16 settembre 2012
Pound, la «Carta da visita» straccia le banche usuraie
Tornano gli scritti filosofico-economici del poeta dei "Cantos". Una denuncia del capitale molto più forte della lotta di classe
Ezra Pound
Il libro fu scritto nel 1942 dall'autore direttamente in italiano, ed ebbe una seconda edizione (in sole in mille copie) per Scheiwiller nel 1974. Pubblichiamo parte dell'introduzione di Gallesi e alcuni brani di Pound.
«S ocrate fu accusato di empietà e di voler sovvertire le leggi del suo paese; eppure non era né empio né sovversivo, e la storia successiva lo ha dimostrato. Io sono accusato di tradire il mio paese, che amo tanto quanto voi italiani amate il vostro. Ma chi, come me, agisce alla luce di una verità percepita e prevista interiormente, anticipa nel presente una realtà futura molto certa». In queste parole, tratte da un’intervista del 1955, quando era ancora detenuto con l’accusa di tradimento a Washington, nel manicomio criminale di St. Elizabeths, c’è tutta la tragica grandezza di Ezra Pound, poeta, profeta e, soprattutto, patriota americano.
Pound si è sempre considerato, infatti, un leale cittadino statunitense, fedele ai principi della Costituzione americana, che i suoi governanti avevano, invece, manipolato e sovvertito. Come era già accaduto in occasione del primo conflitto mondiale, anche nella Seconda guerra mondiale gli Usa erano stati trascinati in un conflitto non voluto, che avrebbe arricchito pochi speculatori sulla pelle di milioni di vittime.
Proprio l’inutile strage della Grande guerra, che aveva mietuto le vite di molti suoi amici artisti, spinge Ezra Pound ad abbandonare il ruolo di esteta distaccato che aveva ricoperto fino ad allora per dedicarsi allo studio delle cause delle guerre, che sono spesso legate alla speculazione: «si fanno le guerre - scriveva ancora nel 1944- per creare debiti». Così, accanto alla sua infaticabile attività di talent scout, che favorì, tra gli altri, Eliot, Joyce ed Hemingway, e mentre cerca di dare con i Cantos un poema epico nazionale all’America, Pound denuncia la «guerra perenne» tra oro e lavoro, tra chi specula e chi fatica, tra gli usurai e gli uomini liberi, e decide di schierarsi a fianco di questi ultimi, scelta mai rinnegata e di cui pagherà dignitosamente tutte le conseguenze fino alla «gabbia per gorilla» in cui fu rinchiuso nel carcere militare statunitense allestito vicino a Pisa.
Prima di giudicare qualcuno, come il poeta stesso amava ripetere, bisogna esaminare le sue idee una alla volta, e quindi è necessario avvicinarsi alle sue opere senza pregiudizi, collocandole nel contesto storico generale e in quello biografico particolare. Riproporre, oggi, la sua Cartadavisita , che Pound scrisse direttamente in italiano, è dunque, innanzitutto, un’occasione per conoscere direttamente il pensiero di Ezra Pound, e confermarne, eventualmente, la profetica attualità.
Nel 1942, quando Carta da visita viene pubblicato la prima volta, il mondo è dilaniato dalla più spaventosa guerra mai combattuta, una tragedia che Pound aveva ingenuamente cercato di evitare con tutti i mezzi, incluso un viaggio intercontinentale per incontrare il presidente Roosevelt e convincerlo dell’importanza della pace.
Oggi,l’Europa non è in guerra, ma la situazione generale non è meno drammatica; il colonialismo si è trasformato in «delocalizzazione », i signori dell’oro sono diventati operatori di Borsa, e i popoli sono sull’orlo di un tracollo economico disastroso, esattamente come Pound aveva immaginato: « Il nemico è Das Leihkapital - tuonava il 15 marzo 1942 dai microfoni di Radio Roma - . Il vostro nemico è Das Leihkapital , il Capitale preso a prestito, il capitale errante internazionale. [...] E sarebbe meglio per voi essere infettati dal tifo e dalla dissenteria e dalla nefrite, piuttosto che essere infettati da questa cecità che vi impedisce di capire QUANTO siate compromessi, quanto siate rovinati ».
