbiamo scegliere nel minor tempo possibile, sull'onda di un capriccio o di un vezzo momentaneo

Riflettiamoci. Per tutta la nostra esistenza abbiamo a che fare con prodotti che dobbiamo scegliere nel minor tempo possibile, sull'onda di un capriccio o di un vezzo momentaneo. Dagli scaffali dei supermercati decine di merci simili ci accecano con colori sgargianti, ci corteggiano come pavoni con la coda spiegata sperando di essere scelte, di primeggiare rispetto alle altre.

Noi decidiamo spesso in una frazione di secondo, senza riflettere; ma dietro a quell'atto istintivo ci sono miliardi di euro e mesi di lavoro spesi proprio per propiziare quel gesto irrazionale a favore di quel prodotto e a scapito degli altri. Di questi atti, poi, ne compiamo infiniti ogni giorno; pare proprio che le uniche scelte che ci vengono concesse in questo mondo dalle libertà infinite siano scelte di consumo.

Ad ogni modo non è il caso di perderci nei meccanismi, pur interessanti, che sottendono alle scelte individuali nell'era dei consumi. Il nocciolo a cui si vuole qui arrivare è un altro: il fatto che ci siamo trasformati noi stessi in merce. E se ad oggi ancora non esiste una borsa degli esseri umani, in cui venir quotati, è solo perché la nostra particolarità, come merce, è quella di dividerci fra vari mercati. Mi spiegherò con qualche esempio.

Pensiamo ad un social network come Facebook, o ad alcune sue versioni più 'spinte' come Netlog o Badoo. Cosa ci spinge ad inserirvi le nostre foto, le nostre informazioni personali, i nostri gusti musicali finanche alle citazioni dei nostri comici, scrittori o cantanti preferiti? Semplice: stiamo cercando di quotare noi stessi sul mercato delle relazioni sociali e amorose. Esponiamo le nostre caratteristiche migliori, ciò che ci rende unici e inimitabili, con la speranza di essere scelti da un possibile 'consumatore' di relazioni interpersonali. Al tempo stesso usiamo il social network come un grande database da spulciare alla ricerca di soggetti interessanti che corrispondano alle nostre aspettative e capricci di consumatori.

vestiti scaffali
Nei social network noi esponiamo le nostre caratteristiche migliori con la speranza di essere scelti da un possibile 'consumatore' di relazioni interpersonali

Date un'occhiata all'homepage del sito Badoo e confrontatela con la foto qui accanto: non sono poi così diverse; entrambe sono vetrine che espongono le loro merci migliori con la speranza di attirare al proprio interno il ghiotto consumatore. Ma nel caso del social network, il prezzo da pagare – sempre che lo si consideri un prezzo – per poter fare acquisti liberamente è essere esposti noi stessi. Siamo soggetti liberi di scegliere solo se accettiamo di essere merci, come dicevamo.

Ma il mercato delle relazioni sociali non è l'unico in cui collochiamo la nostra poliedrica figura. Basta cambiare piattaforma per rendersene conto. Spostiamoci su Linkedin ed ecco che avremo posizionato noi stessi sul mercato del lavoro. Chi acquista lavoro ha sul sito un'enorme database di proposte da filtrare a seconda delle esigenze; chi lo offre, o per meglio dire si offre, esalta le proprie doti per spiccare sugli altri e rendersi appetibile agli occhi dell'acquirente. E – uscendo dai confini del web – facciamo lo stesso ogni volta che inviamo un curriculum in cui descriviamo, come in un'etichetta, le nostre caratteristiche lavorative; oppure quando scegliamo con cura l'abito da indossare per un colloquio. E questo vale per ogni aspetto in cui si esprime la nostra esistenza.

Si spiegano così alcuni dilemmi dell'uomo contemporaneo. Perché le relazioni sono oggi così fragili? Probabilmente perché come per ogni merce, una volta svanita la spinta emotiva iniziale che ha portato all'acquisto si tende ad abbandonare l'usato in favore del nuovo e migliore: le infinite possibilità che si hanno davanti seducono ben più della sicurezza di ciò che si è già scelto. Il consumo necessita una rapida obsolescenza delle merci, altrimenti l'intero meccanismo s'incepperebbe. E perché poi si è così perennemente insoddisfatti? Verosimilmente perché necessitiamo uno sforzo costante per renderci appetibili come merci, e se ci adagiassimo diventeremmo obsoleti molto in fretta.

