08 ottobre 2011

Documenti segreti sulla tragedia di Ustica: i missili dei caccia francesi Nato

Documenti segreti libici svelano la tragedia di Ustica e come Gheddafi si salvò riparando a Malta

ustica_-_dc-9-itavia-ustica
Secondo i resoconti dei media italiani, i documenti riservati trovati negli archivi del servizio segreto libico, dopo la caduta di Tripoli, che sono ora nelle mani di Human Rights Watch, dimostrano ciò che ha provocato l’abbattimento del Dc-9 Itavia sul Mediterraneo, presso l’isola di Ustica, il 27 giugno 1980. Ottantuno persone a bordo del volo, sulla rotta da Bologna a Palermo, sono morte.

Come si è a lungo sospettato, i documenti confermano che un missile aveva colpito l’aereo, dopo che era stato scambiato per un aereo che trasportava il leader libico Muammar Gheddafi.

Secondo i documenti, due jet francesi all’inizio attaccarono l’aereo, e poi s’impegnarono in un duello con un solitario caccia MiG, che portava le insegne della Jamahiriya, e che si pensava scortasse il colonnello Gheddafi, fino a quando non impattò nella regione montuosa della Sila, nel sud d’Italia. Il colonnello Gheddafi, informato in tempo dell’attacco, riparò a Malta, dove atterrò col suo Tupolev, secondo i documenti.

Sembrerebbe, dalle carte dei servizi segreti trovate, che Gheddafi sia stato informato dai servizi segreti italiani (SISMI), che stava per essere attaccato, e aveva cercato rifugio a Malta.

Le autorità italiane hanno isolato l’area in cui il MiG cadde, e un giornalista e un fotografo, che cercavano di scoprirne la vicenda, al momento, furono arrestati e trattenuti per ore dalla polizia, fino a che non svelarono ciò che avevano documentato. Più tardi, le autorità libiche affermarono che il pilota del MiG era in volo di addestramento, quando avrebbe perso la rotta. Il suo cadavere, che era già stato sepolto, fu riesumato; l’autopsia venne effettuata e il cadavere fu poi rimpatriato in Libia. Pochi giorni dopo, il 7 luglio 1980, una bomba distrusse gli uffici della Libyan Arab Airlines, a Freedom Square, a La Valletta, e ci fu anche un tentativo di incendio doloso dell’Istituto libico di Cultura, a Palace Square, in quel periodo.

Secondo un libro del giornalista e storico francese, Henri Weill, la bomba e l’incendio doloso furono opera dei servizi segreti francesi, lo SDECE, come anche un attacco a una nave libica, a Genova. Poi, meno di un mese dopo, il 2 agosto 1980, un’enorme bomba distrusse la maggior parte della stazione ferroviaria di Bologna, e 80 persone furono uccise. La responsabilità dell’attacco terroristico non è mai stata stabilita con certezza. Proprio questa settimana, un tribunale italiano ha ordinato al governo di pagare 100 milioni di euro di danni civili ai parenti delle 81 persone uccise nel disastro aereo del 1980, che tuttora rimane ancora uno dei misteri più duraturi dell’Italia, almeno fino a quando i documenti scoperti questa settimana, saranno studiati a fondo.

Il governo italiano ha dichiarato che avrebbe fatto ricorso contro la decisione del tribunale civile di Palermo, che ritiene i ministeri della difesa e dei trasporti responsabili di aver omesso di garantire la sicurezza del volo. Tra le altre teorie sulle cause dell’incidente, vi era quella di una bomba a bordo o che l’aereo fosse stato accidentalmente preso in mezzo a un duello aereo.

L’avvocato Daniele Osnato, che insieme a un manipolo di avvocati rappresentati i parenti delle 81 vittime, ha detto che la giustizia è stata finalmente fatta. Oltre a determinare che i ministeri competenti non erano riusciti a proteggere il volo, ha detto, il tribunale ha anche concluso che erano colpevoli di aver nascosto la verità e di aver distrutto le prove.