Sicuramente, in quegli anni, quando molti intellettuali impegnati si baloccavano con il mito della lotta di classe, Pound doveva risultare quantomeno eccentrico, con il suo insistere nella guerra contro la speculazione finanziaria, ricordando che «una nazione che non vuole indebitarsi fa rabbia agli usurai». Oggi, invece, il suo avvertimento contro «la banca che trae beneficio dall’interesse su tutta la moneta che crea dal nulla», come recita il Canto 46 , risulta ben più efficace del rimedio allora auspicato da molti, e cioè la «dittatura del proletariato ».
I brani - La nazione non deve pagare l’affitto sul proprio credito
RisparmioAbbiamo bisogno d’un mezzo di risparmio e d’un mezzo di scambio, ma non è legge eterna che ci dobbiamo servire dello stesso mezzo per queste due funzioni diverse. La moneta affrancabile (ovvero prescrittibile) si adoprerebbe come moneta ausiliaria, mai come moneta unica. La proporzione fra la moneta consueta, e l’affrancabile, se calcolata con perizia e saggezza, potrebbe mantenere un rapporto equo e quasi invariabile fra la quantità delle merci disponibili e desiderate, e la quantità della moneta della nazione, o almeno raggiungere una stabilità di rapporti sino al grado conciliabile. Bacon ha scritto: «moneta come concime, utile solamente quando sparsa». Jackson: «il luogo più sicuro di deposito: le braghe del popolo».
SocialeIl credito è fenomeno sociale. Il credito della nazione appartiene alla nazione, e la nazione non ha necessità di pagare un affitto sul proprio credito. Non ha bisogno di prenderlo in affitto da privati. [...] La moneta è titolo e misura. Quando è metallica, viene saggiata affinché il metallo sia di finezza determinata, nonché di peso determinato. Adoprando una tale moneta siamo ancora nel dominio del baratto. Quando la moneta viene capita come titolo, sparisce il desiderio di barattare. Quando lo stato capisce il suo dovere e potere, non lascia la sua sovranità in balìa di privati irresponsabili ( o che assumono responsabilità non giustificate). È giusto dire che «la moneta lavoro» è «simbolo del lavoro». E ancor più è simbolo della collaborazione fra natura, stati e popolo che lavora. La bellezza delle immagini sulle monete antiche simboleggia, a ragione, la dignità della sovranità inerente nella responsabilità reale o imperiale. Collo sparire della bellezza numismatica coincide la corruzione dei governi.
Dichten=CondensareLa parola tedesca Dichtung significa poesia. Il verbo dichten = condensare. Per la vita, o se preferite per «la battaglia», intellettuale, abbiamo bisogno di fatti che lampeggino, e di autori che mettano gli oggetti in luce serena. L’amico Hulme ben disse: «Quello che un uomo ha veramente pensato (per sé) si scrive su un mezzo foglio. Il resto è spiegazione, dimostrazione, sviluppo». Chi non ha forti gusti non ama, e quindi non esiste.
di Luca Gallesi
12 settembre 2012
Un bankster all’attacco dei Non Allineati
Alcuni vendono falsi contrassegni dell’assicurazione dell’automobile, altri vendono a cinque euro delle banconote da venti stampate in cantina, altri ancora vendono la stessa casa a dieci diversi acquirenti o la fontana di Trevi ai turisti americani. Tutti costoro non hanno quasi mai destini radiosi: sono relegati all’emarginazione sociale, alla vita di espedienti, alle cronache nere o grottesche.
Non hanno certo la fortuna di chiamarsi Moisés Naìm cui – pur loro omologo col vizio della falsificazione – addirittura viene concessa la prima pagina dei quotidiani della stampa più “autorevole”. Ci siamo già occupati di questo personaggio, già ministro dell’industria e del commercio del governo finanziario del Venezuela pre-chavista e in seguito uomo forte della Banca Mondiale e della National Endowment for Democracy. In linea con le direttive emanate dagli istituti di cui è stato esponente, questi si è sempre fatto alfiere della destabilizzazione, attraverso campagne di disinformazione mirata, degli Stati che si trovavano in intollerabile disallineamento nei confronti delle imposizioni americano-sioniste e – attraverso di queste – della grande finanza apolide.