Dunque l'aspetto più dolce e piacevole della nostra esistenza ci investe nella dimensione di consumatori, nella libertà di sollazzarci, appagare i nostri capricci e placare le nostre smanie con gli acquisti spensierati. L'aspetto più duro, difficile e faticoso invece è quello che ci interessa in qualità di merce, con la continua necessità di emergere rispetto alle altre merci, di ricollocarsi verso l'alto, di arrampicarsi senza sosta e più veloci degli altri per restare in vetrina, visibili agli occhi dei consumatori.

fuga consumismo
Come si ferma questo meccanismo che fa di ogni cosa, anche di noi stessi, una merce?

Ora è evidente che questo meccanismo è malato e va cambiato. Un sistema che in meno di mezzo secolo ha ridotto ogni cosa ad una merce, persino noi stessi – e nel frattempo, en passant, è riuscito a distruggere ecosistemi, frantumare culture, inquinare acqua, aria e terra – va fermato ad ogni costo. E qui ci scontriamo con uno dei limiti maggiori della sociologia contemporanea. Si è soliti pensare che tale sistema sia immodificabile, inattaccabile. Come mai? Perché – si dice – non esistono più centri di potere da attaccare. Il mercato è un marchingegno globale che, una volta attivato, è impossibile disinnescare o controllare, alla stregua di una fusione nucleare.

Le opzioni sono due: o questo è vero, oppure è una favola. Dal basso non è facile capire se gli enormi ingranaggi economici che ci si muovono sopra il capo – e da cui sovente dobbiamo ripararci per evitare di restarne schiacciati – siano controllati da qualcuno che sta all'altra estremità oppure facciano parte di un organismo semovente. Personalmente sono dell'avviso – mi si dia pure del complottista – che esistono persone che muovono le pesanti leve. La storia del mercato che si autoregola mi è sempre parsa una favoletta cui possono credere solo bambini ingenui ed economisti.

Un esempio. Chi regola l'emissione del denaro – generalmente una banca centrale – manovrando le leve dell'inflazione è in grado di generare crisi economiche mondiali con uno schiocco di dita; aumentando o diminuendo la quantità di liquidità in circolazione si possono decidere le sorti del mondo intero. Al tempo stesso una multinazionale è in grado facilmente di tenere in scacco una nazione, minacciando di spostare i propri investimenti e il proprio capitale. Generare crisi avrà poi l'effetto, fra gli altri, di aumentare la concentrazione economica grazie al fallimento delle piccole e medie imprese. Si riazzera tutto, i ricchi diventano ancor più ricchi e potenti e si ricomincia tutto da capo.

Ma come si ferma questo meccanismo? Non abbiamo molto in mano. Non manovriamo leve noi, abbiamo giusto una manciata di sassi e qualche fuscello, tutto quello che ci è rimasto. Ma possiamo costruirci dei paletti da conficcare al suolo. E su di essi far incastrare i macro-ingranaggi. Paletti che siano le fondamenta per ricostruire qualcosa di solido. Che dicano al mondo che non tutto è una merce.

Si potrebbe ripartire, ad esempio, dai beni comuni. Affermare che esistono ancora dei beni che vanno sottratti al mercato perché sono indispensabili per la vita delle persone. Beni come l'acqua, l'aria, il territorio, la cultura, l'energia, la salute. E via e via, a suon di paletti far inceppare tutto, sconquassare un intero sistema economico. Per arrivare un giorno a togliere dal mercato persino noi stessi.

di Andrea Degl'Innocenti

09 giugno 2011

La Federal Reserve USA ammette di non possedere oro



La notizia è di quelle importanti, anche se nei media ufficiali non troveremo traccia. Alvarez Scott, avvocato della Federal Reserve, il banco centrale degli Stati Uniti, lo scroso primo giugno, in un dibattito con il congressista republicano Ron Paul, ha ammesso che la Federal Reserve non possiede oro ed ha spiegato che l’oro ascritto al bilancio del Banco Centrale USA si riferisce a certificati in oro del 1934. Vedasi il video del dibattito in cui l'avvocato Alvarez Scott afferma che la FED non possiede oro dal 1934.



Nel 1934, la legge sulle riserve in oro, obbligò la Federal Reserve, il banco centrale USA a consegnare tutto il suo oro al Ministero del Tesoro, ottenendo in cambio certificati in oro, equivalenti al valore dell’oro consegnato a prezzo del 1934; tale valore è stato rivalutato negli anni successivi, ma attualmente è fermo dal 1973 a 42,22 dollari l’oncia.

