21 febbraio 2008

ONU: Cavi troncati internet forse è sabotaggio!



I cavi sottomarini troncati (cinque, pare confermato) nel Golfo Persico, che per giorni hanno impedito a milioni di «navigatori» in Medio Oriente di collegarsi a Internet, e ad altri milioni di telefonare, possono aver subito «un sabotaggio»: lo ha ammesso, bontà sua, la International Telecommunication Union, l’agenzia dell’ONU con sede a Ginevra che coordina le telecom mondiali, associando 191 nazioni ed oltre 700 imprese di telecomunicazione.

«Non vogliamo anticipare i risultati delle indagini in corso, ma non escludiamo che un atto di sabotaggio deliberato sia la causa dei danni ai cavi sottomarini di due settimane fa», ha detto il capo del settore sviluppo dell’agenzia ONU, Sami al-Murshed.
Lo ha detto a margine di una conferenza sui delitti elettronici in corso nel Katar.

«Alcuni esperti dubitano della opinione prevalente, ossia che i cavi siano stati troncati da ancore di navi per incidente, dato che tali cavi giacciono a notevole profondità e la navigazione sopra di essi è vietata», ha fraseggiato prudentemente il dottor Murshed.

In realtà, la filiale indiana della FLAG (Fiber-optic link around the Globe), il consorzio che gestisce i cavi danneggiati, continua a insistere che il cavo «Falcon» è stato danneggiato da un’ancora.
Ma si tace sui motivi degli altri quattro danneggiamenti.
In generale, su tutta la misteriosa faccenda i responsabili, e anche l’ONU, dicono pochissimo.
Forse è prudenza, forse al limite della reticenza.

Per esempio, gli scarni comunicati FLAG dicono che il cavo Falcon è stato riparato, così come il FEA (Flag Europe-Asia), che era stato interrotto nel Mediterraneo, tra l’Egitto e Palermo.
Sullo stato degli altri tre cavi a fibra ottica sabotati, silenzio.
Come sull’identità dei «sabotatori».

Si può forse dire che non può trattarsi di ragazzini in vena di scherzi, o di hacker improvvisati con pinne e maschera; sicuramente i sabotatori devono essere forniti di mezzi tecnici notevoli, per operare nelle profondità marine.

Nell’ambiente, gli «incidenti» stanno facendo discutere sulla necessità di tendere nuovi cavi per aumentare la ridondanza del sistema di telecomunicazioni.
Forse, qualche grossa impresa sta per guadagnare grasse commesse dagli incidenti.
Avrà motivo di ringraziare i sabotatori.
Maurizio Blondet

20 febbraio 2008

Informazione,controllata da chi?


Ogni volta che prendiamo in mano il telecomando, per sapere che cosa è successo nel mondo, ci muoviamo ansiosi dalla Rai alla CNN alla Fox alla BBC, convinti di aver accesso a molteplici fonti, da paesi e culture diverse, per riuscire in qualche modo a mettere insiemi i frammenti del puzzle informativo.

In realtà molti hanno ormai capito che si tratta di un unico messaggio, trasmesso da dozzine di presentatori diversi, in lingue e da luoghi diversi, ciascuno incorniciato da una una grafica differente, ma perfettamente identico nella sostanza, ovunque nel mondo.

Ma come può avvenire – meccanicamente, intendo dire, nella realtà quotidiana - la propagazione effettiva di questo “messaggio unificato”, che sarebbe confezionato a monte della messa in onda? Dove nasce la notizia originale, chi decide quale debba essere, e in che modo costui riesce ad imporla con tale apparente facilità al mondo intero, praticamente nello stesso istante?

E’ davvero possibile che esista “un signore” (o un gruppo ristretto), seduto in qualche oscuro bugigattolo dei famosi “piani alti”, che analizza sistematicamente le notizie in arrivo, le manipola, e fa diffondere solo quelle che ha deciso lui, nel modo e con il taglio che vuole lui?

Se davvero esistesse questo “centro unificato di controllo”, come fa l’informazione mondiale a raggiungerlo in primo luogo? Se infatti i canali mainstream (i nostri televisori) rappresentano solo la fase di “uscita”, cioè l’emissione della notizia già manipolata, attraverso quali canali arriva al “bugigattolo” la notizia reale, “in entrata”?

Dobbiamo forse immaginare che tutti i reporter del mondo abbiano nel cellulare un “numero segreto”, da chiamare ogni volta che ritengono un fatto degno di essere riportato? Oppure, se non tutti i reporter - che sarebbe ovviamente assurdo – almeno tutti i direttori delle grandi testate mondiali?

Ve lo vedete, l’inviato di Chicago che chiama il direttore della CNN ad Atlanta e dice “Pare che ci fosse in atto un tentativo di far esplodere la Sears Tower, da parte di un gruppo di terroristi islamici. Che faccio, direttore, indago?” “Aspetta un attimo”, gli risponde il direttore, il quale telefona di nascosto al “Grande Vecchio” e gli chiede: “Può interessarle un tentativo di far esplodere la Sears Tower da parte di un gruppo di terroristi islamici?” “Uhm, sì sì, molto interessante. Manda, manda, che poi ti faccio sapere io come ne devi parlare”.

Proviamo davvero a immaginarlo, questo “centro di potere occulto”, un bugigattolo con mille linee telefoniche che viene tempestato ininterrottamente da tutti i direttori di testata mondiali, i quali cercano nello stesso momento di fargli avere le informazioni reali, “prima” che vengano manipolate e diffuse sui canali mainstream: poichè le news viaggiano in tempo reale, e nel mondo succede costantemente di tutto, ci vorrebbero come minimo venti batterie di telefoniste che ricevono, filtrano e riorganizzano le informazioni, per poi passarle ai livelli superiori.

I ”Grandi Vecchi” saranno anche potentissimi, ma di orecchie ne hanno due come tutti gli altri.

Se quindi quel bugigattolo esistesse, non potrebbe che avere le sembianze di una vera e propria redazione - come appunto quella della CNN - dove arrivano in continuazione informazioni da tutto il mondo, e vengono filtrate, riorganizzate e reindirizzate ai livelli superiori, prima di essere elaborate per la messa in onda.

E ai piani alti c’è il direttore, che già di suo normalmente filtra, scarta, seleziona, e modifica le notizia, prima che venga messa in onda. Lo fa perchè quello è il suo ruolo, ed è stato messo lì per quello.