Questa volta ha affidato alle colonne de La Repubblica la sua opera di disinformacija. Dal titolo dell’articolo si avrebbe potuto pensare che l’Autore fosse stato illuminato da chissà quale lampo di onestà autobiografica: Quella finanza criminale che il mondo non vede. Ma già dopo poche righe questo pio pensiero si tramuta in altro. Il Naìm analizza infatti le connessioni e addirittura la coincidenza tra le organizzazioni criminali e i governi di alcuni Paesi del mondo; e quali mai saranno queste “nazioni-canaglia”? Bene, insieme alle immancabili Myanmar, Guinea-Bissau, Corea del nord e Afghanistan (ma come? non era questo un Paese “liberato”?) trovano posto soprattutto il Venezuela (evidente il risentimento dell’Autore nei confronti del suo popolo, “reo” di averlo messo su un aereo e rispedito a Washington), che viene esplicitamente accusato di narcotraffico, e la Russia, tacciata di connivenza con le organizzazioni mafiose nel lucroso commercio del gas e degli idrocarburi.
Questa – sostiene l’uomo della finanza mondiale – sarebbe “la finanza criminale che il mondo non vede”. Non certo quella delle banche usuraie che affamano i popoli di gran parte del mondo; non certo quella dei potentati che hanno costretto gli Stati a delegare ai banchieri la loro sovranità politica, economica e monetaria; non certo quella di chi strozza il lavoro dei cittadini per pagare un “debito” concepito ad arte per tenere le nazioni e i popoli alla catena; né tantomeno quella di cui sono mere emanazioni gran parte delle endemicamente corrotte classi politiche d’Occidente le cui connessioni con le organizzazioni criminali sono cosa arcinota da decenni.
No: per l’editorialista de La Repubblica questi sono filantropi, e la finanza criminale sono Chávez e Putin; e milioni di lettori, statene certi, penderanno dalle sue labbra. L’oppio dei popoli, si sa, non odora più di incenso e non suona più con salmi e litanie: lo si trova a chiare lettere sui “grandi quotidiani”, viene urlato nei tg, assume le forme del nuovo Verbo della “correttezza politica”.
di Fabrizio Fiorini
11 settembre 2012
E’ dittatura dell’alta finanza?
Nonostante continui summit europei sull’economia, è stata un’altra estate di passione sui mercati finanziari. Attacchi speculativi hanno colpito duramente i Paesi più deboli dell’UE, su tutti Grecia, Spagna e anche la nostra Italia. Mentre la situazione greca suscita enormi preoccupazioni, viste le incredibili e gravi conseguenze di una uscita della Grecia dall’euro e l’enorme costo dei continui salvataggi effettuati fino ad ora, sembra che Spagna ed Italia possano farcela all’interno delle strutture di governance esistenti. La domanda che sorge spontanea è la seguente: Spagna e Italia ce la faranno, sono troppo grandi per essere abbandonate al fallimento, ma a quale prezzo? Il prezzo di cui tenere conto, oltretutto, non è solamente quello economico. Prezzo economico in ogni caso elevatissimo: i ripetuti interventi correttivi sui conti pubblici hanno conseguenze sociali incalcolabili e soprattutto un’efficacia limitata, a causa della mancanza di credibilità dell’euro dovuta all’inadeguatezza dell’assetto istituzionale europeo. Si parla meno invece, ed è l’obiettivo di questo breve articolo considerarne le caratteristiche, di quello che potrebbe essere il prezzo politico di tutto quel che sta accadendo sui mercati finanziari.
