23 luglio 2008


Curioso: ogni tanto il Giornale Radio dell’emittente di stato fa passare una notizia in un’edizione di primo mattino e poi la notizia scompare, apparentemente inghiottita in un buco nero.

Stessa cosa accade in certe edizioni antelucane dei giornali, e tutto questo frettoloso svanire è sintomo dell’importanza della notizia.
Se qualcuno si preoccupa di censurare, non servono commenti perché il fatto parla da sé: "Scusate il contrattempo: il popolo bue non deve sapere." Valga per tutte la pudica censura agl’incidenti, ultimamente piuttosto frequenti, a carico d’impianti nucleari qua e là per il mondo le cui nuove sono divulgate in modo quasi clandestino da media fuori dei giri di potere e, dunque, di scarsa diffusione.
Ora, restando nella categoria di notizie, salta fuori per un attimo fuggente che le nostre riserve di grano coprono sì e no sei mesi del fabbisogno nazionale e che noi siamo dipendenti dall’estero a questo riguardo.
Strano, potrebbe pensare chi ha avuto modo di ascoltare le dotte, più che convincenti disamine di scienziati e politici sul tema degl’impianti a biomasse. A quanto mi era parso di capire, anche per essere stato presente ad alcune di queste esternazioni, gli agricoltori non sanno che cosa coltivare e sono entusiasti di legarsi nella buona e nella cattiva sorte (ma la casta ci tranquillizza tutti: la sorte cattiva non ci sarà) a chi farà loro coltivare vegetali destinati ad essere bruciati sull’altare di un’energia di cui, ci giurano, abbiamo sempre più bisogno.
E il grano? Non si può perdere tempo con il grano quando ci si può occupare di argomenti ben più redditizi che richiedono la costruzione d’impianti con appalti, subappalti, permessi, concessioni, consulenze…

Un’altra notizia che è durata quanto una bolla di sapone è stata quella relativa alla meteorologia delle Olimpiadi ormai alle porte.
Al flop preannunciato, i cinesi non vogliono aggiungere l’aggravante della pioggia, e allora ecco la grande idea: spariamo in atmosfera enormi quantità di ioduro d’argento, facciamo cadere la pioggia adesso (lo ioduro d’argento provoca il fenomeno) e così, dall’8 agosto in poi, avremo tempo asciutto assicurato.
Al di là del ragionamento che a me, che pure di meteorologia non so nulla, appare a dir poco balzano, mi chiedo come si possa pensare di appestare un’aria, peraltro già tra le più mefitiche del mondo (io l’ho respirata per quasi un mese e non mi sono divertito), con un sale d’argento che, dopo aver aleggiato per un po’ sopra le teste, dovrà per forza ricadere a terra con tutte le fin troppo ovvie conseguenze su ambiente e salute come c’insegna chi ha devastato il Danubio in quella maniera. Un dubbio ulteriore mi viene, poi, dal fatto che lo ioduro d’argento costa caro e che i cinesi potrebbero optare per qualcosa d’altro.

Se, poi, si fa mente locale sul fatto che noi importiamo grandi quantità di prodotti agricoli, soprattutto orticoli, dalla Cina, e che laggiù si usano fertilizzanti e pesticidi di cui sarebbe quanto mai opportuno sapere di più, ecco che aggiungere ai vegetali anche iodio e argento (o altro?) potrebbe far sorgere qualche ulteriore perplessità.

È vero che, dopotutto, tornando al colpo di genio degl’impianti a biomasse, si prevede l’importazione di navi su navi cariche di olio di palma in cui ci sta di tutto un po’ e, dunque, introdurremo nella nostra aria chissà quante migliaia di tonnellate di porcherie recapitateci direttamente dall’Estremo Oriente. Ed è altrettanto vero che cementifici nostrani importano anch’essi, sempre senza che il solito popolo ne sia sufficientemente informato, navi su navi di pet coke (la feccia della lavorazione del petrolio) da oltre-Atlantico, non contenti di quello prodotto dalle nostre raffinerie, per essere bruciato e per poi esserci rifilato come residuo incenerito mescolato al cemento insieme con altre polveri sulle quali pare sia meglio non indagare. Quindi, ormai, i nostri organismi sono equiparati per ragion di stato a cloache in cui si scarica tutto quanto residua come prodotto collaterale dai business della nostra malavita (politica, impresa, accademia…)

A questo punto mi permetto di dare un consiglio modestissimo ai nostri malavitosi di regime: fate come si faceva nella Prima Repubblica. Anche allora si facevano porcate, si rubava, si corrompeva, si facevano, insomma, gli affari propri infischiandosi del bene comune. Infischiandosene fino ad un certo punto, però, e lì sta il segreto. Se voi continuerete così, a derubarci, a farci ammalare, a devastare il nostro patrimonio, a dilapidare risorse, a fare terra bruciata intorno a voi, a raccontarci balle, a trattarci come idioti, finirà che non avrete più di che ingrassarvi. Se non altro perché non ci sarà più niente.