Ma la “catena” della manipolazione si ferma lì, deve farlo per forza: la stessa notizia infatti arriva contemporaneamente alla Fox come alla Rai come alla BBC, e queste non aspettano certo la CNN per sapere cosa raccontare ai loro telespettatori, ma anzi cercano di batterla sul tempo, per fare bella figura con gli sponsor e incassare più soldi al rinnovo del contratto. Come fare allora ad accertarsi che esca contemporaneamente lo stesso messaggio in tutto il mondo, manipolato con la stessa angolazione e omologato in misura tale da essere effettivamente uno solo?

In realtà non c’è alcun bisogno di un Grande Vecchio, che passi le giornate a decidere di cosa debbano parlare le tv di tutto il mondo, perchè il sistema stesso è congegnato in modo da fare che ciò avvenga.

Due fatti, apparentemente non correlati, ci aiutano a capire meglio come funzioni l’attuale sistema di informazione mondiale, un baraccone rumoroso e appariscente, ma del tutto privo di sostanza.

Il primo fatto riguarda la retata mondiale antimafia avvenuta pochi giorni fa. Il giorno prima che si diffondesse la notizia, ho ricevuto da parte di un nostro iscritto una email che diceva:

“Ti scrivo per raccontarti un fatto che mi ha inquietato: qualche ora fa (alle 21.00 circa) ero seduto al tavolo di un bar in una zona centrale di Roma e al tavolo accanto c'era una signora che parlava al cellulare con un'amica. Non ho potuto fare a meno di origliare ed ecco cosa è venuto fuori: detta signora è una giornalista delle reti Sky (purtroppo non ha detto il suo nome), e ad un certo punto ha invitato la sua amica a seguire il suo intervento DOMANI alle 16.00 circa, spiegandole che succederà qualcosa di grosso tra Stati Uniti e Sicilia e lei, se non ho capito male, commenterà o comunque si occuperà di questo fatto sul sito di Sky (credo Sky TG). E' sembrato che l'amica chiedesse maggiori informazioni riguardo quello che deve accadere, ma la giornalista ha risposto (accortasi che stavo ascoltando) che non poteva dirglielo e di aspettare semplicemente domani.“

Che cosa significa tutto questo? Che il nostro amico si era per caso seduto proprio accanto al Grande Vecchio (con sembianze femminili, in quel caso), oppure accanto a qualcuno che gli è particolarmente vicino?

No di certo, visto che nessuno in una posizione così importante si metterebbe ad annunciare in pubblico – e su un cellulare oltretutto – quello che dovrebbe tenere rigorosamente per sè.

E nemmeno un giornalista serio, che avesse avuto quella dritta attraverso qualche canale privilegiato, sarebbe così stupido da rivelarlo pubblicamente, invece di sfruttarlo a proprio vantaggio professionale.

Quella era sicuramente una mezzacalza qualunque, che non ha resistito alla tentazione di vantarsi con l’amica per quello che evidentemente credeva essere lo scoop del secolo. E’ invece risultato che all’ora indicata non solo Sky News, ma il mondo intero riportasse la stessa identica notizia.

Se quindi lo sapeva in anticipo una “giornalista qualunque”, vuole dire che nell’ambiente lo sapevano più o meno tutti. C’era stato cioè, a monte, il classico “leaking” da parte di chi voleva accertarsi che la notizia uscisse con il dovuto peso, e non finisse invece relegata in qualche pagina interna, coperta magari da un fatto più importante.

In altre parole: conoscendo la natura competitiva del giornalismo, il modo migliore per far uscire una notizia in grande stile è quello di comunicarla “segretamente” ad una o più testate, facendo ovviamente credere a ciascuna di essere l’unica a saperlo (da cui l’eccitamento incontenibile della signora al cellulare). A quel punto saranno loro stessi a voler uscire con la notizia per primi, marcando addirittura l’ora esatta in cui comunicheranno al mondo il fatto appena avvenuto.

Se fai questo con una dozzina di testate importanti, ti sei garantito le prime pagine di tutto il mondo, perchè a quel punto le altre seguiranno a ruota, ansiose di non fare la figura degli sprovveduti.

I media quindi condizionano prima di tutto i media stessi: soprattutto ora che c’è Internet, le varie redazioni nel mondo passano la maggior parte del tempo a riaggiornare le prime pagine delle testate concorrenti, per vedere chi si muove per primo su una certa notizia, e come lo fa. A quel punto, basta che una notizia raggiunge la soglia critica, come presenza sulle testate importanti, che le altre si adegueranno tutte automaticanente, senza una sola eccezione.

(Lo abbiamo visto anche da noi, con l’undici settembre: prima era il silenzio più impenetrabile, poi uno di loro ha osato parlarne, e di colpo tutti gli altri si sono buttati a capofitto).

Veniamo ora al secondo esempio: la famosa notizia del crollo del WTC-7, data con oltre mezz’ora di anticipo dalla BBC di Londra.

Quando si scoprì che la BBC aveva dato la notizia verso le 16.50 (l’edificio è poi crollato alle 17.25), si è subito formato in rete un fronte di complottisti “all’ultimo stadio”, che sostenevano che i media “sanno già tutto in anticipo”, e che questo episodio lo dimostrasse in maniera inequivocabile.

Naturalmente, nessuno si è domandato perchè mai il “Grande Vecchio” avrebbe avuto interesse, in quel caso, a far sapere in anticipo alle TV del crollo, quando tutte le telecamere del mondo erano già puntate sul World Trade Center, e nessuna avrebbe comunque mancato di registrarlo in diretta mondiale.

Ma c’è soprattutto una spiegazione molto più semplice, per un episodio che è solo apparentemente “misterioso e sinistro” come questo. Poichè in strada già sapevano da alcune ore che il WTC sarebbe stato demolito (ci sono diverse testimonianze in questo senso, chiare e inequivocabili), la notizia in qualche modo deve aver raggiunto la redazione della CNN, che intorno alle 16.30 ha comunicato al mondo che “un altro edificio è crollato, o sta per crollare”.

A quel punto – fra la tensione di quella giornata, la confusione generale, e la tendenza istintiva di tutti i newscasters a dare le notizie prima possibile - non è difficile immaginare come quel dubbio sia potuto diventare una certezza prima ancora che il fatto avvenisse. (Oggi la cosa fa scalpore, poichè il WTC7 appare perfettamente in piedi alle spalle dell’annunciatrice che ci informa del suo crollo, ma a quel tempo nessuno avrebbe saputo riconoscerlo da un qualunque altro grattacielo di Downtown Manhattan. Inoltre la CNN aveva parlato di “un altro edificio”, senza specificare quale).

Questo secondo episodio sembra quindi confermare sia la difficoltà pratica di controllare le notizie in tempo reale, sia una certa caratteristica del sistema di informazione, che riesce da solo a generare i mostri più spaventosi senza nemmeno rendersene conto.