A parte la possibilità per la FED di demandare il Tesoro, significa che il dollaro emesso dalla FED dal 1934 in poi non è mai stato supportato dall’oro. Ossia, il valore reale del dollaro è da considerarsi decisamente inferiore a quello che tutti credono proprio perchè non ha nessun supporto in oro.

Il dollaro negli ultimi quarant’anni è stato stampato in quantità enormemente superiore al supporto in oro che si credeva in possesso alla FED; adesso si scopre che la FED non possiede alcun oro, quindi il dollaro è supportatato da un bel niente! Conclusione: vale ancora meno di quanto si potesse immaginare.

In sostanza il dollaro, la moneta USA, nel 1944 era diventata la unica moneta utilizzata negli scambi internazionali in virtù del fatto che con gli accordi di Bretton Woods era diventata l’unica moneta convertibile in oro. Tutti i paesi del mondo per potere operare a livello internazionale si sono riempiti di dollari credendo che fosse supportato dall’oro. Il 15 agosto del 1971 gli USA decretano l’inconvertibilità dell’oro, però di fatto il dollaro non era mai stato convertibile dato che la Federal reserve non possedeva oro e non lo possiede físicamente dal 1934, come ha ammesso oggi!

Il dollaro anche dopo il 1971 continua ad essere usato come moneta internazionale grazie al fatto che il petrolio, il prodotto più importante, è scambiato in dollari, ma di fatto il dollaro è una moneta sopravvalutata e quando crollerà, cosa sempre più prossima ormai, trascinerà nel baratro gli USA e tutto l’occidente (Vedasi nostro articoloDominique Strauss-Kahn, il Fondo Monetario Internazionale, il ruolo egemonico degli Stati Uniti ed il destino di milioni di esseri umani”).

La notizia odierna della conferma ufficale che la FED non possiede oro fisico dal 1934 non fa altro che confermare che il valore del dollaro, praticamente non sopportato da un bel niente, è sopravvalutato ed è destinato a svalutarsi.

Se a ciò, aggiungiamo le voci sempre più diffuse, secondo le quali le riserve in oro degli USA, che dovrebbero ammontare a 8.133,5 tonnellate di proprietà del Tesoro e stivate a Fort Knox, sarebbero state in gran parte vendute in passato e sostituite da oro falso, ovvero tungsteno ricoperto da un leggero strato di oro (vedasi, ad esempio l’articolo di Dan Eden “Fake gold bars! What's next?”) si comprende che la fine del dollaro ed il declino degli USA è molto più vicino di quanto si possa credere.
di Attilio Folliero -