E certo non avrete di che tramandare il vostro parassitismo ai vostri figli come si fa ora in tanti àmbiti, accademia in primis (e da lì deriva il collasso culturale di cui ci subiamo la vergogna a livello planetario), ma anche nella politica, nella funzione di stato, nel mondo dell’informazione… Fate come i vostri predecessori: rubate con misura e, se la cosa non suonasse buffa, con rispetto, perché se non ci sarà più niente per noi, prima o poi la festa sarà finita anche per voi e per le ambizioni dei vostri eredi.

di Stefano Montanari

La crisi la stella e l´ignorata bussola della sostenibilità.

I tentativi per riaccendere i consumi piuttosto sopiti in questa fase di crisi economica (su cui gli stessi economisti non hanno molto le idee chiare né sull’esito né su quali strumenti siano più adeguati per uscirne) si moltiplicano in tutti i settori. Dall’anticipazione dei saldi estivi nei negozi di abbigliamento, al lancio di nuovi prodotti a settembre su cui già lavorano le agenzie di comunicazione e marketing. Perché, se si può fare a meno di qualche grado più in giù di temperatura per far lavorare meno i condizionatori nelle aziende (più per non pagare bollette da capogiro che per una aumentata coscienza ecologica) alla pubblicità non si rinuncia. Quello della pubblicità ( da non confondere con la comunicazione ) è infatti un settore che risente della crisi dei consumi in maniera esattamente opposta: maggiore è la flessione sui consumi, maggiore è il rilancio in termini pubblicitari per farli ripartire.

«In momenti difficili le imprese guadagnano le quote di mercato perché ci sono più spazi» afferma il presidente dei pubblicitari Lorenzo Sassoli a conferma che l’unica ricetta che si propone per far ripartire la crescita economica è quella di far ripartire i consumi interni e che quindi la pubblicità è essenziale allo scopo.

Una ricetta vecchia e poco lungimirante, potremmo dire, mentre lo è assai di più, e molto più fresca, quella che propone in un intervista al Sole 24 ore Pasquale Pistorio, un imprenditore di vecchio stampo ma di idee niente affatto datate. Parlando di strategie energetiche, a parte bollare come insostenibile tornare al nucleare ( semmai si deve investire di più sulla quarta generazione dice Pistorio) la formula magica che indica è «costituita dal mettere insieme tre soggetti e tre strumenti» e continua spiegando che «i tre soggetti sono le istituzioni, le istruzioni e i cittadini e i tre strumenti sono gli incentivi sul passato, la normativa sul futuro e l’educazione».

Una formula che in effetti se bene impostata permetterebbe di avviare percorsi interessanti-almeno dal punto di vista energetico- che avrebbero il vantaggio di essere utili per l’ambiente , per l’economia e in più avrebbero un valore pedagogico per i cittadini. Ma non sembra comprendere (o condividere) questa formula il governo, che nella manovra finanziaria prevede di togliere anche quello che il precedente governo aveva cominciato ad inserire in tal senso: così può infatti essere letta la cancellazione della certificazione energetica degli edifici, ad esempio, introdotta nella scorsa finanziaria.

Ha altre idee il governo per aprire squarci in una situazione che anche stamani è stata descritta con toni assai pessimisti dal ministro dell’economia Giulio Tremonti, nel corso del suo intervento sul decreto legge sulla manovra finanziaria nell´aula di Montecitorio. «La crisi economica in atto nel mondo e nell´Italia può aggravarsi» e la sua ricetta è quella di continuare sulla strada della Robin tax, che –giura- non avrà ricadute negative sulle famiglie.
E che i quattro miliardi di entrate aggiuntive che si calcola deriveranno dalla tassa «andranno tutti al settore sociale». In che modo, ancora non è dato sapere, ma come più volte annunciato dovrebbero essere sconti sulla spesa in negozi convenzionati (che è cosa assai diversa dall’orientare i consumi in direzione della sostenibilità).

Insomma quello che appare piuttosto diffuso, oltre ad una aurea di pessimismo generalizzato, è la riproposizione di vecchi schemi e vecchi modelli per superare i problemi che quegli stessi schemi e quelli stessi modelli hanno generato. Un approccio che non solo non tiene minimamente di conto del fatto che esiste un indiscutibile limite fisico al tipo di sviluppo fino ad oggi praticato (limite che viene evidenziato ormai in maniera inequivocabile da segnali empirici quotidiani) ma che è ormai destinato a produrre - al massimo - prospettive come quelle descritte sul sole 24 ore di oggi da Martin Wolf: ovvero incertezza.

Affidandosi alla sorte per uscire dalla tempesta. La ricetta cui si affidavano anche i marinai che si sono avventurati per la prima volta in mare con gusci di legno. Se questo deve essere, non c’è allora bisogno di scomodare il gotha dell’economia. Basta sperare nella propria stella.


di Lucia Venturi

La sinistra, il lupanere e i lenoni...