Quella dell’informazione è una macchina, enorme e complicata, nella quale è sufficiente piazzare i direttori giusti al posto giusto, per vederla funzionare a meraviglia. Una volta che costoro avranno filtrato e scartato – ciascuno in maniera del tutto indipendente, ma curiosamente omogenea, visto che sono gli stessi direttori ad assomigliarsi fra di loro – sarà la macchina stessa a fornire l’energia per replicare e diffondere all’infinito quello che non potrà che apparire come un messaggio unico sin dalla partenza.

di Massimo Mazzucco

19 febbraio 2008

NANOPARTICELLE, l'intervista da non diffondere



INTERVISTA AL DOTT. MONTANARI
La pericolosità delle nanoparticelle sta gradualmente assumendo importanza agli occhi dell'opinione pubblica. L'idea di essere circondati da piccole e pericolosissime particelle in grado di generare nel nostro corpo tumori o altri gravi danni non può che allarmare e farci sentire in un certo qual modo impotenti. Ci sono persone che tendono a negare qualsiasi presunto effetto negativo sulla nostra salute e intanto noi, consumatori, ci ritroviamo sempre più confusi e incapaci di fare utili per la nostra salute.

Per questa ragione abbiamo pensato di rivolgerci ad un importante rappresentante della comunità scientifica internazione ed esperto di nanoparticelle, il Dott. Montanari, con l'obiettivo di fare chiarezza sull'argomento e svelare opinioni.
Stefano Montanari, uno dei massimi esperti di nanopatologie, malattie legate alle micro e nanoparticelle, è direttore scientifico del laboratorio "Nanodiagnostics" di Modena, un centro che si occupa di ricerca sull'inquinamento provocato da polveri inorganiche.
Purtroppo, come ha sottolineato il nostro interlocutore, sull'argomento la disinformazione è davvero diffusa; per tale ragione manteniamo l'impegno assunto con il Dott. Montanari e pubblichiamo il testo dell'intervista nella sua forma integrale.

Gentile Dott. Montanari, negli ultimi anni si comincia a sentir parlare con una certa insistenza di polveri sottili, micro e nano particelle ed effetti dannosi sulla salute. Mi pare tuttavia che persista una certa disinformazione al riguardo: ad esempio, si concede molta importanza al PM10, che lei invece giudica "una polvere grossolana", rispetto a particelle con dimensioni inferiori, meno "note" ma decisamente più nocive per l'organismo. Ritiene colpevoli i mezzi di informazione in questo senso?

Le polveri fini e finissime, intorno e al di sotto del micron, sono incomparabilmente più aggressive per la salute rispetto a quelle grossolane. La classificazione di grossolano per le PM10 non è certo mia, ma è quella corrente nei testi tecnici. Su questa diversa aggressività, molto diversa, nei fatti, tutta la scienza è d'accordo senza eccezione alcuna. La Comunità Europea ha in corso vari studi non sulla nocività di queste polveri, che è ormai notissima, ma sul meccanismo che queste seguono per essere nocive. Ad esempio, il progetto DIPNA ha a capo mia moglie, la Dott. ssa Antonietta Gatti, e coinvolge 11 centri di ricerca in 6 paesi europei per studiare il meccanismo d'ingresso delle nanopolveri nel nucleo della cellula.

Quanto ai mezzi d'informazione, fatte salve le poche, meritevoli eccezioni, lavorano solo per disinformare. Purtroppo alcuni media si valgono della collaborazione di personaggi spacciati come uomini di scienza che sono disposti a prostituirsi per quattro soldi, il che aggrava la situazione allestendo un alone di credibilità. Del resto, pensi a ciò che si faceva anni fa quando le multinazionali del tabacco affittavano "scienziati" per dimostrare che il fumo è innocuo, arrivando anche a dimostrare che serve a prevenire certe malattie come il Morbo di Parkinson. Tutto questo oggi suona grottesco, ma allora la discussione era apertissima.

I risultati delle sue ricerche - condotte insieme alla Dott. ssa Gatti - che proseguono ormai da diversi anni, hanno evidenziato come in numerosi alimenti siano presenti queste nanoparticelle, sinonimo di rischio per la salute. Può farci degli esempi?

Non voglio fare esempi di marche e di prodotti perché sono tutti legalmente considerati innocenti. La legge non tiene in alcun conto il micro e nanoparticolato che, dunque, può non solo inquinare senza problemi di sorta ma addirittura essere usato come additivo per alimenti. Cosa, quest'ultima, che viene regolarmente fatta, per esempio, ma non solo, in certi tipi di cioccolato o di gomma da masticare. Malauguratamente chi legifera è di solito indietro anni rispetto alla scienza e basta ricordare lo scempio dell'amianto bandito nel 1992 quando si conosceva da sempre la sua cancerogenicità. Anche in quel caso, media e scienziati a gettone fecero una solidissima barriera per avversare la messa fuori legge di quel terribile inquinante del cui uso sconsiderato paghiamo tuttora e pagheremo ancora per decenni le conseguenze tragiche.

A riguardo, Lei ha sempre tenuto a precisare che l'obiettivo non era colpire alcun marchio o prodotto, quanto piuttosto diffondere la consapevolezza che l'ambiente è purtroppo ricco di inquinanti. Tuttavia, credo che per alcune aziende questo aspetto potrebbe rappresentare un problema, almeno in termini di reputazione. Dopo tutto questo tempo, c'è stata qualche azienda che l'ha contattata perché interessata seriamente a contrastare il problema.

Due o tre aziende lo hanno fatto ma la cosa non ha avuto seguito. Del resto, chi glie lo fa fare? Finché tutto tace...

Secondo lei, se un'impresa consapevole di avere i propri prodotti inquinati da nanoparticelle cercasse di affrontare il problema, quali strade potrebbe percorrere? Quali precauzioni, cioè, potrebbe porre in essere per prevenire e contrastare tale inquinamento?

Si controllano le materie prime e tutte le fasi di produzione. Volendo, la cosa è ampiamente fattibile perché tecnicamente non è difficile, ma farlo è impegnativo e, dunque, fa "perdere tempo". Poi è inutile, perché i consumatori sono tenuti accuratamente nell'ignoranza e non c'è pericolo che boicottino un prodotto. È solo la cultura che può metterci una pezza.

Ha sempre affermato che sono presenti tre tipologie di inquinamento da nanoparticelle: ambientale (ovvero particelle presenti nell'ambiente), industriale (frutto del processo produttivo del prodotto), volontario (ovvero il caso in cui si aggiungano nanoparticelle volontariamente per "migliorare" l'appetibilità di un prodotto. In riferimento a quest'ultimo, avete svolto analisi in dettaglio? Sono presenti reali rischi per la salute? È quindi possibile individuare aziende che utilizzano questi metodi deliberatamente? Sarebbe perlomeno interessante comprendere se sono consapevoli dei rischi cui sottopongono i loro clienti, non trova?