Un’altra teoria sul dogfight aereo, aveva avuto credito dal giudice Rosario Priore, il quale aveva inizialmente accusato dei generali di esserne i responsabili. Il giudice Priore aveva teorizzato che un missile, lanciato da un caccia statunitense o da un altro aereo della NATO, avesse accidentalmente colpito il jet di linea interna italiano, durante il tentativo di abbattere un aereo libico.

Funzionari francesi, statunitensi e della NATO, hanno a lungo negato qualsiasi attività militare nei cieli, quella notte.

Fonte originale in inglese: AlFatah69
Traduzione italiana di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Fonte: libyanfreepress

07 ottobre 2011

Cacciati e spennati

la russaItaliani: pane, amore, fantasia. Popolo di santi, navigatori ed amatori, spaghetti e mandolino, pistole e preservativi, pizza e mozzarella ‘ncoppa, cantanti, cantautori e canzonatori, dop, doc e IGT, tarantella e taranta, pizzica e bballe ‘o roccorol, o’ sole mio ed il mare impetuoso al tramonto. Certo, noi italiani siamo anche (ma, ça va sans dire, non solo) i nostri luoghi comuni che esportiamo all’estero, insieme al resto, per venderci meglio e fare i mariuoli con gli altri e tra di noi. Nessuno lo nega, ma ora l’aria è cambiata e stiamo seriamente peggiorando. Non c’entra niente il bunga bunga ed il fichi fichi. Eravamo gli inimitabili esecutori del pacco, doppiopacco e contropaccotto ma poi sono arrivati La Russa e Frattini ed ormai facciamo solo la figura dei farlocchi e dei meschini. Metti due zucconi a guidare importanti dicasteri e le barzellette si capovolgono in realtà. Che non fa ridere. Gabbati e burlati dal francese, dall’inglese e dall’americano. E‘ questo il contrappasso che ci tocca dopo decenni di freddure sciovinistiche, a sfondo internazionale, favorevoli al connazionale. Iniziamo da La Russa. Uno con quel cognome doveva buttarsi nel business dei materassi o nella filiera delle gnocche dell’est da inviare al Premier ed, invece, ce lo ritroviamo a reggere il Ministero della difesa. Siccome La Russa se non spara bombe in Libia spara cazzate in Brasile si è messo in testa di fare la voce grossa con le autorità carioca per il caso Battisti. I vertici di Brasilia dopo aver sentito il suo nome hanno sbadigliato a lungo, ma non sono riusciti a chiudere occhio per i lamenti che provenivano da Roma. Battisti se lo terranno e dato che insistiamo con questa litania che disturba i loro sogni faranno saltare il banco di commesse strategiche per le nostre imprese di punta. Si parla di un giro d’affari intorno ai 10 miliardi di euro che coinvolge Fincantieri, Eni e Finmeccanica. Guarguaglini e Scaroni sono preoccupati, dopo i deserti della Sirte temono di vedersi sbarrate anche le spiagge di Rio. I soldi, tuttavia, li perderà il sistema-paese e non La Russa che anziché finire in Siberia, come meriterebbe, potrebbe ricevere una vacanza premio a Copacabana dai nostri concorrenti esteri. Passiamo a Frattini. Questo rapace della diplomazia nostrana col becco di pollo e la coda di pavone aveva rassicurato la pubblica opinione nazionale sui risultati della guerra e sulla messa in sicurezza degli interessi italiani grazie agli accordi presi col CNT. Ma i versi accalorati del nostro allocco ministeriale stonavano con quelli dell’aquila imperiale che aveva evitato di inquadrarci tra i predatori in volo di Tripoli, nonché amici piumati dei capponi di Bengasi. A ciò si aggiungeva la trasvolata anzitempo, a beccamenti ancora in corso, di Cameron e Sarkozy, per accreditarsi quali unici fringuelli liberatori della Libia. Oggi, ben al di là dei cinguetii di Frattini che affibbiava ai critici italiani l’appellativo di gufi antipatriottici si scoprono finalmente le carte e per noi sono una sfilza di due di picche. Le PMI stanno trasmigrando dal Paese nordafricano perché scalzate dalle omologhe anglo-francesi. Lo denuncia il Presidente della camera di Commercio Italafrica Centrale secondo il quale Tripoli e Roma non cantano affatto sullo stesso ramo, e questo a tutto danno delle nostre aziende che sono costrette a lasciare le gabbie dorate per far posto ai barbagianni di Parigi, di Londra e financo di Ankara. Insomma, noi non eravamo uccelli del malaugurio quando insinuavamo che saremmo stati coperti da escrementi di piccione e lui non era un falco con la vista lunga quando affermava che c’era mangime per tutti. Anzi, ha venduto l’uccello sulla frasca senza nemmeno averlo avvistato ed ora si ritrova in pentola come una quaglia. Insomma, a causa di un tordo che si crede un politico siamo stati tutti spennati e siamo rimasti senza il becco di un quattrino. Complimenti a lui e all’uccello che lo ha messo al mondo istituzionale.