Che cos’è la sinistra? Un lupanare con troppi lenoni dove ci si fa la guerra per ragioni nient’affatto nobili e che, di sicuro, nulla hanno a che vedere con la tanto declamata questione morale. Veltroni è ormai un vaso di coccio tra vasi di ferro, sbanda pericolosamente ad ogni refolo che annuncia la resa dei conti. La sua è una sorte già segnata: andrà presto in frantumi stritolato tra il bombardatore di professione D’Alema e il redivivo Rutelli.


La sinistra radicale, bordello in editio minor ma con tutti i difetti della partitocrazia italica (tessere false, congressi simili a guerre per la spartizione del bottino e lacrime di coccodrillo per i diseredati), addebita il suo disastro elettorale a Walter l’africano, reo di averle tolto l’osso parlamentare, dopo tanto servire la causa dei banchieri e degli industriali più decotti. In verità, di una cosa dobbiamo ringraziare l’ex sindaco di Roma, di aver fatto emergere, una volta per tutte, la vera pasta di cui sono fatti questi comunisti: toccategli l’argent e i posti a sedere in parlamento e diverranno come bestie feroci.


Tutti vorrebbero fare la festa a Walter-Vuoto-Pneumatico (sembra il nome di un pistolero ma è solo quello di un "pistola") mentre lui resiste aggrappato a Di Pietro (nonostante qualche timida presa di distanza a causa dello stile agreste di costui che stride con lo spirito cosmopolita del primo), l’unico che gli fornisce un tema, l’antiberlusconismo, per serrare i ranghi in momento così critico. E' giunta l'ora del redde rationem e Walter non se la caverà certo con gli anglicismi.


Credo che sul duo Veltroni-Di Pietro la definizione migliore l’abbia data, ancora una volta, l’indomito Cossiga: «Veltroni è un bravo ragazzo, la faccia ce l’ha. Sa parlare bene, perché non dice nulla: la mattina può essere di destra e la sera di sinistra. Mette tutto insieme, anche l’operaio con la più bieca Confindustria. Beh, anche se io sono un po’ terzomondista e certe cose non vorrei dirle, Veltroni farebbe meglio ad andarsene in Africa come aveva detto”…“Di Pietro, gli voglio bene... È un totale ignorante, un demagogo e un perfetto cretino”.


Come andrà a finire la guerra tra correnti nel Pd è presto detto, D’Alema riprenderà in mano le redini del partito perché lo vogliono i poteri forti, lo vogliono gli americani e lo auspica una maggioranza di governo che avrà bisogno di una sponda di dialogo con l’opposizione, in previsione di una crisi italiana (economica, politica, sociale) che sarà devastante e ingovernabile.


La normalizzazione del quadro politico dipende, in parte, dagli uomini “ragionevoli” che siedono da una parte e dall’altra degli schieramenti. Quando Berlusconi deciderà di ritirarsi dalla vita politica (prima lo fa, meglio è per lui) questi potranno trovare l’assetto migliore per servire i padroni di sempre (GF & ID e lorsignori d’oltreoceano). Chissà se nel frattempo l’Italia intera non avrà trovato il mondo di mandarli tutti a gambe all’aria.


Godetevi allora questa lucida analisi sullo stato di putrescenza della sinistra, scritta da un riformista che, per frequentazione annosa, conosce bene i suoi polli.



Così il Pd è andato in fumo (fonte: Il Giornale)
di Peppino Caldarola

Se vi piacciono i giochi di guerra, dal Risiko al Game-Boy dei ragazzini, venite con me e vi farò vedere gli eserciti in battaglia della sinistra. Se non vi piacciono, seguitemi nella Torre di Babele della sinistra, vi tradurrò i linguaggi e i gesti. Vi girerà la testa, ma tenetevi forte, vi porterò al centro del sisma in pochi minuti.




A sinistra nulla è come lo abbiamo conosciuto, nulla è rimasto integro, nella sinistra più radicale fino a quella più moderata. La nuova vittoria di Berlusconi ha fatto deflagrare un mondo che si era unito solo perché c’era lui. Il Vaffa di Grillo a piazza Navona, con il coro di Guzzanti, Travaglio e Di Pietro, ha dato il segnale del redde rationem. Come ogni mappa che si rispetti partiremo dal bordo più lontano per raggiungere il centro della pergamena.