Purtroppo queste indagini hanno un costo che per noi che ci autofinanziamo come possiamo è tutt'altro che irrilevante. Dunque, non riusciamo a fare analisi sistematiche. Alcune aziende, ma sono pochissime, dichiarano le aggiunte in etichetta, ma la stragrande maggioranza se ne guarda bene. Personalmente credo che siano tutte assolutamente consapevoli del problema, tanto che so per certo che alcuni pezzi grossi di certe industrie non darebbero mai i loro prodotti ai loro figli, ma, lei lo sa, gli affari sono affari.

Cosa prevede la legge, in italia e in Europa, per tali questioni? Ad esempio, consente le aggiunte citate nella domanda precedente?

La legge tace.

Se dovesse fare una classifica delle fonti di inquinamento antropiche relative alle nanoparticelle, quali sarebbero ai primi posti in termini di pericolosità per l'uomo?

Inceneritori, fonderie e traffico automobilistico, ma le fonti sono in realtà infinite.

In alcuni siti internet viene riportato che i filtri antiparticolato montati sulle auto sono in realtà uno "specchio per le allodole": trattengono le particelle PM10 quando l'auto viaggia a basse velocità (ad esempio in città), mentre "sbriciolano" queste particelle quando aumenta la velocità, liberando nell'ambiente una grande quantità di nano particelle dannose. Sulla base della sua esperienza, questa rappresentazione corrisponde alla realtà?

Non è un pettegolezzo: è esattamente quanto affermano i costruttori del prodotto. Se così fosse non le pare che anziché risolvere un problema si ottenga il solo risultato di delocalizzarlo, portando le fonti di inquinamento fuori dai grandi centri abitati, rischiando di contaminare a questo punto coltivazioni localizzate ovviamente fuori città? Quei filtri renderanno molto più aggressive le polveri diminuendone le dimensioni granulometriche e avranno anche la particolarità di aumentare i consumi di carburanti, con ciò aumentando la quantità d'inquinanti nell'ambiente.

Pensi che, per motivi geometrici elementari, con una particella da 10 micron di diametro se ne fa un milione da 0,1 micron. E ognuna di queste è infinitamente più aggressiva di quella grossolana di partenza. Il filtro fa questo. Chi, poi, usa particolari additivi per sminuzzare le polveri, introduce pure un inquinante nuovo. Per quanto riguarda l'inquinamento da nanoparticelle, questo è ormai omogeneo quasi ovunque e, dunque, città o campagna fa poca differenza.

In una sua intervista ha dichiarato che, analizzando le nanoparticelle presenti in un organismo, riuscite a risalire alle fonti dell'inquinamento. Tale aspetto dovrebbe rappresentare un campanello di allarme per alcune attività imprenditoriali, tipicamente produttrici di questi inquinanti e che espongono quindi i propri dipendenti a seri rischi per la salute? Se non sono previsti delle vigenti norme di sicurezza e igiene sul lavoro, dovrebbero forse preoccuparsene perlomeno quelle aziende che, nei loro bilanci sociali, dichiarano di prestare massima attenzione alle condizioni di lavoro dei propri dipendenti, non crede?

C'è una norma del diritto che prescrive di non far del male a nessuno. " Neminem laedere", dicevano i Latini. Questo, esista o no un particolare articolo di legge. Già qualcuno ha pagato per aver inquinato l'ambiente, ma per essere efficaci e non solo vagamente episodici occorre che la magistratura cominci a porre attenzione al problema, se non altro perché un essere che distrugge l'ambiente in cui vive è destinato ad estinguersi e questo problema è ben maggiore di tante delle sciocchezze su cui qualcuno si trastulla.

Lei ha più volte ribadito che gli inceneritori non sono assolutamente efficaci nello smaltimento dei rifiuti e che sono importanti fonti di inquinamento anche per quanto riguarda le nanoparticelle emesse durante il processo di incenerimento, che vengono disperse nell'aria. In questo senso, possiamo quindi pensare che siano a rischio, ad esempio, le coltivazioni biologiche in un raggio più o meno ampio rispetto alla presenza di un inceneritore?

Ovviamente un ambiente sporco non può che generare prodotti sporchi. Ripeto, comunque, che le nanoparticelle si diffondono omogeneamente ovunque ed è la stessa European Environment Agency, l'ente comunitario che si occupa d'inquinamento, che ce lo fa notare. Le particelle grossolane, invece, cascano a terra in un raggio di pochi chilometri, inquinando sì terra, erba, frutta e verdura, ma in maniera meno insidiosa. Insomma, porre un limite di qualche chilometro tra inceneritore e coltivazione non ha particolare senso scientifico.

Considerato peso e diametro delle nanoparticelle, non credo assolutamente sia insensato pensare che possano viaggiare spostate dal vento per molti chilometri, vanificando gli sforzi di coloro che investono per fornire prodotti di elevata qualità ai consumatori. Pensi ai pollini che hanno una massa qualche milione di volte superiore alle nanoparticelle di cui io mi occupo: qualsiasi paleontologo sa che i pollini europei si trovano al Polo Sud. Pensi alla sabbia del Sahara, relativamente pesantissima, che varca gli oceani e si trova nelle piogge rosse che conosciamo tutti. Faccia lei i suoi calcoli.

Non le pare che la tendenza potrebbe diventare quella di delocalizzare le fonti di inquinamento verso zone che offrono meno controlli?

Mi viene da pensare ai paesi in via di sviluppo o al terzo mondo. Ad esempio, nella produzione di energia non vedo molto remota la possibilità che si comincino a costruire impianti di generazione, anche inquinanti, dove nessuno si preoccuperebbe degli impatti sulla salute umana. Al contempo, questa rischia a mio parere di diventare la soluzione anche per lo smaltimento dei rifiuti, che potrebbe quindi concretizzarsi con la costruzione di inceneritori in questi luoghi.

Ha mai pensato che il Terzo Mondo siamo noi? Ha mai meditato sul perché l'Italia sta diventando terra di conquista per chi fabbrica inceneritori e non riesce a rifilarli a nessuno tranne che a noi? Il Terzo Mondo è più nei cervelli che nei portafogli e quell'arma di legittima difesa che è la cultura da noi è bandita. Dunque, siamo culturalmente Terzo Mondo. Accenda la TV, apra un giornale o entri in un'aula universitaria e si faccia lei la sua idea.
Dario Muzzarini

21 febbraio 2008

ONU: Cavi troncati internet forse è sabotaggio!