di Gianni Petrosillo

06 ottobre 2011

Lo spettro Lehman torna tra le banche





La crisi della Grecia e le incertezze dell'Europa si ripercuotono sulle borse mondiali. L'Eurogruppo rinvia la sesta tranche di aiuti ad Atene Tre anni fa l'esplosione della quarta banca d'affari del mondo innescò un «credit crunch»


Prestiti interbancari fermi per il «rischio Grecia». Bernanke (Fed) promette aiuti ed evita il tracollo
Ottobre 2008, ottobre 2011. Siamo di nuovo al punto di partenza. La crisi ha fatto un giro, bruciando risorse pubbliche per migliaia di miliardi di dollari, euro, yen. Ma il sistema bancario globale - inchiodato tre anni fa dal fallimento di Lehman Brothers, quarta banca d'affari degli Usa e del mondo - sta vivendo di nuovo un credit crunch. Tradotto: le banche non si prestano più soldi tra loro, figuriamoci ai clienti «normali» (imprese e privati).
La Cnn titolava in prima pagina, l'altroieri sera, «È Morgan Stanley la prossima Lehman?». A seguire un'analisi dettagliata della quantità di titoli di stato dei Piigs europei, a partire da quelli greci, che giacciono tra gli asset del colosso; minandone la solidità. Morgan Stanley è seconda soltanto a Goldman Sachs (che ieri ha diffuso stime molto grame sulla crescita globale e perfino una stagnazione europea nel 2012); un suo eventuale default avrebbe conseguenze sistemiche inimmaginabili.

Sui mercati europei, invece, le banche preferiscono depositare i propri soldi presso la Bce - a tassi molto inferiori a quelli dimercato - pur di non rischiare una mancata restituzione. Il tasso overnight (che misura il rischio del prestito interbancario) è tornato ai massimi livelli, come due anni e mezzo fa. Dopo Lehman.

Al centro dell'attenzione resta la crisi greca, naturalmente; e soprattutto il modo ondivago con cui le istituzioni internazionali stanno affrontandola. Ieri notte l'Eurogruppo - i ministri finanziari della zona euro - ha rinviato un'altra volta il versamento della sesta tranche di aiuti ad Atene, seminando incertezza aggiuntiva. Peggio. Ha rinviato anche la prevista riunione del 13 ottobre, che aveva proprio questa decisione all'ordine del giorno. Allo stesso tempo ha chiesto «misure supplementari» a quelle già accettate da Papandreou per sbloccare il piano di salvataggio. Mentre la Finlandia, in totale autonomia, ha raggiunto un accordo con il governo greco per avere «garanzie collaterali» esclusive in cambio della percentuale finnica di aiuti. Quel che stupisce è la sproporzione mostruosa tra i «risparmi» ottenuti licenziando decine di migliaia di statali, ecc (6,6 miliardi), e la dimensione del «secondo piano d'aiuti»: 109 miliardi.

Un discreto caos, non certo diminuito dal compromesso con cui l'Eurogruppo ha deciso di «rafforzare» il fondo di stabilità Efsf: tramite un «effetto leva», ovvero a debito, ma senza incrementare il capitale posto a garanzia. Il problema è come fare a non perdere la «tripla A» necessaria perché questo fondo possa reperire capitali a un tasso moderato; le agenzie di rating potrebbero non gradire l'escamotage.