L’area più di sinistra della sinistra si è divisa quando c’era Prodi. Lo scontro fra Francesco Caruso e Casarini, con tanto di torta in faccia, e le liti fra i No-Tav, dicono quanto lo spirito di scissione sia penetrato anche là dove non è mai arrivato il pensiero. Poco più in là, la Sinistra Arcobaleno è tutto un fumare di macerie. C’è Oliviero Diliberto che vuole ricostruire il comunismo e ha sentito l’impellente bisogno di farlo partecipando alla manifestazione di Di Pietro. Il radicalismo di Oliviero non è bastato a Marco Rizzo, il pelato onnipresente in tv, che vorrebbe un partito più comunista di quanto si sia mai dato vedere. Ma Grillo è intervenuto anche su questa molecola separando la senatrice Palermi da Oliviero e da Marco. Così da un partito mignon, che intanto piange la fuga dello storico Tranfaglia, nasceranno una serie di sette clandestinissime.
Rifondazione ha preso dal voto il colpo storico. Fuori dal Parlamento i rifondaroli scoprono che non possono più stare assieme. L’ex ministro Ferrero, rigido valdese, non vuole avere nulla a che fare con Bertinotti che intanto incorona Nichi Vendola per salvare se stesso e l’ex segretario Franco Giordano. I congressi di Rifondazione si svolgono fra risse, contumelie e annullamenti. Forse si finirà in tribunale, sicuramente da una Rifondazione sola, fra qualche giorno, ne avremo almeno due. La débâcle del micro-partito di Mussi ha partorito una nuova leadership, Claudio Fava, deputato europeo, sulla carta più vicino a Veltroni, ma l’impatto con la piazza di Beppe Grillo sospinge anche questo raggruppamento verso l’annichilimento totale. I Verdi si sforzano di far dimenticare Pecoraro Scanio e la «monnezza» napoletana. Anche qui ci si spacca come una mela con un gruppo più disinvolto capeggiato da Paolo Cento e i verdi-verdi di Grazia Francescato.
Un po’ più a destra troviamo i socialisti del nuovo Ps, che dimenticato nell’anticamera di una palestra Enrico Boselli, cercano la strada più facile per entrare in quel Pd veltroniano da cui molti scappano. Sul fronte opposto c’è la galassia dipietrista, l’unica destra che è riuscita a sequestrare la sinistra dopo il fascismo. Di Pietro è un mondo a sé. Attorno a lui si sono aggregati quello che restava dei vecchi girotondi, i ds dissidenti, i giornali che vivono e prosperano sulla guerra civile italiana, da Repubblica all’Unità. Berlusconi ha dato da vivere anche a loro, ai loro libri e dvd. Sembrava un mondo compatto in grado di partire all’assalto della sinistra riformista, invece il Risiko nostrano ha sfrantumato anche questa fragile aggregazione. Da un lato Travaglio, Di Pietro, la Guzzanti, dall’altra il fondatore Nanni Moretti, in compagnia di due girotondini pentiti, Furio Colombo ed Ezio Mauro.



Quest’ultimo nome segnala, nella guerra civile generalizzata, una specifica battaglia che si combatte nel giornalismo di sinistra. La rutelliana Europa, diretta da Stefano Menichini, si contrappone all’Unità di Antonio Padellaro in procinto di lasciare la direzione all’ex inviata di Repubblica Concita De Gregorio. Europa attacca l’Unità che risponde invelenita, mentre Ezio Mauro chiede a Gad Lerner e Edmondo Berselli di staccare il giornale del principe Caracciolo e di De Benedetti da un mondo girotondino che il direttore di Repubblica aveva convocato in piazza irritando i lettori riformisti.
Al centro della mappa c’è l’isola del Tesoro, cioè il Pd, con il suo 32% di voti che i duellanti che combattono in periferia vorrebbero conquistare e che gli indigeni si preparano a devastare con la più cruenta guerra civile. Nel Pd ho contato, come ha riferito Paola Setti in un divertente articolo pubblicato dal Giornale, almeno 17 correnti. La fusione fredda fra due partiti, Ds e Margherita, ha prodotto quasi venti partitini l’uno all’assalto dell’altro. Non è necessario elencare tutti gli eserciti in lotta né i nomi dei signori della guerra. Al centro della disputa c’è la leadership di Veltroni. Il segretario del Pd è forse il primo leader italiano che, nel giro di dieci mesi, ha rovesciato completamente la propria linea politica. Era per la fine dell’antiberlusconismo e ha ripreso la lotta senza quartiere al Cavaliere, era per l’alleanza con Di Pietro e ora la revoca, era contro l’assemblaggio con i partiti minori e fa accattonaggio con Vendola, Nencini e Claudio Fava, per tacere di Casini. Era per il sistema elettorale spagnolo e accetterà quello tedesco. Questo tipo di guerra esalta la figura di Massimo D’Alema che con la sua ReD (Riformisti e Democratici) ha creato un partito nel partito esattamente come ha fatto Rutelli con la sua associazione Glocus. La posta in gioco è la guida del Pd. La domanda vera è se il Pd esisterà dopo le elezioni europee.
Le Grandi Guerre finiscono dopo decenni con accordi di ferro. Accadrà lo stesso alla guerra civile nella sinistra? Può darsi che Veltroni ce la faccia, può darsi che D’Alema riprenda il potere, può accadere che Rutelli se ne vada con Casini, ci sarà un leader che darà una patria comune a tutti i cespugli della sinistra radicale. Sembra di essere di fronte alla sinistra francese prima di Mitterrand, tutti contro tutti. Ma c’è un Mitterrand italiano? Se vi viene un nome fatemelo sapere. Al momento, dopo la guerra c’è solo la guerra. La vostra guida si arrende di fronte al campo di battaglia devastato.

di Giovanni Petrosillo/Peppino Caldarola




23 luglio 2008


Curioso: ogni tanto il Giornale Radio dell’emittente di stato fa passare una notizia in un’edizione di primo mattino e poi la notizia scompare, apparentemente inghiottita in un buco nero.