I cavi sottomarini troncati (cinque, pare confermato) nel Golfo Persico, che per giorni hanno impedito a milioni di «navigatori» in Medio Oriente di collegarsi a Internet, e ad altri milioni di telefonare, possono aver subito «un sabotaggio»: lo ha ammesso, bontà sua, la International Telecommunication Union, l’agenzia dell’ONU con sede a Ginevra che coordina le telecom mondiali, associando 191 nazioni ed oltre 700 imprese di telecomunicazione.

«Non vogliamo anticipare i risultati delle indagini in corso, ma non escludiamo che un atto di sabotaggio deliberato sia la causa dei danni ai cavi sottomarini di due settimane fa», ha detto il capo del settore sviluppo dell’agenzia ONU, Sami al-Murshed.
Lo ha detto a margine di una conferenza sui delitti elettronici in corso nel Katar.

«Alcuni esperti dubitano della opinione prevalente, ossia che i cavi siano stati troncati da ancore di navi per incidente, dato che tali cavi giacciono a notevole profondità e la navigazione sopra di essi è vietata», ha fraseggiato prudentemente il dottor Murshed.

In realtà, la filiale indiana della FLAG (Fiber-optic link around the Globe), il consorzio che gestisce i cavi danneggiati, continua a insistere che il cavo «Falcon» è stato danneggiato da un’ancora.
Ma si tace sui motivi degli altri quattro danneggiamenti.
In generale, su tutta la misteriosa faccenda i responsabili, e anche l’ONU, dicono pochissimo.
Forse è prudenza, forse al limite della reticenza.

Per esempio, gli scarni comunicati FLAG dicono che il cavo Falcon è stato riparato, così come il FEA (Flag Europe-Asia), che era stato interrotto nel Mediterraneo, tra l’Egitto e Palermo.
Sullo stato degli altri tre cavi a fibra ottica sabotati, silenzio.
Come sull’identità dei «sabotatori».

Si può forse dire che non può trattarsi di ragazzini in vena di scherzi, o di hacker improvvisati con pinne e maschera; sicuramente i sabotatori devono essere forniti di mezzi tecnici notevoli, per operare nelle profondità marine.

Nell’ambiente, gli «incidenti» stanno facendo discutere sulla necessità di tendere nuovi cavi per aumentare la ridondanza del sistema di telecomunicazioni.
Forse, qualche grossa impresa sta per guadagnare grasse commesse dagli incidenti.
Avrà motivo di ringraziare i sabotatori.
Maurizio Blondet

20 febbraio 2008

Informazione,controllata da chi?


Ogni volta che prendiamo in mano il telecomando, per sapere che cosa è successo nel mondo, ci muoviamo ansiosi dalla Rai alla CNN alla Fox alla BBC, convinti di aver accesso a molteplici fonti, da paesi e culture diverse, per riuscire in qualche modo a mettere insiemi i frammenti del puzzle informativo.

In realtà molti hanno ormai capito che si tratta di un unico messaggio, trasmesso da dozzine di presentatori diversi, in lingue e da luoghi diversi, ciascuno incorniciato da una una grafica differente, ma perfettamente identico nella sostanza, ovunque nel mondo.

Ma come può avvenire – meccanicamente, intendo dire, nella realtà quotidiana - la propagazione effettiva di questo “messaggio unificato”, che sarebbe confezionato a monte della messa in onda? Dove nasce la notizia originale, chi decide quale debba essere, e in che modo costui riesce ad imporla con tale apparente facilità al mondo intero, praticamente nello stesso istante?

E’ davvero possibile che esista “un signore” (o un gruppo ristretto), seduto in qualche oscuro bugigattolo dei famosi “piani alti”, che analizza sistematicamente le notizie in arrivo, le manipola, e fa diffondere solo quelle che ha deciso lui, nel modo e con il taglio che vuole lui?

Se davvero esistesse questo “centro unificato di controllo”, come fa l’informazione mondiale a raggiungerlo in primo luogo? Se infatti i canali mainstream (i nostri televisori) rappresentano solo la fase di “uscita”, cioè l’emissione della notizia già manipolata, attraverso quali canali arriva al “bugigattolo” la notizia reale, “in entrata”?

Dobbiamo forse immaginare che tutti i reporter del mondo abbiano nel cellulare un “numero segreto”, da chiamare ogni volta che ritengono un fatto degno di essere riportato? Oppure, se non tutti i reporter - che sarebbe ovviamente assurdo – almeno tutti i direttori delle grandi testate mondiali?

Ve lo vedete, l’inviato di Chicago che chiama il direttore della CNN ad Atlanta e dice “Pare che ci fosse in atto un tentativo di far esplodere la Sears Tower, da parte di un gruppo di terroristi islamici. Che faccio, direttore, indago?” “Aspetta un attimo”, gli risponde il direttore, il quale telefona di nascosto al “Grande Vecchio” e gli chiede: “Può interessarle un tentativo di far esplodere la Sears Tower da parte di un gruppo di terroristi islamici?” “Uhm, sì sì, molto interessante. Manda, manda, che poi ti faccio sapere io come ne devi parlare”.

Proviamo davvero a immaginarlo, questo “centro di potere occulto”, un bugigattolo con mille linee telefoniche che viene tempestato ininterrottamente da tutti i direttori di testata mondiali, i quali cercano nello stesso momento di fargli avere le informazioni reali, “prima” che vengano manipolate e diffuse sui canali mainstream: poichè le news viaggiano in tempo reale, e nel mondo succede costantemente di tutto, ci vorrebbero come minimo venti batterie di telefoniste che ricevono, filtrano e riorganizzano le informazioni, per poi passarle ai livelli superiori.

I ”Grandi Vecchi” saranno anche potentissimi, ma di orecchie ne hanno due come tutti gli altri.

Se quindi quel bugigattolo esistesse, non potrebbe che avere le sembianze di una vera e propria redazione - come appunto quella della CNN - dove arrivano in continuazione informazioni da tutto il mondo, e vengono filtrate, riorganizzate e reindirizzate ai livelli superiori, prima di essere elaborate per la messa in onda.

E ai piani alti c’è il direttore, che già di suo normalmente filtra, scarta, seleziona, e modifica le notizia, prima che venga messa in onda. Lo fa perchè quello è il suo ruolo, ed è stato messo lì per quello.