12 giugno 2011

Bilderberg, finanzieri e industriali a convegno in Svizzera


Molti dei principali esponenti dell’Alta Finanza e della Grande Industria europee e nordamericane si riuniranno da oggi fino a domenica a St. Moritz in Svizzera nel consueto e annuale vertice dei Bilderberg per discutere dei problemi del mondo, trovare e “suggerire” ai loro vassalli politici le soluzioni da adottare le quali saranno, sempre e comunque, funzionali alla difesa dei propri interessi. Molti politici saranno al vertice per annusare che aria tira e capire quello che ci si aspetta da loro.
Politici soprattutto pronti a ribadire la propria totale fede nei valori e negli interessi del Libero Mercato. Termine che, nell’accezione che ne danno gli usurai di professione, padroni di casa, significa che gli Stati rappresentano un ostacolo che deve essere messo da parte e che i governi dovrebbero cercare di caratterizzarsi soprattutto per la propria assenza. Basta quindi con lo Stato sociale, basta quindi con lo Stato imprenditore e con la sovranità nazionale. I governi devono vendere ai privati le aziende pubbliche, in particolare quelle operanti nei settori dell’energia e delle telecomunicazioni, e lasciare che la “mano invisibile” del Mercato faccia il resto.
La riunione dei Bilderberg, alla quale ovviamente si può partecipare soltanto su invito e per cooptazione, si svolge dal 1954 ed è nata su iniziativa del principe Bernardo d’Olanda, curiosamente, ma poi nemmeno tanto, proprio nella fase storica in cui la politica “ufficiale” si muoveva per fare nascere la Comunità economica europea (con Germania, Francia, Italia, Lussemburgo, Belgio e appunto Olanda). Come se il potere “reale” europeo, in un gioco di sponda con quello statunitense, volesse ribadire chi fosse in grado di dettare veramente le regole della danza. E’appena il caso di ricordare che la famiglia regnante olandese possiede un patrimonio personale immenso come del resto quella inglese e che entrambe vantano consistenti partecipazioni azionarie incrociate in società di peso, come la compagnia petrolifera Shell, una delle ex Sette Sorelle.
Al Bilderberg non si spreca il tempo in chiacchiere ma si va subito al cuore dei problemi. Il principale di questi sarà sicuramente il come sfruttare la crisi del debito pubblico nei Paesi dell’euro in maniera tale da arricchirsi ogni oltre misura. Ai banditi presenti in Svizzera importa poco che Portogallo, Irlanda, Grecia (e forse in futuro la Spagna) possano finire in bancarotta e non essere più in grado di restituire i prestiti ricevuti dal Fmi e dalla Unione europea, rimborsare il capitale dei titoli di Stato e pagare gli interessi. Quello che conta è che una eventualità del genere si trasformi in una occasione di guadagno, attraverso l’acquisizione della proprietà delle aziende pubbliche di quei Paesi. Per chi ama la dietrologia, che in certi casi purtroppo risulta essere una scienza esatta, si può ricordare che le precedenti riunioni del Bilderberg si sono svolte in Grecia e in Spagna. Fossimo al posto degli svizzeri di certo incominceremmo a grattarci…
Al vertice si farà sentire l’assenza di Dominique Strauss Kahn, inciampato sull’economia reale, anche se i presenti non mancheranno di rivolgergli un simbolico saluto per ringraziarlo dell’attività di usuraio da lui portata avanti che si è svolta secondo il copione che gli era stato sottoposto. I cittadini portoghesi, irlandesi e greci la vedranno in maniera diametralmente opposta ma questo non preoccuperà i partecipanti al vertice che anzi daranno il benestare alla nomina del suo successore alla guida del Fondo monetario internazionale, e cioè il ministro francese delle Finanze, Christine Lagarde, che ha già assicurato la condivisione della filosofia di fondo del Bilderberg, facendo una comparsata ad uno dei vertici precedenti.
Come succede a margine delle riunioni della Cupola di Cosa Nostra, anche al vertice del Bilderberg sarà nutrita la presenza di guardie del corpo, alle quali si aggiungerà un impressionante apparato di sicurezza, fatto di agenti di polizia e di tiratori scelti pronti ad intervenire, ognuno secondo le proprie attitudini, per rintuzzare contestazioni e assalti all’albergo che ospita il vertice. Non c’è infatti nessuno migliore di un bandito di professione, come può essere un banchiere, nel prevedere cosa potrebbero cercare di fargli le sue vittime, nel caso specifico giustamente infuriate per essere state rapinate e per lo più da criminali che portavano i guanti bianchi. E di vittime, solo per restare in Europa, ce ne sono a milioni.
La Svizzera verde famosa per il cioccolato e il segreto bancario ha assicurato che tutto verrà tenuto sotto controllo. Compresi i socialisti locali già pronti a manifestare con lo slogan: “L'essere umano viene prima del mercato”. In tal modo alcuni dei banditi presenti, tipo David Rockefeller (nella foto) della Jp Morgan Chase, potranno dormire sonni tranquilli. Ci saranno comunque George Bush e Henry Kissinger.
In passato vennero invitate al vertice personalità italiane di spicco come Mario Draghi (Goldman Sachs e Banca d’Italia), Romano Prodi (Goldman Sachs e governo), Mario Monti (Goldman Sachs e Università Bocconi), Paolo Scaroni (Eni), John Elkann (Exor e Fiat), Franco Bernabè (Telecom), Gianfelice Rocca (siderurgia) e il non compianto Tommaso Padoa Schioppa (Goldman Sachs). Di tutti costoro si ignora però come l’avvenimento fu vissuto.
Duro il giudizio del deputato svizzero Dominique Baettig che, pur essendo famoso o famigerato per la sua xenofobia, ha perfettamente centrato il problema quando ha sostenuto che il Bilderberg promuove un modello sociale ultraliberista con una moneta unica mondiale e con l'Fmi come tesoriere. Esso, ha aggiunto, gioca con le paure della globalizzazione e manipola i mass media controllati, per imporre terapie d'urto dagli effetti sociali devastanti che favoriscono l'indebitamento degli Stati nei confronti delle banche. Quelli del Bilderberg, ha insistito, stanno privatizzando eserciti e polizie, pianificano azioni militari contro gli Stati sovrani e programmano la fine della democrazia, attraverso il trasferimento del potere dagli Stati a istituzioni sovranazionali non elette. Tipo appunto la Bce e la Commissione europea.
di Filippo Ghira