Stessa cosa accade in certe edizioni antelucane dei giornali, e tutto questo frettoloso svanire è sintomo dell’importanza della notizia.
Se qualcuno si preoccupa di censurare, non servono commenti perché il fatto parla da sé: "Scusate il contrattempo: il popolo bue non deve sapere." Valga per tutte la pudica censura agl’incidenti, ultimamente piuttosto frequenti, a carico d’impianti nucleari qua e là per il mondo le cui nuove sono divulgate in modo quasi clandestino da media fuori dei giri di potere e, dunque, di scarsa diffusione.
Ora, restando nella categoria di notizie, salta fuori per un attimo fuggente che le nostre riserve di grano coprono sì e no sei mesi del fabbisogno nazionale e che noi siamo dipendenti dall’estero a questo riguardo.
Strano, potrebbe pensare chi ha avuto modo di ascoltare le dotte, più che convincenti disamine di scienziati e politici sul tema degl’impianti a biomasse. A quanto mi era parso di capire, anche per essere stato presente ad alcune di queste esternazioni, gli agricoltori non sanno che cosa coltivare e sono entusiasti di legarsi nella buona e nella cattiva sorte (ma la casta ci tranquillizza tutti: la sorte cattiva non ci sarà) a chi farà loro coltivare vegetali destinati ad essere bruciati sull’altare di un’energia di cui, ci giurano, abbiamo sempre più bisogno.
E il grano? Non si può perdere tempo con il grano quando ci si può occupare di argomenti ben più redditizi che richiedono la costruzione d’impianti con appalti, subappalti, permessi, concessioni, consulenze…

Un’altra notizia che è durata quanto una bolla di sapone è stata quella relativa alla meteorologia delle Olimpiadi ormai alle porte.
Al flop preannunciato, i cinesi non vogliono aggiungere l’aggravante della pioggia, e allora ecco la grande idea: spariamo in atmosfera enormi quantità di ioduro d’argento, facciamo cadere la pioggia adesso (lo ioduro d’argento provoca il fenomeno) e così, dall’8 agosto in poi, avremo tempo asciutto assicurato.
Al di là del ragionamento che a me, che pure di meteorologia non so nulla, appare a dir poco balzano, mi chiedo come si possa pensare di appestare un’aria, peraltro già tra le più mefitiche del mondo (io l’ho respirata per quasi un mese e non mi sono divertito), con un sale d’argento che, dopo aver aleggiato per un po’ sopra le teste, dovrà per forza ricadere a terra con tutte le fin troppo ovvie conseguenze su ambiente e salute come c’insegna chi ha devastato il Danubio in quella maniera. Un dubbio ulteriore mi viene, poi, dal fatto che lo ioduro d’argento costa caro e che i cinesi potrebbero optare per qualcosa d’altro.

Se, poi, si fa mente locale sul fatto che noi importiamo grandi quantità di prodotti agricoli, soprattutto orticoli, dalla Cina, e che laggiù si usano fertilizzanti e pesticidi di cui sarebbe quanto mai opportuno sapere di più, ecco che aggiungere ai vegetali anche iodio e argento (o altro?) potrebbe far sorgere qualche ulteriore perplessità.

È vero che, dopotutto, tornando al colpo di genio degl’impianti a biomasse, si prevede l’importazione di navi su navi cariche di olio di palma in cui ci sta di tutto un po’ e, dunque, introdurremo nella nostra aria chissà quante migliaia di tonnellate di porcherie recapitateci direttamente dall’Estremo Oriente. Ed è altrettanto vero che cementifici nostrani importano anch’essi, sempre senza che il solito popolo ne sia sufficientemente informato, navi su navi di pet coke (la feccia della lavorazione del petrolio) da oltre-Atlantico, non contenti di quello prodotto dalle nostre raffinerie, per essere bruciato e per poi esserci rifilato come residuo incenerito mescolato al cemento insieme con altre polveri sulle quali pare sia meglio non indagare. Quindi, ormai, i nostri organismi sono equiparati per ragion di stato a cloache in cui si scarica tutto quanto residua come prodotto collaterale dai business della nostra malavita (politica, impresa, accademia…)

A questo punto mi permetto di dare un consiglio modestissimo ai nostri malavitosi di regime: fate come si faceva nella Prima Repubblica. Anche allora si facevano porcate, si rubava, si corrompeva, si facevano, insomma, gli affari propri infischiandosi del bene comune. Infischiandosene fino ad un certo punto, però, e lì sta il segreto. Se voi continuerete così, a derubarci, a farci ammalare, a devastare il nostro patrimonio, a dilapidare risorse, a fare terra bruciata intorno a voi, a raccontarci balle, a trattarci come idioti, finirà che non avrete più di che ingrassarvi. Se non altro perché non ci sarà più niente.