Con queste premesse le borse non potevano che cedere clamorosamente terreno, soprattutto nel settore bancario. Tanto più che proprio ieri Deutsche Bank - non proprio un nanerottolo - ha tagliato le stime sull'utile 2011; nel terzo trimestre saranno anche necessari accantonamenti per 250 milioni a seguito di svalutazioni legate ai bond greci. E non basteranno i 500 licenziamenti subito messi in cantiere per tappare il buco. Anche gli altri colossi del credito continentali hanno perso percentuali oscillanti tra il 5 e l'8% (con la franco-belga Dexia oltre ogni limite).

Alla fine, dopo un'apertura di Wall Street che minacciava sfracelli - -2,32% - è toccato ancora una volta a Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve Usa, vestire i panni del grande tranquillizzatore. Davanti al Congresso ha spiegato che l'occupazione non crescerà a breve, e che «le tensioni finanziarie hanno intaccato il morale delle famiglie e delle imprese». Ma la Fed vigila. E anche se non ci sono «piani immediati» per un terzo episodio della saga «quantititive easing» (iniezioni di liquidità pubblica), la banca centrale «è pronta a fare di più per aiutare una ripartenza più decisa dell'economia». Può farlo perché le stime sull'inflazione, nel 2012, restano intorno al livello considerato ottimale: il 2%. Ma avverte comunque che «la politica monetaria è uno strumento potente, ma non è la panacea per i problemi dell'economia statunitense».

Tanto è bastato per risollevare il morale degli operatori di borsa, che hanno potuto ridurre le perdite in Europa e addirittura vedere un timido guadagno negli Usa. Poi Wall Street è tornata a cadere. Perché il dato strutturale resta fermo: è possibile uscire da una crisi globale contando soltanto sulla «liquidità» che alcuni stati - sempre meno - cercano ancora di garantire? Non serve una laurea per rispondere...
di Tommaso De Berlanga

08 ottobre 2011

Documenti segreti sulla tragedia di Ustica: i missili dei caccia francesi Nato

Documenti segreti libici svelano la tragedia di Ustica e come Gheddafi si salvò riparando a Malta

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Secondo i resoconti dei media italiani, i documenti riservati trovati negli archivi del servizio segreto libico, dopo la caduta di Tripoli, che sono ora nelle mani di Human Rights Watch, dimostrano ciò che ha provocato l’abbattimento del Dc-9 Itavia sul Mediterraneo, presso l’isola di Ustica, il 27 giugno 1980. Ottantuno persone a bordo del volo, sulla rotta da Bologna a Palermo, sono morte.

Come si è a lungo sospettato, i documenti confermano che un missile aveva colpito l’aereo, dopo che era stato scambiato per un aereo che trasportava il leader libico Muammar Gheddafi.

Secondo i documenti, due jet francesi all’inizio attaccarono l’aereo, e poi s’impegnarono in un duello con un solitario caccia MiG, che portava le insegne della Jamahiriya, e che si pensava scortasse il colonnello Gheddafi, fino a quando non impattò nella regione montuosa della Sila, nel sud d’Italia. Il colonnello Gheddafi, informato in tempo dell’attacco, riparò a Malta, dove atterrò col suo Tupolev, secondo i documenti.

Sembrerebbe, dalle carte dei servizi segreti trovate, che Gheddafi sia stato informato dai servizi segreti italiani (SISMI), che stava per essere attaccato, e aveva cercato rifugio a Malta.

Le autorità italiane hanno isolato l’area in cui il MiG cadde, e un giornalista e un fotografo, che cercavano di scoprirne la vicenda, al momento, furono arrestati e trattenuti per ore dalla polizia, fino a che non svelarono ciò che avevano documentato. Più tardi, le autorità libiche affermarono che il pilota del MiG era in volo di addestramento, quando avrebbe perso la rotta. Il suo cadavere, che era già stato sepolto, fu riesumato; l’autopsia venne effettuata e il cadavere fu poi rimpatriato in Libia. Pochi giorni dopo, il 7 luglio 1980, una bomba distrusse gli uffici della Libyan Arab Airlines, a Freedom Square, a La Valletta, e ci fu anche un tentativo di incendio doloso dell’Istituto libico di Cultura, a Palace Square, in quel periodo.