Ma la “catena” della manipolazione si ferma lì, deve farlo per forza: la stessa notizia infatti arriva contemporaneamente alla Fox come alla Rai come alla BBC, e queste non aspettano certo la CNN per sapere cosa raccontare ai loro telespettatori, ma anzi cercano di batterla sul tempo, per fare bella figura con gli sponsor e incassare più soldi al rinnovo del contratto. Come fare allora ad accertarsi che esca contemporaneamente lo stesso messaggio in tutto il mondo, manipolato con la stessa angolazione e omologato in misura tale da essere effettivamente uno solo?

In realtà non c’è alcun bisogno di un Grande Vecchio, che passi le giornate a decidere di cosa debbano parlare le tv di tutto il mondo, perchè il sistema stesso è congegnato in modo da fare che ciò avvenga.

Due fatti, apparentemente non correlati, ci aiutano a capire meglio come funzioni l’attuale sistema di informazione mondiale, un baraccone rumoroso e appariscente, ma del tutto privo di sostanza.

Il primo fatto riguarda la retata mondiale antimafia avvenuta pochi giorni fa. Il giorno prima che si diffondesse la notizia, ho ricevuto da parte di un nostro iscritto una email che diceva:

“Ti scrivo per raccontarti un fatto che mi ha inquietato: qualche ora fa (alle 21.00 circa) ero seduto al tavolo di un bar in una zona centrale di Roma e al tavolo accanto c'era una signora che parlava al cellulare con un'amica. Non ho potuto fare a meno di origliare ed ecco cosa è venuto fuori: detta signora è una giornalista delle reti Sky (purtroppo non ha detto il suo nome), e ad un certo punto ha invitato la sua amica a seguire il suo intervento DOMANI alle 16.00 circa, spiegandole che succederà qualcosa di grosso tra Stati Uniti e Sicilia e lei, se non ho capito male, commenterà o comunque si occuperà di questo fatto sul sito di Sky (credo Sky TG). E' sembrato che l'amica chiedesse maggiori informazioni riguardo quello che deve accadere, ma la giornalista ha risposto (accortasi che stavo ascoltando) che non poteva dirglielo e di aspettare semplicemente domani.“

Che cosa significa tutto questo? Che il nostro amico si era per caso seduto proprio accanto al Grande Vecchio (con sembianze femminili, in quel caso), oppure accanto a qualcuno che gli è particolarmente vicino?

No di certo, visto che nessuno in una posizione così importante si metterebbe ad annunciare in pubblico – e su un cellulare oltretutto – quello che dovrebbe tenere rigorosamente per sè.

E nemmeno un giornalista serio, che avesse avuto quella dritta attraverso qualche canale privilegiato, sarebbe così stupido da rivelarlo pubblicamente, invece di sfruttarlo a proprio vantaggio professionale.

Quella era sicuramente una mezzacalza qualunque, che non ha resistito alla tentazione di vantarsi con l’amica per quello che evidentemente credeva essere lo scoop del secolo. E’ invece risultato che all’ora indicata non solo Sky News, ma il mondo intero riportasse la stessa identica notizia.

Se quindi lo sapeva in anticipo una “giornalista qualunque”, vuole dire che nell’ambiente lo sapevano più o meno tutti. C’era stato cioè, a monte, il classico “leaking” da parte di chi voleva accertarsi che la notizia uscisse con il dovuto peso, e non finisse invece relegata in qualche pagina interna, coperta magari da un fatto più importante.

In altre parole: conoscendo la natura competitiva del giornalismo, il modo migliore per far uscire una notizia in grande stile è quello di comunicarla “segretamente” ad una o più testate, facendo ovviamente credere a ciascuna di essere l’unica a saperlo (da cui l’eccitamento incontenibile della signora al cellulare). A quel punto saranno loro stessi a voler uscire con la notizia per primi, marcando addirittura l’ora esatta in cui comunicheranno al mondo il fatto appena avvenuto.

Se fai questo con una dozzina di testate importanti, ti sei garantito le prime pagine di tutto il mondo, perchè a quel punto le altre seguiranno a ruota, ansiose di non fare la figura degli sprovveduti.

I media quindi condizionano prima di tutto i media stessi: soprattutto ora che c’è Internet, le varie redazioni nel mondo passano la maggior parte del tempo a riaggiornare le prime pagine delle testate concorrenti, per vedere chi si muove per primo su una certa notizia, e come lo fa. A quel punto, basta che una notizia raggiunge la soglia critica, come presenza sulle testate importanti, che le altre si adegueranno tutte automaticanente, senza una sola eccezione.

(Lo abbiamo visto anche da noi, con l’undici settembre: prima era il silenzio più impenetrabile, poi uno di loro ha osato parlarne, e di colpo tutti gli altri si sono buttati a capofitto).

Veniamo ora al secondo esempio: la famosa notizia del crollo del WTC-7, data con oltre mezz’ora di anticipo dalla BBC di Londra.

Quando si scoprì che la BBC aveva dato la notizia verso le 16.50 (l’edificio è poi crollato alle 17.25), si è subito formato in rete un fronte di complottisti “all’ultimo stadio”, che sostenevano che i media “sanno già tutto in anticipo”, e che questo episodio lo dimostrasse in maniera inequivocabile.

Naturalmente, nessuno si è domandato perchè mai il “Grande Vecchio” avrebbe avuto interesse, in quel caso, a far sapere in anticipo alle TV del crollo, quando tutte le telecamere del mondo erano già puntate sul World Trade Center, e nessuna avrebbe comunque mancato di registrarlo in diretta mondiale.

Ma c’è soprattutto una spiegazione molto più semplice, per un episodio che è solo apparentemente “misterioso e sinistro” come questo. Poichè in strada già sapevano da alcune ore che il WTC sarebbe stato demolito (ci sono diverse testimonianze in questo senso, chiare e inequivocabili), la notizia in qualche modo deve aver raggiunto la redazione della CNN, che intorno alle 16.30 ha comunicato al mondo che “un altro edificio è crollato, o sta per crollare”.

A quel punto – fra la tensione di quella giornata, la confusione generale, e la tendenza istintiva di tutti i newscasters a dare le notizie prima possibile - non è difficile immaginare come quel dubbio sia potuto diventare una certezza prima ancora che il fatto avvenisse. (Oggi la cosa fa scalpore, poichè il WTC7 appare perfettamente in piedi alle spalle dell’annunciatrice che ci informa del suo crollo, ma a quel tempo nessuno avrebbe saputo riconoscerlo da un qualunque altro grattacielo di Downtown Manhattan. Inoltre la CNN aveva parlato di “un altro edificio”, senza specificare quale).

Questo secondo episodio sembra quindi confermare sia la difficoltà pratica di controllare le notizie in tempo reale, sia una certa caratteristica del sistema di informazione, che riesce da solo a generare i mostri più spaventosi senza nemmeno rendersene conto.