E certo non avrete di che tramandare il vostro parassitismo ai vostri figli come si fa ora in tanti àmbiti, accademia in primis (e da lì deriva il collasso culturale di cui ci subiamo la vergogna a livello planetario), ma anche nella politica, nella funzione di stato, nel mondo dell’informazione… Fate come i vostri predecessori: rubate con misura e, se la cosa non suonasse buffa, con rispetto, perché se non ci sarà più niente per noi, prima o poi la festa sarà finita anche per voi e per le ambizioni dei vostri eredi.

di Stefano Montanari

La crisi la stella e l´ignorata bussola della sostenibilità.

I tentativi per riaccendere i consumi piuttosto sopiti in questa fase di crisi economica (su cui gli stessi economisti non hanno molto le idee chiare né sull’esito né su quali strumenti siano più adeguati per uscirne) si moltiplicano in tutti i settori. Dall’anticipazione dei saldi estivi nei negozi di abbigliamento, al lancio di nuovi prodotti a settembre su cui già lavorano le agenzie di comunicazione e marketing. Perché, se si può fare a meno di qualche grado più in giù di temperatura per far lavorare meno i condizionatori nelle aziende (più per non pagare bollette da capogiro che per una aumentata coscienza ecologica) alla pubblicità non si rinuncia. Quello della pubblicità ( da non confondere con la comunicazione ) è infatti un settore che risente della crisi dei consumi in maniera esattamente opposta: maggiore è la flessione sui consumi, maggiore è il rilancio in termini pubblicitari per farli ripartire.

«In momenti difficili le imprese guadagnano le quote di mercato perché ci sono più spazi» afferma il presidente dei pubblicitari Lorenzo Sassoli a conferma che l’unica ricetta che si propone per far ripartire la crescita economica è quella di far ripartire i consumi interni e che quindi la pubblicità è essenziale allo scopo.

Una ricetta vecchia e poco lungimirante, potremmo dire, mentre lo è assai di più, e molto più fresca, quella che propone in un intervista al Sole 24 ore Pasquale Pistorio, un imprenditore di vecchio stampo ma di idee niente affatto datate. Parlando di strategie energetiche, a parte bollare come insostenibile tornare al nucleare ( semmai si deve investire di più sulla quarta generazione dice Pistorio) la formula magica che indica è «costituita dal mettere insieme tre soggetti e tre strumenti» e continua spiegando che «i tre soggetti sono le istituzioni, le istruzioni e i cittadini e i tre strumenti sono gli incentivi sul passato, la normativa sul futuro e l’educazione».

Una formula che in effetti se bene impostata permetterebbe di avviare percorsi interessanti-almeno dal punto di vista energetico- che avrebbero il vantaggio di essere utili per l’ambiente , per l’economia e in più avrebbero un valore pedagogico per i cittadini. Ma non sembra comprendere (o condividere) questa formula il governo, che nella manovra finanziaria prevede di togliere anche quello che il precedente governo aveva cominciato ad inserire in tal senso: così può infatti essere letta la cancellazione della certificazione energetica degli edifici, ad esempio, introdotta nella scorsa finanziaria.

Ha altre idee il governo per aprire squarci in una situazione che anche stamani è stata descritta con toni assai pessimisti dal ministro dell’economia Giulio Tremonti, nel corso del suo intervento sul decreto legge sulla manovra finanziaria nell´aula di Montecitorio. «La crisi economica in atto nel mondo e nell´Italia può aggravarsi» e la sua ricetta è quella di continuare sulla strada della Robin tax, che –giura- non avrà ricadute negative sulle famiglie.
E che i quattro miliardi di entrate aggiuntive che si calcola deriveranno dalla tassa «andranno tutti al settore sociale». In che modo, ancora non è dato sapere, ma come più volte annunciato dovrebbero essere sconti sulla spesa in negozi convenzionati (che è cosa assai diversa dall’orientare i consumi in direzione della sostenibilità).

Insomma quello che appare piuttosto diffuso, oltre ad una aurea di pessimismo generalizzato, è la riproposizione di vecchi schemi e vecchi modelli per superare i problemi che quegli stessi schemi e quelli stessi modelli hanno generato. Un approccio che non solo non tiene minimamente di conto del fatto che esiste un indiscutibile limite fisico al tipo di sviluppo fino ad oggi praticato (limite che viene evidenziato ormai in maniera inequivocabile da segnali empirici quotidiani) ma che è ormai destinato a produrre - al massimo - prospettive come quelle descritte sul sole 24 ore di oggi da Martin Wolf: ovvero incertezza.

Affidandosi alla sorte per uscire dalla tempesta. La ricetta cui si affidavano anche i marinai che si sono avventurati per la prima volta in mare con gusci di legno. Se questo deve essere, non c’è allora bisogno di scomodare il gotha dell’economia. Basta sperare nella propria stella.


di Lucia Venturi

La sinistra, il lupanere e i lenoni...