Secondo un libro del giornalista e storico francese, Henri Weill, la bomba e l’incendio doloso furono opera dei servizi segreti francesi, lo SDECE, come anche un attacco a una nave libica, a Genova. Poi, meno di un mese dopo, il 2 agosto 1980, un’enorme bomba distrusse la maggior parte della stazione ferroviaria di Bologna, e 80 persone furono uccise. La responsabilità dell’attacco terroristico non è mai stata stabilita con certezza. Proprio questa settimana, un tribunale italiano ha ordinato al governo di pagare 100 milioni di euro di danni civili ai parenti delle 81 persone uccise nel disastro aereo del 1980, che tuttora rimane ancora uno dei misteri più duraturi dell’Italia, almeno fino a quando i documenti scoperti questa settimana, saranno studiati a fondo.

Il governo italiano ha dichiarato che avrebbe fatto ricorso contro la decisione del tribunale civile di Palermo, che ritiene i ministeri della difesa e dei trasporti responsabili di aver omesso di garantire la sicurezza del volo. Tra le altre teorie sulle cause dell’incidente, vi era quella di una bomba a bordo o che l’aereo fosse stato accidentalmente preso in mezzo a un duello aereo.

L’avvocato Daniele Osnato, che insieme a un manipolo di avvocati rappresentati i parenti delle 81 vittime, ha detto che la giustizia è stata finalmente fatta. Oltre a determinare che i ministeri competenti non erano riusciti a proteggere il volo, ha detto, il tribunale ha anche concluso che erano colpevoli di aver nascosto la verità e di aver distrutto le prove.

Un’altra teoria sul dogfight aereo, aveva avuto credito dal giudice Rosario Priore, il quale aveva inizialmente accusato dei generali di esserne i responsabili. Il giudice Priore aveva teorizzato che un missile, lanciato da un caccia statunitense o da un altro aereo della NATO, avesse accidentalmente colpito il jet di linea interna italiano, durante il tentativo di abbattere un aereo libico.

Funzionari francesi, statunitensi e della NATO, hanno a lungo negato qualsiasi attività militare nei cieli, quella notte.

Fonte originale in inglese: AlFatah69
Traduzione italiana di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Fonte: libyanfreepress