Charlie Skelton si è svegliato per trovare un cordone di sicurezza che impedisce la vista della sede dell’evento, e ci porta nuove dal Bilderbus

Edizione straordinaria. C’è stata una bomba. Scusate, una "bomba". Un "ordigno tubolare" è stato “rinvenuto” dalla polizia, due persone sono state ammanettate e trascinate via, e la security si è intensificata velocemente. L’affare della bomba è solo uscito nelle ultime ore, ma una foto dell’arresto sta volando giù dalla montagna per trovare la strada che porta verso di me. La posterò quando arriverà.

E quindi, sembra che abbia parlato troppo presto di un Bilderberg svizzero festaiolo. La lieta prossimità delle telecamere e della conferenza è già stata interrotta, nel corso della notte, da un lungo cordone di sicurezza, che ha bloccato la vista del luogo dove si svolge l’evento. Nessuno sembra sapere chi l’abbia innalzato, ma l’odore dei soldi ci dice che è stato piantato alle 3 di mattina da Jorma Ollila, il presidente di Royal Dutch Shell, mentre Peter Voser, il CEO di Royal Dutch Shell, teneva i chiodi.

Naturalmente, quando descrivo quello che è successo come un "cordone di sicurezza", quello che intendo dire è che si parla di un "cordone per la privacy". È come una tela da doccia, non un anello d’acciaio. E ovviamente, per "privacy" voglio intendere "vergogna". È un recinto della vergogna. Un esteso recinto bianco d’imbarazzo. La privacy è quello che i delegati avranno quando si chiuderà la porta della sala riunioni. La privacy è un accordo stipulato dalla Chatham House per non discutere in pubblico quello che è stato dibattuto nelle varie presentazioni e seminari del Bilderberg.

Ma non si tratta di privacy. È un nascondersi. È come un bambino che si nasconde dietro le tende per non farsi vedere dal mostro, e lo trovo molto infantile. Stranamente poco sicuro di sé. Gli adulti, felici di quello che fanno, non si abbassano sui sedili della propria auto e non si precipitano verso le porte di servizio. Ci sono le persone più potenti al mondo che si aggirano furtivamente come delle piccole pesti. Piccole pesti con gli agenti della sicurezza sui tetti dell’albergo, e uomini armati in moto che affiancano le loro limousine.

C’è qualcosa del Bilderberg che proprio non riesco a capire. È un vecchio cruccio, ma diamoci un’altra botta in testa. Diciamo, per chiarire le cose, che il Bilderberg fa del bene a tutti. I cittadini del mondo saranno resi più sicuri, o più felici, o più in salute o più ricchi grazie ai risultati di questa riunione. Ammettiamo che il direttore di Deutsche Bank voglia trascorrere quattro giorni con il capo di BP per migliorare le nostre esistenze.

Supponiamo che i piacevoli ospiti – David Rockefeller, Henry Kissinger e la Regina d’Olanda – abbiano l’interesse del grande pubblico scritto a caratteri cubitali in cima all’ordine del giorno della conferenza.

Supponiamo tutto questo. E perché il recinto? Perché i delegati si scagliano nei sedili posteriori delle loro limousine invece di farsi vedere all’opera in questo compito caritatevole? Perché i vetri oscurati e i giornali tenuti davanti al volto? E perché il grande recinto bianco? Non capisco.

Perché Josef Ackermann, il CEO of Deutsche Bank, non saluta con benevolenza la folla? Perché questi eccitati partecipanti non si fermano alle porte dell’albergo per parlare con la stampa accreditata? "Sì, vi ringraziamo. Speriamo proprio di risolvere la crisi finanziaria europea di questo anno, e allora incrociamo le dita!" Perché i poliziotti tedeschi, con le uniformi stirate, pedinano persone del pubblico per le strade svizzere...?

Charlie Skelton

10 giugno 2011

Dai supermarket ai social network 'esistenze in vendita'

uomo merce
Nella società dei consumatori noi stessi ci siamo trasformati in merce (The future of capitalism, 2009-2010 BenHeine)

Nella società dei consumatori nessuno può diventare soggetto senza prima trasformarsi in merce, e nessuno può tenere al sicuro la propria soggettività senza riportare in vita, risuscitare e reintegrare costantemente le capacità che vengono attribuite e richieste ad una merce vendibile.