I mercati finanziari dettano l’agenda dei governi e ne determinano la credibilità: i governi sono ormai giudicati prevalentemente per la loro abilità nel contenere la portata di attacchi speculativi mirati e per la loro credibilità proprio sui mercati finanziari internazionali. I ritmi della democrazia sono influenzati, anzi, forse suona meglio alterati, dai ritmi della finanza. I ritmi della democrazia sono i ritmi della maggioranza, della giustizia, dell’uguaglianza; i ritmi della finanza sono spesso scanditi dalla legge del più forte (a livello economico, si intende) e dunque gestiti dai pochi e non dai molti. Non si può andare alle elezioni, perché le elezioni “turberebbero” i mercati. In casi particolari, come quello italiano, questo vincolo esterno può essere anche stato utile, ma non si può non considerare la sua erroneità teoricoideologica di fondo. Può apparire esagerato parlare di dittatura della finanza, ma la notevole influenza è innegabile. Ulteriore componente di questo prezzo politico è la continua cessione di sovranità all’Europa.
A livello teorico, nulla in contrario se l’Europa venisse riformata, divenendo una realtà politica coesa ed unita (una Federazione degli Stati Europei, sulla cui esigenza poi le opinioni sono le più diverse): sarebbe il popolo europeo a scandire i ritmi della democrazia europea. A livello pratico appare evidente come il potere sia sempre più concentrato nelle mani di pochi tecnocrati europei, nominati dai governi dei singoli stati e non eletti da noi europei, dato che il Parlamento Europeo, unico organo elettivo comunitario, ha sostanzialmente solo poteri consultivi. Si è sostanzialmente innescato un circolo vizioso di recessione economica e democratica allo stesso tempo; questi due diversi tipi di recessione si alimentano a vicenda e appare auspicabile, anche se al momento ancora molto difficile, trovare una soluzione che non potrà che essere drastica, direi quasi rivoluzionaria. La teoria economica molto spesso nella pratica ha dato risultati contrastanti; più che una scienza sembra un’arte oscura la cui gestione ottima richiede il susseguirsi di determinate circostanze, spesso non prevedibili. Piuttosto che avvitarsi lentamente su se stessi, tentare un colpo di scena e scommettere fino in fondo su di una soluzione nuova (non se ne suggeriscono in questa sede, data l’estrema complessità dell’argomento) è non solo auspicabile, ma doveroso.
di Guido Franco
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16 settembre 2012
Pound, la «Carta da visita» straccia le banche usuraie
Tornano gli scritti filosofico-economici del poeta dei "Cantos". Una denuncia del capitale molto più forte della lotta di classe
Ezra Pound
Il libro fu scritto nel 1942 dall'autore direttamente in italiano, ed ebbe una seconda edizione (in sole in mille copie) per Scheiwiller nel 1974. Pubblichiamo parte dell'introduzione di Gallesi e alcuni brani di Pound.
«S ocrate fu accusato di empietà e di voler sovvertire le leggi del suo paese; eppure non era né empio né sovversivo, e la storia successiva lo ha dimostrato. Io sono accusato di tradire il mio paese, che amo tanto quanto voi italiani amate il vostro. Ma chi, come me, agisce alla luce di una verità percepita e prevista interiormente, anticipa nel presente una realtà futura molto certa». In queste parole, tratte da un’intervista del 1955, quando era ancora detenuto con l’accusa di tradimento a Washington, nel manicomio criminale di St. Elizabeths, c’è tutta la tragica grandezza di Ezra Pound, poeta, profeta e, soprattutto, patriota americano.
Pound si è sempre considerato, infatti, un leale cittadino statunitense, fedele ai principi della Costituzione americana, che i suoi governanti avevano, invece, manipolato e sovvertito. Come era già accaduto in occasione del primo conflitto mondiale, anche nella Seconda guerra mondiale gli Usa erano stati trascinati in un conflitto non voluto, che avrebbe arricchito pochi speculatori sulla pelle di milioni di vittime.