07 ottobre 2011

Cacciati e spennati

la russaItaliani: pane, amore, fantasia. Popolo di santi, navigatori ed amatori, spaghetti e mandolino, pistole e preservativi, pizza e mozzarella ‘ncoppa, cantanti, cantautori e canzonatori, dop, doc e IGT, tarantella e taranta, pizzica e bballe ‘o roccorol, o’ sole mio ed il mare impetuoso al tramonto. Certo, noi italiani siamo anche (ma, ça va sans dire, non solo) i nostri luoghi comuni che esportiamo all’estero, insieme al resto, per venderci meglio e fare i mariuoli con gli altri e tra di noi. Nessuno lo nega, ma ora l’aria è cambiata e stiamo seriamente peggiorando. Non c’entra niente il bunga bunga ed il fichi fichi. Eravamo gli inimitabili esecutori del pacco, doppiopacco e contropaccotto ma poi sono arrivati La Russa e Frattini ed ormai facciamo solo la figura dei farlocchi e dei meschini. Metti due zucconi a guidare importanti dicasteri e le barzellette si capovolgono in realtà. Che non fa ridere. Gabbati e burlati dal francese, dall’inglese e dall’americano. E‘ questo il contrappasso che ci tocca dopo decenni di freddure sciovinistiche, a sfondo internazionale, favorevoli al connazionale. Iniziamo da La Russa. Uno con quel cognome doveva buttarsi nel business dei materassi o nella filiera delle gnocche dell’est da inviare al Premier ed, invece, ce lo ritroviamo a reggere il Ministero della difesa. Siccome La Russa se non spara bombe in Libia spara cazzate in Brasile si è messo in testa di fare la voce grossa con le autorità carioca per il caso Battisti. I vertici di Brasilia dopo aver sentito il suo nome hanno sbadigliato a lungo, ma non sono riusciti a chiudere occhio per i lamenti che provenivano da Roma. Battisti se lo terranno e dato che insistiamo con questa litania che disturba i loro sogni faranno saltare il banco di commesse strategiche per le nostre imprese di punta. Si parla di un giro d’affari intorno ai 10 miliardi di euro che coinvolge Fincantieri, Eni e Finmeccanica. Guarguaglini e Scaroni sono preoccupati, dopo i deserti della Sirte temono di vedersi sbarrate anche le spiagge di Rio. I soldi, tuttavia, li perderà il sistema-paese e non La Russa che anziché finire in Siberia, come meriterebbe, potrebbe ricevere una vacanza premio a Copacabana dai nostri concorrenti esteri. Passiamo a Frattini. Questo rapace della diplomazia nostrana col becco di pollo e la coda di pavone aveva rassicurato la pubblica opinione nazionale sui risultati della guerra e sulla messa in sicurezza degli interessi italiani grazie agli accordi presi col CNT. Ma i versi accalorati del nostro allocco ministeriale stonavano con quelli dell’aquila imperiale che aveva evitato di inquadrarci tra i predatori in volo di Tripoli, nonché amici piumati dei capponi di Bengasi. A ciò si aggiungeva la trasvolata anzitempo, a beccamenti ancora in corso, di Cameron e Sarkozy, per accreditarsi quali unici fringuelli liberatori della Libia. Oggi, ben al di là dei cinguetii di Frattini che affibbiava ai critici italiani l’appellativo di gufi antipatriottici si scoprono finalmente le carte e per noi sono una sfilza di due di picche. Le PMI stanno trasmigrando dal Paese nordafricano perché scalzate dalle omologhe anglo-francesi. Lo denuncia il Presidente della camera di Commercio Italafrica Centrale secondo il quale Tripoli e Roma non cantano affatto sullo stesso ramo, e questo a tutto danno delle nostre aziende che sono costrette a lasciare le gabbie dorate per far posto ai barbagianni di Parigi, di Londra e financo di Ankara. Insomma, noi non eravamo uccelli del malaugurio quando insinuavamo che saremmo stati coperti da escrementi di piccione e lui non era un falco con la vista lunga quando affermava che c’era mangime per tutti. Anzi, ha venduto l’uccello sulla frasca senza nemmeno averlo avvistato ed ora si ritrova in pentola come una quaglia. Insomma, a causa di un tordo che si crede un politico siamo stati tutti spennati e siamo rimasti senza il becco di un quattrino. Complimenti a lui e all’uccello che lo ha messo al mondo istituzionale.

di Gianni Petrosillo

06 ottobre 2011

Lo spettro Lehman torna tra le banche





La crisi della Grecia e le incertezze dell'Europa si ripercuotono sulle borse mondiali. L'Eurogruppo rinvia la sesta tranche di aiuti ad Atene Tre anni fa l'esplosione della quarta banca d'affari del mondo innescò un «credit crunch»


Prestiti interbancari fermi per il «rischio Grecia». Bernanke (Fed) promette aiuti ed evita il tracollo
Ottobre 2008, ottobre 2011. Siamo di nuovo al punto di partenza. La crisi ha fatto un giro, bruciando risorse pubbliche per migliaia di miliardi di dollari, euro, yen. Ma il sistema bancario globale - inchiodato tre anni fa dal fallimento di Lehman Brothers, quarta banca d'affari degli Usa e del mondo - sta vivendo di nuovo un credit crunch. Tradotto: le banche non si prestano più soldi tra loro, figuriamoci ai clienti «normali» (imprese e privati).
La Cnn titolava in prima pagina, l'altroieri sera, «È Morgan Stanley la prossima Lehman?». A seguire un'analisi dettagliata della quantità di titoli di stato dei Piigs europei, a partire da quelli greci, che giacciono tra gli asset del colosso; minandone la solidità. Morgan Stanley è seconda soltanto a Goldman Sachs (che ieri ha diffuso stime molto grame sulla crescita globale e perfino una stagnazione europea nel 2012); un suo eventuale default avrebbe conseguenze sistemiche inimmaginabili.