Lo scrive Zygmunt Bauman, uno dei sociologi più illustri di sempre, probabilmente il più profondo conoscitore della società contemporanea. E continua, “la caratteristica più spiccata della società dei consumi, per quanto attentamente custodita e totalmente occultata, è la trasformazione dei consumatori in merce”.

Già, proprio così. Per chi da anni osserva lo strano mondo in cui viviamo con l'occhio lucido dello studioso il responso è inequivocabile: siamo merce. D'altronde era inevitabile. È l'altro lato di quella stessa moneta che ci fornisce, da una quarantina d'anni a questa parte, una libertà di acquisto senza precedenti.

Tutto ebbe inizio nei primi anni Settanta, quando un vento di novità che spirava da oltreoceano portò fino in Europa un nuovo stile di vita. Per la prima volta nella storia, l'attività principale della vita dell'uomo non ruotava più attorno alla produzione, bensì al consumo. È questa – nelle parole del grande polacco – la svolta che conduce la cosiddetta modernità solida nelle braccia melliflue della post-modernità, o modernità liquida.

Consumismo, mercato, deregolamentazione, liberalizzazioni, sono le parole del momento, che invocano un mondo senza leggi né regole prestabilite, eccezion fatta per una: ogni dinamica o relazione, fra soggetti o oggetti, deve essere regolata esclusivamente dal libero flusso di denaro. Via le pastoie delle convenzioni sociali, via la routine e la tradizione, via le istituzioni e persino gli stati nazione: nessuna legge scritta o remora morale si dovrà opporre allo scambio di moneta sonante.

Così, questi sconvolgimenti epocali che come gocce di miele sul barattolo colano dall'alto dei rapporti fra nazioni fino a sciogliere i legami secolari fra individui, hanno un altro effetto non da poco. Ci abituano a considerare tutto alla stregua di una merce da scegliere fra le tante.

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Per tutta la nostra esistenza abbiamo a che fare con prodotti che dobbiamo scegliere nel minor tempo possibile, sull'onda di un capriccio o di un vezzo momentaneo

Riflettiamoci. Per tutta la nostra esistenza abbiamo a che fare con prodotti che dobbiamo scegliere nel minor tempo possibile, sull'onda di un capriccio o di un vezzo momentaneo. Dagli scaffali dei supermercati decine di merci simili ci accecano con colori sgargianti, ci corteggiano come pavoni con la coda spiegata sperando di essere scelte, di primeggiare rispetto alle altre.

Noi decidiamo spesso in una frazione di secondo, senza riflettere; ma dietro a quell'atto istintivo ci sono miliardi di euro e mesi di lavoro spesi proprio per propiziare quel gesto irrazionale a favore di quel prodotto e a scapito degli altri. Di questi atti, poi, ne compiamo infiniti ogni giorno; pare proprio che le uniche scelte che ci vengono concesse in questo mondo dalle libertà infinite siano scelte di consumo.

Ad ogni modo non è il caso di perderci nei meccanismi, pur interessanti, che sottendono alle scelte individuali nell'era dei consumi. Il nocciolo a cui si vuole qui arrivare è un altro: il fatto che ci siamo trasformati noi stessi in merce. E se ad oggi ancora non esiste una borsa degli esseri umani, in cui venir quotati, è solo perché la nostra particolarità, come merce, è quella di dividerci fra vari mercati. Mi spiegherò con qualche esempio.

Pensiamo ad un social network come Facebook, o ad alcune sue versioni più 'spinte' come Netlog o Badoo. Cosa ci spinge ad inserirvi le nostre foto, le nostre informazioni personali, i nostri gusti musicali finanche alle citazioni dei nostri comici, scrittori o cantanti preferiti? Semplice: stiamo cercando di quotare noi stessi sul mercato delle relazioni sociali e amorose. Esponiamo le nostre caratteristiche migliori, ciò che ci rende unici e inimitabili, con la speranza di essere scelti da un possibile 'consumatore' di relazioni interpersonali. Al tempo stesso usiamo il social network come un grande database da spulciare alla ricerca di soggetti interessanti che corrispondano alle nostre aspettative e capricci di consumatori.

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Nei social network noi esponiamo le nostre caratteristiche migliori con la speranza di essere scelti da un possibile 'consumatore' di relazioni interpersonali

Date un'occhiata all'homepage del sito Badoo e confrontatela con la foto qui accanto: non sono poi così diverse; entrambe sono vetrine che espongono le loro merci migliori con la speranza di attirare al proprio interno il ghiotto consumatore. Ma nel caso del social network, il prezzo da pagare – sempre che lo si consideri un prezzo – per poter fare acquisti liberamente è essere esposti noi stessi. Siamo soggetti liberi di scegliere solo se accettiamo di essere merci, come dicevamo.