Quella dell’informazione è una macchina, enorme e complicata, nella quale è sufficiente piazzare i direttori giusti al posto giusto, per vederla funzionare a meraviglia. Una volta che costoro avranno filtrato e scartato – ciascuno in maniera del tutto indipendente, ma curiosamente omogenea, visto che sono gli stessi direttori ad assomigliarsi fra di loro – sarà la macchina stessa a fornire l’energia per replicare e diffondere all’infinito quello che non potrà che apparire come un messaggio unico sin dalla partenza.

di Massimo Mazzucco

19 febbraio 2008

NANOPARTICELLE, l'intervista da non diffondere



INTERVISTA AL DOTT. MONTANARI
La pericolosità delle nanoparticelle sta gradualmente assumendo importanza agli occhi dell'opinione pubblica. L'idea di essere circondati da piccole e pericolosissime particelle in grado di generare nel nostro corpo tumori o altri gravi danni non può che allarmare e farci sentire in un certo qual modo impotenti. Ci sono persone che tendono a negare qualsiasi presunto effetto negativo sulla nostra salute e intanto noi, consumatori, ci ritroviamo sempre più confusi e incapaci di fare utili per la nostra salute.

Per questa ragione abbiamo pensato di rivolgerci ad un importante rappresentante della comunità scientifica internazione ed esperto di nanoparticelle, il Dott. Montanari, con l'obiettivo di fare chiarezza sull'argomento e svelare opinioni.
Stefano Montanari, uno dei massimi esperti di nanopatologie, malattie legate alle micro e nanoparticelle, è direttore scientifico del laboratorio "Nanodiagnostics" di Modena, un centro che si occupa di ricerca sull'inquinamento provocato da polveri inorganiche.
Purtroppo, come ha sottolineato il nostro interlocutore, sull'argomento la disinformazione è davvero diffusa; per tale ragione manteniamo l'impegno assunto con il Dott. Montanari e pubblichiamo il testo dell'intervista nella sua forma integrale.

Gentile Dott. Montanari, negli ultimi anni si comincia a sentir parlare con una certa insistenza di polveri sottili, micro e nano particelle ed effetti dannosi sulla salute. Mi pare tuttavia che persista una certa disinformazione al riguardo: ad esempio, si concede molta importanza al PM10, che lei invece giudica "una polvere grossolana", rispetto a particelle con dimensioni inferiori, meno "note" ma decisamente più nocive per l'organismo. Ritiene colpevoli i mezzi di informazione in questo senso?

Le polveri fini e finissime, intorno e al di sotto del micron, sono incomparabilmente più aggressive per la salute rispetto a quelle grossolane. La classificazione di grossolano per le PM10 non è certo mia, ma è quella corrente nei testi tecnici. Su questa diversa aggressività, molto diversa, nei fatti, tutta la scienza è d'accordo senza eccezione alcuna. La Comunità Europea ha in corso vari studi non sulla nocività di queste polveri, che è ormai notissima, ma sul meccanismo che queste seguono per essere nocive. Ad esempio, il progetto DIPNA ha a capo mia moglie, la Dott. ssa Antonietta Gatti, e coinvolge 11 centri di ricerca in 6 paesi europei per studiare il meccanismo d'ingresso delle nanopolveri nel nucleo della cellula.

Quanto ai mezzi d'informazione, fatte salve le poche, meritevoli eccezioni, lavorano solo per disinformare. Purtroppo alcuni media si valgono della collaborazione di personaggi spacciati come uomini di scienza che sono disposti a prostituirsi per quattro soldi, il che aggrava la situazione allestendo un alone di credibilità. Del resto, pensi a ciò che si faceva anni fa quando le multinazionali del tabacco affittavano "scienziati" per dimostrare che il fumo è innocuo, arrivando anche a dimostrare che serve a prevenire certe malattie come il Morbo di Parkinson. Tutto questo oggi suona grottesco, ma allora la discussione era apertissima.

I risultati delle sue ricerche - condotte insieme alla Dott. ssa Gatti - che proseguono ormai da diversi anni, hanno evidenziato come in numerosi alimenti siano presenti queste nanoparticelle, sinonimo di rischio per la salute. Può farci degli esempi?

Non voglio fare esempi di marche e di prodotti perché sono tutti legalmente considerati innocenti. La legge non tiene in alcun conto il micro e nanoparticolato che, dunque, può non solo inquinare senza problemi di sorta ma addirittura essere usato come additivo per alimenti. Cosa, quest'ultima, che viene regolarmente fatta, per esempio, ma non solo, in certi tipi di cioccolato o di gomma da masticare. Malauguratamente chi legifera è di solito indietro anni rispetto alla scienza e basta ricordare lo scempio dell'amianto bandito nel 1992 quando si conosceva da sempre la sua cancerogenicità. Anche in quel caso, media e scienziati a gettone fecero una solidissima barriera per avversare la messa fuori legge di quel terribile inquinante del cui uso sconsiderato paghiamo tuttora e pagheremo ancora per decenni le conseguenze tragiche.

A riguardo, Lei ha sempre tenuto a precisare che l'obiettivo non era colpire alcun marchio o prodotto, quanto piuttosto diffondere la consapevolezza che l'ambiente è purtroppo ricco di inquinanti. Tuttavia, credo che per alcune aziende questo aspetto potrebbe rappresentare un problema, almeno in termini di reputazione. Dopo tutto questo tempo, c'è stata qualche azienda che l'ha contattata perché interessata seriamente a contrastare il problema.

Due o tre aziende lo hanno fatto ma la cosa non ha avuto seguito. Del resto, chi glie lo fa fare? Finché tutto tace...

Secondo lei, se un'impresa consapevole di avere i propri prodotti inquinati da nanoparticelle cercasse di affrontare il problema, quali strade potrebbe percorrere? Quali precauzioni, cioè, potrebbe porre in essere per prevenire e contrastare tale inquinamento?

Si controllano le materie prime e tutte le fasi di produzione. Volendo, la cosa è ampiamente fattibile perché tecnicamente non è difficile, ma farlo è impegnativo e, dunque, fa "perdere tempo". Poi è inutile, perché i consumatori sono tenuti accuratamente nell'ignoranza e non c'è pericolo che boicottino un prodotto. È solo la cultura che può metterci una pezza.

Ha sempre affermato che sono presenti tre tipologie di inquinamento da nanoparticelle: ambientale (ovvero particelle presenti nell'ambiente), industriale (frutto del processo produttivo del prodotto), volontario (ovvero il caso in cui si aggiungano nanoparticelle volontariamente per "migliorare" l'appetibilità di un prodotto. In riferimento a quest'ultimo, avete svolto analisi in dettaglio? Sono presenti reali rischi per la salute? È quindi possibile individuare aziende che utilizzano questi metodi deliberatamente? Sarebbe perlomeno interessante comprendere se sono consapevoli dei rischi cui sottopongono i loro clienti, non trova?