Proprio l’inutile strage della Grande guerra, che aveva mietuto le vite di molti suoi amici artisti, spinge Ezra Pound ad abbandonare il ruolo di esteta distaccato che aveva ricoperto fino ad allora per dedicarsi allo studio delle cause delle guerre, che sono spesso legate alla speculazione: «si fanno le guerre - scriveva ancora nel 1944- per creare debiti». Così, accanto alla sua infaticabile attività di talent scout, che favorì, tra gli altri, Eliot, Joyce ed Hemingway, e mentre cerca di dare con i Cantos un poema epico nazionale all’America, Pound denuncia la «guerra perenne» tra oro e lavoro, tra chi specula e chi fatica, tra gli usurai e gli uomini liberi, e decide di schierarsi a fianco di questi ultimi, scelta mai rinnegata e di cui pagherà dignitosamente tutte le conseguenze fino alla «gabbia per gorilla» in cui fu rinchiuso nel carcere militare statunitense allestito vicino a Pisa.
Prima di giudicare qualcuno, come il poeta stesso amava ripetere, bisogna esaminare le sue idee una alla volta, e quindi è necessario avvicinarsi alle sue opere senza pregiudizi, collocandole nel contesto storico generale e in quello biografico particolare. Riproporre, oggi, la sua Cartadavisita , che Pound scrisse direttamente in italiano, è dunque, innanzitutto, un’occasione per conoscere direttamente il pensiero di Ezra Pound, e confermarne, eventualmente, la profetica attualità.
Nel 1942, quando Carta da visita viene pubblicato la prima volta, il mondo è dilaniato dalla più spaventosa guerra mai combattuta, una tragedia che Pound aveva ingenuamente cercato di evitare con tutti i mezzi, incluso un viaggio intercontinentale per incontrare il presidente Roosevelt e convincerlo dell’importanza della pace.
Oggi,l’Europa non è in guerra, ma la situazione generale non è meno drammatica; il colonialismo si è trasformato in «delocalizzazione », i signori dell’oro sono diventati operatori di Borsa, e i popoli sono sull’orlo di un tracollo economico disastroso, esattamente come Pound aveva immaginato: « Il nemico è Das Leihkapital - tuonava il 15 marzo 1942 dai microfoni di Radio Roma - . Il vostro nemico è Das Leihkapital , il Capitale preso a prestito, il capitale errante internazionale. [...] E sarebbe meglio per voi essere infettati dal tifo e dalla dissenteria e dalla nefrite, piuttosto che essere infettati da questa cecità che vi impedisce di capire QUANTO siate compromessi, quanto siate rovinati ».
Sicuramente, in quegli anni, quando molti intellettuali impegnati si baloccavano con il mito della lotta di classe, Pound doveva risultare quantomeno eccentrico, con il suo insistere nella guerra contro la speculazione finanziaria, ricordando che «una nazione che non vuole indebitarsi fa rabbia agli usurai». Oggi, invece, il suo avvertimento contro «la banca che trae beneficio dall’interesse su tutta la moneta che crea dal nulla», come recita il Canto 46 , risulta ben più efficace del rimedio allora auspicato da molti, e cioè la «dittatura del proletariato ».
I brani - La nazione non deve pagare l’affitto sul proprio credito
RisparmioAbbiamo bisogno d’un mezzo di risparmio e d’un mezzo di scambio, ma non è legge eterna che ci dobbiamo servire dello stesso mezzo per queste due funzioni diverse. La moneta affrancabile (ovvero prescrittibile) si adoprerebbe come moneta ausiliaria, mai come moneta unica. La proporzione fra la moneta consueta, e l’affrancabile, se calcolata con perizia e saggezza, potrebbe mantenere un rapporto equo e quasi invariabile fra la quantità delle merci disponibili e desiderate, e la quantità della moneta della nazione, o almeno raggiungere una stabilità di rapporti sino al grado conciliabile. Bacon ha scritto: «moneta come concime, utile solamente quando sparsa». Jackson: «il luogo più sicuro di deposito: le braghe del popolo».
SocialeIl credito è fenomeno sociale. Il credito della nazione appartiene alla nazione, e la nazione non ha necessità di pagare un affitto sul proprio credito. Non ha bisogno di prenderlo in affitto da privati. [...] La moneta è titolo e misura. Quando è metallica, viene saggiata affinché il metallo sia di finezza determinata, nonché di peso determinato. Adoprando una tale moneta siamo ancora nel dominio del baratto. Quando la moneta viene capita come titolo, sparisce il desiderio di barattare. Quando lo stato capisce il suo dovere e potere, non lascia la sua sovranità in balìa di privati irresponsabili ( o che assumono responsabilità non giustificate). È giusto dire che «la moneta lavoro» è «simbolo del lavoro». E ancor più è simbolo della collaborazione fra natura, stati e popolo che lavora. La bellezza delle immagini sulle monete antiche simboleggia, a ragione, la dignità della sovranità inerente nella responsabilità reale o imperiale. Collo sparire della bellezza numismatica coincide la corruzione dei governi.