Ma il mercato delle relazioni sociali non è l'unico in cui collochiamo la nostra poliedrica figura. Basta cambiare piattaforma per rendersene conto. Spostiamoci su Linkedin ed ecco che avremo posizionato noi stessi sul mercato del lavoro. Chi acquista lavoro ha sul sito un'enorme database di proposte da filtrare a seconda delle esigenze; chi lo offre, o per meglio dire si offre, esalta le proprie doti per spiccare sugli altri e rendersi appetibile agli occhi dell'acquirente. E – uscendo dai confini del web – facciamo lo stesso ogni volta che inviamo un curriculum in cui descriviamo, come in un'etichetta, le nostre caratteristiche lavorative; oppure quando scegliamo con cura l'abito da indossare per un colloquio. E questo vale per ogni aspetto in cui si esprime la nostra esistenza.

Si spiegano così alcuni dilemmi dell'uomo contemporaneo. Perché le relazioni sono oggi così fragili? Probabilmente perché come per ogni merce, una volta svanita la spinta emotiva iniziale che ha portato all'acquisto si tende ad abbandonare l'usato in favore del nuovo e migliore: le infinite possibilità che si hanno davanti seducono ben più della sicurezza di ciò che si è già scelto. Il consumo necessita una rapida obsolescenza delle merci, altrimenti l'intero meccanismo s'incepperebbe. E perché poi si è così perennemente insoddisfatti? Verosimilmente perché necessitiamo uno sforzo costante per renderci appetibili come merci, e se ci adagiassimo diventeremmo obsoleti molto in fretta.

Dunque l'aspetto più dolce e piacevole della nostra esistenza ci investe nella dimensione di consumatori, nella libertà di sollazzarci, appagare i nostri capricci e placare le nostre smanie con gli acquisti spensierati. L'aspetto più duro, difficile e faticoso invece è quello che ci interessa in qualità di merce, con la continua necessità di emergere rispetto alle altre merci, di ricollocarsi verso l'alto, di arrampicarsi senza sosta e più veloci degli altri per restare in vetrina, visibili agli occhi dei consumatori.

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Come si ferma questo meccanismo che fa di ogni cosa, anche di noi stessi, una merce?

Ora è evidente che questo meccanismo è malato e va cambiato. Un sistema che in meno di mezzo secolo ha ridotto ogni cosa ad una merce, persino noi stessi – e nel frattempo, en passant, è riuscito a distruggere ecosistemi, frantumare culture, inquinare acqua, aria e terra – va fermato ad ogni costo. E qui ci scontriamo con uno dei limiti maggiori della sociologia contemporanea. Si è soliti pensare che tale sistema sia immodificabile, inattaccabile. Come mai? Perché – si dice – non esistono più centri di potere da attaccare. Il mercato è un marchingegno globale che, una volta attivato, è impossibile disinnescare o controllare, alla stregua di una fusione nucleare.

Le opzioni sono due: o questo è vero, oppure è una favola. Dal basso non è facile capire se gli enormi ingranaggi economici che ci si muovono sopra il capo – e da cui sovente dobbiamo ripararci per evitare di restarne schiacciati – siano controllati da qualcuno che sta all'altra estremità oppure facciano parte di un organismo semovente. Personalmente sono dell'avviso – mi si dia pure del complottista – che esistono persone che muovono le pesanti leve. La storia del mercato che si autoregola mi è sempre parsa una favoletta cui possono credere solo bambini ingenui ed economisti.

Un esempio. Chi regola l'emissione del denaro – generalmente una banca centrale – manovrando le leve dell'inflazione è in grado di generare crisi economiche mondiali con uno schiocco di dita; aumentando o diminuendo la quantità di liquidità in circolazione si possono decidere le sorti del mondo intero. Al tempo stesso una multinazionale è in grado facilmente di tenere in scacco una nazione, minacciando di spostare i propri investimenti e il proprio capitale. Generare crisi avrà poi l'effetto, fra gli altri, di aumentare la concentrazione economica grazie al fallimento delle piccole e medie imprese. Si riazzera tutto, i ricchi diventano ancor più ricchi e potenti e si ricomincia tutto da capo.