Purtroppo queste indagini hanno un costo che per noi che ci autofinanziamo come possiamo è tutt'altro che irrilevante. Dunque, non riusciamo a fare analisi sistematiche. Alcune aziende, ma sono pochissime, dichiarano le aggiunte in etichetta, ma la stragrande maggioranza se ne guarda bene. Personalmente credo che siano tutte assolutamente consapevoli del problema, tanto che so per certo che alcuni pezzi grossi di certe industrie non darebbero mai i loro prodotti ai loro figli, ma, lei lo sa, gli affari sono affari.

Cosa prevede la legge, in italia e in Europa, per tali questioni? Ad esempio, consente le aggiunte citate nella domanda precedente?

La legge tace.

Se dovesse fare una classifica delle fonti di inquinamento antropiche relative alle nanoparticelle, quali sarebbero ai primi posti in termini di pericolosità per l'uomo?

Inceneritori, fonderie e traffico automobilistico, ma le fonti sono in realtà infinite.

In alcuni siti internet viene riportato che i filtri antiparticolato montati sulle auto sono in realtà uno "specchio per le allodole": trattengono le particelle PM10 quando l'auto viaggia a basse velocità (ad esempio in città), mentre "sbriciolano" queste particelle quando aumenta la velocità, liberando nell'ambiente una grande quantità di nano particelle dannose. Sulla base della sua esperienza, questa rappresentazione corrisponde alla realtà?

Non è un pettegolezzo: è esattamente quanto affermano i costruttori del prodotto. Se così fosse non le pare che anziché risolvere un problema si ottenga il solo risultato di delocalizzarlo, portando le fonti di inquinamento fuori dai grandi centri abitati, rischiando di contaminare a questo punto coltivazioni localizzate ovviamente fuori città? Quei filtri renderanno molto più aggressive le polveri diminuendone le dimensioni granulometriche e avranno anche la particolarità di aumentare i consumi di carburanti, con ciò aumentando la quantità d'inquinanti nell'ambiente.

Pensi che, per motivi geometrici elementari, con una particella da 10 micron di diametro se ne fa un milione da 0,1 micron. E ognuna di queste è infinitamente più aggressiva di quella grossolana di partenza. Il filtro fa questo. Chi, poi, usa particolari additivi per sminuzzare le polveri, introduce pure un inquinante nuovo. Per quanto riguarda l'inquinamento da nanoparticelle, questo è ormai omogeneo quasi ovunque e, dunque, città o campagna fa poca differenza.

In una sua intervista ha dichiarato che, analizzando le nanoparticelle presenti in un organismo, riuscite a risalire alle fonti dell'inquinamento. Tale aspetto dovrebbe rappresentare un campanello di allarme per alcune attività imprenditoriali, tipicamente produttrici di questi inquinanti e che espongono quindi i propri dipendenti a seri rischi per la salute? Se non sono previsti delle vigenti norme di sicurezza e igiene sul lavoro, dovrebbero forse preoccuparsene perlomeno quelle aziende che, nei loro bilanci sociali, dichiarano di prestare massima attenzione alle condizioni di lavoro dei propri dipendenti, non crede?

C'è una norma del diritto che prescrive di non far del male a nessuno. " Neminem laedere", dicevano i Latini. Questo, esista o no un particolare articolo di legge. Già qualcuno ha pagato per aver inquinato l'ambiente, ma per essere efficaci e non solo vagamente episodici occorre che la magistratura cominci a porre attenzione al problema, se non altro perché un essere che distrugge l'ambiente in cui vive è destinato ad estinguersi e questo problema è ben maggiore di tante delle sciocchezze su cui qualcuno si trastulla.

Lei ha più volte ribadito che gli inceneritori non sono assolutamente efficaci nello smaltimento dei rifiuti e che sono importanti fonti di inquinamento anche per quanto riguarda le nanoparticelle emesse durante il processo di incenerimento, che vengono disperse nell'aria. In questo senso, possiamo quindi pensare che siano a rischio, ad esempio, le coltivazioni biologiche in un raggio più o meno ampio rispetto alla presenza di un inceneritore?

Ovviamente un ambiente sporco non può che generare prodotti sporchi. Ripeto, comunque, che le nanoparticelle si diffondono omogeneamente ovunque ed è la stessa European Environment Agency, l'ente comunitario che si occupa d'inquinamento, che ce lo fa notare. Le particelle grossolane, invece, cascano a terra in un raggio di pochi chilometri, inquinando sì terra, erba, frutta e verdura, ma in maniera meno insidiosa. Insomma, porre un limite di qualche chilometro tra inceneritore e coltivazione non ha particolare senso scientifico.

Considerato peso e diametro delle nanoparticelle, non credo assolutamente sia insensato pensare che possano viaggiare spostate dal vento per molti chilometri, vanificando gli sforzi di coloro che investono per fornire prodotti di elevata qualità ai consumatori. Pensi ai pollini che hanno una massa qualche milione di volte superiore alle nanoparticelle di cui io mi occupo: qualsiasi paleontologo sa che i pollini europei si trovano al Polo Sud. Pensi alla sabbia del Sahara, relativamente pesantissima, che varca gli oceani e si trova nelle piogge rosse che conosciamo tutti. Faccia lei i suoi calcoli.

Non le pare che la tendenza potrebbe diventare quella di delocalizzare le fonti di inquinamento verso zone che offrono meno controlli?

Mi viene da pensare ai paesi in via di sviluppo o al terzo mondo. Ad esempio, nella produzione di energia non vedo molto remota la possibilità che si comincino a costruire impianti di generazione, anche inquinanti, dove nessuno si preoccuperebbe degli impatti sulla salute umana. Al contempo, questa rischia a mio parere di diventare la soluzione anche per lo smaltimento dei rifiuti, che potrebbe quindi concretizzarsi con la costruzione di inceneritori in questi luoghi.

Ha mai pensato che il Terzo Mondo siamo noi? Ha mai meditato sul perché l'Italia sta diventando terra di conquista per chi fabbrica inceneritori e non riesce a rifilarli a nessuno tranne che a noi? Il Terzo Mondo è più nei cervelli che nei portafogli e quell'arma di legittima difesa che è la cultura da noi è bandita. Dunque, siamo culturalmente Terzo Mondo. Accenda la TV, apra un giornale o entri in un'aula universitaria e si faccia lei la sua idea.
Dario Muzzarini