Dichten=CondensareLa parola tedesca Dichtung significa poesia. Il verbo dichten = condensare. Per la vita, o se preferite per «la battaglia», intellettuale, abbiamo bisogno di fatti che lampeggino, e di autori che mettano gli oggetti in luce serena. L’amico Hulme ben disse: «Quello che un uomo ha veramente pensato (per sé) si scrive su un mezzo foglio. Il resto è spiegazione, dimostrazione, sviluppo». Chi non ha forti gusti non ama, e quindi non esiste.
di Luca Gallesi
12 settembre 2012
Un bankster all’attacco dei Non Allineati
Alcuni vendono falsi contrassegni dell’assicurazione dell’automobile, altri vendono a cinque euro delle banconote da venti stampate in cantina, altri ancora vendono la stessa casa a dieci diversi acquirenti o la fontana di Trevi ai turisti americani. Tutti costoro non hanno quasi mai destini radiosi: sono relegati all’emarginazione sociale, alla vita di espedienti, alle cronache nere o grottesche.
Non hanno certo la fortuna di chiamarsi Moisés Naìm cui – pur loro omologo col vizio della falsificazione – addirittura viene concessa la prima pagina dei quotidiani della stampa più “autorevole”. Ci siamo già occupati di questo personaggio, già ministro dell’industria e del commercio del governo finanziario del Venezuela pre-chavista e in seguito uomo forte della Banca Mondiale e della National Endowment for Democracy. In linea con le direttive emanate dagli istituti di cui è stato esponente, questi si è sempre fatto alfiere della destabilizzazione, attraverso campagne di disinformazione mirata, degli Stati che si trovavano in intollerabile disallineamento nei confronti delle imposizioni americano-sioniste e – attraverso di queste – della grande finanza apolide.
Questa volta ha affidato alle colonne de La Repubblica la sua opera di disinformacija. Dal titolo dell’articolo si avrebbe potuto pensare che l’Autore fosse stato illuminato da chissà quale lampo di onestà autobiografica: Quella finanza criminale che il mondo non vede. Ma già dopo poche righe questo pio pensiero si tramuta in altro. Il Naìm analizza infatti le connessioni e addirittura la coincidenza tra le organizzazioni criminali e i governi di alcuni Paesi del mondo; e quali mai saranno queste “nazioni-canaglia”? Bene, insieme alle immancabili Myanmar, Guinea-Bissau, Corea del nord e Afghanistan (ma come? non era questo un Paese “liberato”?) trovano posto soprattutto il Venezuela (evidente il risentimento dell’Autore nei confronti del suo popolo, “reo” di averlo messo su un aereo e rispedito a Washington), che viene esplicitamente accusato di narcotraffico, e la Russia, tacciata di connivenza con le organizzazioni mafiose nel lucroso commercio del gas e degli idrocarburi.
Questa – sostiene l’uomo della finanza mondiale – sarebbe “la finanza criminale che il mondo non vede”. Non certo quella delle banche usuraie che affamano i popoli di gran parte del mondo; non certo quella dei potentati che hanno costretto gli Stati a delegare ai banchieri la loro sovranità politica, economica e monetaria; non certo quella di chi strozza il lavoro dei cittadini per pagare un “debito” concepito ad arte per tenere le nazioni e i popoli alla catena; né tantomeno quella di cui sono mere emanazioni gran parte delle endemicamente corrotte classi politiche d’Occidente le cui connessioni con le organizzazioni criminali sono cosa arcinota da decenni.