Che cos’è la sinistra? Un lupanare con troppi lenoni dove ci si fa la guerra per ragioni nient’affatto nobili e che, di sicuro, nulla hanno a che vedere con la tanto declamata questione morale. Veltroni è ormai un vaso di coccio tra vasi di ferro, sbanda pericolosamente ad ogni refolo che annuncia la resa dei conti. La sua è una sorte già segnata: andrà presto in frantumi stritolato tra il bombardatore di professione D’Alema e il redivivo Rutelli.


La sinistra radicale, bordello in editio minor ma con tutti i difetti della partitocrazia italica (tessere false, congressi simili a guerre per la spartizione del bottino e lacrime di coccodrillo per i diseredati), addebita il suo disastro elettorale a Walter l’africano, reo di averle tolto l’osso parlamentare, dopo tanto servire la causa dei banchieri e degli industriali più decotti. In verità, di una cosa dobbiamo ringraziare l’ex sindaco di Roma, di aver fatto emergere, una volta per tutte, la vera pasta di cui sono fatti questi comunisti: toccategli l’argent e i posti a sedere in parlamento e diverranno come bestie feroci.


Tutti vorrebbero fare la festa a Walter-Vuoto-Pneumatico (sembra il nome di un pistolero ma è solo quello di un "pistola") mentre lui resiste aggrappato a Di Pietro (nonostante qualche timida presa di distanza a causa dello stile agreste di costui che stride con lo spirito cosmopolita del primo), l’unico che gli fornisce un tema, l’antiberlusconismo, per serrare i ranghi in momento così critico. E' giunta l'ora del redde rationem e Walter non se la caverà certo con gli anglicismi.


Credo che sul duo Veltroni-Di Pietro la definizione migliore l’abbia data, ancora una volta, l’indomito Cossiga: «Veltroni è un bravo ragazzo, la faccia ce l’ha. Sa parlare bene, perché non dice nulla: la mattina può essere di destra e la sera di sinistra. Mette tutto insieme, anche l’operaio con la più bieca Confindustria. Beh, anche se io sono un po’ terzomondista e certe cose non vorrei dirle, Veltroni farebbe meglio ad andarsene in Africa come aveva detto”…“Di Pietro, gli voglio bene... È un totale ignorante, un demagogo e un perfetto cretino”.


Come andrà a finire la guerra tra correnti nel Pd è presto detto, D’Alema riprenderà in mano le redini del partito perché lo vogliono i poteri forti, lo vogliono gli americani e lo auspica una maggioranza di governo che avrà bisogno di una sponda di dialogo con l’opposizione, in previsione di una crisi italiana (economica, politica, sociale) che sarà devastante e ingovernabile.


La normalizzazione del quadro politico dipende, in parte, dagli uomini “ragionevoli” che siedono da una parte e dall’altra degli schieramenti. Quando Berlusconi deciderà di ritirarsi dalla vita politica (prima lo fa, meglio è per lui) questi potranno trovare l’assetto migliore per servire i padroni di sempre (GF & ID e lorsignori d’oltreoceano). Chissà se nel frattempo l’Italia intera non avrà trovato il mondo di mandarli tutti a gambe all’aria.


Godetevi allora questa lucida analisi sullo stato di putrescenza della sinistra, scritta da un riformista che, per frequentazione annosa, conosce bene i suoi polli.



Così il Pd è andato in fumo (fonte: Il Giornale)
di Peppino Caldarola

Se vi piacciono i giochi di guerra, dal Risiko al Game-Boy dei ragazzini, venite con me e vi farò vedere gli eserciti in battaglia della sinistra. Se non vi piacciono, seguitemi nella Torre di Babele della sinistra, vi tradurrò i linguaggi e i gesti. Vi girerà la testa, ma tenetevi forte, vi porterò al centro del sisma in pochi minuti.




A sinistra nulla è come lo abbiamo conosciuto, nulla è rimasto integro, nella sinistra più radicale fino a quella più moderata. La nuova vittoria di Berlusconi ha fatto deflagrare un mondo che si era unito solo perché c’era lui. Il Vaffa di Grillo a piazza Navona, con il coro di Guzzanti, Travaglio e Di Pietro, ha dato il segnale del redde rationem. Come ogni mappa che si rispetti partiremo dal bordo più lontano per raggiungere il centro della pergamena.