Sui mercati europei, invece, le banche preferiscono depositare i propri soldi presso la Bce - a tassi molto inferiori a quelli dimercato - pur di non rischiare una mancata restituzione. Il tasso overnight (che misura il rischio del prestito interbancario) è tornato ai massimi livelli, come due anni e mezzo fa. Dopo Lehman.

Al centro dell'attenzione resta la crisi greca, naturalmente; e soprattutto il modo ondivago con cui le istituzioni internazionali stanno affrontandola. Ieri notte l'Eurogruppo - i ministri finanziari della zona euro - ha rinviato un'altra volta il versamento della sesta tranche di aiuti ad Atene, seminando incertezza aggiuntiva. Peggio. Ha rinviato anche la prevista riunione del 13 ottobre, che aveva proprio questa decisione all'ordine del giorno. Allo stesso tempo ha chiesto «misure supplementari» a quelle già accettate da Papandreou per sbloccare il piano di salvataggio. Mentre la Finlandia, in totale autonomia, ha raggiunto un accordo con il governo greco per avere «garanzie collaterali» esclusive in cambio della percentuale finnica di aiuti. Quel che stupisce è la sproporzione mostruosa tra i «risparmi» ottenuti licenziando decine di migliaia di statali, ecc (6,6 miliardi), e la dimensione del «secondo piano d'aiuti»: 109 miliardi.

Un discreto caos, non certo diminuito dal compromesso con cui l'Eurogruppo ha deciso di «rafforzare» il fondo di stabilità Efsf: tramite un «effetto leva», ovvero a debito, ma senza incrementare il capitale posto a garanzia. Il problema è come fare a non perdere la «tripla A» necessaria perché questo fondo possa reperire capitali a un tasso moderato; le agenzie di rating potrebbero non gradire l'escamotage.

Con queste premesse le borse non potevano che cedere clamorosamente terreno, soprattutto nel settore bancario. Tanto più che proprio ieri Deutsche Bank - non proprio un nanerottolo - ha tagliato le stime sull'utile 2011; nel terzo trimestre saranno anche necessari accantonamenti per 250 milioni a seguito di svalutazioni legate ai bond greci. E non basteranno i 500 licenziamenti subito messi in cantiere per tappare il buco. Anche gli altri colossi del credito continentali hanno perso percentuali oscillanti tra il 5 e l'8% (con la franco-belga Dexia oltre ogni limite).

Alla fine, dopo un'apertura di Wall Street che minacciava sfracelli - -2,32% - è toccato ancora una volta a Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve Usa, vestire i panni del grande tranquillizzatore. Davanti al Congresso ha spiegato che l'occupazione non crescerà a breve, e che «le tensioni finanziarie hanno intaccato il morale delle famiglie e delle imprese». Ma la Fed vigila. E anche se non ci sono «piani immediati» per un terzo episodio della saga «quantititive easing» (iniezioni di liquidità pubblica), la banca centrale «è pronta a fare di più per aiutare una ripartenza più decisa dell'economia». Può farlo perché le stime sull'inflazione, nel 2012, restano intorno al livello considerato ottimale: il 2%. Ma avverte comunque che «la politica monetaria è uno strumento potente, ma non è la panacea per i problemi dell'economia statunitense».

Tanto è bastato per risollevare il morale degli operatori di borsa, che hanno potuto ridurre le perdite in Europa e addirittura vedere un timido guadagno negli Usa. Poi Wall Street è tornata a cadere. Perché il dato strutturale resta fermo: è possibile uscire da una crisi globale contando soltanto sulla «liquidità» che alcuni stati - sempre meno - cercano ancora di garantire? Non serve una laurea per rispondere...
di Tommaso De Berlanga