Ma come si ferma questo meccanismo? Non abbiamo molto in mano. Non manovriamo leve noi, abbiamo giusto una manciata di sassi e qualche fuscello, tutto quello che ci è rimasto. Ma possiamo costruirci dei paletti da conficcare al suolo. E su di essi far incastrare i macro-ingranaggi. Paletti che siano le fondamenta per ricostruire qualcosa di solido. Che dicano al mondo che non tutto è una merce.

Si potrebbe ripartire, ad esempio, dai beni comuni. Affermare che esistono ancora dei beni che vanno sottratti al mercato perché sono indispensabili per la vita delle persone. Beni come l'acqua, l'aria, il territorio, la cultura, l'energia, la salute. E via e via, a suon di paletti far inceppare tutto, sconquassare un intero sistema economico. Per arrivare un giorno a togliere dal mercato persino noi stessi.

di Andrea Degl'Innocenti

09 giugno 2011

La Federal Reserve USA ammette di non possedere oro



La notizia è di quelle importanti, anche se nei media ufficiali non troveremo traccia. Alvarez Scott, avvocato della Federal Reserve, il banco centrale degli Stati Uniti, lo scroso primo giugno, in un dibattito con il congressista republicano Ron Paul, ha ammesso che la Federal Reserve non possiede oro ed ha spiegato che l’oro ascritto al bilancio del Banco Centrale USA si riferisce a certificati in oro del 1934. Vedasi il video del dibattito in cui l'avvocato Alvarez Scott afferma che la FED non possiede oro dal 1934.



Nel 1934, la legge sulle riserve in oro, obbligò la Federal Reserve, il banco centrale USA a consegnare tutto il suo oro al Ministero del Tesoro, ottenendo in cambio certificati in oro, equivalenti al valore dell’oro consegnato a prezzo del 1934; tale valore è stato rivalutato negli anni successivi, ma attualmente è fermo dal 1973 a 42,22 dollari l’oncia.

A parte la possibilità per la FED di demandare il Tesoro, significa che il dollaro emesso dalla FED dal 1934 in poi non è mai stato supportato dall’oro. Ossia, il valore reale del dollaro è da considerarsi decisamente inferiore a quello che tutti credono proprio perchè non ha nessun supporto in oro.

Il dollaro negli ultimi quarant’anni è stato stampato in quantità enormemente superiore al supporto in oro che si credeva in possesso alla FED; adesso si scopre che la FED non possiede alcun oro, quindi il dollaro è supportatato da un bel niente! Conclusione: vale ancora meno di quanto si potesse immaginare.

In sostanza il dollaro, la moneta USA, nel 1944 era diventata la unica moneta utilizzata negli scambi internazionali in virtù del fatto che con gli accordi di Bretton Woods era diventata l’unica moneta convertibile in oro. Tutti i paesi del mondo per potere operare a livello internazionale si sono riempiti di dollari credendo che fosse supportato dall’oro. Il 15 agosto del 1971 gli USA decretano l’inconvertibilità dell’oro, però di fatto il dollaro non era mai stato convertibile dato che la Federal reserve non possedeva oro e non lo possiede físicamente dal 1934, come ha ammesso oggi!

Il dollaro anche dopo il 1971 continua ad essere usato come moneta internazionale grazie al fatto che il petrolio, il prodotto più importante, è scambiato in dollari, ma di fatto il dollaro è una moneta sopravvalutata e quando crollerà, cosa sempre più prossima ormai, trascinerà nel baratro gli USA e tutto l’occidente (Vedasi nostro articoloDominique Strauss-Kahn, il Fondo Monetario Internazionale, il ruolo egemonico degli Stati Uniti ed il destino di milioni di esseri umani”).

La notizia odierna della conferma ufficale che la FED non possiede oro fisico dal 1934 non fa altro che confermare che il valore del dollaro, praticamente non sopportato da un bel niente, è sopravvalutato ed è destinato a svalutarsi.

Se a ciò, aggiungiamo le voci sempre più diffuse, secondo le quali le riserve in oro degli USA, che dovrebbero ammontare a 8.133,5 tonnellate di proprietà del Tesoro e stivate a Fort Knox, sarebbero state in gran parte vendute in passato e sostituite da oro falso, ovvero tungsteno ricoperto da un leggero strato di oro (vedasi, ad esempio l’articolo di Dan Eden “Fake gold bars! What's next?”) si comprende che la fine del dollaro ed il declino degli USA è molto più vicino di quanto si possa credere.
di Attilio Folliero -