No: per l’editorialista de La Repubblica questi sono filantropi, e la finanza criminale sono Chávez e Putin; e milioni di lettori, statene certi, penderanno dalle sue labbra. L’oppio dei popoli, si sa, non odora più di incenso e non suona più con salmi e litanie: lo si trova a chiare lettere sui “grandi quotidiani”, viene urlato nei tg, assume le forme del nuovo Verbo della “correttezza politica”.
di Fabrizio Fiorini
11 settembre 2012
E’ dittatura dell’alta finanza?
Nonostante continui summit europei sull’economia, è stata un’altra estate di passione sui mercati finanziari. Attacchi speculativi hanno colpito duramente i Paesi più deboli dell’UE, su tutti Grecia, Spagna e anche la nostra Italia. Mentre la situazione greca suscita enormi preoccupazioni, viste le incredibili e gravi conseguenze di una uscita della Grecia dall’euro e l’enorme costo dei continui salvataggi effettuati fino ad ora, sembra che Spagna ed Italia possano farcela all’interno delle strutture di governance esistenti. La domanda che sorge spontanea è la seguente: Spagna e Italia ce la faranno, sono troppo grandi per essere abbandonate al fallimento, ma a quale prezzo? Il prezzo di cui tenere conto, oltretutto, non è solamente quello economico. Prezzo economico in ogni caso elevatissimo: i ripetuti interventi correttivi sui conti pubblici hanno conseguenze sociali incalcolabili e soprattutto un’efficacia limitata, a causa della mancanza di credibilità dell’euro dovuta all’inadeguatezza dell’assetto istituzionale europeo. Si parla meno invece, ed è l’obiettivo di questo breve articolo considerarne le caratteristiche, di quello che potrebbe essere il prezzo politico di tutto quel che sta accadendo sui mercati finanziari.
I mercati finanziari dettano l’agenda dei governi e ne determinano la credibilità: i governi sono ormai giudicati prevalentemente per la loro abilità nel contenere la portata di attacchi speculativi mirati e per la loro credibilità proprio sui mercati finanziari internazionali. I ritmi della democrazia sono influenzati, anzi, forse suona meglio alterati, dai ritmi della finanza. I ritmi della democrazia sono i ritmi della maggioranza, della giustizia, dell’uguaglianza; i ritmi della finanza sono spesso scanditi dalla legge del più forte (a livello economico, si intende) e dunque gestiti dai pochi e non dai molti. Non si può andare alle elezioni, perché le elezioni “turberebbero” i mercati. In casi particolari, come quello italiano, questo vincolo esterno può essere anche stato utile, ma non si può non considerare la sua erroneità teoricoideologica di fondo. Può apparire esagerato parlare di dittatura della finanza, ma la notevole influenza è innegabile. Ulteriore componente di questo prezzo politico è la continua cessione di sovranità all’Europa.
A livello teorico, nulla in contrario se l’Europa venisse riformata, divenendo una realtà politica coesa ed unita (una Federazione degli Stati Europei, sulla cui esigenza poi le opinioni sono le più diverse): sarebbe il popolo europeo a scandire i ritmi della democrazia europea. A livello pratico appare evidente come il potere sia sempre più concentrato nelle mani di pochi tecnocrati europei, nominati dai governi dei singoli stati e non eletti da noi europei, dato che il Parlamento Europeo, unico organo elettivo comunitario, ha sostanzialmente solo poteri consultivi. Si è sostanzialmente innescato un circolo vizioso di recessione economica e democratica allo stesso tempo; questi due diversi tipi di recessione si alimentano a vicenda e appare auspicabile, anche se al momento ancora molto difficile, trovare una soluzione che non potrà che essere drastica, direi quasi rivoluzionaria. La teoria economica molto spesso nella pratica ha dato risultati contrastanti; più che una scienza sembra un’arte oscura la cui gestione ottima richiede il susseguirsi di determinate circostanze, spesso non prevedibili. Piuttosto che avvitarsi lentamente su se stessi, tentare un colpo di scena e scommettere fino in fondo su di una soluzione nuova (non se ne suggeriscono in questa sede, data l’estrema complessità dell’argomento) è non solo auspicabile, ma doveroso.
di Guido Franco
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