L’area più di sinistra della sinistra si è divisa quando c’era Prodi. Lo scontro fra Francesco Caruso e Casarini, con tanto di torta in faccia, e le liti fra i No-Tav, dicono quanto lo spirito di scissione sia penetrato anche là dove non è mai arrivato il pensiero. Poco più in là, la Sinistra Arcobaleno è tutto un fumare di macerie. C’è Oliviero Diliberto che vuole ricostruire il comunismo e ha sentito l’impellente bisogno di farlo partecipando alla manifestazione di Di Pietro. Il radicalismo di Oliviero non è bastato a Marco Rizzo, il pelato onnipresente in tv, che vorrebbe un partito più comunista di quanto si sia mai dato vedere. Ma Grillo è intervenuto anche su questa molecola separando la senatrice Palermi da Oliviero e da Marco. Così da un partito mignon, che intanto piange la fuga dello storico Tranfaglia, nasceranno una serie di sette clandestinissime.
Rifondazione ha preso dal voto il colpo storico. Fuori dal Parlamento i rifondaroli scoprono che non possono più stare assieme. L’ex ministro Ferrero, rigido valdese, non vuole avere nulla a che fare con Bertinotti che intanto incorona Nichi Vendola per salvare se stesso e l’ex segretario Franco Giordano. I congressi di Rifondazione si svolgono fra risse, contumelie e annullamenti. Forse si finirà in tribunale, sicuramente da una Rifondazione sola, fra qualche giorno, ne avremo almeno due. La débâcle del micro-partito di Mussi ha partorito una nuova leadership, Claudio Fava, deputato europeo, sulla carta più vicino a Veltroni, ma l’impatto con la piazza di Beppe Grillo sospinge anche questo raggruppamento verso l’annichilimento totale. I Verdi si sforzano di far dimenticare Pecoraro Scanio e la «monnezza» napoletana. Anche qui ci si spacca come una mela con un gruppo più disinvolto capeggiato da Paolo Cento e i verdi-verdi di Grazia Francescato.
Un po’ più a destra troviamo i socialisti del nuovo Ps, che dimenticato nell’anticamera di una palestra Enrico Boselli, cercano la strada più facile per entrare in quel Pd veltroniano da cui molti scappano. Sul fronte opposto c’è la galassia dipietrista, l’unica destra che è riuscita a sequestrare la sinistra dopo il fascismo. Di Pietro è un mondo a sé. Attorno a lui si sono aggregati quello che restava dei vecchi girotondi, i ds dissidenti, i giornali che vivono e prosperano sulla guerra civile italiana, da Repubblica all’Unità. Berlusconi ha dato da vivere anche a loro, ai loro libri e dvd. Sembrava un mondo compatto in grado di partire all’assalto della sinistra riformista, invece il Risiko nostrano ha sfrantumato anche questa fragile aggregazione. Da un lato Travaglio, Di Pietro, la Guzzanti, dall’altra il fondatore Nanni Moretti, in compagnia di due girotondini pentiti, Furio Colombo ed Ezio Mauro.



Quest’ultimo nome segnala, nella guerra civile generalizzata, una specifica battaglia che si combatte nel giornalismo di sinistra. La rutelliana Europa, diretta da Stefano Menichini, si contrappone all’Unità di Antonio Padellaro in procinto di lasciare la direzione all’ex inviata di Repubblica Concita De Gregorio. Europa attacca l’Unità che risponde invelenita, mentre Ezio Mauro chiede a Gad Lerner e Edmondo Berselli di staccare il giornale del principe Caracciolo e di De Benedetti da un mondo girotondino che il direttore di Repubblica aveva convocato in piazza irritando i lettori riformisti.
Al centro della mappa c’è l’isola del Tesoro, cioè il Pd, con il suo 32% di voti che i duellanti che combattono in periferia vorrebbero conquistare e che gli indigeni si preparano a devastare con la più cruenta guerra civile. Nel Pd ho contato, come ha riferito Paola Setti in un divertente articolo pubblicato dal Giornale, almeno 17 correnti. La fusione fredda fra due partiti, Ds e Margherita, ha prodotto quasi venti partitini l’uno all’assalto dell’altro. Non è necessario elencare tutti gli eserciti in lotta né i nomi dei signori della guerra. Al centro della disputa c’è la leadership di Veltroni. Il segretario del Pd è forse il primo leader italiano che, nel giro di dieci mesi, ha rovesciato completamente la propria linea politica. Era per la fine dell’antiberlusconismo e ha ripreso la lotta senza quartiere al Cavaliere, era per l’alleanza con Di Pietro e ora la revoca, era contro l’assemblaggio con i partiti minori e fa accattonaggio con Vendola, Nencini e Claudio Fava, per tacere di Casini. Era per il sistema elettorale spagnolo e accetterà quello tedesco. Questo tipo di guerra esalta la figura di Massimo D’Alema che con la sua ReD (Riformisti e Democratici) ha creato un partito nel partito esattamente come ha fatto Rutelli con la sua associazione Glocus. La posta in gioco è la guida del Pd. La domanda vera è se il Pd esisterà dopo le elezioni europee.
Le Grandi Guerre finiscono dopo decenni con accordi di ferro. Accadrà lo stesso alla guerra civile nella sinistra? Può darsi che Veltroni ce la faccia, può darsi che D’Alema riprenda il potere, può accadere che Rutelli se ne vada con Casini, ci sarà un leader che darà una patria comune a tutti i cespugli della sinistra radicale. Sembra di essere di fronte alla sinistra francese prima di Mitterrand, tutti contro tutti. Ma c’è un Mitterrand italiano? Se vi viene un nome fatemelo sapere. Al momento, dopo la guerra c’è solo la guerra. La vostra guida si arrende di fronte al campo di battaglia devastato.

di Giovanni Petrosillo/Peppino Caldarola